cause ed effetti del cambiamento climatico

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cause ed effetti del cambiamento climatico
CAUSE ED EFFETTI
DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO
I gravi effetti dell’inquinamento sulla salute umana –Il cambiamento
climatico e gli inquietanti scenari futuri – Gli accordi internazionali
e la grande sfida politica, economica e tecnologica
di
STEFANO ZAMBERLAN
Premessa
Le cause dell’inquinamento atmosferico
Il cambiamento climatico causato dall’inquinamento atmosferico è finalmente un problema
all’attenzione dei mass media e della pubblica opinione. Dopo anni di polemiche, l’evidenza che molti
avevano negato prima e minimizzato poi è prepotentemente emersa, e lo ha fatto con uragani, inondazioni, siccità e calori intensi. Fino a cinque o sei anni fa
c’erano ancora ricerche scientifiche insistenti nel sostenere come le variazioni di temperatura si siano
sempre verificate nel nostro pianeta e che non c’era
la certezza che le emissioni di anidride carbonica,
causate dall’attuale sistema produttivo basato sulle
fonti energetiche fossili ed eccessivo consumismo di
una parte della popolazione umana, siano il principale responsabile del global warming, ovvero del surriscaldamento del pianeta.
La resistenza dell’establishment economico e politico nell’ammettere questa responsabilità è diventata resistenza al cambiamento necessario o volontà di
veicolarlo seguendo tempi e logiche di potere ed
economiche che sono estranee all’ambiente.
L’ambiente evolve in tempi biologici lunghissimi,
migliaia o milioni di anni, mentre l’uomo impiega
tempi storici dell’ordine di decine o al massimo centinaia di anni. La conseguenza di questa asincronia è
stata la produzione di uno stress all’ambiente in così
breve periodo da creare problemi enormi, e ora, paradossalmente, l’ambiente rischia di degradarsi irreversibilmente nel giro di poche decine di anni, dando
all’uomo poco tempo per cercare di rimediare.
L’inquinamento atmosferico è causato dalle industrie, dall’agricoltura intensiva, dalla produzione energetica, dal traffico, dal riscaldamento e dai consumi domestici. Gli agenti chimici immessi
dall’uomo nell’ambiente – tra cui anidride carbonica,
azoto, metalli e residui organici volatili – possono
essere nocivi di per sé o si possono combinare fra loro, o con altri agenti presenti naturalmente in atmosfera, creando sostanze più pericolose.
Alte concentrazioni di inquinanti atmosferici creano poi le polveri sottili, che sono una miscela di particelle, solide e liquide, che hanno un diametro inferiore di 10 micron (millesimi di millimetro) composte da ceneri, polveri di cemento e di carbone, fibre
di amianto, metalli (nichel, piombo, rame e zinco),
solfati e nitrati.
I processi industriali producono una gran varietà
di inquinanti e sono tra i maggior responsabili delle
emissioni di ossido di carbonio, anidride carbonica,
anidride solforosa, ossidi di azoto, metano, ammoniaca, radiazioni radioattive e polveri sottili.
L’agricoltura intensiva, invece, fa ampio uso di
fertilizzanti chimici e fitofarmaci ed è la principale
responsabile delle emissioni di ossido di azoto e di
ammoniaca, mentre dalla zootecnia derivano altissime quantità di metano, azoto e biossido di carbonio. A causa poi dell’uso di fitofarmaci ad uso antiparassitario si ha l’emissione di molti prodotti chimici tossici.
Nel settore energetico sono diverse le sostanze
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Estratto «Economia e ambiente», anno XXVI, n. 4-5, 2007, pp. 13-28
Economia e Ambiente
immesse nell’aria, per esempio il metano durante
l’estrazione di gas naturale e petrolio. Ma ciò che
preoccupa di più è l’elevato inquinamento dovuto alla combustione di carbone e gas naturale per produrre
elettricità causando il rilascio di anidride solforosa,
ossidi di azoto e anidride carbonica.
Altra imponente fonte di inquinamento è il traffico, automobilistico in primis ma anche aereo e navale, che si stima sia il responsabile di un terzo del totale delle emissioni di gas serra. Le emissioni riguardano pricipalmente l’anidride carbonica, l’ossido di
carbonio, gli ossidi di azoto e le polveri sottili. Bisogna però tener conto anche dell’inquinamento prodotto nella costruzione e nello smaltimento delle automobili, che spesso, soprattutto per le auto di piccola cilindrata a bassi consumi, è notevole rispetto a
quello prodotto dall’auto nei primi 100.000 km di vita. Questo elemento diminuisce la valenza ecologica
degli incentivi alla rottamazione.
Per quanto riguarda il traffico automobilistico, inoltre, secondo uno studio apparso sulla rivista «Environmental Science and Technology» della American Chemical Society, sono i freni e i pneumatici la
Articoli
maggior fonte di emissione di metalli inquinanti. Ciò
vuol dire che anche riducendo al minimo le emissioni
dovute alla combustione del motore, le automobili
rimangono sempre una fonte di inquinamento1.
Sul fronte dei consumi civili la maggior fonte di
inquinamento deriva dal riscaldamento, che produce
grandi quantità di anidride carbonica. In un convegno
tenutosi in marzo a Milano, la Easy International
SpA ha presentato i risultati di una ricerca sul rapporto tra inquinamento atmosferico e riscaldamento, eseguita tenendo conto nell’elaborazione dei dati dei
periodi transitori di accensione e spegnimento delle
caldaie. Da questo studio è emerso che l’andamento
degli inquinanti nell’aria, e in particolar modo del
PM10, è correlato essenzialmente proprio con i periodi di attività delle caldaie. Dunque si è potuto verificare che il maggior produttore di polveri sottili in
inverno sono proprio le caldaie. Inoltre, tenendo conto di tutte le fasi del funzionamento di una caldaia, si
evince che le moderne caldaie a risparmio energetico
pur avendo un consumo minore, inquinano agli stessi
livelli di quelle precedenti, e quindi servono nuove
regole e accorgimenti tecnici.
Sopra: uno stabilimento industriale
Nella pagina a fianco: una veduta della costa istriana al tramonto
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Economia e Ambiente
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Articoli
Economia e Ambiente
Ulteriori responsabilità dei consumatori sono dovute,
poi, all’inquinamento atmosferico connesso alla produzione e distribuzione dei beni richiesti e all’uso diretto di prodotti chimici: vernici, cosmetici, fertilizzanti, prodotti per l’igiene e la pulizia domestica.
Articoli
complessivamente di circa il 12%. Solo dopo 15 anni
di continuo aumento delle emissioni, in controtendenza rispetto ai Paesi più avanzati dell’Europa, nel
2006 vi è stata una riduzione delle emissioni
dell’1,5% rispetto al 2005, anche se con andamenti
contrastanti in base ai vari settori. Le stime per il
2006 evidenziano una diminuzione delle emissioni
nel settore civile – riscaldamento e raffreddamento
delle case – del 18%, in cui ha avuto però una forte
incidenza l’inverno caldo e l’estate mite del 2006.
Diminuzione anche in agricoltura, dove in un solo
anno il calo delle emissioni è stato dell’1,5%. Nel
settore del trasporto la situazione rimane immutata,
con un aumento delle automobili in strada ma una
riduzione delle loro emissioni grazie a standard più
elevati e politiche cittadine di limitazione al traffico e
incentivazione nell’uso di mezzi pubblici. Nel settore
della produzione di energia vi è stato però un aumento delle emissioni del 4,9%2.
Greenpeace denuncia, infatti, che fra il 2005 e il
2006 le emissioni complessive di CO2 sono aumentate da 225,8 a 227,1 milioni di tonnellate. I maggiori
responsabili dell’incremento sono il settore energetico e i cementifici, mentre sono migliorate le produzioni legate al petrolio e alla siderurgia. Francesco
Tedesco, responsabile Campagna Energia e clima di
Greenpeace, afferma che il peso del settore termoelettrico è evidente ed è causato da un forte ritardo
sulle energie rinnovabili. Inoltre, le scelte pro carbone, sostenute da una parte rilevante del governo, rischiano di aggravare pesantemente la situazione3.
