luglio / agosto 2013
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FITP - Sede legale: Box 001 Centro Uffici (T) Viale Ammiraglio Del Bono, 20 - 00122 Roma Segreteria del Presidente nazionale: Via San Nicola, 12 - 71013 - S. Giovanni Rotondo - Tel. e fax 0882 441108 n. 4 ANNO XV luglio / agosto 2013 ITALIA E REGIONI Isola di Capo Rizzuto 13/15 settembre E il “Bel Paese” accoglie i colori di tutto il mondo www.fitp.org Federazione Italiana Tradizioni Popolari Consulta Scientifica PRESIDENTE Mario Atzori VICEPRESIDENTE Patrizia Resta COMPONENTI Leonardo Alario Gian Luigi Bravo Pino Gala Ignazio Macchiarella Vincenzo Spera Consiglio Nazionale SEGRETERIA PRESIDENZA NAZIONALE Via San Nicola, 12 71013 San Giovanni Rotondo (FG) Tel. e Fax: 0882.441108 [email protected] UFFICIO TESSERAMENTO Via San Sebastiano, 16/18 98122 Messina Tel. e Fax: 090.771398 tesseramento@fitp.org SEGRETARIO GENERALE Contrada Chiusa Lotto 4/b Loc. Simeri Mare Villaggio Santa Lucia 88050 Simeri Crichi (CZ) Tel.: 0961.881609 - 0961.794388 Fax: 0961.881491 [email protected] UFFICIO TESORERIA C.da Conca d’Oro, Garden Ville, 16 98168 Messina Tel.: 090.355604 [email protected] UFFICIO STAMPA Cdp Service - San Severo (FG) www.cdpservice.it Tel. e Fax: 0882 375761 ufficiostampa@fitp.org MARCHE Mario Borroni MOLISE PIEMONTE FRIULI VENEZIA GIULIA Giampiero Crismani PUGLIA LAZIO Ivo Di Matteo Antonio Giuliani Bernardo Beisso Fedele Zurlo Nino Agostino SARDEGNA Vittorio Fois Mario Pau Luigi Usai Daniel Meloni COORDINATORE NAZIONALE SICILIA Maria L. De Dominicis Antonella Castagna Santo Gitto Consiglieri TOSCANA ABRUZZO Maria L. De Dominicis BASILICATA Pasquale Casaletto CALABRIA Carmine Gentile Maria Teresa Portella CAMPANIA Fabio Del Mastro Leonardo Bianco EMILIA ROMAGNA Sauro Casali FRIULI VENEZIA GIULIA Mario Srebotuyak LAZIO Giuseppe d’Alessandro LIGURIA Luciano Della Costa LOMBARDIA Luigi Sara Giovanni Bossetti EMILIA ROMAGNA Sauro Casali (commissario) Marco Fini TRENTINO ALTO ADIGE Attilio Gasperotti UMBRIA Francesco Pilotti Valle d’Aosta Susi Lillaz VENETO Gianni Marini Presidenti Comitati Regionali ABRUZZO Fidio Bianchi BASILICATA Pietro Basile CALABRIA Michele Putrino CAMPANIA Francesco Coccaro LIGURIA Milena Medicina LOMBARDIA Fabrizio Nicola MARCHE Pamela Trisciani MOLISE Michele Castrilli PIEMONTE Andrea Flamini PUGLIA Tommaso Russo SARDEGNA Giommaria Garau SICILIA Alfio Russo TOSCANA Francesco Castelli TRENTINO ALTO ADIGE Attilio Gasperotti UMBRIA Floriano Zangarelli Valle d’Aosta Susi Lillaz (commissario straordinario) VENETO Adriano Bissoli IL FOLKLORE D’ITALIA 6 Italia e Regioni Isola di Capo Rizzuto ospita la 32^ edizione del Raduno nazionale targato Fitp I pellegrinaggi e la tradizione 16 IL FOLKLORE D’ITALIA Bimestrale d‘informazione Anno XV n. 4 - LUGLIO / AGOSTO 2013 Registrazione al Tribunale di Foggia n. 9 dell’8 aprile 2008 DIRETTORE RESPONSABILE Benito Ripoli COORDINAMENTO RED.LE Antonio d’Amico Leo Conenno Elvira La Porta Rita Laguercia FOTOGRAFIE Ilaria Fioravanti PROGETTO GRAFICO Sinkronia studio “Viaggio” al Santauario di Novi Velia nel cuore della Campania STAMPA Grafiche Lucarelli - Ariano Irpino 18 FEDERAZIONE ITALIANA TRADIZIONI POPOLARI PRESIDENTE NAZIONALE Benito Ripoli VICE PRESIDENTI Nino Indaimo, Luigi Scalas Gli “Zanni” e la ricerca Quando un gruppo diventa testimone della propria cultura L’esperienza dei “Naxos” 24 Canti e balli del passato approdano sui banchi di scuola 26 n. 04 / 2013 ASSESSORI EFFETTIVI Donatella Bastari, Gerardo Bonifati Fabrizio Cattaneo, Enzo Cocca Fabio Filippi, Gesualdo Pierangeli ASSESSORI SUPPLENTI Giuliano Ierardi, Renata Soravito SEGRETARIO GENERALE Franco Megna VICE SEGRETARIO GENERALE Giancarlo Castagna TESORIERE Tobia Rinaldo VICE TESORIERE Fabrizio Nicola COLLEGIO SINDACI REVISORI Francesco Fedele (presidente) Giovanni Soro (vicepresidente) Ancilla Cornali (membro effettivo) Giampiero Cannas (membro supplente) Francesco De Meo (membro supplente) COLLEGIO PROBIVIRI Gavino Fadda (membro effettivo) Franco Folzi (membro effettivo) Dionigi Garofoli (membro effettivo) Sauro Casali (membro supplente) Pietro Prencipe (membro supplente) La Carovana del Folklore COMITATO D’ONORE FITP Past President Lillo Alessandro Attraverso l’Europa per diffondere e promuovere suoni e colori Presidente Onorario Luciano Della Costa Comitato Dei Saggi Luciano Della Costa Aldo Secomandi www.fitp.org Staff del Presidente Bruno Bordoni, Mario Borroni, Monica Castrilli, Francesca Grella, Ivo Polo, Concetta Masciale Cerimoniere Michele Putrino 3 editoriale Sempre più affamati di cultura vera Senza conoscenza non c’è libertà e senza libertà non c’è democrazia 4 di Benito Ripoli Presidente nazionale Fitp «Sempre più affamati di Cultura. Investire in Cultura è strategico per il futuro di tutti noi, anche perché, senza conoscenza non c’è libertà e senza libertà non c’è democrazia». E’ con queste parole che ho salutato la platea al momento della mia rielezione, per acclamazione, nell’aprile dello scorso anno. Dopo il primo quadriennio dedicato alla riorganizzazione della Federazione, mi sono prefisso, con l’imprescindibile apporto dei miei colleghi di Giunta, del segretario generale, del tesoriere e di tutti i dirigenti nazionali, di rinverdire e rinvigorire gli interessi della famiglia Fitp verso l’informazione, la conoscenza, il sapere e la cultura, che sottendono la nostra collettività nella vita quotidiana. Viviamo in una società complessa in cui, spesso, la differenza è data dalla capacità e dalla possibilità di accesso ai saperi. “Solo l’uomo colto è libero” (Epitteto). La Cultura, cenerentola di bilanci, vittima predestinata di rigorose ghigliottine governative, è invece ciò che dà ad una società ed alla sua collettività, la possibilità di sperare e l’energia per continuare a voler far parte di quella fantastica e concreta astrazione che si chiama “umanità”. Ci sarà certamente qualcuno che, in linea mentale con il ministro d’infelice memoria che ebbe a dire che con la Cultura non si mangia, sosterrà la tesi che si debba pensare a ben altri problemi, ma per quello che ne so io, mi pare, mai sia esistita un’epoca della storia umana dove non sia prodotta e consumata qualche forma di Cultura. Ora se il fare e consumare Cultura fosse questa inutile bizzarria, qualcuno sarebbe riuscito ad eliminar- IL FOLKLORE D’ITALIA n. 04 / 2013 La copertina della “Prima Etnografia d’Italia”: un lavoro editoriale per fornire cultura scientifica al mondo delle tradizioni la, obbligando noi poveri esseri umani a lavorare a produrre merci da consumare, senza mai avere la possibilità di mettere in moto, la nostra immaginazione o confrontarci con quella altrui. Mai è successo. Anche nei momenti più bui abbiamo bisogno di andare a cercare idee, gesti, suoni, immagini, che ci consentano, nel modo più libero possibile, di ricordare quanto meravigliose siano l’anima e la fantasia umana. Altrimenti, in un’epoca dove, ora dopo ora, ci viene ricordato che tutto sta per andare a rotoli, chi si sognerebbe mai di far parte o di attivare un gruppo folklorico, chi di fare attività teatrale, chi promuovere convegni e fare ricerche. “La Cultura è l’anticamera di ogni perfezionamento intellettuale e spirituale dell’uomo” (H. Hesse). La nostra fame di sapere e la nostra curiosità, sono più forti del pessimismo dilagante. Per questo tagliare i fondi della Cultura, tentare di mettere montagne di spazzatura accanto a monumenti archeologici, ridimensionare l’attività museale, lirica e teatrale, affamare, anzi non considerare, la importante e imprescindibile attività dei gruppi folklorici, non solo è gravissimo ma è anche controproducente da un punto di vista strettamente economico. E’ provato che società culturalmente soddisfatte spendono anche di più in campi non culturali. Sentirsi bene dentro ci porta anche a volerci sentire bene fuori, a desiderare città più belle ed ordinate, a vestirsi meglio, a mangiare meglio. Investire nell’ignoranza, riducendo gli investimenti nella Cultura e nell’educazione, che poi sono due sorelle siamesi inseparabili se non facendone morire una delle due, significa generare malessere, violenza, prevaricazione e cinismo. Nell’economia globalizzata, se non s’investe sui saperi, si finirà per trovarsi a competere nella fascia bassa del mercato, con Paesi che hanno economie del lavoro meno garantite del nostro. La sfida, allora, potrà essere vinta solo se si sapranno tenere insieme saperi, conoscenze, innovazione sociale, tecnologica e ricerca. Ogni Ente, nazionale, regionale e comunale, deve sforzarsi di considerare strategico l’investimento sui giovani e adoperarsi, seppure nella scarsità di risorse a disposizione, a far si che nessun talento venga sprecato e che nessuno rinunci a studiare per mancanza di mezzi. Amici politici, potenziare l’insegnamento delle materie umanistiche, stimolate con borse di studio (come sta facendo la Fitp) la ricerca, l’apprendimento e la conoscenza delle tradizioni della propria terra, non significa buttar via soldi, in un momento in cui ce ne sono pochi, ma far funzionare meglio quelli che ci sono. E’ un investimento che si deve fare, perché può contribuire, in modo profondo, all’innalzamento del senso civico, alla coesione sociale e al benessere di tutti i cittadini. “L’uomo vive pienamente la sua umanità grazie alla Cultura” (Giovanni Paolo II). Forse la Cultura non si mangerà ma i dati dimostrano che la fame di cultura aumenta (vero professori della Consulta?). Ignorarla potrebbe provocare una carestia e le carestie sono, sempre, terribi- li e funeste per qualsiasi governo. C’è quindi da investire ancora sulle persone, sui giovani, perché questi non diventino fonte di nuove discriminazioni e disuguaglianze. Indicare e dare l’esempio, significa investire in civiltà: investire in Cultura è strategico per il futuro di tutti . Il mio desiderio non è semplicemente quello di volersi distrarre per dimenticare crisi, bollette e tasse, quanto conoscere, riflettere, pensare, guardare e, perché no, anche sognare. “Anche con i sogni si può essere liberi” (F. Schiller). www.fitp.org 5 italia e regioni Un’isola di cultura calabrese Tre giorni per conoscere uno degli angoli più belli d’Italia di Leo Conenno Redazione Fitp 6 ISOLA DI CAPO RIZZUTO (Crotone) - Un’imperdibile occasione per immergersi nelle tradizioni e nei paesaggi della Calabria, terra pregna di cultura. Un appuntamento di quelli da non mancare. Per l’attesa che ormai circonda l’evento, giunto alla 32.ma edizione, sempre sentito nel mondo della Fitp e delle tradizioni popolari. Quest’anno “Italia e Regioni”, il Raduno nazionale dei gruppi folklorici affiliati alla Federazione italiana tradizioni popolari, approda in Calabria, precisamente a Isola di Capo Rizzuto. Dal 13 al 15 settembre saranno tanti i motivi che calamiteranno l’attenzione degli addetti ai lavori e della ridente località turistica in provincia di Crotone. La “carovana” della Federazione presieduta da Benito Ripoli fa tappa in Calabria. Una vetrina di quelle speciali. Un