numero 22 anno VII – 10 giugno 2015
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www.arcipelagomilano.org numero 22 anno VII – 10 giugno 2015 edizione stampabile www.arcipelagomilano.org MILANO: UN BUON VOTO DI SCAMBIO Luca Beltrami Gadola Non voglio qui aprire un dibattito su cosa si voglia punire esattamente quando si fa riferimento al voto di scambio ma nessuno mi contesterà se dico che la locuzione “voto di scambio” è usata in maniera ambigua e infelice: il voto è sempre scambio. Ti do il mio voto perché “in cambio” tu cercherai di promuovere il mio bene, nell’accezione che io attribuisco a questo termine e che tu dici di conoscere, e lo farai con tutti gli strumenti legittimi che l’ordinamento democratico repubblicano ti consente. Dunque esiste un “buon” voto di scambio, del quale poco o nulla si parla. Forse di questo buon voto di scambio potrebbero parlare i nostri ”11 del Consiglio” milanese che, a sentire le voci che circolano, sembra debbano occuparsi sotto sotto delle regole delle primarie, terreno torbido di lotte di potere che si tenta inutilmente di far passare per scontro ideologico. L’obiettivo dovrebbe essere un altro: fare in modo che attraverso le primarie i cittadini, consapevolmente informati, compiano una scelta che potremmo chiamare “buon voto di scambio”. Chissà, forse ne parleranno pensando alla desertificazione dei seggi elettorali. Il caso milanese sembra un caso di studio perfetto. Ci saranno le primarie e lo ripete quasi ossessivamente Giuliano Pisapia. Dunque saremo chiamati a scegliere tra più candidati e la lista si allunga di giorno in giorno. Come si diceva delle truppe francesi di Napoleone: “Ogni soldato porta nello zaino il bastone di maresciallo”. Tutti i candidati sembra vogliano richiamarsi al programma della Giunta uscente, anche solo perché le critiche troppo pungenti darebbero una mano all’opposizione ma obbiettivamente di critiche radicali non ne vedo, salvo quello che dirò più avanti. Se la politica avesse nel suo DNA la razionalità, la Giunta uscente dovrebbe lasciare il campo con un bilancio consuntivo, luci e ombre, cose fatte, ancora da farsi, raccomandazioni ai successori. Ci sarebbe ancora tempo per farlo ma dubito lo farà. Però un documento dal quale partire resta ancora sul tavolo ed è il Programma del candidato sindaco Giuliano Pisapia e delle liste che lo sostengono – Elezione diretta del sindaco e del Consiglio comunale 15-16 maggio 2011. Sono 33 pagine che vale la pena di rileggere prima di avventurarsi nella stesura di un nuovo programma e penso che nessuno vorrà riscrivere qualcosa, anche solo per non correre il rischio di dire con altre parole quello che c’è già lì dentro. Aspettiamo comunque il lavoro degli 11 per capire bene cosa sia “un documento condiviso del centro-sinistra che sottoscriveranno i candidati alle primarie e poi tutti i cittadini che vi parteciperanno” come dichiara il Pd. Come ho fatto nel 2011 anche oggi vorrei fare un’osservazione di merito: in quel programma, e ovviamente nel “documento condiviso” c’erano e ci saranno molte pagine dedicate al “cosa” e quasi nessuna al “come”. Il “cosa” è convincente ancora oggi e non voglio far perdere tempo a nessuno riproponendo quel che sta già scritto ma oggi la declinazione del “come” diventa il vero argomento sul quale vale la pena di aprire un dibattito. Il Paese è cambiato, la crisi ha reso tutto più difficile, la scarsità delle risorse ha in parte alterato le priorità nella allocazione di quelle disponibili. Come si vuol fare per il futuro? Come si cercherà di risollevare le sorti delle casse comunali? Come si farà a rimettere in sesto una macchina burocratica che anche solo il buon senso comune ritiene inade- guata, inefficiente, demotivata e farlo pur dovendosi confrontare col contratto collettivo dei dipendenti pubblici e l’ottusità del sindacato? Come si gestiranno gli ultimi bachi della precedente amministrazione come la M4? Come sarà la gestione della trasformazione urbana e urbanistica? Come cercheremo di giocarci il lascito di Expo 2015? Come sarà gestita la transizione verso la Città Metropolitana? E come fare un passo avanti nella partecipazione di cittadini nella gestione dei beni comuni? Vedo con preoccupazione il rifarsi strada l’idea che anche a livello locale si debba parlare ancora di massimi sistemi, dove il politichese nasconde la paura di manifestare troppo chiaramente il proprio pensiero, limitandosi a discorsi gommosi adatti di volta in volta all’uditorio nella speranza di piacere a tutti. Per farla breve questa volta, prima di andare alle primarie, vorrei che per ogni candidato ci fossero su di una piattaforma internet due o tre paginette nelle quali ci indicasse, sempre nell’ambito di idee generali condivise, quali ritiene sia la manciata di problemi importanti per la città, con quali priorità, come intenderebbe affrontarle e con quali risorse. Se no, in base a cosa dovrei fare la mia scelta? Subire quella frutto dei pacchetti di voti organizzati dai circoli Pd? Non sarebbe un ”buon voto di scambio”. Al di là delle autocandidature la caccia al candidato è aperta e, se anche dal cilindro del centro sinistra milanese più o meno allargato uscisse un coniglio sicuro vincitore dello scontro finale - le Comunali del 2016 -, anche lui dovrà parlarci del “come”. IL NUOVO SINDACO E IL MEGLIO DI PISAPIA Beppe Merlo A Milano la sinistra governa ed è legittimata a continuare senza il soccorso di esegeti. Se si vuole uscire dalla schematica e conformista narrazione della politica a Milano, occorre affidarsi al non convenzionale ArcipelagoMilano, e in particolare nell’ultimo numero all’editoriale di Luca Beltrami Gadola e le analisi sul voto di Walter Marossi. La persistenza di una politica a debole influn.22 VII 10 giugno 2015 enza, esercitata dai partiti a trazione nazionale, favorisce a livello locale, l’inflazione di espressioni elettorali, che più che a declinare valori civici, sembrano essere rappresentazioni elettorale dei tanti fai da te che la politica, in versione semplificata, stimola, quando non sono la riproposizione, a fini elettorali di esperienze nimby da contado. I partiti nazionali nelle loro espressioni territoriali faticano a sviluppare una capacità autonoma di elaborazione al fine di proporre visioni che abbiano a riferimento le esigenze del territorio e della sua comunità in fatto di aspirazioni, esigenze, diritti antichi e nuovi che in ogni comunità si manifestano con intensità differenti: il non saperne tener provoca impatti non positivi con il rischio di 2 www.arcipelagomilano.org ricadute anche sulle esperienze nelle quali si è protagonisti attivi. Il particolare stato di debolezza della politica è la conseguenza dell’essere rimasta orfana della legittimazione ideologica, soprattutto se interpretata e declinata con eccessiva religiosità e faziosità, che oggi viene inevitabilmente percepita come impreparata a fronteggiare la modernità, la destrutturazione dei vincoli territoriali che provoca la globalizzazione con la conseguenza di una doppia negatività: quella di non risultare più credibile sia per quanto riguarda lo sforzo illuministico di presupporre di poter precedere i grandi fenomeni sociali e sia soprattutto di non saperli accompagnare, che è poi la vocazione di una politica riformista nelle moderne democrazie. Il trend della disaffezione al voto, il cui punto più alto coincide sempre più con le elezioni regionali - Istituzione cui il popolo è sempre meno affezionato - si sta estendendo anche alle elezioni nei comuni, a evidenza di quanto sia ormai venuta meno, sia “la religiosità dell’impegno a votare” e sia l’esigenza di identificarsi in un partito. Vi è senz’altro un’oggettiva difficoltà a comprendere, interpretare e dare coerenti risposte alla “dinamica liquida” dei bisogni e dei diritti, una dinamica sempre più accentuata dalle soggettività, che ne alterano le gerarchie in termini di priorità e che caratterizza ulteriormente la declinazione del collettivo “noi” in una sommatoria di tanti “io”; ciò rende assai friabili i tentativi di fidelizzazione elettorale sia dei corpi intermedi, sia dei beneficiari di un esercizio del potere indirizzato alla prassi del voto di scambio, perché una volta passata la festa il santo è gabbabile. Ci troviamo nel mezzo di una transizione tanto complessa quanto indeterminabile, che dovrebbe innanzitutto indurre a una lettura diversa delle articolazioni del dinamismo sociale e imporre l’imperativo di doversi rinnovare se si vuole essere credibili rinnovatori. Per farlo non vi sono comode scorciatoie, ed è sconsigliabile incorrere in errori di interpretazione, scambiando espressioni elettorali di natura congiunturale in evidenze del consolidamento di un processo di rinnovamento che per essere tale esige ben altre risposte, o peggio ancora ricercare la legittimazioni della rappresentatività della politica venendo meno alle proprie responsabilità per ricercarne la credibilità “opponendo all’uso politico della giustizia l’uso giudiziario della politica” come lucidamente ammonisce Ainis. La comunità milanese è una comunità moderna, i suoi membri sono quotidianamente segmentati e profilati non solo da chi intende promuovere prodotti e servizi ma soprattutto dagli inesauribili registi occulti dei social network che selezionano gli “io”, li profilano al fine della composizione dei diversi “noi”, nei quali l’identità degli appartenenti tende a riconoscersi, rendendoli sempre meno permeabili sia alle iniziative dei creatori di suggestioni nonché alla presunzione di emozionalità per scritturare leadership o sollecitarle nella forma di autocandidature. LBG, ha ragione a interrogarsi sul “cui prodest” di un comitato di 11 saggi finalizzato alla perimetrazione del campo di gioco e delle regole per iscriversi al concorso per il candidato a Sindaco di Milano per il centro sinistra, magari più che un Sindaco un Podestà, il tutto prima ancora che sia chiarito e condiviso a che Milano ci si vuole riferire e quindi se si condivide la visione di Milano, che solo la politica nella sua più vasta accezione può indicare, nonché quali impegni si assumano per assicurarne il perseguimento, e quali garanzie assicurino in termini di rinnovamento da declinare nel segno della continuità. Di una saggezza in nome dell’etica forse non se ne sentiva il bisogno, perché il meglio dell’amministrazione Pisapia è dato dall’aver ricostruito l’etica della governabilità che si era smarrita a Milano, un’etica politica che è servita a ricondurre i partiti nei confini delle loro missioni, di comporre una classe dirigente che corrispondesse all’espressione aperta della città emarginando i pregiudizi, le corporazioni e le faziosità; un gruppo dirigente che al di là dei giudizi di merito ha dato vita a un governo che è stato percepito come attento e solidale e orientato alla tutela dell’interesse generale. È la vera discontinuità, rispetto al ventennio precedente di centro destra. Così Milano dispone di una classe dirigente politica e civile legittimata e autosufficiente, non necessita di tutoraggi, e che può sin da ora incominciare a pensare alla fase due, fase che richiede di andare oltre all’esperienza attuale, sia per oggettive esigenze di modificazione istituzionale e sia perché sono cambiate e continuano a cambiare le dinamiche delle esigenze sociali. Milano, come già nel suo passato ha l’esigenza: di una sua autonomia, di confermare orgogliosamente di poter fare da sola, e che la priorità non è tanto quella della selezione del candidato sindaco, quanto le convergenze necessarie per dare sostanza a un modello ambrosiano per governare la Milano nel prossimo decennio, con il paradigma dell’impegno a perseguire la realizzazione del Diritto di Informazione, la cui prima manifestazione non potrà che essere la realizzazione di una copia intellegibile del bilancio da recapitare a ogni milanese già a partire dalla edizione del bilancio 2015. Infine, più che di regole, peraltro assai ben definite dalla Costituzione, l’etica che dovrebbe sovrintendere il percorso democratico di selezione degli aspiranti sindaci, dovrebbe circoscriverne il perimetro alle sole candidature di chi nel quinquennio abbia realmente dedicato interesse civico e impegno politico per la comunità milanese, che siano scoraggiate le auto candidature estemporanee e la volatilità nell’impegno istituzionale da parte di chi è stato votato dai cittadini, per ricercare nuove opportunità di candidature, portare a termine gli impegni assunti è l’ABC di un comportamento etico nonché rispettoso nei confronti del movimento o del partito che lo ha proposto e sia di coloro che lo hanno eletto. PD MILANO. LA SMART CITTADINANZA O IL CONSIGLIO DEGLI 11? Giuseppe Longhi A questo punto come interpretare la scelta del “Gran consiglio degli 11 saggi?”: un ritorno a metodi pre anni '70?, la volontà di eludere metodi proattivi di