Misure di contenimento del rischio del credito e tutela della

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» Tu t e l a d e i d a t i p e r s o n a l i
Misure di contenimento
del rischio del credito e tutela
della reputazione
Marilena Gorgoni
Professore associato di Diritto civile
SINTESI
a) Inserimento legittimo del nominativo del proprio cliente nella
black list
commerciale dell’imprenditore, vittima di una illegittima segnala-
Quando non si versi in un’ipotesi in cui la segnalazione è oggetto di
numero di quelle, ormai piuttosto numerose, ad esempio, nel con-
un preciso obbligo a carico della banca, il segnalante, secondo la
tiguo ambito dei danni da illegittimo protesto, che continuano a
sentenza in epigrafe, è legittimato ad effettuare l’inserimento del
dare ossigeno alle categorie del danno evento e del danno in re
nominativo del proprio cliente nella black list dei cattivi pagatori
ipsa.
quando, a seguito di una valutazione complessiva della situazione
del cliente, ritenga che egli si trovi in una situazione di difficoltà
c) Dopo l’accertamento dell’an, i danni possono essere liquidati
equitativamente
zione alla Centrale dei Rischi, la decisione in epigrafe infoltisce il
non transitoria di adempiere.
La liquidazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali scaturenti
b) Ancora il discusso ricorso alle categorie del danno evento e del
danno conseguenza
dalla illegittima segnalazione, accertati nell’an, possono essere liquidati equitativamente, ove risulti impossibile o estremamente difficol-
In tema di risarcimento del danno alla reputazione personale e
toso provare l’effettivo ammontare.
Cassazione civile, sezione I, 24 maggio 2010, n. 12626
Pres. Adamo – Est. Salvago – I.MAR. FA, D.P.G., D.P.P. c. Banca Carime Spa
Segnalazione alla Centrale dei Rischi – Presupporti – Manifestazione levior dello stato di insolvenza – Ricorrenza dell’inadempimento –
Insufficiente – Dichiarazione di non voler adempiere – Insufficiente
La segnalazione alla Centrale dei Rischi presuppone una situazione di difficoltà non transitoria di adempiere che costituisce una manifestazione levior dello stato di insolvenza di cui all’art. 5, l.fall. e non si sostanzia nell’inadempimento né nella dichiarazione esplicita di non
voler adempiere.
Presunzione di scarso affidamento del segnalato – Presunzione di rischiosità degli affidamenti in corso – Perdita ex art. 1223 –
Diminuzione del patrimonio – Privazione del valore del segnalato
Il discredito che deriva dalla illegittima segnalazione è tale da ingenerare una presunzione di scarso affidamento e da connotare come
rischiosi gli affidamenti già concessi con inevitabile perturbazione dei rapporti economici del segnalato ed una perdita di tipo analogo a
quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore del soggetto e del suo patrimonio nella quale il
risarcimento deve essere commisurato.
Liquidazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c. – Incertezza della durata e dell’entità dei danni
È corretto il ricorso alla liquidazione con criteri equitativi, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., essendo certa l’esistenza, ma impossibile o
estremamente difficoltoso provare la precisa durata e l’effettiva entità dei danni materiali ed immateriali derivanti dall’illegittima
segnalazione.
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SOMMARIO
1. Informazioni sulla solvibilità economica al confine tra liceità ed illiceità – 2. Presupposti per la segnalazione – 3. Tutela risarcitoria del
segnalato
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Il fatto
Il Tribunale di Brindisi con sentenza del 4.4.2003, rigettava le domande
con cui P. e G. D.P., quest’ultimo anche n.q. di amministratore unico e
legale rappresentante della s.r.l. I. avevano chiesto che fossero dichiarati
illegittimi: a) la revoca dell’affidamento loro accordato dalla s.p.a. Banca
Carime con contratto di c/c n. 101/2987/00; b) la segnalazione alla
Centrale Rischi presso la Banca d’Italia di una sofferenza di essa società
pur in mancanza di una situazione di insolvenza; nonché la condanna
della Carime a revocare definitivamente il proprio nominativo presso la
Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.
In accoglimento dell’appello dell’I. e dei D.P., la Corte di Appello di
Lecce con sentenza del 21.6.2005, ha dichiarato illegittima la segnalazione suddetta e condannato la Carime al risarcimento dei danni
in favore di detta società, liquidandoli in euro 30.000 ed osservando: A) che le istruzioni della Banca d’Italia imponevano detta segnalazione dei crediti per cassa nei confronti di sofferti in stato di
insolvenza ovvero in situazioni equiparabili; per cui ciascuna banca
era tenuta a segnalare non qualsiasi inadempimento del debitore,
ma soltanto quelli che a seguito di approfondita e motivata istruttoria risultavano espressione di uno stato di insolvenza; B) che il
pagamento del debito e la prestazione di garanzia da parte dei D.D,
escludevano che la società fosse in stato di impossibilità ad adempiere, anche per il valore dei beni e dei macchinari in possesso della
società pari a circa 7 miliardi di lire; C) che neppure l’anticipazione
versata da un socio in conto ad un futuro aumento di capitale
nonché una proposta transattiva di detta società fornivano la prova
del suo stato di insolvenza; D) che l’illegittimità della segnalazione
aveva provocato un pregiudizio alla società che andava ristorato con
valutazione equitativa.
Per la cassazione della sentenza la soc. I. ed i D.D, hanno proposto
ricorso per due motivi. Altro autonomo ricorso, ancora per due motivi,
è stato avanzato pure dalla s.p.a. Banca Carime.
La motivazione
I ricorsi vanno, anzitutto, riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c. perché proposti contro la medesima sentenza. Con il primo motivo di quello incidentale, che va esaminato con precedenza per evidenti ragioni di pregiudizialità, l’Istituto di credito, deducendo violazione degli art. 1175 e 1375
c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia censura la sentenza per aver escluso lo
stato di insolvenza ovvero una situazione ad esso equiparabile, da parte
della società senza considerare che il pagamento dello scoperto di conto corrente era avvenuto da parte di un garante un anno dopo i fatti di
causa, che i bilanci della società e le visure presso la Banca Centrale
Rischi ne attestavano la pesante situazione debitoria e di dissesto confermata dalla proposta di saldare il debito con l’attribuzione di azioni di
valore inferiore; e che, da un lato era stata affermata la legittimità del
recesso dal contratto di conto corrente, dall’altro, ritenuta la illegittimità della segnalazione. Ed infine che la non univocità delle interpretazioni relative allo stato di insolvenza richiesto, e la conformità del proprio comportamento al Regolamento della Banca centrale nonché ai
principi di buona fede dovevano escludere comunque la declaratoria
di illegittimità della segnalazione.
Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha accertato, e le parti confermato, che il testo
delle istruzioni della Banca d’Italia relative alla modalità di segnalazione delle sofferenze in vigore all’epoca dei fatti dedotti dalla Banca
Carime disponeva che «devono essere segnalati nell’ambito di detta
categoria tutti i crediti per cassa nei confronti di soggetti in stato di
insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dall’esistenza di garanzie o
dalla previsione di perdita. L’apposizione a sofferenza implica pertanto
una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un
mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito».
In relazione ai presupposti per l’applicazione di dette istruzioni questa Corte ha enunciato i seguenti principi, in conformità all’orienta-
mento più diffuso nella dottrina e nella giurisprudenza di merito: a)
che l’apposizione a sofferenza del credito, lungi dal poter discendere
dalla sola analisi dello specifico o degli specifici rapporti in corso di
svolgimento tra la singola banca segnalante ed il cliente, implica una
valutazione della complessiva situazione patrimoniale di quest’ultimo, ovvero del debitore di cui alla diagnosi di ‘‘sofferenza’’; b) che ‘‘lo
stesso tenore letterale delle sopra riportate Istruzioni e, segnatamente, l’accostamento che tali Istruzioni hanno inteso stabilire tra stato
di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) e situazioni sostanzialmente equiparabili inducano a preferire quelle ricostruzioni
che, oggettivamente gemmate (secondo l’espressione che trovasi
adoperata in dottrina) dalla piattaforma della norma di cui alla L.
Fall., art. 5, hanno tuttavia proposto, ai fini della segnalazione in
sofferenza alla Centrale dei Rischi, una nozione levior rispetto a quella dell’insolvenza fallimentare, cosı̀ da concepire lo stato di insolvenza e le situazioni equiparabili in termini di valutazione negativa di
una situazione patrimoniale apprezzata come deficitaria, ovvero, in
buona sostanza, di grave (e non transitoria) difficoltà economica,
senza, cioè, fare necessario riferimento all’insolvenza intesa quale
situazione di incapienza, ovvero di definitiva irrecuperabilità; c) conclusivamente ciò che rileva è la situazione ‘‘oggettiva’’ di incapacità
finanziaria (‘‘incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni
assunte’’) mentre nessun rilievo assume la manifestazione di volontà
di non adempimento se giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del titolo del credito vantato dalla banca.
Come del resto conferma l’equiparazione (contenuta nel p. 6 delle Istruzioni), ai fini della cessazione dell’obbligo di segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze, dell’ipotesi di cessazione dello stato di
insolvenza e di quella di avvenuto rimborso del credito, dal debitore o
da terzi, anche a seguito di accordo transattivo liberatorio.
Proprio a questi principi si è attenuta la Corte di Appello la quale ha
escluso lo stato di insolvenza della s.r.l. I. osservando che la stessa
operava regolarmente sul mercato nel settore lapideo possedendo materiali, attrezzature e macchinari di valore pari a L. 7 miliardi circa, ben
superiore al credito preteso dalla banca; che non risultavano nei suoi
confronti procedure esecutive o elevazioni di protesti per cambiali o
assegni; e che disponeva di numerose garanzie prestate pure alla Carime, tant’è che il debito nei confronti di quest’ultima, pur contestato
giudizialmente era stato regolarmente pagato dai garanti proprio al
fine di evitare azioni esecutive. E, d’altra parte, il sistema informativo
della Centrale dei Rischi, come già evidenziato da questa Corte in controversie analoghe ben consentiva alla Banca Carime, come ad ogni
altro istituto di credito, di conoscere elementi indicativi della situazione
di insolvenza dei soggetti finanziati, quali la revoca degli affidamenti e
l’emissione di decreti ingiuntivi (Cass. 19894/2005); cosı̀ come l’Istituto
ben avrebbe potuto accertare se sussistevano altri elementi tipici denotanti lo stato di insolvenza dell’I., quali la sussistenza di azioni di
recupero di crediti, pignoramenti e procedimenti esecutivi ovvero di
protesti, invece esclusi dalla sentenza impugnata; per cui il comportamento della ricorrente è sicuramente connotato da mancanza di avvedutezza e da imprudenza ed imperizia tecnica per non avere svolto
alcuno di detti accertamenti che indipendentemente da ogni doverosità
devono caratterizzare gli operatori del settore onde valutare la capacità
finanziaria di soggetti ed enti che con essi intrattengano rapporti commerciali. Ed avere anteposto agli elementi suddetti la prospettazione di
altri, invece del tutto inidonei a dimostrare lo stato di insolvenza non
transitorio della I.: ravvisati soprattutto nei bilanci di detta società
dichiarati in perdita da diversi anni, nonché nelle sue esposizioni nei
confronti di altri Istituti di credito.
