L`OSSERVATORE ROMANO

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L`OSSERVATORE ROMANO
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 121 (47.256)
Città del Vaticano
domenica 29 maggio 2016
.
Nel canale di Sicilia settanta morti e dodicimila persone salvate in una settimana ma resta l’incognita dei dispersi
I popoli della fame interpellano quelli dell’opulenza
Chiuso Idomeni
i migranti stanno peggio di prima
Distanza
drammatica
di GUALTIERO BASSETTI
BRUXELLES, 28. Resta impossibile al
momento valutare il numero di dispersi in mare nei tre naufragi avvenuti in questa settimana. C’è la certezza di 70 cadaveri riportati a riva,
ma anche del salvataggio di oltre
12.000 migranti. Nelle ultime ore sono stati messi in salvo 160 migranti
che, a bordo di due gommoni, erano
in condizioni disperate a circa 20
miglia dalla costa libica.
A Catania, lo sbarco di 860 persone, a Porto Empedocle di 526. E poi
altri sbarchi anche in Calabria e in
Puglia. Mentre solo per lunedì si
prevede l’arrivo della nave con 470
migranti in navigazione dalle coste
della Libia verso la Sardegna. È la
prima volta che una nave con dei
migranti a bordo fa rotta per Porto
Torres. Ma potrebbe esserci anche
l’arrivo di un altro cospicuo contingente di naufraghi.
Il mare calmo e il bel tempo hanno spinto tanti a salire su barconi
stracarichi di persone che in tre casi
non hanno retto e, uno al giorno a
partire da mercoledì, sono naufragati
lasciando in acqua decine di persone. Sull’ultimo barcone affondato, in
ordine di tempo, c’erano 135 persone
con 45 cadaveri.
Il pensiero resta in particolare
all’imbarcazione che si è rovesciata
giovedì al largo della Libia, perché
in quel caso i morti accertati sono
stati 20 ma i superstiti hanno parlato
di un centinaio di dispersi. Mercoledì era stata la volta del naufragio del
barcone col ponte stipato all’inverosimile che, dopo essere stato intercettato, ha ondeggiato paurosamente
sotto il peso dei passeggeri, si è piegato sul lato sinistro e infine si è ribaltato completamente. Il pattugliatore Bettica ha salvato 562 persone,
recuperando i corpi di cinque persone ma si pensa che nella stiva del
peschereccio possano essere rimasti
in molti.
Intanto, l’Alto commissariato Onu
per i rifugiati, Unhcr, ha espresso
«seria preoccupazione» per le condizioni di diversi siti nel nord della
Grecia, dove i rifugiati e migranti
sono stati portati nei giorni scorsi
dopo lo sgombero del campo di
Idomeni. Si parla di «condizioni per
i migranti al di sotto degli standard
minimi accettabili» L’Unhcr esorta
le autorità greche, «a trovare rapidamente migliori alternative con il supporto finanziario fornito dall’Unione
europea». È quanto dichiara da Ginevra la portavoce dell’agenzia
dell’Onu per i rifugiati Melissa Fleming.
Idomeni era un campo di fortuna.
Istituito a settembre dall’Onu per
2000 persone, era arrivato a contenerne 3300. Le condizioni erano pessime e tutti hanno ritenuto necessaria la chiusura. Ma il punto è che
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no famiglie che risultano separate
dopo il trasferimento.
Con un pensiero alle tante vittime
in mare, si è aperto a Tangeri, in
Marocco, il terzo vertice dei presidenti dei Parlamenti dell’Assemblea
parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo. Sul tema: «Insieme per
un futuro comune dell’Euro-Mediterraneo».
Ai bambini giunti in treno dalla Calabria il Papa parla dell’accoglienza ai profughi
Con il salvagente in mano
Francesco mostra ai bambini il giubbotto appartenuto a una piccola siriana morta nelle acque davanti all’isola di Lesbo
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è una drammatica distanza tra quei Paesi, soprattutto del mondo occidentale, dove assistiamo a una continua proliferazione dei diritti individuali, talvolta confusi con desideri
e nuovi bisogni, e quelle nazioni,
soprattutto dell’Asia e dell’Africa,
dove invece è assente anche il più
basilare diritto alla vita: quello di
avere del pane per poter vivere.
Poco più di un mese fa, ho compiuto una visita in Malawi. Da circa trent’anni, infatti, la diocesi di
Perugia ha sviluppato un rapporto
di solidarietà con la diocesi di
Zomba che ha portato alla costruzione di due ospedali, di dispensari
sanitari, cinque asili infantili e un
politecnico. Il Malawi è uno dei
Paesi più poveri del mondo, dove
il dieci per cento della popolazione
è sieropositiva e dove, lo scorso
aprile, nel silenzio dell’opinione
pubblica mondiale, è stato dichiarato lo stato di catastrofe naturale.
Da più di un anno una terribile
siccità, che colpisce anche le nazioni confinanti — Mozambico, Zimbabwe, Zambia — sta attanagliando
la vita di quei Paesi. In attesa che
arrivino gli aiuti umanitari delle
Nazioni Unite, la vita di molte
persone è in pericolo e le popolazioni che vivono nei territori interni del Malawi rischiano di morire
di fame. Non si tratta di una metafora o di un gioco di parole. È la
drammatica realtà: morire di fame.
«I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i
popoli dell’opulenza» scrisse Paolo
VI nella Populorum progressio. A distanza di quasi cinquant’anni
quell’appello vale ancora, ci interroga profondamente. Oggi circa ot-
C’
Almeno centomila civili stretti nella morsa dei combattimenti
Dramma al confine tra Siria e Turchia
DAMASCO, 28. È una situazione
sempre più drammatica quella al
confine tra Turchia e Siria, a nord
della città di Aleppo. Centomila
civili sono intrappolati alla frontiera: sono stretti nella morsa dei
Udienza al presidente
della Repubblica di Singapore
Nella mattina di sabato 28 maggio,
Papa Francesco ha ricevuto in
udienza il presidente della Repubblica di Singapore, Tony Tan Keng
Yam, il quale ha successivamente incontrato il cardinale Pietro Parolin,
segretario di Stato, accompagnato
dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con
gli Stati.
Nel corso dei cordiali colloqui sono state evocate le buone relazioni
tra la Santa Sede e Singapore, non-
l’Unhcr sottolinea che alcuni sono
stati spostati in depositi o fabbriche
in stato di abbandono, con tende disposte in modo troppo ravvicinato,
poca aria e insufficienti forniture di
cibo, acqua e servizi igienici.
Per alcuni casi c’è un’altra preoccupazione. Nonostante lo sgombero
di Idomeni sia avvenuto senza complicazioni, l’Unhcr avverte che ci so-
ché la collaborazione tra la Chiesa e
lo Stato, soprattutto in campo educativo e sociale.
Inoltre, sono stati passati in rassegna alcuni temi dell’attualità internazionale e della situazione politica
regionale, con particolare riferimento all’importanza del dialogo interreligioso e interculturale per la promozione dei diritti umani, della stabilità, della giustizia e della pace nel
sud-est asiatico.
combattimenti tra l’esercito leale al
presidente Assad e i ribelli, nonché
delle violenze perpetrate dai miliziani del cosiddetto Stato islamico
(Is). A lanciare un appello per
cercare di sbloccare la situazione e
inviare i primi aiuti ai profughi sono state ieri diverse ong. Queste
ultime hanno inoltre denunciato
l’avanzata dell’Is nell’area in
seguito all’offensiva delle forze curdo-siriane su Raqqa, iniziata circa
48 ore fa.
In base a quanto dichiarato da
fonti di stampa, gruppi di jihadisti
avrebbero preso il controllo della
strada che collega Aleppo, distante
appena 13 chilometri dal confine
turco, e la città di Marea, dove sarebbero attualmente intrappolati almeno 15.000 civili. L’organizzazione internazionale Medici senza
frontiere ha confermato che l’emergenza al confine riguarda almeno
100.000 persone, inclusi i civili nei
campi profughi all’interno del confine siriano.
Una situazione molto simile è
quella che si registra in Iraq, dove
oltre quattromila persone sono in
fuga dalla città di Mosul segnata
dalle violenze tra esercito e Is. Durante un briefing a Ginevra, la portavoce dell’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati), Melissa
Fleming, ha denunciato ieri «l’aumento del numero di rifugiati iracheni che tentano la pericolosa fuga da Mosul verso la Siria».
Disabilità tra compassione e ipocrisia
A PAGINA
re Breaking Terrorism (lanciata
all’inizio di questa settimana per riconquistare la città), il premier, che
è anche comandante in capo delle
forze armate, ha dichiarato che
«questa battaglia richiede un grande sforzo».
Il movimento di protesta, iniziato nel luglio scorso, si è rinvigorito
di recente grazie ai proclami del
leader religioso sciita Moqtada al
Sadr. Venerdì scorso, infatti, migliaia di manifestanti erano riusciti
a sfondare i blocchi della “zona
verde” e a fare irruzione nella sede
del Parlamento iracheno, chiedendo
appunto riforme e lotta alla corruzione. Negli scontri con la polizia
sono rimaste uccise quattro persone. Le autorità hanno decretato il
coprifuoco a Baghdad.
NOSTRE INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in
udienza Sua Eccellenza il Signor Tony Tan Keng
Yam, Presidente della Repubblica di Singapore,
con la Consorte, e Seguito.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Bayombong (Filippine), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Ramon B. Villena, in conformità al canone
401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in
udienza gli Eminentissimi Cardinali:
— Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione
per i Vescovi;
— George Pell, Prefetto della Segreteria per
l’Economia.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Mutare (Zimbabwe), presentata da Sua Eccellenza Monsignor
Alexio Churu Muchabaiwa, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.
Provvista di Chiesa
Il fascino discreto
dell’eugenetica
PIERANGELO SEQUERI
Oltre a Mosul, c’è anche Baghdad nell’occhio del ciclone. Ieri
centinaia di manifestanti si sono
riuniti davanti alla “zona verde”
(l’area fortificata che ospita gli edifici governativi e le ambasciate straniere) per esprimere il proprio dissenso nei confronti del Governo del
premier Haider Al Abadi, accusato
di non fare abbastanza nella lotta
contro la corruzione. La polizia e i
soldati dell’esercito a presidio della
cittadella hanno esploso colpi d’arma da fuoco e gas lacrimogeni per
disperdere la folla. Al Abadi ha
lanciato ieri un appello all’unità del
Paese, invitando a rimandare l’organizzazione di proteste fino alla
completa liberazione della città di
Fallujah dall’Is. Parlando dal quartier generale della campagna milita-
tocento milioni di persone, in tutto
il mondo, continuano a patire per
la fame.
Nell’omelia del Corpus Domini,
Papa Francesco ha ricordato «i
santi e le sante che hanno “spezzato” se stessi, la propria vita, per
“dare da mangiare” ai fratelli». Ecco aiutare queste popolazioni che
stanno morendo di fame, «offrire i
pochi pani e pesci che abbiamo; ricevere il pane spezzato dalle mani
di Gesù e distribuirlo a tutti» è
una via per la santità. Questo ci insegna, per esempio, una santa della
nostra epoca che ho potuto conoscere personalmente: madre Teresa
di Calcutta.
Nel 1979, la fondatrice delle missionarie della carità, parlando in
occasione del conferimento del premio Nobel per la pace, disse davanti a una platea silente e attonita: «Non so se abbiate mai visto la
fame. Io l’ho vista molto spesso».
E poi raccontò un’esperienza toccante in cui si era trovata ad aiutare, donando un po’ di riso, una famiglia hindu e una musulmana. La
fame, come ci insegna madre Teresa, non ha colore, razza e religione.
Può colpire chiunque.
Io appartengo alla generazione
di italiani che dopo la fine della seconda guerra mondiale ha letteralmente “fatto la fame”. E ho un ricordo nitido di cosa significava
non avere cibo. Non possiamo e
non dobbiamo dimenticarlo. L’indifferenza e il silenzio dei media è,
infatti, uno degli aspetti peggiori
di questa piaga. «La peggior miseria non è la fame o la lebbra — diceva sempre madre Teresa — ma la
sensazione di essere indesiderabile,
rifiutato, abbandonato da tutti».
Non ci si può dimenticare di quelle
persone che Giovanni Paolo II
chiamava gli «sconfitti della vita» e
di quelle vittime innocenti della
«cultura dello scarto», come ripete
oggi il Pontefice.
In questo anno giubilare dobbiamo sentirci maggiormente partecipi
dei bisogni di queste persone che,
per vivere, anzi, per sopravvivere,
contano sull’aiuto fondamentale di
tutti coloro che praticano le opere
di misericordia. Lo sanno bene le
decine e decine di volontari che
ogni anno si recano a Zomba e
che, sperimentando l’importanza e
l’efficacia della solidarietà umana,
ritornano a casa con una gerarchia
di valori e priorità assolutamente
diversa da quella con cui erano
partiti.
I desideri che si trasformano in
diritti nella società dei consumi sono dunque drammaticamente distanti dal significato profondo della vita che si può cogliere in queste
missioni. Sulla mia scrivania è arrivato un messaggio che sintetizza
questa situazione: «C’è chi ha tutto
e piange per una cosa che non è
riuscito a ottenere. E c’è chi non
ha nulla, ma sorride e ringrazia
ogni giorno per la cosa più preziosa che ha: la vita».
5
Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico
nella Federazione Russa Sua Eccellenza Monsignor Celestino Migliore, Arcivescovo titolare di
Canosa, finora Nunzio Apostolico in Polonia.
Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Mutare
(Zimbabwe) il Reverendo Padre Paul Horan, O.
