cause ed effetti del cambiamento climatico
Transcript
cause ed effetti del cambiamento climatico
CAUSE ED EFFETTI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO I gravi effetti dell’inquinamento sulla salute umana –Il cambiamento climatico e gli inquietanti scenari futuri – Gli accordi internazionali e la grande sfida politica, economica e tecnologica di STEFANO ZAMBERLAN Premessa Le cause dell’inquinamento atmosferico Il cambiamento climatico causato dall’inquinamento atmosferico è finalmente un problema all’attenzione dei mass media e della pubblica opinione. Dopo anni di polemiche, l’evidenza che molti avevano negato prima e minimizzato poi è prepotentemente emersa, e lo ha fatto con uragani, inondazioni, siccità e calori intensi. Fino a cinque o sei anni fa c’erano ancora ricerche scientifiche insistenti nel sostenere come le variazioni di temperatura si siano sempre verificate nel nostro pianeta e che non c’era la certezza che le emissioni di anidride carbonica, causate dall’attuale sistema produttivo basato sulle fonti energetiche fossili ed eccessivo consumismo di una parte della popolazione umana, siano il principale responsabile del global warming, ovvero del surriscaldamento del pianeta. La resistenza dell’establishment economico e politico nell’ammettere questa responsabilità è diventata resistenza al cambiamento necessario o volontà di veicolarlo seguendo tempi e logiche di potere ed economiche che sono estranee all’ambiente. L’ambiente evolve in tempi biologici lunghissimi, migliaia o milioni di anni, mentre l’uomo impiega tempi storici dell’ordine di decine o al massimo centinaia di anni. La conseguenza di questa asincronia è stata la produzione di uno stress all’ambiente in così breve periodo da creare problemi enormi, e ora, paradossalmente, l’ambiente rischia di degradarsi irreversibilmente nel giro di poche decine di anni, dando all’uomo poco tempo per cercare di rimediare. L’inquinamento atmosferico è causato dalle industrie, dall’agricoltura intensiva, dalla produzione energetica, dal traffico, dal riscaldamento e dai consumi domestici. Gli agenti chimici immessi dall’uomo nell’ambiente – tra cui anidride carbonica, azoto, metalli e residui organici volatili – possono essere nocivi di per sé o si possono combinare fra loro, o con altri agenti presenti naturalmente in atmosfera, creando sostanze più pericolose. Alte concentrazioni di inquinanti atmosferici creano poi le polveri sottili, che sono una miscela di particelle, solide e liquide, che hanno un diametro inferiore di 10 micron (millesimi di millimetro) composte da ceneri, polveri di cemento e di carbone, fibre di amianto, metalli (nichel, piombo, rame e zinco), solfati e nitrati. I processi industriali producono una gran varietà di inquinanti e sono tra i maggior responsabili delle emissioni di ossido di carbonio, anidride carbonica, anidride solforosa, ossidi di azoto, metano, ammoniaca, radiazioni radioattive e polveri sottili. L’agricoltura intensiva, invece, fa ampio uso di fertilizzanti chimici e fitofarmaci ed è la principale responsabile delle emissioni di ossido di azoto e di ammoniaca, mentre dalla zootecnia derivano altissime quantità di metano, azoto e biossido di carbonio. A causa poi dell’uso di fitofarmaci ad uso antiparassitario si ha l’emissione di molti prodotti chimici tossici. Nel settore energetico sono diverse le sostanze 13 Estratto «Economia e ambiente», anno XXVI, n. 4-5, 2007, pp. 13-28 Economia e Ambiente immesse nell’aria, per esempio il metano durante l’estrazione di gas naturale e petrolio. Ma ciò che preoccupa di più è l’elevato inquinamento dovuto alla combustione di carbone e gas naturale per produrre elettricità causando il rilascio di anidride solforosa, ossidi di azoto e anidride carbonica. Altra imponente fonte di inquinamento è il traffico, automobilistico in primis ma anche aereo e navale, che si stima sia il responsabile di un terzo del totale delle emissioni di gas serra. Le emissioni riguardano pricipalmente l’anidride carbonica, l’ossido di carbonio, gli ossidi di azoto e le polveri sottili. Bisogna però tener conto anche dell’inquinamento prodotto nella costruzione e nello smaltimento delle automobili, che spesso, soprattutto per le auto di piccola cilindrata a bassi consumi, è notevole rispetto a quello prodotto dall’auto nei primi 100.000 km di vita. Questo elemento diminuisce la valenza ecologica degli incentivi alla rottamazione. Per quanto riguarda il traffico automobilistico, inoltre, secondo uno studio apparso sulla rivista «Environmental Science and Technology» della American Chemical Society, sono i freni e i pneumatici la Articoli maggior fonte di emissione di metalli inquinanti. Ciò vuol dire che anche riducendo al minimo le emissioni dovute alla combustione del motore, le automobili rimangono sempre una fonte di inquinamento1. Sul fronte dei consumi civili la maggior fonte di inquinamento deriva dal riscaldamento, che produce grandi quantità di anidride carbonica. In un convegno tenutosi in marzo a Milano, la Easy International SpA ha presentato i risultati di una ricerca sul rapporto tra inquinamento atmosferico e riscaldamento, eseguita tenendo conto nell’elaborazione dei dati dei periodi transitori di accensione e spegnimento delle caldaie. Da questo studio è emerso che l’andamento degli inquinanti nell’aria, e in particolar modo del PM10, è correlato essenzialmente proprio con i periodi di attività delle caldaie. Dunque si è potuto verificare che il maggior produttore di polveri sottili in inverno sono proprio le caldaie. Inoltre, tenendo conto di tutte le fasi del funzionamento di una caldaia, si evince che le moderne caldaie a risparmio energetico pur avendo un consumo minore, inquinano agli stessi livelli di quelle precedenti, e quindi servono nuove regole e accorgimenti tecnici. Sopra: uno stabilimento industriale Nella pagina a fianco: una veduta della costa istriana al tramonto 14 Economia e Ambiente 15 Articoli Economia e Ambiente Ulteriori responsabilità dei consumatori sono dovute, poi, all’inquinamento atmosferico connesso alla produzione e distribuzione dei beni richiesti e all’uso diretto di prodotti chimici: vernici, cosmetici, fertilizzanti, prodotti per l’igiene e la pulizia domestica. Articoli complessivamente di circa il 12%. Solo dopo 15 anni di continuo aumento delle emissioni, in controtendenza rispetto ai Paesi più avanzati dell’Europa, nel 2006 vi è stata una riduzione delle emissioni dell’1,5% rispetto al 2005, anche se con andamenti contrastanti in base ai vari settori. Le stime per il 2006 evidenziano una diminuzione delle emissioni nel settore civile – riscaldamento e raffreddamento delle case – del 18%, in cui ha avuto però una forte incidenza l’inverno caldo e l’estate mite del 2006. Diminuzione anche in agricoltura, dove in un solo anno il calo delle emissioni è stato dell’1,5%. Nel settore del trasporto la situazione rimane immutata, con un aumento delle automobili in strada ma una riduzione delle loro emissioni grazie a standard più elevati e politiche cittadine di limitazione al traffico e incentivazione nell’uso di mezzi pubblici. Nel settore della produzione di energia vi è stato però un aumento delle emissioni del 4,9%2. Greenpeace denuncia, infatti, che fra il 2005 e il 2006 le emissioni complessive di CO2 sono aumentate da 225,8 a 227,1 milioni di tonnellate. I maggiori responsabili dell’incremento sono il settore energetico e i cementifici, mentre sono migliorate le produzioni legate al petrolio e alla siderurgia. Francesco Tedesco, responsabile Campagna Energia e clima di Greenpeace, afferma che il peso del settore termoelettrico è evidente ed è causato da un forte ritardo sulle energie rinnovabili. Inoltre, le scelte pro carbone, sostenute da una parte rilevante del governo, rischiano di aggravare pesantemente la situazione3. In base ai dati dell’ultimo rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente, i Paesi che sono riusciti a ridurre maggiormente le emissioni sono