La Corte territoriale non ha mancato, infatti, di esaminarli, rilevando
anzitutto che detta situazione preesisteva da diversi anni, che negli
ultimi anni l’indebitamento era migliorato e che lo stesso non aveva
comunque impedito all’I. né di continuare la propria attività, né tanto meno di ottenere credito dalle banche anche per le garanzie di cui
disponeva. Mentre ha correttamente disconosciuto qualsiasi valenza
indicativa dello stato di insolvenza alla proposta transattiva della
società in merito alla vertenza giudiziaria relativa all’asserito debito
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per cui è stata eseguita la segnalazione alla Centrale Rischi, evidenziando come la stessa altro significato non possa avere che quello
attribuitogli dall’art. 1965 c.c. di prevenire una lite giudiziaria, in
presenza di un rapporto giuridico avente, almeno nella opinione delle parti, carattere di incertezza, componendolo attraverso reciproche
concessioni delle parti; sı̀ da far cessare la situazione di dubbio venutasi a creare tra loro.
Sfugge, pertanto, al sindacato di legittimità il riesame di dette circostanze di fatto (nonché di quella relativa ad un’anticipazione da parte di
un socio, dalla quale la Corte territoriale ha invece tratto altra ragione
dimostrativa del buon andamento economico dell’I.), misurate le une e
l’altra con criteri valutativi diversi da quelli della sentenza impugnata,
giacché la deduzione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo,
sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito. E risulta inidoneo a
tale scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti
operata dal giudice del merito all’opinione che di essi abbia la parte ed,
in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione
degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al
libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’‘‘iter’’ formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame (Cass.
9314/1997; 3782/1997).
Con il secondo motivo, la Banca deducendo violazione degli art. 2043 e
2697 c.c. si duole che la Corte territoriale l’abbia condannata, al risarcimento del danno facendolo conseguire automaticamente dalla declaratoria della illegittimità della segnalazione, e senza richiederne la prova che gravava sulla società richiedente. Per converso quest’ultima ed i
D.D., con il primo motivo del ricorso principale, deducendo violazione
degli art. 113 e 114 c.p.c. censurano la sentenza impugnata per aver
liquidato il risarcimento del danno con criteri equitativi senza che ne
ricorressero i presupposti e malgrado essa società fin dalle prime udienze avesse articolato prova testimoniale per dimostrarne l’esatto ammontare in relazione ai vari profili di pregiudizi sofferti, che ben poteva
essere infine quantificato tramite consulenza tecnica.
Con il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c. si dolgono che la sentenza non abbia disposto la revoca della segnalazione, e
non abbia emesso alcuna statuizione sul diritto anche dei D.D, al risarcimento di tutti danni subiti, anche all’immagine ed al buon nome
imprenditoriale e commerciale, che in nessuna parte della motivazione
era stato dichiarato infondato; e rilevano che le relative domande erano
state regolarmente avanzate fin dalla citazione introduttiva del giudizio
e poi tutte reiterate nell’atto di appello.
Il Collegio ritiene fondato soltanto il secondo motivo del ricorso principale.
Non è infatti esatto che la Corte di Appello abbia liquidato il risarcimento del danno all’I. senza alcuna prova in merito all’esistenza del
pregiudizio sofferto, e del nesso causale tra di esso e la presunta condotta illecita della banca, avendo dapprima accertato l’illegittimità della segnalazione eseguita da quest’ultima, e poi dato atto che la stessa
costituiva di per sé un comportamento pregiudizievole per l’attività
economica di detta società illegittimamente segnalata, nonché lesiva
della sua reputazione: non senza evidenziare, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, come il discredito che deriva da siffatta
segnalazione è tale da ingenerare una presunzione di scarso affidamento dell’impresa e da connotare come rischiosi gli affidamenti già concessi; con inevitabile perturbazione dei suoi rapporti economici, e una
perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita
dalla diminuzione o dalla privazione di un valore del soggetto e del
suo patrimonio alla quale il risarcimento deve essere commisurato
(Cass. 20120/2009; 18 316/2007; 6507/2001).
Ha ripetutamente affermato questa Corte, nell’ipotesi del tutto analoga di illegittimo protesto di una cambiale, sussiste il danno da lesione
dell’immagine sociale della persona che si vede ingiustamente inserita
nel cartello dei cittadini insolventi ed è quindi contraddittorio ed erroneo, dopo aver affermato la responsabilità per il protesto, negare la
liquidazione equitativa del danno da lesione dell’immagine sociale e
professionale, la quale di per sé costituisce danno reale che deve essere
risarcito - senza necessità per il danneggiato di fornire la prova della
sua esistenza - sia a titolo di responsabilità contrattuale per inadempimento che di responsabilità extracontrattuale, in modo satisfattivo ed
equitativo se la peculiare figura del danno lo richiede (Cass. 9233/2007;
14977/2006; 11103/1998).
Pertanto è corretto anche il ricorso alla liquidazione del danno con
criteri equitativi, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., ammissibile
secondo la giurisprudenza di legittimità qualora l’attività istruttoria
svolta non consenta di dare certezza alla misura del danno stesso,
come avviene quando, essendone certa l’esistenza, risulti impossibile
o estremamente difficoltoso provare la precisa durata del pregiudizio
economico subito (Cass. 19883/2005; 8271/2004; 188/1996); e come si
è verificato nel caso in concreto in cui anche la prova testimoniale
offerta dai ricorrenti ribadiva la sussistenza di danni materiali ed
immateriali derivanti dall’illegittima segnalazione, ivi compresi in
particolare quelli all’immagine ed al buon nome imprenditoriale e
commerciale della società, ma non offriva, per la sua genericità,
elementi ulteriori validi a documentarne l’entità, tanto meno in misura superiore a quella liquidata dalla sentenza impugnata. E ciò
pure con riguardo all’ultimo capitolato di prova relativo al mancato
finanziamento di L. 5 miliardi da parte del Banco Ambrosiano per la
realizzazione di un porto turistico, non autosufficiente a far conoscere sia pure in modo sommario la relativa vicenda ed il suo esito,
nonché l’utile e/o le perdite che ne sarebbero conseguiti per la società I. ove non fosse sopravvenuta la segnalazione alla Centrale
Rischi.
Sennonché anche i D.P. nell’atto introduttivo del giudizio avevano chiesto: a) la condanna della controparte al risarcimento dei danni materiali
ed immateriali derivanti dall’illegittima segnalazione, ivi compresi in
particolare quelli all’immagine ed al buon nome imprenditoriale e commerciale, nella misura comunque inferiore a L. 500.000.000; b) l’ammissione e assunzione di alcuni mezzi istruttori; c) la condanna della
controparte alla definitiva revoca della segnalazione del nominativo
dell’I. presso la Centrale dei Rischi.
Il Tribunale ha ritenuto legittima la segnalazione, perciò rigettando le
domande degli attori e ritenendo assorbita ogni richiesta risarcitoria;
per cui i D.P. hanno riproposte nuovamente nell’atto di appello le suddette domande; cui nessuna risposta ha fornito la sentenza impugnata
in violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c.
Cassata pertanto la sentenza impugnata in relazione al motivo suddetto, il Collegio deve rinviare alla Corte di Appello di Lecce che in diversa
composizione prenderà in esame le domande dei D.P. e provvederà
anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi, accoglie il secondo di quello principale, rigetta l’altro motivo, nonché il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia anche per la liquidazione
delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di Appello di Lecce in
diversa composizione.
1. Informazioni sulla solvibilità economica al confine tra
liceità ed illiceità
Da un lato, una certa ‘‘leggerezza’’ delle banche nel procedere alla
segnalazione alla Centrale dei Rischi, dall’altro, l’automatismo
risarcitorio, conseguente al mero accertamento dell’antigiuridi-
cità della condotta: entro questi due confini si inserisce la decisione in epigrafe che appunto si occupa dei presupposti per l’inserimento di un nominativo nella lista dei cattivi pagatori e della
responsabilità dei danni conseguenti ad una segnalazione indebita, perché avvenuta a seguito di false e/o erronee informazioni:
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ipotesi di responsabilità che si pone normalmente nella terra di
nessuno tra contratto e tort(1)-(2) e che ancor di più è considerata
zona di confine quando la condotta illecita venga ascritta ad una
banca(3).
A fronte di un orientamento che non ravvisava ostacoli ad applicare alla banca la responsabilità civile di diritto comune per lesione di un diritto soggettivo relativo(4) o che ricorreva alla responsabilità da status per pervenire ad analogo risultato(5) - ipotesi oggi rinvigorita dall’idea che il «progressivo ed intenso processo di accorpamento e fusione tra i vari istituti di credito» ha
creato «un’ulteriore professionalità del banchiere» e ne ha fatto
un professionista altamente specializzato, dal quale è legittimo
attendersi correttezza e diligenza superiori alla media e più elevate che in passato» - altra parte della dottrina riteneva che la
banca potesse essere responsabile solo contrattualmente, fondando la distinzione tra i due tipi di responsabilità «non già sulla
natura dell’interesse leso, ma sull’esistenza o meno di una pregressa relazione tra i soggetti e quindi di un programma specifico
di comportamento»(6).
Oggi la fattispecie sembra proporre soprattutto la ricerca di un
equilibrio tra l’interesse al mutuo scambio di informazioni degli
intermediari(7) e la tutela degli affidati, i quali a causa dell’illecita
circolazione di notizie che li riguardano possono subire danni
alla propria reputazione, economica e personale(8). Le ricadute
di una indebita segnalazione, invero, si manifestano anche sugli
equilibri del mercato creditizio e imprenditoriale e, conseguentemente, sul regime della libera concorrenza, poiché l’impossibilità di accedere al credito da parte di un’impresa avvantaggia
automaticamente le altre che operano nel medesimo settore(9).