far politica?, un'incapaci- n. 22 VII - 10 giugno 2015 tà di comprendere realtà nuove?. Il segnale non promette bene, dopo il drastico dimagrimento del Pd nelle elezioni locali di Emilia Romagna e Veneto. È utile una premessa per comprendere la situazione attuale, dove il progresso dei sistemi cibernetici e, sopratutto, l'alta connettività, contribuiscono a trasformare la città in 3 www.arcipelagomilano.org una molteplicità di piattaforme interattive per lo scambio di conoscenze, per sperimentare nuove forme di democratizzazione della produzione di sapere e nuove forme di generazione di valore. In questo contesto, i cittadini hanno sempre più la possibilità di modellare e ottimizzare il proprio ambiente urbano e di collaborare con gli altri per raggiungere obiettivi comuni, realizzando in gran parte l'utopia dei pensatori degli anni '70. Karl Sharro in un editoriale su Architectural Review del maggio scorso (Abolish planning policy to liberate creativity) ritorna su un vecchio tema: il carattere impositivo dei processi di pianificazione, frutto della pretesa dei burocrati di modellare la città, e con essa, la vita dei cittadini. L'approccio alternativo è il ruolo attivo dei cittadini nel plasmare le loro città. Karl Sharro riprende la famosa questione della progettazione e della governance top-down mitigata dai processi di consultazione e di partecipazione, sollevata da Cedric Price, Peter Hall, Reyner Banham e Paul Barker con Non Plan: an experiment on freedom (1969, New society) i quali non chiedono l'abolizione della pianificazione, ma sottolineano come questa parola sia usata impropriamente per l'imposizione di soluzioni arbitrarie. Nella loro visione la pubblica amministrazione dovrebbe stimolare il desiderio di conoscere invece di imporre arbitrariamente, con il fine di promuovere un piano di investimenti che sarà gestito dalla comunità. Propongono quindi il passaggio da una governance ordinativa a una proattiva, questione ripresa da Harvey (1973, From Managerialism to Entrepreneurialism: The Transformation in Urban Governance in Late Capitalism). Negli stessi anni il ruolo attivo dei cittadini è l'argomento guida di un gruppo di straordinari architetti - ci- berbetici - anarchici (Nicholas Negroponte, Cristopher Alexander, Alan Kay) i quali vedono nelle capacità accresciute dell'uomo grazie alle nuove macchine cibernetiche la via verso forme di progetto e di governance egualitarie. Anche se i nuovi processi tendono a essere contrastati dalle forze politiche locali, la soluzione non può essere la conferma di modelli di governance appartenenti al passato, ma la sperimentazione di nuovi modelli che permettano di trasformare la tensione tra le iniziative bottomup dei gruppi informali di cittadini e top-down della governance istituzionale in un processo d’innovazione sociale aperto, collaborativo e generatore di nuove opportunità. A questi principi s’ispira il modello di governance dell'Urban Living Lab, fortemente sostenuto anche dall'Unione europea. Attraverso l'applicazione dei principi dell'Urban Living Lab il Pd darebbe un segnale forte della sua volontà di favorire i processi innovativi promossi dalla comunità e della sua capacità di calibrare i processi di innovazione metropolitana rispetto alle esigenze dei cittadini, stimolando processi collaborativi con una molteplicità di stakeholders. Darebbe il segnale di voler attivamente facilitare lo scambio di idee e abbassare le barriere tra i diversi attori sociali, applicando il modello della quadrupla elica, ossia delle iterazioni fra l'amministrazione locale, il mondo della ricerca, le imprese, i cittadini per sviluppare un palinsesto concentrato sulla creazione di valore sociale e sull'impegno civico. La scelta dell'Urban Living Lab sarebbe un chiaro segnale verso una progettazione della città più centrata sulla “Smart Cittadinanza” che sulla “Smart City“, con progetti “usercentric”, attenti all'innovazione a servizio degli utenti, la co-creazione e la collaborazione fra una grande varietà di stakeholders. I progetti e le strategie per la “Smart Cittadinanza” mirerebbero quindi ad aumentare la qualità della vita urbana, usando metodi organizzativi e progettuali innovativi basati sulla collaborazione, la partecipazione e un impegno “multi stakeholder”, nei quali le tecnologie innovative servono come enabler piuttosto che come driver. Operando attraverso la struttura dell'Urban Living Lab secondo la filosofia della “Smart cittadinanza” si darebbe un chiaro segnale della volontà di operare in simmetria con i programmi dell'UE e, di conseguenza, stimolare quelle politiche e quelle visioni sottovalutate nella recente tornata amministrativa. Velocemente si possono ricordare le seguenti urgenze: l'attivazione di un sistema di big data da parte della pubblica amministrazione, essenziale per l'avvio di Internet delle cose. Con questo la municipalità sarà in grado di rinnovare la sua capacità storica di supportare l'innovazione; avviare un piano strategico metropolitano 'aperto', basato sull’attiva e informale collaborazione di un ambito che coinvolga otto milioni di abitanti, per compensare l'infelice processo istituzionale promosso dalla Legge Delrio; coordinare un armonico sviluppo delle tecnologie abilitanti, per facilitare l'ammodernamento del sistema produttivo metropolitano e avviare nuovi processi occupazionali; sviluppare iniziative per attrarre nuovi saperi, per accelerare il livello di integrazione con il sistema internazionale della ricerca; avviare una riflessione sui processi locali di gestione della ricchezza, a tutela della comunità. I cittadini della megalopoli milanese più di gran consigli sono alla ricerca di nuove infrastrutture civiche capaci di fornire visioni stimolanti e proattive per il futuro. UNA SINDACA PER MILANO. IL MODELLO SPAGNOLO Michela Barzi Le elezioni municipali che hanno segnato una svolta nel governo di Barcellona e Madrid hanno forse qualcosa da dire a Milano in vista dalla prossima tornata elettorale? Probabilmente sì, almeno se si vuole seguire il consiglio del Premio Nobel Paul Krugman, che al Festival dell’Economia di Trento ha suggerito di partire dalle metropoli e dagli agglomerati urbani per risolvere il problema delle disuguaglianze. Nei programmi di Barcelona en n. 22 VII - 10 giugno 2015 Comú e di Ahora Madrid la sfida ambiziosa - probabilmente la ragione del maggiore afflusso alle urne rispetto ad altre elezioni - è una politica municipale che contrasti le disuguaglianze attraverso un’idea di città in cui lo spazio pubblico sia al servizio dei cittadini, venga migliorata la vivibilità dell’ambiente urbano e l’accessibilità dei servizi di base, dove i quartieri tornino a essere il centro dell’azione di governo, anche stimolando la partecipazione dei cittadini. Il cambiamento nelle due metropoli spagnole ha i volti femminili di Ada Colau e Manuela Carmena. La prima è la nuova alcaldesa (parola che indica il genere femminile di chi svolge la funzione di sindaco evitando le storpiature) di Barcellona, mentre la seconda potrebbe ricoprire la stessa carica a Madrid, se la coalizione che l’ha sostenuta riuscirà a dare corpo a un accordo di 4 www.arcipelagomilano.org maggioranza con il PSOE. Sono donne molto diverse per età e percorso esistenziale ma accomunate dall’aver proposto una piattaforma elettorale segnata da una forte idea di governo municipale come alternativa alle politiche nazionali, soprattutto riguardo a una materia decisiva come il diritto alla casa. La questione ha a che fare con le conseguenze dell’esplosione della bolla immobiliare in Spagna: chi non riesce più pagare il mutuo viene buttato fuori casa dalla banca che poi la lascia vuota ma continua a chiedere il pagamento delle rate. Numerosissimi sono stati i cittadini che dopo aver perso l’abitazione hanno in fine deciso di rinunciare alla vita. Il contrasto delle espulsioni attuate dalle banche è l’aspetto che ha caratterizzato in particolare la campagna elettorale della lista civica Barcelona en Comú, scaturita dalla fusione della rete di comitati e associazioni Guanyem Barcelona con una serie di partiti. Non è un caso che Ada Colau sia fondatrice del movimento Plataforma de Afectados por la Hipoteca (PAH), che dal 2009 si batte per una diversa legislazione sull’insolvenza dei mutui ipotecari. Tornando a Milano, Francesco Spadaro su questa testata a ragione si è felicitato per la straordinaria misura civile della restituzione ai cittadini della Darsena - il waterfront che finalmente Milano ha così come altre città affacciate o attraversate dall’acqua - uno spazio pubblico fruibile all’interno un importante contesto ambientale. A suo parere si tratta del miglior risultato dei quattro anni di governo della giunta Pisapia e, a un mese dalla sua inaugurazio- ne visto il gradimento che sta suscitando, non si può che concordare. Tuttavia – aggiunge - Milano ha anche bisogno di recuperare le periferie, di assicurare un’offerta di abitazioni a costi ragionevoli senza dimenticarsi del patrimonio edilizio invenduto, sfitto e sottoutilizzato che sta soprattutto nella sua area metropolitana. È un ragionamento che, partendo da quel luogo adeguato, sembra suggerire per la prossima tornata elettorale una reinterpretazione del municipalismo ambrosiano, nel frattempo in qualche modo resuscitato dalle mobilitazioni No Tag . A questo riguardo i temi dai quali partire possono trovare qualche spunto dai suggerimenti di Krugman: una politica della casa che si confronti con il mercato immobiliare mettendo al centro i redditi che non riescono ad accedervi, interventi che favoriscano l’utenza del trasporto pubblico per attenuare le disuguaglianze tra centro e periferia e che stabiliscano salari minimi a livello locale come soluzione per far crescere le retribuzioni. Un’ottima base per una piattaforma elettorale sulla quale avviare un confronto con la cittadinanza. Però manca un punto – fondamentale se si guarda alla svolta spagnola - il protagonismo delle donne nella vita pubblica; e non basta aver avuto una donna nel ruolo di sindaco, oltre ad alcune assessore in carica, per archiviare la questione. Le ultime elezioni comunali indicano che negli otto comuni della città metropolitana di Milano andati al voto erano solo dieci le donne candidate sindaco, rispetto alle quarantadue candidature com- plessive, e sono sei gli uomini ogni dieci candidati a consigliere. Non vi è dubbio invece che in Spagna la svolta municipalista si sia fatta rappresentare dalle donne. A Barcellona la squadra della sindaca Colau è femminile per oltre la metà e nel suo programma elettorale l’equità di genere guiderà il bilancio comunale, la pianificazione urbana e l’organizzazione dei servizi. Si tratta, insomma, di andare molto oltre la figura, di fatto ininfluente, della consigliera di parità e anche di abbandonare la speranza che dai partiti si decida che il sindaco possa farlo una donna. A Madrid il cambiamento rappresentato da Manuela Carmena - avvocata del lavoro attiva sul fronte dei diritti umani - si è confrontato con l’alcaldesa in carica Ana Botella, che rappresenta, insieme alla sfidante Esperanza Aguirre, la continuità del Partido Popular nel governo della capitale. Lo slogan che Pisapia aveva adottato all’indomani della sua elezione era adesso si cambia davvero. Dato che non sarà più lui a continuare l’opera, potremmo in tanto chiederci se per individuare chi dovrà completarla possa essere utile un cambio di genere, almeno per indicare, a cominciare dal linguaggio, il segno di ciò che dovrebbe cambiare. Milano ha già avuto un sindaco donna, ma una sindaca potrebbe essere una novità. A Barcellona e a Madrid il cambiamento non è emerso dai partiti o dalle istituzioni ma dall’insieme della cittadinanza attiva e dalla sua leadership femminile. Geografia a parte, la distanza con Milano resta considerevole. STREET ART E DECORO URBANO: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA Elena Grandi Una decina di giorni prima del primo maggio avevo scritto su queste pagine un articolo sull’Associazione Retake Milano, che da anni collabora con il Comune pulendo i muri della città dalle scritte e dagli imbrattamenti insieme ai moltissimi volontari che di volta in volta vengono coinvolti nei suoi progetti. Poi c’è stata la manifestazione No Expo, alcune strade della città sono state oggetto delle devastazioni dei black bloc e, nel giro di due giorni, una grande massa di milanesi è scesa in piazza armata di spugne, spazzole e detersivi per ripulire la propria città. A quel primo evento spontaneo - Nessuno tocchi Milano -ne è seguito un secondo - Bella Milano - che l’Amministrazione ha n. 22 VII - 10 giugno 2015 sostenuto e coordinato affinché l’operato dei cittadini potesse diventare non solo un gesto simbolico, di affezione e di civismo, ma anche uno strumento utile ed efficace. Visto il successo della manifestazione, un’altra