L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVI n. 121 (47.256) Città del Vaticano domenica 29 maggio 2016 . Nel canale di Sicilia settanta morti e dodicimila persone salvate in una settimana ma resta l’incognita dei dispersi I popoli della fame interpellano quelli dell’opulenza Chiuso Idomeni i migranti stanno peggio di prima Distanza drammatica di GUALTIERO BASSETTI BRUXELLES, 28. Resta impossibile al momento valutare il numero di dispersi in mare nei tre naufragi avvenuti in questa settimana. C’è la certezza di 70 cadaveri riportati a riva, ma anche del salvataggio di oltre 12.000 migranti. Nelle ultime ore sono stati messi in salvo 160 migranti che, a bordo di due gommoni, erano in condizioni disperate a circa 20 miglia dalla costa libica. A Catania, lo sbarco di 860 persone, a Porto Empedocle di 526. E poi altri sbarchi anche in Calabria e in Puglia. Mentre solo per lunedì si prevede l’arrivo della nave con 470 migranti in navigazione dalle coste della Libia verso la Sardegna. È la prima volta che una nave con dei migranti a bordo fa rotta per Porto Torres. Ma potrebbe esserci anche l’arrivo di un altro cospicuo contingente di naufraghi. Il mare calmo e il bel tempo hanno spinto tanti a salire su barconi stracarichi di persone che in tre casi non hanno retto e, uno al giorno a partire da mercoledì, sono naufragati lasciando in acqua decine di persone. Sull’ultimo barcone affondato, in ordine di tempo, c’erano 135 persone con 45 cadaveri. Il pensiero resta in particolare all’imbarcazione che si è rovesciata giovedì al largo della Libia, perché in quel caso i morti accertati sono stati 20 ma i superstiti hanno parlato di un centinaio di dispersi. Mercoledì era stata la volta del naufragio del barcone col ponte stipato all’inverosimile che, dopo essere stato intercettato, ha ondeggiato paurosamente sotto il peso dei passeggeri, si è piegato sul lato sinistro e infine si è ribaltato completamente. Il pattugliatore Bettica ha salvato 562 persone, recuperando i corpi di cinque persone ma si pensa che nella stiva del peschereccio possano essere rimasti in molti. Intanto, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Unhcr, ha espresso «seria preoccupazione» per le condizioni di diversi siti nel nord della Grecia, dove i rifugiati e migranti sono stati portati nei giorni scorsi dopo lo sgombero del campo di Idomeni. Si parla di «condizioni per i migranti al di sotto degli standard minimi accettabili» L’Unhcr esorta le autorità greche, «a trovare rapidamente migliori alternative con il supporto finanziario fornito dall’Unione europea». È quanto dichiara da Ginevra la portavoce dell’agenzia dell’Onu per i rifugiati Melissa Fleming. Idomeni era un campo di fortuna. Istituito a settembre dall’Onu per 2000 persone, era arrivato a contenerne 3300. Le condizioni erano pessime e tutti hanno ritenuto necessaria la chiusura. Ma il punto è che y(7HA3J1*QSSKKM( +.!z!,!$!}! no famiglie che risultano separate dopo il trasferimento. Con un pensiero alle tante vittime in mare, si è aperto a Tangeri, in Marocco, il terzo vertice dei presidenti dei Parlamenti dell’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo. Sul tema: «Insieme per un futuro comune dell’Euro-Mediterraneo». Ai bambini giunti in treno dalla Calabria il Papa parla dell’accoglienza ai profughi Con il salvagente in mano Francesco mostra ai bambini il giubbotto appartenuto a una piccola siriana morta nelle acque davanti all’isola di Lesbo PAGINA 7 è una drammatica distanza tra quei Paesi, soprattutto del mondo occidentale, dove assistiamo a una continua proliferazione dei diritti individuali, talvolta confusi con desideri e nuovi bisogni, e quelle nazioni, soprattutto dell’Asia e dell’Africa, dove invece è assente anche il più basilare diritto alla vita: quello di avere del pane per poter vivere. Poco più di un mese fa, ho compiuto una visita in Malawi. Da circa trent’anni, infatti, la diocesi di Perugia ha sviluppato un rapporto di solidarietà con la diocesi di Zomba che ha portato alla costruzione di due ospedali, di dispensari sanitari, cinque asili infantili e un politecnico. Il Malawi è uno dei Paesi più poveri del mondo, dove il dieci per cento della popolazione è sieropositiva e dove, lo scorso aprile, nel silenzio dell’opinione pubblica mondiale, è stato dichiarato lo stato di catastrofe naturale. Da più di un anno una terribile siccità, che colpisce anche le nazioni confinanti — Mozambico, Zimbabwe, Zambia — sta attanagliando la vita di quei Paesi. In attesa che arrivino gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite, la vita di molte persone è in pericolo e le popolazioni che vivono nei territori interni del Malawi rischiano di morire di fame. Non si tratta di una metafora o di un gioco di parole. È la drammatica realtà: morire di fame. «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza» scrisse Paolo VI nella Populorum progressio. A distanza di quasi cinquant’anni quell’appello vale ancora, ci interroga profondamente. Oggi circa ot- C’ Almeno centomila civili stretti nella morsa dei combattimenti Dramma al confine tra Siria e Turchia DAMASCO, 28. È una situazione sempre più drammatica quella al confine tra Turchia e Siria, a nord della città di Aleppo. Centomila civili sono intrappolati alla frontiera: sono stretti nella morsa dei Udienza al presidente della Repubblica di Singapore Nella mattina di sabato 28 maggio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza il presidente della Repubblica di Singapore, Tony Tan Keng Yam, il quale ha successivamente incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel corso dei cordiali colloqui sono state evocate le buone relazioni tra la Santa Sede e Singapore, non- l’Unhcr sottolinea che alcuni sono stati spostati in depositi o fabbriche in stato di abbandono, con tende disposte in modo troppo ravvicinato, poca aria e insufficienti forniture di cibo, acqua e servizi igienici. Per alcuni casi c’è un’altra preoccupazione. Nonostante lo sgombero di Idomeni sia avvenuto senza complicazioni, l’Unhcr avverte che ci so- ché la collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, soprattutto in campo educativo e sociale. Inoltre, sono stati passati in rassegna alcuni temi dell’attualità internazionale e della situazione politica regionale, con particolare riferimento all’importanza del dialogo interreligioso e interculturale per la promozione dei diritti umani, della stabilità, della giustizia e della pace nel sud-est asiatico. combattimenti tra l’esercito leale al presidente Assad e i ribelli, nonché delle violenze perpetrate dai miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is). A lanciare un appello per cercare di sbloccare la situazione e inviare i primi aiuti ai profughi sono state ieri diverse ong. Queste ultime hanno inoltre denunciato l’avanzata dell’Is nell’area in seguito all’offensiva delle forze curdo-siriane su Raqqa, iniziata circa 48 ore fa. In base a quanto dichiarato da fonti di stampa, gruppi di jihadisti avrebbero preso il controllo della strada che collega Aleppo, distante appena 13 chilometri dal confine turco, e la città di Marea, dove sarebbero attualmente intrappolati almeno 15.000 civili. L’organizzazione internazionale Medici senza frontiere ha confermato che l’emergenza al confine riguarda almeno 100.000 persone, inclusi i civili nei campi profughi all’interno del confine siriano. Una situazione molto simile è quella che si registra in Iraq, dove oltre quattromila persone sono in fuga dalla città di Mosul segnata dalle violenze tra esercito e Is. Durante un briefing a Ginevra, la portavoce dell’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati), Melissa Fleming, ha denunciato ieri «l’aumento del numero di rifugiati iracheni che tentano la pericolosa fuga da Mosul verso la Siria». Disabilità tra compassione e ipocrisia A PAGINA re Breaking Terrorism (lanciata all’inizio di questa settimana per riconquistare la città), il premier, che è anche comandante in capo delle forze armate, ha dichiarato che «questa battaglia richiede un grande sforzo». Il movimento di protesta, iniziato nel luglio scorso, si è rinvigorito di recente grazie ai proclami del leader religioso sciita Moqtada al Sadr. Venerdì scorso, infatti, migliaia di manifestanti erano riusciti a sfondare i blocchi della “zona verde” e a fare irruzione nella sede del Parlamento iracheno, chiedendo appunto riforme e lotta alla corruzione. Negli scontri con la polizia sono rimaste uccise quattro persone. Le autorità hanno decretato il coprifuoco a Baghdad. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Tony Tan Keng Yam, Presidente della Repubblica di Singapore, con la Consorte, e Seguito. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Bayombong (Filippine), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Ramon B. Villena, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza gli Eminentissimi Cardinali: — Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi; — George Pell, Prefetto della Segreteria per l’Economia. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Mutare (Zimbabwe), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Alexio Churu Muchabaiwa, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Provvista di Chiesa Il fascino discreto dell’eugenetica PIERANGELO SEQUERI Oltre a Mosul, c’è anche Baghdad nell’occhio del ciclone. Ieri centinaia di manifestanti si sono riuniti davanti alla “zona verde” (l’area fortificata che ospita gli edifici governativi e le ambasciate straniere) per esprimere il proprio dissenso nei confronti del Governo del premier Haider Al Abadi, accusato di non fare abbastanza nella lotta contro la corruzione. La polizia e i soldati dell’esercito a presidio della cittadella hanno esploso colpi d’arma da fuoco e gas lacrimogeni per disperdere la folla. Al Abadi ha lanciato ieri un appello all’unità del Paese, invitando a rimandare l’organizzazione di proteste fino alla completa liberazione della città di Fallujah dall’Is. Parlando dal quartier generale della campagna milita- tocento milioni di persone, in tutto il mondo, continuano a patire per la fame. Nell’omelia del Corpus Domini, Papa Francesco ha ricordato «i santi e le sante che hanno “spezzato” se stessi, la propria vita, per “dare da mangiare” ai fratelli». Ecco aiutare queste popolazioni che stanno morendo di fame, «offrire i pochi pani e pesci che abbiamo; ricevere il pane spezzato dalle mani di Gesù e distribuirlo a tutti» è una via per la santità. Questo ci insegna, per esempio, una santa della nostra epoca che ho potuto conoscere personalmente: madre Teresa di Calcutta. Nel 1979, la fondatrice delle missionarie della carità, parlando in occasione del conferimento del premio Nobel per la pace, disse davanti a una platea silente e attonita: «Non so se abbiate mai visto la fame. Io l’ho vista molto spesso». E poi raccontò un’esperienza toccante in cui si era trovata ad aiutare, donando un po’ di riso, una famiglia hindu e una musulmana. La fame, come ci insegna madre Teresa, non ha colore, razza e religione. Può colpire chiunque. Io appartengo alla generazione di italiani che dopo la fine della seconda guerra mondiale ha letteralmente “fatto la fame”. E ho un ricordo nitido di cosa significava non avere cibo. Non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo. L’indifferenza e il silenzio dei media è, infatti, uno degli aspetti peggiori di questa piaga. «La peggior miseria non è la fame o la lebbra — diceva sempre madre Teresa — ma la sensazione di essere indesiderabile, rifiutato, abbandonato da tutti». Non ci si può dimenticare di quelle persone che Giovanni Paolo II chiamava gli «sconfitti della vita» e di quelle vittime innocenti della «cultura dello scarto», come ripete oggi il Pontefice. In questo anno giubilare dobbiamo sentirci maggiormente partecipi dei bisogni di queste persone che, per vivere, anzi, per sopravvivere, contano sull’aiuto fondamentale di tutti coloro che praticano le opere di misericordia. Lo sanno bene le decine e decine di volontari che ogni anno si recano a Zomba e che, sperimentando l’importanza e l’efficacia della solidarietà umana, ritornano a casa con una gerarchia di valori e priorità assolutamente diversa da quella con cui erano partiti. I desideri che si trasformano in diritti nella società dei consumi sono dunque drammaticamente distanti dal significato profondo della vita che si può cogliere in queste missioni. Sulla mia scrivania è arrivato un messaggio che sintetizza questa situazione: «C’è chi ha tutto e piange per una cosa che non è riuscito a ottenere. E c’è chi non ha nulla, ma sorride e ringrazia ogni giorno per la cosa più preziosa che ha: la vita». 5 Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico nella Federazione Russa Sua Eccellenza Monsignor Celestino Migliore, Arcivescovo titolare di Canosa, finora Nunzio Apostolico in Polonia. Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Mutare (Zimbabwe) il Reverendo Padre Paul Horan, O. CARM., Irlandese, Direttore della scuola cattolica «Kriste Mambo» a Rusape, nella Diocesi di Mutare. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 29 maggio 2016 Alcuni dei militari condannati a Buenos Aires (Ap) Per trovare una soluzione alla grave crisi politica ed economica nel Venezuela Washington sostiene la mediazione spagnola CARACAS, 28. Washington sostiene la mediazione spagnola per trovare una soluzione alla crisi politica ed economica in Venezuela. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha chiamato ieri l’ex presidente del Governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, per «esprimergli sostegno allo sforzo di trovare un dialogo tra Governo e opposizione» secondo quanto riportano fonti di stampa. Con Zapatero anche l’ex Presidente dominicano Leonel Fernández sta tentando di trovare una mediazione dopo i gravi scontri avvenuti nelle scorse settimane. E mentre le dimostrazioni pro e contro il presidente Nicolás Maduro vanno avanti, anche nel mondo universitario, ieri il Tribunale Supremo di Giustizia (Tsj) venezuelano ha emesso una sentenza in base alla quale «nel caso una persona possedesse varie nazionalità e una di esse fosse venezuelana, sarà questa ad avere prevalenza per quanto concerne il trattamento giuridico applicabile a essa». Formalmente — riferisce la stampa locale — l’alta corte ha emesso questa sentenza per il caso di un minorenne venezuelano nato all’estero, ma il principio legale che fissa si potrebbe applicare anche al presidente Maduro, che è nato a Caracas, ma la cui madre è colombiana, per cui dispone di doppia nazionalità. Non si tratta affatto di un particolare: la doppia nazionalità di Maduro ha suscitato numerose polemiche e questo perché la Costituzione venezuelana vieta, in due dei suoi articoli, che il presidente possa non essere venezuelano di nascita o disporre di una seconda nazionalità. Per questo motivo l’Assemblea nazionale ha chiesto alla presidenza che trasmetta il certificato di nascita di Maduro, per verificarne gli estremi e la validità. Il presidente del Parlamento, Henry Ramos Allup, del partito antichavista Azione Democratica, ha duramente contestato la sentenza della Corte. Secondo Allup, poiché si tratta di una decisione giudiziaria in diretto contrasto con la Costituzione, «non ha alcun valore legale e dunque non deve essere rispettata». Persone in fila per entrare in un supermercato a Caracas (Afp) Il piano transnazionale per reprimere le opposizioni Condanne per l’operazione Condor BUENOS AIRES, 28. Dure condanne sono state inflitte ad alcuni militari della dittatura in Argentina. Arrivano al termine di un processo sulla cosiddetta operazione Condor, il programma che, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, i regimi militari sudamericani organizzarono per reprimere le opposizioni politiche. Si tratta di una decisione considerata storica nel Paese sudamericano. Un tribunale di Buenos Aires ha condannato, tra gli altri, a 25 anni Messaggio di Mattarella Colloquio tra il presidente Putin e il premier Tsipras nella capitale greca Contro lo sfruttamento e il caporalato Mosca e Atene rafforzano la cooperazione ROMA, 28. Basta «caporalato» e sfruttamento del lavoro, in ogni sua forma: il monito arriva dal presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, in un messaggio lanciato ieri in apertura delle «Giornate del lavoro», organizzate a Lecce dalla Cgil. E questo proprio nel giorno nel quale al Viminale i ministri Martina (Agricoltura), Poletti (Lavoro) e Alfano (Interni) hanno firmato un protocollo d’intesa «contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura». Mattarella ha sottolineato che «il Paese avanza se offre valide opportunità di sbocco e di crescita ai giovani, se permette alle donne di dare serenamente il loro contributo; se non disperde le migliori energie e competenze; se stimola la ricerca e l’innovazione». Ma nel mondo del lavoro ci sono ancora molti problemi: «Lo sfruttamento, con l’odiosa pratica del caporalato, il lavoro sommerso, le elusioni e le illegalità, come l’utilizzo improprio dei voucher, le discriminazioni trovano ancora spazio nel nostro Paese». Interventi mirati combattono questi fenomeni, ha ricordato il capo dello Stato, «ma occorre continuare a vigilare per sconfiggere le disuguaglianze, l’emarginazione, le povertà». In uno scenario di ripresa caratterizzata ancora da incertezza, «è importante cogliere e mettere a frutto i primi, concreti segnali positivi». Lavoro, uguaglianza, legalità, ma anche immigrazione sono i temi centrali della visita, oggi, del presidente Mattarella a Sarajevo. Un gesto teso a confermare l’impegno italiano nella stabilizzazione dei Balcani. Questo pomeriggio Mattarella avrà un incontro bilaterale con i membri della presidenza di Bosnia ed Erzegovina: Bakir Izetbegović (bosgnacco), Mladen Ivanić (serbo, presidente di turno) e Dragan Čović (croato). Il capo dello Stato visiterà quindi la collezione d’Arte contemporanea Ars Aevi, nata dall’idea di Enver Hadziomerspahic di realizzare nella Sarajevo assediata del 1992 un museo di arte contemporanea. Domenica il titolare del Quirinale parteciperà alla riunione plenaria del summit informale tra i leader di Slovenia, Croazia, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro, Kosovo, Serbia ed ex Repubblica Jugoslava di Macedonia. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va ATENE, 28. Il presidente russo, Vladimir Putin, in visita ufficiale in Grecia, e il primo ministro ellenico, Alexis Tsipras, hanno deciso di ampliare la collaborazione tra Atene e Mosca, nei limiti delle sanzioni imposte dalla Unione europea. «Nonostante i tempi difficili, la collaborazione greco-russa avanza», ha affermato Putin al termine dell’incontro di ieri. Tsipras, dal canto suo, ha affermato che la Grecia intende comunque rispettare le sanzioni decise dai Ventotto. Per il primo ministro greco, non può esistere, però, «un’architettura di sicurezza europea senza la Russia». Il rafforzamento dei rapporti con la Russia «è una scelta strategica dettata sia dagli stretti legami storici, culturali e politici, che dalle possibilità che si aprono davanti a noi e dalle possibilità di rafforzare la stabilità della regione», ha poi aggiunto Tsipras, citato dall’agenzia di stampa greca Ana Mpa. Nel loro incontro, Putin (che sta effettuando la prima visita ufficiale in un Paese dell’Ue dall’inizio dell’anno) e Tsipras hanno anche parlato della crisi dei migranti, del progetto di gasdotto South Stream e dei rapporti della Russia con la Nato, alleanza di cui Atene fa parte. A riguardo, il presidente della Russia ha dichiarato che, dopo la recente apertura di una base missi- listica della Nato a Deveselu, in Romania, Mosca «è costretta a intraprendere certe misure per garantire la propria sicurezza». La Russia — informano gli analisti politici — accusa gli Stati Uniti GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Il presidente Putin insieme al premier Tsipras (Afp) Gaetano Vallini Non cala la tensione in Francia sulla riforma del lavoro attacchi, «ma esiste un rumore di fondo abbastanza alto, e cioè un elevato numero di indizi, che gruppi come Is, Al Qaeda o AlNusra hanno intenzione di compiere attentati contro obiettivi occidentali» durante lo svolgimento dei campionati, che avranno luogo dal 10 giugno al 10 luglio prossimi. Proprio per questo, ha reso noto il ministero degli Interni di Parigi, saranno mobilitati oltre 90.000 specialisti della sicurezza, compresa polizia, gendarmeria e guardie di sicurezza private. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore segretario di redazione Athos, dove si trova il monastero di San Panteleimon, abitato per lo più da monaci russi. Qui, secondo quanto riferito, sarà raggiunto dal capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill. In Argentina si studia l’aumento delle pensioni Allarme terrorismo per gli Europei BERLINO, 28. «Sappiamo che il cosiddetto Stato islamico (Is, ndr) ha nel mirino i campionati Europei di calcio in Francia». L’allarme arriva da Hans-Georg Maaßen, presidente dell’ufficio per la difesa della Costituzione (Verfassungsschutz), il servizio segreto interno tedesco, in un’intervista pubblicata stamane sulla «Rheinische Post» di Düsseldorf, uno dei più importanti quotidiani locali tedeschi. Maaßen ha aggiunto che al momento non ci sono indicazioni di piani concreti di di violare il Trattato sugli armamenti nucleari di medio raggio, tramite l’installazione di sistemi di lancio missilistico in Romania. Oggi, nel suo secondo giorno in Grecia, Putin visiterà il Monte di carcere i militari Santiago Riveros, Manuel Cordero Piacentini, ex colonnello uruguayano, unico non argentino alla sbarra, e Miguel Angel Furci, unico presente in aula, accusato in particolare di torture nella prigione illegale chiamata Automotores Orletti. Ci sono poi i 20 anni per Reynaldo Bignone, che è stato presidente a capo dell’ultima giunta militare al potere nel Paese. Prosegue il processo per altri dei 14 imputati in totale. Dall’inizio, nel 2013, cinque imputati, compreso Jorge Rafael Videla, dittatore dal 1976 al 1981, sono morti. Per la prima volta sono stati giudicati crimini nell’ambito della «associazione illecita transnazionale». Il piano puntava all’eliminazione degli oppositori delle dittature nei Paesi del Cono sud dell’America latina, cioè Argentina, Cile, Paraguay, Uruguay. L’idea nacque durante una riunione dei capi dei servizi segreti di questi Paesi nel 1975. In un secondo momento, vi collaborarono anche Paesi confinanti che in passato erano stati in guerra tra di loro, per combattere quello che consideravano il nemico comune, la diffusione dell’ideologia marxista. L’aula era gremita di sopravvissuti alle torture del regime e familiari delle vittime, molti arrivati anche da altri Paesi latinoamericani. E quando i giudici hanno finito di leggere, il pubblico ha urlato «Presente», lo slogan per non dimenticare i desaparecidos. Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va PARIGI, 28. Resta altissima la tensione sulla riforma del lavoro in Francia. Nuove manifestazioni dei sindacati sono tuttora in corso in molte città francesi; altre sono state annunciate per i prossimi giorni. A confermarlo è la France Presse. Si preannuncia una settimana difficile, dunque, per il premier Manuel Valls, che tuttavia sembra intenzionato a mantenere il punto: nessun passo indietro. «Quando un testo è stato discusso, quando è stato adottato dall’Assemblea nazionale, è mia responsabilità farlo applica- Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale re» ha dichiarato oggi Valls. Questo a poche ore dall’incontro con i rappresentanti dell’industria petrolifera e dei trasporti, alla quale prenderanno parte anche il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, e il sottosegretario ai Trasporti, Alain Vidalies, per fare il punto sulle scorte di carburante del Paese. Gli scioperi contro la riforma hanno infatti colpito duramente il settore energetico e ci sono state difficoltà di approvvigionamento. I depositi, tuttavia, sono stati sbloccati. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 BUENOS AIRES, 28. Alle prese con un’inflazione al 40 per cento e un crescente deficit fiscale, il presidente argentino Mauricio Macri ha annunciato ieri una sanatoria fiscale per i capitali detenuti all’estero, i cui proventi dovrebbero in seguito consentire l’innalzamento delle pensioni per oltre due milioni di persone. Le stime del Governo sono molto ottimistiche: grazie al provvedimento, circa il 45 per cento dei pensionati argentini potrebbe vedere un netto miglioramento della propria situazione. Il costo complessivo di questa e altre decisioni sarà di 75 milioni di pesos (5.200 milioni di dollari) all’anno. La strategia decisa da Macri per recuperare tali fondi è, come detto, quella di una grande amnistia fiscale per i cittadini che decideranno di riportare in Argentina i fondi tenuti all’estero. «Ci sono miliardi di dollari che si trovano all’estero, che sono stati portati via perché gli argentini non si fidavano dello Stato; ora vi invitiamo a rimpatriare questi fondi» ha dichiarato Macri. In concreto, gli argentini che decideranno di riportare i fondi in patria avranno tre possibilità: pagare una tassa, convertire questi fondi in titoli di Stato o investirli in fondi nazionali. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 29 maggio 2016 pagina 3 Una donna nella sua casa crivellata dai proiettili al confine tra Libia e Tunisia (Reuters) In Libano confermata l’inchiesta sulle forze di pace Onu TRIPOLI, 28. Le milizie di Misurata leali al Governo libico di unità nazionale del premier Al Sarraj hanno conquistato il «Gate 50» lungo la costa, a soli 50 chilometri dal centro di Sirte, e stanno avanzando verso il «Gate 30», dove sono appostate le milizie del cosiddetto Stato islamico (Is). Ad annunciarlo, ieri, sono state le stesse forze di Misurata. Secondo quanto riferiscono fonti locali al sito informativo libico «Al Wasat», numerosi miliziani jihadisti, soprattutto quelli provenienti dall’Africa subsahariana e dalla Tunisia, si stanno preparando al contrattacco. Tra poche ore le truppe di Sarraj dovrebbero entrare nella zona di Jarf e al Bakhati, poco distante da Sirte. Ieri i caccia libici hanno colpito in diversi raid alcuni obiettivi dell’Is alla periferia di Sirte. I caccia hanno lanciato quattro missili contro due postazioni jihadiste, colpendo diversi mezzi e provocando numerosi feriti. La presenza di tanti feriti nell’ospedale Avicenna — dicono le fonti — ha provocato il caos nel centro medico di Sirte. Nell’ospedale scarseggiano ormai le medicine e sono rimasti solo due medici e pochi infermieri. Le migliaia di jihadisti arroccati fra Sirte e Ben Jawad (sono circa 6.000 secondo una stima statunitense) comunque combattono: in una rivendicazione diffusa giovedì Caschi blu sotto accusa per il mercato nero di cibo di FAUSTA SPERANZA S Le milizie leali al Governo libico di Al Sarraj avanzano verso la roccaforte dell’Is Obiettivo Sirte scorso hanno sostenuto di aver ucciso o ferito 117 miliziani con tre autobombe e in diversi scontri armati. Ma la cifra — dicono gli analisti — va presa con cautela. Le milizie di Misurata e i loro alleati hanno compiuto notevoli progressi negli ultimi due giorni nella lotta contro i miliziani dell’Is. Secondo quanto si legge in una nota, le milizie stanno avanzando da due direzioni: lungo la linea costiera e da sud-ovest. Il primo obiettivo è quello di mettere in sicurezza le vecchie postazioni lungo la costa, avanzando verso Bawab Al Khamsin, zona finita di recente nelle mani degli uomini di Al Baghdadi. Secondo quanto annunciato ieri da Ahmed Maiteeq, vice premier del Governo di unità na- zionale e vicepresidente del Consiglio presidenziale libico, le forze di Tripoli hanno guadagnato «100 chilometri in 17 giorni verso Sirte», considerata una delle maggiori roccaforti dell’Is. Piena collaborazione con il Governo Sarraj per il controllo delle frontiere è stata assicurata dal ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni. Detenuti rinchiusi in container di metallo sotto il sole La tragedia dell’Airbus egiziano Atrocità in Sud Sudan Anche una nave francese per individuare il relitto JUBA, 28. Atrocità in Sud Sudan: decine di detenuti sono tenuti chiusi in container di metallo sotto il sole cocente, con scarsa ventilazione e acqua insufficiente. Rischiano di morire in maniera atroce, come già accaduto ad altri prigionieri. A denunciarlo è l’organizzazione per la difesa dei diritti umani Amnesty international, riferendosi al campo di detenzione Gorom, allestito a circa venti chilometri a sud di Juba, la capitale del Paese più giovane del mondo. L’organizzazione per la difesa dei diritti umani, in un testo pubblicato sul proprio sito ripreso dalle agenzie di stampa internazionali, non precisa quante siano state le morti avvenute finora a Gorom, né il numero esatto delle persone detenute nei quattro Ancora scontri nel Kashmir NEW DELHI, 28. Ancora violenza nello Stato settentrionale del Jammu e Kashmir. Sei militanti e un soldato indiano sono morti ieri in due diversi scontri a fuoco nei distretti di Baramulla e di Kupwara. Lo riferisce l’agenzia di stampa indiana Ians, confermando così lo stato di continua tensione nella regione. Nel raccontare del primo incidente, la polizia ha reso noto che due militanti del movimento Hizbul Mujaheddin si sono asserragliati in una casa del villaggio di Konchipora, nel Baramulla, soccombendo alcune ore dopo di fronte all’azione delle forze di sicurezza, che hanno fatto saltare completamente in aria l’edificio. Un soldato indiano è rimasto ferito. Javid Gilani, ispettore generale della polizia, ha confermato l’operazione, riferendo che «un’unità speciale ha localizzato in un quartiere i due terroristi, uccidendoli poi in uno scontro a fuoco». Nel secondo incidente, invece, quattro militanti di un gruppo non identificato e un soldato sono rimasti uccisi in una battaglia durata due giorni lungo la Linea di Controllo (Loc, confine ufficioso indo-pachistano), nel distretto di Kupwara. i indaga sui caschi blu in Libano, perché c’è il forte sospetto di traffici illeciti di prodotti alimentari. Dopo la denuncia da parte del quotidiano «El Pais», che parla espressamente di coinvolgimento di militari del Ghana, dell’Italia, del Nepal, della Malaysia e dell’Indonesia, il portavoce della missione delle Nazioni Unite in Libano, Andrea Tenenti, conferma che le indagini sono in corso «da tempo» ma «al momento non ci sono ancora prove che possano confermare una sistematica operazione legata al traffico d’alimenti o ancor meno il coinvolgimento di alcuni contingenti». La frode, che sarebbe andata avanti dal 2010 al 2015, viene stimata in oltre 4 milioni di euro. In sostanza venivano rivenduti a commercianti locali prodotti destinati alle forze di pace, tra cui riso e biscotti, ma non solo, anche frutta e verdura comprata localmente e prodotti surgelati, tra cui gamberi che sembra andassero a ruba. Parte delle 80 tonnellate di cibo messe a disposizione dei caschi blu settimanalmente. Si sa che a indagare non è solo l’Onu ma anche il Governo libanese. Da Roma, lo stato maggiore della Difesa, dopo aver sentito il comando delle Nazioni Unite in Libano, afferma che «al momento il personale del contingente militare italiano risulta estraneo a tale vicenda». Da parte sua, la Procura militare fa sapere di essere impegnata a «verificare» la notizia, per stabilire se vi siano reati di rilevanza penale. Si parte da un dato di fatto confermato da testimoni: la vendita in alcuni negozi in Libano, e anche nella capitale Beirut, di prodotti alimentari che riportano l’etichetta Unifil, l’acronimo di United Nations Interim Force in Lebanon. Parliamo della forza militare di interposizione creata il 19 marzo 1978, con le risoluzioni 425 e 426 del Consiglio di sicurezza, e che ha il suo quartier generale nella cittadina meridionale di Naqoura. Il mandato della missione è stato rinnovato in seguito all’invasione israeliana del Libano nel 1982, poi del ritiro delle truppe israeliane nel 2000 e dell’intervento israeliano nel 2006. Attualmente si tratta di oltre 12.300 militari, che collaborano con circa 300 civili di provenienza internazionale e 600 civili locali. Una presenza significativa, in termini di numeri e di lunghezza del mandato. Nonostante codici di identificazioni e bolle controfirmate, parti delle derrate alimentari finivano nel mercato nero. L'inchiesta di «El Pais» parte da 21 centri di distribuzione in base alle rivelazioni di alcuni operatori, con la testimonianza chiave di un dipendente di un’impresa subappaltrice. Questa persona, che «El Pais» identifica con le iniziali R.D. aveva l’incarico di supervisionare la container del campo, protetto da una doppia recinzione. Gli operatori hanno raccolto dettagliate informazioni da testimoni sul posto, secondo le quali i prigionieri verrebbero «picchiati periodicamente; i detenuti soffrono in condizioni sconvolgenti e il trattamento cui sono sottoposti non è altro che tortura» ha denunciato alla stampa Muthoni Wanyeki, la direttrice di Amnesty international per l’Africa orientale, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi laghi, chiedendo l’immediata chiusura del centro. Wanyeki ha precisato che i primi prigionieri sono arrivati nel campo di Gorom all’inizio di novembre dell’anno scorso. La maggior parte di loro sono civili senza una specifica incriminazione, ma accusati di legami con gli ex-ribelli della fazione armata del Movimento di liberazione popolare del Sudan (Splm-A-Io, dell’ex vicepresidente, Riek Machar), un’evoluzione del Movimento di liberazione del popolo del Sudan che prima faceva parte dell’opposizione, ma che ora fa parte del Governo di unità nazionale. Inoltre i carcerati — denuncia ancora il rapporto di Amnesty international — non hanno nemmeno la possibilità di comunicare con familiari, avvocati o tribunali. Militare francese in perlustrazione sull’area del disastro (Afp) IL CAIRO, 28. Una nave francese da ricognizione idrografica è arrivata nel tratto di Mediterraneo dove si sarebbe inabissato l’Airbus 320 della compagnia Egyptair, precipitato il 19 maggio scorso con 66 persone a bordo, di cui 15 francesi. Lo riferisce il quotidiano statale egiziano «al Ahram». L’imbarcazione è dotata di sistema di rilevazione e localizzazione dei segnali radio provenienti dalle scatole nere, che si ritiene siano finiti sui fondali del Mediterraneo a circa 3.000 metri di profondità, a metà strada tra le coste egiziane di Alessandria e l’isola greca di Creta. Le squadre di ricerca egiziane impegnate nelle indagini sul disastro dell’Airbus avrebbero intercettato ieri un segnale di emergenza proveniente dal relitto del velivolo, che potrebbe aiutare ad individuare la fusoliera. Restrizioni su import ed export e sul piano finanziario Inasprite le sanzioni europee alla Corea del Nord Il leader nordcoreano Kim Jong-Un insieme ad alcuni militari a Pyongyang (Afp) PYONGYANG, 28. Giro di vite nelle sanzioni europee contro la Corea del Nord. In risposta al test nucleare del 6 gennaio, e al successivo lancio di un missile balistico del 7 febbraio, i rappresentanti permanenti dei 28 hanno deciso ieri di inasprire ulteriormente le misure — commerciali e finanziarie — contro il regime comunista di Pyongyang. A fine marzo, l’Ue aveva già trasposto le sanzioni decise dal Consiglio di sicurezza dell’Onu (con la risoluzione 2270). Ieri, «considerando che le azioni della Corea del Nord costituiscono una grave minaccia alla pace internazionale e alla sicurezza nella regione», si legge in un documento ufficiale, i Ventotto hanno deciso di rafforzare le sanzioni per colpire più specificamente i programmi di Pyongyang per la costruzione di armi nucleari e missili balistici. Le nuove misure prevedono la proibizione di importazione nell’Ue di prodotti petroliferi e beni di lusso dalla Corea del Nord e di esportare qualsiasi materiale o tecnologia dual use (ovvero civile o militare). È inoltre vietato qualsiasi supporto finanziario per il commercio con il regime di Pyongyang. In campo finanziario, è vietato ogni trasferimento di fondi, così come sono proibiti tutti gli investimenti. ed è vietato ogni investimento di privati cittadini dell’Ue in campo minerario, chimico e della raffinazione. Per quanto riguarda i trasporti, è vietato qualsiasi volo in provenienza dalla Corea del Nord, inoltre dovrà essere rifiutato l’accesso a tutti i porti nel territorio dell’Unione europea per navi collegabili alla Corea del Nord, anche se per la sola nazionalità dell’equipaggio. distribuzione. A suo dire, quando si è accorto della truffa, ha riferito a qualcuno e poi ha cercato di entrare nell’affare per raccogliere prove. Oggi è sospeso dall’incarico in attesa di accertamenti. Fa male il sospetto di trovarsi di fronte all’ennesimo caso di coinvolgimento di forze di peacekeeping in scandali. Finora ce ne sono stati soprattutto a sfondo sessuale. Solo nove mesi fa, è stato eclatante l’allontamento, richiesto dallo stesso segretario generale, Ban Kimoon, del senegalese Babacar Gaye da capo della missione nella Repubblica Centrafricana. Non erano solo voci le denunce di stupri e induzione alla prostituzione anche di minorenni, di cui si erano macchiati soldati francesi della missione stessa. Il comandante, pur non essendo coinvolto nei fatti, è stato ritenuto direttamente responsabile di mancata sorveglianza sui suoi soldati. Primo caso del genere. A giugno 2015 c’era stato l’annuncio dell’Onu di un rinnovato impegno alla tolleranza zero. Solo in quell’anno e solo ad Haiti, erano stati 225 i casi di donne sfruttate sessualmente, di cui un terzo giovanissime. Ma guardando indietro, dai 150 casi documentati nel 2005 in Congo non c’è mai stata tregua. L’Oios, il servizio di investigazione interna del Palazzo di vetro, nei suoi dossier ha pagine drammatiche anche su Liberia e Sud Sudan. Si legge, tra l’altro, di «pretese in modo abituale di prestazioni sessuali, in cambio di cibo, denaro, telefonini vecchi, profumi». Ma se gli scandali sessuali indignano particolarmente, non possiamo non ricordare il caso Oil for food, la questione dei fondi neri, che ha coinvolto funzionari dell’Onu e del Governo iracheno. Il programma, letteralmente “petrolio in cambio di cibo", attivato dall’Onutra il 1995 e il 2003, intendeva permettere all’Iraq di vendere petrolio sul mercato mondiale in cambio di necessità umanitarie per la popolazione, evitando guadagni per eventuali spese militari. Si parla di illeciti per 50 miliardi di euro. Ci si aspetta davvero una svolta in termini di tolleranza zero nei fatti, su tutti i fronti. Chi porta pace, chi deve assicurare il mantenimento della pace, non può macchiarsi di azioni criminose contro la popolazione. Azioni che, non solo vanno contro la dignità di ogni persona, ma seminano anche discredito, ostilità, odio. Nuovo capo dell’Unifil BEIRUT, 28. Cambio al vertice della missione delle Nazioni Unite in Libano. Il generale irlandese Michael Beary è stato nominato nuovo comandante dell’Unifil, la forza Onu nel sud del Libano al confine con Israele. Il 24 luglio succederà al generale italiano Luciano Portolano. Nel comunicato dell’Onu, si legge che «il segretario generale Ban Ki-moon è grato al generale Portolano per il servizio esemplare e la leadership dell’Unifil negli ultimi due anni». Il generale Beary, nato nel 1956, ha passato dieci anni della sua carriera in missioni all’estero, compresi l’Afghanistan, la Bosnia ed Erzegovina, l’Iraq, l’Uganda e la Somalia. Inoltre ha servito tre volte nell’Unifil in Libano, nel 1982, 1989 e 1994. L’Irlanda, che non ha più di 200 militari impegnati nell’Unifil, su un totale di oltre 10.000, è stata presente nella missione Onu fin dal suo inizio, nel 1978, e ha avuto tra le sue file diversi caduti. Dal 1981 al 1986 un altro generale irlandese, Willliam O’Callaghan, ha retto il comando della forza Onu, in un periodo particolarmente caldo, quello che ha visto tra l’altro l’invasione israeliana del 1982. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 29 maggio 2016 Barberiano greco 372, fogli 5 verso - 6 recto © Biblioteca Apostolica Vaticana di CESARE PASINI el 1927 Eugène Tisserant, scriptor orientalis della Biblioteca vaticana e stretto collaboratore del prefetto Giovanni Mercati, compì un viaggio negli Stati Uniti, nel quale visitò molte biblioteche dando avvio a molti preziosi contatti: fu un viaggio memorabile, che avrebbe procurato al suo protagonista l’appellativo di “americano” e soprattutto avrebbe aperto le porte a una intensa collaborazione fra le biblioteche e università degli Stati Uniti e la Biblioteca apostolica vaticana. Dopo di lui altri bibliotecari della Vaticana intrapresero quella via: Enrico Benedetti e Carmelo Scalia lavorarono a Washington nella Library of Congress studiandone il funzionamento; Igino Giordani e Gerardo Bruni frequentarono corsi di biblioteconomia ad Ann Arbor e alla Columbia University di New York; e, negli anni successivi, Riccardo Matta, Giuseppe Graglia e Nello Vian frequentarono anch’essi corsi di biblioteconomia negli Stati Uniti. È noto che da questa presenza di “vaticani” in America e dalla analoga presenza di alcuni bibliotecari “americani” in Vaticana — grazie al generoso sostegno del Carnegie Endowment for N La promessa I La Biblioteca vaticana alla Notre Dame University Trasferta americana l’indice a schede degli autori e delle opere contenute nei manoscritti della Vaticana e la creazione della Scuola di biblioteconomia. Procedendo un poco nel tempo, un altro importante collegamento fra la Biblioteca vaticana e gli Stati Uniti venne a crearsi grazie all’azione di Giovanni Mercati. Questi infatti, divenuto nel frattempo cardinale bibliotecario, nel 1938 fu autore di un appello, fatto poi proprio da Papa Pio XI, alle università americane perché offrissero ospitalità agli studiosi di origine ebraica ostracizzati: Stephan Kuttner, Giorgio Levi Della Vida, Gerhart B. Ladner, Herbert Bloch e Paul Oscar Kristeller, che, grazie al fattivo interessamento di Mercati, poterono approdare negli Stati Uniti, venendo fra l’altro a creare centri di ricerca che sono stati poi legati alla Biblioteca vaticana. Dopo la seconda guerra mondiale, inoltre, il timore di un nuovo conflitto, che avrebbe potuto recare danni irreparabili anche ai tesori culturali conservati in Vaticana, indusse la Biblioteca a promuovere una campagna di microfilmatura della maggior parte dei propri manoscritti e a inviarne una copia alla Pius XII Memorial Library della Saint Louis University (oggi The Knights of Columbus Vatican Film Library), nello Stato del Missouri. QueChigi P.VII.12.pt.A, foglio 14 recto © Biblioteca Apostolica Vaticana ste iniziative, assieme alla costante presenza di studiosi americani nelle sale della biblioteca, International Peace e al coinvolgimen- dicono una tradizione di collaborato di William Warner Bishop — nac- zione radicata da decenni e ben inseque una collaborazione intensa e arti- rita in quella caratteristica di univercolata che nel 1931 portò alla redazio- salità che connota la Vaticana sin ne di specifiche regole catalografiche dalle sue origini: accoglienza a tutti per gli stampati della Vaticana. Nac- gli studiosi, apertura alle diverse quero anche altri frutti: in particolare scienze e lingue secondo lo spirito umanistico, intese e progetti con istituzioni di ogni parte del mondo. Oltre a organizzare il convegno di cui pubblichiamo in questa pagina una cronaca, l’università di Notre Dame ha offerto gli spazi del suo Snite Museum of Art per ospitare in una sala la suggestiva esposizione di dieci documenti vaticani, che richiamassero i temi del convegno con manoscritti e stampati, disegni e stampe, medaglie. La presentazione della mostra, affidata a Barbara Jatta, si è conclusa con il dono, da parte della Biblioteca vaticana, della Misericordiae vultus, la stampa artistica realizzata dalla Biblioteca vaticana in duecento esemplari per l’evento del giubileo della misericordia. Questo mostra la varietà degli ambiti in cui si sono espressi il convegno e la mostra espositiva, e suggerisce pertanto la varietà degli interessi, la molteplicità delle ricerche compiute e la costante attenzione del mondo americano nei confronti della Vaticana. Ciò che i “vaticani” ricordavano dei contatti con il mondo americano in tempi a noi precedenti ha trovato una effettiva continuazione nelle ricerche dei relatori del convegno. È così apparso con chiarezza quante risposte la documentazione vaticana possa offrire alle aspirazioni e agli obiettivi di ricerca che gli studiosi si trovano a nutrire. Certo, per continuare il cammino è necessario costruire giorno per giorno opportunità di studio e di ricerca, quali gli istituti scientifici creati in Roma possono favorire. Anche a questo scopo la Notre Dame University ha da poco costituito nella città eterna The Rome Global Gateway per favorire presenze di studio di studenti e ricercatori. Anche la digitalizzazione dei manoscritti, offerti liberamente alla consultazione degli studiosi in tutto il mondo, potrebbe favorirne una più ampia conoscenza e ulteriori possibilità di ricerca in biblioteca: si sa, del resto, che la facilitazione di consulta- re un manoscritto da lontano — con il risparmio di tempo e di spese che questo comporta — non esime poi da una consultazione diretta in loco, per l’indagine su tutti quegli elementi che completano la conoscenza del documento. Ancora di più la frequentazione prolungata della biblioteca diventa necessaria per quelle ricerche di ampio respiro che richiedono tempi lunghi. È dal convergere di tutti questi aspetti — la presenza in Roma di istituzioni che ospitano studenti e stu- Come sottolineò Paolo VI nel 1964 la biblioteca non è un cimitero perché tutto in essa parla e rivive E sembra palpitare nella rievocazione della storia e della vita passata diosi, la facilitazione della consultazione da lontano grazie alle nuove possibilità offerte dalla digitalizzazione, e la comprensione del valore di una ricerca seria e prolungata — che la Vaticana ritrova la sua vitalità e adempie alla sua missione. Solo così una biblioteca rimane viva. Come l’8 giugno 1964 si esprimeva Paolo VI quando visitò la Vaticana: la biblioteca «non è un cimitero, perché tutto, in essa, parla, rivive, sembra palpitare nella rievocazione che lo studio fa di questa eredità immensa dell’espressione umana, della storia, della cultura, della vita passata, la quale ivi riprende il colloquio con quelli che ne sanno cogliere e comprendere le voci misteriose». E per sostenere positive prospettive la Biblioteca apostolica vaticana e la Notre Dame University hanno voluto siglare, in occasione del convegno, un Memorandum d’intesa per favorire e incrementare la collaborazione intrapresa. l convegno The Promise of the Vatican Library, tenutosi alla Notre Dame University (Indiana) il 9 e il 10 maggio scorsi, fa pensare alla «promessa» della Biblioteca vaticana per il mondo americano, rappresentato in quei giorni da studiosi di varie università, cattoliche e non, degli Stati Uniti: una promessa reciproca, scambiata fra gli uni e gli altri, così che, da un lato, si potessero far conoscere le ricerche compiute da studiosi americani sui documenti della Vaticana e, d’altro lato, potessero essere mostrate le opportunità che si aprono per ulteriori studi e approfondimenti. I “vaticani” approdati alla Notre Dame University, Timothy Janz, Barbara Jatta ed Eleonora Giampiccolo, hanno contribuito a questo scopo con interventi specifici legati alle loro competenze. Interventi di tipo generale sono stati invece affidati al bibliotecario, al prefetto e al vice prefetto, e hanno riguardato la missione e la storia della Biblioteca, la collaborazione internazionale in cui è coinvolta, e le sfide e opportunità della digitalizzazione in Vaticana. Il convegno ha toccato gli svariati ambiti di studio affrontati dai ricercatori americani, distribuendoli in dieci sessioni. Per i manoscritti latini, oltre alla sessione a essi dedicata con l’intervento di Michael I. Allen sugli autografi di Lupo di Ferrières conservati in Vaticana, il convegno ha offerto una relazione in sessione plenaria di Carmela Vircillo Franklin sul Liber Pontificalis. Per la sessione sui manoscritti greci e bizantini si segnala il contributo di Timothy Janz, che, riferendosi agli editori di classici greci, ha mostrato come frequentemente essi abbiano trascurato di analizzare svariati manoscritti della Vaticana: si comprende come il campo della ricerca sia ancora molto aperto. John Monfasani è intervenuto in questa stessa sessione sugli uniati, gli anti-unionisti e gli altri greci e nella sessione su rinascimento, umanesimo e filosofia, parlando di Papi, cardinali e umanisti. Daniel Williman e Karen Corsano, nella sessione sulla filosofia e teologia latina, hanno trattato della laboriosità teologica di Papa Giovanni XXII. Nella sessione di numismatica, oltre all’intervento di Eleonora Giampiccolo a illustrazione della storia e delle collezioni della Vaticana, a rammentare le molte possibili ricerche, Mariele Valci e Paolo Visonà si sono soffermati su collezioni particolarmente significative della Vaticana: Valci sui “denari provisini”, Visonà sulle monete puniche. Le altre sessioni sono state dedicate alla storia urbana di Roma, alla storia delle scienze, all’Oriente cristiano, alla musica e alle arti grafiche. Per quest’ultima sezione ricordo gli interventi di John Pinto sulla valorizzazione e riproduzione delle piante di Roma a opera del cardinale Franz Ehrle, di Sarah McPhee sulla piramide di Caio Cestio nelle collezioni vaticane, di Heather Hyde Minor, sull’uccisione di Johann Joachim Winckelmann, che fu anche scriptor graecus in Biblioteca vaticana; e la presentazione delle collezioni grafiche della Vaticana compiuta da Barbara Jatta, per segnalarne i differenti possibili approcci di studio. (cesare pasini) Hieronymus Bosch in mostra al Prado dal 31 maggio all’11 settembre di GABRIELE NICOLÒ È sempre stato avvolto da un alone di mistero Hieronymus Bosch, il visionario pittore fiammingo di cui quest’anno ricorre il quinto centenario della morte. In particolare i simboli, spesso enigmatici, contenuti nelle sue tele hanno contribuito a radicare, nell’immaginario collettivo, la figura di un artista difficile da collocare: e le ondivaghe interpretazioni dei simboli stessi, che hanno diviso schiere di critici, hanno finito per ritagliare su Bosch un profilo elusivo. A tutto ciò si aggiunge il fatto che l’artista non datò mai le sue tele, rendendo quanto mai difficile un’esatta cronologia delle opere. Sull’artista il Prado ha organizzato una mostra, dal 31 maggio all’11 settembre, dal titolo Bosch, l’esposizione del quinto centenario. Si tratta di un avvenimento senza precedenti perché riunisce per la prima volta le sue opere più importanti. Basti pensare che il capolavoro Il Giardino delle Delizie (1480-1490) è stato il grande assente nella pur bellissima mostra, Il pittore del mistero conclusasi l’8 maggio, allestita dalla sua città natale, ‘s-Hertogenbosch. Tra le opere esposte al Prado figurano Adorazione dei Magi (1485-1500), attualmente in fase di restauro, Trittico di santa Giuliana (1500-1504), Trittico delle tentazioni di sant’Antonio (1506), Il carro di