Alla base del problema vi è l’idea che l’informazione rivesta nel
mercato finanziario «il carattere di bene pubblico»(10), ma che la
sua distribuzione tra i diversi agenti possa non essere efficiente,
in assenza di interventi correttivi. In base alle informative raccolte, taluni soggetti possono essere del tutto esclusi da alcuni
ambiti della contrattazione, essere indotti ad accettare condizioni sfavorevoli o a sopportare maggiori costi per l’accesso a determinati beni o servizi; per contro, informazioni fuorvianti sulla
affidabilità economica di soggetti, diffuse in via esplicita o anche
implicita (per fatti concludenti: è il caso della concessione abusiva di credito ad un soggetto già insolvente o destinato a diventarlo irrimediabilmente, al prospetto informativo falso, alla falsa
certificazione di bilancio di società decotte) creano affidamenti
nei destinatari di quelle informazioni.
Di qui l’idea che si debbano delineare le tecniche di controllo
delle modalità d’uso delle informazioni relative alla solvibilità.
Sembra che se ne possano astrattamente immaginare due: quella
che segue la strada della c.d. privacy economica e quella che
punta alla elaborazione di uno statuto regolamentare speciale
che sposti il baricentro dell’attenzione dall’oggetto delle informazioni alla finalità del relativo trattamento. Quel danno, cioè,
che deriva da falsi affidamenti suscitati dai ‘‘messaggi’’ (dalle
‘‘informazioni’’, appunto) circa l’affidabilità economica di soggetti od affari, che in via esplicita o anche implicita (per fatti concludenti) determinati operatori, nell’esercizio della loro specifica
attività professionale, indirizzano al pubblico.
In linea astratta, la raccolta di informazioni sull’affidabilità dei
debitori da parte degli intermediari permette di «determinare
efficientemente il prezzo delle risorse finanziarie disponibili per
(1) BUSNELLI, Itinerari europei nella ‘‘terra di nessuno tra contratto e fatto
illecito’’: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contratto e impresa,
1991, II, 539
(2) La disciplina in vigore è tanto di fonte primaria, benché speciale l’art. 53, 1º co., lett. b, d.lg. n. 385/1993 prevede che la Banca d’Italia, in
conformità alle delibere del CICR, emani disposizioni generali aventi ad
oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni (compreso quello creditizio). Gli artt. 67, 1º co., lett. b) e 107, 2º co., lett. b), Tub
riproducono la stessa norma rispettivamente nell’ambito della vigilanza
consolidata, l’uno, e con riferimento agli intermediari iscritti nell’elenco
speciale, l’altro quanto di fonte speciale; l’art. 51 Tub pone a carico delle
banche l’obbligo di inviare all’Organo di Vigilanza le segnalazioni periodiche, nonché ogni altro dato o documento richiesto) - quanto di fonte
secondaria, essendo costituita da delibere del CICR e da istruzioni elaborate fornite dalla Banca d’Italia.
Quanto al CICR, si tratta della delibera del 29.3.1994 - assunta ai sensi dei
citati artt. 53, 67 e 107 Tub, che ha disciplinato il servizio di centralizzazione dei
rischi creditizi gestito dalla Banca d’Italia, dettando i principi generali della
materia. La disciplina si applica alle banche autorizzate in Italia all’esercizio
dell’attività creditizia, agli intermediari finanziari di cui all’art. 106 Tub che
fanno parte di un gruppo bancario iscritto all’albo, ovvero sono iscritti nell’elenco speciale di cui all’art. 107 Tub - e della delibera del 3.5.1999 che ha rilevato
l’opportunità di conoscere anche le informazioni relative agli affidamenti di
importo inferiore alla soglia di rilevazione della Centrale Rischi. La Banca d’Italia è intervenuta con un provvedimento del 10.8.1995 - che ha individuato le
società finanziarie con obbligo di partecipazione al servizio di centralizzazione
dei rischi in quegli intermediari finanziari ex art. 106 Tub, iscritti nell’albo e/o
nell’elenco speciale di cui agli artt. 64 e 107 Tub, che esercitano in via esclusiva o
prevalente l’attività di finanziamento sotto qualsiasi forma, cosı̀ come definita
dall’art. 2 d.m. Tesoro del 6.7.1994 - poi con le Istruzioni per gli intermediari
creditizi adottate il 14.11.2001, costituenti l’8º aggiornamento della Circolare n.
139 dell’11.2.1991. Peraltro, a partire da.1.2005, è entrato in vigore il 9º aggiornamento, adottato il 22.6.2004, fatte salve alcune disposizioni relative alla rilevazione dello status della clientela e al servizio di informazione periodico che
sono entrate in vigore da.1.2006.
(3) ROPPO, Crisi d’impresa: la banca risponde verso i creditori? (con postilla sugli sviluppi della responsabilità civile), in Danno e resp., 1996, 535
ss.; ID., Responsabilità civile e mercato finanziario, ibidem, 2002, 100 ss.
(4) NIGRO, La responsabilità della banca per concessione ‘‘abusiva’’ di credito, in PORTALE (a cura di), Le operazioni bancarie, Milano, 1978, I, 301;
PERRONE, Prestazione dell’assegno all’incasso ed obblighi della banca tratta-
ria, in Banca borsa tit. cred., 1993, II, 276; SANTORO, Criteri di valutazione
dell’operato della banca nella concessione di fidi a società poi dichiarate
fallite: recenti orientamenti della cassazione in tema di abuso della banca
nella concessione del credito, in Incontri di studio dedicati al diritto fallimentare, II, Quaderni del CSM, 1996, 361.
(5) La tesi si deve a CASTRONOVO, L’obbligazione senza prestazione. Ai
confini tra contratto e torto, Le ragioni del diritto – Scritti, in onore di
Mengoni, Milano, 1995, 148 221 ss., per il quale, quando un soggetto fornisce l’informazione in ragione del suo particolare status professionale e per
le conoscenze tecniche che possiede, è tenuto ad un obbligo (di protezione) nei confronti di colui che su tale qualità professionale abbia fatto
affidamento. Tale obbligo è, per l’autore, fonte di responsabilità contrattuale e non discende dal principio generale del neminem laedere, ma dalla
violazione degli obblighi che incombono sul soggetto in virtù del suo
status professionale.
In giurisprudenza a proposito della responsabilità del bonus argentarius cfr.
Cass., 8.1.1997, n. 72, 1997, 653 con nota di Scognamiglio; Cass., 13.1.1993, n.
343, in Giur. it., 1993, I, 343.
(6) CASTRONOVO, Diritto privato generale e diritti secondi. Responsabilità
civile e impresa bancaria, in MACCARONE-NIGRO (a cura di), Funzione bancaria, rischio e responsabilità della banca, Milano, 1981, 287; METTA, A
proposito della responsabilità della banca nei confronti del cliente oggetto
di segnalazione di notizie false alla Centrale dei Rischi, in Banca borsa tit.
cred., 1997, II, 364.
(7) Tale scambio riduce le asimmetrie informative orizzontali tra i potenziali finanziatori e provoca l’assottigliamento di quelle verticali tra la
banca e l’affidando: SCIARRONE ALIBRANDI, La rilevazione centralizzata dei
rischi creditizi: ricostruzione evolutiva del fenomeno e crescita degli interessi, in SCIARRONE ALIBRANDI (a cura di), Centrale dei Rischi. Profili civilistici,
Milano, 2005, 4.
(8) COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2001, 510; CALANDRA BONAURA
- PERASSI - SILVETTI, La banca: l’impresa e i contratti, vol. VI, in Tratt. dir.
comm., a cura di Cottino, Padova, 2001, 467; SALINAS, Osservazioni in tema
di segnalazione alla Centrale dei Rischi e di responsabilità della banca.
Nota a Trib. Milano, 19.2.2001, in Giur. it., 2001, 2.
(9) LIACE, Erronea segnalazione alla Centrale dei Rischi e responsabilità
della banca. Nota a Trib. Lecce, 25.8.2003, in Danno e resp., 2004, 746;
OLIARI, Danno non patrimoniale alle persone giuridiche per erronea segnalazione alla Centrale dei Rischi. Nota a Cass., 4.6.2007, n. 12929, in Leggi
civ. comm., 2008, 9.
(10) FERRO LUZZI, CASTALDI, La nuova legge bancaria, II, Milano, 2000, 776.
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i vari progetti di investimento»(11), evitando fenomeni di razionamento ingiustificato del credito, di accumulo di affidamenti in
capo ad uno stesso soggetto, il lievitare dei costi, in termini di
maggiori tassi d’interesse, provocati da una riconosciuta maggiore rischiosità del finanziamento(12).
Non è affatto casuale, infatti, che a fare da contrappeso all’idea
della libera circolazione delle informazioni di carattere economico si proponga la c.d. privacy economica, né che i suoi maggiori
detrattori argomentino proprio dall’idea che l’efficienza del mercato sia legata alla disponibilità di informazioni sugli operatori
economici e che alla trasparenza debba essere demandato il
compito di redistribuire il potere sociale, perché esso consente
di contrastare la formazione di quelle ‘‘sacche di potere’’ che
possono crearsi per effetto della disponibilità, in capo a pochi
soggetti, di un’ampia gamma di informazioni(13).
Il riferimento alla privacy economica risulta, nondimeno, poco
conferente, non solo (anzi, non tanto) perché il trattamento può
avvenire senza il consenso dell’interessato(14), quanto in ragione
del fatto che il nocciolo duro delle previsioni a tutela della privacy non risulta in coinvolto; non quella della trasparenza - posto
che: a) il censito spesso ignora di essere stato segnalato(15); (b)
non esiste l’obbligo del segnalante di annotare l’esistenza di una
contestazione da parte del censito; c) non esiste alcun rapporto
tra esercizio del potere informativo ed esercizio del potere di
autonomia, nel senso che l’intermediario non comunica al censito – quando una sua richiesta di credito non sia accolta o sia
accolta – ma praticandogli condizioni particolarmente sfavorevoli, quanto abbia influito il valore conformativo delle informazioni contenute nella Centrale dei Rischi o in altri sistemi informativi consultati per istruire la richiesta di credito e sondare la
sua solvibilità economica. Vi è, insomma, una sorta di licenza di
informarsi ed informare a favore degli intermediari finanziari ed
una insindacabilità, a cascata, sull’effetto conformativo dell’informazione. Ne deriva che l’uso di profili standard di riferimento
assunti a parametri di valutazione di determinate qualità per il
cliente si risolve in un pregiudizio, nel duplice senso di valutazione anticipata ed immodificabile di talune caratteristiche del
profilo tipo del censito, frutto di un giudizio non circostanziato, e
di danno per la preclusione di un sevizio o per i maggiori costi
per avervi accesso(16).
