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Nota a:
Cassazione civile , 28/09/2010, n. 20351, sez. III
BREVI CONSIDERAZIONI IN TEMA DI RISARCIMENTO DEL DANNO DA PERDITA DI CHANCE
Resp. civ. e prev. 2011, 1, 104
Maria Giulia Pirastu
Sommario1. Premessa. Qualificazione e prova del danno ´ 2. Conclusioni.
1. PREMESSA. QUALIFICAZIONE E PROVA DEL DANNO
La sentenza in commento affronta il problema del danno da perdita di chance e, più specificamente, della prova che il danneggiato deve allegare in giudizio al fine di ottenere il risarcimento. La figura
controversa della chance deriva lessicalmente dal francese e assume il significato di « possibilità »,
di « occasione ». Il termine viene giuridicamente utilizzato, nel significato sopra riportato, per
indicare la perdita di una occasione favorevole, di una possibilità di lucro, di una speranza di incremento patrimoniale (1) .
Per stabilire allora se tale perdita costituisce un danno, o se è un'entità risarcibile a sé, e soprattutto secondo quale criterio è risarcibile, è necessario svolgere un'analisi sulla natura giuridica di questo tipo di danno.
La norma di riferimento che consentirà di esaminare la fattispecie in esame è rappresentata dall'art. 1223 c.c., a tenore del quale il risarcimento del danno deve comprendere così la perdita subita dal creditore, come il mancato guadagno (2) . Il danno emergente sottrae beni o utilità già esistenti nel patrimonio del danneggiato; il lucro cessante lascia inalterato il patrimonio del danneggiato, ma, allo
stesso tempo, gli impedisce di conseguire utilità che in assenza dell'evento dannoso avrebbe certamente conseguito (3) . Una volta illustrate sinteticamente le due categorie di danno, si dovrà ora cercare di inquadrare il danno da perdita di chance all'interno di una di esse. La tesi
maggiormente risalente considerava la figura in esame alla stregua di una ipotesi di lucro cessante
(4) : la perdita di chance, è l'argomentazione, non sottrae poste positive al patrimonio del danneggiato, ma gli preclude la possibilità di utilità future, come nei casi di lucro cessante (5) .
Per giurisprudenza ormai abbastanza pacifica la chance non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione; così che la sua perdita configura un danno concreto e attuale da liquidare, qualora non possa essere provato nel suo preciso ammontare in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. (6) . La
perdita di chance, così come il lucro cessante, è risarcibile a condizione che il danneggiato provi che le utilità future sarebbero state verosimilmente acquisite, in assenza dell'evento dannoso (7) . In altre parole, ove l'evento dannoso non si fosse verificato, il soggetto avrebbe potenzialmente
realizzato la speranza perduta (8) .
Le tesi più estreme, ritengono che non sia per niente certo che sussista una netta differenza tra il danno da lucro mancato e il danno da perdita di chance. Essendo infatti il risarcimento da lucro
cessante qualitativamente molto ampio, è possibile che ricomprenda nel proprio ambito tutta quella serie di interessi di fatto che potrebbero indicarsi come ipotesi di chance. In conseguenza di ciò, chance e lucro cessante non possono essere considerati concetti contrapposti poiché il primo è contenuto nel secondo (9) . In verità, tra le due suesposte fattispecie intercorrono numerose differenze. Il danno da lucro cessante costituisce un'ipotesi di danno certo; il danno da perdita di
chance un'ipotesi di danno eventuale.
È comunque opportuno ricordare che anche il danno da lucro cessante non può definirsi certo in via assoluta e generale, ma sicuramente può essere ritenuto tale ove la valutazione della sua esistenza sia compiuta secondo lo schema logico della prognosi prossima rebus sic stantibus, cioè considerando la situazione di fatto, esistente al momento del prodursi dell'evento dannoso, come
un dato costante e non modificabile (10) .