fieno (1516), Sette peccati capitali (1500), Salita al Calvario (1503-1504), Incoronazione di spine (1508-1509). Numerosi i prestiti da alcuni dei musei più prestigiosi, dal Metropolitan di New York al Louvre, dalla National Gallery di Washington al Museo di Arte antica di Lisbona: una collaborazione che fa di tale esposizione un avvenimento culturale di particolare rilievo, anche perché propone miniature, disegni, intagli e incisioni a bulino — produzione meno nota al grande pubblico — cui Bosch si dedicò con passione. È sicuramente il Trittico de Il Giardino delle Delizie il fiore all’occhiello della mostra. L’opera, la più famosa dell’artista, è anche la più enigmatica: su di essa la critica si è profusa in tentativi di esegesi di ogni tipo. Le facce esterne degli scomparti laterali rappresentano un’unica composizione: il globo terrestre al terzo giorno della creazione. La terra è vista entro una sfera trasparente, simbolo, forse, della fragilità dell’universo. Non vi sono ancora né uomini né animali, ma solo vegetali e minerali. E Bosch non colloca Dio al centro, ma lo pone in un angolo, in alto a sinistra, con una tiara sul capo e la Bibbia sulle ginocchia. Ed è proprio il rapporto con la religione a rappresentare uno dei tratti distintivi della sua pittura. Quella di Bosch è una religiosità vissuta con travaglio, al fuoco di una sofferta riflessione che intende andare al di là di una dimensione pietistica, caratteristica dell’epoca tardo-medievale. Indicativo, al riguardo, è il Carro di fieno, in cui è dominante la figura del viandante: in lui si specchia l’allegoria della vita «Il Giardino delle Delizie» (1480-1490, particolare) concepita come un continuo pellegrinaggio. Il bastone del viandante è nodoso, e gli serve per tenere a debita distanza un cane dall’aria assai minacciosa. Il bastone simboleggia la fede che offre un appiglio all’umanità, sempre sotto le insidie del male. A Bosch parte della critica ha contestato un uso poco disciplinato del colore. Ma a smentire tale assunto, come rilevano i curatori della mostra, vi è il Trittico delle tentazioni di sant’Antonio dove la ricchezza visionaria dell’invenzione compositiva è resa da un sobrio utilizzo della gamma cromatica e da un tocco di pennello leggero, solo suggerito. Una strategia compositiva che conferma la seducente capacità dell’artista di sottrarsi a classificazioni formali. E non a caso Salvador Dalí — che si diceva riconoscente debitore verso quel «linguaggio immaginifico» — soleva ricordare che ogni opera di Bosch fa storia a sé: di conseguenza il critico deve ricominciare ogni volta da capo, «non dando mai nulla per scontato», chiosava il maestro del surrealismo. L’OSSERVATORE ROMANO domenica 29 maggio 2016 pagina 5 Tra compassione e ipocrisia Il fascino discreto dell’eugenetica della madre ad abortire in caso di malformazioni. La sentenza dispone il risarcimento anche nei confronti della figlia, pur avendo cura di precisare che il diritto al risarcimento non viene disposto a fronte di una titolarità del nascituro, in quanto tale non soggetto di diritti, ma della cherebbe per ciò stesso il riconosci- figlia effettivamente nata. Una figura mento di un corrispondente diritto a singolare del diritto: la titolarità del non nascere? Di più, questa impo- diritto di non nascere è inesistente stazione apre anche il tema di una per il concepito, ma viene indirettaimputabilità genitoriale del far na- mente riconosciuta una volta che si è scere, come atto di costrizione sot- nati. Tornando al caso francese, nel tratto alla mia libera scelta, nel caso dicembre dello stesso anno 2000, il in cui io abbia motivi per rifiutare, deputato Jean-François Mattei ha con scelta deliberata e consapevole, proposto all’Assemblea nazionale un la vita inaccettabile alla quale sono emendamento all’articolo 15 del Costato esposto. Qual è il confine tra il dice civile che stabilisce chiaramente una barriera invalicabile tra le due figure: «La vita costituisce il bene Da quanto tempo non sfidiamo più essenziale di ogni essere umano, nessuno ha titonoi stessi misurandoci lo di avanzare richiesta sulla necessità di rimanere umani di risarcimento per il fatto di essere nato. Nel invece che sul nostro potere caso in cui un handicap di creare e distruggere? sia la conseguenza diretta di una colpa e non della natura, si ha pieno diritto di abortire per motivi precau- diritto al risarcimento secondo i terzionali e il dovere di non far nascere mini previsti dall’art. 1382 del prein condizioni di rischio? Il concetto sente Codice». La puntualizzazione di prevenzione e di rischio, a fronte ha il merito di restituire l’evidenza degli enormi sviluppi dello screening della netta distinzione fra i due pringenetico, al quale sono già molto in- cipi, pur rimanendo nella cornice teressate le agenzie assicurative, as- della problematica del risarcimento. sume ora una prospettiva che si al- Non sorprende dunque che la dilontana sensibilmente dai casi-limite scussione rimanga molto viva e che di senso comune (per dir così). le implicazioni antropologiche portaUn caso analogo si è recentemen- te in campo dalla radicalizzazione te verificato in Italia, dove la Corte giuridica del tema appaiano allo scodi Cassazione ha condannato un gi- perto. necologo di Treviso al risarcimento Un vantaggio, sotto certi aspetti. nei confronti di una bambina nata Ma anche un varco irrimarginabile nel 1996 con la Trisomia 21, per non aperto sullo scarto fra l’imperturbaaver predisposto l’amniocentesi, a bile retorica umanistica della lingua fronte della dichiarata disposizione corrente e il drammatico vuoto di af- mira a interiorizzare compassionevolmente la soluzione radicale, con accorti giochi di parole. L’interiorizzazione, si badi bene, funziona anche dalla parte delle vittime (che, in certo modo, siamo potenzialmente anche noi, i nostri nonni e i nostri figli). Il vecchio pregiudizio faceva sentire oscuramente colpevoli (i nostri genitori o noi stessi) di essere disabili. Il nuovo pregiudizio ci suggerisce di sentirci colpevoli anche di voler vivere. Non è forse cresciuta, incoraggiata da questo sguardo clinicamente preventivo, che ammicca tacitamente alla nostra responsabilità, la nostra angoscia per il peso — psichico, sociale, economico — che la volontà di vivere dell’essere umano molto malato e molto incapace impone alla comunità? Non veniamo sottilmente indotti a firmare in anticipo, per conto dei responsabili della comunità dei sani, le nostre volontarie dimissioni da una vita malata che venga giudicata priva di valore per loro e priva di dignità per noi? Nel novembre del 2000, la Corte di Cassazione francese, riunita in assemblea plenaria, ha deliberato il caso di Nicolas Perruche, afflitto da irreversibili disfunzioni riIl nostro impegno nei confronti della conducibili alla rosolia disabilità è all’altezza del nostro cui fu esposta la masbandierato rispetto per la vita? dre durante la graviPubblichiamo una riflessione sul tema danza. La causa di ritratta dall’ultimo numero del bimestrale sarcimento era stata intentata a fronte della culturale dell’Università Cattolica del singolare istanza di un Sacro Cuore, «Vita e Pensiero». “diritto a non nascere” colpevolmente negato al figlio. I legali dei genitori, infatti, hanno impostato la causa in sposizione, al di là della sua confer- questi termini sulla base della dima, sembra un’estensione verosimile chiarazione della madre, che sostiene del modus operandi di questo nuovo di essere stata indotta a proseguire la regime del Terrore, che non conosce gravidanza da una diagnosi erroneala pietà: né umana, né religiosa. Nel- mente rassicurante: in caso di prole manifestazioni della sua stessa gnosi infausta, infatti, avrebbe certapropaganda questo regime sembra mente abortito, sottraendo così il fiinfatti rivolto a contestare il diritto glio al danno permanente che gli è alla vita di tutti coloro la cui esisten- derivato dal fatto di essere venuto al za appare un ostacolo per la guerra mondo e costretto perciò a vivere “santa” e/o un’offesa per la purezza nella menomazione. La Corte ha della comunità dei “veri” credenti. cercato di stabilire un nesso di cauNei fatti, la reazione occidentale è salità fra le menomazioni del ragazcosì sbilanciata verso l’implementa- zo e l’errore medico che avrebbe imzione del dossier degli orrori in cui pedito l’aborto terapeutico, tenendo Daesh deve essere confermato, che però rigorosamente distinto questo la sostanza dell’argomento finisce profilo dell’eventuale diritto al risarper rimanere molto estrinseca alla cimento dalla possibilità di ricononostra riflessione sull’argomento. scere come causa giuridica del danCerto, l’astuta propaganda di Daesh no l’atto di far nascere il figlio: ofnon lascia nulla di intentato per ali- frendo così legittimazione all’abnormentare il suo terrore e il nostro or- me figura giuridica di un “diritto a rore. Ma anche la regìa dei nostri non nascere”. Posta in questi termimedia segue il suo mainstream. ni, la distinzione rimane comunque Nella sostanza infatti, e al di fuori intricata. di quel contesto, possiamo dire che Essa solleva il velo sulla soglia, il nostro impegno nei confronti della per lo più dissimulata, che separa (e disabilità e della vulnerabilità sia congiunge) il diritto dell’aborto teraall’altezza del nostro enfatizzato ri- peutico e il dovere di non far nascespetto per la vita e per la persona? re malati. Il riconoscimento del doPossiamo affermare che il confine tra vere di non far nascere non implila prevenzione terapeutica e la mentalità eugenetica sia così saldamente presidiato da inchiodare agli orrori irripetibili del nostro recente passato ogni possibile ritorno? Abbiamo combattuto per molti decenni una sacrosanta battaglia contro gli eccessi del “pietismo”, che aggiungeva alle ferite della disabilità l’umiliazione di una sterile commiserazione. Bene. È morto il 28 maggio a quasi 93 anni Non sentiamo forse risuonare, tra le Giorgio Albertazzi. Il grande attore e righe della nostra esaltazione del beregista italiano era nato a Fiesole il 20 nessere totale, la musica di una “pieagosto del 1923. Attivo per decenni sultosa” eliminazione dell’handicappale scene teatrali, Albertazzi è stato anto, che dissimula sotto il velo di una che uno dei primi divi televisivi, protacompassionevole soluzione finale — gonista di letture poetiche e di scenego piuttosto preventiva — il cinismo giati di grande successo. Aveva debutdi un’ottimizzazione del godimento tato nel 1949 con Luchino Visconti. della vita che non vuole essere diMemorabile il suo Amleto, per la regia sturbato neppure dalla vista dell’imdi Franco Zeffirelli, in cartellone nel perfezione che non corrisponde allo 1964 per due mesi all’Old Vic di Lonstandard? La nostra propaganda, dra e vincitore del Challenge al Thèatre certo, è più smaliziata. Intanto, essa de Nation di Parigi. di PIERANGELO SEQUERI a notizia di una fatwa dell’Is per l’eliminazione dei figli disabili, con una indicazione specifica per i bambini Down, ha fatto il giro del mondo, suscitando riprovazioni unanimi e riflessioni minime. La “notizia” rimane avvolta in un alone di incertezza, in attesa di documentazioni e conferme più specifiche a riguardo della sua reale formulazione ed esecuzione. Il tenore delle reazioni, nel mondo occidentale, evoca inevitabilmente la comparazione con le pratiche naziste ispirate all’eugenetica. La “notizia” appare molto funzionale all’immagine del nuovo terrorismo di Stato esibito dal sedicente Califfato islamico, e si lascia inquadrare agevolmente fra gli argomenti destinati a consolidare lo sdegno e l’orrore per il suo modo così diretto, perentorio e brutale, di praticare il disprezzo della vita umana. L’eventualità di una simile di- L Vita e Pensiero È morto Albertazzi fezione riflessiva che accompagna l’evoluzione tecnologica applicata alla condizione umana. Lo scarto viene ora allo scoperto, rivelando il grave ritardo con il quale proprio l’intellettuale europeo — l’inventore dei diritti dell’uomo — si rivolge ai grandi temi della condizione umana, dopo decenni di istupidimento di fronte agli effetti di incantamento prodotti dalla credenza in un automatico allineamento della tecnica e dell’etica, a vantaggio di una risolutiva capacità di responsabilità e di dominio del proprio destino. Di certo, abbiamo posto pilastri fondamentali per la tutela della dignità della persona e del diritto alla cura. Ma ora che siamo nella disponibilità di inedite facoltà di manipolazione della nascita (e della morte) dei singoli e della collettività, siamo condotti alla soglia di interrogativi che ci impongono di fare i conti con la contraddizione dei nostri stessi principi. Non sono domande prodotte dalla nostra coscienza morale: sono domande che la sfidano. Riconoscerci impreparati alla profondità della riflessione sui fini