CARM., Irlandese, Direttore della scuola cattolica
«Kriste Mambo» a Rusape, nella Diocesi di Mutare.
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domenica 29 maggio 2016
Alcuni dei militari condannati
a Buenos Aires (Ap)
Per trovare una soluzione alla grave crisi politica ed economica nel Venezuela
Washington sostiene
la mediazione spagnola
CARACAS, 28. Washington sostiene
la mediazione spagnola per trovare
una soluzione alla crisi politica ed
economica in Venezuela. Il segretario di Stato americano, John Kerry,
ha chiamato ieri l’ex presidente del
Governo spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, per «esprimergli sostegno allo sforzo di trovare un dialogo tra Governo e opposizione» secondo quanto riportano fonti di
stampa. Con Zapatero anche l’ex
Presidente dominicano Leonel Fernández sta tentando di trovare una
mediazione dopo i gravi scontri avvenuti nelle scorse settimane.
E mentre le dimostrazioni pro e
contro il presidente Nicolás Maduro
vanno avanti, anche nel mondo universitario, ieri il Tribunale Supremo
di Giustizia (Tsj) venezuelano ha
emesso una sentenza in base alla
quale «nel caso una persona possedesse varie nazionalità e una di esse
fosse venezuelana, sarà questa ad
avere prevalenza per quanto concerne il trattamento giuridico applicabile a essa». Formalmente — riferisce
la stampa locale — l’alta corte ha
emesso questa sentenza per il caso
di un minorenne venezuelano nato
all’estero, ma il principio legale che
fissa si potrebbe applicare anche al
presidente Maduro, che è nato a Caracas, ma la cui madre è colombiana,
per cui dispone di doppia nazionalità. Non si tratta affatto di un particolare: la doppia nazionalità di Maduro ha suscitato numerose polemiche e questo perché la Costituzione
venezuelana vieta, in due dei suoi
articoli, che il presidente possa non
essere venezuelano di nascita o disporre di una seconda nazionalità.
Per questo motivo l’Assemblea nazionale ha chiesto alla presidenza
che trasmetta il certificato di nascita
di Maduro, per verificarne gli estremi e la validità. Il presidente del
Parlamento, Henry Ramos Allup,
del partito antichavista Azione Democratica, ha duramente contestato
la sentenza della Corte. Secondo Allup, poiché si tratta di una decisione
giudiziaria in diretto contrasto con
la Costituzione, «non ha alcun valore legale e dunque non deve essere
rispettata».
Persone in fila per entrare in un supermercato a Caracas (Afp)
Il piano transnazionale per reprimere le opposizioni
Condanne
per l’operazione Condor
BUENOS AIRES, 28. Dure condanne
sono state inflitte ad alcuni militari
della dittatura in Argentina. Arrivano al termine di un processo sulla
cosiddetta operazione Condor, il
programma che, tra gli anni Settanta e gli Ottanta, i regimi militari
sudamericani organizzarono per reprimere le opposizioni politiche. Si
tratta di una decisione considerata
storica nel Paese sudamericano.
Un tribunale di Buenos Aires ha
condannato, tra gli altri, a 25 anni
Messaggio di Mattarella
Colloquio tra il presidente Putin e il premier Tsipras nella capitale greca
Contro
lo sfruttamento
e il caporalato
Mosca e Atene
rafforzano la cooperazione
ROMA, 28. Basta «caporalato» e
sfruttamento del lavoro, in ogni sua
forma: il monito arriva dal presidente della Repubblica italiana, Sergio
Mattarella, in un messaggio lanciato
ieri in apertura delle «Giornate del
lavoro», organizzate a Lecce dalla
Cgil. E questo proprio nel giorno
nel quale al Viminale i ministri Martina (Agricoltura), Poletti (Lavoro) e
Alfano (Interni) hanno firmato un
protocollo d’intesa «contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in
agricoltura».
Mattarella ha sottolineato che «il
Paese avanza se offre valide opportunità di sbocco e di crescita ai giovani, se permette alle donne di dare
serenamente il loro contributo; se
non disperde le migliori energie e
competenze; se stimola la ricerca e
l’innovazione». Ma nel mondo del
lavoro ci sono ancora molti problemi: «Lo sfruttamento, con l’odiosa
pratica del caporalato, il lavoro sommerso, le elusioni e le illegalità, come l’utilizzo improprio dei voucher,
le discriminazioni trovano ancora
spazio nel nostro Paese». Interventi
mirati combattono questi fenomeni,
ha ricordato il capo dello Stato, «ma
occorre continuare a vigilare per
sconfiggere
le
disuguaglianze,
l’emarginazione, le povertà». In uno
scenario di ripresa caratterizzata ancora da incertezza, «è importante
cogliere e mettere a frutto i primi,
concreti segnali positivi».
Lavoro, uguaglianza, legalità, ma
anche immigrazione sono i temi centrali della visita, oggi, del presidente
Mattarella a Sarajevo. Un gesto teso
a confermare l’impegno italiano nella stabilizzazione dei Balcani. Questo pomeriggio Mattarella avrà un
incontro bilaterale con i membri della presidenza di Bosnia ed Erzegovina: Bakir Izetbegović (bosgnacco),
Mladen Ivanić (serbo, presidente di
turno) e Dragan Čović (croato). Il
capo dello Stato visiterà quindi la
collezione d’Arte contemporanea Ars
Aevi, nata dall’idea di Enver Hadziomerspahic di realizzare nella Sarajevo assediata del 1992 un museo
di arte contemporanea. Domenica il
titolare del Quirinale parteciperà alla
riunione plenaria del summit informale tra i leader di Slovenia, Croazia, Albania, Bosnia ed Erzegovina,
Montenegro, Kosovo, Serbia ed ex
Repubblica Jugoslava di Macedonia.
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ATENE, 28. Il presidente russo,
Vladimir Putin, in visita ufficiale in
Grecia, e il primo ministro ellenico,
Alexis Tsipras, hanno deciso di ampliare la collaborazione tra Atene e
Mosca, nei limiti delle sanzioni imposte dalla Unione europea.
«Nonostante i tempi difficili, la
collaborazione greco-russa avanza»,
ha affermato Putin al termine
dell’incontro di ieri. Tsipras, dal
canto suo, ha affermato che la Grecia intende comunque rispettare le
sanzioni decise dai Ventotto. Per il
primo ministro greco, non può esistere, però, «un’architettura di sicurezza europea senza la Russia».
Il rafforzamento dei rapporti con
la Russia «è una scelta strategica
dettata sia dagli stretti legami storici, culturali e politici, che dalle
possibilità che si aprono davanti a
noi e dalle possibilità di rafforzare
la stabilità della regione», ha poi
aggiunto Tsipras, citato dall’agenzia
di stampa greca Ana Mpa.
Nel loro incontro, Putin (che sta
effettuando la prima visita ufficiale
in un Paese dell’Ue dall’inizio
dell’anno) e Tsipras hanno anche
parlato della crisi dei migranti, del
progetto di gasdotto South Stream
e dei rapporti della Russia con la
Nato, alleanza di cui Atene fa parte. A riguardo, il presidente della
Russia ha dichiarato che, dopo la
recente apertura di una base missi-
listica della Nato a Deveselu, in
Romania, Mosca «è costretta a intraprendere certe misure per garantire la propria sicurezza».
La Russia — informano gli analisti politici — accusa gli Stati Uniti
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Il presidente Putin insieme al premier Tsipras (Afp)
Gaetano Vallini
Non cala la tensione in Francia
sulla riforma del lavoro
attacchi, «ma esiste un rumore di
fondo abbastanza alto, e cioè un
elevato numero di indizi, che
gruppi come Is, Al Qaeda o AlNusra hanno intenzione di compiere attentati contro obiettivi occidentali» durante lo svolgimento
dei campionati, che avranno luogo
dal 10 giugno al 10 luglio prossimi. Proprio per questo, ha reso
noto il ministero degli Interni di
Parigi, saranno mobilitati oltre
90.000 specialisti della sicurezza,
compresa polizia, gendarmeria e
guardie di sicurezza private.
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
segretario di redazione
Athos, dove si trova il monastero di
San Panteleimon, abitato per lo più
da monaci russi. Qui, secondo
quanto riferito, sarà raggiunto dal
capo della Chiesa ortodossa russa,
il patriarca Kirill.
In Argentina
si studia l’aumento
delle pensioni
Allarme terrorismo
per gli Europei
BERLINO, 28. «Sappiamo che il
cosiddetto Stato islamico (Is, ndr)
ha nel mirino i campionati Europei di calcio in Francia». L’allarme
arriva
da
Hans-Georg
Maaßen, presidente dell’ufficio
per la difesa della Costituzione
(Verfassungsschutz), il servizio segreto interno tedesco, in un’intervista pubblicata stamane sulla
«Rheinische Post» di Düsseldorf,
uno dei più importanti quotidiani
locali tedeschi. Maaßen ha aggiunto che al momento non ci sono indicazioni di piani concreti di
di violare il Trattato sugli armamenti nucleari di medio raggio, tramite l’installazione di sistemi di
lancio missilistico in Romania.
Oggi, nel suo secondo giorno in
Grecia, Putin visiterà il Monte
di carcere i militari Santiago Riveros, Manuel Cordero Piacentini, ex
colonnello uruguayano, unico non
argentino alla sbarra, e Miguel Angel Furci, unico presente in aula,
accusato in particolare di torture
nella prigione illegale chiamata Automotores Orletti. Ci sono poi i 20
anni per Reynaldo Bignone, che è
stato presidente a capo dell’ultima
giunta militare al potere nel Paese.
Prosegue il processo per altri dei
14 imputati in totale. Dall’inizio,
nel 2013, cinque imputati, compreso Jorge Rafael Videla, dittatore
dal 1976 al 1981, sono morti.
Per la prima volta sono stati giudicati crimini nell’ambito della «associazione illecita transnazionale».
Il piano puntava all’eliminazione
degli oppositori delle dittature nei
Paesi del Cono sud dell’America
latina, cioè Argentina, Cile, Paraguay, Uruguay. L’idea nacque durante una riunione dei capi dei servizi segreti di questi Paesi nel 1975.
In un secondo momento, vi collaborarono anche Paesi confinanti
che in passato erano stati in guerra
tra di loro, per combattere quello
che consideravano il nemico comune, la diffusione dell’ideologia marxista.
L’aula era gremita di sopravvissuti alle torture del regime e familiari delle vittime, molti arrivati anche da altri Paesi latinoamericani.
E quando i giudici hanno finito di
leggere, il pubblico ha urlato «Presente», lo slogan per non dimenticare i desaparecidos.
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PARIGI, 28. Resta altissima la tensione sulla riforma del lavoro in
Francia. Nuove manifestazioni dei
sindacati sono tuttora in corso in
molte città francesi; altre sono state
annunciate per i prossimi giorni. A
confermarlo è la France Presse. Si
preannuncia una settimana difficile,
dunque, per il premier Manuel
Valls, che tuttavia sembra intenzionato a mantenere il punto: nessun
passo indietro. «Quando un testo è
stato discusso, quando è stato
adottato dall’Assemblea nazionale,
è mia responsabilità farlo applica-
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
re» ha dichiarato oggi Valls.
Questo a poche ore dall’incontro
con i rappresentanti dell’industria
petrolifera e dei trasporti, alla
quale prenderanno parte anche il
ministro
dell’Interno,
Bernard
Cazeneuve, e il sottosegretario ai
Trasporti, Alain Vidalies, per fare il
punto sulle scorte di carburante del
Paese. Gli scioperi contro la
riforma hanno infatti colpito duramente il settore energetico e ci sono state difficoltà di approvvigionamento. I depositi, tuttavia, sono
stati sbloccati.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
BUENOS AIRES, 28. Alle prese con
un’inflazione al 40 per cento e un
crescente deficit fiscale, il presidente argentino Mauricio Macri ha annunciato ieri una sanatoria fiscale
per i capitali detenuti all’estero, i
cui proventi dovrebbero in seguito
consentire l’innalzamento delle
pensioni per oltre due milioni di
persone. Le stime del Governo sono molto ottimistiche: grazie al
provvedimento, circa il 45 per cento dei pensionati argentini potrebbe vedere un netto miglioramento
della propria situazione. Il costo
complessivo di questa e altre decisioni sarà di 75 milioni di pesos
(5.200 milioni di dollari) all’anno.
La strategia decisa da Macri per recuperare tali fondi è, come detto,
quella di una grande amnistia fiscale per i cittadini che decideranno di riportare in Argentina i fondi
tenuti all’estero. «Ci sono miliardi
di dollari che si trovano all’estero,
che sono stati portati via perché gli
argentini non si fidavano dello Stato; ora vi invitiamo a rimpatriare
questi fondi» ha dichiarato Macri.
In concreto, gli argentini che decideranno di riportare i fondi in patria avranno tre possibilità: pagare
una tassa, convertire questi fondi in
titoli di Stato o investirli in fondi
nazionali.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
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Sede legale
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Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
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domenica 29 maggio 2016
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Una donna nella sua casa
crivellata dai proiettili
al confine tra Libia e Tunisia (Reuters)
In Libano confermata l’inchiesta sulle forze di pace Onu
TRIPOLI, 28. Le milizie di Misurata
leali al Governo libico di unità nazionale del premier Al Sarraj hanno
conquistato il «Gate 50» lungo la
costa, a soli 50 chilometri dal centro
di Sirte, e stanno avanzando verso il
«Gate 30», dove sono appostate le
milizie del cosiddetto Stato islamico
(Is). Ad annunciarlo, ieri, sono state
le stesse forze di Misurata. Secondo
quanto riferiscono fonti locali al sito
informativo libico «Al Wasat», numerosi miliziani jihadisti, soprattutto
quelli provenienti dall’Africa subsahariana e dalla Tunisia, si stanno
preparando al contrattacco.
