Patologie materne neurologiche non legate alla

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Patologie materne neurologiche non legate alla
Autore: Dott. Dario Chiacchio
Responsabile S.S. di Anestesia e Analgesia Ostetrico-Ginecologica
Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazione per il Dipartimento Materno Infantile
Direttore: Prof. Gennaro Savoia
Patologie materne neurologiche non legate alla gravidanza
L’incidenza di patologie neurologiche in gravidanza non è bassa come si potrebbe supporre, in quanto le moderne
terapie mediche permettono di condurre una vita pressoché normale in pazienti portatori di questo tipo di
patologie; capita perciò in ambito ostetrico di trovarsi di fronte a pazienti giunte a termine di gravidanza,
nonostante presentino neuropatie di varia natura.
La tabella mostra l’incidenza delle più frequenti neuropatie che possono capitare in ambito ostetrico:
Epilessia
Sclerosi multipla
Trombosi venosa cerebrale
Rottura di aneurisma cerebrale
Rottura di MAV
Miastenia
Neoplasia cerebrale
1:150
1:1000
1:10000
1:10000
1:10000
1:25000
1:50000
Questa breve ed incompleta disamina ha la pretesa di presentare alcune di queste patologie, più o meno
frequenti.
Epilessia
L’epilessia presenta un'incidenza del 2% della popolazione, quando si consideri in associazione ad altre forme di
encefalopatie e di circa 0.5%, se si fa riferimento alla malattia in forma solitaria. E’ una manifestazione piuttosto
frequente nella gravida, in quanto una paziente epilettica, sotto trattamento con anticonvulsivanti, può condurre
una vita normale, e affrontare una gravidanza.
Nella gestante dobbiamo distinguere:
Epilessia primaria: preesistente alla gravidanza; di solito questa non interferisce con l’andamento della malattia; In
diverse statistiche, viene segnalato un incremento della frequenza delle crisi, dovuto alle variazioni fisiologiche che
insorgono in gravidanza:
• La riduzione della capacità funzionale residua con la conseguente ipocapnia e la possibile riduzione del
flusso cerebrale
• La ritenzione idroelettrolitica con relativo edema cerebrale
• Il risparmio azotato tipico della gravida che comporta un cambiamento dell'assetto aminoacidico.
• L'aumentata eliminazione dell'idantoina (100% in più) che può far scendere a livelli subterapeutici il
farmaco.
• Le variazioni ormonali tipiche della gravidanza.
Comunque a termine gravidanza le manifestazioni cliniche tornano allo stato quo ante.
Eclampsia: compare durante il terzo trimestre, accompagnata dalla sequela sintomatologica della gestosi. La crisi
eclamptica può manifestarsi come primo sintomo, oppure essere l’evoluzione di una preeclampsia. Si differenzia
dalla crisi epilettica per la mancanza dell’aura, del grido e della perdita di urine.
Epilessia gestazionale: forma molto rara, si manifesta solo durante la gravidanza.
Stato epilettico: si definisce stato epilettico quando fra una convulsione e l’altra non c’è ripresa della coscienza. Ciò
può verificarsi per epilessia incontrollata, eclampsia, encefalite, meningite, processi espansivi endocranici, malattie
cerebrovascolari…
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Se durante la gravidanza si verificano frequenti episodi convulsivi, è possibile un danno ischemico placentare che
può condurre a ritardi di crescita, aborto, a parto pretermine, morte endouterina del feto; inoltre aumenta il
rischio di distacco intempestivo di placenta, emorragie intracraniche materne e fetali.
Si è molto discusso circa l’influenza dello stato gravidico sull’andamento della malattia, ma non è possibile stabilrne
una costanza, infatti la gravidanza può comportare un incremento delle crisi, ma anche una riduzione, o non
esercitare alcun effetto.