In base ai dati dell’ultimo rapporto dell’Agenzia
europea per l’ambiente, i Paesi che sono riusciti a ridurre maggiormente le emissioni sono Germania,
Finlandia, Paesi Bassi e Romania, soprattutto riducendo i consumi di carbone nel settore della produzione di energia elettrica e del trasporto su strada.
L’Italia, invece, insieme a Polonia, Austria, Bulgaria,
Grecia, Ungheria, Irlanda, Portogallo, Slovenia e Paesi Baltici, rientra tra quei Paesi in cui il livello di gas
serra prodotto è aumentato.
Secondo Stavros Dimas, commissario UE, i dati
dell’Agenzia per l’ambiente sono incoraggianti, perché l’Europa è riuscita a ridurre le emissioni di gas
serra in un periodo di crescita economica. Tuttavia,
sottolinea come sia oramai evidente che, se si vogliono raggiungere gli obiettivi fissati dal Protocollo
di Kyoto entro il 2015, un certo numero di Stati
membri devono raddoppiare gli sforzi. Dimas sotto-
Le emissioni di CO2 sono aumentate
tra il 2000 e il 2004, deboli le riduzioni attuali
Secondo un recente studio, tra il 2000 e il 2004
non vi è stata nessuna riduzione della produzione di
anidride carbonica, al contrario è aumentata ad un
ritmo tre volte superiore rispetto agli anni Novanta. I
ricercatori provenienti da diversi istituti di ricerca e
università del mondo hanno incrociato ed elaborato i
dati del Fondo Monetario Internazionale, del Dipartimento USA per l’Energia e di altre istituzioni mettendo in luce che, mentre l’aumento delle emissioni
di anidride carbonica è stato dell’1,1% nel periodo
tra il 1990 e il 1999, tra il 2000 e il 2004 è stato del
3,1%. Secondo gli scienziati questa brusca accelerazione è dovuta alla crescita economica che ha interessato quasi tutto il pianeta. “Nonostante il consenso
comune sulla necessità di ridurre le emissioni – spiega Chris Field, co-autore dello studio e direttore
dell’US-based Carnegie Institution Department of
Global Ecology – in molte parti del mondo si sta tornando indietro”.
I maggiori responsabili di questo incremento sono
i Paesi in via di sviluppo, come Cina e Brasile, responsabili del 73% dell’aumento totale delle emissioni: a riprova dell’inadeguatezza e pericolosità delle tecnologie e del modo di fare economia importati
in questi Paesi. Gli Stati industrializzati e più ricchi,
anche se hanno avuto un incremento minore, hanno
però la responsabilità più grave di produrre il 60%
dell’inquinamento globale e di “barcamenarsi” sul
protocollo di Kyoto.
Dal 2004, fortunatamente, si è registrata in Europa un’inversione di tendenza. Nel 2005, infatti, il livello delle emissioni di gas serra è diminuito dello
0,8% nell’UE dei 15 e dello 0,7% nell’UE dei 27.
L’Italia, però, non ha contribuito a questa riduzione,
aumentando nello stesso anno le emissioni dello
0,3% rispetto al 2004. Il contributo italiano nelle emissioni di gas serra è pari a circa l’11% del totale
europeo e a circa il 2% delle emissioni globali. Fra il
1990 ed il 2005 in Italia le emissioni sono aumentate
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Economia e Ambiente
linea che a marzo i dirigenti europei hanno adottato
degli obiettivi a lungo termine di riduzione delle emissioni e non c’è dunque più alcuna ragione di rimandare misure ambiziose per ottenere cambiamenti
strutturali del sistema produttivo e del consumo energetico.
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respirano con più frequenza e hanno il sistema immunitario meno sviluppato, inoltre, sono più esposti
alle fonti inquinanti per via della statura e del loro
trasporto in passeggini e carrozzine. Colpiti sono il
sistema respiratorio, immunitario, cardiocircolatorio
e nervoso. Sono, infatti, più di 60.000 ogni anno i
bambini in Italia vittime di attacchi di asma o di
bronchite acuta causati da questa forma di inquinamento, mentre sono 5.000 in Europa i decessi di
bambini tra i 0 e i 4 anni7. Un recente studio americano ha evidenziato una corrispondenza fra l’alto tasso delle polveri sottili e disturbi comportamentali dei
bambini. È da notare come negli Stati Uniti la prescrizione di psicofarmaci a minori sia oramai una
pratica diffusa. Viene da chiedersi quali saranno i
danni che l’inquinamento e questi farmaci produrranno sullo sviluppo degli individui di domani, andando a minare non solo la capacità produttiva e
l’apporto costruttivo alla società, ma la stessa capacità di relazionare e di costruire una comunità.
Il 13 giugno 2007 a Ginevra l’Organizzazione
Mondiale della Sanità ha pubblicato il primo rapporto che analizza, per ogni Paese, l’impatto dei fattori
ambientali sulla salute umana. I fattori di rischio considerati nello studio sono: l’inquinamento atmosferico, la sicurezza delle acque, il livello di igiene,
l’inquinamento domestico dovuto all’utilizzo di
combustibili usati per cucinare, le condizioni ambientali legate alle professioni, le radiazioni di raggi
ultravioletti,
il
cambiamento
climatico
dell’ecosistema e i comportamenti umani, tra cui il
fumo attivo e il fumo passivo a cui sono sottoposti i
bambini. L’Italia è uno degli Stati con il maggior
numero di decessi legati all’inquinamento ambientale: 91.000 ogni anno. Tra questi sono 8.400 le morti
causate dalle polveri sottili. Per legge è consentito il
Gli effetti dell’inquinamento atmosferico
sulla salute dell’uomo
Un forte elemento di spinta verso questi cambiamenti strutturali dovrebbe venire dai gravi effetti che
l’inquinamento atmosferico ha sulla salute umana. Le
conseguenze, evidenziate da una indagine
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicata già nel 2000, sono drammatiche: in Europa 7 anni
fa le morti attribuiti alle polveri erano circa 250.000,
pari al 5% dei decessi totali. Secondo un rapporto
della Commissione Europea, attualmente, i decessi
da inquinamento atmosferico sono saliti a 310.000.
Studi recenti rivelano che ogni incremento di 10 microgrammi per metro cubo di questi inquinanti fa
aumentare la mortalità italiana dell’1%.
L’Italia è stato oggetto nel 2006 di uno studio
dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (o
WHO, World Health Organization), per conto
dell’APAT, chiamato “Impatto sanitario delle polveri
PM10 e dell’ozono in 13 città italiane”. Le città scelte sono: Torino, Genova, Milano, Trieste, Padova,
Venezia-Mestre, Verona, Bologna, Firenze, Roma,
Napoli, Catania e Palermo4. Ne è risultato che tra il
2002 e il 2004 ci sono stati in media 8.220 morti
l’anno per gli effetti a lungo termine delle concentrazioni di PM10 5. Gli effetti cronici rilevati, invece,
sono: ictus 329 casi all’anno, cancro al polmone 742
e infarto 2.562. Oltre ai decessi che le
polveri sottili causano nel medio e lungo
termine, si hanno anche notevoli fenomeni degenerativi e neoplastici quali:
bronchiti croniche, asma, enfisemi polmonari, malattie cardiocircolatorie e tumori maligni. L’Istituto Nazionale per la
Ricerca sul Cancro ha accertato che alte
concentrazioni di inquinanti atmosferici
fanno aumentare fra il 20 e il 40% il rischio di ammalarsi di tumore6.
Danni gravi sono causati anche alla
salute e alla crescita dei bambini, i quali
Traffico all’uscita di una scuola
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Economia e Ambiente
superamento delle soglie di Pm10 per un massimo
annuale di 35 giorni, il monitoraggio effettuato da
Euromobility ha messo però in evidenza come in
molte città italiane questo limite sia stato abbondantemente superato nei soli primi tre mesi dell’anno8.
Articoli
alghe e cianobatteri potenzialmente tossici che si presentano in concentrazioni più abbondanti a causa
dell’aumento di temperatura; per il diffondersi della
salmonella a causa di inondazioni che danneggiano le
fognature, causando uno sversamento delle acque reflue che contaminano l’acqua potabile e le colture;
per l’aumento dei casi di malattie come la febbre del
Nilo occidentale e la Leishmaniosi.