angolo del Mezzogiorno dove il folklore batte a ritmo del tamburello, della chitarra battente, dell’organetto, della zampogna, dei “fischietti” (doppi flauti), della “lira calabrese” (cordofono ad arco costituito da un unico blocco di legno scavato a forma di pera a bottiglia) e balla la tarantella. Tante premesse importanti. «La Calabria – commenta Benito Ripoli, presidente nazionale della Fitp – è per noi uno scrigno indescrivibile, da cui attingere momenti esaltanti di cultura popolare, che gli organizzatori locali sapranno arricchire ancor di più con “Italia e Regioni”. Una richiesta che ci perveniva da anni e che ora siamo contenti di poter realizzare». Isola di Capo Rizzuto per tre giorni aprirà le porte al folklore nazionale. Una scelta già effettuata in occasione della precedente edizione di “Italia e Regioni”, svoltasi a Chianciano Terme (Siena). Manifestazione portata nel Crotonese da Carmine Gentile, consigliere nazionale della Fitp, presente in terra Toscana e tra gli organizzatori dell’appuntamento 2013. Il neo sindaco di Isola di Capo Rizzuto, Gianluca Bruno, ha da subito manifestato entusiasmo e sostegno all’evento, anche e soprattutto in termini di servizi. Il Raduno dei gruppi folklorici affiliati alla Fitp arricchirà l’estate isolitana. Che pullula di eventi. “Italia e Regioni” sarà un importante veicolo promozionale per tutto il territorio. Ampio il programma della manifestazione. Tanti gli ingredienti. Isola di Capo Rizzuto e l’intera Calabria daranno il benvenuto al folklore nazionale. Una terra ospitale che ha sempre accolto con grande slancio ogni iniziativa targata Fitp. IL FOLKLORE D’ITALIA n. 04 / 2013 ITALIA E REGIONI 32ª edizione | Isola di Capo Rizzuto (Crotone) 13-14-15 SETTEMBRE 2013 Venerdì 13 SETTEMBRE Ore 20.00 - Località “Le Castella” – Castello Aragonese Esposizione Artigianato Calabrese Ore 21.00 - Località “Le Castella” - Castello Aragonese Cerimonia di inaugurazione “Italia e Regioni 2013” Ore 21.30 - Località “Le Castella” – Castello Aragonese Gala del Folklore Italiano. Spettacolo prima serata Sabato 14 SETTEMBRE Ore 9.30 - Impianti sportivi Villaggio turistico “S. Antonio” I Giochi della Tradizione Popolare Ore 11.00 - Bordo piscina Villaggio turistico “S. Antonio” Gastronomie a confronto “Italia in Piazza con i Cuochi” Ore 13.00 - Seguirà la degustazione delle pietanze regionali da parte della commissione di esperti che assegnerà il premio e da parte dei dirigenti della Fitp. Ore 16.00 - Teatro del Santuario “Madonna Greca” di Capo Rizzuto Spettacolo-Laboratorio. Tema “Narrare in scena: Leggende, fiabe, favole e racconti della tradizione popolare” Ore 20.00 - Giardini comunali di Capo Rizzuto Esposizione Artigianato Calabrese Ore 21.30 - Piazza del Popolo Isola di Capo Rizzuto Gala del Folklore Italiano. Spettacolo seconda serata Ore 00.30 - Discoteca Villaggio turistico “S. Antonio” Festa dell’Amicizia Domenica 15 settembre Ore 10.45 - Santuario “Madonna Greca” Santa Messa Ore 12.00 - Piazza Santuario “Madonna Greca” Premiazioni, scambio doni e saluti italia e regioni Mare, sol Benvenuti a Is 8 La Rassegna “Italia e Regioni”, oltre ad essere un importante appuntamento artistico e culturale e di notevole promozione turistica, ha grande significato se viene valorizzata nel quadro di una politica di legami di amicizia tra le diverse regioni italiane, nel superamento di barriere storiche, politiche ed economiche che, purtroppo, ancora ci dividono. Per la Calabria l’occasione è importante e può essere uno stimolo per approfondire la nostra identità popolare, per ricostruirvi il nostro passato, studiare la nostra nobile storia e far comprendere un messaggio di una volontà effettiva di cooperazione e sviluppo. Gli spettacoli e le iniziative che verranno offerti, saranno, sicuramente, una grande festa: una festa degli occhi e del cuore, una festa di arte e cultura. Noi ci auguriamo che tutta le delegazioni regionali presenti, possano ricordare, con affetto, la nostra Calabria e, in particolare, la città di Isola di Capo Rizzuto, diventando “ambasciatori”, in Italia, delle bellezze e dell’ospitalità della nostra terra. Inoltre, l’evento, con la presenza di tanti gruppi folklorici italiani e di eminenti professori e studiosi di diverse Università, si pone l’obiettivo di favorire azioni di comunicazione sulle tematiche relative alla conoscenza, soprattutto per le giovani generazioni, di una produzione che caratterizza i patrimoni culturali regionali provenienti dalla tradizione orale. Carmine Gentile Presidente G. F. “Isola dei Dioscuri” Consigliere nazionale Fitp IL FOLKLORE D’ITALIA n. 04 / 2013 le e folklore sola di Capo Rizzuto Mare, sole e folklore. Cultura e tradizione. Isola di Capo Rizzuto è un centro turistico di rilievo, situato a circa 20 chilometri da Crotone, sulla costa jonica della Calabria. La denominazione Isola non è da confondere col sito naturale isola, piuttosto si tratta della volgarizzazione del temine asylos (protezione, riparo) come era chiamato questo sito. La prima citazione della città di Isola la troviamo al secolo nono nell’elenco delle sedi vescovili di rito greco e subalterni a Costantinopoli. Non è un’isola, bensì un lungo promontorio. L’area marina di Capo Rizzuto è una delle aree protette più affascinanti di tutto il Mediterraneo, la cui bellezza è di rivelazione immediata: l’occhio distingue dapprima i toni autentici e cangianti del cielo e del mare, quindi gli scogli, l’argilla, la sabbia da cui sembrano esalare i profumi di un tempo e i significati del passato. La costa, che alterna tratti rocciosi a belle spiagge, offre nella frazione marina di Le Castella una delle sue immagini più scenografiche: un isolotto a breve distanza dalla riva, occupato da un Castello Aragonese diroccato, che rimanda ai tempi delle scorrerie dei pirati saraceni. La zona è rinomata per la produzione vinicola, sullo sfondo delle produzioni agroalimentari del marchesato crotonese, soprattutto olio d’oliva, salumi e formaggi. Da Capo Colonna a Le Castella, si sviluppa per circa 40 chilometri la riserva marina di Capo Rizzuto, che tutela un tratto di costa affascinante nella parte emersa, spettacolare per varietà e ricchezza di fondali. Emerge lo sviluppo turistico con la preziosità del suo mare, delle sue coste, della riserva marina e quindi tanti complessi turistici anche di livello internazionale. Isola di Capo Rizzuto è ricca di tradizioni. Da visitare Le Castella, la Fortezza, l’Area marina protetta, il Duomo di Santa Maria Assunta, la Torre di Capo Rizzuto (o Torre vecchia), il Santuario della Madonna greca e varie chiese. Rinomata località di villeggiatura, frequentata tutto l’anno e dotata di ottime strutture ricettive e ricreative, Isola di Capo Rizzuto basa la sua economia sul turismo e sulle attività a esso connesse. Completano il quadro economico l’agricoltura, che produce soprattutto cereali, olive, ortaggi, barbabietole da zucchero, peperoncino e uva da vino, l’allevamento e la pesca. Non mancano le specialità culinarie. Il territorio di Isola di Capo Rizzuto è un luogo turistico di particolare pregio, per il grande patrimonio artistico, storico, culturale ed enogastronomico. Lasciati emozionare dalle bellezze naturali, pittoresche, raffigurate come l’arcobaleno dei colori; il blu del mare che assorbe i meravigliosi raggi di un caldo sole, il verde che circonda la costa, le colline e le pianure che si appropriano dei colori naturali della terra, la spiaggia di color rosso ed dalle dune finissime, sono tutti toni che caratterizzano questa meravigliosa terra, in un quadro da esporre e conservare. Benvenuti nella nostra terra! E’ l’augurio che rivolgiamo ad ogni turista che viene a visitarci e a trascorre le vacanze in un luogo affascinante e accogliente, garantendo un offerta turistica eterogenea, aperta tutta l’anno. Un angolo turistico di grande valore, il fiore all’occhiello del turismo della provincia di Crotone, dove la natura è tanto ardita da suscitare la curiosità e la scoperta di luoghi vari e unici. Gianluca Bruno Sindaco Isola di Capo Rizzuto www.fitp.org 9 italia e regioni Aspettando Isola di Capo Rizzuto 10 Scalda i motori la 32.ma edizione di “Italia e Regioni”, in programma a Isola di Capo Rizzuto (Crotone) dal 13 al 15 settembre. Nella ridente località turistica calabrese fervono i preparativi. Il “count down” sta scandendo gli ultimi colpi. Anche il mondo della Federazione italiana tradizioni popolari si sta preparando per il Raduno nazionale dei gruppi folklorici ad essa affiliati. La storica manifestazione della Fitp sbarca in Calabria, che riceve il “testimone” dalla Toscana. L’anno scorso “Italia e Regioni” ha fatto tappa a Chianciano Terme (Siena). Nella “città della salute” sono stati 27 i sodalizi protagonisti della “tre giorni” all’insegna delle tradizioni popolari, tra canti, balli, colori e suoni, espressioni di tutta l’Italia. Senza dimenticare la ricerca (cin- que i gruppi che hanno preso parte allo Spettacolo-Laboratorio), i sapori e i giochi di una volta. Dodici le regioni rappresentate: Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Molise, Abruzzo, Marche, Lazio, Toscana e Liguria. La Fitp ha portato il folklore ita- liano nella terra delle terme. Due giorni dedicati alle esibizioni. Due giorni anche tra pentole e mestoli: ben diciassette le pietanze presentate a “Italia in piazza con i cuochi” (trionfo del Gruppo folklorico “Triskélion” di Roccalumera, in provincia di Messina, con “U Cannolu ca ricotta”). La Puglia si è aggiudicata il Campionato nazionale dei giochi popolari (da quest’anno con la nuova denominazione I giochi della tradizione popolare). “Italia e Regioni” propone anche la partita della Nazionale di calcio Fitp. In Toscana è andata in scena la sfida con i politici e bancari locali: 3-3, tutti felici e contenti. L’ultimo giorno, la domenica, è stato dedicato, come sempre, alla messa e alla parata. Quindi le premiazioni e lo scambio dei doni. E ora l’appuntamento 2013 a Isola di Capo Rizzuto. IL FOLKLORE D’ITALIA n. 04 / 2013 Spettacolo-Labora torio Narrare in scena: leggende, fiabe, favo le e racconti della tradizione popo lare Questo è il tema che i gr uppi dovranno preparar e per la 32.ma edizione di “Italia e Region i” in programma ad Is ola di Capo Rizzuto (Crotone) dal 13 al 15 settembre. I gruppi sono invitati a partecipare, mettendo in scena, nell’arco di 15 minuti, la trama e i contenuti di leggende, �iabe, favole e racconti che caratterizzano le pr oprie zone e regioni. Ai partecipanti verrà rilasciato uno speciale diploma di merito; ai soci che assisteranno e parteciperanno all’im portante momento dida ttico-formativo, durante il quale ci sarann o dibattiti e adeguate di scussioni, verrà dato un attestato di frequenz a. Una fonte da cui trarre le leggende, le �iabe, le favole e i raccolti da mettere in scena è il DVD allegato al volum e “Prima Etnogra�ia d’Italia”, curato dal pr of. Gian Luigi Bravo e consegnato a ciascun presidente che ha partec ipato all’Assemblea della Federazione tenutasi a San Giovanni Roto ndo lo scorso maggio. Nel DVD sono raccolte le tradizioni popolari do cumentate nelle due riviste “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, pubblicato dal 1882 �ino al 1909 da Giuseppe Pitrè e Salvat ore Salomone Marino, e “Rivista delle trad izioni popolari italiane ”, curata da Angelo De Gubernatis dal 1893 al 1895; ad entrambe le pubblicazioni hanno collaborato i più impo rtanti studiosi di etnogr a�ia del tempo, trascrivendo le tradizioni popolari delle diverse regioni e cosi consentendo oggi di veri�icare quali sono stati i proces si di trasformazione e di rifunzionalizzazion e di quelle tradizioni. www.fitp.org 11 Spett.le F. I. T. P. Presidente Benito Ripoli Via San Nicola, 12 71013 San Giovanni Rotondo (FG) E-mail:[email protected] Oggetto: e, p. c. ai componenti della Giunta F.I.T.P. Donatella Bastari E-mail: [email protected] Gesualdo Pierangeli E-mail: gesualdo.pierangeli@�itp.org Adesione Manifestazione “ ITALIA IN PIAZZA CON I CUOCHI” 2013 MODULO DI ADESIONE Il sottoscritto _______________________________________________________________________________________________________________________ presidente del Gruppo Folklorico/Associazione ________________________________________________________________________________ residente nel Comune di _______________________________________ CAP _____________________________________________________________ Provincia_____________________________________________________________________Regione______________________________________________ tel. __________________________________________fax______________________________________ cell.