Germania, Finlandia, Paesi Bassi e Romania, soprattutto riducendo i consumi di carbone nel settore della produzione di energia elettrica e del trasporto su strada. L’Italia, invece, insieme a Polonia, Austria, Bulgaria, Grecia, Ungheria, Irlanda, Portogallo, Slovenia e Paesi Baltici, rientra tra quei Paesi in cui il livello di gas serra prodotto è aumentato. Secondo Stavros Dimas, commissario UE, i dati dell’Agenzia per l’ambiente sono incoraggianti, perché l’Europa è riuscita a ridurre le emissioni di gas serra in un periodo di crescita economica. Tuttavia, sottolinea come sia oramai evidente che, se si vogliono raggiungere gli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto entro il 2015, un certo numero di Stati membri devono raddoppiare gli sforzi. Dimas sotto- Le emissioni di CO2 sono aumentate tra il 2000 e il 2004, deboli le riduzioni attuali Secondo un recente studio, tra il 2000 e il 2004 non vi è stata nessuna riduzione della produzione di anidride carbonica, al contrario è aumentata ad un ritmo tre volte superiore rispetto agli anni Novanta. I ricercatori provenienti da diversi istituti di ricerca e università del mondo hanno incrociato ed elaborato i dati del Fondo Monetario Internazionale, del Dipartimento USA per l’Energia e di altre istituzioni mettendo in luce che, mentre l’aumento delle emissioni di anidride carbonica è stato dell’1,1% nel periodo tra il 1990 e il 1999, tra il 2000 e il 2004 è stato del 3,1%. Secondo gli scienziati questa brusca accelerazione è dovuta alla crescita economica che ha interessato quasi tutto il pianeta. “Nonostante il consenso comune sulla necessità di ridurre le emissioni – spiega Chris Field, co-autore dello studio e direttore dell’US-based Carnegie Institution Department of Global Ecology – in molte parti del mondo si sta tornando indietro”. I maggiori responsabili di questo incremento sono i Paesi in via di sviluppo, come Cina e Brasile, responsabili del 73% dell’aumento totale delle emissioni: a riprova dell’inadeguatezza e pericolosità delle tecnologie e del modo di fare economia importati in questi Paesi. Gli Stati industrializzati e più ricchi, anche se hanno avuto un incremento minore, hanno però la responsabilità più grave di produrre il 60% dell’inquinamento globale e di “barcamenarsi” sul protocollo di Kyoto. Dal 2004, fortunatamente, si è registrata in Europa un’inversione di tendenza. Nel 2005, infatti, il livello delle emissioni di gas serra è diminuito dello 0,8% nell’UE dei 15 e dello 0,7% nell’UE dei 27. L’Italia, però, non ha contribuito a questa riduzione, aumentando nello stesso anno le emissioni dello 0,3% rispetto al 2004. Il contributo italiano nelle emissioni di gas serra è pari a circa l’11% del totale europeo e a circa il 2% delle emissioni globali. Fra il 1990 ed il 2005 in Italia le emissioni sono aumentate 16 Economia e Ambiente linea che a marzo i dirigenti europei hanno adottato degli obiettivi a lungo termine di riduzione delle emissioni e non c’è dunque più alcuna ragione di rimandare misure ambiziose per ottenere cambiamenti strutturali del sistema produttivo e del consumo energetico. Articoli respirano con più frequenza e hanno il sistema immunitario meno sviluppato, inoltre, sono più esposti alle fonti inquinanti per via della statura e del loro trasporto in passeggini e carrozzine. Colpiti sono il sistema respiratorio, immunitario, cardiocircolatorio e nervoso. Sono, infatti, più di 60.000 ogni anno i bambini in Italia vittime di attacchi di asma o di bronchite acuta causati da questa forma di inquinamento, mentre sono 5.000 in Europa i decessi di bambini tra i 0 e i 4 anni7. Un recente studio americano ha evidenziato una corrispondenza fra l’alto tasso delle polveri sottili e disturbi comportamentali dei bambini. È da notare come negli Stati Uniti la prescrizione di psicofarmaci a minori sia oramai una pratica diffusa. Viene da chiedersi quali saranno i danni che l’inquinamento e questi farmaci produrranno sullo sviluppo degli individui di domani, andando a minare non solo la capacità produttiva e l’apporto costruttivo alla società, ma la stessa capacità di relazionare e di costruire una comunità. Il 13 giugno 2007 a Ginevra l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato il primo rapporto che analizza, per ogni Paese, l’impatto dei fattori ambientali sulla salute umana. I fattori di rischio considerati nello studio sono: l’inquinamento atmosferico, la sicurezza delle acque, il livello di igiene, l’inquinamento domestico dovuto all’utilizzo di combustibili usati per cucinare, le condizioni ambientali legate alle professioni, le radiazioni di raggi ultravioletti, il cambiamento climatico dell’ecosistema e i comportamenti umani, tra cui il fumo attivo e il fumo passivo a cui sono sottoposti i bambini. L’Italia è uno degli Stati con il maggior numero di decessi legati all’inquinamento ambientale: 91.000 ogni anno. Tra questi sono 8.400 le morti causate dalle polveri sottili. Per legge è consentito il Gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute dell’uomo Un forte elemento di spinta verso questi cambiamenti strutturali dovrebbe venire dai gravi effetti che l’inquinamento atmosferico ha sulla salute umana. Le conseguenze, evidenziate da una indagine dell’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblicata già nel 2000, sono drammatiche: in Europa 7 anni fa le morti attribuiti alle polveri erano circa 250.000, pari al 5% dei decessi totali. Secondo un rapporto della Commissione Europea, attualmente, i decessi da inquinamento atmosferico sono saliti a 310.000. Studi recenti rivelano che ogni incremento di 10 microgrammi per metro cubo di questi inquinanti fa aumentare la mortalità italiana dell’1%. L’Italia è stato oggetto nel 2006 di uno studio dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (o WHO, World Health Organization), per conto dell’APAT, chiamato “Impatto sanitario delle polveri PM10 e dell’ozono in 13 città italiane”. Le città scelte sono: Torino, Genova, Milano, Trieste, Padova, Venezia-Mestre, Verona, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Catania e Palermo4. Ne è risultato che tra il 2002 e il 2004 ci sono stati in media 8.220 morti l’anno per gli effetti a lungo termine delle concentrazioni di PM10 5. Gli effetti cronici rilevati, invece, sono: ictus 329 casi all’anno, cancro al polmone 742 e infarto 2.562. Oltre ai decessi che le polveri sottili causano nel medio e lungo termine, si hanno anche notevoli fenomeni degenerativi e neoplastici quali: bronchiti croniche, asma, enfisemi polmonari, malattie cardiocircolatorie e tumori maligni. L’Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro ha accertato che alte concentrazioni di inquinanti atmosferici fanno aumentare fra il 20 e il 40% il rischio di ammalarsi di tumore6. Danni gravi sono causati anche alla salute e alla crescita dei bambini, i quali Traffico all’uscita di una scuola 17 Economia e Ambiente superamento delle soglie di Pm10 per un massimo annuale di 35 giorni, il monitoraggio effettuato da Euromobility ha messo però in evidenza come in molte città italiane questo limite sia stato abbondantemente superato nei soli primi tre mesi dell’anno8. Articoli alghe e cianobatteri potenzialmente tossici che si presentano in concentrazioni più abbondanti a causa dell’aumento di temperatura; per il diffondersi della salmonella a causa di inondazioni che danneggiano le fognature, causando uno sversamento delle acque reflue che contaminano l’acqua potabile e le colture; per l’aumento dei casi di malattie come la febbre del Nilo occidentale e la Leishmaniosi. Tali effetti sono già cominciati, secondo l’UNEP sono state 150 mila le morti causate da malattie dovute ai cambiamenti climatici nel 2000, mentre uno studio dell’OMS prevede che, se non saranno poste in atto misure adeguate, il numero delle vittime potrebbe raddoppiare entro il 2030. Dal 1995 al 2004 l’Europa ha già subito 30 grosse alluvioni colpendo 2 milioni di persone e causando mille morti, mentre i decessi