LA CORTE DI GIUSTIZIA TORNA SU DIGITALIZZAZIONE DI LIBRI

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LA CORTE DI GIUSTIZIA TORNA SU DIGITALIZZAZIONE DI LIBRI
LA CORTE DI GIUSTIZIA TORNA SU DIGITALIZZAZIONE DI
LIBRI, BIBLIOTECHE E DIRITTI DEGLI AUTORI
Con sentenza dell’11 settembre scorso in causa C-117/13 (Technische Universitat
Darmstadt) la Corte di Giustizia è tornata ad occuparsi dei limiti ai diritti esclusivi degli
autori in relazione alla digitalizzazione da parte di biblioteche accessibili al pubblico del
patrimonio librario detenuto.
La vicenda dalla quale è stata originata la causa principale vedeva contrapposti un
Politecnico tedesco e una casa editrice che chiedeva il pagamento dei diritti d’autore in
relazione alla possibilità, offerta agli utenti della biblioteca del Politecnico, di prendere
visione ed estrarre copia cartacea e digitale di un libro cartaceo, digitalizzato a cura del
personale della biblioteca.
Le questioni proposte innanzi alla Corte europea dalla Corte di Giustizia federale tedesca
hanno riguardato, pertanto, l’art. 5(3) lettera n) della direttiva 2001/29/CE di
armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società
dell’informazione. Detta disposizione prevede, in particolare, che gli Stati membri possano
introdurre nelle proprie discipline nazionali disposizioni che limitino i diritti esclusivi
riconosciuti agli autori, consentendo la comunicazione e la messa a disposizione del
pubblico delle opere protette senza l’autorizzazione dei titolari qualora tali utilizzi vengano
svolti: 1) per finalità di ricerca o di studio; 2) da parte di persone fisiche; 3) attraverso
terminali dedicati siti in biblioteche accessibili al pubblico; 4) con riferimento a opere
presenti nelle collezioni di dette biblioteche che non è possibile acquistare o ottenere in
licenza. Tale eccezione, come le altre previste nella direttiva citata, da interpretarsi in
maniera restrittiva, non deve comunque confliggere con la normale diffusione dell’opera e
non può rappresentare un pregiudizio irragionevole per il titolare dei diritti.
In tale contesto, la Corte tedesca ha chiesto alla Corte di Giustizia se:
•
si deve considerare suscettibile di licenza o di acquisto, e dunque escluso
dall’eccezione descritta, un libro per il quale l’editore ha offerto di concedere una
licenza alla relativa biblioteca;
•
l’eccezione citata consente ad una biblioteca di digitalizzare il libro di interesse al
fine di metterlo a disposizione del pubblico attraverso il terminale dedicato;
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•
si possa considerare rientrante nell’ambito dell’eccezione anche la facoltà concessa
dalla biblioteca ai propri utenti di estrarre copia cartacea e salvare il libro di
interesse in versione digitale su un chiavetta USB.
Con riferimento alla prima domanda la risposta della Corte appare netta: non è sufficiente
la mera offerta di una licenza da parte dell’editore per impedire all’eccezione di operare,
ma è necessaria la sussistenza di un contratto già in essere tra l’editore e la biblioteca
rilevante.
La seconda questione pregiudiziale proposta richiede un attento lavoro interpretativo da
parte della Corte europea. Infatti l’interpretazione letterale della disposizione oggetto della
decisione in commento militerebbe in favore di una risposta negativa alla domanda
formulata. L’eccezione prevista dal comma 5(3) lettera n) sembrerebbe, infatti, riferirsi alla
sola possibilità per la biblioteca di “comunicare” e “mettere a disposizione del pubblico” e
non quindi a riprodurre tale opera, attività, quest’ultima, richiesta dal processo di
digitalizzazione dei volumi.
Su tale aspetto la Corte rileva come un’interpretazione restrittiva della norma in commento
renderebbe molto difficile l’applicazione in concreto della stessa. In sostanza, se non si
consentisse alle biblioteche di digitalizzare le opere possedute nei propri cataloghi prima
di metterle a disposizione del pubblico sui terminali dedicati alle condizioni previste dalla
direttiva, si frusterebbero di fatto, nell’opinione della Corte, le finalità per le quali
l’eccezione è stata prevista, vale a dire favorire la diffusione della cultura e lo sviluppo
della ricerca scientifica.
