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CULTURA CULTURA L'Eva Togata “ Il difficile cammino delle donne italiane per la parità nella professione legale DI PAOLA PARIGI idia Poët di Pinerolo, si laureò in giurisprudenza nel 1881 e nell'agosto del 1883 chiese e ottenne di essere iscritta all'albo degli avvocati di Torino. Vi riuscì con otto voti a favore e quattro contro, ma vide sfumare la propria conquista nell'aprile del 1884, spazzata via da una sentenza della corte d'appello che annullò l'iscrizione su ricorso del pubblico ministero. Dopo aver a sua volta impugnato la decisione, Lidia la vide confermare dalla corte di cassazione l'anno successivo. I motivi addotti da parte della magistratura contro la sua richiesta di esercitare come procuratrice, erano fondati in parte sul cosiddetto diritto naturale e sull'inferiorità biologica delle donne, che motivava l'esclusione dall'attività forense sulla base di un'incapacità della donna, soprattutto nel periodo mestruale, di mantenere la propria lucidità e il proprio equilibrio. Un più grave ostacolo era rappresentato dalla natura pubblica dell'attività professionale che non era consentita alle donne, all'epoca escluse completamente dalla vita politica del Paese. Non avevano diritto di voto e anche per la gestione straordinaria del proprio patrimonio personale, così come per l'assunzione di un mandato, dovevano ottenere l'autorizzazione del marito. Questo istituto fu abolito nel 1919 L 52 l TopLegal “ Per la gestione straordinaria del proprio patrimonio personale, così come per l'assunzione di un mandato, dovevano ottenere l'autorizzazione del marito. quando si giunse all'approvazione della legge 1176 sulla capacità giuridica delle donne, che consentiva loro di accedere finalmente agli uffici pubblici. Nello stesso anno, Elisa Comani di Ancona ottenne di potersi iscrivere all'albo dei procuratori, tra il dileggio dei benpensanti, ma col sostegno dalla stampa femminile e di una buona parte degli intellettuali più aperti e progressisti. Lidia Poët vide realizzato il suo sogno di diventare avvocato, quando aveva già compiuto i 65 anni. A sostegno dei tentativi giuridici di impedire alle donne l'accesso alla professione, veniva sottolineato che la dizione letterale delle leggi non parlava di avvocate o magistrate usando il termine al femminile e questo, di per sé, ne escludeva l'esistenza. Questa asimmetria grammaticale, ancora presente nella lingua italiana, con riguardo a tutte le professioni tradizionalmente maschili, condiziona il nostro modo di esprimerci e mostra in tutta la sua evidenza come il concetto stesso di una professionista di sesso fem- ” minile sia estraneo alla nostra tradizione culturale. Il discorso vale per medici, chirurghi, ingegneri, architetti, giudici e via dicendo. Per le professioniste legali, inoltre, si sostiene che non si possa utilizzare il termine “avvocata” poiché corrisponde a una prerogativa riservata dalla chiesa alla madonna, quale mandataria dell'umanità che la assiste e intercede presso dio stesso. E' stato necessario un intervento della commissione nazionale per la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna. Nel 1997 ha sollecitato il ricorso al femminile dei termini indicanti le professioni e ha scoraggiato l'utilizzo del suffisso essa, retaggio di una concezione ironica e spregiativa in uso nell'ottocento.Le conquiste così duramente ottenute dalle prime donne avvocato videro una battuta d'arresto nel periodo prebellico e durante la seconda guerra mondiale; a quell'epoca le avvocate rappresentavano appena l'uno per cento del totale.La situazione, ai nostri giorni è molto diversa, non c'è dubbio, Shirin Ebadi durante la cerimonia di conferimento del Premio Nobel per la pace il 10 ottobre del 2003 a Stoccolma. ma nonostante il numero di avvocate sia decisamente rilevante, in tutta Europa, la parità non è ancora raggiunta completamente. Nell'Île de France le donne superano di due punti i colleghi maschi e in Inghilterra raggiungono il 39% del totale. In Italia, nel 2000, il 31% degli iscritti all'albo degli avvocati era donna. Nonostante il numero delle donne sia in continuo aumento, i redditi medi sono tuttavia ancora lontani dalla parità. Nella media una donna guadagna circa il 42% del collega maschio, ma nella fascia d'età tra i 30 e i 40 anni, ariva fino al 70% del reddito medio maschile. C'è da sperare che questo segnale non sia solo relativamente positivo, significativo cioè di una riduzione di tutti i redditi, e di un conseguente appiattimento verso il basso, ma sia anche indice di una maggiore fiducia della clientela nelle capacità di una legale donna e che presto queste doti vengano riconosciute anche da parte dei colleghi. Bisogna ricordare infatti, che nelle law firm anglosassoni presenti in Italia, il numero di donne con la qualifica di socio (partner) supera appena l'1% del numero corrispondente di colleghi maschi. E' ovvio che questo ambito circoscritto e previlegiato non è che lo specchio di una esigua parte delle lotte femminili per la conquista del proprio ruolo nel mondo, ma aiuta a comprendere, putroppo, che per le donne, in tutti i settori e in tutto il pianeta, la battaglia è appena cominciata e non è esente da rigurgiti reazionari. Come dimostra la storia di Shirin Ebadi (nella foto), iraniana, insignita del premio Nobel per la pace nel 2003, che si è dedicata alla professione di avvocato quando nel 1979, a seguito della rivoluzione islamica alle donne fu proibito ricoprire la carica di magistrato. Dall'Eva Togata di fine 800 siamo ora arrivate al Premio Nobel, la strada è sta lunga e non è conclusa, ma l'aver raggiunto un posto importante nelle professioni è una conquista per tutte le donne e una valida risorsa per tutti gli uomini che non temono un inevitabile confronto, almeno in tribunale. Questa asimmetria grammaticale, ancora presente nella lingua italiana, con riguardo a tutte le professioni tradizionalmente maschili, condiziona il nostro modo di esprimerci e mostra in tutta la sua evidenza come il concetto stesso di una professionista di sesso femminile sia estraneo alla nostra tradizione culturale. ” TopLegal l 53