dell’umano agire, di cui dovremmo disporre, sarebbe un inizio migliore, in luogo della presunzione di poter chiudere l’argomento con una decisione che si lascia guidare dai mezzi che ci consentono di eliminare semplicemente il problema. Da quanto tempo non sfidiamo più noi stessi, misurandoci seriamente sulla necessità di rimanere umani anche nella nostra impotenza, invece che sul nostro potere di creare e distruggere, al quale l’essere-umani dovrà adattarsi? Da quanto tempo non dedichiamo il nostro impegno alle ragioni d’onore degli affetti più sacri e più cari, la cui grandezza risplende nella nostra determinazione a non tradirli anche nelle condizioni estreme? Da quanto tempo il nostro inconscio ha incominciato ad allucinare la morale superiorità di pratiche più scientifiche ed efficienti di selezione legittima delle vite buone e meritevoli di essere vissute? La drammatica della condizione umana, con le sue acuminate punte di tragico oscuramento del senso stesso del nascere, non è certo un’invenzione moderna. Da Sofocle a Giobbe, da Schopenhauer a Kafka, il “delitto” di essere venuti al mondo, la “disgrazia” assoluta di essere nati ci trafiggono come cifra dell’eccesso della disperazione che invoca l’impossibile annullamento dell’esistenza. Non è la morte che è invocata, qui, quanto piuttosto la contraddizione di una vita che non è all’altezza della sua promessa. Ma quale vita lo è? Quale essere umano può vivere senza soffrire e dunque, senza patire la vita? Dove apprende, l’essere umano, della possibilità di una vita in cui l’amore non sia esposto all’impotenza e alla contraddizione? Non certo in questa vita, in questo mondo, in questa storia. In questa vita, semmai, gli umani apprendono la miracolosa occorrenza delle infinite volte in cui l’amore riesce ad abitare anche l’impotenza e la contraddizione, a sfidare il dolore e il fallimento, a perforare il buco nero della disperazione e la dura scorza della prevaricazione. Il miracolo che ci sia amore, e spesso puro e inscalfibile come il diamante, anche nel sacrificio. Che ci sia riconoscimento e affezione anche per l’essere ferito e vulnerabile — e la natura e la cultura pensino quello che vogliono — questo è il miracolo. E tiene in vita il mondo. Enigma? Certo. Ma non pura eccezione, come il cinismo dei teoremi utilitaristici vorrebbe. La sparizione dei bambini down Pubblichiamo un estratto dal libro «La sparizione dei bambini Down» (Torino, Lindau, 2016, pagine 96, euro 12) che tratta la questione della disabilità a partire dal «sottile sentimento eugenetico che percorre l’Europa». di ROBERTO VOLPI Si potrebbe parlare di un’Europa tutta protesa verso l’obiettivo di contenere le nascite di bambini down entro numeri di assoluta marginalità in rapporto alle nascite e di pressoché impossibile avvistamento nel mare della popolazione. Insomma, la politica europea è implicitamente, se non proprio dichiaratamente, orientata a ridurre a zero l’incidenza dei nati down, cosicché non si vede perché scandalizzarsi della Danimarca quand’è tutto un affannarsi di Paesi, dalla Svezia alla Spagna, dalla Finlandia alla Grecia, passando per Italia e Francia, per evitare quanto più possibile — ed è possibile in una misura decisamente notevole, come vedremo dati alla mano — che vengano messi al mondo bambini down. Quella della scomparsa dei down anzi è la bandiera o la cartina di tornasole — a secondo che la si intenda in modo del tutto positivo o si nutra qualche dubbio di ordine etico-morale al riguardo — che misura il successo della lotta ingaggiata dai servizi sanitari dei Paesi più avanzati contro le malformazioni cromosomiche, quei difetti congeniti del nostro Dna che più fanno paura anche perché, sia detto, tra i più gravi. E la sindrome di Down non è neppure il peggiore dei difetti congeniti di origine cromosomica, ce ne sono di ben più pericolosi. Ma con la differenza che la sindrome di Down è molto più frequente, cosicché è di essa che si parla, piuttosto che degli altri. A seguito del sequenziamento del Dna umano si pensava che certe malformazioni del tipo della sindrome di Down, dovute a un ben preciso e individuabile errore genetico, sarebbero state piuttosto facilmente debellate con il ricorso all’in- gegneria genetica. In fondo, sapendo di un gene sbagliato o doppio o mancante, e di dov’è o dovrebbe essere collocato, della sua precisa posizione sulla doppia elica del Dna, non resterebbe che intervenire per “aggiustarlo” o togliere di mezzo il pernicioso doppione o per aggiungere il gene mancante. E in teoria, intendiamoci, è proprio così. Solo che, almeno al momento, questo resta, appunto, un ragionamento ancora fermo — o quasi — alla teoria. Cosicché si conta di vincere la battaglia contro la sindrome di Down evitando le nascite di bambini down più che non intervenendo sui feti che manifestano questa sindrome per “correggerne” il difetto, individuandoli con appositi test di diagnosi prenatale e successivamente — e sempre che lo si voglia, beninteso, sempre che la madre e i genitori lo vogliano, nessuno obbliga nessuno — ricorrendo all’interruzione volontaria della gravidanza per eliminarli. Esattamente quello che si sta facendo, ma che non è certo vincere la battaglia contro la sindrome di Down, che infatti è in pieno svolgimento e si annuncia ancora lunga. Difficile dire come evolverà la situazione, tra novità della diagnostica prenatale e possibilità, in prospettiva, di interventi di riparazione genetica dei feti imperfetti. I progressi in queste direzioni appaiono però lenti, molto più lenti di quanto non ci si aspettasse. E nel frattempo tendenze sempre più selettive si affermano e si estendono. Certo, fino a quando ci si potrà rifiutare di sottoporsi ai test di diagnosi prenatale, fino a quando si potrà scegliere di partorire un bambino down pur se diagnosticato come tale, potremo vantare una libertà individuale che sembra dissipare ogni dubbio circa una vocazione sociale, della società in quanto tale, di tipo eugenetico o, quantomeno, autoritaria sul piano genetico-biologico. Ma non c’è chi non veda, credo, come anche la possibilità della scelta, della libertà individuale, non possa essere considerata una “garanzia”, assediata com’è da programmi sanitari per un lato e indirizzi culturali per l’altro che convergono tutti sempre più puntualmente attorno a certi obiettivi selettivi. E, tra questi, quello di avere un numero sempre più piccolo, ai confini con l’invisibilità, di nascite di bambini down è un obiettivo che, pur non eugenetico in sé, all’eugenetica un poco fa comunque pensare. Forse perché svela proprio quel sottile sentimento eugenetico che, pur celato anche a noi stessi, si annida nella spasmodica ricerca, e meglio ancora nella pretesa della perfezione psico-fisica dei nostri bambini, dei bambini delle nostre società occidentali postmoderne. Sin dalla nascita, anzi sin da prima della nascita, sin dal concepimento. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 29 maggio 2016 Giorgio De Chirico «Il figliol prodigo», 1922 (particolare) Novant’anni fa Giovanni Colombo diventava prete Mattina di contentezza Se vince l’odio perdiamo tutti Due profeti e un Papa per la pace di ERNESTO OLIVERO Quando ero ragazzo ho incontrato due profeti del Novecento e un Papa che mi hanno cambiato la vita. Il primo è stato Giorgio La Pira, sindaco di Firenze e “santo”. In piena guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, le due superpotenze nucleari del tempo, citando la profezia di Isaia sosteneva la necessità di trasformare le armi in strumenti di Festival biblico «Giustizia e pace si baceranno» è il tema, ispirato a un versetto del Salmo 85, che in questi giorni anima a Vicenza la dodicesima edizione del Festival biblico. Pubblichiamo, quasi per intero, l’intervento pronunciato dal fondatore del Servizio missionario giovani e dell’Arsenale della pace. lavoro. Lo incontrai e mi innamorai della visione biblica che si era fusa completamente con la sua vita. Era credibile per come viveva, non c’era in lui divisione tra l’essere e il fare, le sue opere nascevano dal suo essere uomo di pace credibile. Qualche anno dopo incontrai un uomo vestito di bianco, fratel Roger, fondatore della comunità di Taizé. Le sue parole mi entrarono dentro: «Basta un pugno di ragazzi per cambiare il corso della propria città, del mondo». Era credibile, era un uomo di pace che indicava vie concrete di pace. Gli credetti sulla parola. Nel 1976, invece, incontrai Papa Paolo VI. Andai da lui senza appuntamento ma con un fuoco dentro. Volevo portargli la protesta dei giovani che come me volevano una Chiesa più povera, più decisa nelle opere di giustizia. Mi ascoltò — ero un ragazzino in camiciotto e blue jeans — mi abbracciò e mi disse: «Spero da Torino, terra di santi, per una rivoluzione d’amore». L’Arsenale della pace di Torino ha cominciato a venirmi incontro attraverso le parole credibili di testimoni di pace. Era un rudere, il luogo di morte in cui migliaia di operai costruirono le armi usate nelle guerre del risorgimento e nelle guerre mondiali. Era un rudere, ma io lo vedevo già trasformato, casa dei sogni di pace miei, dei miei amici, dei testimoni credibili che avevo incontrato. Il 2 agosto del 1983 iniziò una storia che non avrei mai immaginato. Attraverso il lavoro gratuito di centinaia di migliaia di giovani e adulti l’Arsenale cominciò a cambiare per diventare lentamente, ma decisamente quello che è oggi: una fabbrica di vita aperta 24 ore su 24, tutti i giorni all’anno. L’Arsenale cambiava volto e così il nostro gruppo di amici è adesso una fraternità di consacrati, sposi, sacerdoti, giovani che hanno deciso di dare la vita per un ideale di pace, mai slegato dalla concretezza. Da qui, l’accoglienza di donne e uomini — 15 milioni di notti di ospitalità — di 125 nazionalità diverse, la formazione di giovani da tutta Italia — l’anno scorso ne sono passati 25.000 —, migliaia di progetti di sviluppo in ogni angolo del mondo e i progetti educativi con bambini del quartiere Porta Palazzo, il più multietnico di Torino. di INOS BIFFI Per me la pace, come l’amore, come la fede, non è un sorriso, non è una parola, né tanto meno uno slogan. È un fatto. Sono convinto che oggi lavorare per la pace equivalga a investire sui bambini, sui ragazzi, sui giovani e a spendere tempo, energie per offrire loro non parole ma testimonianze di pace. Per disinnescare bombe umane occorre prendere la strada della prossimità con bambini e ragazzi italiani o stranieri, cristiani o musulmani che sono indifferenti a quanto succede nel mondo o talmente arrabbiati da volersi armare. Ai giovani dobbiamo dare verità e bellezza, farli innamorare di grandi ideali, per aiutarli a dire i “sì” e i “no” che contano nella vita. Dialogare, far emergere i loro sogni, comunicare con semplicità che la vita di ognuno può lasciare traccia di sé nella storia. C’è bisogno di aiutarli a vedere in concreto valori come la pace, il servizio, la solidarietà, il senso del bene comune. Impegni che molto spesso non fanno notizia e dunque per i più non valgono nulla. Se vogliamo gettare le basi di un domani di pace bisogna disinnescare le bombe che la minano e sono bambini e giovani che con facilità possono cadere nella trappola di una propaganda di odio e di violenza, possono essere facile preda di criminalità organizzata e di mafie. Dove c’è un vuoto, qualcuno lo riempie. La diversità di culture, religioni, appartenenze diverse è una ricchezza che bisogna valorizzare, è il futuro, è la possibilità di rinnovarsi e migliorarsi ma va guidata con saggezza. Servono donne e uomini saggi, capaci di ascolto, disposti a servire la pace, a creare legami di amicizia, di servizio, a promuovere un’educazione basata su regole condivise e percorsi di cittadinanza responsabile. La pace non si improvvisa, si prepara formando persone. Uomini saggi con le loro scelte hanno fermato guerre, hanno posto le condizioni per una pace duratura. Oggi dobbiamo preparare i saggi di domani che abbiano chiaro che pace è dare il primo posto sempre e comunque a ciò che è bene per l’uomo, nelle scelte di vita personale ma anche nell’organizzazione di una città, di una nazione. Il 29 maggio 1926, esattamente novanta anni fa, Giovanni Colombo veniva ordinato sacerdote nel Duomo di Milano, che sarebbe poi stata la sua cattedrale. Egli così ricordava: «Quella mattina avevo in corpo una contentezza tale che non sentivo neppure l’asfalto del marciapiede sotto il mio passo. Mi sembrava di volare. Il cielo era azzurro, solcato da rare e lunghe nuvole». Ricordare il cardinale Colombo in questo novantesimo non significa soltanto ripensare al suo episcopato, insigne per il suo lucido e non accomodante magistero, per la sua non titubante fermezza, per il senso di responsabilità nelle sue scelte, per l’attaccamento alla tradizione ambrosiana — che lo rendeva scrupoloso