Pertanto, osserva sul punto la Corte, occorre riconoscere come nelle condizioni sopra
descritte l’atto di riproduzione, cioè la digitalizzazione delle opere, sia ancillare rispetto alla
messa a disposizione del pubblico delle stesse consentita dalla direttiva.
In quest’ottica, secondo i giudici europei, l’eccezione più volte richiamata deve essere
interpretata nel senso di consentire alle biblioteche la digitalizzazione delle opere detenute
al fine di metterle a disposizione del pubblico sui terminali dedicati alle condizioni e nei
limiti stabiliti dalla direttiva.
Quanto all’ultima questione, la Corte rileva come la realizzazione di una copia digitale o
cartacea di un’opera digitalizzata e messa a disposizione da una biblioteca costituisce
un’attività di riproduzione che come tale esula dall’eccezione in commento e deve essere
autorizzata dal titolare del diritto che, in ogni caso, avrà diritto a un compenso per la
riproduzione, anche parziale, delle proprie opere.
La recente decisione della Corte è disponibile cliccando qui.
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DIRITTO D’AUTORE: LA CORTE DI GIUSTIZIA CHIARISCE LA
NOZIONE DI PARODIA
Con sentenza del 3 settembre 2014 la Corte di Giustizia si è pronunciata in relazione alla
natura e al significato della nozione di “parodia” nel contesto delle norme in materia di
tutela del diritto d’autore (causa C-201/13, Johan Deckmyn e Vrijheidsfonds VZW c.
Helena Vandersteen, Christiane Vandersteen, Liliana Vandersteen, Isabelle Vandersteen,
Rita Dupont, Amoras II CVOH e WPG Uitgevers België).
La controversia trae origine da un calendario distribuito durante un evento pubblico da un
membro di un partito politico di estrema destra della Comunità fiamminga del Belgio (il
Vlaams Belang), la cui copertina riproduceva quella di un episodio di un noto fumetto al
quale erano state apportate talune modifiche al fine di trasmettere un messaggio
riconducibile all’ideologia di tale partito (il “benefattore” raffigurato nella copertina del
fumetto era stato sostituito con una personalità politica, mentre i “beneficiari” della sua
generosità, originariamente privi di caratteri specifici, erano stati trasformati in immigrati o
residenti stranieri, per trasmettere il messaggio del partito).
L’opera originale
L’opera parodistica
Ritenendo che tale disegno e la sua comunicazione al pubblico violassero i loro diritti
d’autore, gli eredi del creatore del fumetto in questione e le società che avevano
acquistato i diritti sul medesimo hanno convenuto in giudizio tanto il membro del partito
politico che aveva distribuito il calendario quanto l’associazione che supportava tale partito
attraverso la stampa e la diffusione di pubblicazioni. Secondo gli attori, il disegno in
questione non era idoneo a soddisfare i requisiti della parodia, primo tra tutti quello relativo
all’originalità dell’opera parodistica; inoltre, si censurava il carattere discriminatorio del
messaggio trasmesso dal disegno (in ragione della circostanza per cui, in quest’ultimo, i
personaggi che nell’opera originale raccoglievano le monete gettate dal “benefattore” sono
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stati sostituiti da persone che indossano un velo e da persone di colore), tale da produrre
l’effetto di associare l’opera originaria ad un siffatto messaggio.
A seguito dell’appello dei convenuti nei confronti della sentenza del Tribunale di primo
grado, che aveva ritenuto sussistente la violazione dei diritti d’autore degli attori, la corte di
secondo grado decideva di sospendere il giudizio rivolgendo alla Corte di Giustizia le
seguenti questioni pregiudiziali:
“1) Se la nozione di “parodia” sia una nozione autonoma di diritto dell’Unione.
2) In caso di risposta affermativa, se una parodia debba soddisfare le seguenti condizioni
o presentare le seguenti caratteristiche:
–
mostrare un proprio carattere originale (originalità);
–
mostrare siffatto carattere in modo tale che la parodia non possa essere
ragionevolmente attribuita all’autore dell’opera originale;
–
mirare a fare dell’umorismo o a canzonare, indipendentemente dal fatto che la
critica in tal modo eventualmente espressa colpisca l’opera originale oppure
qualche altra cosa o persona;
–
indicare la fonte dell’opera oggetto di parodia.