ne seguirà a breve. Insomma, in poche settimane abbiamo assistito a uno di quei risvegli della città guidati dal senso di appartenenza a una comunità e dal desiderio di proteggere ciò che è di tutti.In questo contesto di partecipazione corale, Retake Milano ha portato avanti i suoi progetti, già da tempo programmati e sostenuti dal Consiglio di Zona 1, modificandone però il calendario, così da potere partecipare alle giornate di Puliamo Milano insieme al resto della città. Tra i tanti interventi previsti tra maggio e giugno (alla Triennale, al Museo del Parco Archeologico, in Piazza Sempione), uno includeva la pulizia dei muri, degli edifici e delle saracinesche di via Cesariano; quest’ultimo progetto, che in realtà avrebbe dovuto svolgersi alcune settimane più avanti, contemplava, oltre alla pulizia della parte più imbrattata dei muretti dell’area giochi di quella strada (quelli che quindici anni fa erano stati dipinti da Pao e Linda, ma che con il tempo sono stati in gran parte coperti da tags), un successivo interevento di ripristino dei murales. Come sia andata la faccenda è cosa nota: l’intervento di parziale copertura del murale di Pao e Linda è 5 www.arcipelagomilano.org stato subito criticato da alcuni residenti e genitori; un video è stato postato sui social in tempo reale; gran parte della città si è erta in difesa della street art, condannando quello che si è ritenuto essere un arrogante e becero intervento di copertura di bel dipinto. In realtà, se errore vi è stato, si è trattato di un deficit di comunicazione e di corretta informazione: in gran parte dovuto alla fretta e alla necessità di dovere modificare la programmazione di un’iniziativa che altrimenti si sarebbe svolta qualche settimana dopo, in maniera più coordinata e con la dovuta informazione; in tal modo non si sarebbe dato adito a fraintendimenti, sollevazioni di popolo, denunce e proteste. Così si è venuta a creare una situazione paradossale e contraddittoria: mentre da una parte la città si mobilitava per combattere il degrado e per difendere il decoro urbano, dall’altra la stessa città sosteneva che l’arte dei dipinti murari deve essere promossa e tutelata, appoggiata e difesa a ogni costo. Posizioni entrambe giuste, che erroneamente sono state viste e interpretate come contrapposte e conflittuali tra loro. Per questo è ora opportuno fare alcune considerazioni sui temi della street art, del graffitismo, delle scritte vandaliche, della legalità e del rispetto per il bene comune. Quando si parla di street art e di murales, espressioni di una forma d’arte alternativa, di protesta, di denuncia sociale, di libera creatività, che decorano e abbelliscono tanti muri della città, non si parla affatto di scritte vandaliche: le tags e ogni forma di imbrattamento su muri, vetrine, saracinesche, oltre a essere deturpanti e brutte, sono illegali e dovrebbero sempre essere impedite, sanzionate, rimosse. Quando si parla di antigriffitismo, non si intende la lotta contro ogni forma di graffitismo ma contro quella che sfregia, imbratta, vandalizza muri, pali, panchine, saracinesche, arredi urbani di ogni genere. Una buona amministrazione dovrebbe educare alla legalità e al rispetto per la cosa pubblica, sanzionare ogni atto vandalico e al tempo stesso sostenere, anche scegliendo luoghi deputati allo scopo, l’arte dei dipinti murari e del graffitismo. È quello che si sta facendo a Milano. Mentre si combatte l’illegalità e l’atto vandalico fine a se stesso (anche grazie al supporto di quelle associazioni di volontariato che lavorano gratuitamente al fianco dell’Amministrazione e delle forze dell’ordine), si promuove la street art e il lavoro di tanti giovani e meno giovani artisti: i nuovi murales in via Morosini, in via Tommaso da Cazzaniga, in piazza Cardinal Ferrari e in tante altre strade della città, ne sono la prova. A ciò si aggiunge l’imminente delibera della Giunta Comunale che, grazie alle indicazioni dei Consigli di Zona, ha identificato “69 muri liberi” che saranno messi a disposizione degli artisti. In quest’ottica, anche le associazioni che da qualche anno puliscono i muri dalle scritte, supportate da sponsor che forniscono materiali e macchine, hanno spesso portato avanti progetti con le scuole o con i residenti di alcuni quartieri, nei quali artisti più o meno famosi si sono impegnati a decorare e a dipingere i muri appena ripuliti che altrimenti sarebbero stati nuovamente abbandonati al degrado. La stessa cosa accadrà ora in via Cesariano. Dopo un proficuo incontro tra il Consiglio di Zona 1, Pao e Linda, l’associazione Retake Milano e il Comitato Proarcosempione, si è deciso che, nei giorni 12, 13,14, giugno, il muretto che delimita l’area gioco di quella strada, verrà nuovamente dipinto con un murales da Pao e Linda. I bambini del quartiere potranno preparare dei bozzetti e dire cosa vorrebbero fosse dipinto sul muro, quindi lavoreranno insieme agli artisti. Inoltre, nel volgere di un’altra decina di giorni l’associazione Retake Milano e il Comitato Proarcosempione porteranno a termine la pulizia dei palazzi che affacciano sulla via. Sarà un evento all’insegna della creatività e dell’arte di strada, della legalità e del decoro urbano, approvato e sostenuto anche economicamente dall’Amministrazione. Quando esiste la volontà di superare i conflitti e di trovare soluzioni condivise, la città non potrà che divenire più ricca e più bella. "MAFIA CAPITALE": SCIOGLIERE O NON SCIOGLIERE, QUESTO IL PROBLEMA* Emanuele Stolfi Prevedibile o no, il secondo tsunami politico-giudiziario abbattutosi sulla Capitale ha travolto le ultime (scarse) riserve di credibilità e reputazione dell’amministrazione comunale. Tutti i partiti coinvolti, esponenti di primo piano collusi mani e piedi con l’organizzazione criminale, turpi speculazioni sulla pelle dei disperati: la cloaca che emerge dalle intercettazioni degli inquirenti mette brutalmente a nudo una situazione che si è tentato di nascondere in questi mesi. Adesso che succede? È la domanda angosciosa che da qualche giorno agita i massimi livelli di governo del Paese e toglie il sonno a chi è chiamato a dare le irrinunciabili risposte. Lunedì della prossima settimana arriverà sul tavolo del prefetto di Roma, Franco Gabrielli, la relazione finale della Commissione d’accesso agli atti insediatasi sei n. 22 VII - 10 giugno 2015 mesi fa, all’esplodere dell’inchiesta “Mafia Capitale”, e presieduta dal prefetto Marilisa Magno. Pur senza conoscere ancora i contenuti del rapporto, il prefetto Gabrielli non rinuncia a una certa loquacità: “Preso atto dei risultati dell’ispezione - sono le parole dell’ex capo della Protezione civile raccolte dalle agenzie - avrò tempo fino al 30 luglio per decidere se chiedere o meno al Ministero degli Interni lo scioglimento per mafia del Comune di Roma. Passerò un luglio di grande riflessione”. Pende infatti sul suo capo una decisione dalle conseguenze politiche terrificanti, di cui lui stesso non coglierebbe fino in fondo la portata se fossero vere le sue dichiarazioni: “Se dovessi decidere di proporre al ministro dell’Interno lo scioglimento dell’amministrazione di Roma Capitale avrebbe detto Gabrielli - sono con- sapevole che una parte sarà contenta e un’altra scontenta. Sarà difficile accontentare tutti”. Ma non si preoccupi, signor prefetto, lei non deve accontentare o dispiacere nessuno, deve solo accertare oggettivamente se esistono o meno le condizioni dello scioglimento. Le conclusioni politiche dell’inchiesta le lasci ad altri, come prescrive la legge. L'ipotesi di scioglimento del consiglio comunale infatti è prevista dagli articoli 143-146 del decreto legislativo 267/2000 quando emergono elementi concreti, univoci e rilevanti su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e amministrativi e il buon andamento delle amministrazioni co- 6 www.arcipelagomilano.org munali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati. In tal caso il prefetto invia una sua relazione al Ministro dell'Interno, previa consultazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica integrato dal Procuratore della Repubblica e dal Procuratore distrettuale Antimafia competenti per territorio. Il Ministro dell'Interno a sua volta può proporre lo scioglimento dell'ente al Presidente della Repubblica, che emetterà il decreto di scioglimento, previa deliberazione del Consiglio dei ministri entro 3 mesi a decorrere dalla presentazione della relazione del prefetto. Fin qui la procedura. Ma a nessuno sfugge la gravità di una decisione destinata a propagarsi istantaneamente in tutto il mondo e dalle conseguenze imprevedibili, a pochi mesi dal Giubileo straordinario (inizia l'8 dicembre), con la candidatura delle Olimpiadi di Roma 2024 ancora in ballo (l'assemblea capitolina deve votare la delibera entro questo mese) e mentre discutiamo con mezza Europa le condizioni per l’accoglienza dei migranti, epicentro dell’intrallazzo mafioso. Di fronte a questa prospettiva sembrano prevalere ancora una volta gli interessi di bottega. Il Pd romano già commissariato ha il marchio dell’infamia di Fabrizio Barca che l’ha definito “un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso, che lavora per gli eletti anziché per i cittadini e dove non c’è trasparenza”. Ma Renzi, Zingaretti e Marino fanno quadrato intorno allo status quo, per quanto indifendibile, atterriti all’idea di andare in queste condizioni alle elezioni amministrative che seguirebbero il commissariamento. La considerano alla stregua di un suicidio politico che aprirebbe la strada a imprevedibili soluzioni e fanno dire all’incolpevole assessore Sabella che “le condizioni per sciogliere il consiglio comunale devono essere ‘attuali’, mentre noi abbiamo voltato pagina”. Sull’altra sponda il centrodestra reclama a gran voce le dimissioni della giunta e nuove elezioni, come se l’amministrazione Alemanno non ci fosse mai stata, o i consiglieri di Forza Italia arrestati o inquisiti fossero delle pecorelle smarrite, o non avessero mai incontrato le cooperative bianche e rosse. In mezzo c’è Alfano a cui spetta, come Ministro dell’Interno, il compito cruciale di presentare o meno al Consiglio dei Ministri la proposta di scioglimento dell’assemblea capitolina. E Angelino ha già cominciato a mettere le mani avanti: “L’indicazione tecnica del prefetto dovrà naturalmente orientare quella politica, anche se non è affatto scontato che si seguano alla lettera le indicazioni. Così come anche la mia proposta non sarà vincolante per il Consiglio”. Per quanto si farà ogni sforzo per evitare agli occhi del mondo che Roma possa essere commissariata per mafia, la situazione si è talmente incancrenita e l’infezione mafiosa è penetrata così in profondità che non è affatto detto che si riesca a evitare lo scioglimento. Tanto vale allora, finché si è in tempo, adottare spregiudicatamente il “modello Fondi”, dal nome della cittadina laziale dove sindaco e consiglieri di maggioranza di centrodestra si dimisero in blocco prima di qualsiasi decreto di scioglimento. Ora, a parti invertite, sembra questo l’unico escamotage rimasto alla giunta Marino per evitare il rischio che l’amministrazione venga sciolta d’ufficio per “infiltrazioni criminali”. Se così non sarà, si andrà verso l’ignoto. * tratto da http://www.romacapitale.net/ LA TRIENNALE DEL DOPO-EXPO: IL MONDO DEI MAKER Fabrizio Patti Una piccola Expo l’anno dopo di Expo, con la differenza che si terrà in varie parti di Milano e non richiederà la costruzione di enormi padiglioni fuori città. Sarà dedicata al design e alla nuova industria (interconnessa, come la chiamano negli Usa, o 4.0, secondo la definizione tedesca) e attirerà architetti ma anche molti maker, i nuovi artigiani che armeggiano con le stampanti 3D. È così che gli organizzatori immaginano la ventunesima Triennale internazionale di Milano. Comincerà nell’aprile 2016, una settimana prima del Salone del Mobile, e finirà il weekend del Gp di Monza, a settembre. Il legame con Expo sta nel fatto che la Triennale internazionale è l’unica istituzione culturale riconosciuta in via permanente dal BIE, il Bureau International des Expositions che organizza le esposizioni universali. n. 22 VII - 10 giugno 2015 La vicinanza di Expo è stata fondamentale nella decisione di tornare a organizzare una manifestazione che era stata abbandonata nel 1996, dopo 63 anni di storia? No, per Claudio De Albertis, presidente della Triennale: «Capita casualmente dopo Expo, la decisione di tornare a organizzare una triennale internazionale è stata presa due anni fa» dice a Linkiesta. «Con il Cda abbiamo pensato che fosse il momento di riprenderle perché siamo a una svolta. Negli Usa si parla di una nuova rivoluzione industriale, è necessario che ci sia un incontro internazionale perché siamo convinti che il design possa essere un grande strumento per uscire dalla crisi. Così è stato