Comunque durante la gestazione è frequente l’eventualità di dover aumentare la dose di farmaco
anticonvulsivante, non per un abbassamento della soglia epilettogena, ma per un aumento della farmacocinetica
indotta dallo stato gravidico, che comporta una diminuzione della concentrazione di farmaco attivo per aumento
della sua eliminazione. Altri fattori che possono portare a un aumento delle crisi possono essere ipocalcemia e
iponatremia (edema cerebrale) da emodiluizione, stress emozionali, privazione di sonno, iperventilazione
(ipocapnia e riduzione di flusso cerebrale).
Da non sottovalutare l’azione teratogena di alcuni anticonvulsivanti, impiegati in associazione, come la
difenilidantoina associata al fenobarbital, che possono aumentare l’incidenza di malformazioni fetali; azione molto
meno spiccata per quanto riguarda il fenobarbital impiegato da solo. Per cui è da protocollo praticare una terapia
anticonvulsivante monofarmacologica.
Due le complicanze dovute alla terapia con anticonvulsivanti: la prima è la riduzione della sintesi di Vitamina K nel
feto, che può andare incontro a fenomeni emorragici dopo il parto; la seconda è l’interferenza con il metabolismo
dei folati. Per tale motivo è opportuno associare alla terapia anticonvulsivante acido folico e vitamina K.
Complicazione grave è l’istaurazione di uno stato di male epilettico, che presenta un alto rischio di morte fetale, e
che impone il ricovero della gestante in terapia intensiva.
Trattamento anestesiologico: Una paziente epilettica di solito durante la gravidanza viene efficacemente seguita,
per cui l'anestesista si trova a doverla trattare solo al momento del parto, in occasione di parto fisiologico, o di un
taglio cesareo programmato che è indicato se nell’ultimo trimestre c’è stata una recrudescenza delle crisi, oppure
si è manifestata una refrattarietà alla terapia. Molto più raramente si trova a dover affrontare una paziente a
termine di gravidanza ricoverata d’urgenza in crisi convulsiva in atto. In questo caso bisogna stabilire se si tratta di
epilessia primaria o di crisi eclamptica. Queste pazienti possono presentare un rischio anestesiologico che va ben
oltre la problematica epilettica. Non sempre è necessaria un'anestesia generale, ma la somministrazione di
propofol per sedare le crisi può essere seguita da un'anestesia peridurale, o spinale se manca il tempo necessario
alla latenza della peridurale.
Da considerare anche, in caso di crisi subentranti e ripetute, un aumentato rischio fetale per ipossia placentare.
Le pazienti con epilessia non hanno di solito necessità di particolare trattamento anestesiologico al momento del
parto, quando siano state trattate adeguatamente durante la gravidanza. Può comunque accadere di essere
chiamati a trattare degli episodi comiziali insorti in corso di travaglio di parto. In caso di un travaglio fisiologico vi è
una indicazione elettiva ad una epidurale continua per tutta la sua durata. In caso di taglio cesareo l'analgesia
epidurale è perfettamente indicata. Essa tra l’altro diminuisce l'insorgenza di crisi comiziali con due meccanismi :
1. abolisce la stimolazione epilettogena indotta dal dolore del travaglio
2. introduce nel sangue un livello costante di anestetico locale che può avere un effetto antiepilettico.
L'insorgenza di convulsioni nell'eclampsia fa solo da corollario ad una sintomatologia emodinamica severa, in cui la
pressione arteriosa raggiunge con facilità valori superiori a 200 mmHg. Il trattamento acuto va intrapreso con
propofol o tiopentone, mentre il diazepam può essere impiegato solo dopo l'estrazione, poiché comporta
depressione respiratoria e ipotonia neonatale. Il trattamento antiipertensivo è fondamentale nella paziente
eclamptica.
Il farmaco di prima scelta nella crisi ipertensiva è l’Urapidil, che alla dose di 10-15 mg in bolo lento, riduce le
resistenze periferiche, e quindi la P.A, senza interferire significativamente sulla gittata cardiaca. L’effetto
terapeutico viene mantenuto con un’infusione continua al dosaggio di 2-4 mg/h, modulato in base alla risposta
pressoria.