nell’esserle fedele, senza mancare di coraggio nelle innovazioni: si pensi solo alla riforma della liturgia ambrosiana, provvidenzialmente avvenuta con lui e da lui promossa e sostenuta, e per la quale è pensabile e auspicabile che continui a vegliare e a intercedere dal cielo. Aveva fatto di tutto per stornare da sé una tale elezione. E lo aveva fatto veramente, e non per finta. come forse più d’una volta avviene, o meglio avveniva. Oggi le cose vanno diversamente. E proprio su questa sua vocazione sacerdotale egli ci ha lasciato due rare confidenze, affidate a uno dei suoi Quaderni, che rimangono come fonti preziose per la sua biografia. Annotava il 22 settembre 1943, durante gli esercizi spirituali a Rho: «Due ricordi della fanciullezza sono affiorati dall’oblio, richiamati su alla luce della coscienza non so da quale forza misteriosa, in questi giorni di silenzio. Ecco il primo. Nel giugno 1913, una domenica mattina, mi trovano con la schola cantorum del mio paese a Milano, sulla cantoria della chiesa di Santa Francesca Romana, per la prima santa messa di un certo don Domenico Bellavista, che poi fu per breve tempo coadiutore di Saronno, e morì al fronte nella guerra 19151918. D’improvviso, prima che il santo rito iniziasse, fu illuminata la Madonna che stava sull’altare maggiore come in una nicchia. La mia attenzione fu attratta da quella luce, guardai la Madonna in quel momento, lo ricordo bene, udii distintamente pronunciare queste parole: “Tu sarai sacerdote di mio Figlio Gesù”. Risuonarono dentro o fuori di me queste parole? Non lo potrei dire ora con certezza. Ma fin d’allora non potei dubitare che da un’altra persona provenivano e non dal mio spirito. La Madonna mi ha chiamato. Grazie, dolcissima Madre, tu fosti la sorgente della mia vocazione, tu la protettrice, tu la purificatrice. Tutto quel che io sono, lo sento bene, lo devo interamente a te». L’altro ricordo. «Quando [segue il nome di un ragazzo] seppe ch’io avrei tra poco vestito la talare per avviarmi al sacerdozio, lui il compagno di scuola e di fuori scuola, mi guardò in silenzio. Nel suo sguardo c’era una fierezza mista a un certo disprezzo. Forse il dolore di non potermi seguire, forse l’orgoglio di non volermi seguire. Pareva dicesse: “Io almeno sono coerente. Ma tu…”. Riconosco quanta parte di ragione v’era nel suo tacito rimprovero. Ma oggi riconosco pure che anche l’Amore di Dio ha le sue incoerenze. O Signore, adoro con immensa gratitudine i disegni imperscrutabili delle tue amorose elezioni. Dammi la grazia di ricambiare quell’Amore con cui mi eleggesti con tutti gli istanti di vita che ancora mi restano». Allora Colombo era poco più che quarantenne. Gli restava da vivere ancora mezzo secolo: trascorso esemplare e luminoso fino allo splendore della porpora e fino al tempo della vecchiaia serena e operosa. Dibattito a Londra con la partecipazione di vescovi Il cardinale Nichols e l’arcivescovo Welby insieme su Facebook e a un simposio su Thomas Becket Sulle armi nucleari un confronto morale Se il popolo della rete s’interroga sull’ecumenismo LONDRA, 28. Devono essere considerazioni morali a guidare il dibattito su proliferazione e disarmo nucleare: a sostenerlo è il cardinale arcivescovo di Westminster, Vincent Gerard Nichols, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, intervenuto nei giorni scorsi a Londra a una riunione alla quale hanno partecipato quaranta fra presuli, studiosi cattolici e analisti politici provenienti da diversi Paesi. Creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari, guardando in particolare alle questioni teologiche e morali: questo il messaggio venuto dal vertice. Per il ve- scovo di Las Cruces, Oscar Cantú, presidente della Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale statunitense, «il confronto politico deve guardare al confronto morale. Abbiamo bisogno di educare e responsabilizzare le nuove generazioni di leader cattolici sulle argomentazioni etiche e politiche relative alla riduzione e all’eliminazione delle armi nucleari». Sulla stessa linea il vescovo di Troyes, Marc Stenger, presidente di Pax Christi France: «Va promossa, nell’opinione pubblica, una maggiore consapevolezza delle sfide alla pace portate dalle armi nucleari». LONDRA, 28. L’arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, cardinale Vincent Gerard Nichols, e l’arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, Justin Welby, hanno condiviso insieme, venerdì pomeriggio, su Facebook, una sessione di “domande e risposte”, cui ha fatto seguito un simposio su Thomas Becket a Lambeth Palace, al quale hanno preso parte entrambi. L’evento social è stata un’iniziativa di Welby. Il primate, infatti, come ha già riferito il nostro giornale la scorsa settimana, ha utilizzato il social network per dialogare e interagire con i fedeli anglicani sparsi nel mondo con una meditazione su un brano del Vangelo di Giovanni. Un’esperienza inedita di comunione intorno alla Parola di Dio, dunque, realizzata attraverso le potenzialità nuove offerte da internet. E che ora l’arcivescovo di Canterbury ha deciso di allargare anche a una dimensione ecumenica, invitando a una nuova sessione il cardinale Nichols. I due responsabili religiosi hanno parlato della preghiera, dell’unità dei cristiani e di come condividere con tutti la buona novella di Gesù Cristo nel mondo di oggi. All’evento social sono state numerose le domande arrivate dalla rete ai due responsabili religiosi e molte hanno riguardato questioni da tempo aperte: “Quando si arriverà a poter ricevere la Comunione, ciascuno nelle liturgie dell’altro? Come collaborare nell’annuncio del Vangelo di Gesù al di là delle differenze dottrinali tra le due confessioni? Che cosa possiamo fare insieme di fronte a drammi come quello dei profughi siriani?” La sessione su Facebook, che ha suscitato un grande interesse, è stata sicuramente un’esperienza Il cardinale Nichols da poter ripetere e che percorre il cammino di quell’ecumenismo di popolo sollecitato negli ultimi anni da più parti. Durante il successivo simposio di Lambeth Palace, il cardinale Nichols, che ha tenuto un intervento, ha chiesto l’ampliamento di un dialogo costruttivo nel Regno Unito tra le autorità laiche e le comunità di fede, al fine di affrontare al meglio le molteplici sfide del mondo di oggi. Il presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles ha ricordato il coraggio avuto da Thomas Becket nel difendere le prerogative della Chiesa durante il regno di Enrico II, nel 1170, sottolineando come, anche senza arrivare ai momenti più drammatici della storia, il rapporto fra «il ruolo e i poteri dello Stato da un lato e il ruolo e l’impegno della Chiesa dall’altro, non è mai facile». Il porporato ha anche ricordato le parole di Benedetto XVI a Westminster Hall, il 17 settembre del 2010: «La religione — disse il Papa in quell’occasione — per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione». Anche per questo «il ruolo dei fedeli è quello di difendere quei luoghi della vita nei quali la vera religione prospera». Il cardinale Nichols ha sottolineato che «le soluzioni alle sfide di oggi vanno trovate nel lavoro comune con i Governi», grazie a un’ormai acquisita posizione di fiducia, ma ha aggiunto che la Chiesa «non deve perdere le proprie radici giudaico-cristiane, risorse della nostra forza». Da qui, l’appello a tutti i cristiani a rimanere pienamente fedeli a Cristo, abbracciando la chiamata al discepolato anche se essa comporta dei sacrifici da affrontare. Lutto nell’episcopato Monsignor Petro Herkulan Malchuk, religioso dell'ordine dei frati minori, arcivescovo-vescovo di Kyiv-Zhytomyr in Ucraina, è morto nella notte tra giovedì 26 e venerdì 27 maggio a Grodno in Bielorussia, dove si trovava per partecipare alle celebrazioni del Congresso eucaristico nazionale. Il compianto presule era nato il 7 luglio 1965 a Sloboda Rashkiv, nella diocesi di Chişinău, ed era stato ordinato sacerdote il 7 giugno 1992. Eletto alla Chiesa titolare di Media il 29 marzo 2008 e nominato ausiliare della diocesi di Odessa-Simferopol dei latini, aveva ricevuto l'ordinazione episcopale il successivo 3 maggio dal cardinale Marian Jaworski. Quindi il 15 giugno 2011 era stato nominato vescovo di Kyiv-Zhytomyr, con il titolo personale di arcivescovo. L’OSSERVATORE ROMANO domenica 29 maggio 2016 Vertice in Vaticano sull’emergenza migranti. Sabato a mezzogiorno, nell’atrio dell’aula Paolo VI, hanno preso la parola Osayande, un giovane nigeriano che ha visto morire accanto a sé in mare la propria famiglia, e quattrocento alunni delle scuole medie calabresi, arrivati alla stazione vaticana con il treno dei bambini. Papa Francesco si è presentato all’incontro portando in mano il giubbotto salvagente di una bimba siriana morta mentre cercava di raggiungere con i genitori la spiaggia di Lesbo: insieme ai disegni donatigli dai piccoli durante la visita al campo profughi dell’isola greca, il Pontefice custodisce il salvagente tra le sue cose più care, da mercoledì scorso, quando, durante l’udienza in piazza San Pietro, lo ha ricevuto dalle mani di Óscar Camps, responsabile dell’associazione spagnola Proactiva Open Arms, in lacrime per non essere riuscito a salvare quella giovanissima vita. Per prima cosa, il Papa ha stretto in un abbraccio il ragazzo nigeriano che gli ha subito confidato di aver trovato a Lamezia Terme, in don Giacomo Panizza e nella sua comunità per minori stranieri, quel riferimento che lo ha portato a essere accolto da una famiglia italiana. Insieme hanno ha recitato l’avemaria, nel ricordo di tutti i migranti morti in mare. E soprattutto nel ricordo di quella piccola siriana: aveva appena sei anni, ha detto il Papa, e non sappiamo neppure quale fosse il suo nome. Ma «ognuno di voi — ha chiesto ai ragazzi calabresi — le dia il nome che vuole, nel suo cuore. Lei è in cielo e ci guarda. Chiudiamo gli occhi, pensiamo a lei e diamole un nome». Con la certezza, ha ag- Il Papa parla dei migranti ai bambini giunti dalla Calabria In pericolo e non un pericolo giunto, che la Madonna la stringe in un abbraccio per darle un bacio. Con i bambini Francesco ha quindi dato vita a un vivacissimo scambio di pensieri su come e perché accogliere i migranti. Prendendo spunto dal disegno di Giuseppe, che il Papa ha chiamato accanto a sé per spiegare la bellezza di un gruppo di bambini, con i colori della pelle diversi, che giocano insieme. E poi il dialogo aperto, senza giri di parole, con Antonio, Concluso il viaggio del cardinale Filoni Colombia missionaria «Sappiate che incontrerete la chiusura mentale, la cecità e il pregiudizio, da parte di quanti non conoscono o non riconoscono Cristo, ma hanno la presunzione di giudicare Dio» e che «la conseguenza di questo atteggiamento può essere l’indifferenza o la persecuzione». Ma Gesù è “la garanzia” che l’attività di evangelizzazione della Chiesa produce sempre abbondanti frutti. È quanto ha sottolineato il cardinale Fernando Filoni durante la messa per l’invio dei missionari in Colombia. Il prefetto di Propaganda fide ha presieduto il rito sabato mattina, 28 maggio, nella cattedrale di Bucaramanga, a conclusione del dodicesimo congresso nazionale missionario. Quello di sabato è stato anche l’ultimo appuntamento pubblico in terra colombiana del porporato che nel pomeriggio è tornato nella capitale Bogotá, dove in serata si è imbarcato sul velivolo che lo ha ricondotto a Roma. All’omelia il cardinale Filoni ha commentato il passo del vangelo di Marco riguardante l’obiezione dei sommi sacerdoti, degli scribi e degli anziani sull’autorità di Gesù (11, 27-33). E in particolare ha chiarito che in quanto «discepoli e missionari, il limite del nostro peccato e le nostre imperfezioni non devono essere una scusa. Al contrario, la missione di evangelizzazione deve essere un costante incoraggiamento a non acconten- tarsi della mediocrità, ma a continuare a crescere» nella fede e nella carità. In precedenza, nella giornata di venerdì 27 il cardinale aveva partecipato ai principali appuntamenti del congresso missionario, con un intervento pubblico al mattino, dialoghi informali con i vicari apostolici e i vescovi del Paese e con la messa per l’arcidiocesi di Bucaramanga celebrata nel pomeriggio in cattedrale. Nel corso della lunga e articolata conferenza pronunciata ai lavori congressuali, il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli si è anzitutto soffermato su una coordinata geografica, e cioè sul fatto che «Francesco è il primo Papa latino– americano», che ha portato una nuova modalità di relazionarsi con le persone «come pastore e padre», secondo uno stile di vita fatto di gesti umani e sacerdotali che attirano l’attenzione, toccano i cuori e le menti, scuotono. Il porporato ha fatto notare in proposito che è uno stile che rimanda alla conferenza di Aparecida e all’idea