in passato, per esempio all’epoca della crisi petrolifera degli anni Settanta». Se è vero che “la storia della Triennale è quella delle sue esposizioni”, a un certo punto la formula aveva perso decisamente smalto. «Dopo il 1996 il presidente Augusto Morello decise di cambiare - spiega De Albertis -. Fu una scelta anche condivisibile, perché si era perso l’impulso delle triennali internazionali. Si decise di fare delle triennali al di fuori del BIE, della durata di tre anni. Da lì è nata la nuova Triennale». Ancora non si sa se a quella del 2016 seguirà anche una Triennale nel 2019, né sono noti i dettagli dell’evento (a partire dai costi e dai visitatori attesi). Di certo, continua il presidente dell’istituzione, «per Milano sarà una grande opportunità. In genere nell’anno dopo i grandi eventi le città hanno un momento di stanca. Milano potrà invece continuare … per continuare a leggere l'articolo su Linkiesta.it clicca qui 7 www.arcipelagomilano.org LA NUOVA DARSENA E IL “BELLO” DI GIUSEPPE ROVANI Sergio Brenna Dopo che in tanti (colleghi di università, miei familiari, persino negozianti e impiegate di banca e assicurazione) mi avevano assillato chiedendomi se avessi visto la nuova sistemazione della Darsena e cosa ne pensassi, finalmente la scorsa settimana, dopo la mia lezione a Bovisa, anch'io sono andato a vederla. Intanto confermo il voto da altri suggeritomi: senza infamia e senza lode, 6 meno (soprattutto per la sciatta realizzazione del paramento in mattoni già macchiato dal salnitro e i macchinari idraulici del Naviglietto in vista presso la Porta del Cagnola). Però la frequentazione che si vedeva ieri deve far riflettere: sembravano le figurine di un rendering inneggiante alla "metrolife style" (una coppia dall'aria vagamente gay chiacchierava in cima a uno dei pontili, un'altra etero si baciava appassionatamente sulla panchina in granito lungo il muro di mattoni, alcuni sfrecciavano in bicicletta o skateboard, altri facevano jogging e molti passeggiavano osservando e commentando l'esito dei lavori. Un po' lungosenna e un po' riverside Manhattan in chiave meneghina, e passi per Leonardo un po' oscurato: se i milanesi non si agitano per le sciaguratezze di CityLife o Porta Nuova, ma si commuovono per così poco evidentemente c'è una voglia di spazio pubblico vissuto che deve far riflettere. Mi viene in mente il capitolo di "Cento anni" del Rovani in cui immagina che, nella notte tra il 28 e 29 giugno 1766, si festeggi per tutta Milano la liberazione della protagonista dal suo rapimento con tavolate all'aperto e in particolare il colloquio sulla sistemazione di piazza del Duomo tra due dotti sfaccendati: - Che bella cosa sarebbe, disse, se invece di questa miseria di piazza, chi ha pensato a far sorgere questa montagna lavorata, avesse anche provveduto a distenderle intorno uno spazio conveniente, decorato di edifizj, degni della città! …. - Ma vuoi tu che si pensasse a fare la cornice prima di veder l’effetto totale del quadro? Può darsi che tu abbia ragione, ma una piazza non è una cornice; e il popolo passeggia e si ferma e si trattiene in piazza prima ancora di entrare in chiesa, sicché l’opportunità della piazza è contemporanea al tempio che vi deve campeggiare. (...). (…) - Ma che cosa ci vuole per te, affinché una piazza debba essere una piazza? (...) che offra la maggiore varietà possibile tanto negli stili, quanto nelle elevazioni, quanto nell’indole degli edifizj ond’è determinata. - La confusione di Babele, in una parola; va benissimo. (...)mi viene bensì qualche assalto di superbia quando mi trovo in faccia ad uno il quale mi dice che la varietà ha per conseguenza la confusione; e che ignora quel gran principio dell’arte vera, e quel segreto con cui il genio, e senza incomodare il genio, anche l’ingegno riesce a colpire di meraviglia gli osservatori; ed è quello appunto di saper far sì che l’unità trionfi nella varietà; questo è il problema da sciogliere Tutta la sua disgrazia sta che la moda or pare che abbia preso di mira il suo genere; e la peggior disdetta è che la moda non si fermi alle parrucche, ai topé, ai puff, ma pretenda di sedere in cattedra a dar leggi dell’arte. (…) - Se questo fosse, tanto andrebbe per la piazza a portici uniformi, come per la piazza a varietà d’edificj. Ma non è così, caro mio, ed è precisamente coll’idea del variare stili e altezze e indole d’edificj, e col grande segreto dei giuochi prospettici che non è necessaria tant’area; perché coll’artistica illusione della varietà, l’occhio crede sempre di girare uno spazio infinitamente maggiore del vero. Che se fosse indispensabile quello che tu dici, il miglior architetto della piazza del Duomo sarebbe il parco d’artiglieria del re di Prussia. Ma stando a quel che io dico e che diceva appunto il Bibiena, fa in modo di rendere regolare la piazza, fa che la facciata del Duomo si metta d’accordo col suo asse, e passeggiando sotto agli archi dei vari edificj si vedano i fianchi del tempio. - Or che te ne pare? - Che bisogna aver la fantasia molto riscaldata per poter fare di questi conti. P.S. A proposito: ho visto i progetti degli studenti esposti a Bovisa nell'atrio delle aule. A parte quello del gruppo diretto da Graziella Tonon perche si salva, gli altri sono un disastro spaventoso. Passi per le prevedibili efferatezze di chi si crogiola nella riproposizione degli stilemi dei "venerati Maestri" (citando Arbasino), ma persino quello di Prusicki (altrove come al concorso per la Darsena autore di progetti misurati) qui col suo progetto per l'asse Stazione-Piazza Repubblica va fuori misura. VIGORELLI: UN VELODROMO POPOLARE PER MILANO Romolo Buni Il 31 maggio il Giro d'Italia è tornato a Milano dopo tre anni di assenza con un circuito cittadino che ha attirato moltissimi appassionati. Il sindaco Pisapia ha accolto la corsa rosa dicendo che la nostra città è tornata a essere “la casa del ciclismo”. In effetti la cultura ciclistica italiana è nata a Milano alla fine dell'Ottocento, con le prime fabbriche e le prime corse per quelli che allora si chiamavano “velocipedi”. Nel 1909 la Gazzetta dello Sport ha inventato il Giro e, sempre a Milano, n. 22 VII - 10 giugno 2015 sono stati allestiti i primi velodromi, inizialmente con strutture provvisorie dentro l'Arena e il Trotter, poi con piste stabili, come quella in cemento del Sempione, quella del Palazzo dello Sport e, infine, quella “magica” in legno del Vigorelli, inaugurata quasi ottant'anni fa, il 28 ottobre 1935, e rimasta fino alla fine degli anni Sessanta la più veloce al mondo. L'arrivo del Giro è stato l'ultimo di una serie di eventi ciclistici che hanno vivacizzato Milano durante lo scorso mese di maggio: il Cyclopride, la Sunrise Bike Ride, il Campionato Europeo dei Bike Messengers e la “Ciemmona” (grande Critical Mass a cadenza annuale, che richiama in Italia cicloattivisti da tutta Europa) hanno portato sulle strade di Milano migliaia di ciclisti, che si sono letteralmente riappropriati della città. Tra le varie iniziative legate alle due ruote, una in particolare ha avuto un forte valore simbolico. Il 16 maggio, per la prima volta dal 2001, si sono 8 www.arcipelagomilano.org svolte delle gare di ciclismo dentro il Vigorelli. Nel pomeriggio oltre duecento bambini e ragazzi, dai 5 ai 12 anni, si sono esibiti in una gimkana organizzata dal Comitato Provinciale della Federazione Ciclistica Italiana (FCI), animando il parterre centrale. A seguire il Comitato Velodromo Vigorelli insieme a Officine Sfera ha messo in scena la prima edizione del “Vigo-Cross”, una spettacolare gara di ciclocross “asciutta” su un percorso di circa 500 metri, dentro e fuori il velodromo, che ha sfruttato le varie parti dell'impianto per articolare il percorso tra pista in legno, lunette in cemento, campo in erba sintetica, marciapiede esterno e ancora scale e ostacoli formati da cumuli di vecchi copertoni, attraversando il glorioso portone su via Arona, dal quale sono passati decine di Giri d'Italia e di Lombardia. Un esperimento riuscito, che ha mostrato che, se Milano è la casa del ciclismo, allora il Vigorelli è il suo “salone d'onore”, un luogo in cui unire la memoria e il futuro delle due ruote. Lungo i 397 metri della pista in legno i giovani milanesi venivano avviati al ciclismo, grazie alla Scuola “Fausto Coppi”, che ha formato atleti del calibro di Giuseppe Saronni e Francesco Moser. Una volta restaurata la pista si potrà tornare a fare la stessa cosa, aprendo l'impianto ai giovani e a quel variegato mondo di praticanti di ogni età, che hanno scoperto la bellezza della bici a scatto fisso, vale a dire da pista. Questo è quello che avviene a Londra, nell'antico velodromo olimpico di Herne Hill, costruito alla fine dell'Ottocento, o a Barcellona, dove da pochi giorni è stata restaurata la pista in legno all'aperto di Horta. In una grande città un velodromo è un impianto fondamentale per consentire la pratica sportiva del ciclismo, altrimenti preclusa dal traffico e dalla struttura urbana. La particolarità del Vigorelli è di essere un grande spazio pubblico, che oltre al ciclismo ha saputo accogliere altri sport come il Football Americano e la Boxe, e grandi concerti. Proprio in questi giorni una mostra fotografica alla Feltrinelli di piazza Duomo celebra la ricorrenza dei cinquant'anni della doppia esibizione dei Beatles del 24 giugno 1965, mentre il prossimo 4 luglio si terrà il SuperBowl italiano, la finale del campionato di Football Americano, che vede come campioni uscenti i milanesi Seamen. Esistono quindi tutte le condizioni affinché il Vigorelli diventi un grande “velodromo popolare” all'interno di un impianto polifunzionale, come proposto su ArcipelagoMilano due anni fa e ripreso di recente dall'Assessora Bisconti. La speranza è che i lavori di restauro della pista vengano avviati presto e che sia messo a punto un modello di gestione innovativo, aperto sia alle società sportive, sia ai singoli praticanti, con una valorizzazione complessiva dell'impianto, in modo da evitare che si ripeta quanto accaduto dopo la ristrutturazione del 1996-97. La sfida è far rinascere la grande tradizione milanese della pista, che oggi potrebbe contare su una base di praticanti molto più ampia rispetto al passato, come ha raccontato Andrea Di Franco su queste colonne, aprendosi all'area metropolitana (grazie anche alla prossimità con la fermata Domodossola della M5) e a una dimensione internazionale, con “gemellaggi” con i principali velodromi europei. La vittoria inaspettata di un pistard come il belga Iljo Keisse nell'ultima tappa del Giro, che ha sfiorato il Vigorelli, potrebbe essere un buon auspicio LA DARSENA RITROVATA O …. PERDUTA? Giuseppe Ucciero Osservazioni un passante nostalgico. Da bravo cittadino, l'altro giorno sono andato a trovare la Darsena. Volevo vedere, come tutti, il risultato finale di tanto lavoro, tante polemiche, tanta applicazione, tanti soldi, tanta attesa. Sceso alla fermata del 9, gli occhi hanno finalmente visto. Gli argini, il mercato, la passeggiata, le isole, il ponticello dove prima si annunciava il Bobino, e tanta, tanta, gente a passeggio. Famiglie, turisti, milanesi e giapponesi, giovani e anziani, bambini in bici e fotografi della domenica, fidanzatini e vecchie coppie. In mezzo all'acqua, anatre in bella vista. Un bel quadretto urbano, un ampio spazio offerto a chi prima poteva solo (?) affacciarsi dai muretti e guardare sotto, fin dentro la macchia vegetale, o, se voleva perdersi, nello scorrere del Naviglio. Tutto bello, tutto ordinato, tutto sistemato, tutto nuovo, eppure, quasi impercettibile, un senso di disagio, come di mancanza, anzi di perdita, si faceva strada. Cosa avvertivo come perduto, senza sapere bene cosa avessi perso? E cosa appariva non ritrovato, ma piuttosto aggiunto, anzi giu- n. 22 VII - 10 giugno 2015 stapposto? Quali ricordi mi impedivano di godere senza riserve dello spettacolo della Darsena così finalmente “ritrovata”? Tutto così bello, lindo, ordinato, eppure per questo, proprio per questo, in qualche modo incoerente con la memoria. Finalmente la sensazione filtrava nella coscienza, con i primi segni di ricordo e cognizione. Dagli argini finalmente passeggiabili, dalle nuove costruzioni lungo la riva, dalle isole dedicate alla inevitabile istanza promozionale, dai molteplici loghi del noto operatore telefonico, mancava proprio lei, la Darsena, quella Darsena che per decenni ci aveva abituato alla sua vista e che inconsapevolmente avevamo fatta nostra, intimamente, tanto da avvertirne ora, che non c'è più, la mancanza. Non c'è traccia di quel disordinato coacervo di vegetazione, sabbia, acque stagnanti, canneti, rottami arrugginiti, che, pur in uno stato così miserando, ci era divenuto familiare per non dire caro, testimonianza dell'inestinguibile capacità della natura di riprendersi i luoghi lasciati dalla mano dell'uomo, e di conservarli a testimoni