Tra poche ore le truppe di Sarraj
dovrebbero entrare nella zona di Jarf
e al Bakhati, poco distante da Sirte.
Ieri i caccia libici hanno colpito in
diversi raid alcuni obiettivi dell’Is alla periferia di Sirte. I caccia hanno
lanciato quattro missili contro due
postazioni jihadiste, colpendo diversi mezzi e provocando numerosi feriti. La presenza di tanti feriti
nell’ospedale Avicenna — dicono le
fonti — ha provocato il caos nel centro medico di Sirte. Nell’ospedale
scarseggiano ormai le medicine e sono rimasti solo due medici e pochi
infermieri. Le migliaia di jihadisti arroccati fra Sirte e Ben Jawad (sono
circa 6.000 secondo una stima statunitense) comunque combattono: in
una rivendicazione diffusa giovedì
Caschi blu sotto accusa
per il mercato nero di cibo
di FAUSTA SPERANZA
S
Le milizie leali al Governo libico di Al Sarraj avanzano verso la roccaforte dell’Is
Obiettivo Sirte
scorso hanno sostenuto di aver ucciso o ferito 117 miliziani con tre autobombe e in diversi scontri armati.
Ma la cifra — dicono gli analisti —
va presa con cautela.
Le milizie di Misurata e i loro alleati hanno compiuto notevoli progressi negli ultimi due giorni nella
lotta contro i miliziani dell’Is. Secondo quanto si legge in una nota,
le milizie stanno avanzando da due
direzioni: lungo la linea costiera e da
sud-ovest. Il primo obiettivo è quello di mettere in sicurezza le vecchie
postazioni lungo la costa, avanzando
verso Bawab Al Khamsin, zona finita di recente nelle mani degli uomini
di Al Baghdadi. Secondo quanto annunciato ieri da Ahmed Maiteeq, vice premier del Governo di unità na-
zionale e vicepresidente del Consiglio presidenziale libico, le forze di
Tripoli hanno guadagnato «100 chilometri in 17 giorni verso Sirte»,
considerata una delle maggiori roccaforti dell’Is. Piena collaborazione
con il Governo Sarraj per il controllo delle frontiere è stata assicurata
dal ministro degli Esteri italiano,
Paolo Gentiloni.
Detenuti rinchiusi in container di metallo sotto il sole
La tragedia dell’Airbus egiziano
Atrocità
in Sud Sudan
Anche una nave francese
per individuare il relitto
JUBA, 28. Atrocità in Sud Sudan:
decine di detenuti sono tenuti chiusi
in container di metallo sotto il sole
cocente, con scarsa ventilazione e acqua insufficiente. Rischiano di morire in maniera atroce, come già accaduto ad altri prigionieri. A denunciarlo è l’organizzazione per la difesa dei diritti umani Amnesty international, riferendosi al campo di detenzione Gorom, allestito a circa
venti chilometri a sud di Juba, la capitale del Paese più giovane del
mondo.
L’organizzazione per la difesa dei
diritti umani, in un testo pubblicato
sul proprio sito ripreso dalle agenzie
di stampa internazionali, non precisa
quante siano state le morti avvenute
finora a Gorom, né il numero esatto
delle persone detenute nei quattro
Ancora
scontri
nel Kashmir
NEW DELHI, 28. Ancora violenza
nello Stato settentrionale del Jammu e Kashmir. Sei militanti e un
soldato indiano sono morti ieri in
due diversi scontri a fuoco nei distretti di Baramulla e di Kupwara. Lo riferisce l’agenzia di stampa indiana Ians, confermando così lo stato di continua tensione
nella regione.
Nel raccontare del primo incidente, la polizia ha reso noto che
due militanti del movimento Hizbul Mujaheddin si sono asserragliati in una casa del villaggio di
Konchipora, nel Baramulla, soccombendo alcune ore dopo di
fronte all’azione delle forze di sicurezza, che hanno fatto saltare
completamente in aria l’edificio.
Un soldato indiano è rimasto ferito. Javid Gilani, ispettore generale della polizia, ha confermato
l’operazione,
riferendo
che
«un’unità speciale ha localizzato
in un quartiere i due terroristi,
uccidendoli poi in uno scontro a
fuoco».
Nel secondo incidente, invece,
quattro militanti di un gruppo
non identificato e un soldato sono rimasti uccisi in una battaglia
durata due giorni lungo la Linea
di Controllo (Loc, confine ufficioso indo-pachistano), nel distretto di Kupwara.
i indaga sui caschi blu in Libano, perché c’è il forte sospetto di traffici illeciti di
prodotti alimentari. Dopo la denuncia da parte del quotidiano «El
Pais», che parla espressamente di
coinvolgimento di militari del Ghana, dell’Italia, del Nepal, della Malaysia e dell’Indonesia, il portavoce
della missione delle Nazioni Unite
in Libano, Andrea Tenenti, conferma che le indagini sono in corso
«da tempo» ma «al momento non
ci sono ancora prove che possano
confermare una sistematica operazione legata al traffico d’alimenti o
ancor meno il coinvolgimento di
alcuni contingenti».
La frode, che sarebbe andata
avanti dal 2010 al 2015, viene stimata in oltre 4 milioni di euro. In
sostanza venivano rivenduti a commercianti locali prodotti destinati
alle forze di pace, tra cui riso e biscotti, ma non solo, anche frutta e
verdura comprata localmente e
prodotti surgelati, tra cui gamberi
che sembra andassero a ruba. Parte
delle 80 tonnellate di cibo messe a
disposizione dei caschi blu settimanalmente.
Si sa che a indagare non è solo
l’Onu ma anche il Governo libanese. Da Roma, lo stato maggiore
della Difesa, dopo aver sentito il
comando delle Nazioni Unite in
Libano, afferma che «al momento
il personale del contingente militare italiano risulta estraneo a tale vicenda». Da parte sua, la Procura
militare fa sapere di essere impegnata a «verificare» la notizia, per
stabilire se vi siano reati di rilevanza penale.
Si parte da un dato di fatto confermato da testimoni: la vendita in
alcuni negozi in Libano, e anche
nella capitale Beirut, di prodotti
alimentari che riportano l’etichetta
Unifil, l’acronimo di United Nations Interim Force in Lebanon.
Parliamo della forza militare di interposizione creata il 19 marzo
1978, con le risoluzioni 425 e 426
del Consiglio di sicurezza, e che ha
il suo quartier generale nella cittadina meridionale di Naqoura. Il
mandato della missione è stato rinnovato in seguito all’invasione
israeliana del Libano nel 1982, poi
del ritiro delle truppe israeliane nel
2000 e dell’intervento israeliano nel
2006. Attualmente si tratta di oltre
12.300 militari, che collaborano con
circa 300 civili di provenienza internazionale e 600 civili locali. Una
presenza significativa, in termini di
numeri e di lunghezza del mandato.
Nonostante codici di identificazioni e bolle controfirmate, parti
delle derrate alimentari finivano nel
mercato nero.
L'inchiesta di «El Pais» parte da
21 centri di distribuzione in base
alle rivelazioni di alcuni operatori,
con la testimonianza chiave di un
dipendente di un’impresa subappaltrice. Questa persona, che «El
Pais» identifica con le iniziali R.D.
aveva l’incarico di supervisionare la
container del campo, protetto da
una doppia recinzione.
Gli operatori hanno raccolto dettagliate informazioni da testimoni
sul posto, secondo le quali i prigionieri verrebbero «picchiati periodicamente; i detenuti soffrono in condizioni sconvolgenti e il trattamento
cui sono sottoposti non è altro che
tortura» ha denunciato alla stampa
Muthoni Wanyeki, la direttrice di
Amnesty international per l’Africa
orientale, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi laghi, chiedendo
l’immediata chiusura del centro.
Wanyeki ha precisato che i primi
prigionieri sono arrivati nel campo
di Gorom all’inizio di novembre
dell’anno scorso. La maggior parte
di loro sono civili senza una specifica incriminazione, ma accusati di legami con gli ex-ribelli della fazione
armata del Movimento di liberazione popolare del Sudan (Splm-A-Io,
dell’ex vicepresidente, Riek Machar),
un’evoluzione del Movimento di liberazione del popolo del Sudan che
prima faceva parte dell’opposizione,
ma che ora fa parte del Governo di
unità nazionale.
Inoltre i carcerati — denuncia ancora il rapporto di Amnesty international — non hanno nemmeno la
possibilità di comunicare con familiari, avvocati o tribunali.
Militare francese in perlustrazione sull’area del disastro (Afp)
IL CAIRO, 28. Una nave francese
da ricognizione idrografica è arrivata nel tratto di Mediterraneo
dove si sarebbe inabissato l’Airbus
320 della compagnia Egyptair,
precipitato il 19 maggio scorso con
66 persone a bordo, di cui 15 francesi. Lo riferisce il quotidiano statale egiziano «al Ahram».
L’imbarcazione è dotata di sistema di rilevazione e localizzazione
dei segnali radio provenienti dalle
scatole nere, che si ritiene siano finiti sui fondali del Mediterraneo a
circa 3.000 metri di profondità, a
metà strada tra le coste egiziane di
Alessandria e l’isola greca di Creta. Le squadre di ricerca egiziane
impegnate nelle indagini sul disastro dell’Airbus avrebbero intercettato ieri un segnale di emergenza
proveniente dal relitto del velivolo,
che potrebbe aiutare ad individuare la fusoliera.
Restrizioni su import ed export e sul piano finanziario
Inasprite le sanzioni europee alla Corea del Nord
Il leader nordcoreano Kim Jong-Un insieme ad alcuni militari a Pyongyang (Afp)
PYONGYANG, 28. Giro di vite nelle
sanzioni europee contro la Corea del
Nord. In risposta al test nucleare del
6 gennaio, e al successivo lancio di
un missile balistico del 7 febbraio, i
rappresentanti permanenti dei 28
hanno deciso ieri di inasprire ulteriormente le misure — commerciali e
finanziarie — contro il regime comunista di Pyongyang. A fine marzo,
l’Ue aveva già trasposto le sanzioni
decise dal Consiglio di sicurezza
dell’Onu (con la risoluzione 2270).
Ieri, «considerando che le azioni
della Corea del Nord costituiscono
una grave minaccia alla pace internazionale e alla sicurezza nella regione», si legge in un documento ufficiale, i Ventotto hanno deciso di rafforzare le sanzioni per colpire più
specificamente i programmi di
Pyongyang per la costruzione di armi nucleari e missili balistici.
Le nuove misure prevedono la
proibizione di importazione nell’Ue
di prodotti petroliferi e beni di lusso
dalla Corea del Nord e di esportare
qualsiasi materiale o tecnologia dual
use (ovvero civile o militare). È inoltre vietato qualsiasi supporto finanziario per il commercio con il regime
di Pyongyang.
In campo finanziario, è vietato
ogni trasferimento di fondi, così come sono proibiti tutti gli investimenti. ed è vietato ogni investimento di
privati cittadini dell’Ue in campo
minerario, chimico e della raffinazione. Per quanto riguarda i trasporti, è
vietato qualsiasi volo in provenienza
dalla Corea del Nord, inoltre dovrà
essere rifiutato l’accesso a tutti i porti
nel territorio dell’Unione europea
per navi collegabili alla Corea del
Nord, anche se per la sola nazionalità dell’equipaggio.
distribuzione. A suo dire, quando
si è accorto della truffa, ha riferito
a qualcuno e poi ha cercato di entrare nell’affare per raccogliere prove. Oggi è sospeso dall’incarico in
attesa di accertamenti.
Fa male il sospetto di trovarsi di
fronte all’ennesimo caso di coinvolgimento di forze di peacekeeping
in scandali. Finora ce ne sono stati
soprattutto a sfondo sessuale.
Solo nove mesi fa, è stato eclatante l’allontamento, richiesto dallo
stesso segretario generale, Ban Kimoon, del senegalese Babacar Gaye da capo della missione nella Repubblica Centrafricana. Non erano
solo voci le denunce di stupri e induzione alla prostituzione anche di
minorenni, di cui si erano macchiati soldati francesi della missione
stessa. Il comandante, pur non essendo coinvolto nei fatti, è stato ritenuto direttamente responsabile di
mancata sorveglianza sui suoi soldati. Primo caso del genere.
A giugno 2015 c’era stato l’annuncio dell’Onu di un rinnovato
impegno alla tolleranza zero. Solo
in quell’anno e solo ad Haiti, erano stati 225 i casi di donne sfruttate sessualmente, di cui un terzo
giovanissime. Ma guardando indietro, dai 150 casi documentati nel
2005 in Congo non c’è mai stata
tregua. L’Oios, il servizio di investigazione interna del Palazzo di
vetro, nei suoi dossier ha pagine
drammatiche anche su Liberia e
Sud Sudan. Si legge, tra l’altro, di
«pretese in modo abituale di
prestazioni sessuali, in cambio di
cibo, denaro, telefonini vecchi, profumi».
Ma se gli scandali sessuali indignano particolarmente, non possiamo non ricordare il caso Oil for
food, la questione dei fondi neri,
che
ha
coinvolto
funzionari
dell’Onu e del Governo iracheno.
Il programma, letteralmente “petrolio in cambio di cibo", attivato
dall’Onutra il 1995 e il 2003, intendeva permettere all’Iraq di vendere
petrolio sul mercato mondiale in
cambio di necessità umanitarie per
la popolazione, evitando guadagni
per eventuali spese militari. Si parla di illeciti per 50 miliardi di euro.
