Pop Art, una rivoluzione soft - Fondazione Internazionale Menarini

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Pop Art, una rivoluzione soft - Fondazione Internazionale Menarini
n° 377 - ottobre 2016
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Direttore Responsabile Lorenzo Gualtieri - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Edificio L - Strada 6 - Centro Direzionale Milanofiori
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Pop Art,
una rivoluzione soft
Nell’America degli anni Cinquanta, l’oggetto
di produzione industriale si eleva
a icona ottimistica del consumismo.
Alcuni artisti del tempo
documentano, disincantati,
l’inevitabile resa al suo potere.
I movimenti artistici quali il Dadaismo, l’Espressionismo e le Avanguardie Storiche, che si erano manifestati
in Europa sin dall’inizio del ‘900 non
riuscirono, se non in pochi casi, a rendere davvero popolare la loro carica
dirompente, rimanendo patrimonio
di una ristretta élite - nonostante che
alla base degli obbiettivi di questi movimenti ci fossero, anche se con diverse sfaccettature, la protesta, se non
addirittura la sovversione politica e
dei costumi. Fu così che ben presto i
loro messaggi risultarono superati
dall’impetuosa trasformazione della
società, che si caratterizzava sempre
più come dominata dai tratti positivi
e ottimistici del consumismo.
Ed è proprio dall’incontro tra arte e
cultura consumistica e dei mass media che nasce negli Stati Uniti, nell’immediato dopoguerra, la Pop Art,
primo vero movimento artistico d’Oltreoceano che, originato dalle ricerche di Robert Rauschenberg e Jasper
Johns, si sviluppa soprattutto negli
anni ’60, conoscendo una prima diffusione e consacrazione internazionale
proprio con la Biennale di Venezia
del 1964.
La caratteristica originale della Pop
Art è frutto della società e della vita
americana e documenta in maniera
esemplare la cultura popolare di quel
Paese (da qui il suo nome, dove “pop”
sta per popolare), trasformando in
icone le immagini più note e scon-
Andy Warhol: Banana
Immagine della copertina
dell’album
The Velvet Underground & Nico.
tate provenienti dal cinema, dalla televisione, dalla pubblicità, dai rotocalchi e dal paesaggio urbano, largamente dominato dai grandi cartelloni pubblicitari.
La Pop Art ricicla tutto ciò e rielabora in maniera ossessiva e impersonale le immagini proposte dai mezzi
di comunicazione di massa. Si va dalle
bandiere americane di Jasper Johns
alle bottiglie di Coca Cola di Warhol, dai fumetti di Roy Lichtenstein
alle locandine cinematografiche di
Rosenquist.
L’apparente indifferenza per le qualità formali dei soggetti proposti, così
come il procedimento di cercare tra
oggetti apparentemente banali e non
estetici, ha indotto molti critici a considerare la Pop Art come una specie
di nuovo dadaismo. Se ciò può apparire in parte plausibile, diverso è
però il riusltato a cui giunge: nella
Pop Art infatti, è assente qualsiasi intento dissacratorio, ironico o di denuncia.
Il maggiore pregio della Pop Art rimane invece quello di documentare,
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sopra Andy Warhol: Five Coke Bottles
a lato Andy Warhol: Marilyn Monroe
senza paura di sporcarsi le mani con la cultura popolare, i cambiamenti di valori indotti nella società dal consumismo. Quei
cambiamenti che consistono in una preferenza per valori legati al consumo di beni materiali e alla proiezione degli ideali comuni
sui significati dell’immagine, intesa in questo caso soprattutto come apparenza. E in
ciò testimoniano dei nuovi idoli o miti in cui
le masse popolari tendono ad identificarsi.
Miti ovviamente creati dalla pubblicità e dai
mass media che proiettano bisogni indotti,
per trasformare i cittadini in consumatori
sempre più avidi.
Quale elemento poteva rappresentare al meglio l’arte di massa se non gli oggetti appartenenti al mondo del commercio, oltre ai personaggi famosi che entravano di diritto nel
pantheon dei miti da “consumare”? quindi
Coca Cola, Marilyn Monroe, lattine di minestre, Mao Tze Tung, rotocalchi e molto al-
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tro: tali “oggetti” non possiedono un
vero e proprio volto, ma al contempo
sono conosciuti da tutta la società del
tempo; grazie alla costante e pressante
pubblicità che li rendeva ossessivamente presenti elevandoli a vere e
proprie opere d’arte, la Pop Art era
sempre pronta a guardare e assimilare stimoli provenienti dalla società
esterna, mettendo completamente da
parte lo studio introspettivo dell’individuo.
La società consumistica di quegli anni
faceva sia da cornice che da musa per
tutti gli artisti della Pop Art, i quali
si adoperarono per mutare in arte
ogni singolo aspetto di quel mondo
che prometteva di trasformare i cittadini in “consumatori padroni incontrastati del loro tempo”.
I maggiori rappresentanti di questo
movimento sono tutti artisti americani: Andy Warhol, Claes Oldenburg, Tom Wesselmann, James Rosenquist, Roy Lichtenstein, ma in seguito al diffondersi del boom economico, il movimento troverà terreno fertile anche in Europa e in Italia.
Una rara opportunità di vedere in
contemporanea opere del massimo
esponente della Pop Art americana e
della ricca esperienza italiana è offerta
da due mostre che si aprono entrambe
negli ultimi mesi dell’anno.
A trent’anni dalla scomparsa di Andy
Warhol, il Palazzo Ducale di Genova
gli dedica una grande retrospettiva
dal 21 ottobre 2016 al 26 febbraio
2017. La mostra presenta circa 170
opere tra tele, prints, disegni, polaroid, sculture, oggetti, provenienti
da collezioni private, musei e fondazioni pubbliche e private italiane e
straniere. Il percorso tematico si sviluppa intorno a sei linee conduttrici:
il disegno, le icone, le polaroid, i ritratti,
Andy Warhol e l’Italia, e infine il cinema, e copre l’intero arco dell’attività dell’artista americano.
Parallelamente, fino all’11 dicembre
la Fondazione Magnani Rocca, presso
Parma, ospita Italia Pop - L’arte negli anni del boom.
L’esposizione intende fornire una lettura ricca e innovativa delle vicende
che hanno portato alla nascita e alla
diffusione di una “via italiana” alla
Pop Art, pienamente in sintonia con
le analoghe esperienze maturate in
ambito internazionale e al tempo
stesso linguisticamente autonoma rispetto ai modelli statunitensi.
lorenzo gualtieri
sopra Emilio Tadini: L’uomo dell’organizzazione (Weekend al parco)
sotto Antonio Fomez; Invito al consumo