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RISPOSTE PEDAGOGICHE AL DISAGIO GIOVANILE E ADULTO, TRA VECCHIE E NUOVE POVERTÀ RAFFAELE GNOCCHI PREMESSA: POVERTA’ SIGNIFICATO O L’INDETERMINAZIONE DEL Povertà è un termine definibile come polisemico. Una parola che richiama un’innumerevole mole di significati dai quali possono essere fatte considerazioni e ragionamenti fra loro assai distanti. Quando parliamo di povertà, in forma singolare o in forma plurale, è necessario fornire i giusti elementi per contestualizzare adeguatamente la discussione. Fra i diversi significati del termine povertà ritroviamo una prima declinazione come assenza di partecipazione alla vita della comunità, ma anche dall'assenza di appartenenza a un contesto geografico e sociale. Nel contesto italiano, nel quale ci sono quasi diciannove milioni di persone che possono essere definite povere, troviamo, sempre più frequentemente, figure che non hanno interiorizzato quella che potremmo chiamare la cultura della povertà. Si tratta di quella classe media la quale fino a poco tempo fa si considerava garantita e strutturava la propria autostima sulla distanza dagli ultimi. LO SCENARIO SOCIO CULTURALE Le trasformazioni socio culturali in atto hanno depositato nella vita quotidiana di persone e famiglie numerose e notevoli criticità: Queste modificazioni hanno prodotto la crescita di nuove sofferenze che eccedono e spiazzano le tradizionali categorie amministrative e l’inquadramento nosografico. Tutto ciò senza che sia visto dai servizi di welfare, con una forte difficoltà - vergogna - a esplicitare la nuova condizione. Pare così evidenziarsi una “forma di povertà nuova” certamente connaturata ad una dimensione economica, ma al contempo aggravata da una specifica carenza relazionale la quale espone le persone al rischio di essere invisibili ai servizi, lasciandole in un anonimato pericoloso, fondamentalmente da sole con le loro questioni. Stanno scomparendo i luoghi in cui poter rielaborare insieme ad altri queste difficoltà. La comunità pare non più in grado di accogliere e accompagnare questi processi di fragilizzazione, emarginazione, esclusione, … poiché gli assunti concettuali sono basati su un terreno assai mobile. È quindi necessario modificare i paradigmi della comunità che accoglie, il sistema di governance. IL DISAGIO DEL VIVERE Sempre più il disagio e la condizione critica vissuta all’interno di contesti abitativi e relazionali frammentati rischiano di essere letti come fatti privati. Il dolore e la forza del disagio interrogano chi lo prova, ma spesso è emarginato e ricondotto a 1 questione individuale: dal dolore è necessario fuggire, allontanarsi per evitare conseguenze inaspettate. Soggetti adulti, perfettamente inseriti in un contesto sociale, procrastinano, a livello incosciente, il riconoscimento della situazione di disagio tanto più quanto il contesto è vincolante in termini di ruoli e funzioni. L’uomo contemporaneo ha fatto suo lo stile di gestione dei problemi secondo il quale non esiste la necessità di fornire un senso complessivo, ma è sufficiente relativizzare i significati di quanto accade. L’emarginazione adulta è lo sviluppo negativo della condizione di disagio, si tratta della collocazione ai margini - anche nei termini di un’analisi superficiale del vissuto - della reale portata del disagio, sia da parte del soggetto, sia dal contesto sociale e culturale. PEDAGOGIA DEL DISAGIO ADULTO Le persone devono poter riconoscere la necessità di porsi di fronte alla loro sofferenza. In tal senso allora è possibile parlare di Pedagogia del disagio adulto La Pedagogia del disagio e della marginalità adulta è luogo di sintesi fra il riconoscimento della sofferenza, le motivazioni alla cura reciproca, all’interno delle questioni poste dal clima socio culturale. Disagio ed emarginazione sono questioni trasversali a tutte le condizioni della vita. La Pedagogia del disagio e della marginalità adulta non è la particolare attenzione a una regione confinante dell’esistenza, ma un processo di pubblicizzazione e richiamo delle esperienze personali e sociali di frammentazione esistenziale. L’intervento educativo deve poter perseguire dei fini, un orizzonte epistemologico, ma anche un orizzonte di senso nei confronti del quale rileggere gli accadimenti quotidiani. Tutto ciò può condizionare l'elaborazione, la definizione e la realizzazione del progetto di vita assumendo il contesto sociale e la comunità di appartenenza come naturale spazio di esistenza e non di sopravvivenza. LA QUESTIONE UOMO E I PARADIGMI INTERPRETATIVI “L’uomo ritorna all’Uomo! Gridalo! Nostro fratello se ne vuole andare. Odi, ora, e giudica popolo. Chi mai lo ferma e chi vuol restare? L’uomo ritorna all’Uomo!” (Kipling, 1993, p. 332) Noi siamo “Figli del nostro tempo”, ciò significa riconoscere il contesto nel quale si è nati e cresciuti, cioè la dimensione culturale, storica, politica, economica. Bauman ricorda come “persino i più esperti e sofisticati maestri nell’arte di scegliere non scelgono e non possono scegliere la società nella quale nascere.” Osserva Mucci come “questa epoca contesti non