__________________________________________ CHIEDE di partecipare alla manifestazione “ITALIA IN PIAZZA CON I CUOCHI” 2013 con un proprio concorrente: NOME _________________________________________________ COGNOME _____________________________________________________________ Via _____________________N___________________ CAP __________________Comune______________________________ Prov __________________ alle seguenti condizioni: 1. Accettazione del regolamento generale, pena l’esclusione o l’annullamento della prova anche nel caso di parziale inadempienza. 2. Preparazione e offerta gratuita della pietanza tipica proposta (7 porzioni), in quantità adeguata, per una giusta prova di assaggio da parte dei componenti la giuria, accompagnata da un vino tipico locale o regionale. 3. Partecipazione, con a proprio carico la fornitura dei prodotti tipici e delle attrezzature necessarie per lo svolgimento della prova (tovagliato tipico, piano di lavoro in legno, contenitori tradizionali per la cucina: pentole, piatti posate e quant’altro possibile per una presentazione degli ingredienti il più possibile fedele alla tradizione). 4. L’organizzazione provvederà alla sola fornitura di tavoli e fornelli alimentati da corrente elettrica. Presa conoscenza del Regolamento il sottoscritto autorizza gli organizzatori, ai sensi del D.Lgs 196/2003, ad utilizzare i dati forniti per ogni tipo di diffusione, anche a mezzo stampa e TV, al �ine di promuovere e pubblicizzare la manifestazione in oggetto. Luogo e data _________________________ Firma leggibile _______________________________________________________ GRUPPO FOLK ____________________________________________________________________________________________________________________ MODULO RICETTA Città _________________________ Provincia _________________________________ Regione _______________________________________________ Nome della pietanza: ______________________________________________________________________________________________________________ COMPOSIZIONE DEL PIATTO: (ricetta e caratteristiche dei prodotti) _______________________________________________________________________________________________________________________________ INGREDIENTI: (Fare le dovute speci�iche: per la pasta / per la salsa…) _______________________________________________________________________________________________________________________________ PROCEDIMENTO: (descrizione delle fasi di cottura e della composizione del piatto) _______________________________________________________________________________________________________________________________ RICETTA IN DIALETTO: (elencare gli ingredienti) _______________________________________________________________________________________________________________________________ PROVENIENZA TERRITORIALE, TRADIZIONE E CONSUETUDINI: (brevi notizie sulle sue origini e sugli usi alimentari del contesto storico del piatto scelto) _______________________________________________________________________________________________________________________________ VINO CONSIGLIATO: (proprietà e cenni storici del vino) _______________________________________________________________________________________________________________________________ IL FOLKLORE D’ITALIA n. 04 / 2013 ITALIA E REGIONI 2013 Isola di Capo Rizzuto “ITALIA IN PIAZZA CON I CUOCHI” REGOLAMENTO La Federazione Italiana Tradizioni Popolari, con le attività collaterali previste nel programma del raduno nazionale dei gruppi folkorici “ITALIA E REGIONI”, promuove e organizza anche una manifestazione gastronomica denominata “ITALIA IN PIAZZA CON I CUOCHI”. 1. L’obiettivo è quello di realizzare un evento in grado di riproporre e diffondere quanto più possibile, in una fusione di usanze ed esperienze, le consuetudini dell’arte gastronomica delle diverse regioni italiane, con un appuntamento tematico legato al ciclo stagionale delle produzioni alimentari, alle attitudini agropastorali ed all’abilità delle massaie. 2. La partecipazione è riservata a tutti i gruppi foklorici affiliati alla Fitp che, con apposita domanda di adesione, chiedono di partecipare al concorso con un proprio concorrente, asperto gastronomo, cuoco professionista o amatoriale, oppure giovane allievo di istituto alberghiero regionale, in grado di proporre e preparare un piatto tipico della cucina tradizionaledel proprio territorio, in presenza di apposita giuria di esperti e liberi spettatori al momento presenti. 3. I partecipanti sono tenuti a preparare ed offrire in omaggio alla giuria un piatto tipico della propria tradizione, amalgamato dal vivo con tutti i suoi ingredienti e accompagnato da una descrizione verbale breve, che ne evidenzi l’originalità, la genuinità dei sistemi di confezione e le consuetudini storiche tramandate nel tempo. 4. La giuria preposta alla degustazione dei piatti in gara è designata dal comitato regionale Fitp della Regione che ospita la manifestazione e che si impegna a non presentare propri candidati in gara; essa è composta da un rappresentante di settore della Fitp, che coordina i lavori e redige il verbale, da quattro esperti e/o critici dell’arte gastronomica, da un rappresentante degli Enti territoriali e da un rappresentante di una associazione folklorica Fitp di tale Regione. Ambientale Presentazione del tavolo di lavoro per la esposizione degli ingredienti base da utilizzare, nel rispetto della ricetta tradizionale e in correlazione ai prodotti tipici esistenti nel territorio e non contaminati dalle sofisticazioni. Tecnico Compiutezza nella presentazione storica del piatto per evidenziare pratiche e consuetudini cristallizzate nel tempo; genuinità dei modi di manipolare e amalgamare i prodotti: qualità e abbondanza di materie schiette e tipiche. Qualitativo Degustazione per la valutazione della qualità, freschezza e genuinità del prodotto, della fragranza e coesione degli ingredienti nel pieno rispetto della ricetta tradizionale. 5. Ogni componente della giuria formulerà la propria valutazione attribuendo un punteggio da 0 a 10 per ciascuno dei suidicati elementi: ambientale,tecnico e qualitativo 6. La graduatoria finale scaturisce dalla somma delle valutazioni espresse da ciascun componente la giuria, per ogni concorrente, regolarmente riportate e sottoscritte in apposita scheda. Il presidente della Fitp Benito Ripoli ITALIA E REGIONI 2013 “ITALIA IN PIAZZA CON I CUOCHI” SCHEDA RISERVATA AI COMPONENTI DI GIURIA COMPOSIZIONE DELLA GIURIA E CRITERI DI VALUTAZIONE La giuria preposta alla degustazione dei piatti in gara è designata dal comitato regionale Fitp della Regione che ospita la manifestazione e che si impegna a non presentare propri candidati in gara; essa è composta da un rappresentante di settore della Fitp, che coordina i lavori e redige il verbale, da quattro esperti e/o critici dell’arte gastronomica, da un rappresentante degli Enti territoriali e da un rappresentante di una Associazione folklorica Fitp di tale Regione. Per ogni concorrente la giuria farà propria una valutazione che viene espressa con un punteggio variabile da 0 a 10 riferito a ciascun dei seguenti aspetti: Ambientale Presentazione del tavolo di lavoro per la esposizione degli ingredienti base da utilizzare, nel rispetto della ricetta tradizionale e in correlazione ai prodotti tipici esistenti nel ter- ritorio e non contaminati dalle sofisticazioni. PUNTI n. Tecnico Compiutezza nella presentazione storica del piatto per evidenziare pratiche e consuetudini cristallizzate nel tempo; genuinità dei modi di manipolare e amalgamare i prodotti: qualità e abbondanza di materie schiette e tipiche. PUNTI n. Qualitativo Degustazione per la valutazione della qualità, freschezza e genuinità del prodotto, della fragranza e coesione degli ingredienti nel pieno rispetto della ricetta tradizionale. PUNTI n. PER IL CONCORRENTE SIG. DEL GRUPPO FOLKLORICO O ASSOCIAZIONE LA VALUTAZIONE E’ DEI PUNTI COMPONENTE DELLA GIURIA SIG. FIRMA www.fitp.org la ricerca Voci alte Tre giorni a Premana Canto “selvaggio” del profondo Nord di Renato Morelli Etnomusicologo e Antropologo Visuale 14 Quando si parla di “canto popolare alpino”, il pensiero corre spesso (e quasi sempre ormai…) al mondo dei cosiddetti “cori di montagna”, nati all’inizio del Novecento sul “modello Sat” (dei fratelli Pedrotti), definito da Massimo Mila il “Conservatorio delle Alpi”. Indubbiamente questo movimento (con innumerevoli e qualificati seguaci, non solo nell’arco alpino) ha avuto il merito di far conoscere al mondo un repertorio di canti popolari di montagna unico e “storico”, raffinato in seguito dalla collaborazione con musicisti di straordinaria levatura (come Mascagni, Benedetti Michelangeli, Pedrotti ecc.). Si tratta in sostanza di canti “in origine” popolari, riproposti poi secondo la prassi della formalizzazione musicale “colta”, con passaggi armonici complessi, segni di dinamica (piano e forte), voci “educate”, presenza di un maestro-concertatore, ecc. Il modello è relativamente recente, in quanto è nato nel 1926. A questo punto sorge spontanea una domanda: prima, si cantava così? La risposta è scontata: No. Pur esistendo nelle piccole cantorie di montagna qualche episodio di “voci educate” (soprattutto in presenza del repertorio liturgico in lingua latina), la maggior parte dei gruppi di canto erano di tipo “selvaggio” (nel senso di non “educato”), con voci “generose”, emissione di gola, compressa e sempre di massima intensità, senza indicazioni di dinamica (sempre “forte”), con la sola presenza di tre voci (melodia, terza e pedale). Altra domanda: questo tipo di polivocalità (precedente la standardizzazione novecentesca sul “modello Sat”, e un tempo largamente diffusa nelle Alpi), risulta oggi definitivamente scomparsa? Risposta: Si. Pur con qualche rara e significativa eccezione (come ad esempio le litanie per la Grande Rogazione di Asiago, il Rosario cantato dei boscaioli del Primiero, la Messa da morto di Vermiglio ecc.). In questo contesto, l’eccezione forse più sorprendente è quella di Premana, in alta Val Sassina (Lec- co). Questo piccolo paese della montagna lombarda è il maggior produttore mondiale di forbici e uno dei maggiori produttori di coltelli. Oltre all’artigianato del ferro, vanta una particolare tradizione di canto polivocale “selvaggio”, che esplode in alcuni giorni del ciclo dell’anno. Una peculiarità esclusiva di Premana è infatti il cosiddetto “Tìir”, uno stile di canto urlato, potente, lento e sostenuto, nella tessitura acuta, al limite del grido. La grande trasformazione della struttura economica del paese, a partire dal secondo dopoguerra (quasi 200 officine artigiane a conduzione familiare e alcune medie industrie di circa cento operai, fino al mercato globale e la concorrenza con i cinesi), non ha cancellato il patrimonio della cultura tradizionale della comunità. Sembrano anzi rafforzati alcuni comportamenti comunitari tradizionali, che hanno come manifestazione unificante la pratica del canto corale: soprattutto la festa dell’Epifania, quando l’intero paese esegue il canto della Stella mentre si accompagna il corteo con i Re Magi a cavallo, preceduti da una stella illuminata, ma anche i past (pasti) sugli alpeggi (feste che segnano la fine del periodo estivo nell’alpeggio, il IL FOLKLORE D’ITALIA n. 04 / 2013 Nelle foto dell’autore alcuni momenti della tradizione a Premana cui abbandono veniva tradizionalmente accompagnato dal canto del bando) ed i matrimoni (momenti di forte aggregazione comunitaria, dove gli invitati eseguono a notte fonda, sotto la finestra degli sposi, il canto del matiné). Premana, è stato oggetto un’ampia ricerca etnomusicologica promossa dalla Regione Lombardia, condotta sul campo nella seconda metà degli anni Settanta da un gruppo di studiosi coordinati da Pietro Sassu. Gli esiti di questa ricerca rappresentano a tutt’oggi il contributo più importante elaborato da Sassu sull’etnomusicologia alpina, punto di riferimento obbligato per tutti gli studi successivi. Sassu è mancato improvvisamente nel 2001. Nel decimo anniversario dalla sua morte, nel 2011, chi scrive ha deciso di produrre e realizzare un film su Premana, in memoria di Pietro Sassu. Il titolo “voci alte” ha tre rimandi di significato: “alte” di intonazione, “alte” di volume, “alte” s.l.m. (il paese è il più “alto” della Valsassina) Il film documenta i tre giorni più significativi per la tradizione del canto premanese: Past (8 agosto), Corpus Domini (6 giugno) Tre Re (5 gennaio). Primo giorno: Past (8 agosto). Nelle montagne sopra Premana ci sono 12 alpeggi. Durante la stagione estiva le donne e i bambini si trasferiscono qui, per pascolare il bestiame, lavorare il latte, fare il burro e il formaggio. Al termine del periodo di monticazione, ogni alpeggio organizza il past, un grande pasto rituale, al quale partecipano gli alpigiani locali e limitrofi. Dopo il pranzo inizia la festa, con l’esplosione dei canti tradizionali che coinvolge tutta la comunità e che dura fino a notte inoltrata. Secondo giorno: Corpus Domini (6 giugno). Per la processione del Corpus Domini, il centro storico di Premana subisce in pochissimo tempo una trasformazione radicale. Fin dalle prime ore del mattino, tutto il percorso processionale viene interamente ricoperto e addobbato con drappi, lenzuola, tendaggi, quadri, pizzi, fiori freschi. La processione è aperta dalle antiche confraternite. I canti sono quelli previsti dalla liturgia. Conclusa la processione, prima di pranzo tutti gli addobbi vengono velocemente smontati. Terzo giorno: Tre Re (5 gennaio). La vigilia dell’Epifania, i “coscritti” ventenni, a cavallo, vestiti da Re Magi, guidano il corteo dei cantori attraverso le vie del centro storico. Ad ogni fermata viene intonato il tradizionale canto di questua, eseguito con grande intensità da tutta la comunità. Il giorno dell’Epifania, il canto dei Tre Re esplode per l’ultima volta all’interno della chiesa, coinvolgendo tutte le “voci alte” di Premana. Il film è stato selezionato da diversi festival (Film Festival della Lessinia, Swiss Mountain Film Festival, Religion Today, Traditional Polyphony, Tbilisi, Georgia, ICTM Traditional Music, Tiranë, Albania, Days of Ethnographic film, Ljubljana). Nel 2012 è stato premiato con il Grand Prix - Turon d´Oro al 17° Film Festival Etnofilm Čadca 2012. Il festival rappresenta l’appuntamento più importante in Slovacchia e paesi limitrofi (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Austria) con i film dedicati alle culture tradizionali, all’etnologia, all’antropologia sociale e culturale. Il lungometraggio sta per essere pubblicato in un DVD book per l’editore romano Squilibri in collaborazione con l’Archivio di entografia e storia sociale della Regione Lombardia: il DVD con il film completo sarà integrato da una serie di capitoli extra (i canti del film in versione integrale, costruzione delle forbici con tipologia, fasi lavorative, modelli, e varie interviste). Il volume ospiterà alcuni saggi mirati, trascrizioni musicali, e una ristampa del saggio di Sassu. (chi è interessato può inviare una mail al curatore: info@ renatomorelli.it). la ricerca Preghiera di pietra Il pellegrinaggio al Santuario di Novi Velia di Enzo Vinicio Alliegro Docente Aggregato Università di Napoli “Federico II” 16 E’ la seconda domenica di ottobre a sancire l’epilogo del ciclo di festeggiamenti al Santuario mariano di Novi Velia, in provincia di Salerno. Con l’avvento inesorabile della stagione invernale, la cima del monte Gelbison, uno dei più imponenti massicci dell’Appennino meridionale (1.703 m), si accinge a coprirsi di un soffice manto bianco. Le ampie fronde dei faggi secolari che nel corso dei mesi estivi hanno fornito refrigerio ai pellegrini nelle calde ed assolate ascese verso la sommità, si curvano verso il suolo, mentre tempeste di neve chiudono l’accesso alla vetta che resta nascosta per lunghi mesi in un fitto alone di nebbia. Sembra quasi che sul sagrato del santuario, dal quale è possibile conquistare con lo sguardo scenari suggestivi e sorprendenti, cali il sipario, proprio mentre gli echi dei pellegrini campani, lucani e calabresi che nel corso dei mesi estivi si sono succeduti sul monte secondo un calendario festivo fissato rigidamente dalla tradizio- ne, si perdono nel rigore silenzioso dell’inverno. Spetterà ai paesi della Calabria aprire il ciclo festivo del nuovo anno, seguiti da quelli della Basilicata ed infine da quelli della Campania. Il Santuario di Novi Velia è quindi di carattere extra regionale, con un’area d’influenza che investe i territori racchiusi nei confini delimitati a nord dal fiume Sele, a sud dal fiume Lao, ad est da una linea di demarcazione che congiunge Potenza a Rotonda (Potenza) sino a giungere a Verbicaro, in Calabria. Tale confine territoriale rinvigorisce l’ipotesi dell’origine basiliana del Santuario, in quanto corrisponde agli insediamenti basiliani (monaci di osservanza greco-bizantina) del Mercurion (Calabria settentrionale), del Latinianon (Basilicata nordovest, Campania sud-ovest) e del monte Bulgheria (Cilento). Ipotesi che sarebbe oltremodo rafforzata da dati di carattere iconografico: la statua della Madonna ha un volto bruno allungato e reca il Bambino sul braccio sinistro. La ricostruzione storica consente al momento di risalire al XIV secolo, quando Filippo Santomagno, vescovo di Capaccio donava il Santuario a Tommaso Marzano, signore di Novi, perché questo a sua volta lo cedesse ai monaci Celestini che lo amministrarono fino al 1807, quando venne nuovamente annesso alla diocesi di Capaccio. Ben più suggestiva della ricostruzione storica quella popolare secondo la quale il Santuario sarebbe sorto in seguito ad alcuni avvenimenti prodigiosi. La leggenda di fondazione narra che alle falde del monte Gelbison gli abitanti di Novi Velia si accingevano ad edificare una chiesetta in onore della Madonna e malgrado serpeggiasse tra la popolazione un entusiasmo autentico ed i lavori proseguissero con assoluta diligenza, tutto ciò che si costruiva veniva ritrovato, all’indomani, totalmente distrutto. Per porre rimedio si decise di vigilare il cantiere: nel corso della notte alcuni custodi portarono per la cena un agnello che riuscì a mettersi in fuga raggiungendo la vetta. I custodi si misero subito sulle tracce dell’agnello che venne ritrovato, con grande stupore, sulla parte culminante del monte, in prossimità di una nicchia con all’interno una statua della Madonna. Avvertite le autorità ecclesiali, fu fatta una ricognizione e si decise di edificare su quel luogo il Santuario e di dare vita ad un pellegrinaggio solenne che, da allora, si ripete ogni anno, secondo la reiterazione rituale di un modello archetipale. La salita alla cappella lungo le pendici del monte è scandita da una serie di atti rituali che introducono il pellegrinaggio nell’area sacra, oltre il confine della quotidianità. L’ascesa è condotta in uno spazio che partecipa della sacralità del Santuario posto sulla vetta, ma che al tempo stesso si differenzia per una sacralità di diverso grado. Non più spazio profano, ma non ancora spazio sacro. Piuttosto terra di limite, spazio di margine che separa l’area sacra, la vetta del Santuario, dall’area profana, quella circostante, posta al di fuori dei confini segnati dalle pendici del monte. Un momento suggestivo del pellegrinaggio a Santuario di Novi Velia (foto E. V. Alliegro) Sulla vetta del Gelbison, nel passato, i pellegrini giungevano dopo vari giorni di cammino. Coloro che provenivano dalla Lucania e dalla Calabria, fatta una breve sosta a Rofrano, riprendevano il cammino oltrepassando le acque del torrente Sagrato, mentre i pellegrini provenienti dal Cilento, riposatisi a Novi Velia, proseguivano guadando il torrente Freddo. L’immersione a piedi scalzi nelle acque gelide, ripetuta per tre volte, costituiva un rito di purificazione al quale nessun pellegrino osava sottrarsi. Quelli provenienti da Novi, ovvero dall’area cilentana, proseguivano l’ascesa con un’azione rituale fortemente simbolica e del tutto assente nella tradizione lucana e calabrese: per recarsi nello spazio sacro attraversavano un anfratto, una sorta di soglia simbolica, che suggellava ed attestava il passaggio da una specifica condizione ad un’altra. Baciato un grosso masso, il masso della Madonna, quello sul quale si sarebbe seduta la Madonna stessa, i pellegrini cilentani proseguivano alla volta di un rito