Ora, l’idea che possa configurarsi una gerarchia tra diritti si contrappone drasticamente alla dimensione del bilanciamento di
interessi, tanto ove riferito al dato normativo quanto se commisurato ad una fattispecie concreta(17). È più aderente alla realtà
riconoscere, allora, che il censito è del tutto permeabile all’altrui
potere informativo, che tale potere non si imbatte nei limiti derivanti dalla natura personale delle informazioni censite (benché
non manchino tentativi di estendere alle informazioni sulla solvibilità economica la tutela riservata ai dati cc.dd. semisensibili),
che il censito è espropriato del diritto di controllare le informazioni che lo riguardano, tanto sotto il profilo della loro esattezza
quanto sotto quello della loro circolazione.
In sostanza, mancando tutte (o almeno molte di) quelle esplicazioni della relazionalità(18), espressione della tecnica del bilanciamento di interessi che domina gli equilibri tecnico-giuridici su
cui si fonda la tutela della privacy, è difficile pensare di poter
attingere dalla relativa disciplina adeguati strumenti di tutela. Il
rapporto tra interessato e titolare del trattamento è non solo tale
da propendere a priori per il riconoscimento del diritto al trattamento, ma anche da impedire l’esplicarsi di taluni diritti riservati
normalmente all’interessato, il quale può solamente invocare,
ove la segnalazione sia avvenuta in assenza dei presupposti stabiliti dalla legge, la tutela risarcitoria(19), tutt’al più anticipata
quella cautelare(20), al fine di evitare il pericolo di un aggrava-
(11) FERRO LUZZI, CASTALDI, op. cit., 776; VELLA, Segnalazione di crediti in
‘‘sofferenza’’ alla Centrale dei Rischi e responsabilità della banca, in Banca
borsa tit. cred., 1999, II, 496.
(12) ROPPO, La responsabilità civile dell’impresa nel settore dei servizi innovativi, in Contratto e impresa, 1993, 891 ss.; AR. FUSARO, Informazioni
inesatte e danno alla ‘‘reputazione’’ d’impresa: le variabili della responsabilità, in Resp. civ., 2009, 355 ss.
(13) PELLECCHIA, Il codice deontologico per le Centrali-Rischi private, in
Danno resp., 2005, 252 ss.
(14) Sulla evoluzione della situazione del censito cfr. SCIARRONE ALIBRANDI,
La rilevazione centralizzata, cit., 21. Il ruolo del consenso dell’interessato
non pare rivestire un ruolo decisivo per le indagini sulla solvibilità: SCIARRONE ALIBRANDI, Trasmissione dei dati alla Centrale dei Rischi: consenso e
informazione dell’interessato, ibidem, 65 ss.
In giurisprudenza sull’irrilevanza del consenso cfr. Trib. Brindisi, 20.7.1999, in
Giust. civ., 2000, I, 555, con nota di SCHERMI, Segnalazione di credito ‘‘in sofferenza’’ alla Centrale Rischi della Banca d’Italia e provvedimento d’urgenza. In
una decisione (Trib. Napoli, 19.1.1998, in Banca borsa tit. cred., 1999, III, 452) è
previsto che la Banca d’Italia inoltri una richiesta di chiarimento in ordine alla
segnalazione alla banca segnalante; 2 ordinanze del Trib. Foggia (19.12.2003 e
19.3.2004, in www.dirittobancario.it) prescrivono l’apertura di un canale di interlocuzione tra banca e cliente che consenta a quest’ultimo di partecipare
all’istruttoria precedente la segnalazione.
(15) Trib. Paola, sez. distaccata di Scalea, 20.4.2001, in Riv. dir. comm. e
obbligazioni, 2001, 167, provvedimento confermato in sede di reclamo
Trib. Paola 20.6.2001, ibidem.
(16) PELLECCHIA, Commento all’art. 14, in BIANCA, BUSNELLI (a cura di), La
protezione dei dati personali, t. 1, Padova, 2007, 351.
(17) NAVARRETTA, Commento all’art. 11, in BIANCA, BUSNELLI (a cura di), La
protezione, cit., 246.
(18) Su cui cfr. BUSNELLI, Dalla legge al ‘‘Codice’’: un dilemma, una sfida,
un consolidamento normativo, una (imperfetta) razionalizzazione delle
tutele, in BIANCA, BUSNELLI (a cura di), La protezione, cit., XXXV.
(19) Che l’approccio rimediale sia quello della responsabilità civile è
perfettamente compatibile con la tecnica del bilanciamento degli interessi
configgenti: BUSNELLI, Dalla legge, cit., XXXV.
Fino a qualche anno fa, comunque, a fronte di un’illecita segnalazione alla
Centrale dei Rischi la giurisprudenza negava al cliente il risarcimento, escludendo la ricorrenza di un danno risarcibile: Trib. Roma, 3.11.1995, in Banca borsa
tit. cred., 1997, II, 492, con nota di Vella; piú recentemente nello stesso senso
App. Milano, 8.6.1999, ivi, 2000, II, 568, con nota di Boggi.
(20) Almeno dopo un iniziale atteggiamento di chiusura da parte della
giurisprudenza impegnata in una tutela oltranzista del mercato del credito: Pret. Roma 12.10.1990, in Mondo banc., 1991, f. 4, 47, con nota di
Capriglione. Nello stesso senso, cfr. Pret. Crotone, 23.1.1993, in Banca
borsa tit. cred., 1994, II, 595. Il Pretore ha ritenuto che, in caso di segnalazione alla Centrale dei Rischi di crediti in ‘‘sofferenza’’ in testa al soggetto
che ha presentato opposizione a decreto ingiuntivo a cui è stata negata la
provvisoria esecuzione, non sussistono le condizioni per il ricorso, da parte dell’opponente, alla procedura d’urgenza ex art. 700 c.p.c., al fine di
ottenere la cancellazione del suo nome dal registro dei soggetti ‘‘a rischio’’;
Trib. Roma, 5.8.1995, in Impresa, 1995, 2078; Trib. Roma, 3.11.1995, in
Impresa, 1996, 480; Trib. Avezzano, (ord.), 12.6.1998, in Banca borsa tit.
cred., 1998, II, 452.
La giurisprudenza filobancaria attinge a piene mani all’argomento secondo
cui gli intermediari sono obbligati alla segnalazione: cfr. DOLMETTA, A proposito
della responsabilità della banca nei confronti del cliente oggetto di segnalazione
di notizie false alla Centrale dei Rischi, in Banca borsa tit. cred., 1999, II, 361.
La situazione oggi può dirsi rovesciata, nel senso che vi è una crescente
apertura nei confronti dell’impiego dell’art. 700 c.p.c.: cfr., ad es., Trib. Padova,
13.9.1993, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1994, 407, con nota di Neri, Sanzioni
economiche contro l’Iraq e applicazione cautelare di norme comunitarie; Trib.
Cagliari, 28.11.1995, in Banca borsa tit. cred., 1997, II 354; Trib. Roma, 10.3.1998,
ibidem, 1998, II, 452; Trib. Brindisi, 20.7.1999, in Giust. civ., 2000, I, 555; Trib.
Roma, 24.3.2000, in Impresa, 2000, 811; Trib. Brindisi, 26.9.2000, in Giust. civ.,
2000, I, 555; Trib. Alessandria, 20.10.2000, in Banca borsa tit. cred., 2001, II, 571;
Trib. Parma, 22.12.2000, in SCIARRONE ALIBRANDI (a cura di), Centrale dei Rischi,
cit., 240; Trib. Paola, 20.4.2001, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 2001, II, 167;
Trib. Potenza, 4.5.2001, in Giur. comm., 2003, II, 210; Trib. Potenza, 30.6.2001, in
SCIARRONE ALIBRANDI (a cura di), Centrale dei Rischi, cit., 244.
Resta da chiedersi se l’interessato oggetto di una segnalazione inesatta possa
esperire i rimedi di cui all’art. 7 Codice privacy, in ragione dei limiti posi dall’art.
8, 4º co., riguardo ai dati di carattere non oggettivo: sul problema specifico cfr.
MINNECI, Tutele privacy, cit., 129 ss.
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2. Presupposti per la segnalazione
Una rassegna della giurisprudenza, soprattutto di merito, che si è
occupata della segnalazione alla Centrale dei Rischi dimostra che
la strada seguita per affrontare i casi di illecito censimento non è
stata quella della privacy(22), bensı̀ quella derivante dalla verifica
che la segnalazione sia avvenuta nel rispetto dei presupposti
previsti.
Le condanne degli intermediari per indebita segnalazione sono
divenute in verità piuttosto frequenti; la sensazione, infatti, è che
essi ricorrano alla segnalazione per esercitare una pressione psicologica sul cliente, il quale alla preesistente debolezza economica aggiunge una situazione di dipendenza anche psicologica(23). Dai repertori di giurisprudenza emerge che gli intermediari rispondono alle semplici contestazioni del cliente in ordine
all’esistenza ed all’entità del credito, segnalandolo come cattivo
pagatore.
L’iter è quasi sempre lo stesso: l’intermediario revoca l’affidamento in atto(24), perché reputa il cliente non più affidabile(25);
per effetto della revoca sorge un credito da recuperare che viene
comunicato alla Centrale dei Rischi, indicando la categoria di
riferimento. La segnalazione avviene, peraltro, senza il consenso
dell’interessato, posto che egli spesso viene a conoscenza di essere stato segnalato come cattivo pagatore a causa della chiusura
di ogni linea di credito in essere o del rifiuto di una sua richiesta
di carta di credito, poiché ogni banca, ogni intermediario finanziario, ogni società di leasing adotta una regola assai consolidata
nel mondo degli affari: «the best predictor of future behavior is
past behavior».
Insomma, le banche continuano a dimostrarsi eccessivamente
propense alla segnalazione sol che il debitore sia inadempiente,
minacci o (anche solo) manifesti l’esplicita intenzione di non
adempiere. Le segnalazioni dubbie non sono quelle a fronte delle
quali è previsto un obbligo di segnalazione dai presupposti certi,
perché la situazione censita rientra nei limiti quantitativi previsti
dalla Banca d’Italia(26), bensı̀ quelle che richiedono un margine
di apprezzamento discrezionale da parte dell’intermediario, cui
si chiede di accertare se il debitore versi in una situazione di
sofferenza(27) o in una situazione ad essa equiparabile.
La giurisprudenza ritiene che il mero inadempimento del debito
verso la banca(28), anche eventualmente accompagnato da un
esplicito rifiuto di adempiere, non comporti la qualificazione
della posizione del credito come in sofferenza, occorrendo che
la banca accerti l’irreversibilità del dissesto del correntista e che
dimostri, anche al fine della successiva sindacabilità giurisdizionale del suo operato, di aver operato sulla base di una pluralità di
indici inequivoci che sistematicamente coordinati l’abbiano indotta a formarsi il convincimento dell’impossibilità del cliente di
ritornare in bonis.