Diversamente la perdita della chance, considerata come spes, mal si concilia con lo schema logico
appena riferito, poiché se è vero che tale costruzione potrebbe essere utilizzata per dimostrare che senza l'evento dannoso il danneggiato avrebbe potuto cogliere la chance, non è altrettanto vero che potrebbe essere utilizzata per affermare che « certamente » la possibilità presentatasi al danneggiato sarebbe stata colta (11) .
Autorevole dottrina (12) ha poi ritenuto di poter differenziare i due tipi di danno in base all'oggetto
della lesione. Si ha lucro cessante quando viene lesa un'aspettativa fondata su un diritto
soggettivo; si ha perdita di chance quando viene compromessa una aspettativa di mero fatto (13) .
Questa impostazione poteva bene adattarsi alla risalente interpretazione del danno ingiusto (art.
2043 c.c.), che considerava « ingiusto » il solo danno contra ius, che andasse a ledere un diritto
soggettivo, e non un interesse di fatto; ma tale interpretazione risulta oggigiorno anacronistica,
poichè è ormai pacifico che ingiusto è qualsiasi danno che leda un diritto soggettivo, un interesse legittimo, o anche un'aspettativa.
Altra dottrina e giurisprudenza ritengono, invece, che il danno da mancata occasione costituisca
un'ipotesi di danno emergente (14) . Secondo questa impostazione il fatto stesso di avere una
occasione favorevole costituisce un vantaggio patrimoniale, distinto dal vantaggio patrimoniale
conseguibile (15) . La stessa chance ha un valore patrimoniale, per cui la sua perdita produce un
danno riconducibile non alla perdita del risultato finale, ma alla perdita dell'opportunità stessa (16) .
Il problema che sorge a questo punto riguarda il fatto che una volta accertata l'esistenza della
chance, e che questa è andata perduta a seguito del verificarsi dell'evento dannoso, il giudice dovrebbe senz'altro affermare l'esistenza del danno e il relativo risarcimento, anche nell'ipotesi in
cui le possibilità di successo della suddetta possibilità fossero minime (17) , perché il danno sussiste in re ipsa.
Per ovviare al problema la giurisprudenza è ricorsa al criterio della selezione della chance, ovvero
circoscrive il risarcimento alle sole occasioni che siano ragionevolmente fondate o statisticamente
probabili (18) . Invero, anche questa impostazione risente di una contraddizione di fondo, poiché se si parte dall'assunto che la chance costituisce un bene autonomo, suscettibile di valutazione
economica, non si capisce perché debba essere risarcita soltanto l'occasione che statisticamente abbia maggiori possibilità di realizzarsi (19) .
Secondo alcuni è preferibile invece considerare la chance come un momento della serie causale che
conduce al risultato sperato, non come un bene autonomo (20) . In altre parole la perdita di chance
è: a) perdita di una condizione necessaria ma non sufficiente per il conseguimento di una utilità futura; b) perdita certa di una concausa di utilità eventuale; c) il danno da risarcire è costituito dalla perdita di una utilità possibile (21) . Se allora la perdita di chance è concepita come perdita di un fattore causale necessario per il conseguimento di un risultato utile, e non come bene a sé stante, resta da esaminare in quali termini il danneggiato debba (o possa) provare il danno, al fine di
ottenerne il risarcimento.
La tesi suesposta ripropone in realtà le stesse problematiche probatorie dell'impostazione che vede nella perdita di chance il danno da lucro cessante; la prova del danno dovrà infatti essere necessariamente risolta attraverso la non facile dimostrazione del duplice nesso causale. Il primo è quello esistente tra la condotta illecita e la perdita dell'occasione favorevole; il secondo è quello esistente tra la perdita della chance e la effettiva perdita del risultato sperato (22) . In questo modo
verrà risarcita la perdita dell'occasione per un valore che è pari in toto a quello dell'utilità sperata e resta da esaminare in quali termini il danneggiato debba (o possa) provare il danno, al fine di
ottenerne il risarcimento.