allusivi della loro originale funzione. Memoria e Natura, confusamente affastellati nella macchia, ma ancora evocativi, forma quasi indistinta dell'antico porto, e forza primigenia, accerchiata e ridotta allo stremo nello spazio urbano, eppure ancora capace di rivivere nelle strettissime aperture che quello distrattamente gli lascia. Piazza d'Acqua, si diceva nel presentare la fisionomia della Nuova Darsena, e piazza d'acqua abbiamo avuto, ordinata, composta e fruibile, ottimo fondale per turisti, ma, pour cause, artificiale e come dimentica di sé e del suo sedime ultradecennale. La Darsena, come la ricordiamo e come non c'è più, contraddiceva silenziosamente, con il suo tenace sopravvivere, con la sua macchia disordinata eppure vitale, con il suo carattere orgogliosamente periferico, l'artificialità di uno scenario urbanizzato che non tollera eccezione, quello stesso contesto omologante che oggi incorona in Garibaldi Porta Nuova uno pseudo campo di grano come tributo alla memoria contadina, in realtà arrogante affer- 9 www.arcipelagomilano.org mazione proprietaria su di uno spazio comune. Ora, la Darsena ritrovata “sana” quella irriducibilità, culturale e ambientale, quella ferita, quella contraddizione a un contesto cittadino che impone i riti del passeggio, della visita e della movida, dove prima s'erano riformati boscaglie, canneti, nidi, e anche, certo, topi. Forse il partito del germano reale qualche ragione l'aveva, forse il tema progettuale qualche buco inesplorato l'ha lasciato, forse rimpiangeremo perfino i topi, che non saranno le lucciole di Pasolini, ma insomma contrad- dicono un paesaggio completamente igienizzato e antropizzato. Darsena, ritrovata o definitivamente perduta? PS. invito a leggere queste righe non come critica ad un'amministrazione che ha pur ben meritato. A PROPOSITO DI ARCHITETTURA ACCESSIBILE ED EXPO 2015 Isabella Tiziana Steffan Con il seminario internazionale Accessible Architecture in Expo Times, tenutosi in lingua inglese al Politecnico di Milano lunedì 25 Maggio, il Gruppo di Lavoro Architecture for All dell'UIA - International Union of Architects ha riunito nell’aula E.N. Rogers circa ottanta persone, architetti e ingegneri, docenti e studenti, per confrontarsi sul tema dell'Universal Design-Design for All. In occasione di Expo, l’UIA - AfA Working Group ha tenuto la consueta riunione semestrale nella nostra città, a meno di un mese dall'apertura ufficiale del sito espositivo e organizzato questo seminario di confronto sul Design for All/Universal Design. La dottoressa Isabella Menichini, Coordinatrice del tavolo Permanente sulla Disabilità e Dirigente del Comune di Milano, ha ricordato l'adozione della task force di cui è stato referente Franco Bomprezzi, e ha illustrato le aree di interesse, gli obiettivi principali, la condivisione di strategie ai vari livelli (Comune, Regione, ASL, ospedali, Università, aziende municipalizzate) e, non da ultimo, il sito www.expofacile.it e i nuovi 10 itinerari accessibili in città. Gli interventi introduttivi sono stati a cura degli architetti Maria Fianchini, che ha posto l’accento sull’importanza della progettazione per le persone, Andreas Kipar, che ha introdotto il tema della progettazione smart e sostenibile a scala urbana, e la sottoscritta che ha illustrato il significato del Design for All. L’architetto Silvia Sbattella, consulente per le scelte strategiche in tema di accessibilità dell’Ateneo ha illustrato obiettivi e strategie del progetto di inclusione nell'area del Politecnico: non solo accessibilità fisica, ma anche orientamento e sostegno, pratiche burocratiche, ricerca alloggio, accompagnamento, at- trezzature e strumenti per la trascrizione a disposizione, teledidattica, etc. per studenti e per docenti, nell'ottica del più vasto progetto “Città Studi Campus Sostenibile”. La coordinatrice del gruppo Architecture for All Fionnuala Rogerson, ha illustrato le principali attività del gruppo, tra cui la costruzione di un Database, e l'istituzione del premio Friendly spaces accessible to all: la condivisione di buone pratiche progettuali e il riconoscimento della diversità come valore, sono strumenti utili per promuovere e diffondere un approccio progettuale utile al reale utilizzatore finale. Dagli interventi degli architetti AfA Rogerson (Irlanda), Jane Simpson (Regno Unito), Monika Klenovec (Austria), Hubert Froyen (Belgio) e della scrivente, è emersa la consapevolezza che l'accessibilità, richiesta a norma di legge, è solo una pre-condizione per poter progettare e realizzare ambienti, prodotti e servizi che siano compatibili con le esigenze del maggior numero possibile di persone. L'applicazione pedissequa delle normative vigenti produce spesso effetti contrari alle aspettative: ad esempio i montascale e gli elevatori con comandi che necessitano la presenza di un operatore, gli ingressi secondari, i bagni dedicati a persone disabili, non rispondono certo a normali aspettative di autonomia e inclusione sociale. I rappresentanti di diversi Paesi esteri del Working Group UIA – AfA hanno espresso impressioni generalmente positive riguardo all'arrivo in città, ai trasporti, al sito Expo visitato domenica 24 Maggio: ma per reali soluzioni for All si può fare di più e si può fare meglio! La diffusione della progettazione per Tutti, uno tra i principali obiettivi dell’UIA - AfA WG, deve necessariamente passare dalla didattica, dapprima come educazione civica comune poi, nel caso di studi superiori e universitari di tipo tecnicoprogettuale, come conoscenza dei requisiti di qualità dell'ambiente costruito e della sua forte influenza sulla qualità della vita delle persone. Sostenibilità è anche progettare città e spazi in un'ottica inclusiva, stimolando le diverse abilità fisiche, percettive, culturali delle persone per migliorarne la mobilità, senso di appartenenza, sicurezza, salute, benessere. Il coautore e project leader del team di progettazione Breathe.Austria, architetto Markus Jeschaunig, ha illustrato nel dettaglio il Padiglione Austria in Expo, che riproduce un bosco. Ai visitatori è proposta l’esplorazione di uno spazio sorprendente che, grazie alla evapotraspirazione delle piante, a nebulizzatori e ventilatori, diminuisce la temperatura di almeno cinque gradi rispetto all’esterno. L'esperienza multisensoriale e microclimatica vuole indurre al desiderio di attuare pratiche urbane che considerino la necessità di sviluppare aree verdi. L'esperienza offerta mette in gioco vista, tatto, odorato, udito, percezione di benessere; in questo senso possiamo definirla “for All”. Tuttavia la presenza di piccoli dislivelli lungo le rampe di percorrenza, generano alcune difficoltà alle persone in carrozzina o con passeggini, e testimoniano che spesso le norme siano facilmente mal interpretate. Possiamo concludere affermando che il Design for All significa a livello internazionale non creare barriere, non eliminare barriere a posteriori, ma cercare di capire diverse esigenze, approfondire, offrire diverse modalità di uso dello spazio, produrre ambienti vivibili per tutti, piacevoli e coinvolgenti. VIA SARPI E I PORTALI DI CHINATOWN Pier Franco Lionetto* È in corso da mesi un dibattito, innescato nel DUC (Distretto Urbano n. 22 VII - 10 giugno 2015 del Commercio) Sarpi, proseguito in Consiglio di Zona 1 con un passag- gio anche in commissione consiliare al commercio, in merito alla propo- 10 www.arcipelagomilano.org sta di installare durante il periodo Expo due portali tipicamente cinesi alle due estremità della via Sarpi. La proposta, portata avanti da quei commercianti cinesi (UNIIC - Unione Imprenditori Italiani in Cina) che con la loro invasiva attività commerciale all'ingrosso hanno trasformato il quartiere in una piattaforma logistica per il commercio all'ingrosso, è stata motivata come uno strumento di marketing commerciale che, caratterizzando il quartiere come quartiere cinese, dovrebbe convogliare nel quartiere molti turisti - in particolare ricchi cinesi - con allettanti vantaggi per la filiera commerciale della via Paolo Sarpi. «Soluzione temporanea per i soli mesi dell'Expo, ma se poi i portali piacciono, perché non lasciarli definitivamente, così come lo sono in altre Chinatown nel mondo?» Motivazioni che non hanno trovato consenzienti né i commercianti al dettaglio della via Sarpi (che teoricamente dovrebbero essere i maggiori beneficiari di questa “opportunità commerciale”) né la maggior parte degli abitanti del quartiere che contro questa ipotesi si sono attivati da subito con una raccolta di firme indirizzata al sindaco Pisapia. La proposta per contro ha trovato favorevoli l'Assessore al Commercio e il CdZ 1 il quale ha votato una funambolica delibera che, per mediare fra le varie “ragioni di contrasto”, propone, in un linguaggio non politichese, portali mobili smontabili a piacimento in concomitanza con eventi specifici. La storia dei portali ha avuto risvolti paradossali: «Discussioni sul nulla» - l'Assessore al commercio dixit «non c'è alcuna richiesta concreta d'installazione dei portali, ma solo preannunciata dal consolato cinese» (sappiamo quanto il consolato cinese abbia influenza su questa giunta: ricordate il caso del Dalai Lama?) e intanto faceva fare la verifica tecnico-amministrativa agli altri assessori competenti. Velate accuse di razzismo («gli unici coerenti sono i leghisti, che razzisti erano e razzisti restano», ancora l'Assessore), per finire poi con un colpo a sorpresa: mentre il CdZ si apprestava il 27 maggio a bocciare l'idea dei portali in mancanza di una richiesta formale ecco che come per magia si materializza un progetto di portale che, in barba a quanto raccomandato dallo stesso CdZ, non ha nulla di mobile e di facilmente smontabile! Ecco in sintesi le motivazioni che portano a contrastare l'installazione dei portali: * rappresentano un segno di chiusura in quanto delimitano un “territorio” in contrasto con la peculiarità di Milano città aperta al mondo, capace di includere senza creare comunità chiuse; * sono un retaggio del passato, portali fuori tempo: è anacronistico installare oggi nuove porte in un'epoca che vede immigrati dal mondo intero come parti integranti della realtà italiana e milanese in particolare, quasi porre le basi per quartieri “monoetnici”; * caratterizzano inesorabilmente il quartiere come un “quartiere cinese” (quando solo il 10% di coloro che vivono in zona appartiene alla comunità cinese), creano muri che non facilitano l'integrazione fra culture differenti, diventano strumento di divisione non di coesione sociale. Il quartiere invece si è caratterizzato da sempre come un insieme di diversità, un quartiere multiculturale capace di includere cittadini da ogni parte del mondo; ma è anche il quartiere che in questi ultimi quindici anni ha visto trasformare radicalmente il suo tessuto socioeconomico per la massiccia presenza dell'attività commerciale all'ingrosso che, svolta senza regole, ha inciso pesantemente sulla vivibilità dello stesso e ha compromesso la qualità della vita dei residenti. È molto importante tenere presente questo contesto che fa sì che l’installazione dei portali risulti agli occhi degli abitanti un riconoscimento da parte della pubblica amministrazione della presenza definitiva nel quartiere dell'attività all'ingrosso anche se in conflitto con il PGT, quasi un “premio” ai grossisti cinesi per tutto quello che di irregolare e illegale si è mosso e si muove attorno a questo mondo. Si acuisce così fra la popolazione l'amarezza per tante aspettative deluse (in tanti ricordano le affermazioni del Sindaco Pisapia del dicembre 2011: ”restituiremo la zona Sarpi alla città e ai suoi abitanti”); aumenta la rassegnazione che cela però malumore e rancore in chi si sente lasciato solo a risolvere i problemi nella loro quotidianità. Rancore verso l'amministrazione, rancore verso l'immigrato, rancore che lavora nel profondo di ciascuno. Grave se l’amministrazione comunale, anziché prevenire il nascere di situazioni che rendono poi più difficile creare vera integrazione, si attivasse per accentuare i contrasti solo per favorire un'operazione commerciale a beneficio di una sola e unica filiera, come ci conferma chi studia da vicino tutte le realtà delle “Chinatown” in giro per il mondo. Anche la critica ricorrente sul “provincialismo” del “No ai portali” è fuori luogo: la storia di Milano, la sua capacità di accogliere cittadini del mondo, la sua apertura verso il nuovo mal si concilia con porte, portali o muri che delimitano e non uniscono. Se pensiamo alla New York multiculturale, cui Milano spesso guarda come modello, proprio da New York ci viene un esempio molto istruttivo: nessun portale è presente a delimitare l'importante e storica comunità cinese ivi insediata. *Presidente Associazione Vivisarpi Scrive Gregorio Praderio a proposito dello scandalo Trenord e whistleblower Giustamente