Tali effetti sono già cominciati, secondo l’UNEP
sono state 150 mila le morti causate da malattie dovute ai cambiamenti climatici nel 2000, mentre uno
studio dell’OMS prevede che, se non saranno poste
in atto misure adeguate, il numero delle vittime potrebbe raddoppiare entro il 2030.
Dal 1995 al 2004 l’Europa ha già subito 30 grosse
alluvioni colpendo 2 milioni di persone e causando
mille morti, mentre i decessi per le ondate di calore
entro il 2020 potrebbero quadruplicare. L’aumento
del livello del mare implicherà drammatiche conseguenze per le aree costiere italiane. Uno studio
NASA - Goddard Institute for Space Studies ha evidenziato che circa 4.500 chilometri quadrati di aree
costiere in Italia sono a rischio di inondazione.
L’approvvigionamento di acqua potrebbe diventare
ancora più problematico di quanto non sia oggi in
Puglia, in Basilicata, in Sicilia e in Sardegna, a causa
sia della progressiva e crescente scarsità di acqua, sia
del malfunzionamento dei sistemi di gestione11.
Se sono gravi i rischi diretti per la salute umana,
altrettanto gravi lo sono i rischi per l’ambiente e per
le nostre condizioni di vita. Uno degli obiettivi di
fondo dell’UE, fissato dal Consiglio dei ministri ancora nel 1996, è limitare l’aumento della temperatura
globale a 2°C. Oltrepassando questo tetto massimo,
infatti, gli effetti del clima sugli ecosistemi, sulla
produzione alimentare e sull’approvvigionamento idrico aumenterebbero in modo vertiginoso e la gestione ambientale comincerebbe a sfuggirebbe di
mano, rischiando di portare verso un aumento di 3
gradi, ritenuto il limite massimo di gestione
dell’ambiente, oltre il quale ogni intervento
dell’uomo risulta vano. Le più recenti scoperte in
campo scientifico indicano che per bloccare
l’aumento a 2°C la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera dovrebbero essere di 450650ppm (parti per milione), tuttavia superati i
550ppm diventa sempre più improbabile arrestare il
surriscaldamento. Già ora si ha una concentrazione di
CO2 di 380ppm, livello record in 650.000 anni, nel
Gli effetti del surriscaldamento
sull’ambiente e sulla vita umana
Questo inquinamento ha portato a modificare il
clima e, se a livello di medie e statistiche, la temperatura è aumentata di un grado in più in 100 anni, apparentemente innocuo, dal punto di vista fenomenologico questo ha portato a variazioni metereologiche
improvvise, modificazione delle correnti oceaniche e
delle correnti dei venti con instabilità stagionali, aumento di tempeste, cicloni, uragani, lunghi periodi di
siccità seguiti da alluvioni, quantità globale di pioggia in diminuzione.
Anche quest’anno in Italia, dopo un inverno mite,
in estate ci sono state delle ondate di caldo intenso,
con gravi ripercussioni oltre che sulle produzioni agricole, anche sulla salute delle persone. Nelle grandi
città è allarme per le fasce più a rischio, anziani, malati e bambini, e vi sono già stati diversi decessi.
A Roma il 25 giugno sono state presentate le conclusioni del primo rapporto sul Cambiamento Climatico e Salute in Italia realizzato dall’OMS, Programma Speciale Salute e Ambiente della Regione Europea per conto dell’APAT 9. Secondo le stime di questo rapporto in Italia si registra un aumento della
mortalità del 3% per ogni grado di crescita della
temperatura nazionale media. Si stima che l’ondata di
calore della calda estate del 2003 abbia causato in
Europa tra 22 e 35 mila morti, e questo fenomeno potrebbe riproporsi ogni anno. L’Hadley Centre for
Climate Change, in Gran Bretagna, infatti, prevede
che entro il 2040 la metà delle estati europee saranno
più calde di quella del 2003. Lo stesso aveva affermato l’UNEP, l’United Nations Environment Programme, quella che ci è parsa un’estate eccezionale
sarà un fenomeno sempre più frequente nei prossimi
decenni, fino a diventare più o meno normale verso
la metà del secolo10.
Altri rischi per la salute umana si avranno poi per
il prolungarsi delle allergie da pollini a causa di variazioni stagionali che determina una fioritura più
precoce e duratura; per il rischio di intossicazione da
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Economia e Ambiente
1750, prima Rivoluzione industriale, era di 270ppm.
Rispetto ai livelli del 1990, un limite di 550ppm
richiederebbe una riduzione entro il 2050 delle emissioni globali compresa tra il 15 e il 50%. L’UE dovrà
ridurre le emissioni entro il 2025 del 30% rispetto ai
valori del 1990, con un costo che potrebbe raggiungere 1,3% del PIL ed uno sforzo politico ed economico notevole, tuttavia, riduzioni minori sarebbero
insufficienti per arginare a 2° l’aumento della temperatura. I “meccanismi flessibili” del protocollo di
Kyoto, quali lo scambio internazionale di quote di
emissioni e la cooperazione internazionale possono
ridurre i costi necessari. D’altra parte anche i danni
economici prodotti dai cambiamenti climatici sono
ingenti, alcune cifre: il caldo torrido dell’estate 2006
ha causato in Europa perdite all’agricoltura per più di
10 miliardi di dollari; lo straripamento dei fiumi Yangtze e Huai in Cina ha danneggiato 650 mila abitazioni, con un danno di 8 miliardi di dollari;
l’alluvione che ha recentemente colpito l’Inghilterra
ha lasciato danni per più di 4 miliardi di dollari mentre i tornadi che si sono abbattuti sul Midwest, negli
Stati Uniti, hanno distrutto infrastrutture e attività economiche per più di 3 miliardi di dollari.
Articoli
dell’acqua marina nelle falde in prossimità delle coste. L’agricoltura sarà devastata dalle ondate di caldo
e dai periodi di siccità, mentre le precipitazioni di carattere sempre più alluvionale distruggeranno le colture e non permetteranno ai terreni di rigenerarsi.
L’aumento della temperatura poi, tra 1 e 2 gradi,
renderebbe la popolazione dell’Europa ancor più vittima delle ondate di calore, mentre le attività economiche conoscerebbero cali di produttività. La speranza di ovviare con strumenti tecnologici (climatizzazione, ecc.) sarebbe vana: è impensabile un tale sovraccarico del sistema energetico già al limite, senza
contare l’ulteriore aumento dell’inquinamento. Gli
incendi estivi divamperebbero più frequenti e distruttivi, cancellando anno dopo anno le foreste. Le piante
invece di assorbire monossido di carbonio comincerebbero a produrlo. Agli attuali ritmi di inquinamento
nel 2050 la temperatura raggiungerebbe quota più 2
gradi, mentre oltre un terzo di tutte le specie viventi
sarebbe a rischio di estinzione.
Secondo Mark Lynas c’è una probabilità del 93%
di evitare l’aumento di 2 gradi della temperatura
mondiale, ma solo se le emissioni di gas serra saranno ridotte del 60% nei prossimi 10 anni. Non farlo
vorrebbe dire vedere appassire il pianeta. Con un
aumento dai 2 ai 3 gradi, infatti, il rilascio del monossido di carbonio dalla vegetazione e dalla terra
porterebbe a un’accelerazione del riscaldamento globale, la foresta amazzonica morirebbe mentre le città
costiere sarebbero devastate da uragani. Nel continente Africano la fame mieterebbe milioni di vittime,
spingendo altri milioni di indigenti a migrare.
A questo punto la situazione potrebbe essere ad
un punto di non ritorno. Secondo l’Autore, infatti, se
il rialzo arriverà a 2 gradi le probabilità di evitare
l’aumento di 3 gradi sono poche, a causa dell’innesco
del ciclo di emissione carbonica dal terreno e dalle
piante. La Terra, che già ora vede quasi un terzo della
propria superficie colpita dal fenomeno della desertificazione, diventerebbe per metà inospitale, inoltre, il
livello del mare salendo sottrarrebbe ulteriore superficie. La mancanza di risorse e la povertà spingerebbero milioni di persone a migrare dall’Africa
all’Europa e dall’America Centrale agli Stati Uniti e
al Canada. I problemi di convivenza e le tensioni sociali aumenterebbero in modo esponenziale rispetto
ai già difficili livelli attuali con la possibile nascita di
nuovi partiti di stampo fascista.