Se viene scelta l'anestesia generale viene consigliato l'uso di un monitoraggio della funzionalità cerebrale, con EEG
o potenziali evocati, ma la loro applicazione nelle nostre sale operatorie non è molto diffusa.
Per ciò che concerne il post-operatorio, il ripetersi di convulsioni è frequente al risveglio dopo un'anestesia
generale, per cui è opportuno proseguire una sedazione durante il periodo postoperatorio, con Luminale, o in
reparto di T.I. con un’infusione continua di Propofol, o altro. Nella pratica clinica è spesso sufficiente l’impiego del
Fenobarbital per via intramuscolare.
Da valutare un trattamento di neuroprotezione.
Tumori cerebrali: Fortunatamente la percentuale di incidenza di tumori cerebrali in gravidanza è bassa, dell’ordine
di 1 ogni 50000 parti, ma quando quest’evenienza si verifica è sempre un dramma, soprattutto per chi lo vive.
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Durante la gestazione l’andamento del tumore di solito non subisce modifiche, tranne che per quelli di natura
benigna, più vascolarizzati, che subiscono le modificazioni vascolari imposte dalla gravidanza, con conseguente
possibilità di edema cerebrale.
Le manifestazioni cliniche di una neoformazione cerebrale sono quelle consuete, e cioè:
• deficit motorio o sensitivo
• crisi convulsive
• cefalea e vomito
• alterazioni psichiche
• coma
Tali sintomi sono da porre in diagnosi differenziale con coma diabetico, epilessia, eclampsia, sindromi da
ipertensione endocranica, emorragie cerebrali, iperemesi gravidica.
La prognosi dipende dalla natura del tumore e dalla sua sede, con una prognosi più favorevole per quelli
sopratentoriali, rispetto a quelli sottotentoriali.
La terapia è chiaramente chirurgica, rispettando l’epoca gestazionale, in quanto, se il tumore si manifesta in
un’epoca gestazionale troppo precoce, si interviene direttamente su di esso; se si manifesta quando il feto è
sufficientemente maturo, si esegue prima il taglio cesareo, e successivamente si asporta il tumore, anche nello
stesso momento.
Se non ci sono segni di ipertensione endocranica, e soprattutto se il cesareo è precoce, per una maggiore
protezione fetale è possibile l’anestesia peridurale, non subaracnoidea per il pericolo di deliquorazione e impegno
cerebrale.
Se invece c’è ipertensione endocranica è preferibile un’anestesia generale per poter effettuare una idonea
ventilazione meccanica, insieme a una terapia antiedemigena.
Sindromi cerebrovascolari: Si manifestano con 3-4 casi ogni 100000 gravide.
Sono quelle che definiamo comunemente apoplessia o stroke, e comprendono le emorragie, le trombosi e le
embolie.
Trombosi: la causa più comune di trombosi cerebrale è l’aterosclerosi, che nella popolazione ostetrica non è di
frequente rilievo. Altri meccanismi sono da porre in causa, e cioè diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, uso di
farmaci e droghe (cocaina, nicotina, alcool), infezioni, collagenopatie. Sono emergenti patologie discoagulative,
fino a poco tempo fa misconosciute, o non diagnosticate, ma più frequenti di quanto si possa immaginare, e cioè
quelle da anticorpi antifosfolipidi, come il lupus e gli anticorpi anticardiolipina, sindromi che si manifestano in età
fertile, di solito con trombosi venosa profonda. Poi cause più rare, come arteriti, dissezioni arteriose durante il
travaglio, displasia fibromuscolare. Inoltre fattori ematologici, come discoagulopatie dovute ad alterazioni del
fibrinogeno, dell’aggregazione piastrinica, a riduzioni dell’ATIII, resistenza alla Proteina C attivata, fattori d’altra
parte entro certi limiti fisiologici in gravidanza.