Va precisato che sui presupposti per una legittima segnalazione
si sono formati, nella sostanza, due orientamenti: il primo identifica lo stato di insolenza rilevante ai fini della segnalazione con
quello di cui all’art. 5 l. fall. (29); il secondo invece, cui è ascrivibile la decisione in epigrafe, ne accoglie una nozione levior, per la
quale, completando le istruzioni della Banca d’Italia, è attribuito
rilievo alle situazioni equiparabili allo stato di insolvenza, consistenti «in situazioni di pericolo, sia rispetto alla qualità del debitore, desumibile dalla sua condotta, sia rispetto alle concrete
possibilità di recupero del credito, da considerarsi in ‘‘sofferenza’’
non solo quando verosimilmente impossibile, ma anche quando
appaia ‘‘seriamente difficile’’»(30).
(21) Trib. Cagliari, 28.11.1995, in Riv. giur. sarda, 1997, 96 con nota di
CHESSA, Segnalazione illegittima alla Centrale dei Rischi e tutela cautelare
atipica; Trib. Pescara, 21.12.2006, in www.ilcaso.it; Trib. Lecce, sez. staccata
di Galatina, ibidem, Trib. Parma, (sent.), 27.9.2006, in Dir. Internet, 2007,
195; App. Milano, 20.9.2006, in Foro it., 2007, I, 2893, con nota di Valdarnini
e di Palmieri.
(22) Il dato sembra condiviso da SCIARRONE ALIBRANDI, La rilevazione centralizzata, cit., 28.
(23) Trib. Pescara, 21.12.2006, in www.ilcaso.it; Trib. Cagliari, (ord.),
28.11.1995, in Banca borsa tit. cred., 1997, II, 357, Trib. Palermo,
4.11.2002, in Giur. di Merito, 2003, 207; Trib. Salerno, sez. distaccata di
Eboli, 22.4.2002, in Dir. e prat. soc., 2002, 94, con nota di FERRI, Segnalazione ‘‘in sofferenza’’ alla Centrale Rischi e responsabilità della banca; Trib.
Potenza, 30.6.2001, in Giur. comm., 2003, II, 404, con nota di MARCHESE,
Segnalazione dei crediti in sofferenza alla Centrale dei Rischi con particolare riferimento agli interessi tutelati dalla relativa normativa; Trib. Potenza, 4.5.2001, in Giur. comm., 2003, II, 210, con nota di SERRA, Segnalazioni
erronee alla Centrale dei Rischi e responsabilità dell’intermediario; Trib.
Milano, 31.7.2001 e Trib. Roma, 2.8.2002, in Banca borsa tit. cred., II,
2003, 633; Trib. Napoli, 22.10.2003, in Giur. merito, 2003, 20; Trib. Alessandria, 20.10.2000, in Dir. e prat. soc., 2001, 79, con nota di FAUCEGLIA, Cattivo
uso del potere di segnalazione del debitore alla Centrale dei Rischi.
(24) Si è discusso se la segnalazione debba essere preceduta da una
espressa richiesta di adempimento con atto di formale messa in mora o
dall’adozione di «una prima delibazione dialettica delle ragioni sottese
all’esposizione» (rispettivamente Trib. Milano, 19.2.2001, in Giur. it.,
2001, 334, e Trib. Palermo, 4.11.2002, in Giur. merito, 2003, I, 207). Il quesito coinvolge l’aspetto relativo all’informativa al cliente che, in verità,
dovrebbe discendere dalla regola di buona fede (cosı̀ DOLMETTA, Il ‘‘credito
in sofferenza’’, cit., 48), ma che, invece, non sembra né una preoccupazione
dei segnalanti né della Banca d’Italia e sembra non essere al centro dell’attenzione della giurisprudenza.
Del resto, la circostanza che la banca abbia comunicato al cliente l’avvenuta
segnalazione a sofferenza è irrilevante ai fini della valutazione della correttezza
della segnalazione: Trib. Cagliari, 25.10.2000, in Banca borsa tit. cred., 2002, II,
442, con nota di TOLA, Aspetti problematici delle segnalazioni alla Centrale dei
Rischi.
(25) Per Trib. Milano, 31.7.2001, in www.ilcaso.it, se la banca segnalante
continua a far credito al cliente è segno che la segnalazione in sofferenza è
avvenuta illegittimamente.
Cfr., però, DOLMETTA, Il ‘‘credito in sofferenza’’, cit., 49; VELLA, op.cit., 497.
(26) Cfr. l’art. 6.1 [Presupposti per la segnalazione di un soggetto alla
Centrale dei Rischi] della Circolare della Banca d’Italia n. 238/2001 e successivi aggiornamenti.
(27) L’art. 1.5, sezione 2, capitolo II, delle Istruzioni della Banca d’Italia,
rubricato ‘‘sofferenze’’, dispone: «Nella categoria di censimento sofferenze
va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in
stato di insolvenza, anche non accertata giudizialmente, o in situazioni
sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall’azienda. Si prescinde, pertanto, dall’esistenza
di eventuali garanzie (reali o personali) poste a presidio dei crediti. Sono
escluse le posizioni la cui situazione di anomalia sia riconducibile a profili
attinenti al rischio-paese. L’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria
del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di
quest’ultimo nel pagamento del debito».
(28) Trib. Trapani, 20.1.2009, in www.ilcaso.it; Trib. S.M. Capua Vetere,
5.2.2006, v., altresı̀, Trib. Napoli, 18.3.2005, in Rep. Foro it., 2005, voce
Banca credito e risparmio, n. 131.
(29) Trib. Alessandria, 20.10.2000, in Banca borsa tit. cred., 2001, II, 571,
con nota di Giusti; Trib. Palermo, 4.11.2002, in Giur. di Merito, 2003, 207;
Trib. Milano, 17.3.2004, in Banca borsa tit. cred., 2004, II, 528. In particolare, secondo Trib. Catania, 2.4.2003, cit., per la segnalazione alla Centrale
Rischi, l’insolvenza deve essere intesa come probabilità dell’inadempimento, e non come certezza del suo verificarsi. V. sul punto LIACE, La
responsabilità civile della banca per erronea segnalazione alla Centrale
Rischi, cit., 509; FAUCEGLIA, Eppur si muove! Qualche novità nella giurisprudenza della Corte d’Appello in tema di sanzioni irrogate ad esponenti bancari, in Giur. comm., 2000, II, 93.
(30) App. Milano, 4.11.2003, in Giur. it., 2004, 6, con nota di VENTURA, Nota
in tema di segnalazione alla Centrale dei Rischi e di responsabilità della
banca; Cass., 1.4.2009, n. 7598, in Corriere giur., 2009, 760, con annotazione
di V. CARBONE, Segnalazione alla Centrale Rischi, in Giur. it., 2010, f. 10, con
nota di GANGEMI, Segnalazione alla Centrale Rischi e privacy: profili di
mento del pregiudizio all’immagine personale ed imprenditoriale indubbiamente derivante dalla ‘‘pubblicità’’ di cui è stato oggetto(21).
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La tendenza più recente si muove all’insegna della moderazione,
giacché ritiene legittima la segnalazione solamente quando per la
banca sia obiettivamente difficile recuperare il credito: tale difficoltà, a sua volta, è suscettibile di valutazioni negative di diversa
intensità e differenti effetti che vanno dall’incaglio – situazione
intermedia tra quella del cliente in bonis e quella del debitore in
sofferenza: si pensi al cliente che abbia ancor aperte delle linee di
credito o al cliente che abbia superato le difficoltà finanziarie che
lo collocavano tra gli insolvibili – alla perdita, quando risulti una
situazione di acclamata ed accertata irrecuperabilità del finanziamento, più grave di quella del credito in sofferenza(31).
L’idea da cui si muove è che un’automatica trasposizione del
concetto d’insolvenza imporrebbe all’intermediario un tipo d’indagine analoga a quella del tribunale fallimentare, la quale, peraltro, dalla disciplina fallimentare è riservata all’imprenditore
commerciale, là dove l’inserimento nella black list dei cattivi
pagatori non è ancorata ad alcun tipo di qualificazione soggettiva
del censito. Del resto, non ogni qualvolta il legislatore ha utilizzato l’espressione insolvenza ha inteso riferirsi ai presupposti
richiesti dall’art. 5, l. fall. – cfr. l’insolvenza ex art. 1186, «decadenza dal beneficio del termine del debitore» ed ex art. 1274
«insolvenza del nuovo debitore in caso di delegazione»(32).
La difficoltà del cliente deve, ad ogni modo, emergere a seguito di
un’attenta analisi da parte dell’intermediario, sicché è da ritenersi che quando il segnalante non abbia operato alcuna valutazione in ordine alla complessiva situazione finanziaria del cliente(33)– essendosi magari limitato a prendere atto del mancato
pagamento di alcuni ratei di canone e ad operare la segnalazione
senza curarsi se in capo al debitore fossero ravvisabili altri indici
di difficoltà nell’adempimento delle proprie obbligazioni e se
questi fossero poi a loro volta rappresentativi di un’oggettiva
condizione di insolvenza destinata a ripercuotersi sfavorevolmente sulla realizzabilità del credito - la segnalazione non può
ritenersi avvenuta in conformità alle norme che la disciplinano(34).
Più specificamente: l’orientamento giurisprudenziale prevalente
valuta la segnalazione come un fatto tutt’altro che automatico,
ma implicante una valutazione in ordine all’insolvenza/difficoltà
del cliente. Il soggetto segnalante deve verificare, sulla base degli
elementi oggettivi a sua disposizione, se il proprio cliente si trovi
in una situazione che induca a ritenere la riscossione del credito
a rischio, dovendo tenere conto di elementi quali la liquidità del
debitore, la sua capacità produttiva e reddituale, la situazione di
mercato in cui opera, l’ammontare complessivo del debito: fer-
mo restando che tali elementi non possono integrare da soli i
presupposti per la segnalazione, là dove la concreta situazione
del cliente non crei allarme quanto alla sua generale solvibilità.
Per tale «giudizio prognostico di natura delicata e complessa», i
giudici ritengono che «l’inadempimento del cliente» non basti, come si è detto, rilevando esso alla stregua di un segnale meramente
indicativo della (possibile) decozione patrimoniale; esso non «è...di
per sé solo necessario né sufficiente per una netta e precisa affermazione dell’insolvenza richiesta ai fini della segnalazione», tenuto
conto anche del fatto che la banca deve «formulare un’estimazione...sulla base di elementi raccolti per sua iniziativa unilaterale, al di
fuori di ogni forma di contraddittorio»(35).