riservato ai neofiti: per accedere alla vetta, infatti, era necessario trasportare sul capo una pietra che veniva deposta su un grosso cumulo, laddove il sentiero si congiungeva con quello percorso dai pellegrini provenienti dalla Calabria e dalla Lucania. Mentre in passato il cumulo di pietre costituiva una tappa intermedia, oggi è tale punto a segnare l’avvio all’ascesa in quanto vi si giunge comodamente con automobili ed eleganti autobus percorrendo una strada ultimata da pochi anni. Malgrado sia sopraggiunto tale mutamento nella parte iniziale dell’ascesa, il tratto finale, quello che separa il cumulo di pietre dalla vetta dove è posto il Santuario, viene percorso oggi senza alcuna significativa differenziazione rispetto al passato. I comportamenti rituali sono pressoché rimasti immutati, codificati in rigidi sistemi culturalizzati e trasmessi dalla tradizione, aperta naturalmente alle sollecitazioni dei tempi nuovi. I pellegrini giunti vicino al cumulo vi girano intorno ben tre volte. Al termine dei tre giri, affinché nel gruppo non vi siano peccatori e le richieste di grazia possano essere esaudite, i pellegrini si apprestano a realizzare una riconciliazione collettiva, a stringersi la mano in segno di pace. Si riprende il cammino e si giunge nelle prossimità delle vetta innanzi ad una croce di pietra intorno alla quale si compiono ancora tre giri. Altri tre giri infine intorno alla cappella, prima dell’ingresso, alla volta della sacra immagine, in cima alla vetta. Alla fine dell’ascesa, quindi, saranno tre i punti intorno ai quali i pellegrini hanno girato per tre volte. A differenza dello spazio definito di margine, la vetta è pervasa da una sorta di aura sacra che si irradia nell’ambiente circostante. Le acque, i prati, i massi non sono quelli che è dato incontrare in qualsiasi altra vetta appenninica, ma sono quelli particolari, straordinari, dello spazio sacro. Da una parete rocciosa sgorga un rigagnolo d’acqua ritenuto miracoloso; in un prato, denominato il giardino della Madonna, crescono erbe e fiori raccolti e portati a casa. Ancora, sulla vetta, un grosso sperone roccioso molto particolare: opportunamente interrogato può riuscire a fare breccia nel futuro ignoto dei pellegrini, a profetizzare se l’anno successivo con l’apertura del Santuario, l’ultima domenica del mese di maggio, con il sole ritornato splendente e maestoso, con le fronde dei faggi protesi verso l’alto, essi saranno ancora là, sulla vetta del monte Sacro, ad invocare e ringraziare la Madonna di Novi Velia. L’articolo è particolarmente indicato per i gruppi che dovranno partecipare alla prossima Rassegna del documentario etnografico. www.fitp.org 17 la ricerca Studiare e coltivare la cultura del Cicolano Così gli “Zanni” ne sono testimoni unici di S. Luciano Bonventre Presidente Associazione Culturale “La Compagnia degli Zanni” 18 Recentemente, all’interno della Fitp si sta svolgendo un interessante dibattito sulle finalità dei nostri gruppi, ossia l’ideologia ultima che sostiene la nostra azione, e le caratteristiche della nostre performance sui palcoscenici di tutta Italia. In particolare, la Consulta scientifica sta stimolando i sodalizi ad assumere una maggiore e rinnovata consapevolezza della propria “funzione sociale, culturale e pedagogica nel conservare e riattualizzare, tramite le rappresentazioni, i patrimoni etno-antropologici delle rispettive regioni e comunità” (Atzori, 2012), invitandoli “in virtù di tale consapevolezza” a “rifarsi più sistematicamente al patrimonio di conoscenze e documentazione elaborato dagli studiosi, affinché le tracce del passato pazientemente ricostruito non si rivelino in realtà un presente ‘taroccato’” (Bravo, 2013). Come presidente dell’Associazione culturale “La Compagnia degli Zanni” di Pescorocchiano (Rieti), mi è sembrato perciò giusto interrogarmi sulla direzione della stra- da che il mio gruppo folklorico sta percorrendo e sulle sue modalità operative. La nostra formazione è nata nel 1995 con l’organizzazione spontanea del Carnevale tradizionale, da cui prendiamo il nome, e si è poi costituita ufficialmente nel 2001, anno in cui avvenne la prima affiliazione alla Fitp. Come primo approccio sono andato a rileggere gli scopi che ci prefiggemmo, forse in modo un po’ ingenuo, nello statuto redatto dodici anni fa: “Costituire una compagnia di ballo, canto e teatro e organizzare una serie di rappresentazioni a carattere teatrale, comprensive di danze e motivi popolari, per far conoscere, divulgare e apprezzare il patrimonio di stornelli, satire, favole e aneddoti caratteristici della tradizione orale contadina tipica del Cicolano e dell’area appenninica; in particolar modo far rivivere i consueti appuntamenti di festa del mondo rurale come, ad esempio, il “Ballo della Pantasima” o il “Carnevale degli Zanni”, e promuovere la cultura del Cicolano anche all’esterno della Valle del Salto” e ancora “favorire la creazione di un patrimonio documentario, su argomenti attinenti al punto precedente, costituito da beni librari, archivistici, audiovisivi e multimediali, per consentirne la più ampia fruizione non soltanto ai soci ma all’intera collettività”, “promuovere l’ideazione di progetti specifici di ricerca documentata su argomenti di propria pertinenza, perseguendo il fine del rilievo scientifico delle diverse iniziative”, e, infine “offrire un luogo d’incontro anche sulle problematiche di carattere sociale, per l’elaborazione di proposte di interesse locale, interprovinciale e interregionale, che consentano di individuare e valorizzare le risorse umane del Cicolano”. Un programma chiaro, dunque, che con il passare del tempo abbiamo cercato, nei limiti del possibile, via via di realizzare. Lo studio scientifico della nostra tradizione è stato composto da quattro momenti essenziali: la consultazione di fonti bibliografiche a carattere locale, da segnalare soprattutto i volumi di Roberto Marinelli, I Paladini di San Carneale, per quanto riguarda il rituale carnascialesco, di Luciano Sarego, L’albero e la memoria, per le favole e le fiabe, di Eugenio Maria Cirese, Canti popolari della Provincia di Rieti e di Ivan Cavicchi e Tamara De Gasperis, Cultura popolare del Cicolano, per canti e stornelli; la ricerca di fonti d’archivio come per esempio il Catasto di Pescorocchiano del 1750, la Statistica sulle condizioni e la sussistenza della popolazione del Mandamento di Borgocollefegato del medico Angelo Santori di S. Stefano di Corvaro del 1810, la Statistica sulla topografia fisica del Circondario di Cittàducale di Felice Martelli di Fiamignano del 1811 e gli apprezzi del corredo della dote femminile, tutti preziosi documenti dai quali sono state tratte indicazioni sulla foggia, i colori ed i tessuti dell’abbigliamento nel Cicolano tra il XVIII e XIX secolo e sulla base dei quali sono stati confezionati gli abiti dei componenti il gruppo; la ricerca sul campo con la raccolta di interviste a persone anziane del posto: il noto antropologo Alberto Mario IL FOLKLORE D’ITALIA n. 04 / 2013 Un momento di intrattenimento e di folklore con gli “Zanni” Cirese nel suo articolo del 1951 su Girgenti, frazione di Pescorocchiano, Come mi suoni, Commare, ti ballo aveva intuito come il Cicolano fosse una zona assai conservativa e pertanto questo lavoro si è dimostrato ricco di scoperte e di sorprese, specialmente nel campo dell’etno-coreologia, dove in collaborazione con il prof. Giuseppe Michele Gala del Centro Studi Taranta, si è enucleata la struttura morfologica della saltarella locale e delle sue varianti; infine, un utile momento è stato il lavoro di riscontro del patrimonio immateriale rinvenuto con altro materiale bibliografico riguardante il Lazio, l’Abruzzo o, più in generale, l’Italia intera, al fine di precisare il corpus di leggende, canti, racconti e proverbi cui attingere. Su queste fondamenta si è impostato il repertorio scenico del gruppo. Oggi una rinnovata consapevolezza del ruolo di un gruppo significa sapere interpretare in chiave attuale la cultura del proprio territorio. In questo senso, bisogna sforzarsi di confrontare il passato con il presente e mettere, per usare una metafora, in controluce le tradizioni, valutando la loro vitalità e, nel caso questa fosse un po’ fievole, cercando il metodo giusto per dargli nuove funzioni e nuovo smalto. Alcune tradizioni sono, per così dire, come quelle suppellettili dimenticate sotto un filo di polvere in cantina, che se debitamente spolverate diventano degli oggetti di pregio da esporre nella sala buona per farli ammirare. Nel nostro caso, se da un lato la suggestiva Pantasima, un fantoccio con dei fuochi pirotecnici azionato all’interno da un ballerino, viene ballata tuttora costantemente in ogni festa patronale della Valle del Salto, dall’altro la stessa saltarella e il Carnevale degli Zanni avevano intorno agli anni ’70 perso lo slancio. Però già i nostri genitori e i nostri zii li avevano praticati e vissuti autenticamente in gioventù, per cui è bastato pochissimo per far tendere il filo allentato della tradizione. Le principali rappresentazioni sono avvenute nell’ambito di uno spettacolo multidisciplinare che spazia dalla danza, al canto e al teatro dal titolo l’Arte di tener favella e con delle scenette rigorosamente in dialetto incentrate sul personaggio di Tuttopera, nome cicolano del protagonista di tanti racconti contadini. Entrambi questi appuntamenti sono diventati dei veicoli straordinari di diffusione del patrimonio immateriale: puntualmente, dopo ogni esibizione, in paese si parlava dei motivi presenti nella stessa e tutti ricordavano e/o chiedevano spiegazioni al riguardo. Così stornelli in endecasillabo ed espressioni dialettali semi-dimenticati sono oggi ripetuti e “postati” anche su social network come facebook, folletti dell’immaginario di un tempo come i Mazzamorelli sono tornati familiari e canti come Maria Nicola o balli come la quadriglia eseguiti liberamente in ogni occasione di festa. E a dir la verità, sono state proprio le occasioni classiche di festa comunitaria come i matrimoni, il Carnevale, i diversi appuntamenti e pellegrinaggi religiosi le performance in cui il processo di rifunzionalizzazione delle tradizioni si è compiuto in modo più schietto. Ad esempio, l’usanza del dono di canestri ricolmi di pane e cibarie varie ed infiocchettati con nastri multicolori ai futuri sposi pochi giorni prima delle nozze, praticata fino alla fine degli anni ’60, è da alcuni anni di nuovo effettuata in quasi ogni matrimonio, diventando una preludio insostituibile dello stesso e assolvendo la funzione di far partecipi dell’avvenimento anche gli appartenenti alla comunità non invitati ufficialmente alla celebrazione. Dalla passione per il territorio alla performance, passando per lo studio delle tradizioni. Questa è la strada che abbiamo percorso e nel compiere il cammino ci siamo accorti di quanto sia davvero entusiasmante interpretare la cultura d’appartenenza. Un entusiasmo che sentiamo e sappiamo di condividere con tutti i gruppi e i