Corso di riallineamento Lingua italiana Profssa Cossu, Fonologia e
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Corso di riallineamento Lingua italiana Profssa Cossu, Fonologia e
L’alfabeto L’alfabeto italiano è costituito da 26 lettere, 21 italiane e 5 di origine classica (latina e greca). Di esse 5 sono vocali e 16 consonanti. Maiuscolo Minuscolo Pronuncia A A a B B bi C C ci D D di E E e F F effe G G gi H H acca I I i (J) (j) (i lunga) (K) (k) (cappa) L L elle M M emme N N enne O O o P P pi Q Q qu R R erre S S esse T T ti U U u V V vu (W) (w) (doppia vu) (X) (x) (ics) (Y) (y) (ipsilon) Z Z zeta 1 Le lettere si scrivono in carattere minuscolo e maiuscolo; nell'insieme delle lettere, però, il carattere prevalente o normale è il minuscolo. La maiuscola si adopera come lettera iniziale nei casi seguenti: All'inizio di ogni periodo, dopo il punto fermo ( ? ). Si usa di solito anche dopo il punto interrogativo ed il punto esclamativo. All'inizio di un discorso diretto, dopo i due punti e le virgolette. Nei nomi propri, nei cognomi, soprannomi che indicano persona, animali, cose personificate. Nei nomi geografici di nazioni, regioni ed isole. Con i nomi propri di città, mari, monti, fiumi, laghi. Con i nomi di solennità civili e religiose. Con i nomi di stelle, pianeti, costellazioni. Con i nomi di enti, istituzioni, associazioni. Nei titoli di libri e giornali, di opere delle arti figurative e della musica. Con i nomi di vie e di piazze (scrivendo però con la minuscola via, piazza). Con i nomi dei segni zodiacali. Con i nomi attinenti alla sfera religiosa. Con i nomi di imprese, di società e di marchi commerciali. Mondadori, la Fanta, la pasta Barilla, l'anisetta Meletti. Nelle sigle. Le vocali Le vocali sono 5: a , e , i , o, u e si distinguono in deboli (i, u) e forti (a, e, o). Le vocali a, i, u si pronunciano sempre nello stesso modo, mentre e, o possono avere una doppia pronuncia, aperta o chiusa. Dittonghi, trittoghi e iati L'incontro di due vocali che vengono pronunciate con una sola emissione di voce, ossia contando per una sola sillaba, si chiama dittongo. Il dittongo è costituito sempre dall'incontro di una delle due vocali deboli i e u (non accentata) con una delle vocali forti a, e, o, che si fondono in un'unica emissione di voce: ad esempio, Eu-ropa, uo-mo, pio-vere, pian-to, mai. I dittonghi possibili sono: ià, iè, iò, iù: piatto, fieno, fiore, fiume uà, uè, uì, uò: puntuale, duello, suino, fuori ài, àu: dirai, causa èi, èu: farei, neutro òi L'unione di due vocali deboli con una vocale forte nella stessa sillaba forma un trittongo: ad esempio, miei, tuoi, guai, aiuole. L' incontro di due vocali che si pronunciano separatamente, con due diverse emissioni di voce, forma uno iato. Lo iato si verifica: quando si incontrano due vocali forti (a, e, o): ad esempio, bo-a-to, le-a-le, po-e-ta, a-e-re-o, e-ro-e, pa-e-se; quando le vocali deboli (i, u) hanno l'accento tonico: mì-o, vì-a, zì-o, pa-ù-ra; quando la parola deriva da un'altra che aveva l'accento sulla i o sulla u: vi-à-le (da vì-a), spià-re (da spì-a); nei composti con i prefissi ri, re: ri-a-ve-re, ri-a-pri-re, re-a-le, re-di-ge-re; quando la i è preceduta da r o da un gruppo consonantico: a-tri-o, pa-tri-a, ri-o-ne, tri-on-fo, tri-bu-no. Le consonanti Le consonanti sono suoni o fonemi che si pronunciano col canale orale chiuso o semichiuso. Gli organi che servono alla loro pronuncia sono la lingua, le labbra, i denti, il palato, il velo del palato. Secondo l'organo che serve ad articolare il suono, le consonanti si distinguono in: Tipo Consonanti labiali b, f, m, p, v dentali d, l, n, r, s, t, z palatali c, g (dolci) gutturali o velari c, g (dure), q Secondo la vibrazione o meno delle corde vocali, le consonanti si distinguono in: a. sorde: b, c, d, g, p, q, t; b. sonore: m, n, l, r, f, s, v, z. Secondo la qualità del suono, le consonanti sonore si possono suddividere in: o o o nasali: m, n; liquide: l, r; spiranti: f, v, s, z. 3 Le doppie Tutte le consonanti, eccetto