Piuttosto frequenti sono i casi in cui la segnalazione avviene a
carico di un soggetto che abbia contestato, non in via manifestamente infondata, il credito vantato dall’intermediario. Il censito,
in molte delle ipotesi considerate, si era rifiutato di adempiere,
convinto della irregolarità del processo di formazione della esposizione debitoria (spesso la contestazione del credito riguardava
l’applicazione dell’anatocismo, della commissione di massimo
scoperto, della capitalizzazione trimestrale degli interessi). La
giurisprudenza, in casi come questo, esclude la ricorrenza dei
presupposti legittimanti la segnalazione, motivandola con il difetto di valutazione della complessiva situazione finanziaria del
cliente che accerti che l’esposizione debitoria «sia in effetti eziologicamente riconducibile ad una situazione di oggettiva difficoltà economico-finanziaria». L’intermediario, infatti, contravviene
agli obblighi di correttezza cui deve essere improntata la sua
attività se procede alla segnalazione prescindendo dall’accertamento del «tipo di motivi a cagione dei quali si è formata l’esposizione debitoria» e dei motivi che spingono il correntista a consolidarla contestando in tutto o in parte il suo debito(36). Se le
richieste del correntista non appaiono pretestuose, il segnalante
abusa del suo potere di segnalazione, non ravvisandosi in essa
(nella segnalazione) il perseguimento di quella funzione di pubblicità posta a tutela del mercato creditizio che legittima il sacrificio della riservatezza del censito(37).
responsabilità in capo alla Banca d’Italia e in www.leggiprofessionaleditaliait; Cass., 12.10.2007 n. 21428, in Corriere giur., 2007, 1649.
(31) CASTIGLIONI, La segnalazione in Centrale dei Rischi in Bankitalia nella
categoria ‘‘sofferenze’’: distinzione tecnica tra ‘‘incaglio’’ e ‘‘sofferenza’’, in
www.magistra.it.
(32) PISAPIA, La responsabilità degli intermediari finanziari in caso di
erronea segnalazione alla Centrale Rischi, in Società, 2004, 961; LIACE, La
responsabilità civile della banca per erronea segnalazione alla Centrale dei
Rischi. Nota a Trib. Catania, 2.4.2003, in Dir. fall. 2003, 984.
(33) In verità in merito alla dimensione degli accertamenti dovuti dal
segnalante si sono formati due orientamenti: il primo che ritiene che
l’intermediario debba, appunto, valutare la situazione complessiva del
cliente (tra i tanti cfr. VELLA, Segnalazione di crediti in ‘‘sofferenza’’ alla
Centrale dei Rischi e responsabilità della banca, in Banca borsa tit. cred.,
1997, II, 499; MARCHESE, Segnalazione dei crediti in sofferenza alla Centrale dei Rischi con particolare riferimento agli interessi tutelati dalla
relativa normativa, in Giur. comm., 2003, II, 413 ss.; DOLMETTA, Il ‘‘credito in sofferenza’’ nelle Istruzioni di Vigilanza sulla Centrale dei Rischi,
in SCIARRONE ALIBRANDI (a cura di), Centrale dei Rischi, cit., 35 ss.); il
secondo (cfr. G. SCOGNAMIGLIO, Sulla segnalazione a sofferenza nella Centrale dei Rischi della banca d’Italia, in Banca borsa tit. cred., 1999, I,
301), secondo cui la valutazione andrebbe limitata allo specifico rapporto di credito instauratosi tra la banca e il cliente o sull’insieme dei
rapporti fra i medesimi, non richiedendo le Istruzioni un’indagine a
tutto campo sulla situazione patrimoniale del cliente e ciò per evitare
anche indagini complesse - e verosimilmente costose - viceversa demandate al giudice fallimentare.
(34) Trib. Bari, 17.6.2008, in Giur. di Merito, 2009, 684; Trib. Milano,
23.9.2009, in www.ilcaso.it; Trib. Trapani, 20.1.2009, ibidem; Trib. Brindisi,
14.5.2005, ibidem.
Cfr. anche la circolare illustrativa di Bankitalia relativamente alle modalità di
segnalazione alla Centrale Rischi e che specifica che «l’appostazione a sofferenza implica pertanto una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da
un mero ritardo di quest’ultimo nel servizio di pagamento del debito».
(35) Trib. Pescara, 21.12.2006, in www.ilcaso.it.
(36) Trib.Palermo, 4.11.2002, in www.ilcaso.it.
(37) Trib. Pescara, 21.12.2006, cit.
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3. Tutela risarcitoria del segnalato
La tutela del soggetto illegittimamente censito, dopo una fase in
cui i giudici escludevano che la segnalazione indebitamente avvenuta fosse fonte di danno, si è realizzata concedendogli il rimedio della tutela cautelare, volto ad ottenere tempestivamente
la cancellazione; solo di recente - ma con una significativa accelerazione - i giudici si sono orientati verso la tutela risarcitoria.
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La fonte della responsabilità è quasi sempre aquiliana, sicché le
questioni controverse appaiono nella sostanza due: a) il verificarsi di un danno ingiusto; b) la matrice consequenziale del pregiudizio. A volte in questa materia i giudici continuano a scomodare il cumulo di responsabilità aquiliana e per inadempimento
di un’obbligazione (di cui, in verità, non ci sarebbe bisogno, posto che il danno non patrimoniale può ben derivare da un illecito
ex art. 1218 c.c.(38). Il che, per quanto concerne il profilo sub b)
significa che, posto che la rilevanza dell’interesse leso è già stata
fatta al momento della predisposizione del programma contrattuale, la condotta non iure è, in altri termini, in re ipsa contra
ius(39).
L’accertamento dell’ingiustizia del danno, invece, quando ricorre
un illecito aquiliano, merita di essere ulteriormente disarticolato,
in ragione del fatto che il comportamento antigiuridico del segnalante si presta ad essere considerato un illecito dotato di
potenzialità plurioffensiva, essendo stato dalla giurisprudenza e
dalla dottrina(40) considerato fonte di più danni, patrimoniali e
non patrimoniali: quello alla reputazione economica dei soggetti
coinvolti(41), quello per la compromissione delle chance di successo imprenditoriale; quello alla libera concorrenza, atteso che
il mancato accesso al credito di un imprenditore porta ad avvantaggiare le altre imprese operanti nel settore(42), quello all’integrità in generale del patrimonio, quello alla reputazione personale che riguarda tutti i debitori segnalati, a prescindere dal fatto
che siano imprenditori. Tutte queste voci di danno, frutto di un
inventario sommario delle risposte giurisprudenziali, denotano
evidentemente la tendenza ad enucleare sempre nuovi interessi
cui riconoscere tutela in ambito risarcitorio, spesso conseguenza
di una abusiva utilizzazione della tecnica risarcitoria(43), perché
il giudice è guidato da precomprensione o da ansia creativa.
Ad ogni modo, alcune direttive sono da considerarsi premesse
imprescindibili: per i primi - id est i danni patrimoniali - l’ingiustizia sarà quella di cui all’art. 2043 c.c. (occorrerà cioè che il
danno oltre ad essere non iure abbia leso un interesse giuridicamente rilevante); per i secondi - i danni non patrimoniali - sarà
quella di cui all’art. 2059 c.c., nella sua recente interpretazione
costituzionale(44), per la quale occorre un contra ius costituzionale, o meglio occorre la lesione intollerabile di un interesse della
persona costituzionalmente protetto rientrante tra quelli reputati
inviolabili(45).
La seconda questione riporta all’attualità il se la illegittima segnalazione dia luogo ad un danno evento o ad un danno in re
ipsa automaticamente risarcibile(46): ipotesi che, è bene precisare, si pongono in contrasto con la giurisprudenza della Suprema
Corte che critica la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso e parimenti la variante costituita dall’affermazione che nel
caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re
ipsa(47). Anche se vi è la tendenza a considerare il danno in re
ipsa una declinazione meramente terminologica del danno evento, non è cosı̀, perché il danno in re ipsa, includendo nel concetto
di danno anche il pregiudizio coincidente con la lesione di un
interesse, dal punto di vista processuale implica che allegazione
e prova dell’evento lesivo e del danno coincidono.
La sentenza in epigrafe legittima proprio l’automatismo risarcitorio censurato, ove riconosce che l’accertata antigiuridicità del
comportamento della banca segnalante costituisce «di per sé un
comportamento pregiudizievole per l’attività economica» del segnalato, lesivo «della sua reputazione»: la categoria impiegata è
quella del danno evento, tanto patrimoniale quanto non patrimoniale, posto che si allude ad una perdita costituita dalla privazione di un valore del soggetto e del suo patrimonio.
La situazione del censito è analoga, aggiunge la Corte, a quella di
colui che sia illegittimamente protestato, egualmente vittima di
un danno da lesione dell’immagine sociale: danno reale che deve
essere risarcito - senza necessità per il danneggiato di fornire la
prova della sua esistenza - sia a titolo di responsabilità contrattuale per inadempimento che di responsabilità extracontrattuale,
in modo satisfattivo ed equitativo se la peculiare figura del danno
lo richiede. La categoria evocata è inequivocabilmente quella del
danno in re ipsa(48).
Ora, per comprendere l’insoddisfazione per la soluzione proposta, occorre premettere che ciascuna delle tesi riferite – danno
evento, danno in re ipsa, danno conseguenza – riflette la complessità del tema del danno risarcibile, su cui non è possibile
soffermarsi in questa sede; vale, invece, la pena di individuare
alcuni spunti critici, enucleandoli dalle applicazioni giurisprudenziali, che possono contribuire ad alimentare il dibattito arricchendolo di nuove prospettive di indagine.
Va ricordato che la responsabilità per erronea segnalazione alla
Centrale dei Rischi è attratta nel genus della responsabilità per
false informazioni. Se ne individuano, comunque, alcune peculiarità che valgono a contraddistinguerla: il danno cade nella
sfera giuridica del soggetto su cui verte l’informazione, il quale
non dedurrà di essere stato fuorviato dalla falsa informazione(49),
ma di essere stato leso nel valore d’uso della sua rappresentazio-
(38) MINNECI, Tutele Privacy e di diritto comune per il ‘‘recupero’’ della
correttezza dei dati trasmessi alle Centrali Rischi, in SCIARRONE ALIBRANDI
(a cura di), Centrali dei Rischi, cit., 137.