L’acuzie della sintomatologia impone una terapia di emergenza rivolta verso la madre, sintomatica per quanto
riguarda la rianimazione e la neuroprotezione, mirata se è individuata una causa scatenante. Viene effettuata
terapia anticoagulante con eparina (7500-10000 U.I. ogni 12 ore) o con eparina a basso peso molecolare. I
vantaggi di queste eparine consistono in una più lunga durata di azione, un effetto antitrombotico più efficace,
minor rischio di trombocitopenia
Se l’insorgenza è in prossimità della 35° settimana, si può pensare all’espletamento del parto mediante taglio
cesareo, da condurre necessariamente in anestesia generale. Riguardo alle sindromi da anticorpi antifosfolipidi, di
solito quando arrivano alla nostra osservazione sono già in terapia con eparina a basso peso molecolare, e seguite
da un centro emostasi: se la coagulazione lo consente è indicata l’anestesia peridurale.
Embolia: si verifica in pazienti portatrici di vizi valvolari cardiaci, cardiomiopatie o disturbi del ritmo, come la
fibrillazione atriale.
Il comportamento terapeutico e anestesiologico è sovrapponibile a quello per la trombosi, con l’accortezza di
praticare una profilassi antibiotica in caso di vizi valvolari per prevenire l’endocardite batterica.
Emorragia cerebrale: Una delle prime cause di emorragia cerebrale nella gravida è la crisi eclamptica; ma altri
possono essere i fattori determinanti:
• rottura di aneurisma cerebrale: di solito si verifica nel terzo trimestre, in pazienti di età superiore a
trent’anni, a localizzazione subaracnoidea
• rottura di malformazione artero-venosa (MAV): a manifestazione più precoce, durante i primi trimestri,
entro la 20° settimana, in pazienti giovani, di età inferiore ai 25 anni, a localizzazione intracerebrale
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•
ipertensione: in seguito a crisi ipertensiva da eclampsia o in pazienti già ipertese, si manifesta nel terzo
trimestre nel primo caso, indipendentemente dall’epoca gestazionale nel secondo, a localizzazione
profonda, a livello della sostanza grigia, dei nuclei della base, talamo, globus pallidus, putamen, ponte,
cervelletto.
L’emorragia cerebrale si presenta all’improvviso, ma di solito preceduta da cefalea intensa.
Seguono perdita di conoscenza, e sintomi legati alla localizzazione e all’entità dell’emorragia: coma, anisocoria,
emiplegia, vomito, rigidità nucale, segni di ipertensione endocranica.
La diagnosi è strumentale, mediante TC cranica, angiografia, anche se il feto è costretto a subire una notevole
quantità di radiazioni.
La terapia è la stessa per quanto riguarda la rianimazione, quella chirurgica dipende dalla causa dell’emorragia:
drenaggio ventricolare, clampaggio di aneurisma o di MAV, svuotamento di ematoma.
Anche in questo caso l’epoca gestazionale imporrà o meno un taglio cesareo, naturalmente in anestesia generale.
Se l’epoca gestazionale è troppo precoce, ed è indicato un intervento neurochirurgico per salvare la vita della
paziente, si andrà inevitabilmente incontro a un aborto. Se invece la gravidanza ha superato la venticinquesima
settimana, si pratica prima il taglio cesareo per cercare di salvare il feto, e poi l’intervento. Non è indicato un
intervento neurochirurgico con feto in utero, in quanto la specifica tecnica di anestesia, con ipotensione controllata
e iperventilazione, comporta ischemia placentare e morte fetale quasi sicura.
Se l’emorragia non è grave, non provoca ipertensione endocranica, e non compromette le condizioni generali della
paziente, la terapia può anche essere medica, con ipotensivi, neuroprotettori, cortisonici.
Sclerosi multipla: E’ una patologia caratterizzata da focolai di demielinizzazione interessanti la sostanza bianca del
sistema nervoso centrale, disseminati a vari livelli dell’encefalo e del midollo spinale, con momenti di insorgenza
multipli; ciò rende conto del polimorfismo della malattia.
E’ più frequente di quanto si creda: colpisce le femmine più frequentemente dei maschi e una gravida su 4000; il
decorso durante la gravidanza è imprevedibile: di solito non subisce modifiche, ma può anche andare incontro a
riacutizzazione.