3) Se un’opera debba soddisfare ulteriori condizioni o presentare ulteriori caratteristiche
per poter essere qualificata come parodia”.
Per un riepilogo delle conclusioni rese dall’Avvocato Generale della Corte Cruz Villalón si
veda il nostro articolo disponibile a questo link.
Con riferimento alla prima questione pregiudiziale, la Corte chiarisce che la nozione di
“parodia” di cui all’articolo 5, par. 3, lett. k), della Direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione
di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione
(“Direttiva InfoSoc”) costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione. Ciò in
quanto, secondo una costante giurisprudenza della Corte, i termini di una disposizione del
diritto dell’Unione, la quale non contenga alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri
ai fini della determinazione del proprio significato e della propria portata, devono di norma
essere oggetto, nell’intera Unione europea, di un’interpretazione autonoma e uniforme.
Circa la seconda questione, relativa alle caratteristiche dell’opera parodistica, la Corte
chiarisce che l’articolo 5, paragrafo 3, lettera k), della Direttiva InfoSoc deve essere
interpretato nel senso che la parodia, tenuto conto del significato abituale di tale termine
nel linguaggio corrente nonché del contesto in cui esso è utilizzato e degli obiettivi
perseguiti dalla Direttiva, presenta le seguenti caratteristiche essenziali: da un lato, quella
di evocare un’opera esistente, e, dall’altro, quella di costituire un atto umoristico o
canzonatorio. Per contro, una parodia non deve avere un proprio carattere originale,
diverso dalla presenza di percettibili differenze rispetto all’opera originale parodiata. Allo
stesso modo, non è necessario che possa essere attribuita ad una persona diversa
dall’autore dell’opera originale, né che sia incentrata sull’opera originale o che indichi la
fonte dell’opera parodiata.
Inoltre, la Corte sottolinea che l’applicazione dell’“eccezione” per parodia di cui alla
Direttiva InfoSoc deve rispettare un giusto equilibrio tra gli interessi dei titolari di diritti, da
un lato, e la libertà di espressione della persona che intende avvalersi di tale eccezione,
dall’altro. In tale contesto, la Corte constata che se una parodia trasmette un messaggio
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discriminatorio i titolari di diritti dell’opera parodiata hanno, in linea di principio, un legittimo
interesse a che la loro opera non sia associata ad un siffatto messaggio. In proposito, la
Corte ricorda l’importanza del principio di non discriminazione a motivo della razza, del
colore e dell’origine etnica, così come previsto dalla Direttiva 2000/43/CE che attua il
principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e
dall’origine etnica, e confermato, in particolare, all’articolo 21, paragrafo 1, della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea. Spetterà al giudice del rinvio valutare se tale
giusto equilibrio sia assicurato nel caso di specie, tenendo conto di tutte le circostanze
della fattispecie concreta.
Il testo integrale della sentenza è reperibile a questo link.
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BREVISSIME
WIKIMEDIA NON È RESPONSABILE DEI CONTENUTI CARICATI DAGLI UTENTI
Con sentenza del 9 luglio 2014, la prima sezione civile del Tribunale di Roma ha stabilito
che la Wikimedia Foundation Inc., che gestisce la celebre enciclopedia telematica
denominata “Wikipedia”, non è responsabile per i contenuti che gli utenti caricano
liberamente sulle pagine/progetti “Wikimedia.
L’azione da cui è scaturita la sentenza era stata avviata dai fratelli Angelucci, noti
imprenditori, in relazione a talune affermazioni asseritamente diffamatorie afferenti a
indagini penali nelle quali gli attori sono incorsi in passato, che comparivano su due
pagine in lingua italiana di Wikipedia. Gli attori hanno chiesto che il Tribunale accertasse la
diffamazione arrecata ai propri danni da Wikimedia Foundation e condannasse
quest’ultima al risarcimento del danno alla reputazione nella misura di 10 milioni di euro
per ciascun attore.