(39) Cfr. ZACCARIA, Il risarcimento del danno non patrimoniale in sede
contrattuale, in Resp. civ., 2009, 28 ss.; AMATO, I primi passi del danno
non patrimoniale per inadempimento contrattuale dopo le Sezioni Unite
di San Martino. Nota a G.d.P. Piacenza, 30.12.2008, in Danno resp., 2009,
771; ID., Il danno non patrimoniale da contratto, in PONZANELLI (a cura di),
Il ‘‘nuovo’’ danno non patrimoniale, Padova, 2004, 156 ss.; G. SCOGNAMIGLIO,
Il danno non patrimoniale contrattuale, in MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele, Torino, 2002, 467 ss; NAVARRETTA, Il valore della persona nei
diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali, in Resp. civ e
.prev., 2009, 69.
(40) MINNECI, Tutele Privacy, cit., 135.
(41) Trib. Savona, 3.4.2002, in SCIARRONE ALIBRANDI (a cura di), Centrale dei
Rischi, cit., 246.
(42) Trib. Brindisi, 20.7.1999; Trib. Paola, 20.4.2001, in Riv. dir. comm. e
obbligazioni, 2001, II, 167.
(43) NAVARRETTA, Ingiustizia del danno e nuovi interessi, in Diritto civile
diretto di Lipari e Rescigno, IV, (Attuazione dei diritti), t. III, La responsabilità e il danno, Milano, 2009, 164 ss.
(44) Il danno patrimoniale ha dalla sua una oggettiva ponderabilità - cioè
una valutazione effettuata secondo una scala di valori omogenei desumibili dal mercato - che si riflette sul piano probatorio, il danno non patrimoniale, proprio a causa della sua imponderablità, richiede un maggior
rigore quanto alla dimensione dell’iniuria che si incentri sulla tutela della
persona (l’ingiustizia generica dell’art. 2043 c.c. non basta a questo scopo):
cfr. NAVARRETTA, L’evoluzione storica dell’ingiustizia del danno, in Diritto
civile diretto da Lipari e Rescigno, cit., 159 e POLETTI, Il danno risarcibile,
ibidem, spec. 421 ss.
(45) Ex plurimis, cfr. NAVARRETTA, L’evoluzione storica dell’ingiustizia del
danno, in Diritto civile diretto da Lipari e Rescigno, cit., 158 ss.
(46) Sul punto cfr., ex plurimis, di recente POLETTI, Il danno risarcibile, in
Diritto civile diretto da Lipari e Rescigno, cit., 361 ss. e spec. 372.
(47) Cass., S.U., 11.11.2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975, in Resp. civ. e
prev., 2009, 38 ss.
(48) Nello stesso senso Cass., 28.6.2006, n. 14977, in www.leggiditaliaprofessionale.it; Cass., 18.4.2007, n. 9233, ibidem; Cass., 30.8.2007, n.
18316, ibidem, Cass., 18.9.2009, n. 20120, ibidem.
(49) È questo l’ambito in cui la responsabilità per false informazioni è
ascrivile all’affidamento illegittimamente ingenerato nella vittima: Navarretta,
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ne pubblica(50); la comunicazione a terzi di informazioni false od
errate relative al soggetto-oggetto dell’informazione può lederne,
come si è già detto, più interessi.
La situazione più frequente è quella che coinvolge un imprenditore, proprio come nella vicenda in epigrafe: in tal caso la diffusione di fuorvianti informazioni sul suo conto, oltre a lederne la
reputazione personale, può incidere sulla sua ‘‘reputazione economica’’(51), cioè sul suo interesse «a che non vengano diffusi
riferimenti personali negativi, anche se veritieri, attinenti alle
proprie qualità imprenditoriali, che è espressione del diritto assoluto alla tutela dell’onore, spettante all’imprenditore cosı̀ come
a ogni altro soggetto»(52), coincidente, grosso modo, con il tort of
defamation dei paesi anglosassoni(53).
Premesso che distinguere le due ipotesi non è sempre agevole, la
tutela dell’imprenditore, la cui reputazione non sia lesa da un
concorrente (ciò allo scopo di giustificare il mancato impiego
dell’illecito anticoncorrenziale)(54), dovrebbe ascriversi alla regola di fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., il quale impone che si
accerti (oltre a quella di tutti gli altri elementi costitutivi) la ricorrenza di un danno ingiusto (ingiustizia che andrà diversamente valutata secondo che si lamenti un danno patrimoniale
o non patrimoniale)(55). I problemi maggiori si pongono da questo punto di vista rispetto alla componente patrimoniale della
reputazione d’impresa, mentre minori incertezze si registrano
nel settore dei diritti della personalità. Le soluzioni prospettate
per quanto attiene all’individuazione dell’interesse meritevole di
tutela di cui deve risultare titolare la vittima sono più d’una: si va
da quella che riconosce all’imprenditore un diritto soggettivo
sull’impresa(56) a quella che evoca il diritto all’integrità del proprio patrimonio(57).
Un secondo ordine di problemi riguarda l’atteggiamento della
giurisprudenza che ancora continua a qualificare come danno
in sé il discredito e che, pensando di risolvere il problema del
quantum debeatur, è incerta in ordine alla qualificazione del
danno e quindi in ordine alla regola di risarcimento applicabile. Posto che il requisito della patrimonialità (e per converso
di quello della non patrimonialità) attiene al danno, cioè alle
conseguenze pregiudizievoli della lesione, e non già all’interesse leso, il danno patrimoniale, risarcibile ex art. 2043 c.c., individua sia i pregiudizi economici derivanti dalla lesione degli
interessi patrimoniali (per i quali è più facile ipotizzare la coincidenza con le perdite pecuniarie che sono facilmente dimostrabili e risarcibili esattamente per equivalente, attraverso
l’aestimatio rei) sia i pregiudizi economici derivanti dalla lesione di interessi non patrimoniali che non sono percepibili in
termini di perdita di utilità, insuscettibili di scambio secondo i
valori di mercato, avendo solo un valore d’uso per il danneggiato (per i quali si ricorre normalmente all’id quod interest)(58).
Si prenda come punto di partenza, la perdita della possibilità di
avere accesso al credito, indice della presunzione di insolvibilità
del richiedente: c’è una certa tendenza a riconoscere la ‘‘notevole
portata’’ del danno che ne scaturisce(59). Per considerarlo un
danno patrimoniale risarcibile esso dovrebbe apprezzarsi quale
conseguenza pregiudizievole della lesione di un interesse meritevole di tutela. La giurisprudenza che ne ha riconosciuto la risarcibilità sembra far leva sulla lesione del diritto di impresa(60),
salvo poi intorbidire il ragionamento intrecciandovi la lesione
della reputazione economica(61), che si aggiunge alla lesione della reputazione personale, e del diritto all’immagine dell’impresa(62), trascorrendo, almeno secondo quanto è dato di dedurre
dalla lettura della parte motivazionale delle pronunce che sono
sempre piuttosto laconiche su questo punto, dal danno patrimoniale a quello non patrimoniale. Anche la sentenza in commento
riflette questa tendenza: una certa sovrapposizione tra il danno
patrimoniale e quello non patrimoniale, verosimilmente effetto
(50) AR. FUSARO, Informazioni inesatte e danno alla reputazione economica
d’impresa: le variabili della responsabilità, in Resp. civ., 2009, 355 ss.
(51) Di dubbia riconducibilità nel novero dei diritti della personalità:
BARCELLONA, Strutture della responsabilità e ‘‘ingiustizia’’ del danno, in Europa dir. priv., 2000, 482; ZENO ZENCOVICH, Il danno da notizia inesatta non
diffamatoria, in Dir. inf. e informatica, 1992, 73 ss.
Contra, per una piena coincidenza, cfr. DI AMATO, Il danno da informazione
economica, Napoli, 2004.
(52) Si tratta di un’ipotesi da tenere distinta da quella concernente il
discredito relativo ai prodotti dell’impresa coincidente con il tort of injurious falsehood, su cui cfr. A. FUSARO, op. ult. loc. cit.
(53) Per il quale si rinvia a AR. FUSARO, op. ult. loc. cit., anche per gli
opportuni riferimenti.
(54) L’atteggiamento più rigoroso tende infatti ad escludere che le norme
sull’illecito anticoncorrenziale si applichino in assenza di una situazione
di concorrenzialità tra due o più imprenditori: sul punto cfr. RUFFOLO,
Colpa e responsabilità, in Diritto civile diretto da Lipari e Rescigno, cit.,
119 ss.
(55) La regola di responsabilità è la stessa per i due tipi di danno (diversa
è la regola di risarcimento): l’art. 2059 c.c., proprio perché non è regola di
responsabilità, mutua tutti gli elementi costitutivi dall’art. 2043 c.c., differenziandosene solo in punto di accertamento dell’ingiustizia, posto che
per il risarcimento del danno non patrimoniale è richiesta una ingiustizia
costituzionalmente rilevante e, dopo le sezioni unite del 2008, si precisa
che ai fini della risarcibilità dei pregiudizi derivanti dalla lesione di diritti
della persona costituzionalmente rilevanti, oltre all’inviolabilità del diritto,
si richiede l’ulteriore presupposto della gravità dell’offesa, ritenendo che il
diritto debba essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un
pregiudizio serio.
Le critiche sono molteplici, ex plurimis, cfr. CHINDEMI, Il danno bagatellare
contrattuale. Nota a Cass., 29.8.2008, n. 21934, in Resp. civ. e prev., 2008, 2451 ss. ;
A. DONATI, Riparabilità del danno non patrimoniale ed aequitas cerebrina. A
Proposito delle S.U. n. 26972/2008, ibidem, 2009, 2187 ss.
(56) Il diritto all’azienda viene configurato quale diritto soggettivo sul
complesso dei beni destinati alla finalità produttiva: cfr. NICOLÒ, Riflessioni
sul tema dell’impresa e su talune esigenze di una moderna dottrina di
diritto civile, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 1956, I, 177 ss. Di recente
cfr. G. SCOGNAMIGLIO, Prospettive europee della responsabilità civile e discipline del mercato, in Europa dir. priv., 2000, 351.
(57) Si tratta del diritto allo svolgimento dell’attività negoziale relativa ai
propri interessi economici che, a partire dalla vicenda De Chirico (Cass.,
4.5.1982, n. 2765, in Giust. civ., 1982, I, 1745), e con alterne fortune, viene
impiegato, come una sorta di passe partout per superare le difficoltà che
incontrerebbe nel nostro ordinamento il danno meramente economico,
con cui si designano perdite patrimoniali che, non mediate dalla lesione di
una situazione giuridica soggettiva, non supererebbero la soglia dell’ingiustizia
(58) POLETTI, Il danno risarcibile, cit., passim.