solo la legittimità delle risposte, ma anche e soprattutto la legittimità degli interrogativi.” Colozzi dice che “questa società ha commisurato, con una sorta di funzionalismo utilitarista, il valore dell’uomo alle sue capacità prestazionali, cioè alle capacità di adempiere con successo alle proprie funzioni sociali, adeguando mezzi e fini al proprio ambiente. Pertanto la persona umana attribuisce lo status di simile all’altro in relazione alle sue capacità.” …in tal modo si nega il pieno possesso della personalità non solo agli embrioni, ma anche ai neonati, ai bambini al di sotto dell’età della ragione, ai malati in stato comatoso e in genere agli alienati mentali.” Berti In questo tempo storico la ricerca personale, frutto della libera scelta di rispondere con la ragione e la vita alle questioni ritenute importanti, è contestualmente un appello all’accompagnamento delle vite e delle coscienze delle persone che hanno smesso di farlo. 2 IL RICONOSCIMENTO E L’INTEGRAZIONE DEL LIMITE “Quando si saranno alleviate sempre più le schiavitù inutili, si saranno scongiurate le sventure non necessarie, resterà sempre, per tenere in esercizio le virtù eroiche dell’uomo, la lunga serie dei mali veri e propri: la morte, la vecchiaia, le malattie inguaribili, l’amore non corrisposto, l’amicizia respinta o tradita, la mediocrità d’una vita meno vasta dei nostri progetti e più opaca dei nostri sogni”. (Yourcenar, 1981, 108-109). La dimensione umana è finita sia fisicamente sia mentalmente. Jollien dice “l’uomo è spirito e corpo, e non può essere ridotto né all’uno né all’altro. Sono due entità che interagiscono. L’uomo non è né angelo né bestia, ma la disgrazia è che chi vuol fare l’angelo fa la bestia. Negare il corpo ci abbassa. Negando lo spirituale si ha lo stesso risultato.” Il limite è costituito dagli obiettivi e dai desideri di cui l’esistenza è piena. Lizzola ci dice che “c’è una quasi insostenibile tensione tra il sentirsi in progetto, presi dalla forza del desiderio e dell’attivarsi, e la scoperta dell’impossibile assunzione, della forzata passività. Gli uomini e le donne spesso restano come presi nella stretta della vita.” Il limite dettato dalla morte. Il tema della morte è revocato, ciò escluso a priori e non evocato, cioè è riconosciuto, ma marginalizzato. Mantegazza dice: “È oggetto di vita, perché è dei vivi il compito di parlarne.” “Nulla ci univa, eppure tutto ci riuniva” (Jollien, 2003, p. 36) Quando il dolore, la sofferenza e il limite sembrano occupare tutti gli spazi, non resta altro che la disperazione per non poter accogliere altro. O così parrebbe. La possibilità di (ri)emergere e non restare sommersi nel mare della disperazione comporta l’aprirsi ad altro e ad altri. Questa è accoglienza: deliberata, scelta e perseguita poiché l’incontro non solamente si prova ma “prova”, ovvero misura l’uomo. PROSPETTIVE Il compito pedagogico è quello di riportare ad unum l’identità dell’uomo fornendogli strumenti perché questa possa essere vissuta secondo le sue molteplici sfaccettature. In questo processo, non sempre lineare, nasce l’idea di una pedagogia del reale in grado di pronunciare il principio della vita senza mistificazioni, senza maschere e senza tragedie. All’uomo è chiesto un esercizio di responsabilità verso se stesso e verso gli altri; nelle situazioni più drammatiche non bisogna dimenticare «chi fin dalla nascita cammina a fianco della sofferenza e del dolore affronta l’esistenza provvisto di un benefico realismo». Questo vale per chi nasce sofferente, ma anche per chi della povertà sperimenta, per un tempo breve o lungo, la presenza. Se il mondo è pieno di sofferenza un modo per accoglierla è scegliere di starvi di fianco. Non dobbiamo dimenticare come la qualità dell’educatore emerga nel momento in cui questi è capace di sostenere e ridestare capacità sepolte da ostacoli diversi per orientarla verso un futuro possibile. Questo richiede un’assoluta fiducia nell’uomo e l’umiltà per non giudicare. Va presa 3 coscienza dell’altro come un individuo per sempre irriducibile, una persona mai totalmente sottomessa, analizzata, capita. Assumersi il compito e la responsabilità del proprio come dell’altrui bene è quindi una prima declinazione del concetto di pedagogia del reale. In tale prospettiva la povertà di futuro non concetto storica, ma prospettiva esistenziale. La sofferenza può quindi essere accompagnata in molti modi. Ci sono sofferenze evidenti, palesi e manifeste; altre assumono un profilo dissolto nel traffico umano contemporaneo. A chi spetta il compito di comprendere la sofferenza per accompagnarla verso orizzonti nuovi ? Si tratta quindi allestire una comunità educante e ospitale; ciò significa pensare un processo di accompagnamento. La pedagogia come aiuto alla persona per guardarsi dentro verso un futuro da scriversi con la partecipazione di una cittadinanza attenta al destino del suo prossimo. BIBLIOGRAFIA MINIMA Franchi M., Il senso del consumo, Mondadori, Milano 2010. Gnocchi R., Mari G., Le nuove e le vecchie povertà come sfida educativa, Vita e Pensiero, Milano 2016. 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