Il Tribunale seguendo un orientamento già espresso in una precedente occasione dalla
stessa sezione in relazione alla gestione di Wikipedia, ha riconosciuto come la fondazione
Wikimedia svolge funzioni di hosting provider, ossia di soggetto che si limita ad offrire
ospitalità sui propri server ad informazioni fornite dal pubblico degli utenti, secondo quanto
previsto dall’articolo 14 della Direttiva E-commerce n. 2000/31/CE e dal Decreto Ecommerce di recepimento in Italia della stessa. In tale veste, Wikimedia non è
responsabile delle informazioni caricate sulle proprie pagine dagli utenti a meno che,
venuta a conoscenza del carattere illecito delle stesse, non abbia provveduto a segnalare
l’illiceità del contenuto all’autorità giudiziaria o amministrativa competente, secondo quanto
prescritto dal Decreto E-commerce, peraltro in senso più protettivo rispetto alla disciplina
europea.
Sempre sul tema e in punto di legge applicabile, il Tribunale riconosce altresì che la
società convenuta, essendo stabilita al di fuori dello Spazio economico europeo, non
risulta vincolata alle disposizioni della Direttiva, né quindi dal Decreto nazionale. Ciò
nonostante, sempre secondo quanto affermato dai giudici romani, tale cornice normativa
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rappresenta il punto di riferimento essenziale da un punto di vista interpretativo, pur
applicando le regole generali sulla responsabilità aquiliana dettate dal Codice civile.
La sentenza, che appare densa di spunti interessanti in relazione all’inquadramento e alla
relativa responsabilità dei fornitori di servizi internet è destinata a rappresentare un
ulteriore tassello nel percorso giurisprudenziale sul tema avviato tanto a livello nazionale,
quanto innanzi alle istanze europee.
La decisione del Tribunale di Roma è disponibile cliccando qui.
LCN – IL CONSIGLIO DI STATO STABILISCE CHE IL COMMISSARIO AD ACTA PUÒ
TORNARE AL LAVORO. GLI OPERATORI POTRANNO PRESENTARE AL
COMMISSARIO LE PROPRIE OSSERVAZIONI SULLA BOZZA DI PIANO LCN ENTRO
IL 7 OTTOBRE
Ancora un rovesciamento di fronte in materia di LCN. Abbiamo ricostruito recentemente
l’intera saga, quindi ci limiteremo in questa sede a dare conto solo degli ultimi sviluppi.
AGCOM, il Ministero dello Sviluppo Economico e MTV, ritenendo che la sentenza del 2013
con cui il Consiglio di Stato aveva annullato il piano LCN approvato con delibera 237/13/
CONS fosse viziata da un errore di fatto (circa le abitudini degli spettatori, ed in particolare
sul posizionamento dei canali locali prima dello switch off), avevano proposto giudizio di
revocazione avverso tale sentenza.
L’8 settembre scorso è stata pubblicata la decisione con cui il Consiglio di Stato ha
dichiarato inammissibili i ricorsi, stabilendo che lo stesso Consiglio di Stato, nella sentenza
del 2013, era sì incorso in un errore di fatto - un “abbaglio dei sensi” circa i risultati
dell’indagine demoscopica su cui AGCOM aveva basato il Piano LCN di cui alla delibera
237/13/CONS - ma tale errore di fatto è da considerarsi irrilevante, in quanto non ha
influito sulla decisione, la quale quindi non risulta inficiata.
Ne consegue che viene confermata la sentenza del 2013 (e con essa l’annullamento del
Piano LCN del 2013) e che il Commissario ad acta, incaricato proprio dalla sentenza del
2013 di “riscrivere” le regole in materia di LCN, può riprendere la propria attività, avendo
riottenuto i poteri che erano stati precedentemente sospesi in via cautelare dallo stesso
Consiglio di Stato.
In chiusura, la sentenza del Consiglio di Stato precisa che “l’attività del Commissario ad
acta […], [deve] riprendere il suo corso in riferimento alla valutazione, ora per allora,
dell’assegnazione dei canali 7, 8 e 9 ai canali ex analogici generalisti, […], dovendosi qui
solo precisare, comunque, che l’attuale numerazione automatica dei canali della
televisione digitale terrestre non può non tenere conto […] delle preferenze e delle
abitudini espresse dagli utenti con riferimento all’attuale situazione, quali emerse dal
sondaggio effettuato dall’Autorità nella delibera n. 237/13/CONS”. Tale affermazione
potrebbe costituire la base per nuovi, inattesi sviluppi nella vicenda relativa alla LCN.