componenti dei gruppi appartenenti alla Federazione italiana tradizioni popolari, insieme ai quali siamo lieti di essere coscienti della nostra funzione e di lavorare affinché tale consapevolezza diventi sempre più fruttuosa. Biogra�ia M. Atzori, La memoria lunga i saperi tradizionali e l’attuale funzione dei gruppi folklorici, in “Il Folklore d’Italia. Notiziario bimestrale. Rivista Federazione Italiana Tradizioni Popolari”, anno XIV n. 6, novembre-dicembre 2012, pp. 18-23. G. BRAVO, Introduzione in GIAN LUIGI BRAVO, a cura di Prima etnografia d’Italia. Gli studi di folklore tra ‘800 e ‘900 nel quadro europeo, Franco Angeli, Milano, 2013. A.M. Cirese, Come mi suoni, Commare ti ballo, in Avanti del 3 novembre 1951. A.C. La Compagnia degli Zanni di Pescorocchiano, Statuto e Atto costitutivo, 5 gennaio 2001. www.fitp.org 19 la ricerca Cantare le uova Questua di primavera di Laura Bonato Ricercatore Universitario 20 In passato, durante la Settimana santa, e spesso per tutto il periodo quaresimale, nell’area rurale del Piemonte meridionale era diffusa la questua delle uova, cantè j euv. Al tramonto, e fino a notte inoltrata, gruppi di giovani peregrinavano di casa in casa, visitavano le cascine più isolate, entravano in ogni aia intonando un canto atto a propiziare fortune domestiche. In cambio chiedevano un’offerta in prodotti alimentari – soprattutto uova – che sarebbero poi stati consumati in un pranzo collettivo il lunedì dell’Angelo. Accompagnati dalla fisarmonica, il cui suono costituiva la base musicale del canto, e alla quale potevano aggiungersi il clarinetto, la chitarra e il tamburo, i giovani intonavano la canzone che elogiava la casa e i suoi padroni, a cominciare dalla don- na, alla quale andavano complimenti e auguri di salute e di prosperità; seguivano poi strofe di saluto e di elogio per tutti i membri della famiglia. Il motivo conosceva molte varianti ed era formato da quartine il cui numero variava a seconda della composizione della famiglia alla quale era rivolto. Se da un lato si improvvisavano quindi strofe di saluto e di complimento per ogni membro della famiglia visitata, e se ne adattavano altre a varie situazioni, si consideri che tale estemporaneità era però in un certo senso controllata: i cantori erano infatti del posto e ben conoscevano gli abitanti della casa. Spesso dopo l’esibizione i questuanti venivano invitati ad entrare per mangiare e bere, cantare con gli ospiti e chiacchierare. Poteva però capitare che gli abitanti della casa non rispondessero all’invito, che le luci rimanessero spente e le porte non si aprissero: i giovani allora indirizzavano alla famiglia una strofa di malaugurio. Il gruppo di questuanti era esclusivamente maschile e spesso andava alla ricerca di quelle abitazioni dove c’erano le ragazze: in tal senso cantè j euv era anche un’occasione di conoscenza e incontro tra ragazze e giovanotti. La questua delle uova, contemporaneamente dispensatrice e propizia- trice di abbondanza, rispettivamente per coloro che ricevevano e per chi invece donava, rinnovava ritualmente l’appartenenza alla comunità locale e rurale dei questuanti e degli utenti, ed era una cerimonia con semplici meccanismi di attuazione, pur completati da ricchezza e complessità di codici: comportamentali, simbolici, musicali, canto, scambio di risorse ecc. Dopo essere caduta in disuso nel secondo dopoguerra, la questua delle uova è stata rivitalizzata e negli ultimi anni è diventata oggetto di importanti iniziative volte alla riproposta e al recupero delle tradizioni locali e contadine1. A Casal Cermelli, una piccola località della pianura alessandrina che conta circa 1200 abitanti, essenzialmente agricola ad indirizzo orticolo e cerealicolo, la questua delle uova non è mai stata interrotta e, nel pieno rispetto della tradizione, solo il venerdì e il sabato prima di Pasqua il gruppo di cantori girovaga per cascine e case del paese. Si registrano però alcuni cambiamenti che riguardano, fatto non irrilevante, non la struttura portante del rito ma i comportamenti collettivi. Questo appuntamento è stato “ufficializzato” nel 2001 nella manifestazione denominata Cantè j’ov, organizzata dalla Pro loco e affidata ad un solo IL FOLKLORE D’ITALIA gruppo, quello dei Calagiubella, i cui membri hanno sempre questuato insieme. In passato erano diversi i gruppi che, autonomamente e indipendentemente l’uno dall’altro, giravano a cantare: i doni ricevuti venivano poi consumati privatamente dai soli questuanti. Gli esecutori un tempo erano i giovani del paese, di sesso maschile, alcuni dei quali sono diventati gli attuali attori, coloro che si sono assunti il compito di promuovere la questua delle uova all’esterno. Le competenze per farlo derivano dalla pratica, come si è accennato, mai sopita. Questa investitura è stata presto legittimata dalla popolazione, che ha ricominciato ad attenderli e a preparar doni. Le due serate del cantè j’ov, venerdì e sabato, sono ben distinte e assai diverse: più genuina la prima, pubblicizzata e spettacolarizzata quella successiva. Il sabato sera, dopo la messa, intorno alle 22, i cantori arrivano a piedi, suonando, nella piazza principale del paese, dove li attende il pubblico, composto anche da molti visitatori esterni. Un grande falò è già acceso al centro e c’è un ricco banco allestito dalle cuoche della Pro loco, che invitano gli astanti a degustare uova sode, salamini, farinata, vino e la specialità locale, la torta di mandorle. I questuanti intonano la canzone sotto le finestre e le terrazze di alcune famiglie che, al termine dell’esibizione, calano un cestino con le uova. Diversi complessi musicali provenienti da altre zone e province del Piemonte allietano poi il pubblico suonando sul palco allestito in piazza; spesso si esibiscono anche gruppi che propongo- no danze tradizionali. Rispetto a quella canonica, la “nuova” questua del sabato sera presenta una morfologia irrispettosa del passato, proponendosi sul palco che è il centro del paese. Tutto ciò, unitamente alle numerose richieste di visita dei questuanti da parte degli abitanti del paese, è stato indubbiamente percepito dai Calagiubella che nel 2003 hanno “inventato una tradizione”. Il venerdì santo, appena fa buio, con una decina di questuanti salgono su un carro trainato da un trattore che, in base ad accordi precedentemente stabiliti, visita alcune case e cascine. Penso però che, malgrado le reciprocità siano preventivamente concordate, il peregrinare dei Calagiubella e del loro seguito conservi una certa spontaneità: non potrebbe essere altrimenti perché l’artificiosità – apparente – insita nell’accordo relativo alla visita si stempera nell’inventiva che comunque si manifesta durante la questua e che va al di là dell’evento pianificato. Ci sono sempre, inevitabilmente, dei “fuori programma” che stimolano il gruppo innanzitutto a trasgredire le regole del contesto canoro prolungando la canzone con strofe estemporanee; la mia stessa presenza, a volte con colleghi e studenti, crea indubbiamente un diversivo! E’ decisamente più “ingessato” e poco flessibile invece l’impianto cerimoniale del sabato sera, motivato anche dal fatto che inizia rigorosamente dopo la messa e, obbligatoriamente ha uno spazio d’azione di un paio di ore perché prolungarlo comporterebbe disturbo agli abitanti. Esattamente n. 04 / 2013 come un tempo, cantare le uova la vigilia di Pasqua genera dissapori con il parroco; ma se la questua, in passato ovunque rappresentata durante la Quaresima, periodo di penitenza e di digiuno, si configurava come una trasgressione, a Casal Cermelli, mantenendo questa provocatoria alterità rituale, diventa una vera e propria strategia fondamentale per la sopravvivenza della comunità. La questua è uno dei “luoghi d’incontro” dei casalcermellesi: il perpetuarsi di questa cerimonia è il consapevole desiderio della comunità di riconoscersi e affermarsi attraverso il suo reiterarsi. Considero di estrema rilevanza che a cantare le uova a Casal Cermelli siano ancora le stesse persone da quarant’anni a questa parte, accompagnati però da giovani ai quali stanno trasmettendo il sapere attivo del rituale. L’innovazione del venerdì, che si svolge a rete sul territorio, ridisegna ritualmente i confini della comunità, che non coincidono con quelli amministrativi2, e consente di mantenere attivo un circuito sociale e di relazioni. E’ importante notare che nella questua non ci sono ruoli distinti di attori e spettatori: gli attori infatti non sono solo coloro che passano di casa in casa a cantare ma anche gli ospiti che attendono la visita dei questuanti e che, per l’occasione, preparano l’offerta o, addirittura, organizzano un banchetto. Nel momento stesso in cui gli utenti aprono la porta per accogliere i cantori è come se la aprissero su un palcoscenico perché entrano a far parte, da protagonisti, della rappresentazione. 1. Dal 2001 la pratica della questua delle uova in Piemonte è diventata una grande manifestazione denominata Cantè j euv Roero: nel mese di marzo i singoli gruppi di questuanti cantano le uova nel loro paese, poi si ritrovano per una grande manifestazione con spettacoli, canti e danze. La kermesse finale è itinerante e negli anni ha avuto luogo in vari paesi del Roero, della Langa e del Monferrato. 2. Ne è un esempio la Cascina Torre, posta sul territorio del comune di Frugarolo, i cui abitanti si riconoscono nella comunità di Casal Cermelli, e che i questuanti non mancano di visitare ogni anno. www.fitp.org 21 la ricerca La Valle Varaita Culla delle tradizioni di Luisa Perla Ricercatore Universitario 22 La Valle Varaita a buona ragione è considerata la culla del mantenimento e della riscoperta delle tradizioni per la presenza nel territorio di molte feste tradizionali religiose e non (come quelle legate alle badie carnevalesche, le maschere del Magnin, il Carnevale di Bellino, la Baìo di Frassino, la Beò di Bellino e la Baìo di Sampeyre), che scandiscono il tempo festivo e rituale della Valle. Tra queste è da sottolineare la badia di Sampeyre, perché rappresenta un tratto etnico della tradizione locale molto importante, caratterizzata da una notevole complessità rituale, e perché grazie ad essa è stato possibile tramandare nel tempo un vasto repertorio di danze e di musiche, che in altro modo sarebbero state obliterate. Grazie al rinnovamento di questo tempo festivo la Valle ha custodito e tramandato un vasto patrimonio musicale: il patrimonio più ricco di tutte le valli occitane. Questa valle è infatti quella che ha conservato il maggior numero di danze popolari; nel territorio di otto Comuni si contano 22-23 danze, prescindendo dalle varianti locali (Peron,1998, p.7). Alla loro conservazione ha contribuito la Baìo di Sampeyre, che prevede l’esecuzione delle danze tradizionali locali quali: la courento, la gigo, lou balet, la courento de Coustiole, la coutrodanso, la tresso, la bourèo de San Martin, la buréo vieìo, la courento de l’espech, lou rigoudin, la troumpezo, lou calissoun, la mésquio, lou moulinet, mentre