IL BOOM ECONOMICO (1955-1965) CONTESTO STORICO: Gli

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IL BOOM ECONOMICO (1955-1965) CONTESTO STORICO: Gli
IL BOOM ECONOMICO (1955-1965)
CONTESTO STORICO: Gli anni del dopoguerra sono seguiti dagli anni della ripresa, chiamata
anche il boom economico. Le fabbriche cominciano a lavorare a pieno regime, i consumi
crescono, gli italiani lasciano le campagne e scelgono la vita più comoda delle città dove trovano
lavoro. Le città italiane si allargano e si espandoni anche troppo velocemente: Roma passa da
1.961.754 nel 1951 a 2.614.156 nel 1967, con gli arrivi dei contadini meridionali e dell’Italia
centrale. Torino cresce da 719.300 nel 1951 a 1.124.714 nel 1967, con immigrati da Reggio
Calabria, Foggia e Bari.
LA NOSTRA CANZONE:
È Adriano Celentano a dare voce al disagio e al senso di perdita che si accompagna a questo
enorme cambiamento culturale degli anni della ripresa economica. Celentano canta “Il ragazzo
della via Gluck” sul palco di Sanremo nel 1966. Ottiene scarso successo, ma la canzone entra
subito nei repertori dei ragazzi che suonano la chitarra. Luigi Manconi ne propone una lettura in
termini psicoanalitici, come la storia di un trauma originale e del suo superamento. Il video che
l’accompagna su Youtube, ha valore documentario. Comincia come una ballata, passa attraverso
cori degli anni ’60 (wawawa, l’onomatopea del passaggio del treno) e finisce in un finale
sincopato, con versi quasi parlati più lunghi della durata musicale, che danno un senso di
sconforto. Giorgio Gaber scrive nello stesso anno, “Risposta al ragazzo della via Gluck”, una
canzone che ironizza sulle vicissitudini di un ragazzo la cui casa viene demolita per farci uno
spazio verde.
Versione consigliata: https://www.youtube.com/watch?v=2XLZb82R-kY
Il ragazzo della via Gluck
The Boy from Gluck Street
Questa è la storia di uno di noi
anche lui nato per caso in via Gluck
in una casa fuori città
gente tranquilla che lavorava.
This is the story of one of us,
Also born by chance in Gluck Street…
Là dove c'era l'erba ora c'è una città
e quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà
Questo ragazzo della via Gluck
si divertiva a giocare con me
ma un giorno disse: "vado in città"
e lo diceva mentre piangeva.
Io gli domando: "amico non sei contento?
vai finalmente a stare in città
là troverai le cose che non hai avuto qui.
Potrai lavarti in casa senza andar
giù nel cortile".
"Mio caro amico" disse "qui sono nato
e in questa strada ora lascio il mio cuore
ma come fai a non capire
che è una fortuna per voi che restate
a piedi nudi a giocare nei prati
mentre là in centro io respiro il cemento
ma verrà un giorno che ritornerò
ancora qui e sentirò l'amico treno che
fischia così.... wa wa".
Passano gli anni ma otto son lunghi
però quel ragazzo ne ha fatta di strada
ma non si scorda la sua prima casa
ora coi soldi lui può comperarla
torna e non trova gli amici che aveva
solo case su case catrame e cemento.
Là dove c'era l'erba ora c'è una città
e quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà.
Non so no so perché continuano
a costruire le case
e non lasciano l'erba, non lasciano l'erba
non lasciano l'erba
e non se andiamo avanti così chissà come si farà
chissà chissà come si farà
La crescita della città di Grosseto
Da Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale. Milano: Feltrinelli, 1964 [1957]; pp. 14-15.
Noi giovani usciti dalla guerra … eravamo un bel gruppetto; ci si trovava ogni sera al caffè, a
chiacchierare, a giocare a carte, poi, quando era tardi e il cameriere accennava a voler chiudere,
cominciava la nostra lunga passeggiata, fino alle due o alle tre di notte. La nostra città era
piccola, e si faceva presto a raggiungere la periferia, verso la campagan piatta e buia.
Lontano abbaiava un cane, e si avvertiva, come un sordo limio, il canto dei grilli. La strada si
perdeva in uno sterrato brullo, ineguale; qua e là si vedevano mucchi di detriti, i bassi casotti
dove i muratori ripongono gli atterzzi, le cataste dei mattoni, le fosse rettangolari bianche di
calcina, un rullo compressore, alto e scuro, e più lontane le nuove costruzioni, appena
cominciate.
Noi andavamo spesso a vedere crescere la nostra citta, a vederla avanzare vittoriosa dentro la
campagna, contro la campagna, a conquistare altro terreno. Si muoveva, si muoveva
visibilmente, a vista d’occhio, la nostra città lanciava, come un drappello ardito, un gruppo di
case nuove, che si lasciavano alle spalle, in una sacca, orti e prati, un po’ di verde ancora odoroso
di campagna e di letame, che lentamente intristiva e si seccava. Noi eravamo entusiasti di questa
marcia vittoriosa, ed ogni sera ne parlavamo come di un fenomeno assoluto ed eccezionale.