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Prima delle due ordinanze cautelari del Consiglio di Stato emesse il 10 aprile 2014, che
sospendevano gli effetti degli atti fino ad allora compiuti dal Commissario ad acta, il
Commissario aveva predisposto una nuova bozza di piano LCN e lanciato una
consultazione pubblica su tale bozza. A seguito della sentenza dell’8 settembre, il
Commissario ad acta, tornato nella pienezza dei propri poteri, ha adottato la
Determinazione 4/2014, con la quale ha stabilito la ripresa della consultazione pubblica e,
in considerazione della sospensione sofferta, ha fissato il termine entro cui i soggetti
interessati potranno presentare osservazioni (tale termine scadrà il 7 ottobre, ossia il 21°
giorno successivo alla pubblicazione della Determinazione sul siti AGCOM, avvenuta il 16
settembre).
La bozza di Piano LCN stesa dal Commissario ad acta ed attualmente sottoposta a
consultazione pubblica da un lato si propone di assegnare la posizione n. 9 ad un canale
locale (mentre l’8 resterebbe nazionale) e dall’altro restituisce alle locali le posizioni da 71
a 96, che invece secondo il piano del 2013 redatto da AGCOM dovrebbero passare a
canali nazionali.
APP MEDICHE: IL GARANTE PRIVACY PUBBLICA I RISULTATI DELL’INDAGINE
Con comunicato stampa del 10 settembre 2014 il Garante Privacy ha pubblicato i risultati
dell’indagine, avviata lo scorso maggio, per verificare il rispetto della normativa italiana
sulla protezione dati da parte di applicazioni per smartphone e tablet che utilizzano dati
sanitari. L’azione del Garante Privacy si inserisce nell’ambito del “Privacy Sweep
2014” (da “sweep”, ovvero “indagine a tappeto”), un’iniziativa promossa dal Global Privacy
Enforcement Network (GPEN), rete internazionale nata per rafforzare la cooperazione tra
le autorità privacy di diversi paesi, di cui il Garante italiano fa parte (per maggiori dettagli si
veda la nostra newsletter del mese di giugno 2014). Ventisei autorità privacy nel mondo
hanno analizzato 1.211 applicazioni mobile, riscontrando che nel 59% dei casi è stato
difficile reperire un’informativa privacy prima dell'installazione, mentre appena il 15%
risulta dotato di un’informativa privacy chiara.
In particolare, i risultati dell’indagine svolta dal Garante Privacy mostrano come gli utenti
non siano adeguatamente tutelati e non siano messi in grado di esprimere un consenso
libero e informato. Una su due delle applicazioni mediche italiane e straniere analizzate
dal Garante Privacy, scelte a campione tra le più scaricate disponibili sulle varie
piattaforme, non fornisce agli utenti un’informativa privacy sull’uso dei dati prima
dell’installazione, oppure fornisce informazioni generiche, o richiede dati eccessivi rispetto
alle funzionalità offerte. In molti casi l’informativa privacy non viene adattata alle ridotte
dimensioni del monitor, risultando così poco leggibile, o viene collocata in sezioni
riguardanti, ad esempio, le caratteristiche tecniche del dispositivo. A seguito dell’esito
dell’indagine, il Garante Privacy valuterà le azioni da intraprendere, anche al fine di
possibili interventi prescrittivi o sanzionatori.
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GARANTE PRIVACY: ILLECITA LA PUBBLICAZIONE NELLA BACHECA AZIENDALE
DELLE MOTIVAZIONI DELLE ASSENZE DAL LAVORO
Con provvedimento del 3 luglio del 2014, n. 341, il Garante Privacy ha ritenuto illecita la
pubblicazione di tabelle, affisse nelle bacheche aziendali e nell’intranet aziendale, che
mostravano, accanto ai turni di lavoro, anche le motivazione delle assenze dei dipendenti.
Secondo le dichiarazioni rese del datore di lavoro, la comunicazione delle ragioni di
assenza dei lavoratori rispondeva alla finalità di ottimizzare l’organizzazione del servizio,
permettendo di evitare possibili contestazioni da parte dei dipendenti chiamati a sostituire i
colleghi assenti.
Il Garante Privacy, intervenuto su segnalazione di un sindacato, ha invece ritenuto tale
pubblicazione in contrasto con il principio di pertinenza e non eccedenza previsto dal
Codice Privacy (di cui al D. Lgs. 196/2003). Infatti, per garantire una corretta gestione dei
turni di lavoro sarebbe stato sufficiente fornire ai dipendenti la semplice informazione
dell'assenza dei colleghi e delle necessarie sostituzioni, omettendo le specifiche
motivazioni dell’assenza.
