conclusioni Conto su di te

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conclusioni Conto su di te
A conclusione di questo percorso il mio compito è quello di tirare alcune conclusioni da quanto emerso in
questi tre incontri.
La prima considerazione può essere scontata ma credo sia importante sottolineare che anche la vostra
numerosa partecipazione, della quale ancora vi ringrazio, nasce dalla constatazione che un problema c’è,
che la realtà ci impone di riflettere, di trovare risposte alla domanda che avevo ricordato nel primo
incontro: “che cosa possiamo fare?”
Credo che da quanto ci è stato proposto, dalle testimonianze e dagli stimoli che ci son stati dati, ma anche
dalle vostre domande e considerazioni, possiamo evidenziare alcuni elementi di fondo che, mi auguro,
possano divenire dei punti di un lavoro comune.
La questione culturale: mi pare innegabile che lo sfondo in cui si muovono molte persone che sono in
difficoltà economica e che spesso fanno fatica a gestire il poco che hanno, è quello rappresentato da un
mondo a volte virtuale, non aderente alla realtà ma fatto soprattutto di miraggi e possibilità
potenzialmente aperte a tutti. Questo condiziona notevolmente le persone più fragili che sono
sistematicamente bombardate da inviti al consumo, all’acquisto, ad acquisire un tenore di vita migliore,
senza avere gli strumenti per comprendere la propria reale dimensione economica, le proprie capacità di
spesa, la possibilità di risparmio. È sufficientemente chiaro quindi che tra le cause della difficoltà di questi
soggetti c’è anche un modello culturale che spinge in una determinata direzione e io credo che noi
dobbiamo essere capaci non solo di stare vicino a chi è in difficoltà ma anche di promuovere
comportamenti e stili di vita differenti o perlomeno più realistici, fatti di sobrietà, di risparmio, di prudenza,
di educazione all’attesa, al sacrificio. Questo ci costringe anche a frenare il nostro giudizio verso chi questi
elementi non considera o nessuno gli ha mai insegnato a considerare.
Allo stesso tempo nel nostro servizio va riproposto un protagonismo, una presa di coscienza di ognuno che
permetta di uscire dalle situazioni di povertà ed emarginazione, intendendo sempre l’aiuto come un
appoggio per emanciparsi e non per divenire degli assistiti, magari a vita.
La questione educativa: è strettamente collegata alla prima, anche se rispecchia una dimensione forse più
pratica e concreta. Mi fa un po’ sorridere che nelle scuole venga chiamato un volontario Caritas a spiegare
come gestire i soldi o un’associazione a parlare del gioco di azzardo. Su queste cose esiste una
responsabilità educativa che forse dovrebbe essere maggiormente condivisa dalle principali agenzie
educative: la famiglia innanzitutto ma anche la scuola sono forse quelle che per prime devono seminare
principi e tecniche per affrontare una realtà complessa e insidiosa come quella dell’uso del denaro. Ma
contemporaneamente non possono esimersi da questa attenzione educativa anche i principali media, dalla
tv a internet, in cui il soldo facile sembra andare di gran moda ma su cui purtroppo non pare sia possibile
esercitare alcun controllo.
L’approccio: come abbiamo visto entrare in questioni di tipo economico con degli estranei è cosa piuttosto
delicata e complessa. Lo è per chi si deve in qualche modo “scoprire”, lo è per noi che fatichiamo che
riteniamo irrispettoso chiedere qualcosa di così privato e intimo. L’approccio va costruito in modo empatico
ed intelligente: dobbiamo sapere, anzi sentire, quanta sofferenza costa a queste persone raccontare certe
cose, dall’altra dobbiamo essere consapevoli che il nostro compito non è solo quello di compatire ma di
trovare insieme una soluzione. Come abbiamo visto lo strumento principale per provare a costruire un
percorso positivo – a volte lungo – è quello di creare un rapporto di fiducia, costruendo una relazione
positiva, non giudicante e allo stesso tempo realistica e propositiva. Il fondatore degli scout, Lord Baden
Powell, sosteneva che in ogni essere umano c’è almeno un 5% di buono: il nostro compito è far emergere
questo 5% (che spesso è molto di più) lavorando sulle capacità e sulla volontà di uscire dalle difficoltà. È
molto diverso che rispondere in modo immediato ad un problema materiale, perché necessario coltivare
una relazione particolare, di vicinanza ma non di sostituzione, di amicizia ma senza esagerato
coinvolgimento, tenendo conto – come ci ha ricordato la dottoressa Bimbati – che “non è importante solo
quello che viene fatto, ma il modo in cui lo si fa e lo si costruisce all'interno di una relazione” che è
soprattutto una relazione di aiuto.
