organizzazioni criminali

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organizzazioni criminali
Giovanni Fàngani Nicastro
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Caratteristiche fondamentali delle organizzazioni criminali italiane presenti
in ambito nazionale e internazionale.
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1. Premessa
Nella nostra società, da più parti definita in continua evoluzione, tra le tante e le molteplici
minacce esistenti, il fenomeno dell’incremento delle organizzazioni criminali ha assunto
un’importanza sempre più rilevante. In particolare, negli ultimi decenni a causa del
dilagare di questa piaga, si è reso necessario per le forze di polizia nazionali e
internazionali uno studio scientifico del problema, secondo il più generale principio che
per combattere il nemico e soprattutto per sconfiggerlo bisogna conoscerlo bene. Così si
è proceduto prima a un’analisi dei singoli sodalizi delittuosi e successivamente a uno
studio comparato delle organizzazioni criminali esistenti sia nel territorio nazionale sia in
altre parti del mondo.
Nelle pagine che seguono verranno elencati i consessi criminali nella società consumistica
e verranno altresì indicate, in modo sintetico e senza pretese di esaustività, le
caratteristiche salienti delle dette organizzazioni limitatamente a quelle che hanno origine
nel territorio nazionale (denominazione, reclutamento, struttura organizzativa su base
territoriale), sì da porre il lettore nelle condizioni di conoscere, seppur sommariamente, il
nemico da combattere e sconfiggere.
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2. Mafia.
a. Denominazione.
Numerose sono le teorie sull’origine del termine mafia , ma la più attendibile sembra
quella che accosta la parola
in esame
a “mahais” che vuol dire baldanza, onore,
superiorità, eccellenza.
Alcuni studiosi ritengono, poi, che la parola derivi dalla lingua araba e precisamente dalla
locuzione “ma afir”, il nome di una famiglia dell’elite palermitana all’epoca della
dominazione musulmana in Sicilia; altri da quella francese e in particolare dall’espressione
“ma fille” riconducibile leggendariamente all’invocazione di una donna che vede la figlia
minorenne aggredita da uno dei soldati impegnati a sedare la rivolta dei “vespri siciliani”
nel XIII secolo.
C’è, ancora, chi collega il termine mafia a documenti medievali e chi stabilisce una
connivenza di essa con la “ Sacra Fema “ e con i “ Beati Paoli “.
Nel significato di malavita, per la prima volta la si incontra indirettamente in un rapporto
che il Procuratore Generale di Trapani invia al Ministero della Giustizia del Regno delle
due Sicilie in Napoli. Siamo nel 1838.
Poi, nel 1865, pare che si sia scritto su un arresto per un “ delitto di mafia” e che detta
locuzione appare sul rapporto che il Prefetto di Palermo Gualtiero invia al Ministero degli
Interni.
b. Organizzazione.
Come ogni aggregato umano anche questo - pur se non conforme ai principi legali
dell’ordinamento giuridico - ha bisogno di una organizzazione, per la sua esistenza, ossia
di un’insieme di regole che vanno dal “reclutamento” alle pene per coloro che violano le
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discipline imposte dal “sistema” e che sostanzialmente consentono ai componenti di
vivere “ordinatamente”.
Ciascun gruppo di mafiosi originariamente era denominato “cosca” che in gergo vuol dire
foglia di carciofo.
Un tempo, infatti, il carciofo rappresentava nei suoi due elementi essenziali del torso e
delle foglie, rispettivamente il capomandamento e le famiglie a lui sottoposte.
Oggi il termine allegorigo di cosca è stato sostituito da quelli più ricorrenti di famiglia,
società, associazione, organizzazione.
La famiglia è costituita dai garzoni, dai campieri e dai guardaspalle. Di solito i garzoni e i
campieri appartengono ai ceti sociali medi, mentre i guardaspalle sono dei bassifondi.
Il rapporto che lega il mafioso agli altri componenti della famiglia e la relazione
intercorrente tra questi ultimi può essere di parentela e di amicizia oppure di comparaggio
detto anche “S.Giovanni”.
Quest’ultimo tipo di unione, che viene determinata a seguito di battesimi, cresime e
testimonianze a matrimoni, nei corrispondenti riti religiosi della Chiesa cattolica, supera il
rapporto di amicizia e, a volte, lega oltre il vincolo di sangue.
Ogni famiglia elegge il proprio rappresentante che viene delegato tra l’altro a scegliere il
capo mandamento.
Il mandamento, che di massima opera a livello provinciale, infatti è costituito da un
gruppo di famiglie.
Ogni mandamento elegge, poi, il rappresentante provinciale che si avvale
nell’espletamento dei suoi compiti della collaborazione di un sottocapo. Vi è pure un
organo collegiale che è composto dai rappresentanti provinciali, dal sottocapo e da tre
consiglieri, e che ha la funzione primaria di coadiuvare il capo nelle decisioni importanti.
I mandamenti delegano un loro componente a rappresentarli al livello superiore che
corrisponde alla regione e contemporaneamente lo nominano membro della commissione
interprovinciale.
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L’unità operativa è costituita in seno al mandamento che seleziona alcuni tra i più validi
uomini d’onore delle singole famiglie e li riunisce in gruppi di fuoco.
I componenti di questi nuclei devono aver dato prova di coraggio e devono essere
uomini assolutamente fidati
poiché a loro è devoluto principalmente il compito di
eseguire gli omicidi deliberati dalla Commissione o Cupola, che riguardano o altri uomini
d’onore che hanno tradito l’organizzazione o che hanno violato regole di comportamento
in maniera grave e ripetuta, oppure magistrati, politici, appartenenti alle forze dell’ordine
che hanno ostacolato in maniera determinante l’attività criminosa dell’organizzazione
stessa.
Il gruppo di fuoco può anche eseguire autonomamente e senza ordini della Commisione
omicidi e azioni delittuose purchè agisca nell’ambito del proprio territorio e semprecchè
provveda ad informare tempestivamente la Commissione medesima.
L’organizzazione si fonda soprattutto sul rispetto della gerarchia e sulla segretezza delle
regole che la disciplinano. Entrarvi non è facile.
c. Reclutamento.
Così avremo delle norme sull’assunzione del soggetto che vengono definite riti di
iniziazione e che si presentano, a causa della loro stretta formalità, come dei veri e propri
rituali assimilabili a quelli sacrali di origine pagana e cristiana.
L’aspirante, trascorso un periodo minimo che può variare da uno a venti anni e durante il
quale deve fornire prova del proprio valore delittuoso e della propria indole criminale,
viene presentato a una riunione della famiglia.
Dalle ricerche effettuate la “cerimonia” più diffusa sarebbe quella secondo la quale,
innanzia agli astanti, l’adepto si porrebbe al centro della sala e alle sue spalle si
metterebbe colui che lo presenta; poi sceglierebbe un padrino che avrebbe il compito di
istruirlo sul significato dell’affiliazione; quindi verrebbe punto con un ago – custodito dal
garante – al dito indice della mano destra (se mancino della sinistra) e il sangue si farebbe
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gocciolare su di una immagginetta sacra che verrebbe accesa e fatta bruciare sulle mani
del neofita che direbbe: ““Comu a carta ti bruciu e comu a santa ti venneru; comu brucia
chista carta accussì aiu bruciari iu su tradisciu a famigghia.””che tradotto in lingua italiana
significa letteralmente :” Come la carta ti brucio e come la santa ti venero; come brucia
questa immagginetta così dovrò bruciare io se tradirò la famiglia.”
Le ceneri verrebbero poi disperse nell’aria e seguirebbero i rigorosi abbracci, baci e
complimenti per l’acquisizione del nuovo “cumpari”, “’mpari” o “frati” ( compare o
fratello).
Vi sarebbero anche altri rituali di reclutamento che sono sempre improntati a formule ben
precise e che a volte richiederebbero la recita di preghiere usuali come l’Ave Maria e il
Padre Nostro, e altri ancora che opererebbero una vera e propria congiunzione tra il
sacro e il profano sul piano formale, come ad esempio, quello dove l’aspirante al termine
delle preghiere dovrebbe pugnalare l’immagine di un Santo o del Crocefisso con la stessa
arma con la quale si è tagliato al polso per far fuoruscire il sangue.
Requisito ulteriore dell’ammittendo è che egli non deve essere macchiato di “delitti di
second’ordine” e deve essere persona “ virtuosa”, nel senso che deve essere esente da
vizi tipo il gioco, le donne, l’alcool, la droga etc..
Queste “virtù” assieme ad altri pregi dovranno essere mantenuti per tutta la vita del nuovo
componente che con il “giuramento” si è vincolato in maniera inscindibile con
l’organizzazione. Solo la morte naturale o determinata può sciogliere il legame tra il
membro e la famiglia per la cui esistenza sono necessarie altre regole.
d. Regole di condotta.
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Non sembra che fino ad oggi vi siano documenti attestanti l’esistenza di regole scritte che
disciplinano i rapporti in seno alle singole famiglie, tra le famiglie stesse e tra queste e i
gruppi di rango superiore, né tra ciascuno di questi e l’esterno; tuttavia è pacifico che le
relazioni tra gli associati e quelle tra questi ultimi e l’esterno si fondino su determinati
codici comportamentali che trovano la loro origine nelle tradizioni e nelle consuetudini. Le
norme più degne di considerazione sono la fedeltà all’organizzazzione, la fedeltà nei
confronti del coniuge, l’integrità della famiglia come nucleo legato dal coniugio, l’aiuto
reciproco tra associati per vendicare i torti subiti, l’omertà, la spartizione dei proventi dei
delitti secondo regole prefissate e in base al ruolo svolto e all’incarico ricoperto.