per le ondate di calore entro il 2020 potrebbero quadruplicare. L’aumento del livello del mare implicherà drammatiche conseguenze per le aree costiere italiane. Uno studio NASA - Goddard Institute for Space Studies ha evidenziato che circa 4.500 chilometri quadrati di aree costiere in Italia sono a rischio di inondazione. L’approvvigionamento di acqua potrebbe diventare ancora più problematico di quanto non sia oggi in Puglia, in Basilicata, in Sicilia e in Sardegna, a causa sia della progressiva e crescente scarsità di acqua, sia del malfunzionamento dei sistemi di gestione11. Se sono gravi i rischi diretti per la salute umana, altrettanto gravi lo sono i rischi per l’ambiente e per le nostre condizioni di vita. Uno degli obiettivi di fondo dell’UE, fissato dal Consiglio dei ministri ancora nel 1996, è limitare l’aumento della temperatura globale a 2°C. Oltrepassando questo tetto massimo, infatti, gli effetti del clima sugli ecosistemi, sulla produzione alimentare e sull’approvvigionamento idrico aumenterebbero in modo vertiginoso e la gestione ambientale comincerebbe a sfuggirebbe di mano, rischiando di portare verso un aumento di 3 gradi, ritenuto il limite massimo di gestione dell’ambiente, oltre il quale ogni intervento dell’uomo risulta vano. Le più recenti scoperte in campo scientifico indicano che per bloccare l’aumento a 2°C la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera dovrebbero essere di 450650ppm (parti per milione), tuttavia superati i 550ppm diventa sempre più improbabile arrestare il surriscaldamento. Già ora si ha una concentrazione di CO2 di 380ppm, livello record in 650.000 anni, nel Gli effetti del surriscaldamento sull’ambiente e sulla vita umana Questo inquinamento ha portato a modificare il clima e, se a livello di medie e statistiche, la temperatura è aumentata di un grado in più in 100 anni, apparentemente innocuo, dal punto di vista fenomenologico questo ha portato a variazioni metereologiche improvvise, modificazione delle correnti oceaniche e delle correnti dei venti con instabilità stagionali, aumento di tempeste, cicloni, uragani, lunghi periodi di siccità seguiti da alluvioni, quantità globale di pioggia in diminuzione. Anche quest’anno in Italia, dopo un inverno mite, in estate ci sono state delle ondate di caldo intenso, con gravi ripercussioni oltre che sulle produzioni agricole, anche sulla salute delle persone. Nelle grandi città è allarme per le fasce più a rischio, anziani, malati e bambini, e vi sono già stati diversi decessi. A Roma il 25 giugno sono state presentate le conclusioni del primo rapporto sul Cambiamento Climatico e Salute in Italia realizzato dall’OMS, Programma Speciale Salute e Ambiente della Regione Europea per conto dell’APAT 9. Secondo le stime di questo rapporto in Italia si registra un aumento della mortalità del 3% per ogni grado di crescita della temperatura nazionale media. Si stima che l’ondata di calore della calda estate del 2003 abbia causato in Europa tra 22 e 35 mila morti, e questo fenomeno potrebbe riproporsi ogni anno. L’Hadley Centre for Climate Change, in Gran Bretagna, infatti, prevede che entro il 2040 la metà delle estati europee saranno più calde di quella del 2003. Lo stesso aveva affermato l’UNEP, l’United Nations Environment Programme, quella che ci è parsa un’estate eccezionale sarà un fenomeno sempre più frequente nei prossimi decenni, fino a diventare più o meno normale verso la metà del secolo10. Altri rischi per la salute umana si avranno poi per il prolungarsi delle allergie da pollini a causa di variazioni stagionali che determina una fioritura più precoce e duratura; per il rischio di intossicazione da 18 Economia e Ambiente 1750, prima Rivoluzione industriale, era di 270ppm. Rispetto ai livelli del 1990, un limite di 550ppm richiederebbe una riduzione entro il 2050 delle emissioni globali compresa tra il 15 e il 50%. L’UE dovrà ridurre le emissioni entro il 2025 del 30% rispetto ai valori del 1990, con un costo che potrebbe raggiungere 1,3% del PIL ed uno sforzo politico ed economico notevole, tuttavia, riduzioni minori sarebbero insufficienti per arginare a 2° l’aumento della temperatura. I “meccanismi flessibili” del protocollo di Kyoto, quali lo scambio internazionale di quote di emissioni e la cooperazione internazionale possono ridurre i costi necessari. D’altra parte anche i danni economici prodotti dai cambiamenti climatici sono ingenti, alcune cifre: il caldo torrido dell’estate 2006 ha causato in Europa perdite all’agricoltura per più di 10 miliardi di dollari; lo straripamento dei fiumi Yangtze e Huai in Cina ha danneggiato 650 mila abitazioni, con un danno di 8 miliardi di dollari; l’alluvione che ha recentemente colpito l’Inghilterra ha lasciato danni per più di 4 miliardi di dollari mentre i tornadi che si sono abbattuti sul Midwest, negli Stati Uniti, hanno distrutto infrastrutture e attività economiche per più di 3 miliardi di dollari. Articoli dell’acqua marina nelle falde in prossimità delle coste. L’agricoltura sarà devastata dalle ondate di caldo e dai periodi di siccità, mentre le precipitazioni di carattere sempre più alluvionale distruggeranno le colture e non permetteranno ai terreni di rigenerarsi. L’aumento della temperatura poi, tra 1 e 2 gradi, renderebbe la popolazione dell’Europa ancor più vittima delle ondate di calore, mentre le attività economiche conoscerebbero cali di produttività. La speranza di ovviare con strumenti tecnologici (climatizzazione, ecc.) sarebbe vana: è impensabile un tale sovraccarico del sistema energetico già al limite, senza contare l’ulteriore aumento dell’inquinamento. Gli incendi estivi divamperebbero più frequenti e distruttivi, cancellando anno dopo anno le foreste. Le piante invece di assorbire monossido di carbonio comincerebbero a produrlo. Agli attuali ritmi di inquinamento nel 2050 la temperatura raggiungerebbe quota più 2 gradi, mentre oltre un terzo di tutte le specie viventi sarebbe a rischio di estinzione. Secondo Mark Lynas c’è una probabilità del 93% di evitare l’aumento di 2 gradi della temperatura mondiale, ma solo se le emissioni di gas serra saranno ridotte del 60% nei prossimi 10 anni. Non farlo vorrebbe dire vedere appassire il pianeta. Con un aumento dai 2 ai 3 gradi, infatti, il rilascio del monossido di carbonio dalla vegetazione e dalla terra porterebbe a un’accelerazione del riscaldamento globale, la foresta amazzonica morirebbe mentre le città costiere sarebbero devastate da uragani. Nel continente Africano la fame mieterebbe milioni di vittime, spingendo altri milioni di indigenti a migrare. A questo punto la situazione potrebbe essere ad un punto di non ritorno. Secondo l’Autore, infatti, se il rialzo arriverà a 2 gradi le probabilità di evitare l’aumento di 3 gradi sono poche, a causa dell’innesco del ciclo di emissione carbonica dal terreno e dalle piante. La Terra, che già ora vede quasi un terzo della propria superficie colpita dal fenomeno della desertificazione, diventerebbe per metà inospitale, inoltre, il livello del mare salendo sottrarrebbe ulteriore superficie. La mancanza di risorse e la povertà spingerebbero milioni di persone a migrare dall’Africa all’Europa e dall’America Centrale agli Stati Uniti e al Canada. I problemi di convivenza e le tensioni sociali aumenterebbero in modo esponenziale rispetto ai già difficili livelli attuali con la possibile nascita di nuovi partiti di stampo fascista. Arrivati a tre gradi l’aumento della temperatura Il cambiamento climatico: uno scenario inquietante Se non si riesce a ridurre il livello di emissioni in atmosfera l’INGV, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, prevede che entro la fine di questo secolo vi sarà un aumento della temperatura di circa 3,5-4°C rispetto ai primi del secolo scorso12. Se ciò dovesse accadere il mondo come noi lo conosciamo potrebbe non esisterebbe più. Questo rischio è ben descritto dal giornalista britannico Mark Lynas nel suo libro Sei gradi: il nostro futuro su un pianeta più