Ci si aspetta davvero una svolta
in termini di tolleranza zero nei
fatti, su tutti i fronti. Chi porta pace, chi deve assicurare il mantenimento della pace, non può macchiarsi di azioni criminose contro
la popolazione. Azioni che, non
solo vanno contro la dignità di
ogni persona, ma seminano anche
discredito, ostilità, odio.
Nuovo capo
dell’Unifil
BEIRUT, 28. Cambio al vertice
della missione delle Nazioni
Unite in Libano. Il generale irlandese Michael Beary è stato
nominato nuovo comandante
dell’Unifil, la forza Onu nel sud
del Libano al confine con Israele. Il 24 luglio succederà al generale italiano Luciano Portolano. Nel comunicato dell’Onu, si
legge che «il segretario generale
Ban Ki-moon è grato al generale Portolano per il servizio
esemplare
e
la
leadership
dell’Unifil negli ultimi due anni». Il generale Beary, nato nel
1956, ha passato dieci anni della
sua carriera in missioni all’estero, compresi l’Afghanistan, la
Bosnia ed Erzegovina, l’Iraq,
l’Uganda e la Somalia. Inoltre
ha servito tre volte nell’Unifil in
Libano, nel 1982, 1989 e 1994.
L’Irlanda, che non ha più di
200 militari impegnati nell’Unifil, su un totale di oltre 10.000,
è stata presente nella missione
Onu fin dal suo inizio, nel 1978,
e ha avuto tra le sue file diversi
caduti. Dal 1981 al 1986 un altro
generale
irlandese,
Willliam
O’Callaghan, ha retto il comando della forza Onu, in un periodo particolarmente caldo, quello
che ha visto tra l’altro l’invasione israeliana del 1982.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 29 maggio 2016
Barberiano greco 372, fogli 5 verso - 6 recto
© Biblioteca Apostolica Vaticana
di CESARE PASINI
el 1927 Eugène Tisserant, scriptor orientalis
della Biblioteca vaticana e stretto collaboratore del prefetto Giovanni
Mercati, compì un viaggio negli Stati
Uniti, nel quale visitò molte biblioteche dando avvio a molti preziosi contatti: fu un viaggio memorabile, che
avrebbe procurato al suo protagonista
l’appellativo di “americano” e soprattutto avrebbe aperto le porte a una
intensa collaborazione fra le biblioteche e università degli Stati Uniti e la
Biblioteca apostolica vaticana.
Dopo di lui altri bibliotecari della
Vaticana intrapresero quella via:
Enrico Benedetti e Carmelo Scalia
lavorarono a Washington nella Library of Congress studiandone il funzionamento; Igino Giordani e Gerardo
Bruni frequentarono corsi di biblioteconomia ad Ann Arbor e alla Columbia University di New York; e, negli
anni successivi, Riccardo Matta, Giuseppe Graglia e Nello Vian frequentarono anch’essi corsi di biblioteconomia negli Stati Uniti.
È noto che da questa presenza di
“vaticani” in America e dalla analoga
presenza di alcuni bibliotecari “americani” in Vaticana — grazie al generoso
sostegno del Carnegie Endowment for
N
La promessa
I
La Biblioteca vaticana alla Notre Dame University
Trasferta
americana
l’indice a schede degli autori e delle
opere contenute nei manoscritti della
Vaticana e la creazione della Scuola di
biblioteconomia.
Procedendo un poco nel tempo,
un altro importante collegamento fra
la Biblioteca vaticana e gli Stati Uniti venne a crearsi grazie all’azione di
Giovanni Mercati. Questi infatti, divenuto nel frattempo cardinale bibliotecario, nel 1938 fu
autore di un appello, fatto poi
proprio da Papa Pio XI, alle
università americane perché offrissero ospitalità agli studiosi
di origine ebraica ostracizzati:
Stephan Kuttner, Giorgio Levi
Della Vida, Gerhart B. Ladner,
Herbert Bloch e Paul Oscar
Kristeller, che, grazie al fattivo
interessamento di Mercati, poterono approdare negli Stati
Uniti, venendo fra l’altro a
creare centri di ricerca che sono
stati poi legati alla Biblioteca
vaticana.
Dopo la seconda guerra
mondiale, inoltre, il timore di
un nuovo conflitto, che avrebbe
potuto recare danni irreparabili
anche ai tesori culturali conservati in Vaticana, indusse la Biblioteca a promuovere una
campagna di microfilmatura
della maggior parte dei propri
manoscritti e a inviarne una copia alla Pius XII Memorial Library della Saint Louis University (oggi The Knights of Columbus Vatican Film Library),
nello Stato del Missouri. QueChigi P.VII.12.pt.A, foglio 14 recto © Biblioteca Apostolica Vaticana
ste iniziative, assieme alla costante presenza di studiosi americani nelle sale della biblioteca,
International Peace e al coinvolgimen- dicono una tradizione di collaborato di William Warner Bishop — nac- zione radicata da decenni e ben inseque una collaborazione intensa e arti- rita in quella caratteristica di univercolata che nel 1931 portò alla redazio- salità che connota la Vaticana sin
ne di specifiche regole catalografiche dalle sue origini: accoglienza a tutti
per gli stampati della Vaticana. Nac- gli studiosi, apertura alle diverse
quero anche altri frutti: in particolare scienze e lingue secondo lo spirito
umanistico, intese e progetti con istituzioni di ogni parte del mondo.
Oltre a organizzare il convegno di
cui pubblichiamo in questa pagina
una cronaca, l’università di Notre
Dame ha offerto gli spazi del suo
Snite Museum of Art per ospitare in
una sala la suggestiva esposizione di
dieci documenti vaticani, che richiamassero i temi del convegno con manoscritti e stampati, disegni e stampe, medaglie. La presentazione della
mostra, affidata a Barbara Jatta, si è
conclusa con il dono, da parte della
Biblioteca vaticana, della Misericordiae vultus, la stampa artistica realizzata dalla Biblioteca vaticana in duecento esemplari per l’evento del giubileo della misericordia.
Questo mostra la varietà degli ambiti in cui si sono espressi il convegno e la mostra espositiva, e suggerisce pertanto la varietà degli interessi,
la molteplicità delle ricerche compiute e la costante attenzione del mondo
americano nei confronti della Vaticana. Ciò che i “vaticani” ricordavano
dei contatti con il mondo americano
in tempi a noi precedenti ha trovato
una effettiva continuazione nelle ricerche dei relatori del convegno. È
così apparso con chiarezza quante risposte la documentazione vaticana
possa offrire alle aspirazioni e agli
obiettivi di ricerca che gli studiosi si
trovano a nutrire. Certo, per continuare il cammino è necessario costruire giorno per giorno opportunità
di studio e di ricerca, quali gli istituti
scientifici creati in Roma possono favorire. Anche a questo scopo la Notre Dame University ha da poco costituito nella città eterna The Rome
Global Gateway per favorire presenze di studio di studenti e ricercatori.
Anche la digitalizzazione dei manoscritti, offerti liberamente alla consultazione degli studiosi in tutto il
mondo, potrebbe favorirne una più
ampia conoscenza e ulteriori possibilità di ricerca in biblioteca: si sa, del
resto, che la facilitazione di consulta-
re un manoscritto da lontano — con
il risparmio di tempo e di spese che
questo comporta — non esime poi da
una consultazione diretta in loco, per
l’indagine su tutti quegli elementi
che completano la conoscenza del
documento.
Ancora di più la frequentazione
prolungata della biblioteca diventa
necessaria per quelle ricerche di ampio respiro che richiedono tempi lunghi. È dal convergere di tutti questi
aspetti — la presenza in Roma di istituzioni che ospitano studenti e stu-
Come sottolineò Paolo VI nel 1964
la biblioteca non è un cimitero
perché tutto in essa parla e rivive
E sembra palpitare nella rievocazione
della storia e della vita passata
diosi, la facilitazione della consultazione da lontano grazie alle nuove
possibilità offerte dalla digitalizzazione, e la comprensione del valore di
una ricerca seria e prolungata — che
la Vaticana ritrova la sua vitalità e
adempie alla sua missione.
Solo così una biblioteca rimane viva. Come l’8 giugno 1964 si esprimeva Paolo VI quando visitò la Vaticana: la biblioteca «non è un cimitero,
perché tutto, in essa, parla, rivive,
sembra palpitare nella rievocazione
che lo studio fa di questa eredità immensa dell’espressione umana, della
storia, della cultura, della vita passata, la quale ivi riprende il colloquio
con quelli che ne sanno cogliere e
comprendere le voci misteriose».
E per sostenere positive prospettive la Biblioteca apostolica vaticana e
la Notre Dame University hanno voluto siglare, in occasione del convegno, un Memorandum d’intesa per
favorire e incrementare la collaborazione intrapresa.
l convegno The Promise of the Vatican Library, tenutosi alla Notre Dame University (Indiana) il 9 e il 10 maggio scorsi, fa
pensare alla «promessa» della Biblioteca
vaticana per il mondo americano, rappresentato in quei giorni da studiosi di varie università, cattoliche e non, degli Stati Uniti: una
promessa reciproca, scambiata fra gli uni e gli
altri, così che, da un lato, si potessero far conoscere le ricerche compiute da studiosi americani
sui documenti della Vaticana e, d’altro lato, potessero essere mostrate le opportunità che si
aprono per ulteriori studi e approfondimenti.
I “vaticani” approdati alla Notre Dame University, Timothy Janz, Barbara Jatta ed Eleonora
Giampiccolo, hanno contribuito a questo scopo
con interventi specifici legati alle loro competenze. Interventi di tipo generale sono stati invece
affidati al bibliotecario, al prefetto e al vice prefetto, e hanno riguardato la missione e la storia
della Biblioteca, la collaborazione internazionale
in cui è coinvolta, e le sfide e opportunità della
digitalizzazione in Vaticana.
Il convegno ha toccato gli svariati ambiti di
studio affrontati dai ricercatori americani, distribuendoli in dieci sessioni. Per i manoscritti latini, oltre alla sessione a essi dedicata con l’intervento di Michael I. Allen sugli autografi di
Lupo di Ferrières conservati in Vaticana, il
convegno ha offerto una relazione in sessione
plenaria di Carmela Vircillo Franklin sul Liber
Pontificalis.
Per la sessione sui manoscritti greci e bizantini si segnala il contributo di Timothy Janz, che,
riferendosi agli editori di classici greci, ha mostrato come frequentemente essi abbiano trascurato di analizzare svariati manoscritti della Vaticana: si comprende come il campo della ricerca
sia ancora molto aperto. John Monfasani è intervenuto in questa stessa sessione sugli uniati,
gli anti-unionisti e gli altri greci e nella sessione
su rinascimento, umanesimo e filosofia, parlando
di Papi, cardinali e umanisti. Daniel Williman e
Karen Corsano, nella sessione sulla filosofia e
teologia latina, hanno trattato della laboriosità
teologica di Papa Giovanni XXII.
Nella sessione di numismatica, oltre all’intervento di Eleonora Giampiccolo a illustrazione
della storia e delle collezioni della Vaticana, a
rammentare le molte possibili ricerche, Mariele
Valci e Paolo Visonà si sono soffermati su collezioni particolarmente significative della Vaticana: Valci sui “denari provisini”, Visonà sulle monete puniche.
Le altre sessioni sono state dedicate alla storia
urbana di Roma, alla storia delle scienze,
all’Oriente cristiano, alla musica e alle arti grafiche. Per quest’ultima sezione ricordo gli interventi di John Pinto sulla valorizzazione e riproduzione delle piante di Roma a opera del cardinale Franz Ehrle, di Sarah McPhee sulla piramide di Caio Cestio nelle collezioni vaticane, di
Heather Hyde Minor, sull’uccisione di Johann
Joachim Winckelmann, che fu anche scriptor
graecus in Biblioteca vaticana; e la presentazione
delle collezioni grafiche della Vaticana compiuta
da Barbara Jatta, per segnalarne i differenti possibili approcci di studio. (cesare pasini)
Hieronymus Bosch in mostra al Prado dal 31 maggio all’11 settembre
di GABRIELE NICOLÒ
È sempre stato avvolto da un alone di
mistero Hieronymus Bosch, il visionario
pittore fiammingo di cui quest’anno ricorre il quinto centenario della morte. In
particolare i simboli, spesso enigmatici,
contenuti nelle sue tele hanno contribuito a radicare, nell’immaginario collettivo,
la figura di un artista difficile da collocare: e le ondivaghe interpretazioni dei
simboli stessi, che hanno diviso schiere
di critici, hanno finito per ritagliare su
Bosch un profilo elusivo. A tutto ciò si
aggiunge il fatto che l’artista non datò
mai le sue tele, rendendo quanto mai difficile un’esatta cronologia delle opere.
Sull’artista il Prado ha organizzato una
mostra, dal 31 maggio all’11 settembre,
dal titolo Bosch, l’esposizione del quinto
centenario. Si tratta di un avvenimento
senza precedenti perché riunisce per la
prima volta le sue opere più importanti.
Basti pensare che il capolavoro Il Giardino delle Delizie (1480-1490) è stato il grande assente nella pur bellissima mostra,
Il pittore del mistero
conclusasi l’8 maggio, allestita dalla sua
città natale, ‘s-Hertogenbosch.