L’organizzazione, infatti, non può essere tradita per nessuna ragione come risulta del
resto dal rito di iniziazione. I pentiti e i collaboratori di giustizia sono considerati degli
infami, dei traditori e dei partigiani a tutti gli effetti. Ad esempio qualsiasi pentito, secondo
i mafiosi, non è realmente pentito ma svela solamente i crimini dei suoi nemici, tacendo i
misfatti di coloro che gli stanno a cuore.
La persona che non rispetta il legame di coniugio non può ritenersi virtuosa per cui
nell’ambiente ove è inserita non può essere ritenuta immune da vizi.
La famiglia nella comune accezione del termine deve essere formalmente educata
secondo i valori morali e religiosi. In tale contesto rientrano i concetti di fedeltà delle
mogli e alle mogli, l’intoccabilità e il rispetto delle persone anziane e dei bambini (regola
che in questi ultimi tempi è in desuetudine), l’essere esente da vizi tipo il gioco, l’alcool,
la droga e - come già menzionato – le donne intese nel senso lussurioso del termine.
Vi sono poi altre peculiarità come aiuto reciproco tra i familiari e gli associati,
specialmente in caso di bisogno; la vendetta e il mutuo soccorso per le offese ricevute;
l’omertà fino alla morte; l’incitazione all’uso della violenza.
Tipica dei nostri giorni è la partecipazione agli utili e ai guadagni in seno alle società
multinazionali, secondo regole interne stabilite di volta in volta dai capi.
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e. Le sanzioni.
Coloro che disubbidiscono o che violano le cosiddette norme di conmportamento sono
soggetti a pene che vanno dal semplice “consiglio” benevolo alla morte.
Il consiglio è una forma di minaccia blanda che qualora inefficace è seguita da “minacce”
vere e proprie che possono essere più o meno esplicite, ma sempre in un linguaggio
allegorigo e per metafora.
Succcessivamente se neppure le minacce sono state recepite si passa agli “avvertimenti
simbolici” che vengono attuati attraverso disegni o simboli raffiguranti croci con tavole o
con pietre, poligoni a forma di bara, la scrittura del nome dell’agenzia funebre del posto,
la scrittura della via o della contrada ove è ubicato il cimitero.
Poi vi sono le vie di fatto che rientrano sempre negli avvertimenti ma che incidono in
maniera considerevole sul patrimonio del ribelle. In questa categoria rientrano gli incendi
della porta d’ingresso dell’abitazione, del raccolto, delle coltivazioni, del fieno; la
distruzione dell’automobile o dell’autocarro o di altro mezzo di trasporto.
Seguono quindi, in caso di perseveranza nella trasgressione o nella disubbidienza, altri
segni palesi di minaccia di morte che si concretizzano facendo rinvenire al ribelle la testa
del suo cane o del suo gatto innanzi alla porta d’ingresso; la gallina o il coniglio con le
zampe rotte o altri animali domestici incaprettati nei pressi della sua abitazione. E’ anche
possibile che lo stesso ribelle venga gambizzato o sfregiato, o intenzionalmente fatrto
apparire bersaglio mancato.
La pena capitale, ossia la morte, ha - come la sanzione nel nostro diritto penale - la
duplice funzione di prevenzione particolare nei confronti del singolo trasgressore e di
prevenzione generale per tutti i consociati, ma al contrario del nostro ordinamento
giudiziario non conosce appello: è immediatamente esecutiva.
f. Il linguaggio.
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Il modo di esprimersi, come del resto quello di comportarsi, dei soggetti appartenenti
all’organizzazione è caratterizzato da un linguaggio verbale e gestuale che si esterna
mediante i doppi sensi, le metafore e alcuni termini dialettali, che se tradotti in lingua
italiana perderebbero tutto il loro significato.
Le parole e le frasi possono cambiare a seconda della provincia, della zona e della
località, tuttavia alcune espressioni e termini assumono significati generali e
onnicomprensibili nell’ambiente.
Per fare degli esempi:
“pizzu” è la tangente che viene imposta ai commercianti; “spacchiusu” è il pezzo da
novanta, la persona che comanda; “nfamiu, infami, tradituri, cascittuni” è colui che
collabora con la magistratura o con le forse dell’ordine; “pipa rossa” è il soggetto che
parla poco e di cui ci si può fidare; “stutari, ntuppari a ucca, ddummisciri” vuol dire
uccidere, (letteralmente: spegnere, tappare la bocca, addormentare); “scassapagghiara” è
il ladro che si dedica a furti insignificanti, che appunto scassa i depositi di paglia.
Nel mondo, secondo una classificazione attribuita allo scrittore Nino Martoglio di
Catania, poi ripresa e modificata da altri e traslata nel glossario mafioso, detto anche
“baccagghiu”, esistono- grosso modo- cinque categorie di persone : “l’ omini, i menzi
omini, l’ominicchi, i pigghianculo, i quaquaracqua”.
Queste espressioni indicherebbero -in diminuendo- la potenza del soggetto nella società:
una persona importante, che conta e che ha un peso determinante nella comunità è
considerata appartenere alla prima categoria: è “omo”; un soggetto stimato meno rientra
nella seconda specie, tra i “menzi omini” ossia tra coloro che hanno il 50% in meno
rispetto agli uomini; poi vi sono gli “ominicchi” che sono classificati come persone di
poco conto delle quali non ci si può fidare; quindi i “pigghianculo”che si identificano in
coloro che fanno sempre i sottomessi; infine i soggetti classificati “quaquaracqua” sono i
peggiori, con loro non bisogna parlare di nulla e di nessuno poiché non hanno
personalità, non sono uomini d’onore.
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Le minacce non vengono mai fatte in maniera esplicita, ma assumono sempre la forma di
consigli benevoli, specialmente all’orecchio di chi non conosce la realtà mafiosa.
Per fare qualche esempio:
anzicchè prospettare le lesioni personali a x, sarà preferibile chiedere a un suo parente:”x
sta bene in salute?” Alla risposta affermativa del parente si replicherà intimandogli: “… e
digli di conservarsi in buona salute!” Nel caso specifico l’informarsi sullo stato di salute,
in gergo, vuol dire che il minacciato ha compiuto qualche azione che non doveva fare e
l’intimazione successiva significa che se persisterà nel comportamento precedente
correrà il rischio di “ammalarsi”, se – invece – desisterà conserverà buona salute.
E, ancora: si dirà a un amico di non fare una determinata cosa perché altrimenti: “Don…
potrebbe dispiacersi e non sta bene che Don… si dispiaccia”, ossia un dato
comportamento potrebbe infastidire un personaggio importante e provocarne le ire
contro colui che ha attuato il comportamento scorretto.
Continuando: per richiedere la tangente a un commerciante gli si domanderà: “Lei è
assicurato?” … e poi in caso di risposta negativa: “ Le conviene assicurarsi perché in
giro c’è tanta gentaglia, gente cattiva sa, senza scrupoli con chi non è assicurato!”
Per concludere la breve disamina, vi sono determinati comportamenti che possono senza
ombra di dubbio definirsi più unici che rari, se non altro per la contraddizione palese che
esternano.
E’ il caso del killer che prima di commettere un omicidio importante si reca in chiesa a
pregare Dio affichè la “sua missione omicida” sia portata a compimento ottimamente e
senza intoppi.
Si nota una straordinaria capacità di conciliare il sacro con il profano.
3.Stidda .
a.Denominazione.
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Di recente istituzione l’associazione denominata “ stidda “ che vuol dire stella, nasce a
cavallo tra gli anni 80 e 90, a seguito delle divisioni, delle contese insolute e dei dissidi fra
cosche nelle zone dell’agrigentino, del nisseno e del palermitano.
Gli appartenenti a questa organizzazione criminale provengono per essersene dissociati
dagli altri sodalizi come la mafia e cosa nostra. Il loro segno distintivo è una stella che
esternano attraverso un tatuaggio visibile, di massima, sul dorso della mano destra.
b. Organizzazione e regole generali.
La struttura organizzativa, le regole essenziali sul reclutamento e sulla vita di questo
consesso criminoso, sono ricalcate da quelle della mafia e di cosa nostra .
Le differenze principali si possono riscontrare nelle norme meno restrittive per il
reclutamento e per l’appartenenza all’organizzazione.
Possono esservi ammesse infatti persone che hanno commesso reati minori e che non
hanno una condotta lineare nella vita sociale rispetto ai valori della famiglia e della morale
in genere.
Non viene operata, poi, una selezione sui precedenti penali e sul peso che il soggetto può
aver avuto o che ha nella comunità amministrativa dove vive; l’importante è che sia
capace di uccidere.
Altra differenza
fondamentale riguarda l’impiego dei minori degli anni 14 nella
commissione dei delitti, a causa della loro non imputabilità.
Gli appartenenti a questo sodalizio sono chiamati “stiddari” e si distinguono come già
accennato poiché sono eccessivamente sanguinari. Il reato che viene commesso con più
frequenza è appunto l’omicidio.
L’organizzazione è del tipo verticistico con a capo la “solita” commissione che ha
“giurisdizione” su gruppi con competenza provinciale detti “costellazioni”.
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c. Norme di comportamento e linguaggio.
Come per la struttura, l’organizzazione e le regole generali, la stidda mutua in gran parte
anche le norme di comportamento e il linguaggio da cosa nostra e dalla mafia dalle quali
appunto trae origine.
Recenti indagini hanno consentito di stabilire che gli stiddari adoperano un linguaggio
scritto in codice che reca le lettere dell’alfabeto greco e i caratteri steno impropriamente
usati.
Frequente è l’espressione “a morte” per indicare la condanna contro gli associati
disubbidienti o contro i personaggi da eliminare.
4.Camorra.
a. denominazione.
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La teoria più accreditata fa derivare il termine dalla medesima parola spagnola che vuol
dire contesa, diverbio.
