in futuro vivremo

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in futuro vivremo
Astronomia
Tecnologia
Astronomia
IN FUTURO VIVREMO
nel deserto
è una delle ipotesi per risolvere il sovraffollamento della Terra.
Ma come è possibile vivere in zone colpite da caldo soffocante
e assenza di acqua? Siamo andati in Israele, nel primo centro
dove gli scienziati stanno studiando come colonizzare le dune
di Fabio Marzano, foto di Massimo Brega/The Lighthouse
IL NEGEV In questo deserto, che occupa oltre metà del territorio israeliano, si trova
il Blaustein Institute for Desert Research (Bidr) dedicato alle ricerche sulle zone aride
del mondo. Qui cadono meno di 250 millimetri di pioggia ogni anno (circa 25 gocce).
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RISAIA TRA LE DUNE
Una bilancia per verificare l’effettivo
bisogno d’acqua di piante di riso
coltivate in condizioni estreme.
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Tecnologia
L
a Terra è abitata da sette
miliardi di persone. Entro
il 2050, tre miliardi vivranno nel deserto che non
sarà più terra di nessuno.
I cittadini traslocheranno tra le
dune a causa del riscaldamento
globale e della crescita smisurata
della popolazione. È la previsione
dell’Unep, l’organizzazione ambientale delle Nazioni Unite, secondo
la quale già oggi oltre due miliardi
di persone vivono nelle regioni
più asciutte della Terra, dal Sahara
in Africa all’Outback australiano.
Il deserto è un ambiente senza vie
di mezzo, per diseredati o miliardari. Quello che non manca è la
privacy, una riservatezza assoluta
a lungo inseguita dalle star americane, da Elvis Presley ad Angelina
Jolie: vip che hanno scelto zone
aride della California come Palm
Springs o il Mojave per rifugiarsi da
paparazzi e intrusi. In Israele, dove
oltre il 60 per cento del territorio
è sabbia e roccia, da oltre 40 anni
si sviluppano insediamenti e comunità nel deserto. Airone ha visitato
i Blaustein Institutes for Desert
Research (Bidr) a Sde Boker nel deserto del Negev, in Israele, dove si
sperimentano tecnologie, dall’agricoltura all’energia, per rendere più
ospitali le località più desolate del
Pianeta. Ma come è pensabile vivere
nel deserto, l’antitesi del comfort,
caldo soffocante e zero acqua?
Acqua distillata dal mare
Il primo problema è proprio
l’acqua. Nel deserto, il rubinetto
naturale è sempre a secco: le piogge, in media, non superano i 250
millimetri all’anno (fino a sei volte
meno della provincia di Milano)
e la canicola può sfiorare i 45 gradi.
Siccità e temperature torride assicurano poi l’evaporazione delle poche
risorse idriche che cadono dal cielo.
«L’acqua si può estrarre da sorgenti
sotterranee o purificando quella
di mare», spiega Eilon Adar, direttore dello Zuckerberg Institute for
Water Research del Bidr. Il depuratore di acqua di mare più grande
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Nel deserto si produce un ottimo vino
Sulla tavola di una casa del deserto non può mancare il vino. «Grazie alla differenza di temperatura tra giorno e notte, un’escursione termica di 15 gradi, la pianta
di vite si assicura dei nutrienti derivati dall’umidità», spiega Daniel Kish, uno dei 14
produttori di vino pregiato nel Negev (Israele) che collabora con il polo tecnologico
Bidr. Il rosso del deserto, dal Merlot a una varietà di Barbera, è corposo e ha una
gradazione alcolica media di 17 gradi. «È una tradizione recuperata dai Nabatei,
antico popolo del deserto e antenato dei beduini», prosegue Kish. «Hanno coltivato l’uva da vino nel Negev fino al Nono secolo dopo Cristo quando poi sono
passati all’Islam che proibisce l’alcol».
del mondo, in termini di capacità,
è quello di Ashkelon nel sud di
Israele, dove ogni giorno 330mila
metri cubi di acqua del Mediterraneo, pari al consumo di oltre un milione di persone, diventano potabili.
«Il sistema più collaudato è la cosiddetta osmosi inversa», prosegue
Adar. «Una pompa a pressione guida l’acqua in una membrana-filtro
che ne riduce la concentrazione
salina da 30 grammi al litro a poco
più di un grammo». Con una tecnologia simile, catturando goccia per
goccia con un sistema di reti, nelle
zone aride di Sudafrica e Australia
si distilla l’acqua dalla nebbia.
LE ALGHE PIGMENTATE
Colture di alghe da cui si estraggono
i pigmenti che servono a colorare
di rosa i salmoni allevati nel Negev.
Salmoni colorati di rosa
Difficile trovare un’occupazione
nel mezzo del nulla ma al Bidr si
allevano salmoni di razza pregiata
come in un fiordo norvegese. Un
modello di business per i prossimi
pionieri che ricorre alle microal-
DI TUTTI I COLORI Soluzioni
diverse per il trattamento delle alghe
destinate all’allevamento dei pesci.