l'h, possono trovarsi doppie nel mezzo di una parola. Il rafforzamento di q è cq: acqua, acquisto. Unica eccezione soqquadro. Per rafforzare i digrammi ch, ci si raddoppia solo la c: sacchi, acciaio, occhiali, cuccia. I digrammi gh, gi si rafforzano col raddoppio della sola g: agghiacciare, raggiro. I digrammi gn, sc e i trigrammi gli, sci non si possono raddoppiare, ma esprimono già di per sé una pronuncia rafforzata. Le consonanti g, z non si raddoppiano mai davanti alla terminazione -ione (stagione, azione). La consonante b non si raddoppia nelle terminazioni bile (automobile, contabile). Raddoppiano di regola la consonante iniziale (ad eccezione dell's impura) le parole che si compongono coi prefissi a, da, fra, ra, so, su, sopra, sovra, contra: ad esempio, accanto, davvero, frapporre, raccogliere, sommesso, sussulto, sopraggiungere, sovrapporre, contraffare. Mai invece raddoppia contro (controsenso). Consonanti doppie appaiono anche in composizioni del tipo: ebbene (e bene), oppure (o pure), suvvia (su via), diciannove, fabbisogno, fallo (fa lo). Le sillabe La sillaba è la minima unità fonetica che possa essere articolata e percepita acusticamente, in cui ogni parola può essere divisa. Una sillaba può essere formata da una vocale (a-mo-re), da un dittongo (uo-mo) o trittongo (a-iuo-la); oppure da vocale, dittongo, trittongo seguiti o preceduti da una consonante (sa-pe-re, pie-de, fi-gliuo-lo). A seconda del numero delle sillabe che la compongono, una parola può essere: monosillaba: se ha una sola sillaba (re, tu, mai, gas) bisillaba: se ne ha due (ca-ne, ma-re, spo-sa) trisillaba: se ne ha tre (bal-sa-mo, a-mo-re, do-lo-re) quadrisillaba: se ne ha quattro (dot-to-res-sa, gat-to-par-do) polisillaba: se ha un maggior numero di sillabe (pre-ci-pi-to-so) La divisione in sillabe ha assunto una particolare importanza per la divisione della parola nella scrittura e nella stampa in fine di rigo. Per la divisione in sillabe di una parola è necessario conoscere le seguenti regole: una consonante forma sillaba con la vocale seguente: ma-re, fe-de-le, di-so-no-re-vo-le; la combinazione consonante + l, r fa sillaba con la vocale seguente: a-cre, so-pra, sem-plice, ne-gli-gen-te (ma tim-bro, perché il gruppo mbr non può stare in principio di parola); le consonanti l, m, n, r seguite da altre fanno sillaba con la vocale precedente: al-be-ro, sempli-ce, pen-sie-ro, tor-ta; la s impura fa sillaba con le consonanti seguenti: pi-sta, fe-sta, na-stro, e-sclu-so, tra-spor-to; le consonanti doppie si dividono: tet-to, bal-la-re, bi-stec-ca, car-ro, sof-fit-to. Rientra in questo gruppo anche la consonante doppia cqu: ac-qua, ac-qui-sto, an-nac-qua-re; i digrammi, trigrammi, dittonghi e trittonghi restano indivisibili: so-gna-re, pa-sce-re, moglie, fa-scia-re, lo-zio-ne, fri-zio-ne, scien-za, sco-no-sciu-to, co-sciot-to; le vocali che formano iato si dividono: ma-e-stro, a-e-re-o, vio-li-no, ri-e-sa-me, e-te-re-o; l'apostrofo non può stare alla fine di una riga: que-st'al-be-ro, l'an-no scor-so, quel-l'uo-mo, tut-t'al-tro. L’accento Ogni parola ha una sillaba che è pronunciata con maggiore intensità di voce rispetto alle altre. Questo modo particolare di pronunciare tale sillaba si chiama accento tonico o più semplicemente accento.La sillaba su cui cade l'accento si chiama sillaba tonica, mentre le altre si chiamano sillabe atone. In base all'accento le parole si dividono in: Tronche: se l'accento cade sull'ultima sillaba (virtù, onestà) Piane: se l'accento cade sulla penultima sillaba (belléz-za, amó-re) Sdrucciole: se l'accento cade sulla terzultima sillaba (tà-vola, bellís-simo Bisdrucciole: se l'accento cade sulla quartultima sillaba (sù-perano, rè-citano L'accento è di tre specie: accento grave, che va da sinistra a destra, e si usa per i suoni aperti, e cioè sulle vocali a, e, o aperte: ad esempio, pietà, canapè, falò. accento acuto, che va da destra a sinistra, e si usa per i suoni chiusi, e cioè sulle vocali i, u, e, o chiusi: morí, Corfú, saldaménte, tócco. accento circonflesso, che si usa assai raramente, per indicare una sillaba contratta (tôrre per togliere; côrre per cogliere), oppure su certe i finali per indicare che una i è caduta: studî, ozî, spazî Alcune parole monosillabe non hanno accento proprio e si uniscono, nella pronuncia, alle parole che le precedono e sono perciò dette enclitiche (dimmi, sentilo, vacci), oppure che le seguono, e si chiamano proclitiche (un uomo, mi pare, ma bene, gli dico). Le enclitiche sono le particelle pronominali ( ? ) mi, ti, si, ci, vi, ne, ecc., quando, posposte alla parola dal cui accento dipendono, si uniscono a essa: ad esempio, pòrtami, màngialo, godèrsi. Le proclitiche sono gli articoli il, lo, la, gli, le; le particelle pronominali mi, ti, si, ci, vi, ne, ecc. e la preposizione di: ad esempio, il cane, le anitre, mi dai, ti dico, vi chiedo, di certo. L'accento tonico di solito non si segna; quando viene segnato prende il nome di accento grafico, che dovrà essere scritto così: sulle parole tronche che non siano monosillabe: ad esempio, virtù, bontà, sbocciò, finché; sui monosillabi con due vocali, di cui la seconda sia tonica: già, può, più (ma: qui, qua non si accentano mai); 5 su alcuni polisillabi omografi (cioè di eguale scrittura) che cambiano di significato col cambiare della sillaba tonica: ad esempio, àncora, ancóra; capitàno, càpitano; bàlia, balìa, ecc.; nelle voci dànno e détti del verbo dare, per distinguerle dai sostantivi danno e detti; su alcuni monosillabi per distinguerli da altri omografi. Monosillabo Tipologia Monosillabo Tipologia se Congiunzione sé pronome si Pronome sì avverbio affermativo ne pronome atono né congiunzione da Preposizione dà verbo dare di Preposizione dì giorno la articolo o pronome là avverbio di luogo li pronome personale lì avverbio di luogo e Congiunzione è verbo te Pronome tè bevanda che pronome e congiunzione ché congiunzione = perché I segni di interpunzione I segni d'interpunzione si adoperano per indicare le varie pause del discorso e per renderlo più chiaro e colorito.Essi sono: la virgola, il punto e virgola, i due punti, il punto (o "punto fermo"), il punto interrogativo, il punto esclamativo, i puntini sospensivi (o "punti sospensivi"), le virgolette, la lineetta, la parentesi, il tratto d'unione. La virgola (,) indica la pausa più breve fra due parole o fra due proposizioni. Allo scopo di evitare un suo uso troppo parsimonioso o eccessivamente abbondante, si tengano presenti alcune regole. La virgola si adopera: per separare un vocativo: ragazzi, siate buoni; nelle enumerazioni, dinanzi a ogni termine che non sia unito agli altri con una congiunzione, oppure quando le congiunzioni sono ripetute a ogni termine : ad esempio, Il panorama era bello, suggestivo, nuovo; Ieri in piazza vidi te, tuo padre, tua madre e tuo fratello; e corre, e si precipita, e vola; nelle apposizioni, negli incisi, nelle interiezioni: ad esempio, Roma, capitale d'Italia, è città antichissima; Il sole splende, nel vespero, con minor fiamma; Oh, potessi scrivere così bene!; dopo alcuni avverbi, quando hanno valore di un'intera proposizione: Sì, ho una buona speranza; No, non posso venire; Bene, verrò presto a trovarti. Il punto e virgola (;) indica una pausa più lunga della virgola e serve a separare due parti di uno stesso periodo o per segnare che tra due ordini di circostanze c'è una differenza o addirittura un'opposizione: ad esempio, Quando vidi che tutti mi fissavano, mi colse l'imbarazzo; tuttavia non mi persi di coraggio e risposi. I due punti (:) si adoperano: a) per introdurre una frase esplicativa: L'anima dell'astuto è come la serpe: liscia, lucente, lubrica e fredda (Tommaseo); b) quando si riportano parole o discorsi altrui. In questo caso, i due punti sono seguiti da una lineetta o da virgolette e dall'iniziale maiuscola: ad esempio, Il sapiente Socrate ebbe a dire: "Questo solamente io so, di non saper nulla". c) quando segue un elenco, una enumerazione: ad esempio, Le