Altri studi formulano diverse tesi sul significato della locuzione e affermano che in
particolare ha origine dall’arabo Kumar (gioco proibito ), dal napoletano “morra” ( gioco
d’azzardo ), dal sardo “ chamarra” (indumento d’abbigliamento per uomo che è simile a
una giacca corta e che veniva usato da mercenari, intorno al 1300).
Nel corso degli anni che vanno dal secolo scorso a oggi, varie sono state le
denominazioni e le dimensioni assunte dal consesso “ de quo “ .
Così vi sono state “ la bella società riformata “ dell’inizio 800 e quella della fine 800 /
inizio 900, “la nuova camorra organizzata “ nota anche come “n. c. o.” istituita da
Raffaele Cutolo a cavallo tra gli anni 70 e 80 ma che sembra abbia avuto vita breve, “ la
nuova famiglia” che pare sia quella presente oggi.
b. organizzazione.
Anche questo gruppo ha una organizzazione che però nel tempo si è manifestata in
maniera diversa a seconda del periodo e della denominazione.
Così per la “BELLA SOCIETA’ RIFORMATA” vigeva una struttura organizzativa
articolata su tre livelli e di tipo verticistico, che comprendeva uno “stato maggiore”, una
“società maggiore” e una “società minore”.
Lo stato maggiore era composto dal “capintesta” che ne era il capo assoluto, da “12
capintriti”che erano i capi dei dodici quartieri di Napoli, dal “contaiuolo” che ne era
l’economo, dai “capiparanza ” che sovraintendevano ai gruppi minori sottoposti ai
quartieri, dal “camorrista di giornata” che aveva il compito di controllare sulle varie
attività svolte durante il giorno dagli appartenenti all’organizzazione in seno al singolo
quartiere e di riferirne dettagliatamente al capintrito.
La società maggiore è invece costituita dai camorristi, mentre quella minore da tre
categorie di persone: “picciotti di sgarro”, “picciotti”, “picciotti onorati”.
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La “NUOVA CAMORRA ORGANIZZATA “ detta pure “N.C.O.” aveva una struttura
verticistica che era composta, dall’alto al basso, dai “capizona”, dagli “sgarristi”, dai
“santisti”, dai “fuochisti” e dai “picciotti”.
I documenti rinvenuti e le ricerche effettuate hanno altresì consentito di accertare che la
“NUOVA FAMIGLIA” che ha assunto il potere dopo la sconfitta della n.c.o. cutoliana,
è fondata, contrariamente alle precedenti organizzazioni criminali,
su una struttura
orizzontale mancante di un capo, anche se in alcuni scritti si legge che vi sarebbe un
“invisibile fratello che sovrintende a tutte le onorate famiglie che lavorano tutte su uno
stesso piano e in condizioni egalitarie”.
La “NUOVA FAMIGLIA” opera su tutto il territorio della regione amministrativa
Campania.
c. Reclutamento.
Il reclutamento era ed è un vero e proprio rito che trae origine da antiche cerimonie che
presentano caratteristiche pagane e cristiane, sacre e profane. Esso si distingue a seconda
dell’incarico ricoperto e
del periodo che si esamina. Sotto quest’ultimo aspetto
comprende quattro riti diversi corrispondenti alle denominazioni che l’organizzazione
criminale ha assunto nel tempo che va dall’inizio dello scorso secolo ad oggi.
Così si avrà il reclutamento per:
- “LA BELLA SOCIETA’ RIFORMATA INIZI ‘800”.
L’aspirante giovanotto onorato, dopo un periodo di tirocinio pratico con camorristi di
provata fedeltà, veniva presentato ai componenti del gruppo che si disponevano a
cerchio e che erano tutti armati di pugnale con punta acuminata e lama affilata. Il neofita
che era disarmato doveva afferrare con la mano sinistra una moneta da cinque grani,
posta al centro del cerchio; moneta che diventava il bersaglio per tutti i camorristi che
lanciavano il pugnale di cui erano armati. Spesso questa prova lasciava come segno
tangibile la ferita o le ferite prodotte dai pugnali. Quest’ultimo era un elemento di
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riconoscimento degli appartenenti alla camorra della bella società riformata degli inizi
‘800.
L’aspirante camorrista invece era sottoposto a un rituale diverso secondo il quale tutti i
camorristi della zona si riunivano attorno a un tavolo ove al centro vi erano un pugnale
con la punta acuminata, un bicchiere di vino avvelenato e una pistola carica con il colpo
in canna. A un certo momento, dopo aver pronunciato frasi prestabilite, il capintrito
impartiva l’ordine di tagliare, con il pugnale suddetto, una vena al polso sinistro
dell’aspirante e questi intingeva la mano nel proprio sangue, la distendeva sul tavolo in
direzione del capintrito e giurava fedeltà attraverso la prescritta formula. Quindi il neofita
per dimostrare il prorio coraggio impugnava la pistola con la mano destra e se la puntava
alla tempia corrispondente e, con la mano sinistra, accostava il bicchiere di vino
avvelenato alle labbra. Mentre stava per bere e contemporaneamente per sparare, il
capintrito, con mossa repentina, lo disarmava e toltogli il bicchiere dalla mano lo buttava
a terra. Subito dopo gli porgeva il pugnale, lo faceva inginocchiare e ordinava agli astanti
di riconoscerlo come appartenente all’organizzazione. I presenti tutti abbracciavano e
baciavano l’ormai neo-camorrista.
- “LA BELLA SOCIETA’ RIFORMATA FINE ‘800”.
Gli appartenenti all’organizzazione si disponevano a cerchio in piedi con le braccia
conserte, partendo da destra il capintrito costituiva l’inizio del cerchio e guardando verso
sinistra si vedevano in ordine gerarchico gli altri, mentre l’ultimo a sinistra era il
camorrista più giovane. Tutti rimanevano fermi fino a quando il componente reclutato per
ultimo, denominato “ultimo voto”, introduceva nel gruppo l’aspirante che umilmente
chiedeva, mediante una formula prestabilita, di entrare a far parte dell’organizzazione.
L’aspirante veniva allontanato e gli astanti chiuso il cerchio e si consultavano tra di loro,
emettendo, al termine, il responso. Se la votazione era stata positiva l’aspirante baciava la
mano ai picciotti ad uno ad uno, poi baciava gli altri astanti in bocca e il capintrito due
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volte. Seguiva la lettura del regolamento dell’organizzazione al quale il neofita giureva
osservanza, quindi tutti giocavano a carte e chiamavano al tavolo di gioco l’ormai neocamorrista.
- “LA NUOVA CAMORRA ORGANIZZATA”.
L’aspirante dopo un breve periodo di tirocinio durante il quale doveva dare prova della
sua bravura e ancorpiù della sua fedeltà, veniva chiamato alla cerimonia del cosiddetto
“battezzo”.
I camorristi si riunivano e sedevano attorno a un tavolo in numero dispari, lasciando
l’aspirante fuori. Nel caso si raggiungeva un numero pari si doveva poggiare sul tavolo un
fazzoletto annodato. Il capo della società iniziava la riunione e salutava tutti gli astanti
parlando con loro di qualche argomento riguardante l’organizzazione, poi pronunciava
alcune formule prestabilite esprimendosi talvolta in lingua spagnola, quindi annunciava la
votazione. All’esito positivo di quest’ultima aveva luogo il “battesimo”, quindi il neofita
baciava il capo sulla fronte e sulle guance e gli altri astanti, da sinistra verso destra, solo
sulle guance. Poi veniva a lui chiesto di scegliere un compare, con l’esclusione di Cutolo.
Scelto il compare, il battezzato ne incideva il polso sinistro e succhiava un po del sangue
che furiusciva dalla ferita, quindi pronunciava la rituale formula del giuramento: “Giuro di
essere fedele alla Nuova Camorra Organizzata, come la Nuova Camorra Organizzata è
fedele a me”. Concluso il giuramento, aveva termine la cerimonia con il neo-camorrista
che baciava nuovamente il capo in fronte e sulle guance e gli altri astanti -da destra verso
sinistra- solo sulle guance.
- “LA NUOVA FAMIGLIA”.
I camorristi si riuniscono e uno di loro presenta l’aspirante al gruppo. Dopo i
convenevoli e i saluti il neofita e colui che lo ha presentato si procurano vicendevolmente
due ferite al polso della mano sinistra, quindi si scambiano gocce di sangue che sgorga
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dalle ferite e si stringono i polsi uno contro l’altro. Poi l’aspirante pronuncia la formula
del giuramento: “In questa sacra giornata di umiltà giuro di essere fedele a questo patto di
sangue, di amicizia e di fratellanza e giuro che il sangue che esce da questa vena d’onore
entra in quest’altra vena che sarà pure d’onore. Prometto di condividere, nel bene e nel
male e fino alla tomba, centesimo per centesimo, millesimo per millesimo e ogni cosa,
con questo mio fratello di sangue. Il sangue ci unirà e ci chiamerà ogni volta che saremo
in difficoltà o separati perché lontani, fino alla morte che ci dividerà. Questo patto di
fratellanza e di fedeltà sarà come un lungo abbraccio che durerà per tutta la vita, fino
all’ultimo respiro”.
Terminato il giuramento si conclude la cerimonia e tutti i camorristi festeggiano con una
cena invitando al tavolo il nuovo appartenente all’organizzazione.
d. sistema sanzionatorio e organi giudicanti.
Le sanzioni per coloro i quali violano le regole comportamentali sono severissime e
giungono fino alla pena capitale, per quelli che si macchiano del tradimento.
Le violazioni più comuni in ordine crescente vengono denominate “trascuranza in bene”,
“trascuranza in malamente”, “tragedia” ,
“infamità” che viene punita con la morte
dell’”infame”, la distruzione del suo cadavere e - nei casi più gravi – con la successiva
uccisione dei suoi familiari e dei suoi amici più stretti.