I sintomi sono aspecifici, e riferibili alle zone di tessuto nervoso colpito dalla demielinizzazione, e consistono in
diplopia, perdita dell’equilibrio, incontinenza vescicale, vertigini, affaticabilità…
Dagli anni ’50 vari Autori dissertano sugli effetti che la gravidanza possa avere sull’andamento della sclerosi
multipla.
Oggi è stato dimostrato (Rhonda Voskuhl: Multiple Sclerosis Center dell'UCLA, University of California, Los
Angeles) che l’estriolo produce un effetto protettivo nei riguardi della malattia, con miglioramento clinico ( Kim S
et al, Neurology 1999; 52: 12303-1238). Infatti le donne affette da sclerosi multipla, in gravidanza, specialmente
nel terzo trimestre quando i livelli di estriolo sono più alti, presentano un miglior decorso clinico.
Durante la gravidanza si continua la terapia con steroidi, e attualmente anche con Interferone, ma non sono ben
conosciuti gli eventuali effetti sul feto, e si cominciano a metterne in discussione gli effetti sulla gravidanza.
Sperimentalmente sono stati evidenziati effetti abortivi, per cui la gestante dev’essere informata di questa
evenienza prima di intraprendere tale terapia.
Al momento del parto, contrariamente a quanto si possa pensare, un’anestesia peridurale non è controindicata.
Miastenia: E’ influenzata dalla gravidanza nel senso che variazioni della sintomatologia sono più rapide che non al
fuori della gravidanza; la gravidanza invece non è influenzata dalla malattia.
Distinguiamo quattro stadi:
• Stadio I: interessamento di un gruppo muscolare;
• Stadio II: miastenia generalizzata benigna (IIa con disturbi della respirazione e della deglutizione, IIb
senza tali disturbi);
• Stadio III: miastenia grave acuta (interessamento muscolare generalizzato);
• Stadio IV: miastenia grave cronica.
Durante la gravidanza la terapia anticolinesterasica dev’essere continuata, anzi effettuata per via parenterale se
compare vomito, o altre situazioni che impediscano l’assorbimento orale.
La preparazione all'intervento varia in base alla gravità del quadro clinico e tenendo presente che, pazienti affetti
da tale patologia utilizzano come trattamento sintomatico gli anticolinesterasici. In base allo stadio della patologia
si procede alla sospensione o alla riduzione del trattamento farmacologico sino a quattro giorni prima
dell'intervento . Per i pazienti appartenenti al I e II stadio è possibile una interruzione completa, per gli altri stadi
bisogna valutare caso per caso. Attualmente il trattamento del miastenico di II grado prevede sedute di
plasmaferesi associata alla somministrazione di immunosoppressori.
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C’è passaggio transplacentare di anticorpi, per cui il feto può presentare una transitoria sindrome miasteniforme,
che può durare qualche settimana; situazione da tener presente al momento della rianimazione neonatale.
In linea teorica è possibile per una miastenia un parto fisiologico, sempre che la situazione clinica sia in un
compenso tale da assicurare una sufficiente forza di spinta fino all’espulsione del feto, e in questo caso sarebbe
indicata un’analgesia in peridurale, perché mette la placca neuromuscolare al di fuori di ogni interferenza.
Dovendo praticare un’anestesia generale è preferibile astenersi dall'utilizzare la Succinilcolina, ed impiegare
miorilassanti competitivi, facilmente antagonizzabili da farmaci anticolinestersici, o addirittura, non impiegare
miorilasanti, ed affidarsi soltanto all’alogenato. I moderni agenti anestetici inalatori ed endovenosi comportano un
sufficiente grado di ipotonia tale da consentire l'intubazione endotracheale previa anestesia topica della glottide.
Tuttavia oggi, con i nuovi curarici, che seguono la degradazione di Hoffmann, saltando le colinesterasi, questo
problema è superato.