caldo13. Posto che oramai è inarrestabile l’aumento della temperatura fino al raggiungimento di oltre 1 grado in più rispetto ai primi del Novecento, le ripercussioni saranno, oltre a quelle già descritte, anche la scomparsa dell’acqua potabile da 1/3 della superficie mondiale entro il 2100 – a causa dello scioglimento completo dei ghiacciai con conseguente secca dei fiumi – e l’allagamento completo delle fasce costiere basse, il che andrà a gravare ulteriormente sulla disponibilità di acqua dolce con l’infiltrazione 19 Economia e Ambiente Articoli diverrebbe un’impresa quasi impossibile arrestare il le la temperatura, infatti, riducendo del 60% le ridusurriscaldamento a causa dell’innesco del meccanizioni nei prossimi 10 anni si può fermare questo prosmo di scioglimento dei ghiacciai perenni (permacesso. Ciò, per quanto difficile possa sembrare, è frost). La maggior parte della Gran Bretagna, che tecnologicamente possibile, le difficoltà sono semmai proprio nell’ultimo anno è stata vittima di violente di tipo politico ed economico di breve periodo. esondazioni come non si erano mai viste, non sarebSeconda cosa, non possiamo pensare ad un aube più abitabile a causa dei gravi allagamenti mentre mento della temperatura globale immaginando l’area del mediterraneo, e quindi anche gran parte l’ambiente come quello che vediamo oggi ma solo dell’Italia, verrebbe abbandonata. più caldo. La vita umana sulla Terra si è sviluppata Lo scenario si fa poi apocalittico al raggiungimenperché l’interazione tra minerali, vegetali e animali to dei 5 gradi, cosa impossibile da impedire se si arha permesso, nel corso di milioni di anni, di raggiunriva ai 4 gradi. Il ghiaccio nei due poli sarebbe sciolgere un equilibrio e la creazione di una biosfera in to completamente e cui temperatura e composil’aumento della temperatuzione atmosferica si manra renderebbe instabile il tengono entro certi limiti. metano dei sottofondi oceQuesta è la teoria di Gaia anici che fuoriuscendo acelaborata negli anni Settanta celererebbe ulteriormente il dall’inglese James Lovelock riscaldamento globale. I e comprovata poi con la colprofughi in fuga dalla siccilaborazione con la microbiotà e dalle inondazioni cologa americana Lynn Marstiere sarebbero milioni e gulis, teorizzatrice in seguimigrerebbero alla ricerca di to della teoria della coevocibo. Le estati diventeranno luzione, in base alla quale sempre più lunghe e tral'evoluzione sarebbe il risulsformeranno le città con il tato di processi cooperativi e loro cemento e asfalto in non competitivi. Tale rete di ambienti invivibili. Ragrelazioni, che coinvolge tutgiunti i 5 gradi anche se vi ta la biosfera, permette fosse una drastica riduzione all’ambiente di assorbire delle immissioni in atmotraumi e cambiamenti. sfera da parte degli esseri L’attività umana, però, ha umani – dovuta al collasso esercitato una tale pressione del sistema produttivo e che l’ambiente non è stato in della mobilità – l’aumento grado di neutralizzarla e ciò di temperatura sarebbe oraha finito con l’incrinare i Gli effetti della siccità mai inarrestabile. Ad un meccanismi naturali che gaaumento di 6 gradi la vita rantivano l’equilibrio delle dell’uomo sulla terra tra tempeste, inondazioni, gas condizioni ambientali. Dunque l’ambiente sta camsulfurei e metano sarebbe scomparsa o ridotta a pobiando, e ad ogni grado in più l’ambiente cambia che comunità in ambienti protetti. sempre di più e sempre più velocemente in un circolo Per quanto sia inquietante questo scenario bisogna vizioso che una volta imboccato rischia di diventare notare come il rapporto IPCC presentato quest’anno inarrestabile. Il punto di non ritorno è più vicino di ha confermato la corrispondenza tra concentrazione quanto pensiamo. di CO2 nell’atmosfera e aumento della temperatura Secondo James Lovelock abbiamo già oltrepassastimato da Lynas. La tentazione di tacciare di catato questo punto, in un’intervista sul quotidiano bristrofismo questo scenario deve però lasciare il passo tannico “The Indipendent” del 16 gennaio 2006, prea due considerazioni. La prima è che l’autore assume cedente di poco all’uscita del suo ultimo libro The che non si faccia nulla per ridurre in modo sostanziaRevenge of Gaia, ha infatti affermato: «Prima della 20 Economia e Ambiente fine di questo secolo miliardi di noi moriranno e gli ultimi sopravvissuti si troveranno nell’Artico, dove il clima resterà tollerabile». La reazione della comunità ambientalista è stata contrastante, per alcuni affermazioni del genere sono esagerate, per altri vanno ascoltate come monito di ciò che accadrà se non si aumentano gli sforzi di risolvere il global warming. Per lo scienziato inglese la situazione oramai è compromessa: i ghiacci dei Poli riflettevano i raggi solari, deflettendo il calore, ma con il loro scioglimento questa funzione viene meno. Al contrario le polveri prodotte dall’inquinamento ricoprono con un sottile velo tutto l'emisfero settentrionale, fenomeno noto con il nome di “oscuramento globale”, che filtrando i raggi solari prima che raggiungano la superficie terrestre, mantengono basse le temperature. Ma con una riduzione dell'attività industriale e della produzione di gas inquinanti questa coltre potrebbe scomparire velocemente, causando un improvviso aumento delle temperature. In base a questa teoria si dovrebbero riconsiderare tutte le ipotesi di contenimento per elaborare nuove alternative. Sicuramente le reazioni seguite a questa posizione scientifica di uno degli scienziati più noti del XX secolo hanno palesato l’assenza di una vera rete mondiale di ricerca sull’effetto serra e sui cambiamenti climatici. Lovelock mette in guardia anche contro gli effetti di coltivazioni troppo estese di monocolture a scopo di produrre biocarburanti o biomassa, perché semplificano e alterano troppo gli equilibri naturali, senza contare il probabile uso di sostanze chimiche per accelerarne la crescita. Inoltre, sono ancora discordanti gli studi sulle emissioni di combustibili come il bioetanolo. Lo scienziato inglese, inoltre, afferma da qualche anno che si dovrebbe accettare l’energia nucleare come male minore, perché ha causato problemi inferiori a quelle fossili e perché le fonti alternative rinnovabili non potrebbero garantire l’attuale fabbisogno. La proposta è usare da subito la fissione per poi passare alla fusione. Purtroppo pensare alla proliferazione del nucleare basato sulla fissione o sulla fusione calda ha comunque dei rischi ambientali molto alti e i pericoli legati al terrorismo internazionale comportano nuovi rischi oltre a quelli connessi con lo smaltimento delle scorie e la sicurezza tecnica degli impianti. Piuttosto che passare da una fonte energetica “sporca” ad una rischiosa è più sensato spingere al massimo la ricerca sulla fusione fredda. Qui però si Articoli innesta un gretto problema politico-economico, lo stesso che ha bloccato per decenni le ricerche sulle energie rinnovabili. Ad un certo punto si è spinto per creare l’aspettativa di un mondo alimentato dall’idrogeno. Ma tale tecnologia è complessa, ci vogliono ingenti capitali e ha bisogno di un sistema per essere utilizzato: esattamente come per il petrolio, vi può quindi essere un oligopolio ed il perpetrarsi dell’attuale establishment di potere americano e mondiale. Perciò si è fatto molto per screditare e ritardare la fusione fredda, che potrebbe, invece, permettere la creazione di energia a basso costo in loco. Le potenzialità di questa fonte di energia sono racchiuse in una celebre frase del premio nobel italiano Carlo Rubbia: «Se la fusione fredda funziona vuol dire che Dio è stato molto, molto buono con noi». Al di là di ciò, è fondamentale però capire che partire dal presupposto che la nostra società non debba cambiare mantenendo inalterati i livelli di consumo attuali è un errore. Uno degli obiettivi primari dev’essere la riduzione dei consumi, sia energetici sia materiali, come sosteneva già dagli anni Sessanta l’economista Nicholas Georgescu-Roegen. Se non si ammette