Per tali ragioni, il Garante ha vietato l'ulteriore comunicazione delle ragioni delle assenze
dal servizio mediante l’utilizzo delle menzionate tabelle, ed ha prescritto alla società di
adottare, entro trenta giorni, opportune misure volte a conformare il trattamento dei dati
personali alle previsioni del Codice Privacy e delle Linee guida in materia di trattamento di
dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze di
datori di lavoro privati.
INSEDIATA LA COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI SU DIRITTI E
GARANZIE IN INTERNET
Come preannunciato nel corso dell’incontro di studio sul tema “Verso una Costituzione per
internet?” tenutosi alla Camera dei Deputati lo scorso 16 giugno , il 28 luglio si è insediata
la “Commissione per i diritti e i doveri in internet” fortemente voluta dalla Presidente Laura
Boldrini con la mission di elaborare un “Internet Bill of Rights” italiano.
La Commissione di studio è composta da rappresentanti di tutti gli schieramenti politici
attenti alle tematiche del digitale, studiosi ed esperti, tra cui il Prof. Stefano Rodotà,
operatori del settore e rappresentanti di associazioni.
Secondo la Presidente Boldrini: “L’obiettivo cui lavorare è l’adozione di una disciplina che
sia condivisa e che possa trovare concreta attuazione in un ambito più ampio di quello
nazionale ed europeo”.
Il lavoro della Commissione si concentrerà su specifici assi prioritari di intervento tra i
quali: “1. garantire la neutralità e la trasparenza della rete; 2. assicurare i diritti umani e le
libertà fondamentali, in particolare sia il rispetto della dignità e della integrità della sfera
personale di ciascuno sia la libertà di espressione; 3.tutelare l’autonomia di ciascuno
anche nella propria identità digitale e la riservatezza dei dati personali; 4.garantire la
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cittadinanza in rete, attraverso l’accesso universale all’infrastruttura, l’apertura dei dati del
settore pubblico e la loro libera utilizzazione nei limiti della legge e la fruizione da parte di
tutti come mezzo di diffusione e condivisione; 5. favorire la circolazione della conoscenza
e dei contenuti in rete; 6. promuovere la sicurezza in rete, sia essa di interesse pubblico
sia essa di interesse individuale; 7. promuovere azioni positive per l’educazione a Internet
e la tutela dei diritti”.
Le proposte che la Commissione elaborerà saranno sottoposte ad una consultazione
pubblica sulla piattaforma Civici al fine di assicurare una partecipazione più larga possibile
alla definizione di un testo finale.
Secondo quanto dichiarato in sede di insediamento della Commissione i primi risultati
saranno sottoposti all'attenzione dei partecipanti alla riunione interparlamentare sui diritti
fondamentali che si terrà alla Camera dei Deputati il 13 e 14 ottobre nel corso del
semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea. Le conclusioni del
lavoro della Commissione saranno messe a disposizione delle Commissioni permanenti
della Camera dei Deputati.
CONTRIBUTI PER L’UTILIZZO DELLE FREQUENZE NELLE BANDE TELEVISIVE
TERRESTRI
Nell’adunanza del 6 agosto 2014, il Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni (“AGCOM”), a conclusione di un approfondito lavoro istruttorio, ha definito i
criteri generali per la fissazione, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, dei
contributi annuali per l’utilizzo delle frequenze nelle bande televisive terrestri.
L’approvazione della relativa delibera è stata, tuttavia, rinviata alla luce del proposito del
Governo, manifestato attraverso un’apposita comunicazione del Sottosegretario allo
Sviluppo economico, di adottare, nel mese di settembre, modifiche al vigente assetto
normativo in materia. Qui il link al comunicato.
VIA LIBERA DEL GARANTE PRIVACY ALL’ARCHIVIO INFORMATICO INTEGRATO
CONTRO LE FRODI NEL SETTORE DELLE ASSICURAZIONI
Con provvedimento del 24 luglio scorso il Garante per la protezione dei dati personali ha
espresso parere favorevole sullo schema di decreto del Ministro dello sviluppo economico
e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, recante il Regolamento per l'istituzione e il
funzionamento dell’“archivio informatico integrato” contro le frodi assicurative, di cui
all'articolo 21 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni,
dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.