La tesi suesposta ripropone in realtà le stesse problematiche probatorie dell'impostazione che vede nella perdita di chance il danno da lucro cessante; la prova del danno dovrà infatti essere necessariamente risolta attraverso la non facile dimostrazione del duplice nesso causale. Il primo è quello esistente tra la condotta illecita e la perdita dell'occasione favorevole; il secondo è quello esistente tra la perdita della chance e la effettiva perdita del risultato sperato (22) . In questo modo
verrà risarcita la perdita dell'occasione per un valore che è pari in toto a quello dell'utilità sperata e perduta (23) .
2. CONCLUSIONI
Dall'analisi fin qui svolta appare chiaro che il problema non è di facile soluzione data la difficoltà di inserimento della figura in esame nell'alveo delle fattispecie dell'art. 1223 c.c. In altre parole i rischi
che si corrono in ogni caso sono due: a) dover risarcire ogni perdita di chance che statisticamente
avesse una probabilità di realizzazione superiore al cinquanta per cento, se la chance viene
considerata come bene autonomo; b) addossare al danneggiato il pesante onere probatorio proprio
del lucro cessante qualora si consideri la chance alla stregua di un fattore causale necessario per il
conseguimento di un'utilità futura.
In ogni caso, qualora il soggetto leso voglia far valere in giudizio il proprio diritto al risarcimento del
danno da occasione perduta, ciò che la giurisprudenza di merito e di legittimità (come nella decisione in commento) richiede è « l'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in
termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile » (24) .
È chiaro che nella sentenza in commento il ricorrente non aveva diritto al risarcimento del danno da perdita di chance in sede di giudizio di legittimità, non avendo la vittima fornito le prove a tal fine necessarie, e in ogni caso avendo la C.T.U. dimostrato che l'evento dannoso non avrebbe
pregiudicato in futuro l'attività lavorativa di quest'ultima. Non avendo infatti la vittima del fatto dannoso riportato lesioni o menomazioni, che compromettano la propria attuale e futura attività lavorativa e non avendo dimostrato alcun fatto oggettivo da cui possa desumersi che a causa
dell'evento lesivo si sia prodotto un danno consistente nella perdita di una occasione (in questo
caso lavorativa), il risarcimento non potrà essere accordato.
In conclusione, nel caso in esame, i giudici di legittimità hanno negato il diritto al risarcimento del danno da perdita di chance, perché, seppure in giudizio sia stata data la prova dell'evento lesivo, non è stata al contrario fornita dal ricorrente alcuna prova circa le concrete ripercussioni che tale danno avrebbe arrecato alla propria futura attività lavorativa. Pertanto non sussiste la prova, né presuntiva, né tantomeno certa, che il danno subito abbia leso una chance riguardante le future
capacità di guadagno del soggetto leso.
NOTE
(1) In dottrina è stato rilevato che « chi perde una chance perde non un incremento patrimoniale,
ma una speranza di incremento patrimoniale. La perdita di chance, insomma, non è una deminutio
patrimonii, ma una deminutio spei »: M. ROSSETTI, Il danno da perdita di chance, in Riv. giur. circ., 2000,
662; inoltre, si ritiene che la perdita di chance implichi un'incognita « perché la situazione vantaggiosa avrebbe potuto prodursi, se non si fosse verificato un determinato fatto » (F.
MASTROPAOLO, voce Danno, III) Risarcimento, in Enc. giur. Treccani, X, Roma, 1988, 12); nello stesso
senso C.M. BIANCA, Diritto Civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, 161, il quale differenzia il danno
da perdita di chance dal danno futuro, sull'assunto che « diversamente dal danno futuro, che
richiede la ragionevole certezza in ordine ad un evento che dovrà accadere, il danno da perdita di occasione favorevole è un danno determinabile in via equitativa in ragione della maggiore o minore probabilità dell'occasione perduta ».