Salvatore Bragantini biasima i mancati controlli e i silenzi sull'operato dei vertici delle FNM. Chi doveva vigilare non l'ha fatto, male, malissimo. Ho qualche perplessità invece sulla valutazione della figura dei "whistleblower", che sono appunto i delatori, gli informatori, quelli che fanno la soffiata (e n. 22 VII - 10 giugno 2015 non gli arbitri, non avendone il ruolo). Ora, sappiamo bene che non tutti i delatori sono animati da buone intenzioni, anzi. Accanto agli amanti del diritto, ci sono anche i calunniatori, gli arrabbiati con il mondo e quelli che semplicemente si vogliono vendicare del capo che non gli ha dato le ferie. Far girare voci infondate su presunte malversazioni è insomma facilissimo (specie in un sistema normativo come il nostro, dove il confine fra lecito e illecito è spesso questione di sfumature) e i danni morali e materiali che si possono generare con indagini che magari durano anni sono davvero molto ingenti (e difficil- 11 www.arcipelagomilano.org mente il delatore, a meno di evidente malafede, viene condannato: sì, perché i magistrati sanno bene che questa è per loro spesso l'unica maniera di venire a conoscere come vanno le cose, e stanno bene attenti a non bruciare i possibili "soffiatori"). Dunque, doppia responsabilità degli organi di controllo che non funzionano: sia perché permettono comportamenti illeciti; sia perché inco- raggiano e consolidano la delazione, che dovrebbe essere proprio l'extrema ratio per una società. Fortunati i paesi che non hanno bisogno di whistleblower, verrebbe da dire. Scrive Michele Palma a proposito dello scandalo Trenord Bravo Bragantini! Come mai l’articolo non lo ha inviato ai maggiori quotidiani? o lo ha fatto senza avere ospitalità? Comunque grazie per la lucidità della denuncia Scrive Francesco Vescovi a proposito di Rai e cluster media a Milano Scrivo a proposito dell'articolo di Marco Gambaro. È il secondo anno che con i miei studenti del laboratorio di Urbanistica al Politecnico esploriamo l'ipotesi di creare un cluster di aziende del settore Media (sull'esempio di casi analoghi a Barcellona e Manchester) a Rogoredo. Qui come noto esiste infatti già la sede di SKY ed è infatti una zona dotata di un'accessibilità unica, con il naso rivolto a Roma (stazione della TAV). Sarebbe anche una buona opportunità per ridare centralità a una sfortunata periferia (vedi vicenda Santa Giulia e l'area di Porto di Mare) che ha però grandissimi potenziali (sistema dei trasporti e aree a disposizione) e risorse, come per esempio anche la ATU (area di trasformazione urbana) verso il Parco Agricolo Sud e Chiaravalle: sicuramente la sede ideale per il CERBA e altri funzioni di scala metropolitana. Si tratterebbe finalmente di creare quella strategia economica e di disegno urbano che, per una assurda scelta degli amministratori, manca totalmente nel PGT milanese. MUSICA questa rubrica è a cura di Paolo Viola [email protected] Musica fuori porta Andare a sentir musica “fuori porta” è un piacere del tutto particolare. Probabilmente perché frequentare solo la Scala, l’Auditorium e il Conservatorio – si aggiungano anche il Dal Verme e la Palazzina Liberty – finisce a lungo andare per essere riduttivo. Fatto sta che dopo i deliziosi concerti ascoltati la settimana scorsa a Mantova e a Cremona, di cui ho riferito in questa rubrica, mi è capitato di continuare sulla stessa strada con una vera chicca, questa volta piacentina. Esiste infatti a Piacenza, in un angolo fra due viuzze del centro storico, un delizioso piccolo oratorio settecentesco detto di San Cristoforo - che pare sia stato ispirato dallo stesso Bibbiena autore del famoso teatro mantovano - in cui si tiene un festival annuale di musica da camera conclusosi domenica scorsa con un concerto in miniatura (i posti a sedere saranno si e no una cinquantina!) di qualità sopraffina. Una soprano anglo-italiana con una voce meravigliosamente educata al genere liederistico, ha eseguito sedici gioielli di Schubert da lei scelti con gran cura affinché costituissero un insieme compatto e appropriato n. 22 VII - 10 giugno 2015 per trascinare l’ascoltatore nel mondo fiabesco e incantato dei sogni e degli idilli agropastorali di quella tradizione. La bravissima - e per l’occasione dolcissima - Lorna Windsor, che insegna canto al Conservatorio milanese ed è molto attiva anche nella musica contemporanea, era accompagnata dal collega Ruggero Laganà - docente di armonia e di tastiere storiche, di cui ho già avuto modo di riferire per la sua specialità di comporre fughe sui temi più disparati - che ai Lieder ha alternato i Moments musicaux suonando un fortepiano viennese gran coda costruito negli stessi anni in cui Schubert scriveva quelle musiche. Il fortepiano, grazie all’uso dei suoi cinque pedali, aveva la possibilità di introdurre suoni di campanelli, colpi di tamburo, echi di strumenti a fiato (in particolare un fagotto dalla voce vellutata) e “turcherie” varie, tipiche di quella Vienna che oggi definiremmo una “città da bere” e che allora era la capitale di un grande impero; Schubert aveva diciotto anni e aveva già composto un gran quantità di musica quando, durante l’inverno 1814/1815, i capi di stato di tutta Europa per oltre sette mesi frequentarono la città - riunendosi nel castello di Schönbrunn - per ridisegnare la carta del continente e “restaurarvi” una politica “realistica” dopo gli sconvolgimenti della rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche. La infinita dolcezza della musica di Schubert, le reminiscenze storiche, l’architettura barocca, il ricco ciclo di affreschi con i fantastici trompe-l’oeil della cupola, la voce dello strumento mescolata a quella della soprano hanno creato un’atmosfera magica. Una gioia dello spirito. *** Durante la scorsa settimana a Milano - che pur non avendo nulla a spartire con la Vienna del primo ottocento sta vivendo, grazie fors’anche all’Expo, un momento di splendore - vi sono stati due eventi che meritano di essere raccontati. Il primo, che si è svolto nella aristocratica cornice di villa Necchi Campiglio, è stata la presentazione della prossima stagione della Società del Quartetto interamente progettata da Paolo Arcà che, felicemente concluso il lavoro al Regio di Parma, da un anno ormai si dedica interamente alla non meno aristocratica istituzione musicale milanese; il programma 12 www.arcipelagomilano.org 2015/2016, che segue l’anno del centocinquantenario, restituisce al Quartetto quel ruolo di protagonista assoluto della musica da camera a Milano che negli ultimi tempi, dopo l’exploit del ciclo completo delle Cantate Bach svoltosi fra il 1994 e i primi anni duemila, era sembrato leggermente appannato. Un programma dosato con grande intelligenza che prevede sette recital di pianoforte (Michail Pletnev, Maria João Pires con Lilit Grigoryan, Murray Perahia, Krystian Zimerman, Andras Schiff, la mitica Mitsuko Uchida e il milanese Davide Cabassi), nove concerti di famosi ensemble (fra cui il duo Brunello-Lucchesini, il Quartetto di Cremona, l’MDI Ensemble, il Quartetto Haas, il duo Shiokawa-Schiff, il Quartetto Apollon Musagète) e poi ancora Ton Koopman con Klaus Mertens, Ian Bostridge con Julius Drake e complessi come L’Orfeo Barockorchester, Gli Angeli Genève, L’Orchestre des Champs-Élysées con il Collegium Vocale Gent, per un totale di ventidue concerti distribuiti nei martedì fra ottobre e maggio. *** Il secondo evento è la scoperta di un nuovo “luogo di musica” che laVerdi - o meglio quello straordinario suo patron che è Luigi Corbani, uno che “una ne pensa e cento ne fa” ha aperto non lontano dalla sede dell’Auditorium e cioè nella piazza Tito Lucrezio Caro al numero 1, dove fino a poco tempo fa c’era FORMA: uno spazio molto elegante e attraente, con sala da concerto (bisognerà migliorarne l’acustica), bar, caffetteria, biblioteca, tutto ciò che serve a trascorrere piacevolissime matinée (la domenica, con brunch), pomeriggi (il martedì, con aperitivo) e serate (il venerdì con cena) con suggestiva vista sul vecchio deposito dei tram. In questa sede, che prende il nome di “M.A.C., Musica, Arte, Cultura”, laVerdi ha in programma di sviluppare una stagione di musica da camera per integrare quella sinfonica di Largo Mahler, ma anche con lo scopo non secondario di valorizzare i propri musicisti e la grande esperienza e competenza che essi maturano in orchestra. Il primo troncone di questo programma si è concluso domenica mattina con un bel concerto dedicato a Händel, Bach e Zelenka (un musicista assai celebre all’epoca, di solo sei anni più vecchio dei primi due) eseguito da un ensemble di due oboi (Luca Stocco e Paolino Tona), un fagotto (Giacomo Cella), un violino (Giorgia Righetti), un clavicembalo (Davide Pozzi) e un contrabbasso (Michele Sciandra); la stagione riprenderà domenica 20 settembre con tre Sonate per violino (Fulvio Luciani) e pianoforte (Massimiliano Motterle) rispettivamente di Beethoven, Schumann e Janàček. Tutte buone notizie. ARTE questa rubrica è a cura di Benedetta Marchesi [email protected] Wave: Milano riscopre l’ingegnosità collettiva Quando si parla di mostra l’immaginario collettivo associa la parola a quadri, sculture, immagini o prodotti, trascurando spesso che si possano esporre e mettere all’attenzione dei visitatori anche idee e buone pratiche. WAVE - Come l’ingegnosità collettiva sta cambiando il mondo è l’esposizione voluta da BNP Paribas che si basa sul principio per cui l’ingegnosità collettiva sia da sempre il principale motore dell’evoluzione umana, e che negli ultimi anni alcune tra le correnti più interessanti dell’economia stiano servendosi dell’ingegnosità collettiva per rendere il mondo un posto migliore. L’ingegnosità collettiva è parte di un fondamentale cambiamento di mentalità: passare dal pensiero individuale a quello collettivo e allo stesso tempo riconoscere che tutti siamo destinati a entrare in relazione gli uni con gli altri. In un sistema che è sempre più connesso e interdi- pendente, interessi personali e interessi collettivi convergono: il benessere di ogni persona dipende da quello di tutti gli altri. Dopo essere stata a Parigi, Marsiglia, Lille, WAVE approda a Milano (dal 4 giugno al 3 luglio 2015), prima di raggiungere Dakar, Mumbai e Hong Kong. La mostra racconta le storie di alcuni innovatori, che hanno saputo interpretare le correnti più interessanti dell’economia contemporanea: co-creazione, condivisione, inclusione, circolarità, movimento dei maker. Immagini, testi, video raccontano esempi virtuosi del passaggio dal pensiero individuale a quello collettivo: la homepage di ipaidabribe.com mostra una mappa dell'India, aggiornata in base ad anonime segnalazioni di corruzione; la storia di Salvatore Iaconesi, il quale dopo aver scoperto di avere un tumore al cervello, hackerò il sistema ospedaliero e caricò i propri dati su internet invitando tutti ad a- nalizzare il suo caso; o ancora: Protei, un drone capace di risucchiare due tonnellate di petrolio e altre inquinanti, Blablacar, il sistema di carpooling o Beacon Food Forest, che è molto più di un orto collettivo. “L’onda di cui racconta WAVE è molto più articolata di quanto non appaia a coloro che considerano l’economia campo esclusivo degli economisti, e l’ingegnosità dominio privato di pochi talentuosi creativi. Al contrario, Wave Milano indica la forza che l’ingegnosità collettiva può generare, e il promettente valore economico che si ottiene non appena si offre alle persone l’opportunità d’ingegnarsi.” Leonardo Previ, Presidente di Trivioquadrivio e curatore di Wave Milano. Wave Milano Galleria San Fedele. Piazza San Fedele fino al 3 luglio 2015 Orario: da lunedì a venerdì 7 – 19 Ingresso gratuito L'Italia nelle foto dei maestri Dal 21 marzo al 27 settembre 2015, Palazzo della Ragione ospita Italia Inside Out, la grande mostra di fotografia interamente dedicata all’Italia con più di 500 immagini dei più n. 22 VII - 10 giugno 2015 importanti fotografi del mondo. Un’unica iniziativa articolata in due successivi allestimenti, dal 21 marzo al 21 giugno con i fotografi italiani e dal 1° luglio al 27 settembre con i fotografi del mondo, che raccontano a chi li visita le trasformazioni e le emozioni di un’Italia che cambia dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri. E il cambiamento si 13 www.arcipelagomilano.org percepisce in ogni cosa: nelle tecniche, nell’uso del bianconero e del colore, nei ritratti e nelle storie dei protagonisti ritratti. Promossa e prodotta dal Comune di Milano - Cultura, Palazzo della Ragione, Civita, Contrasto e GAmm Giunti, curata da Giovanna Calvenzi; l’allestimento si deve a un progetto scenografico di Peter Bottazzi dove ogni autore è una carrozza di un immaginario treno che porta il visitatore alla scoperta del Bel Paese. Il viaggio inizia da Milano con le immagini storiche di Paolo Monti e qui si conclude con le vedute della