500 ABITANTI Al centro Bidr
si vive come in un kibbutz, il modello
israeliano di convivenza comunitaria.
DANIEL KISH Produttore di vino.
Israele produce 50 milioni di bottiglie
l’anno, quelle del deserto le più pregiate.
BEDUINI I nomadi musulmani del
Negev producono vino senza poterlo
assaggiare perché è proibito dall’Islam.
ghe per colorare i pesci di rosa.
«In natura ci sono oltre centomila
specie di microalghe, un patrimonio biologico che si è rivelato utile
per l’itticoltura», spiega Aaron Fait,
ricercatore italiano di Biotecnologia
e agraria delle zone aride al Bidr.
Come la Haematococcus pluvialis,
per esempio, che vanta un’alta
concentrazione di astaxanthin, un
pigmento della famiglia dei carotenoidi di cui vanno ghiotti i salmoni.
«È una sostanza antiossidante che si
estrae con facilità e colora di rosso
il pomodoro e di rosa la carne dei
salmoni che alleviamo nel Negev»,
aggiunge Fait. «Una volta estratto il
pigmento, delle microalghe rimane
solo un olio che può essere riciclato
come combustibile ecologico».
no in questi ambienti», conclude
Fait, «hanno strategie molecolari e
fisiologiche di resistenza a un’irrigazione limitata o di acqua riciclata».
Per sopravvivere a cielo aperto nel
deserto, contano patrimonio genetico e dimensioni. Nel dna delle
cosiddette Resurrection Plants come
l’Arabidopsis thaliana, una pianta
utilizzata in biologia come campione per le ricerche genetiche, sono
stati sequenziati due geni (Stress
Response Suppressor) che riducono
lo stress indotto da assenza di acqua
e temperature elevate. Le piante
del deserto come il pomodoro, per
esempio, hanno foglie più piccole
di qualche centimetro rispetto alla
media, per limitare la richiesta di
acqua, una radice più lunga, anche
di 60 centimetri, e spesso una corona di tessuti attorno al fusto, simile
a una barbetta, che permette di trattenere oltre il 50 per cento dell’acqua assorbita durante l’irrigazione.
Piante da resurrezione
Nel deserto potranno spuntare
orti naturali di pomodoro e campi
di cereali. «Le piante che cresco-
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Tecnologia
Un cratere
senza il vulcano
n Il polo studi Bidr si trova nei
pressi di un cratere lungo 40
chilometri, largo nove e profondo
500 metri, una miniera d’oro per
gli scienziati. La sua origine è
curiosa: nel deserto del Negev non
ci sono vulcani e i meteoriti che
cadono da queste parti non sono
più grandi di qualche metro. È il
cratere di Ramon, un makhtesh:
un termine ebraico che indica una
valle erosiva perfettamente chiusa.
Nel mondo si contano solo cinque
makhtesh e sono tutti in Israele.
Una finestra sulla storia geologica
del pianeta che si è formata a partire dal ritiro degli oceani in Medio
Oriente oltre 500 milioni di anni fa
e poi scavata dal corso di una serie
di fiumi negli ultimi cinque milioni
di anni. Sul fondo del cratere, oltre
a numerosi fossili si trovano rocce
antiche 200 milioni di anni.
Per informazioni: www.goisrael.it
Per arrivare al Makhthesh Ramon
dall’Italia: collegamento El Al (www.
elal.co.il) per Tel Aviv e Be’er Sheva.
CASA SOTTO LA SABBIA Un disegno dell’Underground Desert Living Unit,
modello di casa autosufficiente nel deserto che si sviluppa sottoterra, progettata da
Reynard Loki e Jennifer Daniels. Il design richiama quello delle molecole d’acqua.
Gioco di specchi
Il sole a picco non è sempre uno
svantaggio: può diventare una risorsa
per produrre energia elettrica. I
ricercatori del Bidr hanno sperimentato per la prima volta un pannello
solare con una potenza 1.500 volte
superiore a quella in commercio
che può concentrare tutta l’energia
catturata in un solo centimetro quadrato. Il funzionamento è semplice:
si tratta di una parabola di specchi
che riflette le radiazioni del sole in
un canale dove il calore così concentrato si trasforma in vapore, che a sua
volta va ad azionare una turbina che
rilascia energia. Il disco riflettente
è in grado di produrre un gigawatt,
una quantità di energia maggiore
di quella prodotta in un anno, in
media da una centrale nucleare (800
megawatt). Ma con tutta quella sabbia, come si tengono puliti gli specchi? Al Bidr sono in fase di studio
pannelli solari autopulenti che fanno
scivolare via la sabbia dalla superficie
eliminando l’attrito: in sostanza,
diventano molto scivolosi.
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“DESERT” CITY I lavori per completare la città di Masdar City nel deserto
vicino ad Abu Dhabi, Emirati Arabi Uniti, termineranno nel 2016. Fiore all’occhiello
per le tecnologie delle zone aride, la città avrà una superficie di sei chilometri quadrati.