vengono eseguite raramente la cadrìo de San Péire, la gamàoucho, la tolo doubio, la tolo sembio e l’espouzin (Bertone, 1998, p.99). La trasmissione delle danze è inoltre dovuta alla tradizione musicale documentata dai brani del violinista Juzep da’ Rous (Giuseppe Galliano, 18881980) di Sampeyre, il suonatore più importante per la musica delle Valli Occitane e riferimento indiscusso per la tradizione violinistica della Valle Varaita che ha trasmesso numerose Courente, una Tresso e vari Balet. E’ da ricordare il Bornh d’en Chambeto (Giovanni Antonio Fina, 1912-1976) un violinista meno conosciuto che ha trasmesso la Bouréo de San Martin con Balet (secondo la struttura più antica) (Peron, 1998, p.7). Il violino vanta dunque una significativa tradizione nella valle: e’ stato suonato a corde doppie, secondo la tradizionale tecnica popolare, ed è stato utilizzato da solo in alcuni brani di valore assoluto: la Gigo, e la Gigo viéio di Bellino e la Chansoun di espouze (Boschiero G, 1985). La tradizione del semitoun (fisarmonica semitonata), è documentata dai brani di Jouann Bernardi (Giovanni Bernardi, 1904-1979) di Sampeyre che ha contribuito a mantenere viva la tradizione attraverso l’elaborazione di un repertorio molto vasto. Sono da ricordare diverse Courente, la Bouréo vièio (spesso detta semplicemente Vièio), la Courento de Coustiole, la Gigo, il Balet, la Polca e il Valzer. Anche la Coutrodanso di Juspin Sezet (Giuseppe Spirito Garnero, 1888-1938) di Sampeyre è stata tramandata da Jouann Bernardi (Bertone, 1998; Perla L., 2011) Segue una breve descrizione delle danze quali la Gigo , la Courento, Lou Balet e la Tresso. La Gigo è la regina delle danze dell’Alta Valle Varaita, il tempo è in 2/4. Rappresenta una delle monodie più significative della musica popolare; il suo sviluppo si articola su due toni (do-fa), in modo da garantire una ripetizione in forma ciclica che è propria della musica modale. La danza si esegue tra due coppie che si dispongono in quartetta, affiancate, con rispettivamente la dama di fronte e la contro partner a sinistra. Le coppie si posizionano nel mezzo del sito del ballo ed eseguono un balâ e un virâ prima con il proprio partner e poi con il contro partner. Nella seconda parte le coppie formano una catena inglese, si intrecciano dando il braccio destro al contro partner, poi si avanza e gira appoggiando il sinistro al partner del ballo, fino al termine della parte musicale al fine di riposizionarsi al punto di partenza. Anche la Gigo è seguita da Lou Balet. La grondo Gigo è tipica di Casteldelfino (alta Valle Varaita), e a differenza della Gigo indica una serie di quattro danze e rispettivamente la Gigo, Bouréo, Tour e Balet. E’ eseguita in modo da essere ballata da dodici persone (Boschiero G. , 1985) La Courento è un ballo che richiede un numero indefinito di coppie che IL FOLKLORE D’ITALIA n. 04 / 2013 I Balerin del Bal Veij ‘d Sanfront occupano il sito del ballo in ordine sparso. In Val Varaita è una danza eseguita da coppie che si dispongono in cerchio, gli uomini all›interno, le donne all›esterno con il braccio sinistro sulla schiena del compagno che le tiene col braccio destro per la vita. Si comincia con una passeggiata, meiro, ci si ferma, le coppie si girano di fronte tenendosi per le mani e fanno un balletto col passo tipico della valle (balar), seguiti da alcuni giri (virar), si ripete il balar e il virar, fino che la melodia cambia per lou balet (parte finale che chiude tutte le danze) dove i cavalieri fanno un virar con tutte le dame del cerchio. E’ interessante sottolineare come la Courento della Val Varaita pur possedendo una struttura simile a quella delle altre valli, perché possiede le figure del camminare, ballare, girare, ballare girare, presenta alcune peculiarità. La differenza è da ricercarsi nello stile, nel portamento della camminata, nella maggiore semplicità del passo nel ballare e soprattutto nella velocità di esecuzione. In tale Valle le Courento vengono suonate in modo più lento rispetto a quelle della Val Vermenagna, Val Chisone e Germanasca (Peron, 2007, p.8).Al contrario in Val Vermenagna le coppie non formano un cerchio e percorrono l’ën- dâ a ‘spas in senso antiorario. Il ballo prosegue con il ballare, balâ, il girare in senso antiorario virâ, nuovamente il balâ e si conclude con il girare in senso orario dësvirâ. Esistono alcune varianti delle figure della Courento che venivano praticate un tempo soprattutto in spazi ristretti, come ad esempio nelle stalle durante le veglie (Peron, 2007, p.9). Lou Balet si balla sul posto con le coppie in ordine sparso. La prima figura è il ballare, molto più lungo di quello della courenta; seguono il virâ, in senso antiorario, ed il dësvirâ nell’altro senso. È eseguito sempre più di rado essendo più faticoso della courenta, soprattutto per la lunga durata del balâ (Peron, 2007, p.9). Anche il Balet presenta alcune differenze: in bassa e media Val Varaita fino a Sampeyre, il Balet non è una danza a sé stante, ma è diventata la parte di chiusura, la coda, alle numerose tipologie di danze presenti, ed è ballato in modo diverso a seconda della danza che lo precede e l’estro dei suonatori (Perla L., 2011). La Tresso è formata da quattro sezioni opportunamente ripetute per dare vita ad una delle musiche più vaste ed articolate dell’Alta Val Varaita. Il tempo è 2/4. E’ ballata da tre coppie di ballerini disposta in fila una dietro l’altra (Boschiero G., 1985). La danza si compone di due parti: nella prima parte la coppia di testa, unita con presa da valzer, parte per un galop verso il centro della sala e ritorna al posto, esegue un balâ, un virâ e alla fine di questo tenendosi per mano fa un ponte passando sopra le teste delle altre due coppie e portandosi in fondo alla fila. E’ il turno della seconda coppia, che a questo punto si ritrova davanti ed esegue: galoppata, ritorno, balâ, virâ e si porta in fondo. Quando anche la terza coppia esegue la sua parte e si è ristabilito l›ordine iniziale delle coppie inizia la seconda parte. Qui si disegna la tresso, le coppie compiono una galoppata che segue una forma di otto intrecciandosi, cioè incrociando le altre coppie una volta a destra l›altra a sinistra. Al termine della parte musicale di tresso la coppia che si ritrova in mezzo alla pista, nel punto più lontano da quello di partenza della danza, lì dove è situata fa un balâ, un virâ e alla fine si riporta in fondo al gruppo che si è ricomposto nella posizione di partenza ed è pronto per ripetere un›altra volta le due parti. La danza è seguita da Lou Baletas delle tre coppie, che si viene a formare veda l’alternanza uomodonna. BIBLIOGRAFIA Bertone Enrco (1998), Antiche feste delle Alpi Cozie, Genova, Sagep. Boschiero Gianpiero (1985), Muziques Ousitànes. Dònses e chansouns dei Chasteldelfin, blins, pount e la chanal, Sampeyre, Soulestrelh. Bravo Gian Luigi (2013), Italiani all’alba del nuovo millennio, Milano, FrancoAngeli. Caraglio Vittorio (1988), Ou Vernant Vernante, Borgo San Dalmazzo, Edizioni Martini. Carletto Bruno (2001), Le nostre radici. La vita e le tradizioni delle valli alpine occitane, Borgo San Dalmazzo, Edizioni Martini. De Angelis Almerino (1983), Rore paese della Valle Varaita, Sampeyre, Edizioni Lu Viol. Fontan François (2006), La nazione occitana: i suoi confini, le sue regioni, Venasca, Ousitanio Vivo. Guilcher Yves (2001), La danse traditionnelle en France. D’une ancienne civilisation paysanne à un loisir revivaliste, Parthenay, FAMDT Modal. Leydi Roberto, Guizzi Febo (a cura di) (1996), Gli strumenti musicali e l’etnografia italiana (1881-1911), Lucca, Libreria Musicale Italiana. Perla Luisa Adriana (2011), Feste e musiche secondo tradizione, Legnano, Gruppo Edicom. Sachs Curt (2006), Storia della danza, Milano, Il Saggiatore (ed. or. Eine Weltgeschichte des Tanzes, Dietrich Reimer, Berlin, 1933). DISCOGRAFIA Peron Silvio, Ferrero Gabriele (1998), Ballo delle valli occitane d’Italia, VI Records CD 003, Alessandria. www.fitp.org 23 la ricerca Una scuola nella scuola Canti e balli dei nostri nonni GIARDINI NAXOS (Messina) C’è voluto più di mezzo secolo per realizzare una antologia di canti, danze, ballate popolari, usi e costumi del territorio taorminese, ricercati e raccolti con l’entusiasmo e la certosina pazienza che distingue chi alla ricerca ha dedicato la propria vita. Immaginate di avere uno scrigno che contenga il tesoro a voi più prezioso, immaginate di affidarlo a dei bambini dalle mani incerte e 24 inesperte, immaginate la gioia e la soddisfazione di vedere questo dono restituitovi, dopo anni di impegno e dedizione, con volto nuovo, con sapore diverso. E’ ciò che è accaduto di recente al Gruppo folklorico “Naxos” che, cinque anni fa, affidava il frutto del proprio lavoro e della propria esperienza ai bambini della prima elementare della scuola “Galilei” di Giardini Naxos: oggi, in procinto di uscire dalla scuola primaria, dopo un lustro di sano apprendimento, hanno restituito a un pubblico attento e interessato in uno spumeggiante spettacolo didattico. Si è trattato di un evento che racchiude e corona lo sforzo e il continuo impegno iniziato proprio nelle scuole nel 1949 dallo storico Gruppo folklorico “Naxos”, diretto da Antonino Buda. Dopo molteplici iniziative ed esperienze che lo hanno portato alla ri- IL FOLKLORE D’ITALIA Il presidente Buda con i suoi ragazzi porta le tradizioni popolari nelle scuole di Giardini Naxos balta internazionale, il sodalizio siciliano si riconcentra sul suo obiettivo primario: trasmettere il “sapere” acquisito ai bambini, una generazione che rischia di ignorare totalmente la cultura del passato e l’intrattenimento popolare dei propri nonni. Così, di lustro in lustro, con il progetto “Attività integrativa sulla cultura popolare” sponsorizzato dal Comune di Giardini Naxos, il Gruppo “Naxos” rinnova il ciclo di insegnamento che prevede la conoscenza della lingua siciliana attraverso le poesie in vernacolo e i canti della tradizione natalizia, quelli del mondo agropastorale, marinaro, del Risorgimento siciliano senza tralasciare i canti della tradizione locale come “Giardina banniredda di lu mari”, che proprio come una bandiera i ragazzi di Naxos continuano a sventolare in tutto il mondo. Questo, quindi, l’obietti- vo del progetto: educare le nuove generazioni e farle riappropriare della propria identità culturale, consegnare loro la memoria del passato, deposito e archivio, immagine del tempo trascorso, patrimonio ereditato, custodito e trasmesso con amore e generosità. Filastrocche, proverbi, leggende, canti e danze dell’hinterland taorminese sono state le “materie di studio” degli apprendisti “canterini”. Particolare cura è stata dedicata all’aspetto coreutico evitando di insegnare ai bambini le “solite” tarantelle, che con troppa leggerezza, vengono a volte proposte da alcuni gruppi folklorici che si esibiscono un folklore di parata con figurazioni inventate e spacciate per tradizionali. I balli trasmessi ai ragazzi della scuola, invece, risalgono agli inizi del XX