Vi è poi “’O sfregio” è una sanzione che viene comminata a carico di chi è lievemente
sospettato di essere infame cioè di tradire l’organizzazione. Naturalmente quando il
sospetto non è confortato da riscontri obiettivi. Consiste nel ferire il presunto incolpato al
volto in maniera tale da provocargli uno sfregio permanente che avrà lo scopo principale
di punirlo e quello secondario di far conoscere a tutti coloro che lo vedono il sospetto
che lo ha gravato.
L’ organizzazione camorristica denominata la “BELLA SOCIETA’ RIFORMATA” in
entrambe le sue espressioni di inizio e fine ‘800 godeva
di un efficiente sistema
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sanzionatorio per coloro i quali violavano le norme riportate su “ ’o frieno” che sarebbe il
regolamento che era necessario appunto per quelli che erano privi del freno e quindi del
controllo. Questi venivano sottoposti a due gradi di giudizio:
. il primo grado era esercitato da consessi denominati “Mamme”, paragonabili ai nostri
Tribunali e aventi giurisdizione sui 12 quartieri in cui era divisa la città partenopea;
. in secondo grado giudicava un consiglio che aveva il nome di “Gran Mamma” che era
presieduta dal “capintesta” che nella circostanza veniva chiamato “mammasantissima”
. Quest’ultimo organo giudicante era assimilabile alla nostra Corte d’Appello.
Non è dato di conoscere con certezza e precisione la struttura giudicante della “NUOVA
FAMIGLIA”.
E’ possibile che essa sia stata attuata sulla falsariga di quella della “BELLA SOCIETA’
RIFORMATA” precedentemente descritta, ma non vi sono al momento riscontri obiettivi
al riguardo.
e. Regole comportamentali.
Anche la camorra ha avuto e ha delle regole di comportamento fondate tra l’altro
sull’omertà, sul mutuo soccorso, sulla fedeltà al sodalizio.
Dette norme di condotta trovano origine su quegli stessi valori morali che stanno alla base
dell’organizzazione mafiosa. La commistione tra il sacro e il profano, l’onore, l’aiuto
delle classi più deboli contro i sorprusi dei ricchi signorotti, erano gli elementi che
distinguevano la camorra di un tempo, di recente è stato rinvenuto un documento della
“NUOVA CAMORRA ORGANIZZATA” ideato e divulgato da Cutolo, detto anche “il
professore”, che lo volle come regola standard per ogni camorrista. Questo scritto, che
fornisce al lettore un’idea chiara e precisa delle norme di comportamento che il soggetto
appartenente all’organizzazione deve attuare, è denominato “IL PROCLAMA” e in esso
si legge:
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“”Un camorrista deve sempre agire con la mente e mai con il cuore. Egli deve ragionare e
pensare secondo le regole dei Cavalieri della Camorra, deve essere uomo d’onore, di
sani principi e di omertà, signore del bene, della pace e dell’umiltà, padrone della vita e
della morte. Deve essere poi convinto che anche la “legge” della camorra può essere delle
volte spietata non lo tradirà mai e gli sarà sempre fedele.””
Continua “il professore” nel suo “PROCLAMA”:
“Se fare del bene, aiutare i deboli, soccorrere i bisognosi e far rispettare i principi di
salvaguardia dei diritti umani che ogni giorno vengono calpestati dai ricchi che
commettono sorprusi; se riscattare la dignità di un popolo oppresso dai mali della società
e dagli abusi dei potenti; se desiderare intensamente un senso di autentica giustizia; se
tutto questo significa essere camorrista, allora ben mi sta questo attributo e sono
orgoglioso di esserlo.”
Cutolo nel suo documento giunge all’assurdo quando: “desiderando intensamente un
senso di autentica giustizia”, in buona sostanza combatte le Istituzioni e le Autorità
costituite.
Si è già visto che per coloro che non rispettavano i codici della camorra, erano previste
severe
sanzioni comminate da uffici giudicanti che assomigliavano a veri e propri
tribunali e vi era pure il Giudice di appello.
Come si è già detto che oggi, per quanto è dato di conoscere, fermi restando gli organi
“giudiziari” , vi sono le infrazioni che sono denominate “infamità” punita con la pena
capitale, “tragedia” e trascuranza “ punite con pene più lievi che vanno dal semplice
consiglio all’avvertimento e alle minacce.
f. Linguaggio e usi.
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Anche nella camorra il linguaggio assume un’importanza considerevole e viene adoperato
secondo regole e parole prestabilite che hanno un determinato significato e che si
differenziano a seconda della provincia o della località.
A titolo esemplificativo il linguaggio adottato dai camorristi in soggiorno obbligato presso
l’isola di Favignana, rappresenta una commistione tra mafia e camorra, tanto ciò è vero
che detto linguaggio è denominato “Baccaglio in serpentino”. Infatti “’u baccagghiu”
tradotto letteralmente “baccaglio” è il linguaggio adoperato dalla mafia, ma l’assurdo
vuole che i camorristi adottavano questo modo di parlare al fine di non farsi comprendere
dagli abitanti della zona. In buona sostanza esso consisteva nel prefissare tutte le parole
con il termine “codico”, in maniera tale da sviare la persona estranea che ascolta e da non
farle capire il discorso.
Per minacciare di morte una persona, ad esempio, si userà -in alcune zone- la frase: “…
nniente nniente che vulisse nu vestito ‘e lignamme?” che letteralmente vuol dire: “non è
che volete un vestito in legno?” volendo alludere alla cassa da morto.
La parola “Barattolo” sta a significare la tangente che i camorristi intascano sulle bisce di
Napoli e che si aggira intorno al 20% sugli incassi.
“Lo sbruffo” invece è la tangente che i camorristi riscuotono presso gli esercizi
commerciali in genere.
Altro vocabolo usato è “’a ricotta” che sta a significare il tenore di vita lussuoso di un
soggetto che però frequenta gente di malo affare e che serba una pessima condotta
morale. Questo vive con i proventi dei delitti e in particolare con le tangenti riscosse a
vario titolo.
“A ricotta” si ricollega alla parola “ricottaro”che vuol dire “magnaccia” ossia colui che
accompagna le prostitute sul “luogo di lavoro” e che riscuote da loro, al termine, i soldi
derivanti dall’illecita attività.
Esiste anche una tangente per i detenuti e questa è denominata “Olio della Madonna”.
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Ciò poichè originariamente, secondo un’antica usanza riconducibile al periodo della
dominazione spagnola, in ogni cella del carcere vi era una immagine della Madonna e un
lumino che per restare acceso necessitava dell’olio.
Ogni nuovo recluso era obbligato a versare una somma per “l’olio della Madonna”.
Oggi che l’uso dell’olio della Madonna non vige più, è rimasto quello secondo il
quale(quello che appare più verosimile) ogni nuovo detenuto deve versare una somma in
denaro per “l’olio della Madonna”, ma in realtà i soldi vengono impiegati per il
“sostentamento” dei familiari dei carcerati anziani.
I camorristi che sono svegli e preparati, che hanno dato prova del loro coraggio e della
loro fedeltà, che hanno servito umilmente l’organizzazione per più di trent’anni e che
hanno ucciso un agente di polizia oppure si sono distinti in diverse azioni di fuoco, ma
che tuttavia non sono ritenuti in grado di occupare posti di comando vengono insigniti di
una onirificenza denominata “Anello di Fuoco”. Con essa il camorrista viene considerato
e rispettato da tutti gli altri associati e testimonia appunto il suo attaccamento e la sua
fedeltà alla società.
L’onorificenza viene conferita nel corso di una cerimonia, secondo rigorose formule
rituali prestabilite, alla quale sono presenti tutti i camorristi della zona a cui l’interessato
appartiene e quelli delle altre zone. Vi è ovviamente il capo che la elargisce.
Oggi per “LA NUOVA FAMIGLIA”, che ha struttura federativa, pare che essa venga
conferita dal socio più anziano in nome del “fratello invisibile sovrano delle onorate
famiglie di fratellanza”.
Si è già scritto dello “Sfregio”che consiste nella ferita praticata al volto del sospettato
d’infamia, in maniera tale da lasciargli una cicatrice permanente.
In tempi passati vi era l’ulteriore usanza tra i camorristi di dotare di una somma di denaro
12 tra le ragazze più povere degli altrettanti quartieri nei quali era divisa Napoli. Il
beneficio era lasciato alla sorte, infatti avveniva un’estrazione ove erano state inserite le
giovani nubili più povere dei quartieri. La fortunata della zona riceveva insieme alle altre
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donne, dimoranti negli altri quartieri e che si trovavano nelle sue stesse condizioni la
somma, nel corso di una cerimonia che avveniva l’8 dicembre nel giorno dell’Immacolata
di ogni anno. La manifestazione, che era denominata “dote del capintesta”, aveva lo
scopo principale di rendere i camorristi popolari, di far comprendere a tutti la loro bontà
e il loro senso di generosità verso i deboli.
Ciò rientrava nel più ampio progetto secondo il quale il popolo doveva riconoscere come
capo il camorrista non solo temendolo perché spietato e determinato, ma anche
amandolo per i suoi nobili sentimenti di giustizia e di altruismo verso le classi meno
abbienti.
“A Zumpata” significa “la sfida” o “il duello” tra camorristi. Si divide in tre fasi. La
prima, detta “appiccico” consiste in una discussione che degenera in un litigio. Vi è
quindi un tentativo di conciliazione attuato da camorristi noti per la loro “saggezza” e per
il loro “buonsenso”. Detta fase viene denominata “ragionamento”. Fallito questo tentativo
formale, si chiede al capo l’autorizzazione al duello, quindi i due litiganti consumano
insieme una cena alla quale segue la sfida a duello, nell’oscurità
5. Ndrangheta.
a. denominazione.