Arrivati a tre gradi l’aumento della temperatura
Il cambiamento climatico:
uno scenario inquietante
Se non si riesce a ridurre il livello di emissioni in
atmosfera l’INGV, l’Istituto Nazionale di Geofisica e
Vulcanologia, prevede che entro la fine di questo secolo vi sarà un aumento della temperatura di circa
3,5-4°C rispetto ai primi del secolo scorso12. Se ciò
dovesse accadere il mondo come noi lo conosciamo
potrebbe non esisterebbe più. Questo rischio è ben
descritto dal giornalista britannico Mark Lynas nel
suo libro Sei gradi: il nostro futuro su un pianeta più
caldo13.
Posto che oramai è inarrestabile l’aumento della
temperatura fino al raggiungimento di oltre 1 grado
in più rispetto ai primi del Novecento, le ripercussioni saranno, oltre a quelle già descritte, anche la
scomparsa dell’acqua potabile da 1/3 della superficie
mondiale entro il 2100 – a causa dello scioglimento
completo dei ghiacciai con conseguente secca dei
fiumi – e l’allagamento completo delle fasce costiere
basse, il che andrà a gravare ulteriormente sulla disponibilità di acqua dolce con l’infiltrazione
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Economia e Ambiente
Articoli
diverrebbe un’impresa quasi impossibile arrestare il
le la temperatura, infatti, riducendo del 60% le ridusurriscaldamento a causa dell’innesco del meccanizioni nei prossimi 10 anni si può fermare questo prosmo di scioglimento dei ghiacciai perenni (permacesso. Ciò, per quanto difficile possa sembrare, è
frost). La maggior parte della Gran Bretagna, che
tecnologicamente possibile, le difficoltà sono semmai
proprio nell’ultimo anno è stata vittima di violente
di tipo politico ed economico di breve periodo.
esondazioni come non si erano mai viste, non sarebSeconda cosa, non possiamo pensare ad un aube più abitabile a causa dei gravi allagamenti mentre
mento della temperatura globale immaginando
l’area del mediterraneo, e quindi anche gran parte
l’ambiente come quello che vediamo oggi ma solo
dell’Italia, verrebbe abbandonata.
più caldo. La vita umana sulla Terra si è sviluppata
Lo scenario si fa poi apocalittico al raggiungimenperché l’interazione tra minerali, vegetali e animali
to dei 5 gradi, cosa impossibile da impedire se si arha permesso, nel corso di milioni di anni, di raggiunriva ai 4 gradi. Il ghiaccio nei due poli sarebbe sciolgere un equilibrio e la creazione di una biosfera in
to
completamente
e
cui temperatura e composil’aumento della temperatuzione atmosferica si manra renderebbe instabile il
tengono entro certi limiti.
metano dei sottofondi oceQuesta è la teoria di Gaia
anici che fuoriuscendo acelaborata negli anni Settanta
celererebbe ulteriormente il
dall’inglese James Lovelock
riscaldamento globale. I
e comprovata poi con la colprofughi in fuga dalla siccilaborazione con la microbiotà e dalle inondazioni cologa americana Lynn Marstiere sarebbero milioni e
gulis, teorizzatrice in seguimigrerebbero alla ricerca di
to della teoria della coevocibo. Le estati diventeranno
luzione, in base alla quale
sempre più lunghe e tral'evoluzione sarebbe il risulsformeranno le città con il
tato di processi cooperativi e
loro cemento e asfalto in
non competitivi. Tale rete di
ambienti invivibili. Ragrelazioni, che coinvolge tutgiunti i 5 gradi anche se vi
ta la biosfera, permette
fosse una drastica riduzione
all’ambiente di assorbire
delle immissioni in atmotraumi
e
cambiamenti.
sfera da parte degli esseri
L’attività umana, però, ha
umani – dovuta al collasso
esercitato una tale pressione
del sistema produttivo e
che l’ambiente non è stato in
della mobilità – l’aumento
grado di neutralizzarla e ciò
di temperatura sarebbe oraha finito con l’incrinare i
Gli
effetti
della
siccità
mai inarrestabile. Ad un
meccanismi naturali che gaaumento di 6 gradi la vita
rantivano l’equilibrio delle
dell’uomo sulla terra tra tempeste, inondazioni, gas
condizioni ambientali. Dunque l’ambiente sta camsulfurei e metano sarebbe scomparsa o ridotta a pobiando, e ad ogni grado in più l’ambiente cambia
che comunità in ambienti protetti.
sempre di più e sempre più velocemente in un circolo
Per quanto sia inquietante questo scenario bisogna
vizioso che una volta imboccato rischia di diventare
notare come il rapporto IPCC presentato quest’anno
inarrestabile. Il punto di non ritorno è più vicino di
ha confermato la corrispondenza tra concentrazione
quanto pensiamo.
di CO2 nell’atmosfera e aumento della temperatura
Secondo James Lovelock abbiamo già oltrepassastimato da Lynas. La tentazione di tacciare di catato questo punto, in un’intervista sul quotidiano bristrofismo questo scenario deve però lasciare il passo
tannico “The Indipendent” del 16 gennaio 2006, prea due considerazioni. La prima è che l’autore assume
cedente di poco all’uscita del suo ultimo libro The
che non si faccia nulla per ridurre in modo sostanziaRevenge of Gaia, ha infatti affermato: «Prima della
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Economia e Ambiente
fine di questo secolo miliardi di noi moriranno e gli
ultimi sopravvissuti si troveranno nell’Artico, dove il
clima resterà tollerabile». La reazione della comunità
ambientalista è stata contrastante, per alcuni affermazioni del genere sono esagerate, per altri vanno ascoltate come monito di ciò che accadrà se non si aumentano gli sforzi di risolvere il global warming.
Per lo scienziato inglese la situazione oramai è
compromessa: i ghiacci dei Poli riflettevano i raggi
solari, deflettendo il calore, ma con il loro scioglimento questa funzione viene meno. Al contrario le
polveri prodotte dall’inquinamento ricoprono con un
sottile velo tutto l'emisfero settentrionale, fenomeno
noto con il nome di “oscuramento globale”, che filtrando i raggi solari prima che raggiungano la superficie terrestre, mantengono basse le temperature. Ma
con una riduzione dell'attività industriale e della produzione di gas inquinanti questa coltre potrebbe
scomparire velocemente, causando un improvviso
aumento delle temperature. In base a questa teoria si
dovrebbero riconsiderare tutte le ipotesi di contenimento per elaborare nuove alternative. Sicuramente
le reazioni seguite a questa posizione scientifica di
uno degli scienziati più noti del XX secolo hanno palesato l’assenza di una vera rete mondiale di ricerca
sull’effetto serra e sui cambiamenti climatici.
Lovelock mette in guardia anche contro gli effetti
di coltivazioni troppo estese di monocolture a scopo
di produrre biocarburanti o biomassa, perché semplificano e alterano troppo gli equilibri naturali, senza
contare il probabile uso di sostanze chimiche per accelerarne la crescita. Inoltre, sono ancora discordanti
gli studi sulle emissioni di combustibili come il bioetanolo.
Lo scienziato inglese, inoltre, afferma da qualche
anno che si dovrebbe accettare l’energia nucleare
come male minore, perché ha causato problemi inferiori a quelle fossili e perché le fonti alternative rinnovabili non potrebbero garantire l’attuale fabbisogno. La proposta è usare da subito la fissione per poi
passare alla fusione. Purtroppo pensare alla proliferazione del nucleare basato sulla fissione o sulla fusione calda ha comunque dei rischi ambientali molto alti
e i pericoli legati al terrorismo internazionale comportano nuovi rischi oltre a quelli connessi con lo
smaltimento delle scorie e la sicurezza tecnica degli
impianti. Piuttosto che passare da una fonte energetica “sporca” ad una rischiosa è più sensato spingere al
massimo la ricerca sulla fusione fredda. Qui però si
Articoli
innesta un gretto problema politico-economico, lo
stesso che ha bloccato per decenni le ricerche sulle
energie rinnovabili. Ad un certo punto si è spinto per
creare l’aspettativa di un mondo alimentato
dall’idrogeno. Ma tale tecnologia è complessa, ci vogliono ingenti capitali e ha bisogno di un sistema per
essere utilizzato: esattamente come per il petrolio, vi
può quindi essere un oligopolio ed il perpetrarsi
dell’attuale establishment di potere americano e
mondiale. Perciò si è fatto molto per screditare e ritardare la fusione fredda, che potrebbe, invece, permettere la creazione di energia a basso costo in loco.
