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Vecchia Europa calcio e politica gli stessi vizi
"La Stampa" del 22 giugno 2010
"Anche nel calcio siamo diventati il «Vecchio Continente», non solo in politica, economia e società.
Vecchie idee, vecchie abitudini, vecchi errori, che tutti conoscono...."
Vecchia Europa calcio e politica gli stessi vizi
Anche nel calcio siamo diventati il «Vecchio Continente», non solo in politica, economia e società. Vecchie
idee, vecchie abitudini, vecchi errori, che tutti conoscono. Ma che conserviamo gelosamente. Ma li avete visti
in questi giorni alla tv Lippi, Capello e Domenech? Gli allenatori di Italia, Inghilterra e Francia non
assomigliavano ai periclitanti leader dei loro rispettivi paesi all’uscita di un Consiglio Europeo dedicato alla
crisi? La cacofonia a cui ci hanno abituato le riunioni di Bruxelles è apparsa all’improvviso riprodotta sotto
forma di farsa sui campi di calcio del Sudafrica. Le vecchie potenze appaiono incerte. Il nucleo dei paesi
fondatori è messo severamente alla prova. Resiste l’Olanda, ma per il resto sono guai. Anche la corazzata
Germania ha rivelato piedi di burro.
I guai extracalcistici della vecchia Europa li conoscevamo da tempo: la nostra popolazione non cresce, non
crea, non rischia. La nostra economia e il nostro lavoro sono paralizzati da regole anacronistiche, a cui
restiamo aggrappati negando la realtà, perché temiamo ogni cambiamento che può mettere in discussione gli
antichi privilegi. La società europea appare immobile: chi ha la fortuna di nascere nel contesto giusto può
sperare di ripetere la vita dei suoi padri, gli altri devono sperare nel caso o nel miracolo.
Studiare, impegnarsi, prepararsi, in genere serve soprattutto ad aprire gli occhi sulle possibilità che esistono
lontano dai nostri confini. La politica, insensibile a tutte queste evidenze, sembra concentrata solo sulla tattica
quotidiana necessaria alla sopravvivenza: scarsi gli occhi che guardano lontano, immaginando il futuro del
paese invece che quello della propria carriera personale. Inutile poi sperare nella ricerca di soluzioni utili e
condivise a livello europeo, perché tanto ogni volta che arriva un’emergenza prevalgono solo le logiche
nazionali.
Tutto questo si sta replicando sui campi da gioco della Coppa del Mondo, là dove, in teoria, fantasia e
creatività potrebbero liberarsi senza intralci. E invece i risultati, ma più ancora i comportamenti delle grandi
squadre europee in Sudafrica fino a questo momento hanno riprodotto in modo emblematico vizi e inerzie del
Vecchio Continente. I francesi, si sa, hanno inventato la rivoluzione, e quindi non sprecano mai un’occasione
per contestare l’autorità. Almeno, però, nei bei tempi andati facevano rotolare le teste e basta. Ora la nazionale
gioca da schifo, i giocatori se la prendono con l’allenatore, Anelka che esagera e viene cacciato, e i compagni
come reagiscono? Fanno un’assemblea, redigono un comunicato, e per proteggere i loro diritti inalienabili si
astengono dal lavoro: Georges Sorel, piuttosto che Robespierre. La prossima volta, invece del capitano,
convocheranno in squadra un sindacalista.
Gli inglesi, si sa, hanno conquistato il mondo con l’intraprendenza. Siccome la loro isola piovosa gli andava
stretta, appena potevano lasciavano il calore delle case e delle famiglie, e si imbarcavano per viaggi perigliosi,
che li avevano trasformati nella potenza dominante del globo. Nella missione sudafricana la nazionale dei tre
leoni non conquista neppure l’Algeria, e i giocatori come cercano il riscatto? Lamentandosi con Capello, che
ha bandito dal ritiro le wags, signore e signorine che coltivano le più alte virtù nazionali.
I tedeschi, si sa, sono tedeschi. Quando la macchina funziona come previsto dalle istruzioni, travolgono
l’Australia. Quando qualcosa si inceppa, tipo con la Serbia, perdono la testa.
Noi italiani, quest’anno poco estro e tanta buona volontà, stiamo già polemizzando prima ancora di essere stati
eliminati. È vero però che avevamo due talenti, Cassano e Balotelli, e non siamo riusciti ad integrarli nel
progetto. Magari non erano Michelangelo e Leonardo, ma di questi tempi non potremmo permetterci di
lasciare a casa neppure Pinturicchio.
Anche la Spagna ha tentennato, forse per una leziosità che non fa parte della sua tradizione, mentre solo chi ha
fame da troppo tempo, come il Portogallo, conserva l’audacia per azzannare.
Dai luoghi comuni bisogna sempre fuggire, però non c’è dubbio che in Sudafrica la grande Europa sta dando
l’impressione di un continente fermo, timoroso, preoccupato di non perdere quello che ha invece di
conquistare qualcosa di nuovo. Zidane ci ha detto che le grandi squadre del Vecchio Continente hanno tutte lo
stesso problema: i valori mondiali si sono livellati e noi non siamo più competitivi come un tempo. Faceva
un’analisi calcistica, ma inavvertitamente esprimeva anche un’importante verità che si vede in tutti i campi: la
società globale non ha più pazienza con chi punta i piedi e frena, invece di correre, sperimentare, mettersi in
gioco. Volta le spalle e ci lascia indietro.
Lo storico dell’università di Yale Paul Kennedy, parlando dei problemi geopolitici che limitano l’Europa sulla
scena internazionale, ci disse una volta che siamo come una vecchia signora decaduta, costretta a svendere le
gioie del passato glorioso per tirare avanti. Speriamo che abbia torto, naturalmente. Speriamo di essere
smentiti in fretta, magari cominciando da una spettacolare finale tutta europea al Mondiale.
Paolo Mastrolilli
2010-06-22