proposizioni subordinate possono essere di vario tipo: interrogative, oggettive, finali, ecc. Il punto fermo (.) segna la pausa più lunga e si adopera alla fine di un periodo: E' mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle (Pirandello). Il punto si pone anche al termine delle abbreviazioni (ecc., part., sm., avv.) o tra le lettere di una sigla (O.N.U., C.G.I.L.) e - in questo caso - l'ultimo punto non è seguito da lettera maiuscola. Il punto interrogativo (?) segna una frase interrogativa diretta (?). Se l'interrogazione è indiretta (?) non si pone il punto interrogativo: ad esempio, Cosa dice?; Dimmi cosa dice; Dimmi: Cosa dice?. Il terzo esempio indica una interrogazione diretta, dipendente da un verbo asseverativo (?). Se il punto interrogativo chiude un periodo, la parola seguente si scrive con la maiuscola; se invece si succedono più interrogazioni, dopo ogni punto interrogativo potrà seguire la lettera minuscola: ad esempio, Dove sei stato? Ti ho cercato tutto il giorno; Chi è stato? chi ha rotto il vetro?. Il punto esclamativo (!) si pone alla fine di una frase per esprimere stupore, meraviglia, dolore ovvero uno stato d'animo eccitato: Com'era bello!; Chi l'avrebbe sperato! Si pone anche nel mezzo della frase creando una pausa qualitativa: Quando ti vidi, ahime!, mi sentii mancare. Il punto esclamativo si pone anche tra parentesi dopo una frase o una parola riferite da altro autore, quasi come lapidario commento: La nostra proposta fu giudicata "paradossale" (!). Il punto misto (!?), formato dal segno esclamativo e da quello interrogativo, esprime sorpresa, meraviglia, incredulità: ad esempio, Ha mentito. Possibile!? La parola seguente si scrive con la maiuscola. I puntini sospensivi (...) indicano una interruzione del discorso, una pausa eloquente, una reticenza: Cominciò: se io... ma non finì; Non vorrei che...; Se posso... Se non le dispiace... (Pirandello); A buon intenditor... I puntini di sospensione si usano: 1) per preparare il lettore a una metafora ardita: ad esempio, Direi quasi che cantava... in punta di piedi; 2) per invitare il lettore a trarre le sue conclusioni al termine di un racconto o di un articolo; 3) all'inizio e alla fine di una citazione, al posto di quanto precede o di quanto segue: "...mi ritrovai per una selva oscura..." 4) alla fine di una serie per indicare che la serie stessa continua: Primo, secondo, terzo... Dopo i puntini si usa la maiuscola solo se essi indicano la fine di un periodo. Le virgolette («...» oppure "...") servono a racchiudere un discorso diretto, a mettere in rilievo una parola o un elemento della frase, oppure a introdurre una citazione: "In che posso ubbidirla?" disse don Rodrigo, piantandosi in piedi in mezzo alla sala (Manzoni). Considera che la parola "piano" può avere più significati. Cesare disse: "Il dado è tratto". La lineetta (-) sostituisce spesso le virgolette, specialmente nei dialoghi: Carlo disse: - Dove vai? E Giorgio rispose: - Vado a trovare un amico. 7 La parentesi tonda ( ) serve a racchiudere parole o proposizioni che non hanno una relazione necessaria con il resto del discorso. La parentesi è duplice: una di apertura e una di chiusura: ad esempio, Luigi (chi lo direbbe?) è stato promosso senza esame. Il trattino o tratto d'unione (-) serve a indicare al termine di una riga che la parola è spezzata e che continua nella riga seguente. Viene anche usato per congiungere i termini di parole composte: ad esempio l'accademia scientifico-letteraria, il confine italo-austriaco. L'asterisco (*) può servire come richiamo per le annotazioni a piè di pagina. Se l'asterisco viene ripetuto per tre volte, sostituisce un nome proprio di luogo o di persona che non si sa o che si vuole tacere : Il padre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant'anni (Manzoni). La partentesi quadra ([ ]) chiude parole estranee al testo, aggiunte per chiarimento : Quel grande [Petrarca] alla cui fama è angusto il mondo, per cui Laura ebbe in terra onor celesti (Alfieri).