Le potenzialità di questa fonte di energia sono racchiuse in una celebre frase del premio nobel italiano
Carlo Rubbia: «Se la fusione fredda funziona vuol
dire che Dio è stato molto, molto buono con noi».
Al di là di ciò, è fondamentale però capire che
partire dal presupposto che la nostra società non debba cambiare mantenendo inalterati i livelli di consumo attuali è un errore. Uno degli obiettivi primari
dev’essere la riduzione dei consumi, sia energetici sia
materiali, come sosteneva già dagli anni Sessanta
l’economista Nicholas Georgescu-Roegen. Se non si
ammette l’enorme spreco di risorse, perpetrato perlopiù da una sola parte della popolazione terrestre, gli
sforzi contro l’inquinamento non possono avere effetti sostanziali e duraturi.
Gli accordi internazionali
L’IPCC, The Intergovernmental Panel on Climate
Change, è il Comitato intergovernativo sul mutamento climatico istituito nel 1988 da due organismi delle
Nazioni Unite: l’UNEP e la WMO, World Meteorological Organization. Lo scopo dell’IPCC è studiare
il riscaldamento globale e attualmente è organizzata
in tre gruppi di lavoro (WG, work group) che studiano l’inquinamento: il primo valuta i più recenti risultati scientifici in materia, il secondo valuta gli impatti, l’adattamento e la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, mentre il terzo gruppo si occupa delle possibilità e delle problematiche legate alla mitigazione. I
rapporti periodici diffusi da questo organismo sono
alla base degli accordi mondiali quali la Convenzione
quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
e il Protocollo di Kyoto che la attua.
Il 6 aprile le Nazioni Unite hanno approvato un
nuovo documento sul riscaldamento globale. Dopo
21
Economia e Ambiente
trattative estenuanti tra Unione Europea, Stati Uniti,
Cina e Arabia Saudita, alla fine concordi sul fatto che
il «Pianeta a rischio, fermiamo le emissioni» si è arrivati ad un’intesa. A seguire, il secondo gruppo di
lavoro dell’IPCC ha così potuto presentare il suo
rapporto 2007. Rajendra K. Pachauri, presidente
dell’IPCC, pur augurandosi che il documento possa
attirare l’attenzione in tutto il mondo, ha rilevato come la stesura del testo definitivo sia stata oggetto di
numerose mediazioni, su contrasti politici più che
scientifici: la Cina, ad esempio, quando si afferma
che «numerosi sistemi naturali sono colpiti da mutamenti climatici», ha preteso che nel documento si usi
il termine «alta confidenza», che corrisponde ad una
probabilità dell’80%, e non di «altissima confidenza», che corrisponde al 90%, nell’intento – infelice –
di ridurre l’affidabilità delle previsioni.
Un altro punto di limatura del documento ha riguardato la biodiversità: il suo continuo depauperamento è stato associato ad un «crescente rischio» e
non ad un «alto rischio», come invece emerso dagli
studi e descritto nella versione iniziale del rapporto.
Vano l’appello di un gruppo di climatologi che ha
scritto al presidente del II gruppo dell’IPCC,
l’americana Sharon Hays, riaffermando la validità
scientifica dello scenario peggiore.
Pur con questi tentativi di ridurre la drasticità delle previsioni la sostanza del rapporto è stata confermata e sono quindi ufficiali le stime per cui tra venti
anni, per esempio, centinaia di milioni di persone rimarranno senz’acqua a causa della siccità ed epidemie come la malaria si estenderanno anche nelle zone
non tropicali. L’Europa, nel giro dei prossimi cinquant’anni, potrebbe perdere tutti i suoi ghiacciai e
nel 2100 il 50% della vegetazione mondiale potrebbe
essere già estinta. Potrebbero, inoltre, verificarsi periodicamente ondate di calore anomalo in grado di
uccidere migliaia di persone oltre ad eventi climatici
estremi, come quelli di cui già siamo stati testimoni
negli ultimi anni: cicloni, tsunami, inondazioni e alluvioni. Il rapporto approvato in aprile segue al rapporto dedicato alla fisica dei cambiamenti del febbraio scorso, sancendo definitivamente l’allarme sulle conseguenze dell’effetto serra, confermando i rapporti delle altre organizzazioni e istituzioni scientifici
citati in precedenza.
Il 7 giugno ad Heiligendamm, in Germania, i paesi membri del G8: Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, Canada, Giappone e Russia, han-
Articoli
no raggiunto un compromesso sul clima in cui si afferma la necessità di ridurre “in modo sostanziale” le
emissioni di gas ad effetto serra. Secondo quanto stabilito, gli otto pur impegnandosi a lavorare per una
riduzione sostanziale dei gas ad effetto serra, non
hanno fissato obiettivi vincolanti e target di riduzione. L’unica forza data al documento è l’affermazione
che tutti gli Otto membri devono prendere ‘‘in seria
considerazione” la decisione di Germania, Francia,
Italia, Canada e Giappone di ridurre del 50% i gas
nocivi entro il 2050 rispetto ai livelli odierni. Dunque
gli Stati Uniti d’America e la Russia, pur non accettando di sottoscrivere tale obiettivo di riduzione, si
sono solo impegnati a prendere “seriamente in considerazione” la convergenza verso l’azione dei partner.
I leader del G8 sono stati unanimi nel dichiarare una
certa soddisfazione per gli esiti di questo incontro
che si preannunciava, invece, come un possibile arresto delle trattative. Si tratta di un passo significativo
rispetto al no secco di qualche anno fa, tuttavia, rispetto agli interventi necessari per arginare gli attuali
problemi ambientali, il risultato di questo summit è
alquanto inadeguato se non deludente.
Un obiettivo importante raggiunto dagli europei è
stato il riconoscimento dell’ONU quale contesto entro il quale condurre la lotta al cambiamento climatico, visto che gli USA intendevano proporre entro la
fine del 2008 un nuovo accordo che superasse quello
di Kyoto in scadenza nel 2012, ma ristretto ai soli
paesi maggiormente responsabili dell’inquinamento
di gas a effetto serra. Lo spostamento nella sede delle
Nazioni Unite dell’azione contro la crisi climatica,
oltre a ridurre il peso politico delle singoli parti rafforza la visione della lotta all’inquinamento come
problema globale che deve essere risolto con una cooperazione a livello mondiale. I Paesi del G8 si sono
rivolti, perciò, anche ai Paesi emergenti affinché si
associno all’impegno di raggiungere l’obiettivo di
una
riduzione
sostanziale
delle
emissioni
dell’anidride carbonica immessa nell’atmosfera. La
questione è stata discussa con Cina, India, Brasile,
Messico e Sudafrica, invitati come ospiti, i quali
hanno dato segnali incoraggianti di apertura.
L’attuale assetto produttivo e consumistico, causa
dell’inquinamento, è infatti strettamente legato al
rapporto tra i Paesi ricchi e industrializzati e i Paesi
del Terzo e Quarto Mondo. Non a caso il tema
dell’Africa è stato presente insieme a quello del clima nell’agenda ufficiale del Vertice. Ai leader del
22
Economia e Ambiente
G8, si è rivolto anche il Papa affinché “non vengano
meno alle promesse di aumentare sostanzialmente
l’aiuto allo sviluppo, in favore delle popolazioni più
bisognose, soprattutto quelle del Continente Africano”. È da augurarsi che questo processo subisca
un’accelerazione e che da “aperture al dialogo” e da
“serie prese in considerazione”, si passi ad azioni
concrete, nella speranza che il pianeta riesca ad attendere che gli uomini si decidano.