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La “ndrangeta” ha origini antiche, in terra di Calabria, come del resto antico è il suo
stesso nome.
Secondo alcuni autori che sono i più accreditati, infatti,
il termine deriva
etimologicamente dalle due parole greche “andropos= uomo e agatos = buono”, sicchè
sostanzialmente vuol dire associazione di uomini buoni.
Del resto questa tesi è confortata dal fatto che anche le altre organizzazioni criminali sono
caratterizzate dalla bontà, dalla cavalleria, dal mutuo soccorso, dalla fedeltà e da altri
nobili sentimenti, almeno “ab origine “.
Per la prima volta si parla di questa associazione come organizzazione criminale, verso la
fine del 1800, in un rapporto dei Carabinieri, di stanza nella provincia di Reggio Calabria
e precisamente a Seminara.
Poi se ne fa menzione anche in un rapporto del Prefetto di Reggio Calabria, dr. Tamajo,
al Ministro dell’Interno, sempre nella stessa epoca.
Durante la vigenza della nuova camorra organizzata, una parte della ndrangeta, sulla
falsariga della “riforma cutoliana” cambiava denominazione in “Santa Violenta”. Ciò
avveniva sulla base di un verosimile accordo stipulato tra alcuni dei capi della ndrangheta,
non meglio individuati, e Raffaele Cutolo, in base al quale le due organizzazioni criminali
dovevano fornirsi reciproca assistenza e operare in osmosi per il raggiungimento degli
scopi comuni.
b. organizzazione.
Fin dalle sue origini la ‘ndrangheta presenta una organizzazione fondata prevalentemente
su base territoriale.
Contrariamente a ciò che è avvenuto per gli altri consessi delittuosi, per la ‘ndrangheta –
durante varie operazioni di polizia – sono stati rinvenuti e sequestrati numerosi documenti
che ne delineano la struttura organizzativa e le norme comportamentali, che sono ancora
allo studio degli esperti.
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Tuttavia unanimi sono i consensi sul fatto che essa non manifesta una struttura unitaria,
ma un insieme di associazioni indipendenti l’una dall’altra e aventi competenza su una
determinata parte di territorio.
Dette associazioni sono denominate cosche e fibbie o ndrine.
In seno a una tradizione che alcuni studiosi fanno risalire al secolo scorso, la ‘ndrangheta
viene rappresentata allegoricamente da un albero detto “albero della scienza” dove ogni
parte del vegetale corrisponde a una parte dell’organizzazione criminale.
Così al fusto che rappresenta la parte fondamentale dell’albero corrisponderà il capo
cosca o ndrina che è la mente dell’associazione e che impartisce ordini e direttive ai suoi
sottoposti sui quali ha potere di vita e di morte.
Al rifusto corrisponderà il vice-capo a cui sono affidati i compiti primari di collaborare
con il capo e di curare l’amministrazione del patrimonio della società.
Ai rami corrisponderanno gli ‘ndranghetisti ormai con svariati anni di attività alle spalle
che sono anziani del “mestiere” e che si suddividono sulla base dello specifico settore nel
quale operano nelle tre categorie: di sgarro, di sangue, di seta.
Si avranno coloro i quali hanno come compito primario quello di riscuotere le tangenti
che saranno denominati ‘ndranghetisti di sgarro poiché non accetteranno nessuna replica
e dovranno solo pretendere la riscossione del pizzo.
Vi saranno - poi - quelli, con funzioni di organizzazione di spedizioni punitive e di gruppi
di fuoco nonché della commissione di reati mediante violenza sulle persone e sulle cose,
che saranno chiamati ‘ndranghetisti di sangue.
Quindi si avranno gli ‘ndranghetisti di seta che saranno coloro ai quali è affidato il
delicato compito di condurre trattative, stipulare contratti e avere rapporti con le altre
organizzazioni e con l’esterno. Costoro dovranno perciò distinguersi per i modi raffinati e
diplomatici, paragonabili, per l’ appunto, al tessuto delicato per antonomasia cioè alla
seta.
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Continuando con le parti dell’albero: ai ramoscelli corrisponderanno coloro i quali sono
stati reclutati da poco tempo e, benchè già “picciotti”, sono ancora inesperti, deboli, in
via di formazione e abbisognevoli di essere seguiti dai più anziani rami.
Ai fiori saranno assimilati i giovani d’onore ovvero coloro che aspirano a diventare
picciotti.
Alle foglie corrispondono gli infami. Infatti coloro che tradiranno l’organizzazione
saranno uccisi e quindi faranno la stessa fine delle foglie dell’albero che una volta
staccate dai rami non hanno più vita.
Alla linfa, invece, sarà assimilata l’omertà. Quest’ultima invero costituisce la vita
dell’organizzazione allo stesso modo in cui la prima rappresenta l’alimento fondamentale
per il vegetale.
Alla base dell’albero viene posta una tomba che rappresenta “l’alloggio” per le foglie
ossia per coloro i quali non hanno rispettato il vincolo di omertà imposto
dall’associazione.
Ricerche recenti hanno consentito di stabilire inoltre che, durante l’alleanza con la nuova
camorra organizzata, la ‘ndrangheta -detta anche “santa violenta”- mutuando da
quest’ultimo consesso la struttura, era organizzativamente delineata su:
un capo santista con compiti di direzione, coordinamento e controllo, poteri decisionali
di vita e di morte sui sottoposti, decisioni ultime sugli omicidi eccellenti;
un sottocapo santista a destra con funzioni di collaborazione assoluta nei confronti del
capo;
un mastro di controllo a sinistra con compiti di cura e controllo dell’amministrazione del
patrimonio dell’organizzazione;
un gruppo armato distaccato in retroguardia, con funzioni di scorta e di esecuzione delle
azioni di fuoco e comunque dei reati di violenza.
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Queste notizie sono state attinte dal codice sequestrato al boss della ‘ndrangheta
Giuseppe Chilà rinvenuto nel covo presso il quale lo stesso Chilà, alleato con la nuova
camorra organizzata, venne catturato nel 1987.
La ‘ndrangheta, dalle risultanze dei documenti, all’epoca era denominata “santa violenta”
e mutuava il sistema organizzativo in parte dalla n.c.o..
All’inizio degli anni ’90 la ‘ndrangheta era costituita principalmente da due “correnti”: una
della pianura e una della montagna. Esse avevano un organigramma articolato con molta
probabilità nel seguente modo.
La prima si estendeva nel territorio di Gioia Tauro, la seconda in quello di Platì.
Per entrambe vi erano le cosche, i locali, le ‘ndrine, la società maggiore e la società
minore.
La società maggiore comprendeva due gradi uno dei capi e dei mastri, l’altro dei fiori o
dei doti.
Essa era articolata su un “capo locale” e un “capo società” che avevano rispettivamente
compiti di direzione e di coordinamento di tutta l’attività delittuosa e di principale
collaboratore del capo. Tutti gli appartenenti alla società dovevano rispetto assoluto al
capo che a sua volta aveva potere di vita e di morte su ognuno.
Vi era poi il “mastro di buon ordine” che era una specie di giudice conciliatore e
interveniva ogni qualvolta si presentava all’interno della società un dissidio o una
controversia. Il suo compito era per l’appunto quello di far riconciliare i litiganti, senza
traumi.
Quindi vi era un “amministratore” che curava la contabilità, le entrate e le uscite, i sussidi
e il sostentamento alle famiglie dei carcerati.
Poi vi era il “mastro di giornata” che si identificava nel capo che a turno aveva il compito
di disciplinare l’andamento della società nella giornata, di riferire ai superiori le novità
quotidiane e di costituire il punto di riferimento per eventuali difficoltà dei sottoposti.
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Immediatamente dopo vi era il secondo grado della società che comprendeva i livelli ai
quali potevano accedere soltanto i “capi-doti o fiori” e che erano denominati “primi
livelli”, poi vi erano i cosiddetti “trequartini” che potevano conoscere i tre quarti delle
vicende della società.
A costoro in sostanza era vietato un accesso completo ai dati sociali ed era a loro
permesso di conoscere certe questioni, le più semplici, e non altre più delicate e
complesse.
Una figura particolare era quella del “vangelista” che aveva il compito di custodire
gelosamente il “vangelo” che -come è stato detto- era il codice della ‘ndrangheta e veniva
usato nelle cerimonie di iniziazione e di promozione delle quali comprendeva le formule
rituali. Questo era un uomo di tutto rispetto e rigorosamente fedele all’organizzazione,
anche se non ancora di grado elevato.
Vi era quindi il “santista” che aveva il compito di filtrare le richieste di reclutamento e di
assumere dettagliate informazioni sulla provenienza e sulla condotta degli aspiranti.
Infine vi erano gli “’ndranghetisti di sgarro” e gli “’ngranghetisti semplici”.
Gli uni rappresentavano il primo anello della struttura operativa ed erano a capo di un
gruppo di fuoco che aveva compiti di esecuzioni eccellenti all’interno e all’esterno
dell’organizzazione.
Gli altri erano al primo gradino della scala gerarchica della società maggiore e avevano
svariati e numerosi compiti nell’ambito operativo.
Per la “società minore” l’artic olazione era più semplice e comprendeva cinque gradini.
Tre con funzioni intermedie e due con compiti esecutivi.
Vi era il “capo giovane” che impartiva ordini e direttive ai suoi sottosposti e ne riferiva i
risultati al mastro di giornata.
Era coadiuvato dal “puntaiolo” che aveva funzioni di vice e di guardaspalle anche perchè
si era distinto precedentemente per le sue qualità in azioni di fuoco e di violenza.
