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Asia e Pacifico
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DUEMILA
Afghanistan
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RAPPORTO 2012
AFGHANISTAN
REPUBBLICA ISLAMICA DELL’AFGHANISTAN
Capo di stato e di governo: Hamid Karzai
Pena di morte: mantenitore
Popolazione: 32,4 milioni
Aspettativa di vita: 48,7 anni
A ottobre ricorreva il decimo anniversario dell’intervento militare in Afghanistan. Il
protrarsi del conflitto armato tra le forze governative afgane e i loro alleati internazionali da un lato e i talebani e gli altri gruppi armati dall’altro ha causato un altissimo
numero di vittime tra i civili, spingendo Amnesty International a reiterare i propri appelli affinché la Corte penale internazionale svolgesse indagini per sospetti crimini di
guerra e crimini contro l’umanità. Secondo la Missione delle Nazioni Unite di assistenza all’Afghanistan (Un Assistance Mission in Afghanistan – Unama), durante
l’anno sono morti a causa del conflitto 3021 civili; la responsabilità delle uccisioni è
stata per il 77 per cento attribuita ai gruppi armati. Le autorità giudiziarie, la polizia
e l’esercito nazionale afgano hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani. Sono
continuate le detenzioni e gli arresti arbitrari, con un ricorso sistematico alla tortura
e ad altre forme di maltrattamento da parte dei servizi d’intelligence. Gli afgani, in
particolare donne e ragazze, sono stati privati dei loro diritti alla salute e all’istruzione.
Gli aiuti umanitari sono rimasti inaccessibili per gran parte della popolazione nelle
zone controllate dai talebani e da altri gruppi di insorti. L’ufficio afgano di sicurezza
per le Ngo (Afghanistan Ngo Safety Office – Anso) ha documentato 170 attacchi a
operatori di Ngo, con un aumento del 20 per cento rispetto al 2010. La violenza contro donne e ragazze è stata diffusa ed è rimasta impunita, in particolare nelle zone
controllate dagli insorti. Le donne che denunciavano casi di violenza di genere hanno
ottenuto scarsa riparazione.
CONTESTO
Il parlamento è stato inaugurato il 26 gennaio, quattro mesi dopo le elezioni, che erano
state caratterizzate da violenze e da brogli elettorali. Amnesty International ha evidenziato le proprie preoccupazioni per l’ammissione di candidati sospettati di aver commesso crimini di guerra e violazioni dei diritti umani.
Nader Nadery, Fahim Hakim e Mawlawi Gharib, noti esponenti della Commissione afgana indipendente sui diritti umani (Afghanistan Indipendent Human Rights Commission – Aihrc), sono stati estromessi il 21 dicembre quando il presidente Hamid Karzai
non ha rinnovato i loro mandati, poco prima della pubblicazione di un rapporto che
elencava le violazioni dei diritti umani del passato.
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A luglio, la Nato e la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (International Security Assistance Force – Isaf) hanno iniziato il trasferimento al governo afgano delle
competenze relative alla sicurezza in sette province; a novembre in 17 province è iniziata
la seconda fase del processo di transizione.
Sono proseguiti i colloqui di pace tra il governo afgano e i talebani e altri gruppi di insorti,
malgrado l’assassinio il 20 settembre dell’ex presidente Burhanuddin Rabbani, a quanto
pare incaricato dei colloqui, da parte di due uomini che fingevano di essere rappresentanti dei talebani. A giugno, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha considerato
i talebani separati da al-Qaeda, eliminandoli da un elenco di sanzioni delle Nazioni Unite.
All’interno dell’Alto consiglio per la pace, l’organismo formato da 70 membri incaricato
di negoziare con i talebani e altri gruppi armati, c’erano soltanto nove donne. Gruppi per
i diritti delle donne afgane e organizzazioni della società civile hanno espresso le loro
preoccupazioni riguardo ai diritti umani, e in particolare ai diritti delle donne, temendo
che questi potessero divenire merce di scambio per ragioni di opportunismo. Il governo
afgano e i suoi alleati internazionali hanno insistito a non voler applicare nelle politiche
e nella prassi la Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che richiede una significativa e adeguata rappresentazione delle donne a tutti i livelli dei colloqui di pace.