Tra le opere esposte al Prado figurano
Adorazione dei Magi (1485-1500), attualmente in fase di restauro, Trittico di santa
Giuliana (1500-1504), Trittico delle tentazioni di sant’Antonio (1506), Il carro di fieno
(1516), Sette peccati capitali (1500), Salita
al Calvario (1503-1504), Incoronazione di
spine (1508-1509). Numerosi i prestiti da
alcuni dei musei più prestigiosi, dal Metropolitan di New York al Louvre, dalla
National Gallery di Washington al Museo di Arte antica di Lisbona: una collaborazione che fa di tale esposizione un
avvenimento culturale di particolare rilievo, anche perché propone miniature, disegni, intagli e incisioni a bulino — produzione meno nota al grande pubblico —
cui Bosch si dedicò con passione.
È sicuramente il Trittico de Il Giardino
delle Delizie il fiore all’occhiello della mostra. L’opera, la più famosa dell’artista, è
anche la più enigmatica: su di essa la critica si è profusa in tentativi di esegesi di
ogni tipo. Le facce esterne degli scomparti laterali rappresentano un’unica
composizione: il globo terrestre al terzo
giorno della creazione. La terra è vista
entro una sfera trasparente, simbolo, forse, della fragilità dell’universo. Non vi
sono ancora né uomini né animali, ma
solo vegetali e minerali. E Bosch non
colloca Dio al centro, ma lo pone in un
angolo, in alto a sinistra, con una tiara
sul capo e la Bibbia sulle ginocchia. Ed è
proprio il rapporto con la religione a
rappresentare uno dei tratti distintivi della sua pittura. Quella di Bosch è una religiosità vissuta con travaglio, al fuoco di
una sofferta riflessione che intende andare al di là di una dimensione pietistica,
caratteristica dell’epoca tardo-medievale.
Indicativo, al riguardo, è il Carro di fieno,
in cui è dominante la figura del viandante: in lui si specchia l’allegoria della vita
«Il Giardino delle Delizie» (1480-1490, particolare)
concepita come un continuo pellegrinaggio. Il bastone del viandante è nodoso, e
gli serve per tenere a debita distanza un
cane dall’aria assai minacciosa. Il bastone
simboleggia la fede che offre un appiglio
all’umanità, sempre sotto le insidie del
male.
A Bosch parte della critica ha contestato un uso poco disciplinato del colore.
Ma a smentire tale assunto, come rilevano i curatori della mostra, vi è il Trittico
delle tentazioni di sant’Antonio dove la ricchezza visionaria dell’invenzione compositiva è resa da un sobrio utilizzo della
gamma cromatica e da un tocco di pennello leggero, solo suggerito. Una strategia compositiva che conferma la seducente capacità dell’artista di sottrarsi a classificazioni formali. E non a caso Salvador
Dalí — che si diceva riconoscente debitore verso quel «linguaggio immaginifico»
— soleva ricordare che ogni opera di Bosch fa storia a sé: di conseguenza il critico deve ricominciare ogni volta da capo,
«non dando mai nulla per scontato»,
chiosava il maestro del surrealismo.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 29 maggio 2016
pagina 5
Tra compassione e ipocrisia
Il fascino discreto
dell’eugenetica
della madre ad abortire in caso di
malformazioni. La sentenza dispone
il risarcimento anche nei confronti
della figlia, pur avendo cura di precisare che il diritto al risarcimento
non viene disposto a fronte di una
titolarità del nascituro, in quanto tale non soggetto di diritti, ma della
cherebbe per ciò stesso il riconosci- figlia effettivamente nata. Una figura
mento di un corrispondente diritto a singolare del diritto: la titolarità del
non nascere? Di più, questa impo- diritto di non nascere è inesistente
stazione apre anche il tema di una per il concepito, ma viene indirettaimputabilità genitoriale del far na- mente riconosciuta una volta che si è
scere, come atto di costrizione sot- nati. Tornando al caso francese, nel
tratto alla mia libera scelta, nel caso dicembre dello stesso anno 2000, il
in cui io abbia motivi per rifiutare, deputato Jean-François Mattei ha
con scelta deliberata e consapevole, proposto all’Assemblea nazionale un
la vita inaccettabile alla quale sono emendamento all’articolo 15 del Costato esposto. Qual è il confine tra il dice civile che stabilisce chiaramente
una barriera invalicabile
tra le due figure: «La
vita costituisce il bene
Da quanto tempo non sfidiamo più
essenziale di ogni essere
umano, nessuno ha titonoi stessi misurandoci
lo di avanzare richiesta
sulla necessità di rimanere umani
di risarcimento per il
fatto di essere nato. Nel
invece che sul nostro potere
caso in cui un handicap
di creare e distruggere?
sia la conseguenza diretta di una colpa e non
della natura, si ha pieno
diritto di abortire per motivi precau- diritto al risarcimento secondo i terzionali e il dovere di non far nascere mini previsti dall’art. 1382 del prein condizioni di rischio? Il concetto sente Codice». La puntualizzazione
di prevenzione e di rischio, a fronte ha il merito di restituire l’evidenza
degli enormi sviluppi dello screening della netta distinzione fra i due pringenetico, al quale sono già molto in- cipi, pur rimanendo nella cornice
teressate le agenzie assicurative, as- della problematica del risarcimento.
sume ora una prospettiva che si al- Non sorprende dunque che la dilontana sensibilmente dai casi-limite scussione rimanga molto viva e che
di senso comune (per dir così).
le implicazioni antropologiche portaUn caso analogo si è recentemen- te in campo dalla radicalizzazione
te verificato in Italia, dove la Corte giuridica del tema appaiano allo scodi Cassazione ha condannato un gi- perto.
necologo di Treviso al risarcimento
Un vantaggio, sotto certi aspetti.
nei confronti di una bambina nata Ma anche un varco irrimarginabile
nel 1996 con la Trisomia 21, per non aperto sullo scarto fra l’imperturbaaver predisposto l’amniocentesi, a bile retorica umanistica della lingua
fronte della dichiarata disposizione corrente e il drammatico vuoto di af-
mira a interiorizzare compassionevolmente la soluzione radicale, con
accorti giochi di parole. L’interiorizzazione, si badi bene, funziona anche dalla parte delle vittime (che, in
certo modo, siamo potenzialmente
anche noi, i nostri nonni e i nostri
figli). Il vecchio pregiudizio faceva
sentire oscuramente colpevoli (i nostri genitori o noi stessi) di essere disabili. Il nuovo pregiudizio ci suggerisce di sentirci colpevoli anche di
voler vivere.
Non è forse cresciuta, incoraggiata
da questo sguardo clinicamente preventivo, che ammicca tacitamente alla nostra responsabilità, la nostra angoscia per il peso — psichico, sociale, economico — che la volontà di vivere dell’essere umano molto malato
e molto incapace impone alla comunità? Non veniamo sottilmente indotti a firmare in anticipo, per conto
dei responsabili della comunità dei
sani, le nostre volontarie dimissioni
da una vita malata che venga giudicata priva di valore per loro e priva
di dignità per noi?
Nel novembre del
2000, la Corte di Cassazione francese, riunita in assemblea plenaria, ha deliberato il caso di Nicolas Perruche, afflitto da irreversibili disfunzioni riIl nostro impegno nei confronti della
conducibili alla rosolia
disabilità è all’altezza del nostro
cui fu esposta la masbandierato rispetto per la vita?
dre durante la graviPubblichiamo una riflessione sul tema
danza. La causa di ritratta dall’ultimo numero del bimestrale
sarcimento era stata
intentata a fronte della
culturale dell’Università Cattolica del
singolare istanza di un
Sacro Cuore, «Vita e Pensiero».
“diritto a non nascere”
colpevolmente negato
al figlio. I legali dei
genitori, infatti, hanno
impostato la causa in
sposizione, al di là della sua confer- questi termini sulla base della dima, sembra un’estensione verosimile chiarazione della madre, che sostiene
del modus operandi di questo nuovo di essere stata indotta a proseguire la
regime del Terrore, che non conosce gravidanza da una diagnosi erroneala pietà: né umana, né religiosa. Nel- mente rassicurante: in caso di prole manifestazioni della sua stessa gnosi infausta, infatti, avrebbe certapropaganda questo regime sembra mente abortito, sottraendo così il fiinfatti rivolto a contestare il diritto glio al danno permanente che gli è
alla vita di tutti coloro la cui esisten- derivato dal fatto di essere venuto al
za appare un ostacolo per la guerra mondo e costretto perciò a vivere
“santa” e/o un’offesa per la purezza nella menomazione. La Corte ha
della comunità dei “veri” credenti.
cercato di stabilire un nesso di cauNei fatti, la reazione occidentale è salità fra le menomazioni del ragazcosì sbilanciata verso l’implementa- zo e l’errore medico che avrebbe imzione del dossier degli orrori in cui pedito l’aborto terapeutico, tenendo
Daesh deve essere confermato, che però rigorosamente distinto questo
la sostanza dell’argomento finisce profilo dell’eventuale diritto al risarper rimanere molto estrinseca alla cimento dalla possibilità di ricononostra riflessione sull’argomento. scere come causa giuridica del danCerto, l’astuta propaganda di Daesh no l’atto di far nascere il figlio: ofnon lascia nulla di intentato per ali- frendo così legittimazione all’abnormentare il suo terrore e il nostro or- me figura giuridica di un “diritto a
rore. Ma anche la regìa dei nostri non nascere”. Posta in questi termimedia segue il suo mainstream.
ni, la distinzione rimane comunque
Nella sostanza infatti, e al di fuori intricata.
di quel contesto, possiamo dire che
Essa solleva il velo sulla soglia,
il nostro impegno nei confronti della per lo più dissimulata, che separa (e
disabilità e della vulnerabilità sia congiunge) il diritto dell’aborto teraall’altezza del nostro enfatizzato ri- peutico e il dovere di non far nascespetto per la vita e per la persona? re malati. Il riconoscimento del doPossiamo affermare che il confine tra vere di non far nascere non implila prevenzione terapeutica e la mentalità eugenetica sia così saldamente
presidiato da inchiodare agli orrori
irripetibili del nostro recente passato
ogni possibile ritorno? Abbiamo
combattuto per molti decenni una
sacrosanta battaglia contro gli eccessi del “pietismo”, che aggiungeva alle ferite della disabilità l’umiliazione
di una sterile commiserazione. Bene.
È morto il 28 maggio a quasi 93 anni
Non sentiamo forse risuonare, tra le
Giorgio Albertazzi. Il grande attore e
righe della nostra esaltazione del beregista italiano era nato a Fiesole il 20
nessere totale, la musica di una “pieagosto del 1923. Attivo per decenni sultosa” eliminazione dell’handicappale scene teatrali, Albertazzi è stato anto, che dissimula sotto il velo di una
che uno dei primi divi televisivi, protacompassionevole soluzione finale —
gonista di letture poetiche e di scenego piuttosto preventiva — il cinismo
giati di grande successo. Aveva debutdi un’ottimizzazione del godimento
tato nel 1949 con Luchino Visconti.
della vita che non vuole essere diMemorabile il suo Amleto, per la regia
sturbato neppure dalla vista dell’imdi Franco Zeffirelli, in cartellone nel
perfezione che non corrisponde allo
1964 per due mesi all’Old Vic di Lonstandard? La nostra propaganda,
dra e vincitore del Challenge al Thèatre
certo, è più smaliziata. Intanto, essa
de Nation di Parigi.
di PIERANGELO SEQUERI
a notizia di una fatwa
dell’Is per l’eliminazione
dei figli disabili, con una
indicazione specifica per i
bambini Down, ha fatto il
giro del mondo, suscitando riprovazioni unanimi e riflessioni minime.
La “notizia” rimane avvolta in un
alone di incertezza, in attesa di
documentazioni e conferme più specifiche a riguardo della sua reale formulazione ed esecuzione. Il tenore
delle reazioni, nel mondo occidentale, evoca inevitabilmente la comparazione con le pratiche naziste ispirate
all’eugenetica. La “notizia” appare
molto funzionale all’immagine del
nuovo terrorismo di Stato esibito dal
sedicente Califfato islamico, e si lascia inquadrare agevolmente fra gli
argomenti destinati a consolidare lo
sdegno e l’orrore per il suo modo
così diretto, perentorio e brutale, di
praticare il disprezzo della vita umana. L’eventualità di una simile di-
L
Vita e Pensiero
È morto Albertazzi
fezione riflessiva che accompagna
l’evoluzione tecnologica applicata alla condizione umana. Lo scarto viene ora allo scoperto, rivelando il
grave ritardo con il quale proprio
l’intellettuale europeo — l’inventore
dei diritti dell’uomo — si rivolge ai
grandi temi della condizione umana,
dopo decenni di istupidimento di
fronte agli effetti di incantamento
prodotti dalla credenza in un automatico allineamento della tecnica e
dell’etica, a vantaggio di una risolutiva capacità di responsabilità e di
dominio del proprio destino.
Di certo, abbiamo posto pilastri
fondamentali per la tutela della dignità della persona e del diritto alla
cura. Ma ora che siamo nella disponibilità di inedite facoltà di manipolazione della nascita (e della morte)
dei singoli e della collettività, siamo
condotti alla soglia di interrogativi
che ci impongono di fare i conti con
la contraddizione dei nostri stessi
principi. Non sono domande prodotte dalla nostra coscienza morale:
sono domande che la sfidano. Riconoscerci impreparati alla profondità
della riflessione sui fini dell’umano
agire, di cui dovremmo disporre, sarebbe un inizio migliore, in luogo
della presunzione di poter chiudere
l’argomento con una decisione che si
lascia guidare dai mezzi che ci consentono di eliminare semplicemente
il problema. Da quanto tempo non
sfidiamo più noi stessi, misurandoci
seriamente sulla necessità di rimanere umani anche nella nostra impotenza, invece che sul nostro potere
di creare e distruggere, al quale l’essere-umani dovrà adattarsi?