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Poi vi era il “picciotto di giornata” che era il membro della società a cui veniva affidato un
determinato incarico che doveva portare a termine nell’arco della giornata.
Nell’ambito dell’attività esecutiva erano compresi i “picciotti di sgarro” e i “picciotti
lisci”. I primi erano coloro i quali si erano distinti vincendo una lite con persone che
volevano ostacolare la società. I secondi, detti anche “uccelli di primo volo”, sono
giovani da poco reclutati che cominciano la formazione criminale.
c. Reclutamento.
Il reclutamento avviene, come visto per le altre organizzazioni, secondo un rituale
prestabilito e più rigido di quelli gia descritti; rituale che viene ripetuto per ogni
“promozione” e che ha inizio con il “battesimo”, che può avvenire dall’età di 14 anni.
Con tale rito l’aspirante entra a far parte della ‘ndrangheta con l’appellativo di
“picciotto”.
Il battesimo, così denominato perché come con il battesimo nella religione cristiana il
bimbo entra a far parte della Chiesa, parimenti l’aspirante diventa parte
dell’organizzazione criminale, sarà celebrato in un posto isolato – preferibilmente una
caverna in montagna – alla presenza del numero minimo di cinque picciotti più il
celebrante che sarà uno ‘ndranghetista anziano.
Il rito inizia con le domande del celebrante sulla possibilità di dar luogo alla cerimonia.
Ottenuta risposta positiva l’anziano, con “il Vangelo” in mano, ammonisce i presenti
sull’importanza del rito e intima loro di assumere la posizione prevista con le braccia
conserte.
Il cosiddetto Vangelo non è quello usato per le celebrazioni cristiane nella Chiesa
cattolica, ma è un libro dove sono scritte le regole e i rituali dell’organizzazione criminale.
Quindi pronuncia le prescritte frasi:
“Battezzo questo locale santo, sacro e inviolabile nella stessa maniera nella quale lo hanno
battezzato i nostri avi dai quali noi discendiamo i cavalieri spagnoli Osso, Matrosso e
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Carcagnosso, e se un tempo questo luogo era un posto comune da questo momento
diventerà un luogo santo, sacro e inviolabile. Se qualcuno non lo riconoscerà come tale
ne pagherà le conseguenze con cinque zaccagnate nella spina dorsale come è
scritto sulla regola sociale.”
Al termine di questa locuzione l’aspirante verrà sottoposto a delle prove che serviranno a
mostrare agli astanti il suo coraggio.
In alcune zone della Calabria la prova consiste nel procurarsi una ferita da taglio con un
pugnale sul palmo della mano sinistra che costituirà in futuro un segno di riconoscimento.
Parimenti saranno segno distintivo i cinque nomi che verranno imposti al neofita.
La cerimonia si ripeterà ogni volta in un luogo diverso per le future promozioni fino a
quella a ‘ndranghetista anziano e, in tale occasione, la celebrazione sarà presieduta dal più
anziano degli appartenti all’organizzazione o dal capo in persona.
In ogni circostanza il promovendo dovrà dare prova del proprio coraggio, della propria
fedeltà all’organizzazione e della propria devozione nei confronti del capo e della società
tutta.
Oltre al battesimo vi sono altri riti sempre caratterizzati da analogie con quelli della chiesa
cattolica e dalla sovente ricorrenza di croci, immagini di santi e preghiere.
Una regola che si osserva in ogni rituale pare che sia quella secondo la quale l’aspirante
debba sempre conoscere i gradi inferiori al suo ma non quelli superiori, nel senso che
esso può avere rapporti con i sottoposti, ma non con i sovraordinati dai quali riverà
soltanto ordini. Sembra che questo uso riporti al significato dell’obbedienza che oltre alla
fedeltà, all’omertà e al coraggio, è elemento caratterizzante ogni organizzazione criminale.
Una cerimonia particolare – è stato scoperto – si avrà in occasione della promozione a
‘ndranghetista anziano.
In questa circostanza fermi restando i luoghi e il celebrante che sarà impersonato dal
capo o dal vice, il rituale sarà diverso. Il neofita, dopo la pronuncia di una preghiera
purificatrice, porgerà la mano sinistra al celebrante con il dorso verso terra. Questo gli
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afferrerà il polso prima e il dito pollice dopo, quindi inciderà la faccia del dito, con la
punta di un pugnale, in modo tale da disegnare due croci. Il sangue che gocciolerà verrà
raccolto in un bicchiere. Poi il celebrante brucerà una immaginetta di San Michele
Arcangelo e ne raccoglierà la cenere in un altro bicchiere.
Questa cenere verrà quindi sparsa sulla ferita procurata prima al neo ‘ndranghetista
anziano che abbraccerà e bacerà per due volte tutti gli astanti e, per quattro volte, il
celebrante.
d. regole di condotta.
Numerosi sono stati i codici sequestrati e/o rinvenuti nei covi della ‘ndrangheta. Ragione
per la quale vi è eterogeneità di vedute sulle norme di vita della ‘ndrangheta.
Il primo venne trovato in San Luca (RC) dal maresciallo dei carabinieri Giuseppe
Delfino, detto “massaru Peppe” e comandante della Stazione Carabinieri di Platì, in
occasione della cattura di un latitante in una caverna di montagna.
Gli altri quindici (circa) negli anni a venire fino ai nostri giorni sono stati sequestrati o
rinvenuti, nel corso di operazioni di polizia, dalle forze dell’ordine in svariate zone della
Calabria.
Dallo studio di detti documenti sono emersi alcuni caratteri che di seguito verranno
descritti e che distinguono il consesso crimonale di cui si scrive dagli altri.
La differenza fondamentale tra la ‘ndrangheta e le altre organizzazioni criminali sino ad
ora esaminate consiste nel fatto che in seno ad essa assume determinante rilievo la zona
geografica dove la cosca o la ‘ndrina opera.
Infatti se per la mafia e la camorra i luoghi geograficamente intesi erano un elemento di
minima differenziazione esistendo delle regole unitarie comuni a tutti, per la ‘ndrangheta
essi rappresentano il fondamento dell'organizzazione.
Il vincolo di sangue è il solo legame che unisce gli appartenti alla ‘ndrangheta.
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I valori e le tradizioni della famiglia intesa nel senso comune del termine sono i capisaldi
del consesso e la donna ne è la naturale depositaria.
Il
suo
ruolo
assume
una
fondamentale
importanza
nei
molteplici
campi
dell’organizzazione.
Alla donna sono devoluti nei casi più delicati la funzione di fornire il supporto logistico e
il compito di curare i rapporti coi latitanti. Lei raggiunge il suo massimo grado in seno alla
‘ndrangheta con la denominazione di “sorella di omertà” che sta a significare appunto il
legame familiare tra la donna e il consesso stesso che non ammette tradimenti
nell’obbligato e assoluto silenzio sui fatti interni ed esterni della organizzazione.
L’unica deroga a tale regola è la “faida” che consiste in un contrasto all'ultimo sangue tra
famiglie e/o all’interno della stessa famiglia. Esso si spinge fino all’eliminazione fisica
degli appartenenti al nucleo familiare o interfamiliare ed è caratterizzato da atti di estrema
ferocia e distruzione. Non vengono risparmiati neanche gli omicidi di donne, vecchi e
bambini.
Gli appartenenti alla "ndrina" sono organizzati in maniera particolare rispetto alle altre
associazioni criminali, soprattutto per quanto attiene ai rituali. Tante sono le differenze ma
ve ne sono alcune più rilevanti e degne di considerazione. Ad esempio gli associati si
riuniscono per assumere decisioni relative alla vita dell'organizzazione soltanto nella
giornata di sabato e in un determinato orario che varia a seconda delle stagioni dell'anno.
Orientativamente l'assemblea ha luogo dopo il tramonto, con il favore delle tenebre. Il
rituale prevede tra l'altro che tutti gli appartenenti alla "ndrina" si dispongano, in un luogo
predeterminato e purificato dal "capobastone", a forma di cerchio, in piedi, e assumano
la posizione di braccia conserte. A questo punto su ordine del maestro di giornata il più
giovane degli associati ritira tutte le armi e le consegna a lui. Ultimata tale operazione che
viene definita "pulciata" la riunione ha inizio. Alla conclusione della seduta il maestro di
giornata provvede a far riconsegnare le armi agli associati (spulciata) che
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successivamente si recano a una cena. Ciò è segno di consolidamento ulteriore che
quanto deciso sarà senz'altro attuato.
Nell'ambito delle "ndrine" cui si è già fatto cenno, vi sono degli amministratori contabili
che attraverso un "libro mastro" gestiscono le entrate e le uscite dell'illecita
organizzazione. In particolare i suddetti dopo aver raccolto tutti i proventi in un fondo
comune denominato "bacinella", si occupano del riciclaggio del denaro proveniente dalla
attività criminali, del finanziamento per i futuri "lavori" del consesso, delle "paghe" per gli
associati, del pagamento dei difensori dei detenuti e del mantenimento delle loro famiglie.
Il contabile costituisce anche una riserva nel fondo comune per eventuali ulteriori bisogni.
e. Sanzioni e simboli.
Naturalmente anche in questa come nelle altre organizzazioni criminali chi non rispetta le
regole e le norme di comportameto viene punito. E contrariamente al nostro sistema
sanzionatorio dove la pena ha la funzione di emenda, in quello della "ndrangheta" essa è
intesa solo ed esclusivamente come vendetta nei confronti di colui che ha "sgarrato". E'
ovvio che la pena anche se con funzione vendicativa, si prefigge nel contempo fini di
prevenzione generale ovvero lo scopo preciso di scoraggiare quanti vogliano disubbidire
ai capi o comunque non rispettare le regole.