ABUSI DA PARTE DI GRUPPI ARMATI
I talebani e altri gruppi armati hanno preso di mira civili con omicidi e rapimenti e li
hanno colpiti indiscriminatamente durante i bombardamenti (compresi molteplici attacchi suicidi), violando le leggi di guerra e commettendo una lunga serie di abusi dei diritti
umani. Sono aumentati gli omicidi mirati di civili afgani, tra cui funzionari governativi e
capi tribali, che lavoravano per conto del governo o di organizzazioni internazionali o che
erano percepiti come loro sostenitori.
Secondo l’Unama, i talebani e altri gruppi armati si sono resi responsabili del 77 per
cento delle morti di civili.
Sempre più di frequente hanno fatto esplodere ordigni artigianali nelle moschee, nei
mercati e in altre aree civili, contribuendo a un considerevole aumento del numero di
vittime tra la popolazione.
I gruppi armati hanno sistematicamente preso di mira operatori umanitari: ne hanno uccisi 31, feriti 34 e catturati e detenuti 140.
Il 28 giugno, uomini armati talebani e attentatori suicidi hanno attaccato l’hotel Intercontinental, nella
capitale Kabul, uccidendo sette persone.
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Il 13 settembre, una decina di insorti ha preso di mira l’ambasciata statunitense, la sede della Nato e
altri obiettivi di alto profilo a Kabul. Almeno 11 civili, tra cui alcuni studenti, e cinque poliziotti sono rimasti
uccisi; oltre 24 sono stati i feriti. I talebani hanno rivendicato la responsabilità dell’attacco ma gli Stati
Uniti l’hanno attribuito alla rete Haqqani, che si ritiene abbia la sua base nelle zone tribali del Pakistan e
sia sostenuta da quest’ultimo.
Il 17 settembre, nove civili, tra cui cinque bambini, sono rimasti uccisi quando un ordigno artigianale è
stato fatto esplodere nella provincia di Faryab, nel nord-ovest dell’Afghanistan.
Il 31 ottobre, uomini armati talebani e attentatori suicidi hanno attaccato l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni
Unite per i rifugiati, nella città di Kandahar, nel sud dell’Afghanistan, uccidendo tre suoi dipendenti.
Il 6 dicembre, un attentato suicida al santuario musulmano sciita di Abul Fazl a Kabul ha ucciso circa 71
persone. Altre quattro sono morte in un’esplosione, avvenuta in contemporanea, alla moschea sciita di
Mazar-e Sharif. Gli attacchi hanno segnato una grave escalation di violenza settaria fino a quel momento
poco diffusa. Lashkar-e-Jhangvi, un gruppo armato pakistano legato ad al-Qaeda e ai talebani pakistani
ha rivendicato la responsabilità degli attacchi che sono avvenuti durante la festa sacra sciita dell’Ashura.
VIOLAZIONI DA PARTE DELLE FORZE AFGANE E INTERNAZIONALI
L’Isaf e la Nato hanno continuato a lanciare attacchi aerei e raid notturni, mietendo decine di morti tra i civili. Secondo l’Unama, almeno 410 civili, o una percentuale pari al
14 per cento, sono rimasti uccisi durante operazioni dell’Isaf, della Nato e delle forze
afgane.
Il 20 febbraio, il governatore della provincia orientale di Kunar ha dichiarato che 64 civili, compresi 29
bambini, erano rimasti uccisi durante operazioni congiunte di terra e aeree, da parte delle forze afgane e
dell’Isaf, nel distretto di Ghazi Abad, nei quattro giorni precedenti. Alti ufficiali dell’Isaf hanno contestato
il resoconto ma hanno acconsentito a condurre un’inchiesta congiunta. Le autorità della Nato hanno in
seguito affermato che le persone uccise erano per la maggior parte insorti.