L’altro elemento che mi sembra uscito più volte è che il nostro aiuto risponda alla persona nel suo insieme,
comprendendo le sue fatiche e le sue risorse, il suo contesto di appartenenza, la sua storia famigliare, il
lavoro, le relazioni parentali e amicali. Dobbiamo insomma andare oltre la manifestazione del bisogno per
poter rispondere in maniera efficace e significativa: ieri mi son confrontato con uno di voi rispetto ad una
situazione e ci siamo detti più volte che essa non può essere risolta solo nel concreto della sua urgenza
economica, ma va dato un senso all’intervento, comprendendo le motivazioni dei gesti che hanno portato a
dover rifondere dei danni, approfondire la situazione personale e sociale di questa persona, capire come
fare perché questo non accada più, non lasciarla sola. Anche se ci vorrà più tempo, il gioco vale la candela.
Infine l’aspetto della rete: in questo percorso abbiamo avuto occasione di sentire non solo alcune
testimonianze ma anche un modo di essere e di operare e, ci tengo a sottolinearlo, una passione per il
proprio servizio da parte di tutti gli intervenuti. Si tratta di una ricchezza che va valorizzata al meglio, non
per “sbolognare” qualche caso ad altri, ma – fate attenzione – per poter trovare la migliore risposta alla
nostra gente. Ognuno nel suo specifico può concorrere al benessere, all’emancipazione, al superamento del
disagio di qualcuno perché mette a disposizione quanto sa fare meglio, sia esso un momento di ascolto, di
orientamento, di consulenza, di conoscenza, di risposta concreta e materiale.
Certo che è importante condividere alcune linee di pensiero, alcune delle quali ho appena descritto. Perché
è muovendosi insieme che il cittadino trova un’unità di intenti e non una frammentazione di interventi, più
o meno sensati, più o meno indovinati. È condividendo alcune prassi e qualche obiettivo che possiamo
essere anche tutti maggiormente credibili, autorevoli, efficaci evitando inoltre di finire per criticarci l’un
l’altro, lasciando magari in stand by le persone che invece siamo chiamati a servire.
Ma per fare questo è necessaria la conoscenza degli altri, anzi, la frequentazione degli altri. Nel preparare
questo percorso noi abbiamo fatto in modo molto semplice l’esperienza dell’incontro con altre realtà,
altrettanto interessate al tema della difficoltà economica, che ci hanno espresso il loro interesse a
partecipare attivamente. Ecco, dobbiamo prenderci del tempo per poter coltivare questa rete, conoscendo
meglio chi la compone, costruendo anche noi una relazione di fiducia reciproca, senza dover sempre
difendere il nostro operato come fosse l’unico, il migliore o comunque impossibile da verificare e magari
cambiare. La mappa che vi forniamo oggi è un piccolo inizio per guardarsi intorno e farsi qualche domanda.
Se abbiamo davanti agli occhi coloro che vogliamo aiutare, credo che tutto ciò possa essere possibile. Se
abbiamo in mente una società solidale, sincera, attenta a chi fa più fatica, fatta di relazione e non solo di
risposte, di prossimità e non solo di distribuzione, tutto ciò è necessario.