Siringomielia:
Consiste nella patologica formazione di una o più cavità nel midollo spinale, orientata lungo il suo asse maggiore.
Spesso la cavità è situata in prossimità del canale centrale, che a volte è inglobato. La cavità, non rivestita da
ependima, interessa, totalmente od in parte la sostanza grigia del midollo spinale. La sede più frequente è a livello
cervicale e dorsale. Quando il processo cavitario si estende la bulbo si parla di siringobulbia.
Per idromielia si intende, invece, la dilatazione del canale midollare. L'idromielia è sempre di origine malformativa,
mentre la siringomielia può essere congenita (disordine della chiusura del tubo neurale e/o disturbo della dinamica
liquorale) o acquisita (complicazione di un trauma, meningite, emorragia, tumore o aracnoidite). In quest'ultimo
caso la cavità si sviluppa in un segmento del midollo spinale danneggiato da una di queste condizioni. La forma
acquisita è talvolta definita anche siringomielia non comunicante, mentre le cavità congenite possono comunicare
o meno con il canale midollare.
Sintomi: Nella forma congenita i sintomi di solito incominciano tra i 25 ed i 50 anni e possono peggiorare con
qualsiasi attività che provoca fluttuazioni del liquor, Alcuni pazienti, comunque, possono avere lunghi periodi di
stabilità. In alcuni casi si associa un idrocefalo.
La sintomatologia dipende dalla localizzazione, con insorgenza di dolore cervicale, diminuzione della forza nei
segmenti distali degli arti, disturbi sensitivi termo-dolorifici (agli arti ed alla parte più alta del torace, la cosiddetta
"anestesia sospesa") e disturbi trofici. Ogni paziente presenta però una differente combinazione di sintomi. Nella
forma bulbare possono essere interessati vari nervi cranici e si possono realizzare anche disturbi di tipo vegetativo,
mentre nella forma lombosacrale, i disturbi motori, trofici e sensitivi interessano gli arti inferiori e le parti basse del
tronco e talora possono essere presenti disturbi sfinterici.
Nella forma acquisita i sintomi possono comparire mesi o persino anni dalla lesione iniziale.
La siringomielia è frequentemente associata con altre malformazioni, prima fra tutte la malformazione di ArnoldChiari, condizione congenita malformativa in cui si verifica una ristrettezza della fossa cranica posteriore, che
provoca l’erniazione del cervelletto e del tronco cerebrale verso il forame occipitale. Nelle forme minori soltanto le
tonsille del cervelletto, erniano verso il forame occipitale, potendosi spingere fino a livello dell'atlante e
dell'epistrofeo.
L'ostruzione delle cisterne liquorali da parte delle strutture erniate impedirebbe il flusso del liquor a livello del
forame occipitale facilitando l'allargamento del canale midollare con la formazione della anomala cavità al suo
interno.
Altra patologia di solito associata è la spina bifida, una delle più frequenti malformazioni congenite che causa
disabilità permanente.
Appartiene al gruppo delle anomalie secondarie a difetti di chiusura del tubo neurale. Tra questi la forma più
frequente è il mielomeningocele (80-90%), che si caratterizza per l'erniazione delle meningi e del tessuto nervoso
displasico attraverso una apertura degli archi posteriori delle vertebre e dei tessuti molli sovrastanti
E' ormai accertato che l'eziologia di questa patologia è multifattoriale e chiama in causa fattori "ambientali" e
predisposizione genetica, pur non essendo ancora ben dimostrata alcuna correlazione tra un determinato fattore di
rischio e la malformazione.
Tra le cause ambientali sembra che sia un importante fattore di rischio la relativa carenza di acido folico nel
periodo immediatamente precedente il concepimento e nel primo trimestre di gravidanza.