Il 23 marzo, Jeremy Morlock, un soldato statunitense che aveva confessato di aver preso parte all’omicidio
di tre civili afgani nel 2010, è stato condannato a 24 anni di carcere. Ha dichiarato al giudice della corte
marziale che lo ha processato presso la base congiunta Lewis-McChord, negli Stati Uniti, che “il piano era
di uccidere persone”.
DETENZIONI E ARRESTI ARBITRARI, TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI
La direzione nazionale della sicurezza (National Directorate of Security – Nds), il servizio
d’intelligence afgano, ha continuato ad arrestare e detenere arbitrariamente sospettati,
negando loro l’accesso a un avvocato, alle loro famiglie, ai tribunali o altri organismi
esterni. La Nds è stata al centro di accuse attendibili di tortura dei detenuti e gestione
di strutture di detenzione segrete. La Nato ha sospeso il trasferimento di detenuti alle
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forze afgane a seguito di un rapporto delle Nazioni Unite, reso pubblico a ottobre, che
documentava l’uso sistematico della tortura da parte degli agenti della Nds. Secondo il
rapporto, prigionieri erano stati torturati in 47 strutture di detenzione della Nds e della
polizia, situate in 22 province.
Ad agosto, i familiari di un uomo afgano, che era stato detenuto dalla Nds a Kabul per presunta falsificazione di banconote, hanno raccontato ad Amnesty International che era stato arrestato dalla Nds ad aprile
e torturato per costringerlo a confessare. Secondo il racconto, il detenuto, la cui identità non può essere
rivelata per ragioni di sicurezza, era stato preso a pugni e calci fino a fargli vomitare sangue e a perdere
conoscenza.
Le forze statunitensi hanno continuato a detenere afgani e alcuni cittadini stranieri senza
una chiara autorità legale o adeguate procedure legali. Circa 3100 prigionieri rimanevano
trattenuti presso la struttura di detenzione di Parwan (all’esterno dell’ex struttura di detenzione presso la base dell’aviazione all’aeroporto di Bagram). Erano trattenuti a tempo
indefinito in regime di “internamento di sicurezza”; alcuni da diversi anni. A gennaio,
gli Stati Uniti hanno consegnato alle autorità afgane un’unità di detenzione presso la
struttura e 300 reclusi, nel contesto delle operazioni di trasferimento dei prigionieri. Il
dipartimento della Difesa statunitense ha dichiarato che a maggio le autorità afgane avevano celebrato più di 130 processi, presso la struttura del centro di giustizia afgano di
Parwan, dall’inizio dei processi a giugno 2010 (cfr. Stati Uniti d’America).
LIBERTÀ DI ESPRESSIONE
I giornalisti afgani hanno svolto il loro lavoro malgrado le pressioni e la violenza, anche
da parte di istituzioni governative e di altri organi influenti. La Nds e il Consiglio degli
Ulema (consiglio dei saggi religiosi) hanno perseguito penalmente persone per aver scritto
o parlato di argomenti ritenuti una minaccia alla sicurezza nazionale o considerati blasfemi.
Tre uomini afgani, arrestati e detenuti nel 2010, per essersi convertiti al Cristianesimo, sono stati rilasciati
tra marzo e aprile.
Giornalisti sono stati rapiti, percossi o uccisi in attacchi di matrice politica da parte delle
forze governative e di gruppi di insorti. Secondo il Nai, un comitato afgano di sorveglianza
sui mezzi d’informazione, 80 giornalisti avevano subito aggressioni e tre erano stati uccisi.
Nelle zone controllate dai talebani e da altri gruppi armati, ai giornalisti è stato energicamente impedito di riportare notizie e sono stati frequentemente vittime di attacchi.
Il governo non ha provveduto a indagare pienamente e perseguire i perpetratori di attacchi
nei confronti di giornalisti, difensori dei diritti umani e altre persone che avevano pacificamente esercitato il loro diritto alla libertà di espressione.
