Intervento di Davide Paris - MIUR - Ministero dell`Istruzione, dell

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Intervento di Davide Paris - MIUR - Ministero dell`Istruzione, dell
Intervento al Convegno del CNSU
Roma, 11-13 gennaio 2006
Davide Paris, presidente nazionale Federazione Universitaria Cattolica Italiana – FUCI–
Ringrazio gli organizzatori di questo convegno, credo che l’università abbia estremo bisogno di
luoghi di dialogo come questo.
Da parte mia, come esponente di un’associazione, la Federazione Universitaria Cattolica
Italiana, che direttamente non prende parte alla rappresentanza universitaria, vorrei proporre una
riflessione su un tema che trasversalmente ha coinvolto tutte le sessioni di questi giorni, cioè il tema
della cittadinanza universitaria. Cosa significa oggi essere cittadini dell’università? Cosa vuol dire
vivere l’università da cittadini?
In questi giorni ci sono stati presentati moltissimi dati alquanto sconfortanti perché, quale
che sia l’argomento in questione, generalmente relegano sempre il nostro sistema universitario fra
gli ultimi posti in Europa. C’è un dato però che mi pare non sia ancora emerso e che personalmente
considero altrettanto allarmante di quelli relativi al diritto allo studio o ai fondi stanziati per la
ricerca: mi riferisco alla partecipazione degli studenti alle elezioni universitarie che, tanto a livello
locale quanto a livello nazionale, non raggiunge la soglia del 10%. Cosa ci dice questo risultato?
Quali le cause? Come se ne viene fuori?
Credo che un simile dato ci parli soprattutto dell’indifferenza degli studenti a quello che
capita nei loro atenei e della loro sfiducia verso la possibilità di cambiare le cose. Allo studente che
si trova in difficoltà in università perché i servizi non funzionano, i docenti non sono attenti, le
mense o gli alloggi non sono organizzati in maniera adeguata, l’ultima cosa che passa per la testa è
di rivolgersi al proprio rappresentante. La maggior parte si adatta e trova il modo migliore per
sopravvivere, qualcuno cambia università (non credo sia questa però la mobilità interna che
abbiamo in mente…), altri abbandonano.
Perché questa indifferenza e questa sfiducia nella possibilità di migliorare le cose attraverso
gli strumenti della rappresentanza democratica? E perché proprio in università, cioè nel luogo in cui
in teoria le persone si dovrebbero formare per essere un domani capaci di prendersi cura della nostra
società?
La causa fondamentale credo vada ricercata nel fatto che chi oggi frequenta l’università non si sente
affatto parte di una comunità, cioè non sente di avere un proprio ruolo all’interno di questo mondo,
dei diritti, dei doveri e delle opportunità. Non è bello dirlo, o forse è scontato, ma la visione
dell’università prevalente oggi fra gli studenti è quella di un luogo dove si va per prendere qualcosa,
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per seguire delle lezioni, fare un esame e con questo si è esaurita la nostra partecipazione in
università e si può tranquillamente tornare a casa. Credo che fintantoché come studenti vivremo la
nostra esperienza universitaria solo in questi termini, all’università continuerà a mancare una voce
fondamentale, la nostra appunto.
Certamente la responsabilità della non-partecipazione è evidentemente di chi non partecipa;
peraltro credo che qualcosa si possa fare per rendere i nostri atenei delle vere comunità. Il primo
passo consiste nell’abbandonare l’idea che lo studente possa essere solo “destinatario”, “oggetto” di
iniziative, corsi, politiche di diritto allo studio, seminari, ecc. , ma possa essere anche parte attiva di
tutte queste attività. Penso a numerosi servizi in cui gli studenti potrebbero essere maggiorente
coinvolti e valorizzate le associazioni, dalle mense all’animazione culturale, dal lavoro di segreteria
al tutorato, l’assistenza ai disabili, l’accoglienza degli studenti stranieri. Qualcosa si è fatto con i
progetti c.d. delle “150 ore” (o 120), ma è ancora poco. Ricordo che durante la mia esperienza
Erasmus in Finlandia, era l’Unione degli studenti che si occupava di seguirmi in tutto,
dall’appartamento, alla scelta dei corsi, alle attività culturali; anche da noi si potrebbe pensare ad
una maggior responsabilizzazione delle associazioni.
In secondo luogo credo che anche fra i rappresentanti degli studenti sia doveroso portare avanti una
seria riflessione autocritica: quale idea hanno i nostri studenti dei loro rappresentanti? Questi ultimi
spesso sono visti come una categoria a sé stante, slegata dal mondo degli studenti, che appare nei
giorni che precedono le elezioni e poi fa perdere le proprie tracce per il resto del mandato.
Non voglio fare la predica a voi che siete qui e che quindi con la vostra presenza dimostrate
che l’università vi sta a cuore; se però ragioniamo in termini generali non possiamo negare che il
rapporto fra studenti e rappresentanti non è dei più vitali.
Questa mattina ci siamo giustamente indignati per la mancata presenza del Ministro a questo
nostro convegno. Anche se l’assenza non stupisce (la mia associazione, nonostante i numerosi
tentativi ed inviti, non è mai riuscita ad incontrarla nel corso di questi cinque anni), indignarsi è
comunque giusto e doveroso; se però siamo coerenti, a maggior ragione dovremmo indignarci se la
maggior parte dei nostri studenti non ha mai visto in faccia un suo rappresentante, non ha idea di
dove trovarlo e manco sa come si chiama.
Lo scorso anno al nostro convegno nazionale a Cosenza, dedicato proprio ai temi
dell’università, abbiamo organizzato, fra le altre iniziative, una tavola rotonda con quattro
rappresentanti del CNSU per parlare di cittadinanza e partecipazione in università: credo sia stata
l’unica volta, prima del convegno di questi giorni, in cui il CNSU veniva coinvolto in maniera così
massiccia davanti ad un pubblico di studenti. Il risultato è stato che dei quattro invitati alla fine se
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ne è presentato uno soltanto: paradossalmente abbiamo avuto più facilità a coinvolgere docenti,
politici, esperti di vario genere per le altre sessioni del convegno che non i nostri stessi
rappresentanti! Credo che questo episodio debba far riflettere.
Il disinteresse dei rappresentanti non spinge sicuramente gli studenti ad andare a votare.
Ugualmente non aiuta la partecipazione il veder riproposte in piccolo, negli organi universitari e nei
dibattiti in università, le dinamiche di contrapposizione partitica del nostro sistema politico: un
simile spettacolo non ha spesso nulla a che vedere con i problemi degli studenti e anzi ottiene
talvolta come unico risultato quello di dare argomenti a chi, generalizzando in maniera
semplicistica, sostiene che la politica universitaria sia soltanto un canale per permettere di fare
politica a che non ha trovato di meglio.
Queste dunque le due vie che mi sembra opportuno percorrere perché gli studenti vivano veramente
a pieno l’università e se ne sentano realmente cittadini: coinvolgere gli studenti nelle attività e nei
servizi legati all’università e ripensare le forme e i modi della rappresentanza. Grazie.
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