In particolare, secondo quanto previsto dal suddetto schema di decreto, l’archivio sarà
istituito presso l’ISVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse
collettivo) con lo scopo di fornire alle imprese di assicurazione, ai fini della liquidazione dei
sinistri, e agli altri soggetti previsti dal regolamento (autorità giudiziaria, forze di polizia,
pubbliche amministrazioni e soggetti terzi legittimati dalla legge), indicazioni sul livello di
anomalia di ogni sinistro comunicato alla banca dati sinistri per finalità antifrode.
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All'esito della fase di raccolta, verifica e integrazione dei dati, verrà comunicato alle
imprese di assicurazione coinvolte nel sinistro il valore dell'indicatore di anomalia di sintesi
e, qualora il livello di anomalia dell'indicatore risulti superiore a quello fissato con
regolamento dell'IVASS, anche gli indicatori analitici.
Particolari misure sono, inoltre, previste dallo schema di decreto con riguardo ai tempi ed
alle modalità di conservazione dei dati: ai sensi dell’art. 7, comma 1, le informazioni
raccolte permarranno nell'archivio per un periodo di tempo pari a cinque anni dalla data di
definizione di ciascun sinistro, decorso il quale i dati relativi a ciascun sinistro definito
saranno riversati su altro supporto informatico gestito dall'IVASS, per poi essere
conservati in forma anonima nel successivo quinquennio ed essere utilizzati, in tale ultima
forma, a fini esclusivamente statistici.
E-COMMERCE: AGCM ACCETTA GLI IMPEGNI DI GROUPON
Con provvedimento del 4 settembre 2014 l’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato (“AGCM”) ha accettato gli impegni presentati dalle società del gruppo Groupon,
che chiudono l’istruttoria avviata con provvedimento del 28 novembre 2013 a seguito delle
numerose segnalazioni pervenute alla medesima Autorità relativamente a presunte
pratiche commerciali scorrette in danno dei consumatori nell’attività di vendita on line di
coupon utilizzati per acquistare prodotti o servizi a prezzi particolarmente vantaggiosi.
In particolare, secondo gli impegni presentati all’Autorità il 7 luglio scorso, Groupon sarà
tenuta: (i) ad adottare, ai fini della chiarezza e trasparenza delle offerte commerciali
pubblicizzate, misure volte a fornire ai consumatori un’informativa completa, veritiera ed
immediatamente percepibile relativamente al prezzo, alla convenienza economica, al
contenuto, alle condizioni e alle limitazioni di ciascuna offerta promozionale, nonché ai
diritti dei clienti; (ii) al fine di rafforzare le procedure di controllo ex ante sui propri partner
commerciali e di garantire la corrispondenza tra le condizioni di fruizione delle singole
offerte pubblicizzate sul sito internet e le prestazioni concretamente rese ai titolari di
coupon, ad estendere le verifiche sul possesso dei requisiti necessari all’esercizio
dell’attività commerciale pubblicizzata sul sito www.groupon.it, previste fino ad oggi solo
per i partner esercenti professioni medico-sanitarie, a tutti quei soggetti che svolgono
attività relative alla cura della persona (i.e. estetiste, fisioterapisti, massaggiatori), nonché
ai partner esercenti attività comunque regolamentate (i.e. architetti, geometri, certificatori
energetici) e ai prestatori di servizi turistici e alberghieri, acquisendo idonea
documentazione volta a dimostrare il possesso dei requisiti per l’esercizio dell’attività
promossa.
Entro sessanta giorni dalla comunicazione del citato provvedimento dell’Autorità le società
del Gruppo dovranno dichiarare l’avvenuta attuazione degli impegni assunti. AGCM
vigilerà sull’esecuzione delle misure accolte, riservandosi di riaprire d’ufficio il
procedimento qualora le stesse società dovessero risultare inadempienti.