l’enorme spreco di risorse, perpetrato perlopiù da una sola parte della popolazione terrestre, gli sforzi contro l’inquinamento non possono avere effetti sostanziali e duraturi. Gli accordi internazionali L’IPCC, The Intergovernmental Panel on Climate Change, è il Comitato intergovernativo sul mutamento climatico istituito nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite: l’UNEP e la WMO, World Meteorological Organization. Lo scopo dell’IPCC è studiare il riscaldamento globale e attualmente è organizzata in tre gruppi di lavoro (WG, work group) che studiano l’inquinamento: il primo valuta i più recenti risultati scientifici in materia, il secondo valuta gli impatti, l’adattamento e la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, mentre il terzo gruppo si occupa delle possibilità e delle problematiche legate alla mitigazione. I rapporti periodici diffusi da questo organismo sono alla base degli accordi mondiali quali la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e il Protocollo di Kyoto che la attua. Il 6 aprile le Nazioni Unite hanno approvato un nuovo documento sul riscaldamento globale. Dopo 21 Economia e Ambiente trattative estenuanti tra Unione Europea, Stati Uniti, Cina e Arabia Saudita, alla fine concordi sul fatto che il «Pianeta a rischio, fermiamo le emissioni» si è arrivati ad un’intesa. A seguire, il secondo gruppo di lavoro dell’IPCC ha così potuto presentare il suo rapporto 2007. Rajendra K. Pachauri, presidente dell’IPCC, pur augurandosi che il documento possa attirare l’attenzione in tutto il mondo, ha rilevato come la stesura del testo definitivo sia stata oggetto di numerose mediazioni, su contrasti politici più che scientifici: la Cina, ad esempio, quando si afferma che «numerosi sistemi naturali sono colpiti da mutamenti climatici», ha preteso che nel documento si usi il termine «alta confidenza», che corrisponde ad una probabilità dell’80%, e non di «altissima confidenza», che corrisponde al 90%, nell’intento – infelice – di ridurre l’affidabilità delle previsioni. Un altro punto di limatura del documento ha riguardato la biodiversità: il suo continuo depauperamento è stato associato ad un «crescente rischio» e non ad un «alto rischio», come invece emerso dagli studi e descritto nella versione iniziale del rapporto. Vano l’appello di un gruppo di climatologi che ha scritto al presidente del II gruppo dell’IPCC, l’americana Sharon Hays, riaffermando la validità scientifica dello scenario peggiore. Pur con questi tentativi di ridurre la drasticità delle previsioni la sostanza del rapporto è stata confermata e sono quindi ufficiali le stime per cui tra venti anni, per esempio, centinaia di milioni di persone rimarranno senz’acqua a causa della siccità ed epidemie come la malaria si estenderanno anche nelle zone non tropicali. L’Europa, nel giro dei prossimi cinquant’anni, potrebbe perdere tutti i suoi ghiacciai e nel 2100 il 50% della vegetazione mondiale potrebbe essere già estinta. Potrebbero, inoltre, verificarsi periodicamente ondate di calore anomalo in grado di uccidere migliaia di persone oltre ad eventi climatici estremi, come quelli di cui già siamo stati testimoni negli ultimi anni: cicloni, tsunami, inondazioni e alluvioni. Il rapporto approvato in aprile segue al rapporto dedicato alla fisica dei cambiamenti del febbraio scorso, sancendo definitivamente l’allarme sulle conseguenze dell’effetto serra, confermando i rapporti delle altre organizzazioni e istituzioni scientifici citati in precedenza. Il 7 giugno ad Heiligendamm, in Germania, i paesi membri del G8: Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, Canada, Giappone e Russia, han- Articoli no raggiunto un compromesso sul clima in cui si afferma la necessità di ridurre “in modo sostanziale” le emissioni di gas ad effetto serra. Secondo quanto stabilito, gli otto pur impegnandosi a lavorare per una riduzione sostanziale dei gas ad effetto serra, non hanno fissato obiettivi vincolanti e target di riduzione. L’unica forza data al documento è l’affermazione che tutti gli Otto membri devono prendere ‘‘in seria considerazione” la decisione di Germania, Francia, Italia, Canada e Giappone di ridurre del 50% i gas nocivi entro il 2050 rispetto ai livelli odierni. Dunque gli Stati Uniti d’America e la Russia, pur non accettando di sottoscrivere tale obiettivo di riduzione, si sono solo impegnati a prendere “seriamente in considerazione” la convergenza verso l’azione dei partner. I leader del G8 sono stati unanimi nel dichiarare una certa soddisfazione per gli esiti di questo incontro che si preannunciava, invece, come un possibile arresto delle trattative. Si tratta di un passo significativo rispetto al no secco di qualche anno fa, tuttavia, rispetto agli interventi necessari per arginare gli attuali problemi ambientali, il risultato di questo summit è alquanto inadeguato se non deludente. Un obiettivo importante raggiunto dagli europei è stato il riconoscimento dell’ONU quale contesto entro il quale condurre la lotta al cambiamento climatico, visto che gli USA intendevano proporre entro la fine del 2008 un nuovo accordo che superasse quello di Kyoto in scadenza nel 2012, ma ristretto ai soli paesi maggiormente responsabili dell’inquinamento di gas a effetto serra. Lo spostamento nella sede delle Nazioni Unite dell’azione contro la crisi climatica, oltre a ridurre il peso politico delle singoli parti rafforza la visione della lotta all’inquinamento come problema globale che deve essere risolto con una cooperazione a livello mondiale. I Paesi del G8 si sono rivolti, perciò, anche ai Paesi emergenti affinché si associno all’impegno di raggiungere l’obiettivo di una riduzione sostanziale delle emissioni dell’anidride carbonica immessa nell’atmosfera. La questione è stata discussa con Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica, invitati come ospiti, i quali hanno dato segnali incoraggianti di apertura. L’attuale assetto produttivo e consumistico, causa dell’inquinamento, è infatti strettamente legato al rapporto tra i Paesi ricchi e industrializzati e i Paesi del Terzo e Quarto Mondo. Non a caso il tema dell’Africa è stato presente insieme a quello del clima nell’agenda ufficiale del Vertice. Ai leader del 22 Economia e Ambiente G8, si è rivolto anche il Papa affinché “non vengano meno alle promesse di aumentare sostanzialmente l’aiuto allo sviluppo, in favore delle popolazioni più bisognose, soprattutto quelle del Continente Africano”. È da augurarsi che questo processo subisca un’accelerazione e che da “aperture al dialogo” e da “serie prese in considerazione”, si passi ad azioni concrete, nella speranza che il pianeta riesca ad attendere che gli uomini si decidano. Articoli acide dal 1996 al 2000 a causa della riduzione dei raccolti, della morte di bestiame e per danni a palazzi e siti storici. Secondo uno studio preliminare della Banca Mondiale l’inquinamento dell’aria e dell’acqua causa in Cina almeno 460 mila morti l’anno. L’Amministrazione cinese per il controllo ambientale (SEPA) accusa le autorità locali di proteggere le fabbriche. Gli impianti chiusi o denunciati possono, infatti, riprendere in breve l’attività grazie al sostegno di gruppi politici ed economici. Nonostante le dichiarazioni dei leader, la Cina non appare adottare misure efficaci contro l’inquinamento. Wang Canfa, esperto dell’Università di Cina di Scienze politiche e diritto, impegnato da anni nella lotta all’inquinamento, denuncia che negli ultimi anni le sole misure antinquinamento adottate sono stati interventi temporanei, spesso a seguito di disastri ambientali, mentre servono meccanismi flessibili per operare in modo ordinario un controllo che la Sepa cerca da tempo di applicare con scarsi risultati. Dell’importanza di integrare la Cina in una politica ambientale coordinata a livello globale si discute anche in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU, ed è stata ribadita da Boyden Gray, ambasciatore americano presso l’UE, che ha affermato: “piuttosto