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Il 18 gennaio, Hojatullah Mujadedi, direttore dell’emittente radiofonica Kapisa Fm, con sede nel nord-est
del paese, è stato rilasciato dopo quattro mesi di detenzione da parte della Nds, a Kabul. Era stato accusato
di aver agito in complicità con i talebani.
Il 6 luglio, membri dei talebani hanno minacciato il corrispondente di Ariana Tv, Niamatullah Zaheer, nella
provincia di Helmand, per aver riportato in maniera critica gli attacchi condotti dai talebani.
VIOLENZA CONTRO DONNE E RAGAZZE
Le donne e ragazze afgane hanno continuato a essere vittime di discriminazioni, violenza
domestica, matrimoni forzati, tratta di esseri umani e a essere merce di scambio nella
soluzione delle controversie. Hanno spesso subito attacchi da parte delle forze talebane.
Secondo un rapporto congiunto delle Nazioni Unite e dell’Aihrc, nel 56 per cento del totale dei matrimoni, l’età della sposa non raggiungeva i 16 anni. Il ministero degli Affari
femminili ha documentato 3742 casi di violenza contro le donne, tra il 22 marzo e il 31
dicembre. A settembre, con un passo in avanti, l’ufficio del procuratore generale ha concordato la creazione di sei uffici provinciali per combattere la violenza contro le donne.
La polizia e i tribunali hanno spesso ignorato le denunce di abusi presentate da donne,
cosicché le accuse di percosse, stupro e altra violenza sessuale raramente sono state
indagate. Le donne che cercavano di sfuggire a matrimoni violenti sono state detenute
e perseguite per presunti reati come “fuga da casa” o crimini contro la “morale”, entrambi non previsti dal codice penale e incompatibili con il diritto internazionale sui
diritti umani.
Ad aprile, i talebani hanno rapito e ucciso una donna nel distretto di Zurmat, nella provincia di Paktia. I
talebani sostenevano che era stata uccisa perché lavorava in una Ngo, negando voci che parlavano di un
delitto per motivi “d’onore”.
Gulnaz, una ventunenne che scontava una condanna a 12 anni di carcere per adulterio a Kabul, è stata
rilasciata a dicembre. Gli avvocati hanno affermato che questo tipo di accuse non hanno fondamento nella
legislazione afgana. Gulnaz era stata incarcerata nel 2009, dopo aver denunciato uno stupro alla polizia.
La donna ha ricevuto pressioni dalla corte e da altri per sposare l’uomo, in seguito giudicato colpevole del
suo stupro.
DIRITTO ALLA SALUTE
Gli attacchi mirati nei confronti di operatori umanitari e dipendenti governativi, in particolare medici, hanno privato dell’assistenza sanitaria milioni di persone, specialmente
nelle zone maggiormente colpite dal conflitto e in quelle controllate dai talebani e da
altri gruppi armati.
Nonostante i miglioramenti relativi al tasso di mortalità materna e infantile in determinate
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aree del paese, nel complesso le condizioni delle donne in gravidanza e dei bambini in
età infantile sono rimaste deplorevoli.
DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
I talebani e altri gruppi armati hanno preso di mira scuole, studenti e insegnanti. Nelle
zone occupate da questi gruppi, a molti bambini, in particolare alle bambine, è stato
impedito di andare a scuola. Secondo il ministero dell’Istruzione, gli scolari iscritti
erano più di 7,3 milioni, di cui il 38 per cento erano bambine. Fonti ufficiali hanno riferito che più di 450 scuole rimanevano chiuse e che circa 200.000 bambini non potevano andare a scuola a causa dell’insicurezza, soprattutto nelle province meridionali
e orientali.
Il 24 maggio, membri dei talebani hanno ucciso a colpi d’arma da fuoco Khan Mohammad, preside della
scuola femminile di Poorak, nella provincia di Logar, nel sud-est dell’Afghanistan. Aveva continuato a insegnare alle ragazze malgrado avesse ricevuto numerose minacce di morte da parte dei talebani, che gli
avevano intimato di smettere di istruirle.