Da quanto tempo non dedichiamo
il nostro impegno alle ragioni d’onore degli affetti più sacri e più cari, la
cui grandezza risplende nella nostra
determinazione a non tradirli anche
nelle condizioni estreme? Da quanto
tempo il nostro inconscio ha incominciato ad allucinare la morale superiorità di pratiche più scientifiche
ed efficienti di selezione legittima
delle vite buone e meritevoli di essere vissute?
La drammatica della condizione
umana, con le sue acuminate punte
di tragico oscuramento del senso
stesso del nascere, non è certo un’invenzione moderna. Da Sofocle a
Giobbe, da Schopenhauer a Kafka,
il “delitto” di essere venuti al mondo, la “disgrazia” assoluta di essere
nati ci trafiggono come cifra dell’eccesso della disperazione che invoca
l’impossibile annullamento dell’esistenza. Non è la morte che è invocata, qui, quanto piuttosto la contraddizione di una vita che non è all’altezza della sua promessa. Ma quale
vita lo è? Quale essere umano può
vivere senza soffrire e dunque, senza
patire la vita?
Dove apprende, l’essere umano,
della possibilità di una vita in cui
l’amore non sia esposto all’impotenza e alla contraddizione? Non certo
in questa vita, in questo mondo, in
questa storia. In questa vita, semmai,
gli umani apprendono la miracolosa
occorrenza delle infinite volte in cui
l’amore riesce ad abitare anche l’impotenza e la contraddizione, a sfidare il dolore e il fallimento, a perforare il buco nero della disperazione e
la dura scorza della prevaricazione.
Il miracolo che ci sia amore, e spesso puro e inscalfibile come il diamante, anche nel sacrificio. Che ci
sia riconoscimento e affezione anche
per l’essere ferito e vulnerabile — e
la natura e la cultura pensino quello
che vogliono — questo è il miracolo.
E tiene in vita il mondo. Enigma?
Certo. Ma non pura eccezione, come
il cinismo dei teoremi utilitaristici
vorrebbe.
La sparizione dei bambini down
Pubblichiamo un estratto dal libro «La sparizione dei bambini Down» (Torino, Lindau, 2016, pagine 96, euro 12) che tratta
la questione della disabilità a partire dal
«sottile sentimento eugenetico che percorre
l’Europa».
di ROBERTO VOLPI
Si potrebbe parlare di un’Europa tutta
protesa verso l’obiettivo di contenere le
nascite di bambini down entro numeri di
assoluta marginalità in rapporto alle nascite e di pressoché impossibile avvistamento nel mare della popolazione. Insomma, la politica europea è implicitamente, se non proprio dichiaratamente,
orientata a ridurre a zero l’incidenza dei
nati down, cosicché non si vede perché
scandalizzarsi della Danimarca quand’è
tutto un affannarsi di Paesi, dalla Svezia
alla Spagna, dalla Finlandia alla Grecia,
passando per Italia e Francia, per evitare
quanto più possibile — ed è possibile in
una misura decisamente notevole, come
vedremo dati alla mano — che vengano
messi al mondo bambini down.
Quella della scomparsa dei down anzi
è la bandiera o la cartina di tornasole — a
secondo che la si intenda in modo del
tutto positivo o si nutra qualche dubbio
di ordine etico-morale al riguardo — che
misura il successo della lotta ingaggiata
dai servizi sanitari dei Paesi più avanzati
contro le malformazioni cromosomiche,
quei difetti congeniti del nostro Dna che
più fanno paura anche perché, sia detto,
tra i più gravi. E la sindrome di Down
non è neppure il peggiore dei difetti congeniti di origine cromosomica, ce ne sono
di ben più pericolosi. Ma con la differenza che la sindrome di Down è molto più
frequente, cosicché è di essa che si parla,
piuttosto che degli altri.
A seguito del sequenziamento del Dna
umano si pensava che certe malformazioni del tipo della sindrome di Down, dovute a un ben preciso e individuabile errore genetico, sarebbero state piuttosto
facilmente debellate con il ricorso all’in-
gegneria genetica. In fondo, sapendo di
un gene sbagliato o doppio o mancante,
e di dov’è o dovrebbe essere collocato,
della sua precisa posizione sulla doppia
elica del Dna, non resterebbe che intervenire per “aggiustarlo” o togliere di mezzo
il pernicioso doppione o per aggiungere
il gene mancante. E in teoria, intendiamoci, è proprio così. Solo che, almeno al
momento, questo resta, appunto, un ragionamento ancora fermo — o quasi — alla
teoria. Cosicché si conta di vincere la battaglia contro la sindrome
di Down evitando le
nascite di bambini down più che non intervenendo sui feti che
manifestano questa sindrome per “correggerne” il difetto, individuandoli con appositi
test di diagnosi prenatale e successivamente
— e sempre che lo si
voglia, beninteso, sempre che la madre e i genitori lo vogliano, nessuno obbliga nessuno
— ricorrendo all’interruzione volontaria della
gravidanza per eliminarli. Esattamente quello che si sta facendo, ma che non è certo vincere la battaglia contro la sindrome di Down, che infatti è in pieno svolgimento e si annuncia
ancora lunga.
Difficile dire come evolverà la situazione, tra novità della diagnostica prenatale
e possibilità, in prospettiva, di interventi
di riparazione genetica dei feti imperfetti.
I progressi in queste direzioni appaiono
però lenti, molto più lenti di quanto non
ci si aspettasse. E nel frattempo tendenze
sempre più selettive si affermano e si
estendono. Certo, fino a quando ci si potrà rifiutare di sottoporsi ai test di diagnosi prenatale, fino a quando si potrà
scegliere di partorire un bambino down
pur se diagnosticato come tale, potremo
vantare una libertà individuale che sembra dissipare ogni dubbio circa una vocazione sociale, della società in quanto tale,
di tipo eugenetico o, quantomeno, autoritaria sul piano genetico-biologico. Ma
non c’è chi non veda, credo, come anche
la possibilità della scelta, della libertà individuale, non possa essere considerata
una “garanzia”, assediata com’è da programmi sanitari per un lato e indirizzi
culturali per l’altro che convergono tutti
sempre più puntualmente attorno a certi
obiettivi selettivi.
E, tra questi, quello di avere un numero sempre più piccolo, ai confini con l’invisibilità, di nascite di bambini down è
un obiettivo che, pur non eugenetico in
sé, all’eugenetica un poco fa comunque
pensare. Forse perché svela proprio quel
sottile sentimento eugenetico che, pur celato anche a noi stessi, si annida nella
spasmodica ricerca, e meglio ancora nella
pretesa della perfezione psico-fisica dei
nostri bambini, dei bambini delle nostre
società occidentali postmoderne. Sin dalla nascita, anzi sin da prima della nascita,
sin dal concepimento.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 29 maggio 2016
Giorgio De Chirico
«Il figliol prodigo», 1922 (particolare)
Novant’anni fa Giovanni Colombo diventava prete
Mattina
di contentezza
Se vince l’odio perdiamo tutti
Due profeti e un Papa
per la pace
di ERNESTO OLIVERO
Quando ero ragazzo ho incontrato due profeti del Novecento e
un Papa che mi hanno cambiato
la vita. Il primo è stato Giorgio
La Pira, sindaco di Firenze e
“santo”. In piena guerra fredda
tra Stati Uniti e Unione Sovietica, le due superpotenze nucleari
del tempo, citando la profezia di
Isaia sosteneva la necessità di trasformare le armi in strumenti di
Festival biblico
«Giustizia e pace si baceranno» è il tema,
ispirato a un versetto del Salmo 85, che in
questi giorni anima a Vicenza la
dodicesima edizione del Festival biblico.
Pubblichiamo, quasi per intero,
l’intervento pronunciato dal fondatore del
Servizio missionario giovani e
dell’Arsenale della pace.
lavoro. Lo incontrai e mi innamorai della visione biblica che si era
fusa completamente con la sua vita. Era credibile per come viveva,
non c’era in lui divisione tra l’essere e il fare, le sue opere nascevano dal suo essere uomo di pace
credibile.
Qualche anno dopo incontrai
un uomo vestito di bianco, fratel
Roger, fondatore della comunità
di Taizé. Le sue parole mi entrarono dentro: «Basta un pugno di
ragazzi per cambiare il corso della propria città, del mondo». Era
credibile, era un uomo di pace
che indicava vie concrete di pace.
Gli credetti sulla parola.
Nel 1976, invece, incontrai Papa Paolo VI. Andai da lui senza
appuntamento ma con un fuoco
dentro. Volevo portargli la protesta dei giovani che come me volevano una Chiesa più povera, più
decisa nelle opere di giustizia. Mi
ascoltò — ero un ragazzino in camiciotto e blue jeans — mi abbracciò e mi disse: «Spero da Torino, terra di santi, per una rivoluzione d’amore».
L’Arsenale della pace di Torino
ha cominciato a venirmi incontro
attraverso le parole credibili di testimoni di pace. Era un rudere, il
luogo di morte in cui migliaia di
operai costruirono le armi usate
nelle guerre del risorgimento e
nelle guerre mondiali. Era un rudere, ma io lo vedevo già trasformato, casa dei sogni di pace miei,
dei miei amici, dei testimoni credibili che avevo incontrato. Il 2
agosto del 1983 iniziò una storia
che non avrei mai immaginato.
Attraverso il lavoro gratuito di
centinaia di migliaia di giovani e
adulti l’Arsenale cominciò a cambiare per diventare lentamente,
ma decisamente quello che è oggi: una fabbrica di vita aperta 24
ore su 24, tutti i giorni all’anno.
L’Arsenale cambiava volto e così il nostro gruppo di amici è
adesso una fraternità di consacrati,
sposi, sacerdoti, giovani che hanno deciso di dare la vita per un
ideale di pace, mai slegato dalla
concretezza. Da qui, l’accoglienza
di donne e uomini — 15 milioni di
notti di ospitalità — di 125 nazionalità diverse, la formazione di
giovani da tutta Italia — l’anno
scorso ne sono passati 25.000 —,
migliaia di progetti di sviluppo in
ogni angolo del mondo e i progetti educativi con bambini del quartiere Porta Palazzo, il più multietnico di Torino.
di INOS BIFFI
Per me la pace,
come l’amore, come la fede, non è
un sorriso, non è
una parola, né
tanto meno uno
slogan. È un fatto. Sono convinto che oggi
lavorare per la
pace equivalga
a investire sui
bambini, sui
ragazzi,
sui
giovani e a
spendere
tempo,
energie
per offrire
loro non
parole ma
testimonianze di pace. Per disinnescare bombe umane occorre
prendere la strada della prossimità con bambini e ragazzi italiani
o stranieri, cristiani o musulmani
che sono indifferenti a quanto
succede nel mondo o talmente arrabbiati da volersi armare.
Ai giovani dobbiamo dare verità e bellezza, farli innamorare di
grandi ideali, per aiutarli a dire i
“sì” e i “no” che contano nella vita. Dialogare, far emergere i loro
sogni, comunicare con semplicità
che la vita di ognuno può lasciare
traccia di sé nella storia. C’è bisogno di aiutarli a vedere in concreto valori come la pace, il servizio,
la solidarietà, il senso del bene
comune. Impegni che molto
spesso non fanno notizia e dunque per i più non valgono nulla.
Se vogliamo gettare le basi di un
domani di pace bisogna disinnescare le bombe che la minano e
sono bambini e giovani che con
facilità possono cadere nella trappola di una propaganda di odio e
di violenza, possono essere facile
preda di criminalità organizzata e
di mafie. Dove c’è un vuoto,
qualcuno lo riempie. La diversità
di culture, religioni, appartenenze
diverse è una ricchezza che bisogna valorizzare, è il futuro, è la
possibilità di rinnovarsi e migliorarsi ma va guidata con saggezza.
Servono donne e uomini saggi,
capaci di ascolto, disposti a servire la pace, a creare legami di
amicizia, di servizio, a promuovere un’educazione basata su regole
condivise e percorsi di cittadinanza responsabile. La pace non si
improvvisa, si prepara formando
persone. Uomini saggi con le loro scelte hanno fermato guerre,
hanno posto le condizioni per
una pace duratura. Oggi dobbiamo preparare i saggi di domani
che abbiano chiaro che pace è
dare il primo posto sempre e comunque a ciò che è bene per
l’uomo, nelle scelte di vita personale ma anche nell’organizzazione di una città, di una nazione.
Il 29 maggio 1926, esattamente
novanta anni fa, Giovanni Colombo veniva ordinato sacerdote nel Duomo di Milano,
che sarebbe poi stata la sua cattedrale. Egli così ricordava:
«Quella mattina avevo in corpo
una contentezza tale che non sentivo neppure l’asfalto del marciapiede sotto il mio passo. Mi sembrava di volare. Il cielo era azzurro, solcato da rare e lunghe nuvole».
Ricordare il cardinale Colombo
in questo novantesimo non significa soltanto ripensare al suo episcopato, insigne per il suo lucido e
non accomodante magistero, per la
sua non titubante fermezza, per il
senso di responsabilità nelle sue
scelte, per l’attaccamento alla tradizione ambrosiana — che lo rendeva
scrupoloso nell’esserle fedele, senza
mancare di coraggio nelle innovazioni: si pensi solo alla riforma della liturgia ambrosiana, provvidenzialmente avvenuta con lui e da lui
promossa e sostenuta, e per la quale è pensabile e auspicabile che
continui a vegliare e a intercedere
dal cielo.