Temibile complicanza delle patologie lesionali del tubo neurale è l’insorgenza della cosiddetta “iperreflessia
autonomica”, che si verifica in pazienti portatori di lesioni spinali, traumatiche e non, a livello medio toracico,
durante il travaglio di queste pazienti, in seguito a stimolazioni di tipo simpatico e parasimpatico scatenate dalla
distensione della cervice, dell’utero, del retto, della vescica, che, in seguito alla lesione midollare, non vengono
inibite dai centri inibitori sopraspinali: tale riflesso si traduce in sintomi che vanno dallo scatenarsi di violenta
cefalea, improvvise crisi ipertensive durante le contrazioni uterine, fino alla comparsa di aritmie cardiache,
vasodilatazione a livello della lesione midollare, emorragie cerebrali, fibrillazione ventricolare. Tale sindrome può
scatenarsi anche in seguito a stimolazioni semplici come la cateterizzazione vescicale o una visita ginecologica.
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Polineuropatia di Guillain-Barré:
Condizione infiammatoria acuta, di origine virale, dovuta a citomegalovirus, HIV, virus dell’epatite. E’ caratterizzata
da demielinizzazione delle radici motorie e dei tratti prossimali dei nervi periferici.
Si manifesta con paralisi ascendente, dolore dorsale basso, sintomi radicolari; la paralisi ascendente arriva a
compromettere i muscoli respiratori, rendendo necessaria la ventilazione meccanica.
La gravidanza non sembra avere effetti sull’andamento della patologia, né questa incide sull’andamento della
gestazione.
Oltre a una terapia sintomatica, cortisonica, antivirale, immunostimolante, la terapia consiste nella plasmaferesi,
durante la quale, in caso di gravidanza, è necessario monitorizzazre i volumi plasmatici, per non incorrere in
ipovolemia, che potrebbe compromettere il flusso placentare.
Il parto potrebbe anche essere spontaneo (ma che forza di spinta potrebbe esercitare la partoriente?), e
l’anestesia peridurale non è controindicata.
Distrofia miotonica:
La distrofia miotonica è una patologia genetica a carattere autosomico dominante, caratterizzata da progressiva
debolezza e degenerazione muscolare. Differisce dalla distrofia muscolare per il carattere autosomico dominante,
mentre l’altra è recessiva e legata al cromosoma X; l’insorgenza della distrofia muscolare è precoce, entro i tre
anni, e di rado lascia che vengano superati i trent’anni di vita; invece l’insorgenza della distrofia miotonica è
tardiva, nell’età giovanile o adulta, ed è accompagnata da cataratte, calvizie, cardiopatie (aritmie o insufficienza
congestizia) ed endocrinopatie varie; è caratterizzata dall’incapacità del muscolo a rilassarsi adeguatamente dopo
la contrazione, e si manifesta con progressiva debolezza e degenerazione muscolare. Può avere la sua insorgenza
durante la gravidanza, oppure essere già manifesta, e non incidere sull’andamento della gravidanza stessa, oppure
andare incontro ad esacerbazione dei sintomi, particolarmente durante il terzo trimestre.
Riguardo alla gravidanza può portare all’aborto precoce, a un parto precoce con ritardo di crescita fetale,
polidramnios, involuzione muscolare dell’utero. Se il neonato sopravvive, può andare incontro a ritardo di sviluppo
fisico e mentale.
Durante la gravidanza è necessario ricercare eventuali deficit cardiaci, e monitorizzare eventuali malformazioni
fetali, con ricerche ecografiche e genetiche. All’Anestesista compete, al momento del parto, verificare la
funzionalità cardiaca e respiratoria. Se la funzionalità muscolare non è troppo compromessa, è anche possibile che
venga espletato un parto fisiologico in anestesia peridurale. Ma se c’è eccessiva debolezza, tale da non permettere
una idonea forza di spinta, e un’adeguata ventilazione, allora è necessario un taglio cesareo, in anestesia generale
con ventilazione assistita, magari da proseguire durante il postoperatorio. E’ necessario ridurre il dosaggio dei
miorilassanti, preferendo i non depolarizzanti, o, meglio, i competitivi Hoffmann dipendenti, in quanto la
contrazione muscolare che segue alla depolarizzazione, può non essere seguita da adeguato rilasciamento.
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