Il potere punitivo è devoluto alle "ndrine"che lo esercitano attraverso i loro organi
giudicanti che sono denominati (sic!) tribunali composti da un associato anziano che lo
presiede e da altri due più giovani che lo affiancano. Vi è poi il "giudice" dell'esecuzione
che fa parte del tribunale e che si serve di un puntaiolo che è il materiale esecutore della
pena.
Le pene più miti, comminate per le mancanze più lievi, consistono nelle coltellate alla
schiena che vengono inferte dal puntaiolo al condannato. Quest'ultimo durante
l'esecuzione deve stare in posizione eretta e alla presenza di tutti gli associati disponibili,
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in modo da fungere da esempio. Le ferite non debbono essere letali, in quanto hanno la
funzione di punire il colpevole in maniera blanda.
Seguono poi le violazioni più gravi che invece vengono punite con la pena capitale. Esse
si individuano nella "diffidenza" che consiste nel non riporre fiducia verso i capi o gli altri
associati; nell'"abbandono" che significa l'allontanamento dalle riunioni per dissenso su
quanto deciso e nella conseguente assenza alla successive cene; nella "carognità" che
vuol dire macchiarsi di un tradimento così grave da far sì che il colpevole sia assimilabile
a una carogna; nella "connivenza con gli sbirri" che consiste nel collaborare con la
magistratura o con le forze di polizia.
Nella fase esecutiva a ogni condanna alla pena capitale corrisponderà un modo diverso di
attuazione, a seconda della regola violata e della maniera nella quale è stata violata. A ogni
tipo di morte, che comunque sarà violenta, sarà additato un significato che prima
capivano soltanto gli altri consociati, mentre oggi anche gli estranei all'organizzazione
comprendono.
Così la morte mediante sevizie indica una condanna per una questione di tradimenti
attinenti all'onore della famiglia nella comune accezione del termine. L'esecuzione capitale
per mezzo di asfissia con sassi e terra significa che il condannato era in vita un delatore.
La morte con fucilata alla schiena è riservata ai traditori che in vita hanno fatto il doppio
gioco, tentando di restare nell'ombra, e che dovranno morire senza sapere, né guardare
chi li uccide. La morte per impiccagione vuol dire che l'impiccato in vita era stato un
vigliacco, un codardo. La strage simboleggia la necessità di sterminio senza pietà contro
chi si è reso responsabile di gravi colpe quali la collaborazione con gli organi giudiziari o
di polizia. La strage può essere applicata nei confronti dei familiari stretti e dei parenti del
collaboratore, ovvero di intere "famiglie" che per varie ragioni sono da ritenersi rivali.
Vi sono ulteriori simboli che rafforzano i significati delle condanne e che vanno oltre la
morte violenta. Così in alcune circostanze i carnefici sono soliti infierire sul cadavere
ormai sepolto che viene dissotterrato, evirato e i suoi organi genitali gli vengono sistemati
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nella bocca. Questo macabro rituale sta a significare che il cadavere, in vita aveva
disubbidito agli ordini del capo supremo.
f. Linguaggio.
Parimenti alle altre organizazioni criminali gli appartenenti alla 'ndrangheta parlano un
linguaggio convenzionale prestabilito, ovviamente nel dialetto calabrese che in questo
scritto verrà tradotto in lingua italiana. Si è già visto che nelle cerimonie di iniziazione e in
altri rituali vengono adottate delle parole e dei gesti predeterminati. Ci si limiterà a
descrivere alcune espressioni usate dagli associati in determinate circostanze che pure
verranno descritte o ricordate, anche perché dalle ricerche effettuate e dai documenti
consultati sino ad oggi non sono risultati ulteriori dati.
Vi sono così delle formule previste per l'inizio di una riunione di 'ndrina di cui si è scritto
prima. Dopo la già vista purificazione del luogo e la successiva consegna delle armi, il
capobastone dice: "Santa sera a tutti li santisti!" Gli altri rispondono: " Santa sera!" Il
capobastone domanda: "Siete tutti pronti a sformare la Santa?" Gli altri: "Siamo
prontissimi!" Il capobastone: "In questa notte di luce santa, sotto l'illuminazione delle
stelle e la protezione dello splendore della luna, viene sformata la Santa Corona, dal
capobastone, dal capo santista, maestro di controllo e scorta distaccata." Dopo si passa
a discutere dei problemi all'ordine del giorno.
Si è visto prima che vi sono anche delle parole prestabilite per i riti di iniziazione e in
particolare per le formule dei giuramenti che in alcune 'ndrine assumono le diverse
denominazioni di "fedeltà", del "veleno", degli "affiliati".
Il giuramento della fedeltà prevede la recita della formula seguente che tradotta in lingua
italiana si leggerà:
"Giuro su quest'arma e di fronte a questi nuovi fratelli di Santa di rinnegare la società di
sgarroe qualsiasi altra organizzazione, associazione e gruppo e di fare parte della Santa
Corona e di dividere con questi nuovi fratelli di Santa la vita e la morte nel nome dei
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cavalieri Osso, Mastrosso e Carcagnosso. E se io dovessi tradire dovrei trovare nello
stesso momento dell'infamia la morte."
La formula del giuramento del veleno si recita così:
" Giuro a nome della Santa Corona e di fronte a questi fratelli di Santa, di portare sempre
con me questa bottiglietta di veleno e di non separarmene mai, perché se per caso
disgraziato o per qualsiasi altro motivo, dovessi macchiarmi dell'infamia di tradire uno
solo di questi fratelli di Santa, con le mie stesse mani prenderei la bottiglietta e berrei il
veleno così da morire subito come è giusto per ogni traditore."
Il giuramento degli affiliati:
" Vi impongo, a nome degli anziani antenati nobili conti di Russia e cavalieri di Spagna
che hanno patito ventinove anni di ferri e di catene Osso Mastrosso e Carcagnosso, di
consegnare se ne avete tutte le armature bianche e al pari tutte le armature nere. Se le
avete e non le consegnerete subito, quando verranno trovate con queste stesse armature
sarete praticati."
Vi sono ancora espressioni come "il giudice supremo" per indicare il capo, "la santa
riunione" per indicare il consiglio della 'ndrina, "il nostro santo cristo" per indicare il
primo santista che secondo la tradizione è nato il 25 dicembre poiché in tale data gli è
stata incisa la croce sulla spalla sinistra.
Anche in questa organizzazione criminale come in quella della mafia si riscontra una
straordinaria capacità di confondere il sacro col profano.
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6.Sacra Corona Unita.
a.denominazione.
Varie sono le teorie sull'elemento onomastico dell'organizzazione criminale in esame che
certamente ha origini recenti.
La sua nascita infatti viene collocata intorno all'inizio degli anni '80 e pare che sia stata
dettata dalla necessità di porre fine ai sorprusi della camorra, nelle sue espressioni della
n.c.o. prima e della nuova famiglia dopo, nelle strutture carcerarie del sud-Italia.
La sacra corona unita perlopiù opera geograficamente nel territorio della regione
amministrativa Puglia e nel complesso riunisce caratteri della camorra e della 'ndrangheta.
Alcuni ritengono che si chiami "Sacra Corona Unita" poiché da una divisione delle parole
risulta che essa è Sacra in quanto nel momento in cui i consociati si riuniscono per
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l'iniziazione dell'adepto, il capo consacra e battezza, come fa il prete sull'altare nel rito
religioso cristiano del battesimo; Corona perché l'organizzazione è come la corona del
S.Rosario usata in chiesa per recitare le orazioni della via Crucis, che rappresenta
allegoricamente il cammino degli associati; Unita in quanto come nella corona predetta un
chicco è legato a un altro, così gli appartenenti all'organizzazione devono essere uniti l'un
l'altro in modo da non spezzare la corona stessa.
Altri affermano il nome deriva dall'appellativo che era solito darsi ai sovrani borboni
intorno alla prima metà del 1800 nelle petizioni, negli atti ufficiali e di persona.
Considerando che la stessa riverenza dovuta dai sudditi al sovrano, spetti
all'organizzazione criminale da parte dei cittadini ad essa soggetti.
Più accreditata appare la prima ipotesi suffragata anche dalle connessioni tra le
caratteristiche molto vicine anche geograficamente alla 'ndrangheta e alla camorra.
Dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dai riscontri effettuati anche mediante il
rinvenimento di materiale cartaceo, sembra che la s.c.u. sia nata - come già detto - nelle
carceri e precisamente nelle galere della Puglia, per porre fine al dominio indiscusso che
in questi istituti aveva la camorra. Siamo intorno al 1983.
b. reclutamento.
Come per alcune cerimonie della 'ndrangheta, anche nella s.c.u. il giuramento
dell'aspirante appartenente all'organizzazione criminale si terrà nella giornata di sabato e
dovrà essere svolto alla presenza di appartenenti che complessivamente dovranno
raggiungere sempre un numero dispari.
La seduta, che normalmente avrà luogo in carcere, sarà presieduta da un "Capintesta" e vi
parteciperanno necessariamente un "maestro di tirata", un "appartenente sfavorevole" con
veste di avvocato del diavolo e un "appartenente favorevole".
Il maestro di tirata purifica la cella e pronuncia delle formule prestabilite, qundi cede la
parola all'aspirante il quale recita il giuramento:
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"Giuro di essere fedele a questi uomini attivi, liberi, franchi e affermativi che sono riuniti
in questo corpo di società. Giuro ancora di dividere con costoro centesimo per
centesimo, millesimo per millesimo e ogni cosa, allo stesso modo in cui fecero i nostri tre
anziani e giusti ispiratori Osso, Mastrosso e Carcagnosso, fino all'ultima goccia di sangue
con un piede nella fossa e l'altro alla catena per dare un forte abbraccio alla galera."