Articoli
acide dal 1996 al 2000 a causa della riduzione dei raccolti, della morte di bestiame e per danni a palazzi e
siti storici. Secondo uno studio preliminare della Banca Mondiale l’inquinamento dell’aria e dell’acqua
causa in Cina almeno 460 mila morti l’anno.
L’Amministrazione cinese per il controllo ambientale (SEPA) accusa le autorità locali di proteggere le fabbriche. Gli impianti chiusi o denunciati possono, infatti, riprendere in breve l’attività grazie al
sostegno di gruppi politici ed economici. Nonostante
le dichiarazioni dei leader, la Cina non appare adottare misure efficaci contro l’inquinamento. Wang Canfa, esperto dell’Università di Cina di Scienze politiche e diritto, impegnato da anni nella lotta
all’inquinamento, denuncia che negli ultimi anni le
sole misure antinquinamento adottate sono stati interventi temporanei, spesso a seguito di disastri ambientali, mentre servono meccanismi flessibili per
operare in modo ordinario un controllo che la Sepa
cerca da tempo di applicare con scarsi risultati.
Dell’importanza di integrare la Cina in una politica
ambientale coordinata a livello globale si discute anche in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU, ed è
stata ribadita da Boyden Gray, ambasciatore americano presso l’UE, che ha affermato: “piuttosto che
litigare tra noi, gli Stati Uniti e l’Europa dovrebbero
unire le loro forze per fare impegnare anche la Cina”.
La Cina
Oltre alla riluttanza degli USA e della Russia e
del coinvolgimento marginale dei Paesi in via di sviluppo, a rendere più difficile lo scenario è il peso che
sta assumendo l’inquinamento cinese. Secondo
l’IEA-International Energy Agency, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, un organismo di ricerca con
sede a Parigi che monitora i problemi energetici
mondiali e che fornisce i suoi dati a 26 paesi industrializzati, nel 2008 la Cina supererà il livello di emissioni degli Stati Uniti, con due anni di anticipo
rispetto alle precedenti stime. L’accelerazione è dovuta alla costante entrata in funzione di nuove centrali a carbone. Secondo Fatih Birol, responsabile del
rapporto annuale sull’Energia redatto dall’IEA, entro
quest’anno o al massimo entro l’anno prossimo, la
Cina sarà il Paese che emette la maggiore quantità di
gas a effetto serra. Birol avverte che ciò che l’Europa
fa, pur essendo moralmente encomiabile e motivato
da buone intenzioni, è comunque in termini quantitativi molto poco. Inoltre, questo continuo aumento
dell’inquinamento cinese potrebbe vanificare gli
sforzi compiuti in Occidente per combattere i cambiamenti climatici. Dalle immagini satellitari si vedono chiaramente enormi nubi tossiche che dalla Cina raggiungono Corea, Giappone e America del Nord
Le “crisi ambientali” cinesi sono continue: nella
regione del Jiangsu in un mese milioni di persone sono
rimaste senz’acqua potabile per l’inquinamento causato dalle industrie chimiche e per rientrare
dall’emergenza l’acqua contaminata del fiume è stata
diluita con l’acqua prelevata da un vicino lago. Nella
città di Guangzhou dal 2000 oltre il 70% delle precipitazioni sono state acide a causa delle emissioni di
biossido di zolfo delle fabbriche e degli scarichi dei
veicoli. Nella sola provincia del Guangdong si stimano
in 525 milioni di dollari i danni causati dalle piogge
L’attività normativa recente dell’UE
Il 21 settembre del 2005 la Commissione Europea aveva presentato al Parlamento Europeo una
Comunicazione dal titolo “Strategia tematica
sull’inquinamento atmosferico”, nella quale si fissavano per il 2020 degli obiettivi di riduzione più stringenti
per alcuni inquinanti e si rafforzava il quadro legislativo di lotta all’inquinamento atmosferico secondo due
assi principali: il miglioramento della legislazione comunitaria in materia di ambiente e l’integrazione del
problema “qualità dell’aria” nelle pertinenti politiche.
Per far ciò si deve aggiornare la legislazione in vigore,
concentrarsi sugli inquinanti più pericolosi e coinvolgere maggiormente i settori e le politiche che possono
incidere sull’inquinamento atmosferico.
Come si è visto l’inquinamento atmosferico causa
gravi danni alla salute umana e all’ambiente, ecco
perché l’UE si impegna per ridurre le emissioni degli
inquinanti principali in modo tale da proteggere i cit-
23
Economia e Ambiente
Articoli
tadini contro l’esposizione al particolato e all’ozono
2020, mentre senza tale intervento sarebbero intorno
presenti nell’aria e tutelare gli ecosistemi europei
ai 290.000 i decessi annui. Economicamente i benecontro le piogge acide e l’eutrofizzazione. Si pensi
fici per la salute, grazie alla riduzione dei decessi,
che nel corso dell’elaborazione della strategia le audelle malattie, dei ricoveri ospedalieri, dei giorni di
torità europee non sono state in grado di definire un
malattia e all’aumento della produttività, sono quanlivello di esposizione al particolato e all’ozono tropotificabili in almeno 45 miliardi di euro l’anno. I risulsferico che non presenti alcun rischio per l’uomo.
tati economici di questa strategia dovrebbero quindi
Ciò rende ancor più pressante la necessità di ragportare a benefici oltre cinque volte superiori ai costi
giungere una significativa riduzione di tali sostanze.
di attuazione.
La Commissione ha elaborato una strategia che
Per quanto concerne l’ambiente non esiste una
fissa degli obiettivi ambiziosi ma necessari, da reastima economica condivisa in termini monetari dei
lizzare entro il 2020. Le soluzioni programmate cerdanni causati agli ecosistemi dall’inquinamento e dei
cano di trovare il miglior rapporto costi-efficacia e la
benefici che si potrebbero realizzare grazie alla stramaggior coerenza con gli obiettivi di crescita e occutegia di riduzione. È comunque facilmente intuibile
pazione fissati a Lisbona e con l’impegno
che le ricadute positive per il mantenimento degli edell’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile. Sulcosistemi sarebbero notevoli, consentendo, tra l’altro,
la base della situazione accertata nel 2000, tali obietdi proteggere meglio non solo la biodiversità ma antivi sono:
che il patrimonio storico e architettonico.
– una riduzione del 47% dell’incidenza sulla perdita di
La Commissione Europea ha formalizzato il 29
speranza di vita dovuta all’esposizione al particolato;
giugno 2007 la “Posizione comune” adottata dal
– una riduzione del 10% dei casi di mortalità dovuti
Consiglio UE, che approva la nuova direttiva sulla
all’ozono;
qualità dell’aria nel territorio comunitario. Con la
– una diminuzione del 74% delle eccessive deposinuova direttiva si vuole chiarire e semplificare la lezioni acide nelle foreste e del 39% sulle superfici di
gislazione sulla qualità dell’aria, integrando in un teacqua dolce;
sto unico le diverse norme in mate– una riduzione del 43% delle
ria, tra cui la direttiva quadro del
zone i cui gli ecosistemi sono
1996 in materia di valutazione e di
colpiti dall’eutrofizzazione.
gestione della qualità dell’aria amPer conseguire questi obiettibiente14 e le direttive derivate che
vi sono necessari dei tagli brufissano i valori limiti di diversi inschi e, rispetto al 2000, vanno
quinanti: biossido di zolfo, biossido
ridotte le emissioni: di biossido
di azoto, ossidi di azoto, articolato,
di zolfo dell’82%, degli ossidi di
piombo, monossido di carbonio e
azoto del 60%, dell’ammoniaca
ozono nell’aria15. Oltre a rivedere gli
del 59%, dei composti organici
standard per la concentrazione in avolatili del 51% e delle polveri
ria del PM10, viene introdotto uno
sottili PM2,5 del 27%
standard anche per il PM2,5, quella
L’attuazione di una strategia
frazione fine del particolato che ridi tagli significativi delle immissulta essere il maggior responsabile
sioni inquinanti comporterà dei
dei danni alla salute.
costi aggiuntivi progressivi riLa direttiva ha l’obiettivo, infine,
spetto alle spese legate alle midi riorganizzare in un unico processo
sure attualmente in vigore, stiinformativo via telematica gli attuali
mati in 7 miliardi di euro per
due flussi di informazione, informaanno, pari allo 0,05% del Pil
tivo e normativo, sulla qualità
previsto per l’UE-25 nel 2020. Il
dell’aria tra Commissione Europea e
numero dei decessi prematuri
Stati Membri. Il Consiglio vuole aldovrebbero così ridursi, da
tresì approntare una rete di scambio
Condizionatori
d’
aria
domestici
370.000 nel 2000 a 230.000 nel
reciproco di informazioni e
24
Economia e Ambiente
di dati provenienti dalle reti e dalle stazioni di misurazione dell’inquinamento atmosferico.