Aveva fatto di tutto per stornare
da sé una tale elezione. E lo aveva
fatto veramente, e non per finta.
come forse più d’una volta avviene,
o meglio avveniva. Oggi le cose
vanno diversamente. E proprio su
questa sua vocazione sacerdotale
egli ci ha lasciato due rare confidenze, affidate a uno dei suoi Quaderni, che rimangono come fonti
preziose per la sua biografia.
Annotava il 22 settembre 1943,
durante gli esercizi spirituali a Rho:
«Due ricordi della fanciullezza sono affiorati dall’oblio, richiamati su
alla luce della coscienza non so da
quale forza misteriosa, in questi
giorni di silenzio. Ecco il primo.
Nel giugno 1913, una domenica
mattina, mi trovano con la schola
cantorum del mio paese a Milano,
sulla cantoria della chiesa di Santa
Francesca Romana, per la prima
santa messa di un certo don Domenico Bellavista, che poi fu per breve
tempo coadiutore di Saronno, e
morì al fronte nella guerra 19151918. D’improvviso, prima che il
santo rito iniziasse, fu illuminata la
Madonna che stava sull’altare maggiore come in una nicchia. La mia
attenzione fu attratta da quella luce, guardai la Madonna in quel
momento, lo ricordo bene, udii distintamente pronunciare queste parole: “Tu sarai sacerdote di mio Figlio Gesù”. Risuonarono dentro o
fuori di me queste parole? Non lo
potrei dire ora con certezza. Ma fin
d’allora non potei dubitare che da
un’altra persona provenivano e non
dal mio spirito. La Madonna mi ha
chiamato. Grazie, dolcissima Madre, tu fosti la sorgente della mia
vocazione, tu la protettrice, tu la
purificatrice. Tutto quel che io sono, lo sento bene, lo devo interamente a te».
L’altro ricordo. «Quando [segue
il nome di un ragazzo] seppe ch’io
avrei tra poco vestito la talare per
avviarmi al sacerdozio, lui il compagno di scuola e di fuori scuola,
mi guardò in silenzio. Nel suo
sguardo c’era una fierezza mista a
un certo disprezzo. Forse il dolore
di non potermi seguire, forse l’orgoglio di non volermi seguire. Pareva dicesse: “Io almeno sono coerente. Ma tu…”. Riconosco quanta
parte di ragione v’era nel suo tacito
rimprovero. Ma oggi riconosco pure che anche l’Amore di Dio ha le
sue incoerenze. O Signore, adoro
con immensa gratitudine i disegni
imperscrutabili delle tue amorose
elezioni. Dammi la grazia di ricambiare quell’Amore con cui mi eleggesti con tutti gli istanti di vita che
ancora mi restano».
Allora Colombo era poco più
che quarantenne. Gli restava da vivere ancora mezzo secolo: trascorso
esemplare e luminoso fino allo
splendore della porpora e fino al
tempo della vecchiaia serena e operosa.
Dibattito a Londra con la partecipazione di vescovi
Il cardinale Nichols e l’arcivescovo Welby insieme su Facebook e a un simposio su Thomas Becket
Sulle armi nucleari
un confronto morale
Se il popolo della rete
s’interroga sull’ecumenismo
LONDRA, 28. Devono essere considerazioni morali a guidare il dibattito su proliferazione e disarmo nucleare: a sostenerlo è il cardinale arcivescovo di Westminster, Vincent
Gerard Nichols, presidente della
Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, intervenuto nei giorni
scorsi a Londra a una riunione alla
quale hanno partecipato quaranta
fra presuli, studiosi cattolici e analisti politici provenienti da diversi
Paesi. Creare le condizioni per un
mondo senza armi nucleari, guardando in particolare alle questioni
teologiche e morali: questo il messaggio venuto dal vertice. Per il ve-
scovo di Las Cruces, Oscar Cantú,
presidente della Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale statunitense, «il confronto
politico deve guardare al confronto
morale. Abbiamo bisogno di educare e responsabilizzare le nuove generazioni di leader cattolici sulle argomentazioni etiche e politiche relative alla riduzione e all’eliminazione delle armi nucleari». Sulla
stessa linea il vescovo di Troyes,
Marc Stenger, presidente di Pax
Christi France: «Va promossa,
nell’opinione pubblica, una maggiore consapevolezza delle sfide alla
pace portate dalle armi nucleari».
LONDRA, 28. L’arcivescovo di
Westminster e presidente della
Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, cardinale Vincent
Gerard Nichols, e l’arcivescovo di
Canterbury e primate della Comunione anglicana, Justin Welby,
hanno condiviso insieme, venerdì
pomeriggio, su Facebook, una
sessione di “domande e risposte”,
cui ha fatto seguito un simposio
su Thomas Becket a Lambeth Palace, al quale hanno preso parte
entrambi.
L’evento social è stata un’iniziativa di Welby. Il primate, infatti, come ha già riferito il nostro
giornale la scorsa settimana, ha
utilizzato il social network per
dialogare e interagire con i fedeli
anglicani sparsi nel mondo con
una meditazione su un brano del
Vangelo di Giovanni.
Un’esperienza inedita di comunione intorno alla Parola di Dio,
dunque, realizzata attraverso le
potenzialità nuove offerte da internet. E che ora l’arcivescovo di
Canterbury ha deciso di allargare
anche a una dimensione ecumenica, invitando a una nuova sessione il cardinale Nichols.
I due responsabili religiosi
hanno parlato della preghiera,
dell’unità dei cristiani e di come
condividere con tutti la buona
novella di Gesù Cristo nel mondo di oggi. All’evento social sono
state numerose le domande arrivate dalla rete ai due responsabili
religiosi e molte hanno riguardato
questioni da tempo aperte:
“Quando si arriverà a poter ricevere la Comunione, ciascuno nelle liturgie dell’altro? Come collaborare nell’annuncio del Vangelo
di Gesù al di là delle differenze
dottrinali tra le due confessioni?
Che cosa possiamo fare insieme
di fronte a drammi come quello
dei profughi siriani?”
La sessione su Facebook, che
ha suscitato un grande interesse,
è stata sicuramente un’esperienza
Il cardinale Nichols
da poter ripetere e che percorre il
cammino di quell’ecumenismo di
popolo sollecitato negli ultimi
anni da più parti.
Durante il successivo simposio
di Lambeth Palace, il cardinale
Nichols, che ha tenuto un intervento, ha chiesto l’ampliamento
di un dialogo costruttivo nel Regno Unito tra le autorità laiche e
le comunità di fede, al fine di affrontare al meglio le molteplici
sfide del mondo di oggi.
Il presidente della Conferenza
episcopale di Inghilterra e Galles
ha ricordato il coraggio avuto da
Thomas Becket nel difendere le
prerogative della Chiesa durante
il regno di Enrico II, nel 1170, sottolineando come, anche senza arrivare ai momenti più drammatici
della storia, il rapporto fra «il
ruolo e i poteri dello Stato da un
lato e il ruolo e l’impegno della
Chiesa dall’altro, non è mai facile».
Il porporato ha anche ricordato le parole di Benedetto XVI a
Westminster Hall, il 17 settembre
del 2010: «La religione — disse il
Papa in quell’occasione — per i
legislatori non è un problema da
risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione». Anche per questo «il ruolo dei fedeli
è quello di difendere quei luoghi
della vita nei quali la vera religione prospera».
Il cardinale Nichols ha sottolineato che «le soluzioni alle sfide
di oggi vanno trovate nel lavoro
comune con i Governi», grazie a
un’ormai acquisita posizione di
fiducia, ma ha aggiunto che la
Chiesa «non deve perdere le proprie radici giudaico-cristiane, risorse della nostra forza».
Da qui, l’appello a tutti i cristiani a rimanere pienamente fedeli a Cristo, abbracciando la
chiamata al discepolato anche se
essa comporta dei sacrifici da affrontare.
Lutto nell’episcopato
Monsignor Petro Herkulan Malchuk, religioso dell'ordine dei frati minori, arcivescovo-vescovo di Kyiv-Zhytomyr in Ucraina, è morto nella notte tra giovedì 26 e
venerdì 27 maggio a Grodno in Bielorussia, dove si trovava per partecipare alle celebrazioni del Congresso eucaristico nazionale. Il compianto presule era nato il 7
luglio 1965 a Sloboda Rashkiv, nella diocesi di Chişinău, ed era stato ordinato sacerdote il 7 giugno 1992. Eletto alla Chiesa titolare di Media il 29 marzo 2008 e
nominato ausiliare della diocesi di Odessa-Simferopol dei latini, aveva ricevuto
l'ordinazione episcopale il successivo 3
maggio dal cardinale Marian Jaworski.
Quindi il 15 giugno 2011 era stato nominato vescovo di Kyiv-Zhytomyr, con il titolo
personale di arcivescovo.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 29 maggio 2016
Vertice in Vaticano sull’emergenza migranti. Sabato a mezzogiorno, nell’atrio
dell’aula Paolo VI, hanno preso la parola
Osayande, un giovane nigeriano che ha
visto morire accanto a sé in mare la propria famiglia, e quattrocento alunni delle
scuole medie calabresi, arrivati alla stazione vaticana con il treno dei bambini. Papa
Francesco si è presentato all’incontro portando in mano il giubbotto salvagente di
una bimba siriana morta mentre cercava
di raggiungere con i genitori la spiaggia
di Lesbo: insieme ai disegni donatigli dai
piccoli durante la visita al campo profughi
dell’isola greca, il Pontefice custodisce il
salvagente tra le sue cose più care, da
mercoledì
scorso,
quando,
durante
l’udienza in piazza San Pietro, lo ha ricevuto dalle mani di Óscar Camps, responsabile dell’associazione spagnola Proactiva
Open Arms, in lacrime per non essere riuscito a salvare quella giovanissima vita.
Per prima cosa, il Papa ha stretto in un
abbraccio il ragazzo nigeriano che gli ha
subito confidato di aver trovato a Lamezia
Terme, in don Giacomo Panizza e nella
sua comunità per minori stranieri, quel riferimento che lo ha portato a essere accolto da una famiglia italiana. Insieme hanno
ha recitato l’avemaria, nel ricordo di tutti i
migranti morti in mare. E soprattutto nel
ricordo di quella piccola siriana: aveva appena sei anni, ha detto il Papa, e non sappiamo neppure quale fosse il suo nome.
Ma «ognuno di voi — ha chiesto ai ragazzi calabresi — le dia il nome che vuole, nel
suo cuore. Lei è in cielo e ci guarda.
Chiudiamo gli occhi, pensiamo a lei e diamole un nome». Con la certezza, ha ag-
Il Papa parla dei migranti ai bambini giunti dalla Calabria
In pericolo
e non un pericolo
giunto, che la Madonna la stringe in un
abbraccio per darle un bacio.
Con i bambini Francesco ha quindi dato vita a un vivacissimo scambio di pensieri su come e perché accogliere i migranti. Prendendo spunto dal disegno di Giuseppe, che il Papa ha chiamato accanto a
sé per spiegare la bellezza di un gruppo
di bambini, con i colori della pelle diversi,
che giocano insieme. E poi il dialogo
aperto, senza giri di parole, con Antonio,
Concluso il viaggio del cardinale Filoni
Colombia missionaria
«Sappiate che incontrerete la
chiusura mentale, la cecità e il
pregiudizio, da parte di quanti non conoscono o non riconoscono Cristo, ma hanno la
presunzione
di
giudicare
Dio» e che «la conseguenza
di questo atteggiamento può
essere l’indifferenza o la persecuzione». Ma Gesù è “la
garanzia” che l’attività di
evangelizzazione della Chiesa
produce sempre abbondanti
frutti. È quanto ha sottolineato il cardinale Fernando Filoni durante la messa per l’invio
dei missionari in Colombia. Il
prefetto di Propaganda fide
ha presieduto il rito sabato
mattina, 28 maggio, nella cattedrale di Bucaramanga, a
conclusione del dodicesimo
congresso nazionale missionario. Quello di sabato è stato
anche l’ultimo appuntamento
pubblico in terra colombiana
del porporato che nel pomeriggio è tornato nella capitale
Bogotá, dove in serata si è
imbarcato sul velivolo che lo
ha ricondotto a Roma.
All’omelia il cardinale Filoni ha commentato il passo del
vangelo di Marco riguardante
l’obiezione dei sommi sacerdoti, degli scribi e degli anziani sull’autorità di Gesù (11,
27-33). E in particolare ha
chiarito che in quanto «discepoli e missionari, il limite del
nostro peccato e le nostre imperfezioni non devono essere
una scusa. Al contrario, la
missione di evangelizzazione
deve essere un costante incoraggiamento a non acconten-
tarsi della mediocrità, ma a
continuare a crescere» nella
fede e nella carità. In precedenza, nella giornata di venerdì 27 il cardinale aveva
partecipato ai principali appuntamenti del congresso
missionario, con un intervento pubblico al mattino, dialoghi informali con i vicari apostolici e i vescovi del Paese e
con la messa per l’arcidiocesi
di Bucaramanga celebrata nel
pomeriggio in cattedrale. Nel
corso della lunga e articolata
conferenza pronunciata ai lavori congressuali, il prefetto
della
Congregazione
per
l’evangelizzazione dei popoli
si è anzitutto soffermato su
una coordinata geografica, e
cioè sul fatto che «Francesco
è il primo Papa latino– americano», che ha portato una
nuova modalità di relazionarsi
con le persone «come pastore
e padre», secondo uno stile di
vita fatto di gesti umani e sacerdotali che attirano l’attenzione, toccano i cuori e le
menti, scuotono. Il porporato
ha fatto notare in proposito
che è uno stile che rimanda
alla conferenza di Aparecida e
all’idea di “discepolato missionario” per una Chiesa in
uscita, in cui ogni cristiano e
ogni comunità sono chiamati
fuori dalle proprie comodità
per raggiungere tutti quelli
che hanno bisogno della luce
del Vangelo della misericordia. In pratica, ha concluso il
cardinale Filoni, anche quella
colombiana deve essere «una
Chiesa al servizio delle perife-
rie esistenziali dei poveri e
della società. Una Chiesa che
sa essere compassionevole, tenera e fraterna».