che litigare tra noi, gli Stati Uniti e l’Europa dovrebbero unire le loro forze per fare impegnare anche la Cina”. La Cina Oltre alla riluttanza degli USA e della Russia e del coinvolgimento marginale dei Paesi in via di sviluppo, a rendere più difficile lo scenario è il peso che sta assumendo l’inquinamento cinese. Secondo l’IEA-International Energy Agency, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, un organismo di ricerca con sede a Parigi che monitora i problemi energetici mondiali e che fornisce i suoi dati a 26 paesi industrializzati, nel 2008 la Cina supererà il livello di emissioni degli Stati Uniti, con due anni di anticipo rispetto alle precedenti stime. L’accelerazione è dovuta alla costante entrata in funzione di nuove centrali a carbone. Secondo Fatih Birol, responsabile del rapporto annuale sull’Energia redatto dall’IEA, entro quest’anno o al massimo entro l’anno prossimo, la Cina sarà il Paese che emette la maggiore quantità di gas a effetto serra. Birol avverte che ciò che l’Europa fa, pur essendo moralmente encomiabile e motivato da buone intenzioni, è comunque in termini quantitativi molto poco. Inoltre, questo continuo aumento dell’inquinamento cinese potrebbe vanificare gli sforzi compiuti in Occidente per combattere i cambiamenti climatici. Dalle immagini satellitari si vedono chiaramente enormi nubi tossiche che dalla Cina raggiungono Corea, Giappone e America del Nord Le “crisi ambientali” cinesi sono continue: nella regione del Jiangsu in un mese milioni di persone sono rimaste senz’acqua potabile per l’inquinamento causato dalle industrie chimiche e per rientrare dall’emergenza l’acqua contaminata del fiume è stata diluita con l’acqua prelevata da un vicino lago. Nella città di Guangzhou dal 2000 oltre il 70% delle precipitazioni sono state acide a causa delle emissioni di biossido di zolfo delle fabbriche e degli scarichi dei veicoli. Nella sola provincia del Guangdong si stimano in 525 milioni di dollari i danni causati dalle piogge L’attività normativa recente dell’UE Il 21 settembre del 2005 la Commissione Europea aveva presentato al Parlamento Europeo una Comunicazione dal titolo “Strategia tematica sull’inquinamento atmosferico”, nella quale si fissavano per il 2020 degli obiettivi di riduzione più stringenti per alcuni inquinanti e si rafforzava il quadro legislativo di lotta all’inquinamento atmosferico secondo due assi principali: il miglioramento della legislazione comunitaria in materia di ambiente e l’integrazione del problema “qualità dell’aria” nelle pertinenti politiche. Per far ciò si deve aggiornare la legislazione in vigore, concentrarsi sugli inquinanti più pericolosi e coinvolgere maggiormente i settori e le politiche che possono incidere sull’inquinamento atmosferico. Come si è visto l’inquinamento atmosferico causa gravi danni alla salute umana e all’ambiente, ecco perché l’UE si impegna per ridurre le emissioni degli inquinanti principali in modo tale da proteggere i cit- 23 Economia e Ambiente Articoli tadini contro l’esposizione al particolato e all’ozono 2020, mentre senza tale intervento sarebbero intorno presenti nell’aria e tutelare gli ecosistemi europei ai 290.000 i decessi annui. Economicamente i benecontro le piogge acide e l’eutrofizzazione. Si pensi fici per la salute, grazie alla riduzione dei decessi, che nel corso dell’elaborazione della strategia le audelle malattie, dei ricoveri ospedalieri, dei giorni di torità europee non sono state in grado di definire un malattia e all’aumento della produttività, sono quanlivello di esposizione al particolato e all’ozono tropotificabili in almeno 45 miliardi di euro l’anno. I risulsferico che non presenti alcun rischio per l’uomo. tati economici di questa strategia dovrebbero quindi Ciò rende ancor più pressante la necessità di ragportare a benefici oltre cinque volte superiori ai costi giungere una significativa riduzione di tali sostanze. di attuazione. La Commissione ha elaborato una strategia che Per quanto concerne l’ambiente non esiste una fissa degli obiettivi ambiziosi ma necessari, da reastima economica condivisa in termini monetari dei lizzare entro il 2020. Le soluzioni programmate cerdanni causati agli ecosistemi dall’inquinamento e dei cano di trovare il miglior rapporto costi-efficacia e la benefici che si potrebbero realizzare grazie alla stramaggior coerenza con gli obiettivi di crescita e occutegia di riduzione. È comunque facilmente intuibile pazione fissati a Lisbona e con l’impegno che le ricadute positive per il mantenimento degli edell’Unione Europea per lo sviluppo sostenibile. Sulcosistemi sarebbero notevoli, consentendo, tra l’altro, la base della situazione accertata nel 2000, tali obietdi proteggere meglio non solo la biodiversità ma antivi sono: che il patrimonio storico e architettonico. – una riduzione del 47% dell’incidenza sulla perdita di La Commissione Europea ha formalizzato il 29 speranza di vita dovuta all’esposizione al particolato; giugno 2007 la “Posizione comune” adottata dal – una riduzione del 10% dei casi di mortalità dovuti Consiglio UE, che approva la nuova direttiva sulla all’ozono; qualità dell’aria nel territorio comunitario. Con la – una diminuzione del 74% delle eccessive deposinuova direttiva si vuole chiarire e semplificare la lezioni acide nelle foreste e del 39% sulle superfici di gislazione sulla qualità dell’aria, integrando in un teacqua dolce; sto unico le diverse norme in mate– una riduzione del 43% delle ria, tra cui la direttiva quadro del zone i cui gli ecosistemi sono 1996 in materia di valutazione e di colpiti dall’eutrofizzazione. gestione della qualità dell’aria amPer conseguire questi obiettibiente14 e le direttive derivate che vi sono necessari dei tagli brufissano i valori limiti di diversi inschi e, rispetto al 2000, vanno quinanti: biossido di zolfo, biossido ridotte le emissioni: di biossido di azoto, ossidi di azoto, articolato, di zolfo dell’82%, degli ossidi di piombo, monossido di carbonio e azoto del 60%, dell’ammoniaca ozono nell’aria15. Oltre a rivedere gli del 59%, dei composti organici standard per la concentrazione in avolatili del 51% e delle polveri ria del PM10, viene introdotto uno sottili PM2,5 del 27% standard anche per il PM2,5, quella L’attuazione di una strategia frazione fine del particolato che ridi tagli significativi delle immissulta essere il maggior responsabile sioni inquinanti comporterà dei dei danni alla salute. costi aggiuntivi progressivi riLa direttiva ha l’obiettivo, infine, spetto alle spese legate alle midi riorganizzare in un unico processo sure attualmente in vigore, stiinformativo via telematica gli attuali mati in 7 miliardi di euro per due flussi di informazione, informaanno, pari allo 0,05% del Pil tivo e normativo, sulla qualità previsto per l’UE-25 nel 2020. Il dell’aria tra Commissione Europea e numero dei decessi prematuri Stati Membri. Il Consiglio vuole aldovrebbero così ridursi, da tresì approntare una rete di scambio Condizionatori d’ aria domestici 370.000 nel 2000 a 230.000 nel reciproco di informazioni e 24 Economia e Ambiente di dati provenienti dalle reti e dalle stazioni di misurazione dell’inquinamento atmosferico. In base alla precedente direttiva, il termine per l’attuazione nazionale delle nuove norme in tema di qualità dell’aria era il 31 dicembre 2007. Per il regime di transizione dalle vecchie alle nuove norme è invece previsto il termine del 2010. Sono previste proroghe per l’allineamento ai nuovi parametri delle zone critiche, mentre alle industrie non saranno richieste misure di contenimento superiori alle migliori tecniche disponibili. Entro la fine del 2007 la Commissione Europea formalizzerà, inoltre, la proposta per l’Euro VI, finalizzato a ridurre le emissioni inquinanti provenienti da camion e autobus. Un vecchio autobus può, infatti, inquinare come 300 automobili nuove. In base a quanto risulterà dalla consultazione con le parti interessate verrà stilato un regolamento comune europeo relativo all’emissione di