(59) Trib. Mantova, 27.5.08, in www.ilcaso.it; Trib. Campi Salentina,
3.11.2005, in Resp. civ., 2009, 120, con nota di GRASSI, La responsabilità
della banca per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi; TOSCHI VESPASIANI, cit, tra gli altri.
Di diverso avviso è la giurisprudenza più risalente: Trib. Roma, 4.12.1989, in
Banca borsa tit. cred., 1991, II, 672 ss. ad es. considera la maggiore difficoltà di
accesso al credito un dato in sé generico e di difficile valutazione e respinge la
richiesta risarcitoria.
(60) Trib. Roma, 5.8.1995, in Contratto e impresa, 1995, 2078; App. Milano, 8.6.1999, in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 568; Trib. Brindisi, 20.7.1999,
in Giust. civ., 2000, I, 555; Trib. Roma, 24.3.2000, in Impresa, 2000, 811 ss.;
Trib. Palermo, 23.6.2003, in SCIARRONE ALIBRANDI (a cura di), Centrali dei
Rischi, cit., 255.
(61) Per la prima volta ne aveva parlato la Corte di Cassazione (Cass.,
11.10.1978, n. 4538, in Resp. civ. e prev., 1979, 747) riguardo alla responsabilità civile per diffamazione colposa di chi diffonde notizie inesatte sulla
solvibilità di un commerciante, provocandone il discredito. Oggi la questione ha riacquistato una certa attualità: cfr. Trib. Napoli, 22.10.2002, in
Giur. di Merito, 2003, I, 207; Trib. Lecce, 25.8.2003, in SCIARRONE ALIBRANDI (a
cura di), Centrali dei Rischi, cit., 256; App. Milano, 4.11.2003, in Giur. it.,
2004, II 1223; Trib. Catania, 5.12.2003, in Banca borsa tit. cred., 2004, II,
555; Trib. Milano, 17.3.2004, ibidem, 528.
(62) Trib. Latina, 22.7.2002, in SCIARRONE ALIBRANDI (a cura di), Centrali dei
Rischi, cit., 249.
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della volontà di permettere che ad un’istanza di giustizia corrisponda il risultato atteso.
Al centro dell’operazione risarcitoria vi è la reputazione del censito. In giurisprudenza si contendono il campo principalmente
due orientamenti: il primo ne subordina la risarcibilità alla prova
della ricorrenza di una perdita patrimoniale; il secondo la fa
coincidere con il diritto all’identità personale, che comprende
la reputazione professionale, altalenando, in sostanza, rispettivamente tra l’equiparazione al danno conseguenza patrimoniale ed
al danno evento non patrimoniale. Grosso modo questa è la
tendenza radicatasi in giurisprudenza, con qualche battuta d’arresto, quale quella del 2004 quando la Corte di Cassazione(63)
sembra equiparare le due ipotesi e concludere che anche la lesione della reputazione professionale deve essere risarcita ex
se(64), indipendentemente dalla produzione di conseguenze economiche negative, in quanto danno non patrimoniale(65).
In sintesi, il percorso tipo della giurisprudenza è il seguente: la
reputazione è l’aspetto oggettivo, id est esteriore dell’onore, definibile come la considerazione di cui gode un soggetto entro un
determinato contesto sociale, l’opinione e la valutazione che i
consociati hanno di lui e della sua personalità morale e sociale,
il sentimento della collettività nei suoi confronti. Mentre l’onore
subiva, dal punto di vista dottrinario, un’interpretazione costituzionalizzata che lo emancipava progressivamente dal giudizio
altrui, tanto da identificarsi con l’«insieme delle qualità essenziali
al valore di ogni persona umana in quanto tale», per la reputazione risultava difficile prescindere dal giudizio esterno. Ciononostante, cioè pur costituendo la reputazione l’aspetto pubblico
del valore persona, essa ha risentito degli effetti della surriferita
costituzionalizzazione ed è stata attratta nell’orbita della tutela
della personalità; cosı̀ la ‘‘reputazione commerciale’’, o reputazione ‘‘economica’’ che rappresenta, a sua volta, un particolare
aspetto del bene in esame, derivante dall’attività imprenditoriale
svolta dal soggetto titolare del diritto, non a caso è stata definita
anche ‘‘immagine commerciale’’ o ‘‘buon nome commerciale’’.
La giurisprudenza ha recepito queste indicazioni distinguendo
la reputazione personale dalla reputazione commerciale(66): la
prima attiene alla dignità dell’individuo in quanto tale, a prescin-
dere dall’attività lavorativa svolta e dal contesto in cui opera; la
seconda rappresenta la ‘‘credibilità economica’’ del soggetto (e si
presti attenzione che può trattarsi anche di un ente collettivo(67),
il cui ambito di rilevanza va circoscritto al settore in cui il soggetto lavora ed è noto. Ne sono diversi la qualificazione e la
regola di risarcimento applicabile.
Almeno cosı̀ sembrerebbe. In verità l’unico fatto certo è che sono
sottoposte ad un differente onere probatorio(68); nel caso di reputazione personale, il danno è considerato in re ipsa e viene
risarcito senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire
la prova della sua esistenza; nel secondo, il danno alla reputazione, cui è attribuita natura patrimoniale, va dedotto e provato,
perché il comportamento antigiuridico è solo potenzialmente
produttivo di danno, implica cioè il pericolo del suo verificarsi
ma non la certezza che lo stesso si sia, in concreto, prodotto e
non esonera quindi l’attore dal fornire la prova delle conseguenze
dannose che, in concreto, gli siano derivate(69). Tale prova può
essere data, indubbiamente, con ogni mezzo, ed anche attraverso
presunzioni, che dovrebbero fondarsi, però, su circostanze gravi,
precise e concordanti (art. 2729 c.c.) e non sulla semplice ‘‘ragionevolezza’’ delle asserzioni dell’interessato circa il pregiudizio all’immagine ed il discredito personale. Una volta accertata l’insorgenza del danno, la liquidazione può anche essere operata equitativamente, non senza rilevare che, per la ricerca dei parametri
per la liquidazione equitativa, possono tornare utili alcuni dati:
ad esempio, il periodo di permanenza della erronea segnalazione,
il possibile ambito di diffusione della stessa(70); la misura dell’inserimento del danneggiato nel contesto economico-sociale.
Il danno derivante da erronea segnalazione alla Centrale dei Rischi partecipa insomma (anzi: continua a partecipare) della natura controversa del più ampio genus della responsabilità per
informazioni inesatte(71); non solo, continua ad essere il terreno
di elezione di una perdurante persistenza del danno evento e del
danno in re ipsa, di una velata patrimonializzazione dei danni
non patrimoniali, effetto di una certa labilità dei confini del concetto di patrimonialità e di quello antagonista della extrapatrimonialità, di un uso non corretto, o almeno non rigoroso, del
criterio equitativo.
&
(63) Cass., 27.4.2004, n. 7980, in Resp. civ. 2004, 229, con nota di QUARIl dano non patrimoniale da lesione della reputazione professionale
(64) Di danno in re ipsa parlano: Cass., 8.11.2007, n. 23314, in Resp. civ. e
prev., 2008, 1094; in tal senso, v. anche Cass., 10.5.2001, n. 6507, in Dir. e
giustizia, 2001, 22, 15; Trib. Milano, 19.2.2001, in Giur. it., 2002, 334; Trib.
Cagliari, 28.11.1995, cit.; Trib. Roma, 5.8.1998, cit.; Trib. Brindisi, 20.7.1999,
cit.; Trib. Cagliari, 25.10.2000, cit.; Trib. Bari, 22.12.2000, cit. In senso contrario: Trib. Roma, 10.3.1998, cit.; App. Milano, 8.6.1999, in Banca borsa tit.
cred., 2000, II, 568, e, da ultimo, Cass., S.U., 24.3.2006, n. 6572, in Nuova
giur. comm., 2006, I, 1132, ed in Danno e resp., 2006, 852
(65) La distinzione tra diritto alla reputazione economica e diritto alla
reputazione personale è stata introdotta dalla dottrina: AUTERI, La tutela
della reputazione economica, in ALPA, BESSONE, BONESCHI e CAIAZZA, L’informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983, 93 ss.; GIULIANI, La tutela
aquiliana della reputazione economica, in Contratto e impresa, 1985, 73
ss.; poi seguita anche dalla giurisprudenza: Cass., 23.3.1996, n. 2576, in
Danno e resp., 1996, 320; Cass., 26.3.1997, n. 2679, in Vita notarile, 1997,
425; Cass., 5.11.1998, n. 11103, in Giur. it., 1999, I, 170. Per la giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano, 28.9.1989, in Banca borsa tit. cred., 1991,
II, 501; Trib. Milano, 19.2.2001, in Giur. it., 2002, I, 334. Contrario a questo
orientamento è SANZO, Note in tema di protesto illegittimo e danno alla
reputazione (personale e commerciale), in Giur. it., 1999, 770.
(66) CARDONA, BOSCA, Protesto illegittimo e lesione della reputazione personale e commerciale: Il danno è presunto? Nota a Cass., 5.11.1998,
n.11103, in Danno e resp., 1999, 1197; SCISO, Illegittimità del protesto cambiario e risarcimento dei danni, in Corriere giur., 1999, 998.
(67) Cass., 4.6.2007, n. 12929, in Giur. it., 2008, fasc,. 4, e in www.leggiprofessionaliditalia.it, con nota di ANGIULI, Il danno non patrimoniale agli
enti collettivi tra danno-evento e danno-conseguenza e in Nuova giur.
comm., 2008, I, 9, con nota di OLIARI, Danno non patrimoniale alle persone
giuridiche per errata segnalazione alla Centrale Rischi; in Danno e resp.,
2007, 1236, con nota di FOFFA, La lesione dell’immagine di una persona
giuridica; in Resp. civ., 2008, 117, con nota di IURILLI, La tutela dell’immagine delle persone giuridiche tra danno evento e danno conseguenza; in
Impresa, 2007, 1519, con nota di BROCCHETTA, Sulla risarcibilità del danno
all’immagine della persona giuridica: recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità.
(68) Cfr. MANINETTI, Danno in re ipsa: il danno evento è sempre in agguato.
Nota a Cass. 18.4.2007, n. 9223, in Danno resp., 2008, 151 ss ss.
(69) Cass., 18.9.2009, n. 20120, cit.
(70) Cfr. Trib. Bologna, 21.9.2005, in Resp. civ., 2007, con nota di PRIMICERI,
Il danno all’immagine come danno non patrimoniale.
(71) Su cui cfr., ex plurimis, THIENE, Nuovi percorsi della responsabilità
civile, Padova, 2006, passim, spec., 246.
GNOLO,
La Responsabilità Civile 4
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aprile 2011