Al termine del giuramento il maestro di tirata narra un episodio della sua vita criminale e
mentre fa ciò afferra l'adepto per il polso sinistro, quindi con la punta di un coltello gli
pratica una ferita all'avambraccio. Il sangue che furiesce dalla ferita sarà bevuto
dall'aspirante.
Il membro favorevole, poi, esalta le capacità criminali dell'ammittendo e narra alcuni reati
dei quali è stato partecipe.
Il componente sfavorevole, invece, cercherà i cavilli nel racconto del favorevole.
L'adepto, infine, narra un episodio della sua vita criminale enfatizzandone i fatti più
significativi.
Detto racconto viene denominato "la tirata".
La cerimonia dell'iniziazione si conclude con il cosiddetto "affidamento" che consiste
nell'affidare - appunto - il neofita al padrino, un anziano appartenente all'organizzazione,
che oltre alle "naturali" funzioni (per un padrino s'intende!) di seguirlo, di consigliarlo e di
indirizzarlo nelle vicende della vita criminale, avrà il compito di ucciderlo nei casi di
disobbedienza, infedeltà, tradimento, collaborazione con giudici e poliziotti.
Ogni promozione sarà caratterizzata da cerimonie con riti differenti. Dato comune a tutte
le promozioni è quello che verranno comunicate nel giorno di venerdì in maniera tale che
saranno possib ili i preparativi per la cerimonia che - come detto - dovrà celebrarsi nel
giorno di sabato.
La formula con la quale si vine promossi al grado di camorrista recita:
"Questa mattina, sotto la responsabilità e alle fedeli dipendenze del capo contabile vengo
a rilasciare a xy questa terza votazione di camorra che si è distinto portando a termione
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l'operazione a carico di kj. Rilascio questo attestato allo stesso modo in cui lo
rilasciarono i tre nostri venerabili anziani fiondatori della camorra conte Ugolino,
fiorentino di Russia e cavaliere di Spagna. E se loro lo rilasciarono con mente, favella e
serietà, io lo rilascio con stima onore e fedeltà a te xy. A nome di sorella omertà che mai
lascerai a te xy questa terza votazione di camorra viene rilasciata."
c. organizzazione.
La sacra corona unita si presenta come un'associazione con scopi fondamentalmente
sanguinari.
Essa è formata da gangasters riuniti in gruppi la cui coalizione da luogo all'organizzazione
globalmente intesa.
Nonostante questa apparente struttura federalistica, il consesso è organizzato
gerarchicamente in senso verticale.
Vi è un capo denominato "vecchio", "dio" o "nonno", e vi sono poi - in senso
discendente - gli altri gradi ossia "crimine", "tre quartini", "vangelo", "santa", "sgarro o
dispari", "camorrista" e "picciotto" o "fiore della camorra".
Poche sono le notizie sulle funzioni dei singoli gradi e sulle loro origini, ad eccezione del
fatto che le promozioni si ottengono per meriti speciali consistenti nella commissione di
reati e che per conseguire la promozione al grado di
"sgarro" è necessario aver
commesso almeno tre delitti di sangue; per quello di "crimine" occorre un curriculum
corposo nel quale siano riportati, tra l'altro, numerosi omicidi.
d. regole di condotta e usi.
L'organizzazione criminale di cui si parla è fondata principalmente sui valori della
tradizione e anche qui è presente la miscellanea tra il sacro e il profano già vista per gli
altri gruppi delittuosi.
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Le regole e i codici che si trovano alla base della vita dell'aggregato non debbono essere
per nessuna ragione trasgrediti.
Chiunque si rende respondabile della violazione di queste norme deve essere punito.
Le pene variano a seconda della mancanza commessa.
Vi sono i cosiddetti "peccati veniali" che corrispondono alle colpe più lievi, e poi vi sono
le "violazioni gravi" che comprendono appunto le mancanze considerate lesive e dannose
per l'esistenza della stessa organizzazione. Queste violazioni devono essere punite in
maniera esemplare con la pena di morte.
Sulle regole vere e proprie non vi sono invero molte notizie a parte quanto già detto e ad
eccezione del dato che la s.c.u. ha un suo statuto, formalmente approvato, con cerimonie
e rituali prestabiliti, dove peraltro è scritta in sintesi la norma di condotta fondamentale sul
rispetto della quale gli organi giudicanti dell'organizzazione sono inflessibili.
Dalle ricerche effettuate e dai documenti consultati risulta uno scritto stringato e coinciso
che parlando a proposito della dignità commina le sanzioni per il trasgressore:
"Chi si comporta indegnamente, sarà prima disconosciuto dalla madre e poi da essa
rinnegato, quindi verrà condannato dal supremo consiglio alla pena capitale da eseguirsi
mediante da numero uno a numero tre pugnalate alla schiena."
Molto radicato tra gli appartenenti alla s.c.u., come del resto per le altre organizzazioni
criminali, è il senso dell'associazione che viene manifestato anche all'esterno con dei
prestabiliti segni di riconoscimento che vanno dal tatuaggio a determinati comportamenti.
I personaggi più importanti e che occupano gradi elevati in seno all'organizzazione
portano un'incisione a forma di "V" sul palmo della mano destra; gli uomini della
cosiddetta "squadra della morte" si distinguono per il tatuaggio a forma di croce che
hanno alla nuca; coloro che rivestono il grado di sgarristi hanno una croce incisa sul dito
pollice della mano destra, mentre i santisti portano la stessa incisione sul dito mignolo.
Comune a tutti gli associati è il tatuaggio raffigurante una rosa, fatto sulla spalla destra.
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Semprre a proposito dei segni di riconoscimento se due detenuti appartenenti
all'organizzazione s'incontrano in carcere per la prima volta e uno di loro vuol sapere se
l'altro è affiliato alla s.c.u., offre a lui una sigaretta, pone il dito indice della mano destra
sul pacchetto delle sigarette e dice: "Questa sigaretta te la vincolo!". Se l'altro è della
s.c.u. replica: "Io me la svincolo e la svincolo come fecero i nostri venerabili tre vecchi
fondatori della camorra conte Ugolino, Fiorentino di Russia e cavaliere di Spagna. E se
loro la vincolarono e la svincolarono con mente, favella e serietà, io me la svincolo con
onore, stima e fedeltà!"
d. organi giudicanti e sanzioni.
La violazione delle regole comporta la punizione del trasgressore che avviene ad opera di
un vero e proprio organo giudicante che si compone di cinque elementi. Il giudice
supremo, il maschio preservato, la madre addolorata, il pubblico ministero e il difensore
che sostanzialmente ha solo funzioni fittizie.
Le mancanze lievi, dette anche "peccati veniali" come nella religione cattolica, vengono
punite di solito senza la presenza dell'incolpato, con l'avvertimento e con la sospensione
dal grado e dall'incarico per periodi più o meno lunghi.
Per le violazioni più gravi invece l'imputato, nel rispetto di un formale (e solo formale)
contraddittorio viene condotto innanzi all'organo giudicante alla presenza del difensore
(sic!), della madre addolorata che provvederà a disconoscerlo e a rinnegarlo, del
pubblico ministero che chiederà la condanna a morte. Il giudice supremo accogliendo le
richieste del pubblico ministero sentenzierà la colpevolezza e infliggerà la pena capitale.
La fase dell'esecuzione avverrà, mediante il sistema della lupara bianca, e sarà coordinata
dal padrino del condannato che oltre a dirigere la squadra della morte ne dovrà fare parte.
La squadra della morte è un gruppo di tre persone che ha appunto il compito
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fondamentale dell'esecuzione delle condanne inflitte ai trasgressori. Il commando è
composto di volta in volta da due uomini scelti dal padrino del condannato e dallo stesso
padrino.
7. Conclusioni
Dalle pagine che precedono si è visto a chiare lettere che questi sodalizi operano secondo
regole e strutture organizzative ben precise e giungono spesse volte a mettere in crisi il
sistema di tutela delle organizzazioni statali preposte alla difesa delle libere istituzioni.
Esempio folkloristico ma calzante appieno è la rappresentazione cinematografica de "Il
sindaco del rione sanità" dove il boss ha una valenza superiore rispetto all’Autorità
costituita in seno all’ordine istituzionale.
Oggi più che nel trascorso i concessi delittuosi operano nella società e sono inseriti anche
in settori d’investimento leciti quali gli appalti, le banche, le società multinazionali, il
mercato in genere, la politica.
Esse sono forti delle loro organizzazioni verticali, federali e ancorpiù della forza
intimidatrice dei capi nei confronti dei sottoposti e degli associati e di tutti questi nei
riguardi degli onesti cittadini. Forza che si esterna con la ferocia e la sanguinarietà di chi
vuol imporre a ogni costo le illecite regole di convivenza non consone certamente a una
società civile governata secondo lo stato di diritto.
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Si rende così più necessario operare su due fronti .
Il primo è quello di rigenerare la fiducia nello Stato da parte dei cittadini laddove questa è
più carente e ciò è possibile attraverso un’opera di sensibilizzazione della collettività e
mediante una presenza fattiva delle istituzioni sul territorio.
Questa presenza unita alla collaborazione di tutti i gruppi e i singoli della comunità è il
dato essenziale e più immediato da contrapporre a qualsiasi forma di criminalità.
L'unione di tutti gli enti e i singoli a ogni livello (i carabinieri, la polizia e la guardia di
finanza, ma anche la scuola, la chiesa, le comunità locali e le altre istituzioni ognuno
nell'ambito delle loro competenze) può veramente contrastare, arginare e, perché no,
sconfiggere la delinquenza.
Il secondo, invero mediato, è quello che richiede un intervento del legislatore non solo
nazionale ma anche internazionale, rivolto a fornire agli operatori di giustizia i mezzi idonei
per combattere in maniera efficace e quindi sconfiggere queste organizzazioni che non si
adoperano di certo per il benessere della comunità.