di “discepolato missionario” per una Chiesa in uscita, in cui ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati fuori dalle proprie comodità per raggiungere tutti quelli che hanno bisogno della luce del Vangelo della misericordia. In pratica, ha concluso il cardinale Filoni, anche quella colombiana deve essere «una Chiesa al servizio delle perife- rie esistenziali dei poveri e della società. Una Chiesa che sa essere compassionevole, tenera e fraterna». Guglielmo, Ariston (fuggito dallo Sri Lanka) e Sabba. L’emergenza dei migranti è stata affrontata dal Papa e dai suoi giovani interlocutori a partire dall’immagine evocativa delle onde del mare: quel mare che in Calabria è tanto bello ma che, purtroppo, a volte diventa persino sepolcro per i migranti in cerca di salvezza, di una vita migliore, di un lavoro. Nel botta e risposta con i ragazzi, il Pontefice ha sollecitato tutti a destarsi dall’indifferenza e a rompere gli indugi per accogliere gli altri come fratelli. L’accoglienza — ha spiegato — significa prendersi cura dell’altro. E a questo proposito ha attualizzato la parabola del buon samaritano, invitando i presenti a compiere gesti concreti di accoglienza: stringere la mano, allargare le braccia e avere anche quella tenerezza che porta a dare un bacio, una carezza. «I migranti non sono un pericolo, ma sono in pericolo» ha ripetuto il Papa, citando una frase della lettera che gli hanno scritto i bambini per chiedergli di incontrarlo. E su questa verità il Pontefice ha pagina 7 insistito, chiedendo di ripetere più volte e a voce alta: «Non sono un pericolo, ma sono in pericolo». Perché lo straniero non è pericoloso e cattivo. E non deve spaventare solo perché ha un colore diverso della pelle, un cultura o una religione differente. La vita, infatti, è condividere, perché siamo tutti fratelli e abbiamo Dio come padre. Sollecitato da un bambino che gli ha chiesto come si possa dirsi cristiani, andare a messa, e poi rifiutare i migranti, Francesco ha parlato apertamente di ipocrisia. Invitando a non essere egoisti, ma ad avere il coraggio di compiere scelte generose di condivisione. Da parte loro i bambini hanno espresso al Papa la loro indignazione di fronte alla mancata accoglienza che è sempre «un’ingiustizia». E Antonio, dieci anni, è arrivato a dire che le persone che non fanno accoglienza «sono bestie». In realtà — ha precisato il Papa — Antonio non voleva insultare nessuno ma il cuore dell’uomo deve essere capace di tenerezza. Francesco non ha mancato di ricordare i veri valori del gioco e dello sport, il senso di «fare squadra insieme», riprendendo le parole di una bambina romana secondo cui lo sport insegna l’amicizia, a «non barare e a rispettare il prossimo». E ha risposto alla domanda di un’altra ragazzina romana su cosa prova a essere Papa. Semplice, la risposta: «me lo ha chiesto Gesù». Il treno con i bambini, un Frecciargento partito da Lamezia stamane alle 6, è arrivato alle 11.20 alla stazione vaticana. Ad accompagnarli la presidente del gruppo Ferrovie dello Stato, Gioia Ghezzi. Ad accoglierli i cardinali Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato, e Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, promotore dell’iniziativa nell’ambito del Cortile dei gentili. I ragazzi sono arrivati cantando «Portati dalle onde», accompagnati anche da sessanta coetanei che fanno parte dell’orchestra Quattrocanti di Palermo, un realtà che sta offrendo grandi opportunità di riscatto a molti giovani proprio attraverso la musica. E da cinquanta rappresentanti dell’associazione romana Sport senza frontiere, impegnata nelle periferie nel garantire opportunità di svago gratuite per favorire l’inserimento sociale. Conferenza del vescovo Ayuso al movimento dei Focolari Le religioni alleate per la pace I fratelli delle altre religioni possono essere «alleati per prevenire ogni guerra e condannare tutte le violenze, consapevoli che una fede in Dio sincera apre all’altro, genera dialogo e opera per il bene, mentre la violenza nasce sempre da una mistificazione della religione»: lo ha sottolineato il vescovo Miguel Ángel Ayuso Guixot, segretario del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, partecipando giovedì 26 maggio a un incontro formativo promosso dal movimento dei focolari a Castel Gandolfo. Dopo aver ricordato «lo spirito di Chiara Lubich», fondatrice del movimento «che anticipò la “cultura dell’incontro” predicata da Papa Francesco», il presule comboniano ha messo in luce come questo tema stia particolarmente a cuore al Pontefice, sin da «quando ancora era arcivescovo di Buenos Aires». Jorge Mario Bergoglio, ha spiegato il relatore, «non ha perso occasione per promuovere incontri fra credenti di religioni diverse e così continua a fare oggi». E «non è azzardato dire che non passa giorno senza che vi faccia riferimento». Ribadito che «il dialogo interreli- gioso affonda le radici nell’avvenimento conciliare al quale hanno fatto riferimento anche i Pontefici nel loro magistero», il vescovo Ayuso ha parlato del “dialogo dell’amicizia” voluto da Francesco, che «non ha niente di semplicistico, superficiale o buonista», ma al contrario “è esigente”. Anche perché, ha osservato, «per dialogare è necessario avere un’identità», senza la quale il dialogo «potrebbe rivelarsi inutile o dannoso». Inoltre «avere un’identità ben radicata non va a scapito dell’amicizia» e «aiuta a provare sentimenti di empatia e condivisione». Dunque «non un ideale astratto», ma «dialogo fatto da persone concrete, che si incontrano nel quotidiano in ambiti comuni e che già, spesso, condividono tanta parte della loro vita». Il riferimento è dunque alle «società multireligiose, come quelle europee, nelle quali la prima forma di dialogo è quello della vita». E poiché «la Chiesa cattolica è consapevole del valore che riveste la promozione dell’amicizia e del rispetto tra uomini e donne di diverse tradizioni religiose», il segretario del dicastero vaticano ha invitato a comprendere «sempre In Vaticano il sesto congresso mondiale di Scholas Occurrentes Contro la logica dei muri, la scuola costruisce ponti. È questo il cuore del sesto congresso mondiale di Scholas Occurrentes che, iniziato il 27 maggio, si svolge fino a domenica 29 in Vaticano. Vi partecipano circa quattrocento rappresentanti della comunicazione, dell’arte, dello sport e della tecnologia, provenienti da 190 Paesi. Momento principale è l’incontro con Papa Francesco nell’Aula del sinodo, nel pomeriggio del giorno conclusivo. Il congresso si sta svolgendo parallelamente in due sedi: la Casina Pio IV ospita il seminario: «L’università e la scuola: Un muro o un ponte», con i rappresentanti delle oltre quaranta università di tutto il mondo che hanno accolto la pro- Protagonisti i giovani posta di tenere una cattedra annuale di Scholas impegnandosi ad accompagnare almeno tre suoi progetti sociali. Il seminario ha avuto come centro di confronto il pensiero educativo di Papa Francesco e le modalità in cui questo si possa applicare nella proposta della rete di scuole fondata nel 2013. Agli incontri sono intervenuti rappresentanti di diverse religioni — tra questi l’arcivescovo Angelo Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’educazione cattolica — ed esperti in ambito neuroscientifico, epistemologico e politico. Per il mondo islamico, Shahrzad Houshmnd Zadeh, do- cente di studi islamici alla Pontificia Università Gregoriana, ha parlato delle cattedre di Scholas come ponte per il dialogo interreligioso e interculturale, mentre Tamar Hay Sagiv della Twinned Peace Sport School e Peres Center for Peace di Israele, hanno presentato un programma nel quale gruppi di bambini di israeliani e palestinesi sono coinvolti in attività di pace ed educazione, usando lo sport come strumento per promuovere la convivenza e la comprensione reciproca. Presso la Libera Università Maria Santissima Assunta, invece, nell’ambito del progetto «Ciuda- danía global», si è svolto un laboratorio in cui giovani provenienti da Argentina, Australia, Emirati Arabi, Mozambico, Spagna e Paraguay, sono stati chiamati elaborare proposte operative in merito a due temi di prospettiva planetaria: il problema dell’arruolamento dei giovani nel terrorismo internazionale e il coinvolgimento delle nuove generazioni nella salvaguardia della casa comune secondo le linee dell’enciclica Laudato si’. A chiusura del congresso è stato firmato il documento finale da presentare al Papa. L’incontro con il Pontefice, al quale i giovani rivolgeranno alcune domande, è anche l’occasione per lanciare le prossime iniziative di Scholas e un progetto social svolto insieme alla Mondadori. più l’importanza» del dialogo «sia perché il mondo è diventato “più piccolo”, sia perché il fenomeno delle migrazioni aumenta i contatti tra persone e comunità di tradizione, cultura, e religione diversa». Da qui la conclusione che «nel mondo di oggi, segnato tragicamente dalla dimenticanza di Dio o dall’abuso che si fa del Suo nome, le persone appartenenti alle diverse religioni sono chiamate, con un impegno solidale, a difendere e promuovere la pace e la giustizia, la dignità umana e la protezione dell’ambiente». Giubileo dei diaconi Servizio e misericordia Dal 27 maggio una nutrita rappresentanza di diaconi permanenti di tutto il mondo è a Roma per celebrare il giubileo. Culmine del pellegrinaggio, domenica 29, la messa presieduta da Papa Francesco in piazza San Pietro. A cinquant’anni dalla re-istituzione del diaconato permanente — avvenuta con il concilio Vaticano II (Lumen gentium, 29) — la tre-giorni romana si è aperta venerdì con un incontro sul tema: «Il diacono, immagine della misericordia per la promozione della nuova L’icona di Santa Maria in Portico evangelizzazione» tenutosi per i vari gruppi linguistici nelle chiese di Santa Maria in Vallicella e nelle basiliche di Sant’Andrea della Valle, San Giovanni Battista de’ Fiorentini, Santa Maria sopra Minerva e San Marco Evangelista. Stesse sedi, nel pomeriggio di sabato, per la catechesi dedicata alla vocazione «a essere dispensatori della carità nella comunità cristiana». La mattina di sabato i diaconi con le loro famiglie hanno compiuto il pellegrinaggio a San Pietro per varcare la porta santa. Nelle tre giornate, per tutti, c’è stata la possibilità di partecipare all’adorazione eucaristica e di accostarsi al sacramento della riconciliazione. Uno dei simboli di queste giornate resterà l’antica icona mariana di Santa Maria in Portico che viene esposta domenica, in piazza San Pietro, per la messa con il Pontefice. L’immagine è legata alla tradizione dell’apparizione che nel VI secolo portò la patrizia romana Galla a dedicare la sua vita alla preghiera e al servizio dei poveri. Nomina episcopale in Zimbabwe Celestino Migliore nunzio a Mosca La nomina di oggi riguarda l’Africa. Sabato 28 maggio è stata resa nota la nomina dell’arcivescovo Celestino Migliore come nunzio apostolico nella Federazione Russa. Nato a Cuneo il 1° luglio 1952, è stato ordinato sacerdote il 25 giugno 1977. Si è incardinato a Cuneo. È laureato in diritto canonico. Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede nel 1980, ha prestato successivamente la propria opera presso le rappresentanze pontificie in Angola, Stati Uniti d’America, Egitto, Polonia. Il 14 aprile 1992 è stato nominato inviato speciale con funzioni di osservatore permanente presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo. Quindi il 21 dicembre 1995 è divenuto sotto-segretario della sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Il 30 ottobre 2002 è stato nominato osservatore permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle nazioni unite (Onu) e nel contempo elevato alla dignità di arcivescovo. Gli è stata assegnata la sede titolare di Canosa. Il 6 gennaio 2003 ha ricevuto l’ordinazione episcopale. E dal 30 giugno 2010 era nunzio apostolico in Polonia. Paul Horan vescovo di Mutare Nato a Drangan, nella contea irlandese di Tipperary, il 17 ottobre 1962, ha compiuto gli studi filosofico-teologici, ottenendo il baccellierato, presso il Milltown College di Dublino (1990-1995). Il 15 ottobre 1995 ha emesso i voti perpetui ed è stato ordinato sacerdote carmelitano il 7 giugno 1997. Prima di entrare nell’ordine religioso, aveva lavorato alla Chartered Association of Certified Accountants of Ireland. Nel 2001 si è specializzato in teologia spirituale alla Catholic university of America di Washington, D.C. Arrivato nello Zimbabwe nel 2001, ha frequentato un corso di lingua shona facendo esperienza pastorale missionaria. Fino al 2004 ha diretto il postulandato dei carmelitani a Rusape (Mutare), poi per due anni il noviziato carmelitano sempre a Rusape. Dal 2006 al 2008 è stato assistente della parrocchia Saint Kilian’s in Makoni, Mutare, e dal 2008 dirigeva la scuola cattolica Kriste Mambo a Rusape.