secolo e molti di essi n. 04 / 2013 sono ancora vivi nelle vicine campagne del borgo medievale di Castelmola, miracolosamente salvate dalla dilagante musica di consumo. Si tratta della “Boema”, lo “Scotis”, ‘“u Danzi” la “Mazurca fiurata” la “Fasuledda” ecc., danze a struttura modulare a coppie miste plurime importate, anche in Sicilia, dagli Stati mitteleuropei e poi diffusesi inizialmente negli ambienti aristocratici e, in seguito, in quelli piccolo-borghesi e agresti. La raccolta di queste coreografie è frutto di una continua ricerca, incoraggiata anche dal prof. Pino Gala, componente della Consulta scientifica della Fitp, durante la quale sono stati visionati vecchi filmati, intervistati anziani del luogo ed effettuate nuove registrazioni multimediali nell’intento di diffondere le tradizioni del territorio e contribuire alla crescita e all’arricchimento culturale dell’ambiente affinché sopravviva, almeno nella memoria, un bene culturale immateriale altrimenti destinato a scomparire. Il Gruppo folklorico “Naxos”, che il prossimo anno festeggerà le sue 65 primavere, sta preparando uno spettacolo celebrativo, una sorta di “revival” che racchiude e racconta la sua intensa e produttiva attività culturale. Anche in questa occasione saranno tante le emozioni. www.fitp.org 25 l’evento Carovana del Folklore Emozioni in musica Un popolo senza memoria è un popolo senza storia, ma soprattutto senza identità di Anna Fumagalli 26 I colori, i profumi e le forme del paesaggio che ci circondano, gli odori e le consistenze dei cibi, i ritmi e le sonorità dei canti antichi, le movenze ora sinuose, ora energiche delle danze, le storie fantastiche e misteriose di origini magiche, a volte spettacolari, a volte oscure e tenebrose sono il retaggio atavico di ogni essere umano, quella “memoria” ancestrale che determina un’appartenenza, una differenza, una peculiarità che ci rende simili, ma “diversi” tra uguali, insomma quel “quid” che definisce la nostra identità. Questo è il grande merito della “Carovana del Folklore”, portare a conoscenza di tutti quel meraviglioso miscuglio che è la tradizione popolare. Il presidente dell’Igf, Dorel Cosma, sostiene, alimenta e accompagna con paterna sollecitudine gli artisti, provenienti da vari paesi del mondo, che con le loro performance, peregrinando tra le nazioni, testimoniano con convinzione con il linguaggio, in assoluto, più trasversale e universale della storia dell’Umanità: la Musica. Le strutture armoniche che variano a seconda della posizione geografica, le linee melodiche derivanti dalla discendenza storica, dai flussi migratori, dalle dottrine o filosofie religiose, dalle contaminazioni delle dominazioni straniere, gli strumenti spesso semplici, a volte più ricercati, le modulazio- ni delle voci assai diverse eppure con l’unica funzione di esprimere sentimenti profondi, antichi ma sempre in divenire, sono ciò che crea l’atmosfera magica che avvolge l’ascoltatore, trasportandolo in un’altra dimensione, poiché la Musica evoca, la musica racconta, la musica prega, la musica ama, la musica unisce. Così sotto un cielo stellato in cui risplende una falce di luna, in una piazza di Lecco, tanto cara ad Alessandro Manzoni, sulla quale domina il crinale seghettato del Monte Resegone, davanti al monumento di quel Garibaldi che, non a caso, fu eroe dei due mondi, su un palco, di fronte ad un pubblico attento e partecipe, la sera del 19 giugno scorso, per aprire i festeggiamenti del 25.mo anniversario di fondazione di un Gruppo folklorico locale, “I Picétt del Grenta” di Valgreghentino (Lecco), alla presenza del sindaco Virginio Brivio, di Ernesto Longhi, primo cittadino di Valgreghentino, dell’assessore regionale allo sport, Antonio Rossi (olimpionico di canoa), dell’assessore nazionale della Fitp, Fabrizio Cattaneo, sotto lo sguardo attento di Cosma, coadiuvato e supportato dal presidente nazionale della Fitp, Benito Ripoli, instancabile e convinto sostenitore della diffusione della cultura tradizionalepopolare, si sono esibiti gli artisti provenienti da Bulgaria, Ungheria, Spagna, Israele, Turchia, Romania, Grecia, Italia e Ucraina in un crescendo di espressività, coloriture, giochi agogici, idiomi nazionali, strumenti rappresentativi, costumi etnici. Cantando e suonando han- no sussurrato, narrato, declamato racconti di vita e tormenti d’amore, canti di speranza e di libertà, espandendo nell’aere circostante suggestive “immagini armoniche”, suscitando emozioni e sensazioni tanto vivide e pulsanti, sì da creare un’atmosfera palpitante ed elettrizzante nella quale gli astanti si sentivano sospesi e partecipi di un evento unico e irripetibile. Le emozioni in musica sono continuate il giorno seguente in un’atmosfera da sogno nella magica Albese con Cassano (Como). Nelle foto di Vincenzo Castagna alcuni momenti della manifestazione svoltasi a Lecco 27 www.fitp.org vita dei gruppi Lampiusa Da 45 anni col folklore 28 PARRE (Bergamo) - Era il lontano 1968 quando un paio di parresi si riunirono per intraprendere insieme un cammino. Il Gruppo folklorico “Lampiusa” quest’anno festeggia il suo 45.mo anno di fondazione. Un traguardo importante, simbolo della capacità del sodalizio presieduto da Giovanni Bossetti di rinnovarsi durante gli anni e rendere sempre interessanti le tradizioni. La missione che il gruppo si propose era quella di difendere dall’oblio le tradizioni e il costume tradizionale di Parre, il cui costume è certificato da fonti storiografiche (il documento più vecchio, in cui si cita il costume di Parre, è del 1779). Durante gli anni, l’ensemble bergamasco è sempre riuscito a trovare nuove leve tra i parresi. E sono molti i nomi legati al gruppo. L’anniversario sarà festeggiato in occasione del sesto Festival internazionale del folklore e della 19.ma Sagra dei capù. Quattro giorni, dal 2 al 5 agosto, tutti da vivere nel nome delle tradizioni popolari e del piatto tipico locale, il capù, una grossa polpetta ricoperta con foglie di verza e ripieno di magro. Durante i vari Festival, “Lampiusa” ha visto nascere nei confronti dei gruppi ospitati forti legami di stima e amicizia, favoriti dagli scambi. L’attività principale del gruppo è quella di far conoscere gli usi e costumi di una epoca passata, dedita alla pastorizia e alla dura vita della montagna. Ed è proprio per questo che lo spettacolo del gruppo è basato su coreografie legate al mondo del lavoro come il ballo del Rastel (rastrello), il ballo della Lana, il ballo del Basol (strumento in legno con ai lati due tacche per appendere i secchi di acqua o latte così da poter essere trasportati sulle spalle) e le Laandine (lavandaie), oltre a balli dedicati ai momenti di festa come il Saltarel, la Girandola. I canti, invece, raccontano di storie di innamorati o di carrettieri. da non dimenticare e gli sketch molto spiritosi, come Ol marit a ca tarde, La lèngua di fomne o Du fomne in piasa. Praticamente, sul palcoscenico, vengono rappresentati degli spaccati di vita passata per far gustare al pubblico il sapore autentico di un tempo. Ittiri Folk Festa Una girandola di colori, danze e suoni ITTIRI (Sassari) – Tre giorni di amichevole e festoso confronto fra le tradizioni sarde e quelle promosse dai sette gruppi stranieri di Argentina, Croazia, Kenia, Occitania, Ossezia del Nord, Paraguay e Taiwan. Questo e altro ancora ha regalato la 28.ma edizione di “Ittiri Folk Festa”, organizzata dall’Associazione “Ittiri Cannedu”. Un incontro di culture nel segno dell’ospitalità e amicizia, un momento di condivisione che resta nei cuori dei partecipanti e negli occhi degli spettatori. La messa dei popoli celebrata nella chiesa di San Pietro è uno di quei momenti speciali. Oltre ai canti del Coro “Boghes e Ammentos” di Ittiri, sono risuonate le musiche dell’Occitania, le pre- ghiere cantate degli argentini, il canto a cappella dei keniani, mentre le giovani ballerine del Taiwan hanno eseguito una danza religiosa. Imponente la parata con 17 gruppi. Aperta come da tradizione dal suono delle trombe e dei tamburi “Sa Sartiglia” di Oristano. A seguire, le movenze aggraziate delle giovanissime ballerine cinesi dei Taiwan Cho-ShuiRiver Art Dance Ensemble-Yun Lin. Farfalle colorate nel vestito delle ragazze del Paraguay e anfora tenuta in equilibrio sopra la testa. Poi il primo gruppo sardo: le donne in costume e gli uomini di Sanluri orgogliosi col loro “collettu” di cuoio conciato. Ospiti dell’ultima ora, ma non per questo meno graditi, i percussionisti del Senegal. Nel corteo irrompono “Sos Corrajos”, maschere animalesche provenienti da Paulilatino, “su domadore”, “su randaceddu”, corna e volti anneriti, sospingono un aratro, tirano un carretto. Contrasto “clamoroso”: dal nero movimentato al bianco dei costumi indossati dagli alti ragazzi e ragazze dell’Ossezia del Nord, che danzano sulle punte al lento ritmo cadenzato di una musica della Russia al confine con l’Asia. Le note sarde sono garantite dai nove fisarmonicisti della Fisorchestra di Ignazio Erbì. Ancora Sardegna col Gruppo folklorico “San Sebastiano” di Samugheo. Dall’Africa la gioia di vivere dei keniani del Nairobi National Folk Ensemble. Il gruppo di Villaurbana propone le tradizioni dell’oristanese e della Marmilla, quello di Meana Sardo, invece, punta sulle maschere de “Is Scorronciadores”: legno o sughero, spesso corna e talvolta denti e zanne, pelli animali e campanacci. Le coppie argentine suggeriscono la passionalità e l’eleganza del tango. La chiusura spetta ai padroni di casa: l’Associazione “Ittiri Cannedu” sfila con il costume autentico, quello femminile è ricco per tessuti e gioielli e con il rosa che predomina. A fare da retroguardia alla sfilata, i cavalieri dell’Associazione ippica ittirese. “Terra del Sole” conquista la Francia LODI - Consensi e applausi per il Gruppo folklorico “Terra del Sole” al Festival di Bourg Saint Maurice, in Francia. Soddisfatto il presidente Felice Torre: «Missione compiuta. Un Festival breve ma intenso, organizzazione perfetta. Abbiamo vissuto una bella esperienza in un contesto magico, una cittadina attorniata da montagne con paesaggi mozzafiato». In occasione della trasferta in Francia, Torre ha avuto il piacere di conoscere il presidente del Cioff della Savoia, Nicolas Charléty. «Il nostro impegno – conclude il presidente del sodalizio lombardo - è stato massimo. Crediamo proprio di aver lasciato un buon ricordo, testimoniato da applausi scroscianti da parte del numeroso pubblico». “Terra del Sole” ha conquistato i francesi con la tradizione della Sicilia e della Campania e dell’intera Italia meridionale. Appuntamenti Fitp duemilatredici SETTEMBRE ITALIA E REGIONI Isola di Capo Rizzuto PRESENTAZIONE “PRIMA ETNOGRAFIA D’ITALIA” “PREMIO COCCHIARA” Palermo OTTOBRE LA FITP INCONTRA IL SANTO PADRE Udienza riservata ai gruppi folklorici Fitp - Aula Paolo VI NOVEMBRE 30 OMAGGIO A PADRE PIO Manifestazione - Pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo San Severo DICEMBRE RASSEGNA NAZIONALE DELLA MUSICA POPOLARE I PADRI DEL FOLKLORE (Forse in Sardegna)