In base alla precedente direttiva, il termine per
l’attuazione nazionale delle nuove norme in tema di
qualità dell’aria era il 31 dicembre 2007. Per il regime di transizione dalle vecchie alle nuove norme è
invece previsto il termine del 2010. Sono previste
proroghe per l’allineamento ai nuovi parametri delle
zone critiche, mentre alle industrie non saranno richieste misure di contenimento superiori alle migliori
tecniche disponibili.
Entro la fine del 2007 la Commissione Europea
formalizzerà, inoltre, la proposta per l’Euro VI, finalizzato a ridurre le emissioni inquinanti provenienti
da camion e autobus. Un vecchio autobus può, infatti, inquinare come 300 automobili nuove. In base a
quanto risulterà dalla consultazione con le parti interessate verrà stilato un regolamento comune europeo
relativo all’emissione di precursori dell’ozono e particelle microscopiche al quale le industrie costruttrici
di veicoli a motore dovranno attenersi.
Per il vice-presidente della Commissione, Gunther
Verheugen, responsabile delle imprese e delle industrie, questo è un “un ulteriore esempio della nostra
capacità di progettare a lungo termine, finalizzata a
riconciliare
l’industria
automobilistica
con
l’ambiente”. Il commissario ha poi fatto notare come
dare una chiara prospettiva a lungo termine permette
all’industria di avere il tempo per progettare vetture
pulite, di alta qualità, senza mettere in pericolo la
competitività. L’Unione Europea, nel suo insieme, si
è posta un obiettivo di riduzione delle emissioni, rispetto ai livelli del 1990, pari all’8% nel periodo
2008-2012, mentre per l’Italia sarà del 6,5%.
Articoli
Inoltre, molte nuove tecnologie si stanno dimostrando proficue, tra queste l’energia prodotta dalle biomasse provenienti da terreni incolti. Perciò si dovranno implementare queste tecnologie già esistenti
che potrebbero essere velocemente introdotte in modo da stabilizzare la concentrazione atmosferica di
anidride carbonica per poi ridurla ai livelli preindustriali.
Purtroppo l’IPCC nota come dai primi anni Novanta vi sia stata una riduzione nelle attività di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie volte a diminuire le
emissioni di gas serra. Inoltre il consumismo, come
viene perpetrato oggigiorno nel mondo, provoca tra
l’altro una sempre maggiore domanda di energia e
trasporti, spingendo nella direzione sbagliata e vanificando i progressi tecnologici.
Se il mondo non possiede petrolio e gas a sufficienza per elevare le concentrazioni atmosferiche di
anidride carbonica al doppio dei livelli preindustriali,
vi sono però quantità di carbone e di altri nuovi combustibili fossili come i catrami e le scisti bituminose
tali da poter far aumentare la CO2 già accumulata in
atmosfera di ben 17 volte. L’IPCC avverte che devono essere prese decisioni tempestive per decidere se
il mondo dovrà sviluppare tecnologie utili a sfruttare
le nuove sorgenti fossili, o, cosa che si ritiene molto
più auspicabile, investire nelle energie rinnovabili.
L’affrontare il cambiamento climatico è ormai un
problema politico, oltre che tecnico ed economico.
Ma le motivazioni per intervenire non mancano. Il
direttore del Programma speciale salute e ambiente
dell’OMS Europa Roberto Bertollini ha affermato:
«Non c’è più spazio per il dibattito, il cambiamento
climatico non è solo una possibilità, sta già accadendo anche in Italia. Non solo siamo preoccupati dalla
previsione di morti e malattie che ne derivano, ma ne
stiamo già verificando gli effetti. Oggi sperimentiamo
su scala minore quello che accadrà in futuro. I 35.000
morti dell’ondata di calore dell’estate 2003 in Europa
ne sono il primo esempio allarmante. Dopo anni di ricerca, abbiamo oggi un maggiore e più affidabile insieme di conoscenze. Questi dati devono essere utilizzati il più possibile per implementare misure di mitigazione e adattamento. E ciò va fatto adesso».
Per il commissario straordinario dell’APAT,
Giancarlo Viglione «I cambiamenti fisici osservati e
prevedibili si sono ormai tradotti in una maggiore
vulnerabilità dei nostri territori – maggior rischio di
siccità, alluvioni ed esondazioni, frane, disponibilità
Le strategie per il futuro
In autunno verrà pubblicato anche il rapporto del
Terzo Gruppo di Lavoro dell’IPCC 2007, del quale è
già disponibile la sintesi redatta per gli operatori politici, in cui si affrontano i possibili rimedi per arginare
il riscaldamento del pianeta. La conclusione di ordine
strategico a cui è giunto il IIWG dell’IPCC è che negli ultimi anni il progresso tecnico volto alla riduzione delle emissioni di gas serra è stato più veloce di
quanto previsto, grazie alla creazione di motori ibridi
per le auto efficienti, turbine eoliche migliori e nuovi
progressi nella tecnologia delle pile a combustibile.
25
Economia e Ambiente
di risorse idriche, fertilità dei suoli – e in un cambiamento nella distribuzione di rischi chimici e biologici
– qualità delle acque e degli alimenti, qualità
dell’aria nelle città – che richiederanno nuovi sistemi
di sorveglianza e controllo». Ecco perché secondo
Viglione elaborare una strategia nazionale
d’adattamento sarà l’obiettivo principale della Conferenza nazionale sui Cambiamenti Climatici promossa
dal Ministero dell’Ambiente e che si terrà il 12 e il
13 settembre prossimo a Roma. In Occasione della
nona Conferenza il direttore dell’UNEP Klaus Toepfer aveva così espresso, in modo chiaro, le sue preoccupazioni: «Il cambiamento climatico è in atto già
adesso. Se non si fermerà porterà a sofferenze umane
e perdite economiche ancora maggiori».
Articoli
Le politiche internazionali per la lotta
all’inquinamento e quindi al cambiamento climatico
e alle morti e patologie collegate ai fattori ambientali,
coinvolgono le decisioni di molti altri settori quali la
gestione del territorio, le infrastrutture, il trasporto,
l’energia, il commercio internazionale, la politica estera, gli affari interni, le politiche per le abitazione,
la ricerca e lo sviluppo e l’istruzione.
Solo un processo di rinnovamento del sistema
produttivo e di consumo, e quindi sociale, può essere
invasivo in modo tale da produrre una gestione delle
risorse naturali più efficiente e parsimoniosa che porti ad una riduzione significativa e duratura
dell’inquinamento. Serve un’economia ecocompatibile, per molti aspetti profondamente diversa da quella attuale. Questi cambiamenti non possono essere
attuati semplicemente con interventi normativi, è
pienamente condivisibile l’appello dell’UNEP lanciato nel 2003 a Milano per una collaborazione e per
una volontà politica che incentivi l’innovazione tecnologica e la creatività economica per combattere i
cambiamenti climatici. Si deve tornare alla produzione di beni destinati a durare nel tempo, riparabili e
riciclabili. Si devono introdurre sistemi di aggiustamento dei prezzi che riflettano i costi ambientali in
termini di inquinamento, distruzione di risorse e costi
di trasporto. Il settore energetico dovrà cambiare radicalmente aspetto, dirottando una gran parte delle
utenze verso forme di generazione energetica locale.
Nessuna tecnologia da sola può risolvere i problemi
legati al cambiamento climatico. Sarà necessario lo
sviluppo di tecnologie meno invasive che sfruttino e
si adattino alle peculiarità locali.