RIFUGIATI E SFOLLATI INTERNI
Secondo l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, tra gennaio e giugno, le richieste di asilo degli afgani in paesi industrializzati ha raggiunto il numero più alto. A
fine anno, l’Unhcr ha documentato la presenza di oltre 30.000 richiedenti asilo afgani,
mentre circa 2,7 milioni rimanevano rifugiati in Pakistan e Iran. Il numero totale di sfollati a seguito del conflitto era arrivato a 447.647. Gli sfollati interni del paese gravitavano
attorno alle città principali, in particolare Kabul, Herat e Mazar-e Sharif. Molti erano
finiti in insediamenti informali, costretti a vivere in condizioni di affollamento, mancanza
di igiene, con scarso o nessun accesso all’acqua potabile, a un riparo adeguato e ai
servizi sanitari e sotto la costante minaccia di sgombero forzato. A ottobre, l’Icrc ha rivelato un aumento del 40 per cento del numero degli sfollati a causa del conflitto nel
nord del paese, rispetto al 2010.
Secondo le notizie ricevute, gli scontri tra forze governative e i talebani nella provincia di Faryab, agli inizi
di giugno, hanno causato lo sfollamento di almeno 12.000 persone.
PENA DI MORTE
Ci sono state due esecuzioni. Nel braccio della morte c’erano oltre 140 persone e la
Corte suprema aveva convalidato la sentenza a circa 100 di loro.
A giugno, due uomini, uno del Pakistan e l’altro cittadino afgano, sono stati messi a morte nel carcere di Pule-Charkhi di Kabul, dopo che il loro appello per ottenere la clemenza del presidente era stato respinto. Gli
uomini erano stati ritenuti colpevoli dell’uccisione di 40 persone e del ferimento di altre 70, in larga parte civili,
in un attacco a una banca avvenuto a febbraio, nella città di Jalalabad, nella provincia di Nangarhar.
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MISSIONI E RAPPORTI DI AMNESTY INTERNATIONAL
Delegati di Amnesty International hanno visitato l’Afghanistan da giugno a settembre.
Afghanistan 10 years on: Slow progress and failed promises (ASA 11/006/2011)
AUSTRALIA
AUSTRALIA
Capo di stato: regina Elisabetta II,
rappresentata da Quentin Bryce
Capo del governo: Julia Gillard
Pena di morte: abolizionista per tutti i reati
Popolazione: 22,6 milioni
Aspettativa di vita: 81,9 anni
Mortalità infantile sotto i 5 anni (m/f): 5,1‰
L’Australia ha continuato a violare i diritti delle popolazioni native, eliminando servizi
essenziali nelle terre natie degli aborigeni. La politica in tema di rifugiati ha privilegiato
l’aspetto deterrente, con l’obbligo di detenzione indefinita e in luoghi remoti per i richiedenti asilo in arrivo via mare.
DIRITTI DELLE POPOLAZIONI NATIVE
Il governo ha continuato a limitare i fondi per gli alloggi e i servizi municipali come l’acqua e i servizi igienico-sanitari per le popolazioni aborigene che abitano le terre ancestrali
del Territorio del Nord. Di conseguenza, le comunità sono state di fatto costrette ad abbandonare le loro terre natie per poter accedere a servizi essenziali.
Per dicembre si attendevano le raccomandazioni al parlamento federale da parte di un
comitato di esperti sul riconoscimento costituzionale degli australiani nativi.
SISTEMA GIUDIZIARIO
Le popolazioni native, pur rappresentando appena il 2,5 per cento della popolazione australiana, erano il 26 per cento della popolazione carceraria adulta e la metà di tutti i
minori in detenzione erano aborigeni. Un rapporto della commissione parlamentare su
gioventù e giustizia aborigena reso pubblico a giugno ha rilevato un aumento del 66 per
cento del tasso di carcerazione di aborigeni tra il 2000 e il 2009.
A settembre e ottobre, dipendenti di una società di vigilanza sono stati multati per non essere intervenuti
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