nuova Milano di Vincenzo Castella; su ciascuna carrozza si scopre un’Italia differente per geografia (dalla Venezia degli anni cinquanta di Berengo Gardin alla Palermo della Battaglia, passando per il delta del Po di Pietro Donzelli); per epo- che (la Sardegna dei primi anni ’60 di Franco Pinna, gli estemporanei anni ’80 della Via Emilia di Luigi Ghirri, ma anche il terremoto dell’Aquila ritratto da Marta Sarlo); per progetti (Io parto di Paola de Pietri, Gli ultimi Gattopardi di Shobha, Florence versus the World di Riverboom). La prima parte - INSIDE - accoglie dal 21 marzo al 21 giugno 2015 una selezione di oltre 250 immagini di quarantadue fotografi. Nella seconda parte - OUT -, dal 1° luglio al 27 settembre 2015, saranno protagoniste le fotografie dei grandi maestri internazionali, quali Henri CartierBresson, David Seymour, Alexey Titarenko, Bernard Plossu, Isabel Muñoz, John Davies, Abelardo Morell e altri. Quella ospitata negli spazi del Palazzo della Ragione è una mostra davvero ricca, piena di punti vista e sguardi, quasi troppo: al punto che il visitatore talvolta si smarrisce, vista l’assenza di un percorso definito, rischiando di non vedere alcuni degli autori. L’allestimento, poi, pare incompleto (o la scelta molto curiosa) laddove solo alcuni pannelli con le fotografie hanno le didascalie mentre altri no. E va aggiunto che al terzo giorno dall’apertura le audioguide sono ancora non pervenute, causa corriere. Si perdona tutto davanti alla bellezza di questa italianità per immagini? Italia Inside Out - I fotografi italiani fino al 21 giugno 2015 Palazzo della Ragione Fotografia Milano, Piazza Mercanti, 1 Martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 20.30/ Giovedì e sabato 9.30 – 22.30 Biglietto €12/10/6 Congiunto €18/16/9 Il principe dei sogni Defilata rispetto alla grande retrospettiva dedicata a Leonardo e meno “milanese” rispetto alla mostra dedicata all’Arte lombarda dai Visconti agli Sforza, nella Sala delle Cariatidi al Palazzo Reale di Milano è racchiusa una mostra gioiello: quella da titolo “Il Principe dei sogni. Giuseppe negli arazzi medicei di Pontormo e Bronzino”. Nella grande sala monumentale sono radunati, dopo centocinquanta anni, i 20 arazzi cinquecenteschi commissionati da Cosimo de' Medici per raccontare la storia del personaggio biblico di Giuseppe, le cui vicende sono narrate nella Genesi. L’esposizione è curata da Louis Godart e riunisce l'intero ciclo di arazzi che i Savoia avevano diviso nel 1882 tra Firenze e il Palazzo del Quirinale; grazie all’impegno della Presidenza della Repubblica Italiana e del Comune di Firenze, i grandi panneggi tornano a essere esposti insieme in una mostra unica. Dopo la tappa di Roma, nel Salone dei Corazzieri del Palazzo del Quirinale, sono a Milano e successivamente a Firenze nella Sala dei Duecento di Palazzo Vecchio dal 15 settembre 2015 fino al 15 febbraio 2016. Nella grande sala decorata gli imponenti arazzi riempiono le pareti e nella semioscurità i colori dei tessuti risplendono. Questa serie di panni monumentali, oggetto di un complesso e pluridecennale restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e il Laboratorio Arazzi del Quirinale, rappresenta una delle più alte testimonianze dell’artigianato e dell’arte rinascimentale. Gli arazzi con le Storie di Giuseppe vennero commissionati da Cosimo I de’ Medici tra il 1545 e il 1553 per la Sala dei Duecento di Palazzo Vecchio a Firenze. I disegni preparatori furono affidati ai maggiori artisti del tempo, primo fra tutti il Pontormo. Ma le prove predisposte da quest’ultimo non piacquero a Cosimo I, che decise di rivolgersi ad Agnolo Bronzino, allievo del Pontormo e già pittore di corte, e a cui si deve parte dell’impianto narrativo della serie. Tessuti alla metà del XVI secolo nella manifattura granducale, tra le prime istituite in Italia, furono realizzati dai maestri arazzieri fiamminghi Jan Rost e Nicolas Karcher sui cartoni forniti da Agnolo Bronzino, Jacopo Pontormo e Francesco Salviati. Un'occasione per immergersi nella bellezza, intensa e rara, di opere che oltre che di arte parlano anche di maestria artigiana e soprattutto della storia d'Italia, attraverso la vicenda esemplare di Giuseppe, degli artisti che lo hanno immaginato e dei committenti che hanno finanziato il lavoro. Audioguide e didascalie guidano il visitatore in un percorso alla scoperta della bellezza e della maestria artigiana del cinquecento fiorentino, senza perdersi in dettagli specialistici o ad appannaggio esclusivo degli addetti ai lavori. Il principe dei sogni Giuseppe negli arazzi medicei di Pontormo e Bronzino fino al 23.08.15 Palazzo Reale Lunedì 14.30 -19.30 Martedì mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30 Giovedì e sabato 9.30 – 22.30 La Fondazione Prada e la rigenerazione culturale di Milano Il 9 maggio il sempre più vasto mosaico culturale di Milano si è arricchito di un importantissimo e preziosissimo tassello: la Fondazione Prada. La celebre stilista Miuccia Prada e il marito Patrizio Bertelli hanno regalato al capoluogo lombardo uno dei più interessanti interventi culturali visti in Italia in materia di arte, ma anche di architettura e, n. 22 VII - 10 giugno 2015 soprattutto, di rigenerazione urbana. Le vecchie distillerie di inizio Novecento sono state restaurate, ristrutturate, trasformate e integrate per offrire ai visitatori una superficie di 19.000 mq dove trovano posto non soltanto spazi espositivi per le varie mostre temporanee, ma anche un cinema, un’area didattica dedicata ai bambini, una biblioteca e il Bar Luce concepito dal regista Wes Anderson che si ispira ai celebri caffè meneghini e già diventato “cult” nel giro di pochi giorni. La molteplicità e la versatilità degli spazi della Fondazione consentono un’offerta culturale estremamente variegata. Sono attualmente aperte al pubblico le mostre “An Introduction”, nata da un dialogo fra Miuccia 14 www.arcipelagomilano.org Prada e Germano Celant, “In Part” a cura di Nicholas Cullinan e le installazioni permanenti di Robert Gober e di Louise Bourgeois presso la “Haunted House”, una struttura preesistente che, rivestita di uno strato di foglia d’oro, acquista un’aura altamente immaginifica e imprime un segno forte ed evidente nel paesaggio urbano di Milano. Ma è “Serial Classic” la mostra più sorprendente: Miuccia Prada abbandona momentaneamente la passione per il contemporaneo per rivolgersi al passato, all’arte antica dove sono scolpite le origini della nostra cultura. Salvatore Settis e Anna Anguissola curano magistralmente una mostra che presenta l’ambiguo rap- porto fra l’originale e la copia nell’arte greca e romana. Un allestimento geniale presenta più di sessanta opere che dialogano fra di loro e con lo spazio esterno circostante attraverso ampie vetrate. Il modello perduto, giustamente sfocato, giunge ai nostri giorni attraverso le innumerevoli imitazioni, emulazioni o interpretazioni commissionate dalla ricca aristocrazia romana. Ed ecco che il solido blocco di marmo prende vita e si circonda di un’aura di sacralità ancora oggi percettibile. Gli spazi rivisti da Rem Koolhaas e dal suo studio OMA consentono a una vecchia fabbrica di trovare nuova vita in un tempio che ospita personaggi della mitologia, guerrieri e divinità quali Venere e Apollo con opere provenienti dai più importanti musei del mondo, dai Vaticani al Louvre. La Fondazione Prada diventa oggi il modello di quella inevitabile e illuminata collaborazione che deve esserci fra pubblico e privato per il beneficio dei cittadini milanesi, italiani e di tutti i visitatori stranieri che iniziano a intravedere nel laboratorio creativo di Milano la nuova Capitale Europea. Giordano Conticelli Fondazione Prada - Largo Isarco 2 Milano (M3 Lodi T.I.B.B.) orari: tutti i giorni h10-21 biglietti: 10€ ridotto 8€ gratuito minori 18 anni e maggiori di 65 Parigi è a Milano grazie agli scatti di Brassaï In tempo di Expo Palazzo Morando porta Brassaï a Milano: dal 20 marzo al 28 giugno 2015 sono esposte al piano terra del palazzo di via S. Andrea 260 immagini di una Parigi onirica e poetica attraverso lo sguardo innamorato dell’artista ungherese che fece sua la capitale francese. Nato nel 1899 a Brasso (l’attuale Braşov) in Transilvania, Gyula Halász - che prenderà il nome di Brassaï quando inizierà a fotografare, nel 1929 - arriva la prima volta a Parigi a soli 4 anni, con il padre, professore di letteratura che vi trascorre un anno sabbatico. I ricordi di quegli anni, come "petites madeleines" di proustiana memoria, rimarranno in lui riaffiorando talvolta e lasciandogli perennemente dentro uno sguardo incantato nei confronti della città. Le prime tre sale portano il visitatore in una Parigi dolce, malinconica: dove i bambini dai calzini bianchi giocano con le barchette al Jardin du Luxembourg o i leoni di pietra hanno criniere di neve nel parco delle Tuileries. La Tour Eiffel luccica nella notte e a Longchamp si pesano i cavalli da corsa. Passano gli anni e lo sguardo muta, giunge il disincanto ma rimane l’accuratezza e le assenza di giudizio nel raccontare la notte e i suoi protagonisti. Brassaï inizia a inseguire, nella luce notturna della città, una Parigi insolita, sconosciuta e finora non degna di attenzione. Durante le sue lunghe passeggiate che lo portano solo o in compagnia di Henry Miller, Blaise Cendrars e Jacques Prévert, complici nell’alimentare le sue curiosità, rende visibili le prostitute dei quartieri “caldi” o i lavoratori della notte alle Halles, o ancora i quarti di animali appesi dai macellai. Brassaï in quegli anni ricerca gli oggetti più ordinari e ne trasforma il significato, osa giustapposizioni insolite e defamiliarizza la percezione, togliendo il reale dal suo contesto. Il suo pensiero si concentra nel trasformare il reale in decoro irreale, è a partire dal 1929 che nascerà la sua ostinata ricerca dei graffiti. Circo, nudi femminili, ancora Parigi, Picasso e molti altri artisti sono i soggetti degli scatti del grande fotografo (ma anche scrittore e cineasta) che testimoniano il tanto profondo quanto fecondo rapporto che per oltre cinquanta anni lo ha legato alla Ville lumière, fino alla sua scomparsa nel 1984. Brassaï. Pour l’amour de Paris fino al 28 giugno 2015 Palazzo Morando | Costume Moda Immagine via Sant’Andrea 6, piano terra, spazi espositivi, mart. – dom., ore 10 - 19 Biglietteria € 10,00 / 8,50 / 5,00 L’Africa si mostra a Milano L’Africa approda a Milano con una mostra allestita nel nuovo Mudec, il Museo delle Culture che ha finalmente aperto i suoi battenti dopo 12 anni di agognati lavori. Il capoluogo lombardo, a breve al centro del mondo come sede dell’Esposizione Universale, afferma la propria identità di città multietnica, bacino delle tante culture che negli ultimi decenni si sono andate a integrare nell’antico e complesso tessuto urbano di Milano. “Africa. Terra degli spiriti” è un interessante progetto espositivo che raccoglie circa 270 manufatti e che da il via alla vivace stagione culturale milanese organizzata durante i mesi di EXPO 2015. n. 22 VII - 10 giugno 2015 La mostra si articola in vari ambienti presentando le affascinanti sfaccettature della cultura subsahariana dalle figure reliquiario alle armi, dagli altari vudu alle celeberrime maschere utilizzate durante le danze e le cerimonie religiose. Sorprendenti risultano essere alcuni manufatti come cucchiai e olifanti realizzati interamente in avorio ed eseguiti con un altissimo e raffinatissimo livello qualitativo. Interessante è anche il progetto d’allestimento che tenta di creare un’atmosfera intima e infondere un profondo senso religioso nel visitatore. Convincente è la soluzione adottata nella prima sala dove sono esposte figure custodite all’interno di teche cilindriche sorrette da una struttura che vuole forse richiamare le affascinanti e impenetrabili foreste di questo continente. Da notare anche l’utilizzo di alcuni effetti sonori come il frinire dei grilli o il penetrante ritmo delle percussioni, espedienti che aiutano il visitatore a immergersi nella ancestrale cultura africana. Unica interazione tra opere esposte e pubblico è la possibilità che ha quest’ultimo di far rivivere le divinità di un altare vudu. Come suggerisce Claudia Zevi attraverso l’audio guida distribuita gratuitamente, il visitatore è invitato a lasciare un oggetto personale in segno di devozione per manufatti che riescono ancora oggi a serbare in sé un elevato valore sacrale. 