Conclusioni
Per non superare la soglia di 550ppm di CO2 il
documento del terzo gruppo di lavoro dell’IPCC prevede un costo nel settore energetico equivalente a 20
trilioni in investimenti, da oggi al 2030, sia per abbattere le emissioni, sia per sviluppare le energie alternative e il risparmio di energia. Tuttavia, questo
scenario si rivelerebbe ugualmente critico: cercare di
ridurre le emissioni con accorgimenti e correttivi che
mantengano l’attuale assetto produttivo e consumistico vuol dire solo far aumentare il costo dei beni
internalizzando i costi di tecnologie e processi di aggiustamento. Inoltre, se già oggi gli attuali 380ppm di
CO2 creano enormi problemi climatici gli effetti dei
550ppm nel 2030-2050 saranno disastrosi.
Emissioni industriali in atmosfera
26
Economia e Ambiente
La domanda avrà un ruolo fondamentale nel sostenere uno stile di consumo responsabile. Le autorità
pubbliche non solo dovranno imporre e far rispettare
le norme ambientali, ma dovranno favorire la ricerca
e la cooperazione internazionale e l’informazione dei
cittadini.
I Governi devono dare un segnale forte in breve
tempo, attuando severe misure di riduzione
dell’inquinamento, interventi che la stessa opinione
pubblica vuole, o almeno ha la sensibilità necessaria
per capire. Di questa maggior sensibilità è indicativo
il successo della manifestazione Live Earth voluta da
Al Gore, ex-vicepresidente americano al tempo
dell’amministrazione Clinton, per sensibilizzare
l’opinione pubblica sui disastri ambientali. Due miliardi di persone hanno seguito in tv, per radio o su
internet questa giornata di eventi musicali che si sono
tenuti contemporaneamente il 7 luglio a Sydney, Tokyo, Shanghai, Johannesburg, Londra, Amburgo,
New Jersey e Rio de Janeiro e trasmessi in tutto il
mondo accompagnati da reportage e servizi informativi su tematiche ambientali.
Se da un punto di vista sociologico queste iniziative possono essere legate a fattori di moda e di tendenze, dal punto di vista pratico, al di là delle polemiche sui costi ambientali di questi eventi, possono
esportare le istanze ambientaliste fuori da gruppi ristretti e più o meno idealizzati, diffondendo una consapevolezza dei rischi ambientali e una maggior attenzioni verso stili di vita e orientamenti all’acquisto
più rispettosi della natura e più efficienti nell’uso delle risorse. Se a forme di produzione locali, labour intensive a basso impatto ambientale si lega una maggior attenzione per forme di commercio più eque sul
piano internazionale, si riuscirà ad ottenere non solo
minor inquinamento, ma anche una maggior ridistribuzione delle ricchezze ed il coinvolgimento dei Paesi in via di sviluppo.
La sfida politica, economica e tecnologica che si
presenta è senza eguali nella storia dell’uomo, ma
senza eguali sono anche i rischi che la specie umana
sta correndo.
Articoli
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Stefano Zamberlan è professore a contratto di Economia
e regolamentazione ambientale nella Facoltà di Economia
dell’Università degli Studi di Verona
27
Economia e Ambiente
NOTE
Articoli
più di due volte e mezzo maggiore rispetto alle zone con
scarso traffico (500 veicoli al giorno). Si stimano in 5.000
decessi di bambini tra 0 e 4 all’anno in Europa che si potrebbero evitare riducendo la concentrazione di polveri
sottili, che fanno aumento a livello europeo i tumori per
bambini fino ai 14 anni dell’1,2% e del 1,4% per i ragazzi
tra i tra 14 e i 19 anni.
8
Ecco alcuni dati: Torino 75 giorni, Verona 71, Padova
66, Cagliari 59, Venezia 58, Milano 57, Modena 57, Bologna 56, Brescia 51, Parma 38, Firenze 38, Roma 35, Prato
33, Palermo 32, Trieste 29, Bari 25, Livorno 20, Genova
17, Napoli 14, Messina 9, Catania 8.
9
La presentazione ufficiale del rapporto avverrà, invece,
in occasione della prima “Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici” organizzata per il 12 e 13 settembre
2007 a Roma dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mare.
10
È quanto ha affermato il direttore l’UNEP Klaus Toepfer alla COP9, la nona Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutasi nel dicembre 2003 a Milano:
11
Secondo il Ministero dell’Ambiente le aree a rischio di
inondazione nel nostro Paese sono più del 2,6% del territorio nazionale e situate per lo più in aree densamente
popolate.
12
Secondo i dati raccolti dall’INGV, dal 1981 al 2004 vi è
stato un aumento del 14% delle giornate calde, ovvero con
temperatura massima superiore a 25°C, mentre fra il 1961
e il 2004, vi è stata una riduzione media di circa il 20% dei
giorni di gelo, con temperatura minima inferiore o uguale
a 0 gradi. Negli ultimi 100 anni la temperatura media italiana è aumentata di 0.7 gradi al nord e 0.9 gradi nel centro
e nel Sud, determinando una riduzione totale delle piogge
pari del 14%, con lunghi periodi di assenza delle precipitazioni nei periodi invernali nel Meridione e un aumento
delle precipitazioni estreme nell’Italia settentrionale.
13
Mark Lyans è divenuto famoso a livello internazionale
con un altro libro: The New Weather ( trad. it Notizie da un
pianeta rovente, Longanesi, 2005), pubblicato dopo il ciclone Katrina, in cui esponeva chiaramente, alla luce dei
dati già esistenti, la possibilità di eventi così catastrofici.
14
La direttiva 96/62/Ce.
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Ovvero le direttive 1999/30/Ce, 2000/69/Ce, 2002/3/Ce
e 97/101/C.
1
In particolare, i ricercatori dell’università di Kalmar, in
Svezia, analizzando la città di Stoccolma – che con i suoi
700 mila abitanti su 190 chilometri quadrati è rappresentativa di molte realtà urbane – hanno evidenziato che pur
eliminando le emissioni imputate al motore, l’usura dei
freni, dei pneumatici e del manto stradale produce più del
50% dei metalli dissolti in aria, in particolare zinco, rame e
antimonio. Studi analoghi compiuti in Italia dal Politecnico di Milano per conto dell’ARPA della Lombardia ha evidenziato che per le auto a benzina il 90% delle emissioni
di Pm10 è dovuto all’attrito, un po’ meno per i diesel, e
che una buona parte di queste polveri sono composte da
particelle pericolose.
2
È quanto emerso dal convegno “Inventario emissioni di
gas serra in Italia dal 1990 al 2005”, organizzato
dall’APAT, Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per
i Servizi Tecnici, con il Ministero dell’Ambiente e della
tutela del territorio e del mare e la Regione Puglia, che si è
svolto il 20 luglio a Brindisi.
3
Se si considerano le quote di emissioni assegnate alle
imprese, in Italia l’Enel è riuscito, pur non raggiungendo
gli obiettivi previsti, a ridurre del 10 per cento le proprie
emissioni fra il 2005 e il 2006. Gli altri grandi gruppi elettrici: Edison, Endesa, Edipower, Enipower, Tirreno Power,
le hanno invece aumentate. Vi sono stati aumenti, anche se
le quantità sono più modeste, per i gruppi del cemento, ad
eccezione della Unicem. Comportamenti positivi si sono
avuti, invece, nella siderurgia, in particolare nelle acciaierie
Ilva e Lucchini, e nel settore petrolifero, in cui si è distinta
la Erg dei Garrone al contrario della Saras dei Moratti.
4
Queste tredici città hanno tutte più di 200 000 abitanti
per un totale di circa 9 milioni di persone, pari al 16% del
totale della popolazione nazionale
5
I decessi, registrati per concentrazioni superiori ai 20
mg/m3, sono pari al 9% delle cause di morte degli individui con più di 30 anni, esclusi gli incidenti stradali.
6
Sempre in base all’OMS, in Italia sono quasi 5.000 i ricoveri dovuti alle poveri sottili in un anno, di questi quasi il
59% per disturbi al cuore, il resto per problemi respiratori.
7
Secondo uno studio dell’Istituto Superiore della Sanità il
rischio di contrarre leucemie per i bambini che vivono in
zone ad alto traffico (5.000 veicoli in transito al giorno) è
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