precursori dell’ozono e particelle microscopiche al quale le industrie costruttrici di veicoli a motore dovranno attenersi. Per il vice-presidente della Commissione, Gunther Verheugen, responsabile delle imprese e delle industrie, questo è un “un ulteriore esempio della nostra capacità di progettare a lungo termine, finalizzata a riconciliare l’industria automobilistica con l’ambiente”. Il commissario ha poi fatto notare come dare una chiara prospettiva a lungo termine permette all’industria di avere il tempo per progettare vetture pulite, di alta qualità, senza mettere in pericolo la competitività. L’Unione Europea, nel suo insieme, si è posta un obiettivo di riduzione delle emissioni, rispetto ai livelli del 1990, pari all’8% nel periodo 2008-2012, mentre per l’Italia sarà del 6,5%. Articoli Inoltre, molte nuove tecnologie si stanno dimostrando proficue, tra queste l’energia prodotta dalle biomasse provenienti da terreni incolti. Perciò si dovranno implementare queste tecnologie già esistenti che potrebbero essere velocemente introdotte in modo da stabilizzare la concentrazione atmosferica di anidride carbonica per poi ridurla ai livelli preindustriali. Purtroppo l’IPCC nota come dai primi anni Novanta vi sia stata una riduzione nelle attività di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie volte a diminuire le emissioni di gas serra. Inoltre il consumismo, come viene perpetrato oggigiorno nel mondo, provoca tra l’altro una sempre maggiore domanda di energia e trasporti, spingendo nella direzione sbagliata e vanificando i progressi tecnologici. Se il mondo non possiede petrolio e gas a sufficienza per elevare le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica al doppio dei livelli preindustriali, vi sono però quantità di carbone e di altri nuovi combustibili fossili come i catrami e le scisti bituminose tali da poter far aumentare la CO2 già accumulata in atmosfera di ben 17 volte. L’IPCC avverte che devono essere prese decisioni tempestive per decidere se il mondo dovrà sviluppare tecnologie utili a sfruttare le nuove sorgenti fossili, o, cosa che si ritiene molto più auspicabile, investire nelle energie rinnovabili. L’affrontare il cambiamento climatico è ormai un problema politico, oltre che tecnico ed economico. Ma le motivazioni per intervenire non mancano. Il direttore del Programma speciale salute e ambiente dell’OMS Europa Roberto Bertollini ha affermato: «Non c’è più spazio per il dibattito, il cambiamento climatico non è solo una possibilità, sta già accadendo anche in Italia. Non solo siamo preoccupati dalla previsione di morti e malattie che ne derivano, ma ne stiamo già verificando gli effetti. Oggi sperimentiamo su scala minore quello che accadrà in futuro. I 35.000 morti dell’ondata di calore dell’estate 2003 in Europa ne sono il primo esempio allarmante. Dopo anni di ricerca, abbiamo oggi un maggiore e più affidabile insieme di conoscenze. Questi dati devono essere utilizzati il più possibile per implementare misure di mitigazione e adattamento. E ciò va fatto adesso». Per il commissario straordinario dell’APAT, Giancarlo Viglione «I cambiamenti fisici osservati e prevedibili si sono ormai tradotti in una maggiore vulnerabilità dei nostri territori – maggior rischio di siccità, alluvioni ed esondazioni, frane, disponibilità Le strategie per il futuro In autunno verrà pubblicato anche il rapporto del Terzo Gruppo di Lavoro dell’IPCC 2007, del quale è già disponibile la sintesi redatta per gli operatori politici, in cui si affrontano i possibili rimedi per arginare il riscaldamento del pianeta. La conclusione di ordine strategico a cui è giunto il IIWG dell’IPCC è che negli ultimi anni il progresso tecnico volto alla riduzione delle emissioni di gas serra è stato più veloce di quanto previsto, grazie alla creazione di motori ibridi per le auto efficienti, turbine eoliche migliori e nuovi progressi nella tecnologia delle pile a combustibile. 25 Economia e Ambiente di risorse idriche, fertilità dei suoli – e in un cambiamento nella distribuzione di rischi chimici e biologici – qualità delle acque e degli alimenti, qualità dell’aria nelle città – che richiederanno nuovi sistemi di sorveglianza e controllo». Ecco perché secondo Viglione elaborare una strategia nazionale d’adattamento sarà l’obiettivo principale della Conferenza nazionale sui Cambiamenti Climatici promossa dal Ministero dell’Ambiente e che si terrà il 12 e il 13 settembre prossimo a Roma. In Occasione della nona Conferenza il direttore dell’UNEP Klaus Toepfer aveva così espresso, in modo chiaro, le sue preoccupazioni: «Il cambiamento climatico è in atto già adesso. Se non si fermerà porterà a sofferenze umane e perdite economiche ancora maggiori». Articoli Le politiche internazionali per la lotta all’inquinamento e quindi al cambiamento climatico e alle morti e patologie collegate ai fattori ambientali, coinvolgono le decisioni di molti altri settori quali la gestione del territorio, le infrastrutture, il trasporto, l’energia, il commercio internazionale, la politica estera, gli affari interni, le politiche per le abitazione, la ricerca e lo sviluppo e l’istruzione. Solo un processo di rinnovamento del sistema produttivo e di consumo, e quindi sociale, può essere invasivo in modo tale da produrre una gestione delle risorse naturali più efficiente e parsimoniosa che porti ad una riduzione significativa e duratura dell’inquinamento. Serve un’economia ecocompatibile, per molti aspetti profondamente diversa da quella attuale. Questi cambiamenti non possono essere attuati semplicemente con interventi normativi, è pienamente condivisibile l’appello dell’UNEP lanciato nel 2003 a Milano per una collaborazione e per una volontà politica che incentivi l’innovazione tecnologica e la creatività economica per combattere i cambiamenti climatici. Si deve tornare alla produzione di beni destinati a durare nel tempo, riparabili e riciclabili. Si devono introdurre sistemi di aggiustamento dei prezzi che riflettano i costi ambientali in termini di inquinamento, distruzione di risorse e costi di trasporto. Il settore energetico dovrà cambiare radicalmente aspetto, dirottando una gran parte delle utenze verso forme di generazione energetica locale. Nessuna tecnologia da sola può risolvere i problemi legati al cambiamento climatico. Sarà necessario lo sviluppo di tecnologie meno invasive che sfruttino e si adattino alle peculiarità locali. Conclusioni Per non superare la soglia di 550ppm di CO2 il documento del terzo gruppo di lavoro dell’IPCC prevede un costo nel settore energetico equivalente a 20 trilioni in investimenti, da oggi al 2030, sia per abbattere le emissioni, sia per sviluppare le energie alternative e il risparmio di energia. Tuttavia, questo scenario si rivelerebbe ugualmente critico: cercare di ridurre le emissioni con accorgimenti e correttivi che mantengano l’attuale assetto produttivo e consumistico vuol dire solo far aumentare il costo dei beni internalizzando i costi di tecnologie e processi di aggiustamento. Inoltre, se già oggi gli attuali 380ppm di CO2 creano enormi problemi climatici gli effetti dei 550ppm nel 2030-2050 saranno disastrosi. Emissioni industriali in atmosfera 26 Economia e Ambiente La domanda avrà un ruolo fondamentale nel sostenere uno stile di consumo responsabile. Le autorità pubbliche non solo dovranno imporre e far rispettare le norme ambientali, ma dovranno favorire la ricerca e la cooperazione internazionale e l’informazione dei cittadini. I Governi devono dare un segnale forte in breve tempo, attuando severe misure di riduzione dell’inquinamento, interventi che la stessa opinione pubblica vuole, o almeno ha la sensibilità necessaria per capire. Di questa maggior sensibilità è indicativo il successo della manifestazione Live Earth voluta da Al Gore, ex-vicepresidente americano al tempo dell’amministrazione Clinton, per sensibilizzare l’opinione pubblica sui disastri ambientali. Due miliardi di persone hanno seguito in tv, per radio o su internet