15 www.arcipelagomilano.org La fretta di inaugurare ha, però, determinato la presenza di alcuni errori, minimi dettagli a cui bisognerebbe prestare sempre la massima attenzione. Grazie a una buona e suggestiva illuminazione, i singoli reperti sono facilmente fruibili nonostante la presenza, in alcuni casi, di polvere e di impronte lasciate sulla superficie delle teche. Di difficile lettura risultano essere, inoltre, alcuni pannelli, ora velati da un sottile tes- suto reticolato, ora posti in una zona d’ombra, lontano del cono di luce. Alcune didascalie sono poste al livello della superficie di calpestio, elemento che porta il visitatore a doversi sforzare per leggerle. Tutti questi aspetti di disturbo non vanno, comunque, a intaccare una mostra che nel complesso risulta essere un ottimo progetto curatoriale, di enorme interesse per Milano che si conferma città internazionale e che si affaccia con prepotenza sulla società globale contemporanea. Giordano Conticelli Africa - la terra degli spiriti fino al 30 agosto 2015 MUDEC Museo delle culture via Tortona 56 Milano orari lunedì 14.30-19.30 martedì/mercoledì/venerdì /domenica 9.3019.30 giovedì e sabato 9.30-22.30 biglietti 15/13 euro Food. Quando il cibo si fa mostra Food | La scienza dai semi al piatto, non è solo una mostra dedicata all’alimentazione: è un percorso di avvicinamento e scoperta del processo di produzione di ciò che mangiamo. Anche questa definizione è riduttiva: le quattro sezioni accompagnano il visitatore dalla scoperta dei cibo, dall’origine quando è seme fino alle reazioni chimiche che sottendono la cottura, passando attraverso dettagliate spiegazioni su provenienza storico-geografica, suggerimenti sulle modalità di conservazione o exhibit interattivi. La mostra, in corso fino al 28 giugno 2015 e allestita nelle sale del Museo di Storia Naturale Milano, rappresenta il più importante evento di divulgazione scientifica promosso dal Comune di Milano sul tema di Expo 2015. “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” e costituisce una delle più importanti iniziative del programma di “Expo in Città”. Tutto nasce dai semi è il titolo della prima sala, nella quale vengono raccontate le diverse classi e fami- glie con caratteristiche, provenienza e utilizzo. Decine e decine di barattoli mostrano, portando, in alcuni casi per la prima volta, esemplari che appartengono alle più importanti banche dei semi italiane. Si prosegue poi con Il viaggio e l’evoluzione degli alimenti dove mele, agrumi, riso, caffè e cacao non avranno più segreti: tra giochi interattivi e alberi genealogici, tutto è facilmente accessibile e non superficiale. Grande elemento positivo della mostra è infatti la capacità di rendere fruibili le nozioni più scientifiche a un pubblico differenziato, senza per questo incorrere nel rischio di semplicismo. Che la cucina sia un’arte è risaputo da tempo, ma che alla base di tante ricette vi siano principi di chimica e fisica passa spesso inosservato: la terza sezione della mostra illustra come funzionano alcuni degli elettrodomestici più comuni, con consigli sulla conservazione degli alimenti (sapevate che i broccoli hanno un metabolismo più veloce delle cipolle e che per meglio conservarli andrebbero avvolti in una pellicola di plastica?!) e soluzioni fisico-chimiche ai problemi di chi cucina (cosa fare se la maionese impazzisce?). Quando poi sembra che niente in materia di cibo possa più sorprenderci si giunge all’ultima sala I sensi. Non solo gusto ovvero niente è come sembra: vista, olfatto e tatto anche nel mangiare giocano un ruolo determinante, al punto talvolta di allontanare il gusto dalla reale percezione. Il costo del biglietto è medio alto (12/10 euro), ma la visita merita davvero il prezzo d’ingresso se non altro per cominciare ad affacciarsi nel tema che, grazie ad Expo, ci accompagnerà per tutto il 2015. Food. La scienza dai semi al piatto fino al 28 giugno 2015 Lunedì 09.30 – 13.30 / Martedì, Mercoledì, Venerdì, Sabato e Domenica 9.30 – 19.30 / Giovedì 9.30 – 22.30 Biglietto 12/10/6 euro LIBRI questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero [email protected] Giovanni F. Bignami e Andrea Sommariva Oro dagli asteroidi e asparagi da marte Mondadori Università, Milano, 2015 pp. 170, euro 16,00 Non è solo un sogno. È un’idea, di quelle buone, che hanno la capacità di cambiare il mondo. Per troppo tempo siamo rimasti nella culla e non abbiamo visto quante opportunità ci sono fuori. “La Terra è la culla dell’uomo, ma non si può sempre vivere nella culla”. Così diceva Kostantin Ziolkovski, che divenne il visionario padre dell’astronautica mondiale. Qui però non ci sono visioni, ma fatti. A raccontarci cosa c’è fuori dalla culla è Giovanni Bignami, presidente dell’INAF e acca- n. 22 VII - 10 giugno 2015 demico dei Lincei, che ancora una volta, grazie alla sua lungimiranza, anticipa gli eventi. Il saggio, scritto a quattro mani con un economista internazionale, Andrea Sommariva, mira a stuzzicare non solo le menti dei capi di Stato, ma anche quelle di grossi imprenditori del settore privato. Il business è negli asteroidi, quelli più vicino a noi, e con le caratteristiche che ci interessano. Negli ultimi anni infatti la corsa all'oro, ma anche ad altri elementi chimici preziosissimi, come il rodio, il palladio, l’iridio e altri ancora, sta spostandosi al di fuori della Terra. Non a caso la Nasa sta studiando un programma (Asteroid Redirect Mission) che ha lo scopo di identificare, catturare e trasportare un asteroide in un’orbita stabile vicino alla Luna e infine sfruttarne le risorse minerarie. Al momento, la composizione chimica degli asteroidi è stata stimata attraverso analisi spettroscopiche e fotometriche. Ne deriva che essi contengono molti metalli, come 16 www.arcipelagomilano.org quelli del gruppo del platino (MGP), ma anche il cobalto, il ferro, il nickel, l’oro e il germanio, in quantità molto superiori a quelle del mantello terrestre. I programmi di esplorazione degli asteroidi da parte delle agenzie spaziali aprono la porta allo sfruttamento delle risorse naturali nello spazio da parte del settore privato, non solo tramite lo sviluppo delle tecnologie per il raggiungimento e il trasporto dell’asteroide, ma per avviare un commercio fino a ora impensabile. Negli Stati Uniti, aziende private, che hanno per oggetto lo sfruttamento minerario dello spazio, esistono già. Tra i principali investitori ci sono Eric Shmidt e Charles Simonyi (Planetary Resources - Google).E questo sarà solo un inizio, che darà un abbrivio all’economia mondiale e italiana. Bignami lo sa, e non si ferma. A questo punto della storia, quando cioè avremo la tecnologia giusta per spingerci più in là nello spazio e le conoscenze tecniche per affrontare i pericoli dello spazio, il passo successivo sarà quello dell’esplorazione umana di Marte, cioè il pianeta roccioso più vicino e più simile alla Terra. Data la sua conformazione, non è un posto adatto per una vacanza, ma non impossibile per il soggiorno dell’uomo. Come ha detto l’astronauta Buzz Aldrin, la logica dell’esplorazione di Marte risiede nell’obiettivo di creare un insediamento umano permanente. L’atmosfera è sottilissima e rarefatta, come essere a una quota doppia dell’Everest, e la gravità un terzo della Terra. In un primo tempo, potremmo creare rifugi in tunnel di lava. Ma poi … poi architetti e ingegneri terrestri darebbero libero sfogo a tutta la loro creatività, perché su Marte si posso costruire grattacieli alti chilometri, giardini sospesi e le colonne del Partenone sarebbero più slanciate. E per i buongustai una bella notizia: gli asparagi hanno bisogno di poca luce, adorano le sabbie ricche di ferro, e con la bassa gravità crescono giganti. Oltre ai ristoranti giapponesi, cinesi e indiani dovremmo iniziare a pensare a quelli marziani. Il “risotto rosso agli asparagi marziani” potrebbe arrivare sulle nostre tavole in meno di dieci anni. Cristina Bellon SIPARIO questa rubrica è a cura di E. Aldrovandi e D.Muscianisi [email protected] Priscilla - il musical Tre singolari personaggi, due drag queen e un transessuale, tre generazioni di travestiti in viaggio nell'infinita Australia. Il 20enne in cerca di emozioni, il 35enne in attesa di conoscere suo figlio, il 50enne in fuga dalla morte del suo compagno. Priscilla la regina del deserto racconta il viaggio di Bernadette, Mitzi e Felicia che decidono di portare il loro spettacolo da Sidney nell’entroterra australiano: i tre partono a bordo di "Priscilla", un vecchio torpedone rosa shocking, sulle note di oltre 20 intramontabili successi come “I Will Survive”, “I Love the Nightlife”, “Hot Stuff”, “Go West”, “What’s love got to do with it” e “Girls just want to have fun”, cantati dal vivo dai protagonisti. Adattamento teatrale del film commedia, indimenticabile e premio O- scar “Le Avventure di Priscilla, la Regina del deserto” del 1994, lo spettacolo “Priscilla – Il Musical” spumeggiante e colorato, esplosione di allegria ha come cifra più sensazionale, i costumi – pregiatissimi e molto premiati – di Tim Chappel e Lizzy Gardiner che non pongono limiti alla fantasia. Produzione internazionale in scena per la prima volta nel 2006 a Sidney ha conquistato Londra, Toronto, e New York: a Broadway s’impone come un “First Class Musical” replicando fino a giugno 2012. Priscilla diventa un must anche in Italia dove spopola per quattro mesi a Milano nel 2012 e dove torna ora al Teatro Manzoni fino a ottobre. Una racconto “on the road” e una commedia di costume allo stesso tempo, narra la storia insolita eppu- re credibile di tre personaggi che fanno dell'esagerazione il loro mestiere e della normalità il loro sogno segreto. Il viaggio rappresenta una semplice metafora: la ricerca, per ognuno di loro, di un’identità più autentica, di un equilibrio esistenziale, di un rispetto perduto, ciascuno, per ragioni diverse. I temi portanti - la ricerca dell'amore, la transessualità, la famiglia, vissuta da genitori o da figli, l'accettazione di sé, l'omofobia, la vita turbolenta dello showman, il "deserto" dell'entroterra australiano - si svelano agli spettatori quasi in sordina, solo una volta usciti dalla festa - spettacolo, dopo due ore e mezza di musica clamorosa, divertimento e meraviglia. Giulia Mattace Raso CINEMA questa rubrica è curata da Anonimi Milanesi [email protected] Sarà il mio tipo? di Lucas Belvaux [Francia, 2014, 111'] con É. Dequenne, L. Corbery, S. Nkake, C. Talpaert, A. Coesens, D. Bisconti, D. Sandre, M. Chevalier Clément è un giovane professore di filosofia. Vive a Parigi, dove frequenta intellettuali e luoghi sacri come Les Deux Magots, ha anche pubblicato un saggio sull’amore. Per vivere insegna e il ministero gli assegna una cattedra in provincia, ad Arras. Nel nuovo liceo Clément si n. 22 VII - 10 giugno 2015 impegna a conquistare gli studenti, indifferenti alla filosofia e concentra le lezioni in pochi giorni per poi fuggire a Parigi. Ciononostante ad Arras incontra Jennifer, una bella e vivace parrucchiera. Se ne invaghisce e la corteggia anche se: lui ama Kant e Proust, lei Jennifer Aniston e il gossip. Lui adora Parigi, lei la provincia. Lui ama i vernissage, lei il karaoke. Lui le regala La Critica del giudizio e l’Idiota di Dostoevskij, lei lo porta nei locali dove canta. Quando si incontrano per “contaminarsi” leggono a volte un libro di Anna Gavalda, una scrittrice di ro17 www.arcipelagomilano.org manzi sentimentali, a volte un romanzo di Émile Zola. Il filosofo e la parrucchiera sembrano intendersi soprattutto sotto le lenzuola, fuori dalla stanza d’albergo il loro legame è minacciato dalla differenza culturale e sociale che li separa. Il professore trova le amiche della parrucchiera adorabili, ma cosa penserebbero gli amici intellettuali di Clément di Jennifer? Sarà in grado di passare il loro vaglio? Domande teoriche perché il loro amore è di scena in provincia e non contempla mai la capitale. È un amore tregua, che vive prima che le differenze di classe si facciano sentire. Jennifer che crede profondamente nell’amore, da innamorata sente il pericolo. E poi Clément non è stato del tutto sincero, per esempio non le ha svelato di aver scritto un saggio sull’impossibilità di amare. Lei, che ha preso a frequentare le librerie, però lo scopre. Come si può amare uno che teorizza l’amore cinico? Jennifer, abilmente interpretata da Emilie Dequenne, la Rosetta dei fratelli Dardenne, è una semplice parrucchiera ma non è né debole, vive sola con un figlio, né priva di autostima. Sa che deve proteggersi dalle conseguenze negative di una relazione intrigante ma non sana. La sera con le amiche canta e si strugge interpretando I will survive di Gloria Gaynor. Nonostante il prezzo da pagare sia alto, decide da sola il finale della sua storia d’amore. Quanto al filosofo chissà, ingannato e stupito forse se ne farà una ragione ricorrendo a un giudizio sintetico a posteriori. Dorothy Parker dal 12 al 18 giugno ci saranno a Milano "Le vie del cinema: Cannes e dintorni" http://bit.ly/1HiHgm9 IL FOTO RACCONTO DI URBAN FILE UNO SPINOSAURO A MILANO. RIAPRE PALAZZO DUGNANI http://blog.urbanfile.org/2015/06/05/zona-porta-nuova-un-dinosauro-nel-parco/ MILANO È. 10 CLIP PER 10 STORIE LO SCULTORE E ARTISTA KENGIRO AZUMA https://youtu.be/U0aog8pyrtk n. 22 VII - 10 giugno 2015 18