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L’ARTICLE 29 WORKING PARTY SULLE CONSEGUENZE DELL’ANNULLAMENTO
DELLA DIRETTIVA DATA-RETENTION
ll 1 agosto scorso l’Article 29 Working Party, organismo consultivo europeo in materia di
privacy, ha esortato gli Stati membri ad uniformare le proprie legislazioni sulla privacy in
base alla sentenza emessa dalla Corte di Giustizia europea (“CGUE”) l’8 aprile 2014, che
ha dichiarato l’invalidità della Direttiva 2006/24/CE in tema di conservazione dei dati
personali per violazione del principio di proporzionalità nel bilanciamento tra diritto alla
protezione dei dati personali ed esigenze di pubblica sicurezza.
In particolare, all'attenzione della Corte erano le disposizioni della citata Direttiva volte a
garantire la conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico, nonché dei dati
relativi all'ubicazione e di quelli necessari all'identificazione dei soggetti abbonati, per
finalità di accertamento e repressione dei reati.
Ebbene, la violazione del suddetto principio di proporzionalità sarebbe derivata, secondo
la Corte, dall'avere la Direttiva: 1) previsto le misure di conservazione dei dati come
applicabili in via indifferenziata e generalizzata “all'insieme degli individui, dei mezzi di
comunicazione elettronica e dei dati relativi al traffico, senza che venisse operata alcuna
differenziazione, limitazione o eccezione in ragione dell'obiettivo della lotta contro i reati
gravi”; 2) omesso di prevedere alcun criterio oggettivo che limitasse l'accesso a tali dati
per sole esigenze di accertamento di reati “sufficientemente gravi da giustificare una simile
ingerenza”, ben oltre, quindi, il generico rinvio ai reati gravi definiti da ciascuno Stato
membro; 3) omesso di sancire i presupposti sostanziali e procedurali ai quali subordinare
l'accesso, da parte delle competenti autorità nazionali, ai dati in esame, in particolare non
richiedendo in ogni caso il previo controllo dell'autorità giudiziaria o di un'autorità
amministrativa indipendente; 4) omesso di prevedere criteri necessari a differenziare la
durata della conservazione dei dati, limitandosi a stabilirne i soli termini minimi (6 mesi) e
massimi (24 mesi); 5) omesso di imporre che i dati così acquisiti fossero conservati nel
solo territorio dell’Ue.
Per quel che concerne l’impatto della sentenza della CGUE sulla legislazione nazionale, in
Italia la Direttiva 2006/24/CE è stata recepita dall’132 del Codice della Privacy (Decreto
Legislativo n. 196 del 2003) senza alcun riferimento al criterio della proporzionalità e
gravità del reato come requisito per la conservazione dei dati: “i dati relativi al traffico
telefonico sono conservati dal fornitore per ventiquattro mesi dalla data della
comunicazione, per finalità di accertamento e repressione dei reati, mentre, per le
medesime finalità, i dati relativi al traffico telematico, esclusi comunque i contenuti delle
comunicazioni, sono conservati dal fornitore per dodici mesi dalla data della
comunicazione”.
Alla luce di quanto sopra esposto e come già in precedenza dichiarato dal Garante per la
protezione dei dati personali dott. Antonello Soro “occorrerà una revisione dell'attuale
sistema nel segno del principio di proporzionalità e delle garanzie per i cittadini”.
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AGCOM APPROVA IL NUOVO REGOLAMENTO SUI TRASFERIMENTI DI PROPRIETÀ
DELLE SOCIETÀ RADIOTELEVISIVE
Con delibera n. 368/14/CONS del 17 luglio 2014, pubblicata sul sito internet dell’Autorità in
data 4 agosto 2014, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (“AGCOM”) ha
approvato il nuovo Regolamento recante la disciplina (i) dei procedimenti in materia di
autorizzazione ai trasferimenti di proprietà delle società radiotelevisive, (ii) delle notifiche
delle intese e delle operazioni di concentrazione nell’ambito del sistema integrato delle
comunicazioni, (iii) dei procedimenti volti ad accertare la sussistenza di una posizione
dominante o comunque lesiva del pluralismo nel sistema integrato delle comunicazioni e
nei mercati che lo compongono, (iv) dei procedimenti volti ad accertare la sussistenza di
una posizione vietata ai sensi dell’articolo 43, commi da 7 a 12, del D. Lgs. 31 luglio 2005,
n. 177 (Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi).
Il Regolamento, che abroga la precedente delibera n. 646/06/CONS del 9 novembre 2006,
è stato adottato all’esito di una consultazione pubblica avviata da AGCOM il 19 dicembre
2013.
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