Guglielmo, Ariston (fuggito dallo Sri
Lanka) e Sabba. L’emergenza dei migranti
è stata affrontata dal Papa e dai suoi giovani interlocutori a partire dall’immagine
evocativa delle onde del mare: quel mare
che in Calabria è tanto bello ma che, purtroppo, a volte diventa persino sepolcro
per i migranti in cerca di salvezza, di una
vita migliore, di un lavoro.
Nel botta e risposta con i ragazzi, il
Pontefice ha sollecitato tutti a destarsi
dall’indifferenza e a rompere gli indugi
per accogliere gli altri come fratelli. L’accoglienza — ha spiegato — significa prendersi cura dell’altro. E a questo proposito
ha attualizzato la parabola del buon samaritano, invitando i presenti a compiere
gesti concreti di accoglienza: stringere la
mano, allargare le braccia e avere anche
quella tenerezza che porta a dare un bacio, una carezza.
«I migranti non sono un pericolo, ma
sono in pericolo» ha ripetuto il Papa, citando una frase della lettera che gli hanno
scritto i bambini per chiedergli di incontrarlo. E su questa verità il Pontefice ha
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insistito, chiedendo di ripetere più volte e
a voce alta: «Non sono un pericolo, ma
sono in pericolo». Perché lo straniero non
è pericoloso e cattivo. E non deve spaventare solo perché ha un colore diverso della
pelle, un cultura o una religione differente. La vita, infatti, è condividere, perché
siamo tutti fratelli e abbiamo Dio come
padre. Sollecitato da un bambino che gli
ha chiesto come si possa dirsi cristiani, andare a messa, e poi rifiutare i migranti,
Francesco ha parlato apertamente di ipocrisia. Invitando a non essere egoisti, ma
ad avere il coraggio di compiere scelte generose di condivisione. Da parte loro i
bambini hanno espresso al Papa la loro
indignazione di fronte alla mancata accoglienza che è sempre «un’ingiustizia». E
Antonio, dieci anni, è arrivato a dire che
le persone che non fanno accoglienza «sono bestie». In realtà — ha precisato il Papa — Antonio non voleva insultare nessuno ma il cuore dell’uomo deve essere capace di tenerezza.
Francesco non ha mancato di ricordare
i veri valori del gioco e dello sport, il senso di «fare squadra insieme», riprendendo
le parole di una bambina romana secondo
cui lo sport insegna l’amicizia, a «non barare e a rispettare il prossimo». E ha risposto alla domanda di un’altra ragazzina
romana su cosa prova a essere Papa. Semplice, la risposta: «me lo ha chiesto
Gesù».
Il treno con i bambini, un Frecciargento partito da Lamezia stamane alle 6, è arrivato alle 11.20 alla stazione vaticana. Ad
accompagnarli la presidente del gruppo
Ferrovie dello Stato, Gioia Ghezzi. Ad accoglierli i cardinali Giuseppe Bertello,
presidente del Governatorato, e Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, promotore dell’iniziativa
nell’ambito del Cortile dei gentili. I ragazzi sono arrivati cantando «Portati dalle
onde», accompagnati anche da sessanta
coetanei che fanno parte dell’orchestra
Quattrocanti di Palermo, un realtà che sta
offrendo grandi opportunità di riscatto a
molti giovani proprio attraverso la musica.
E da cinquanta rappresentanti dell’associazione romana Sport senza frontiere, impegnata nelle periferie nel garantire opportunità di svago gratuite per favorire
l’inserimento sociale.
Conferenza del vescovo Ayuso al movimento dei Focolari
Le religioni alleate per la pace
I fratelli delle altre religioni possono
essere «alleati per prevenire ogni
guerra e condannare tutte le violenze,
consapevoli che una fede in Dio sincera apre all’altro, genera dialogo e
opera per il bene, mentre la violenza
nasce sempre da una mistificazione
della religione»: lo ha sottolineato il
vescovo Miguel Ángel Ayuso Guixot,
segretario del Pontificio consiglio per
il dialogo interreligioso, partecipando
giovedì 26 maggio a un incontro formativo promosso dal movimento dei
focolari a Castel Gandolfo.
Dopo aver ricordato «lo spirito di
Chiara Lubich», fondatrice del movimento «che anticipò la “cultura
dell’incontro” predicata da Papa Francesco», il presule comboniano ha
messo in luce come questo tema stia
particolarmente a cuore al Pontefice,
sin da «quando ancora era arcivescovo di Buenos Aires». Jorge Mario
Bergoglio, ha spiegato il relatore,
«non ha perso occasione per promuovere incontri fra credenti di religioni
diverse e così continua a fare oggi». E
«non è azzardato dire che non passa
giorno senza che vi faccia riferimento». Ribadito che «il dialogo interreli-
gioso affonda le radici nell’avvenimento conciliare al quale hanno fatto
riferimento anche i Pontefici nel loro
magistero», il vescovo Ayuso ha parlato del “dialogo dell’amicizia” voluto
da Francesco, che «non ha niente di
semplicistico, superficiale o buonista»,
ma al contrario “è esigente”. Anche
perché, ha osservato, «per dialogare è
necessario avere un’identità», senza la
quale il dialogo «potrebbe rivelarsi
inutile o dannoso». Inoltre «avere
un’identità ben radicata non va a scapito dell’amicizia» e «aiuta a provare
sentimenti di empatia e condivisione».
Dunque «non un ideale astratto»,
ma «dialogo fatto da persone concrete, che si incontrano nel quotidiano in
ambiti comuni e che già, spesso, condividono tanta parte della loro vita».
Il riferimento è dunque alle «società
multireligiose, come quelle europee,
nelle quali la prima forma di dialogo
è quello della vita». E poiché «la
Chiesa cattolica è consapevole del valore che riveste la promozione
dell’amicizia e del rispetto tra uomini
e donne di diverse tradizioni religiose», il segretario del dicastero vaticano
ha invitato a comprendere «sempre
In Vaticano il sesto congresso mondiale di Scholas Occurrentes
Contro la logica dei muri, la scuola costruisce ponti. È questo il
cuore del sesto congresso mondiale
di Scholas Occurrentes che, iniziato il 27 maggio, si svolge fino a
domenica 29 in Vaticano. Vi partecipano circa quattrocento rappresentanti
della
comunicazione,
dell’arte, dello sport e della tecnologia, provenienti da 190 Paesi.
Momento principale è l’incontro
con Papa Francesco nell’Aula del
sinodo, nel pomeriggio del giorno
conclusivo.
Il congresso si sta svolgendo parallelamente in due sedi: la Casina
Pio IV ospita il seminario: «L’università e la scuola: Un muro o un
ponte», con i rappresentanti delle
oltre quaranta università di tutto il
mondo che hanno accolto la pro-
Protagonisti i giovani
posta di tenere una cattedra annuale di Scholas impegnandosi ad
accompagnare almeno tre suoi
progetti sociali. Il seminario ha
avuto come centro di confronto il
pensiero educativo di Papa Francesco e le modalità in cui questo si
possa applicare nella proposta della rete di scuole fondata nel 2013.
Agli incontri sono intervenuti
rappresentanti di diverse religioni
— tra questi l’arcivescovo Angelo
Vincenzo Zani, segretario della
Congregazione per l’educazione
cattolica — ed esperti in ambito
neuroscientifico, epistemologico e
politico. Per il mondo islamico,
Shahrzad Houshmnd Zadeh, do-
cente di studi islamici alla Pontificia Università Gregoriana, ha parlato delle cattedre di Scholas come
ponte per il dialogo interreligioso
e interculturale, mentre Tamar
Hay Sagiv della Twinned Peace
Sport School e Peres Center for
Peace di Israele, hanno presentato
un programma nel quale gruppi di
bambini di israeliani e palestinesi
sono coinvolti in attività di pace
ed educazione, usando lo sport come strumento per promuovere la
convivenza e la comprensione reciproca.
Presso la Libera Università Maria Santissima Assunta, invece,
nell’ambito del progetto «Ciuda-
danía global», si è svolto un laboratorio in cui giovani provenienti
da Argentina, Australia, Emirati
Arabi, Mozambico, Spagna e Paraguay, sono stati chiamati elaborare
proposte operative in merito a due
temi di prospettiva planetaria: il
problema dell’arruolamento dei
giovani nel terrorismo internazionale e il coinvolgimento delle nuove generazioni nella salvaguardia
della casa comune secondo le linee
dell’enciclica Laudato si’. A chiusura del congresso è stato firmato il
documento finale da presentare al
Papa. L’incontro con il Pontefice,
al quale i giovani rivolgeranno alcune domande, è anche l’occasione
per lanciare le prossime iniziative
di Scholas e un progetto social
svolto insieme alla Mondadori.
più l’importanza» del dialogo «sia
perché il mondo è diventato “più piccolo”, sia perché il fenomeno delle
migrazioni aumenta i contatti tra persone e comunità di tradizione, cultura, e religione diversa». Da qui la
conclusione che «nel mondo di oggi,
segnato tragicamente dalla dimenticanza di Dio o dall’abuso che si fa
del Suo nome, le persone appartenenti alle diverse religioni sono chiamate,
con un impegno solidale, a difendere
e promuovere la pace e la giustizia, la
dignità umana e la protezione dell’ambiente».
Giubileo dei diaconi
Servizio
e misericordia
Dal 27 maggio una nutrita rappresentanza di diaconi permanenti di tutto il
mondo è a Roma per celebrare il giubileo. Culmine del pellegrinaggio, domenica 29, la messa presieduta da Papa
Francesco in piazza San Pietro.
A cinquant’anni dalla re-istituzione
del diaconato permanente — avvenuta
con il concilio Vaticano II (Lumen gentium, 29) — la tre-giorni romana si è
aperta venerdì con un incontro sul tema: «Il diacono, immagine della misericordia per la promozione della nuova
L’icona di Santa Maria in Portico
evangelizzazione» tenutosi per i vari
gruppi linguistici nelle chiese di Santa
Maria in Vallicella e nelle basiliche di
Sant’Andrea della Valle, San Giovanni
Battista de’ Fiorentini, Santa Maria sopra Minerva e San Marco Evangelista.
Stesse sedi, nel pomeriggio di sabato,
per la catechesi dedicata alla vocazione
«a essere dispensatori della carità nella
comunità cristiana».
La mattina di sabato i diaconi con le
loro famiglie hanno compiuto il pellegrinaggio a San Pietro per varcare la
porta santa. Nelle tre giornate, per tutti,
c’è stata la possibilità di partecipare
all’adorazione eucaristica e di accostarsi
al sacramento della riconciliazione. Uno
dei simboli di queste giornate resterà
l’antica icona mariana di Santa Maria in
Portico che viene esposta domenica, in
piazza San Pietro, per la messa con il
Pontefice.
L’immagine è legata alla tradizione
dell’apparizione che nel VI secolo portò
la patrizia romana Galla a dedicare la
sua vita alla preghiera e al servizio dei
poveri.
Nomina episcopale
in Zimbabwe
Celestino Migliore
nunzio a Mosca
La nomina di oggi riguarda l’Africa.
Sabato 28 maggio è stata resa nota la nomina dell’arcivescovo Celestino Migliore come nunzio apostolico nella Federazione Russa.
Nato a Cuneo il 1° luglio 1952, è
stato ordinato sacerdote il 25 giugno 1977. Si è incardinato a Cuneo. È laureato in diritto canonico. Entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede nel 1980, ha
prestato successivamente la propria opera presso le rappresentanze pontificie in Angola, Stati Uniti d’America, Egitto, Polonia. Il 14
aprile 1992 è stato nominato inviato speciale con funzioni di osservatore permanente presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo.
Quindi il 21 dicembre 1995 è divenuto sotto-segretario della sezione
per i Rapporti con gli Stati della
Segreteria di Stato. Il 30 ottobre
2002 è stato nominato osservatore
permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione delle nazioni
unite (Onu) e nel contempo elevato alla dignità di arcivescovo.
Gli è stata assegnata la sede titolare di Canosa. Il 6 gennaio 2003
ha ricevuto l’ordinazione episcopale. E dal 30 giugno 2010 era
nunzio apostolico in Polonia.
Paul Horan
vescovo di Mutare
Nato a Drangan, nella contea irlandese di Tipperary, il 17 ottobre
1962, ha compiuto gli studi filosofico-teologici, ottenendo il baccellierato, presso il Milltown College di
Dublino (1990-1995). Il 15 ottobre
1995 ha emesso i voti perpetui ed è
stato ordinato sacerdote carmelitano il 7 giugno 1997. Prima di entrare nell’ordine religioso, aveva lavorato alla Chartered Association of
Certified Accountants of Ireland.
Nel 2001 si è specializzato in teologia spirituale alla Catholic university of America di Washington, D.C.
Arrivato nello Zimbabwe nel 2001,
ha frequentato un corso di lingua
shona facendo esperienza pastorale
missionaria. Fino al 2004 ha diretto
il postulandato dei carmelitani a
Rusape (Mutare), poi per due anni
il noviziato carmelitano sempre a
Rusape. Dal 2006 al 2008 è stato
assistente della parrocchia Saint
Kilian’s in Makoni, Mutare, e dal
2008 dirigeva la scuola cattolica
Kriste Mambo a Rusape.