questa giornata di eventi musicali che si sono tenuti contemporaneamente il 7 luglio a Sydney, Tokyo, Shanghai, Johannesburg, Londra, Amburgo, New Jersey e Rio de Janeiro e trasmessi in tutto il mondo accompagnati da reportage e servizi informativi su tematiche ambientali. Se da un punto di vista sociologico queste iniziative possono essere legate a fattori di moda e di tendenze, dal punto di vista pratico, al di là delle polemiche sui costi ambientali di questi eventi, possono esportare le istanze ambientaliste fuori da gruppi ristretti e più o meno idealizzati, diffondendo una consapevolezza dei rischi ambientali e una maggior attenzioni verso stili di vita e orientamenti all’acquisto più rispettosi della natura e più efficienti nell’uso delle risorse. Se a forme di produzione locali, labour intensive a basso impatto ambientale si lega una maggior attenzione per forme di commercio più eque sul piano internazionale, si riuscirà ad ottenere non solo minor inquinamento, ma anche una maggior ridistribuzione delle ricchezze ed il coinvolgimento dei Paesi in via di sviluppo. La sfida politica, economica e tecnologica che si presenta è senza eguali nella storia dell’uomo, ma senza eguali sono anche i rischi che la specie umana sta correndo. Articoli BIBLIOGRAFIA AA.VV., «L’Ambiente informa», Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, n. 4 2003. D.S.T. HJORTENKRANS, B.G. BERGBÄCK, A.V. HÄGGERUD, Metal Emissions from Brake Linings and Tires: Case Studies of Stockholm, Sweden 1995/1998 and 2005, “Environmental Science and Technology”, n.41 (15) 2007, pp.5224 -5230. GERMANO R., Fusione Fredda: moderna storia di inquisizione ed alchimia, Bibliopolis, Napoli 2000. IPCC - WGI, Climate Change 2007 - The Physical Science Basis Contribution of Working Group I to the Fourth Assessment Report of the IPCC, Cambridge University Press, New York 2007. IPCC - WGII, Climate Change 2007 - Impacts, Adaptation and Vulnerability Contribution of Working Group II to the Fourth Assessment Report of the IPCC, Cambridge University Press, New York 2007. IPCC - WGIII, Climate Change 2007 - Mitigation of Climate Change. Summary for Polimakers. Contribution of Working Group III to the Fourth Assessment Report of the IPCC, scaricabile da http://www.IPCC-wg2.org. LOVELOCK J., MARGULIS L., Biological Modulation of the Earth’s Atmosphere, “Icarus”, vol. 21, 1974. LYNAS M., Notizie da un pianeta rovente, Longanesi, Milano 2005. LYNAS M., Six degrees: our future on a hotter planet, HarperCollins, New York 2007. MARTUZZI M., F. MITIS, I. IAVARONE, M. SERINELLI, Impatto sanitario di PM10 e ozono in 13 città italiane, Roma, APAT, 2007. Traduzione italiana della versione originale in inglese, pubblicata dall’OMS Ufficio Regionale per l’Europa nel 2006. MARGULIS L., D. SAGAN, Microcosmo, Arnoldo Mondadori, Milano 1989. LOVELOCK J., La rivolta di gaia, Rizzoli, Milano 2006. RIFKIN J., Entropia, Baldini & Castoldi, Milano 2000. Stefano Zamberlan RAUPACH M.R., G. MARLAND, P. CIAIS, C. LE QUE´ RE´, J.G. CANADELL, G. KLEPPER, C.B. FIELD, Global and regional drivers of accelerating CO2 emissions, “The Proceedings of the National Academy of Sciences”, doi/10.1073/ pnas.0700609104 (2007). Stefano Zamberlan è professore a contratto di Economia e regolamentazione ambientale nella Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Verona 27 Economia e Ambiente NOTE Articoli più di due volte e mezzo maggiore rispetto alle zone con scarso traffico (500 veicoli al giorno). Si stimano in 5.000 decessi di bambini tra 0 e 4 all’anno in Europa che si potrebbero evitare riducendo la concentrazione di polveri sottili, che fanno aumento a livello europeo i tumori per bambini fino ai 14 anni dell’1,2% e del 1,4% per i ragazzi tra i tra 14 e i 19 anni. 8 Ecco alcuni dati: Torino 75 giorni, Verona 71, Padova 66, Cagliari 59, Venezia 58, Milano 57, Modena 57, Bologna 56, Brescia 51, Parma 38, Firenze 38, Roma 35, Prato 33, Palermo 32, Trieste 29, Bari 25, Livorno 20, Genova 17, Napoli 14, Messina 9, Catania 8. 9 La presentazione ufficiale del rapporto avverrà, invece, in occasione della prima “Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici” organizzata per il 12 e 13 settembre 2007 a Roma dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. 10 È quanto ha affermato il direttore l’UNEP Klaus Toepfer alla COP9, la nona Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutasi nel dicembre 2003 a Milano: 11 Secondo il Ministero dell’Ambiente le aree a rischio di inondazione nel nostro Paese sono più del 2,6% del territorio nazionale e situate per lo più in aree densamente popolate. 12 Secondo i dati raccolti dall’INGV, dal 1981 al 2004 vi è stato un aumento del 14% delle giornate calde, ovvero con temperatura massima superiore a 25°C, mentre fra il 1961 e il 2004, vi è stata una riduzione media di circa il 20% dei giorni di gelo, con temperatura minima inferiore o uguale a 0 gradi. Negli ultimi 100 anni la temperatura media italiana è aumentata di 0.7 gradi al nord e 0.9 gradi nel centro e nel Sud, determinando una riduzione totale delle piogge pari del 14%, con lunghi periodi di assenza delle precipitazioni nei periodi invernali nel Meridione e un aumento delle precipitazioni estreme nell’Italia settentrionale. 13 Mark Lyans è divenuto famoso a livello internazionale con un altro libro: The New Weather ( trad. it Notizie da un pianeta rovente, Longanesi, 2005), pubblicato dopo il ciclone Katrina, in cui esponeva chiaramente, alla luce dei dati già esistenti, la possibilità di eventi così catastrofici. 14 La direttiva 96/62/Ce. 15 Ovvero le direttive 1999/30/Ce, 2000/69/Ce, 2002/3/Ce e 97/101/C. 1 In particolare, i ricercatori dell’università di Kalmar, in Svezia, analizzando la città di Stoccolma – che con i suoi 700 mila abitanti su 190 chilometri quadrati è rappresentativa di molte realtà urbane – hanno evidenziato che pur eliminando le emissioni imputate al motore, l’usura dei freni, dei pneumatici e del manto stradale produce più del 50% dei metalli dissolti in aria, in particolare zinco, rame e antimonio. Studi analoghi compiuti in Italia dal Politecnico di Milano per conto dell’ARPA della Lombardia ha evidenziato che per le auto a benzina il 90% delle emissioni di Pm10 è dovuto all’attrito, un po’ meno per i diesel, e che una buona parte di queste polveri sono composte da particelle pericolose. 2 È quanto emerso dal convegno “Inventario emissioni di gas serra in Italia dal 1990 al 2005”, organizzato dall’APAT, Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici, con il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Regione Puglia, che si è svolto il 20 luglio a Brindisi. 3 Se si considerano le quote di emissioni assegnate alle imprese, in Italia l’Enel è riuscito, pur non raggiungendo gli obiettivi previsti, a ridurre del 10 per cento le proprie emissioni fra il 2005 e il 2006. Gli altri grandi gruppi elettrici: Edison, Endesa, Edipower, Enipower, Tirreno Power, le hanno invece aumentate. Vi sono stati aumenti, anche se le quantità sono più modeste, per i gruppi del cemento, ad eccezione della Unicem. Comportamenti positivi si sono avuti, invece, nella siderurgia, in particolare nelle acciaierie Ilva e Lucchini, e nel settore petrolifero, in cui si è distinta la Erg dei Garrone al contrario della Saras dei Moratti. 4 Queste tredici città hanno tutte più di 200 000 abitanti per un totale di circa 9 milioni di persone, pari al 16% del totale della popolazione nazionale 5 I decessi, registrati per concentrazioni superiori ai 20 mg/m3, sono pari al 9% delle cause di morte degli individui con più di 30 anni, esclusi gli incidenti stradali. 6 Sempre in base all’OMS, in Italia sono quasi 5.000 i ricoveri dovuti alle poveri sottili in un anno, di questi quasi il 59% per disturbi al cuore, il resto per problemi respiratori. 7 Secondo uno studio dell’Istituto Superiore della Sanità il rischio di contrarre leucemie per i bambini che vivono in zone ad alto traffico (5.000 veicoli in transito al giorno) è 28