(2) In argomento, v. di recente la sintesi di L. FERRONI, in Codice civile, Libro quarto, I, III ed., a cura di
G. PERLINGIERI, Napoli, 2010, 85.
(3) In argomento v. di recente C. SEVERI, Il danno da perdita di chance, in questa Rivista, 2010, 2209,
ove riferimenti e panoramica giurisprudenziale; D. CHINDEMI, Il danno da perdita di chance, II ed.,
Milano, 2010, passim. Alcuni autori (per tutti, M. ROSSETTI, op. cit., 662), distinguono le due tipologie
di danno secondo una precisa quadripartizione, al fine di non cadere nell'errore di considerare in
assoluto il danno emergente come danno presente e il lucro cessante come danno futuro: si potrà avere allora, a) un danno emergente passato (ad esempio le spese mediche sostenute in
conseguenza delle lesioni alla persona); b) un danno emergente futuro (ad esempio le spese
mediche che con certezza dovranno essere sostenute in futuro per le cure); c) un lucro cessante
passato (ad esempio i redditi perduti per il periodo che va dal verificarsi dell'evento dannoso al
momento della liquidazione); d) un lucro cessante futuro (ad esempio i redditi che saranno perduti
in futuro dopo la liquidazione del danno).
(4) G. CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, 184 ss.
(5) La posizione della risalente dottrina è riportata da M. ROSSETTI, op. cit., 664.
(6) Cons. Stato, 11 marzo 2010, n. 1443, in questa Rivista, 2010, 2080, con nota di V. BOSETTO, La
perdita di chance nel procedimento di aggiudicazione dei contratti pubblici.
(7) In dottrina si è osservato che « se quando si parla di perdita di chance ci si riferisce al venir
meno ... della possibilità di ottenere un certo risultato utile, appare chiaro che chance e lucro
cessante presentano alcune caratteristiche comuni. In entrambi i casi, infatti, l'evento dannoso ...
impedisce che egli (il danneggiato) possa acquisire nuovi elementi, guadagnare ed usufruire di
ulteriori entità patrimoniali ». Inoltre sia nel caso in cui si versi in danno da perdita di chance che di
lucro cessante « ciò che non è avvenuto non può mai essere, a rigore, oggetto di certezza assoluta; l'unica cosa indubitabile è che si è perduta una possibilità ... persino nel caso di lucro mancato, la prova del danno non potrà essere che una prova di verosimiglianza » (M. BOCCHIOLA, Perdita di una
chance e certezza del danno, in Riv. trim. dir.proc. civ., 1976, 60); in giurisprudenza si vedano Cons.
Stato, Sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1180; Cass. civ., 19 febbraio 2009, n. 4052; Cons. Stato, Sez. VI, 9
giugno 2008, n. 2751; Cass. civ., 11 maggio 2010, n. 11353; TAR Napoli, Campania, 14 luglio 2010,
n. 16773, in Red. Amm. TAR, 2010, 7; TAR Catania, Sicilia, 4 giugno 2010, n. 2069, in Foro amm. TAR,
2010 2201.
(8) La citata impostazione è stata criticata in dottrina poiché richiederebbe al danneggiato una doppia prova: dimostrare che senza l'evento dannoso egli avrebbe potuto cogliere la chance;
dimostrare che la possibilità sperata si sarebbe verosimilmente realizzata (M. ROSSETTI, op. cit.,
664).
(9) Si ritiene in dottrina che la possibilità di costruire una valida distinzione tra chance e lucro
cessante fondata sulla diversa natura degli interessi lesi, venga a cadere per il fatto che lo stesso
art. 1223 c.c. riconosce il risarcimento ogni qual volta il danno sia conseguenza « immediata e
diretta » dell'evento lesivo, senza che possa rilevare quale situazione (di fatto o di diritto) debba
essere compresa nel risarcimento stesso (M. BOCCHIOLA, op. cit., 67).
(10) Un utile esempio è quello del lavoratore costretto a casa da un periodo di malattia conseguito alle lesioni causate dall'altrui illecito. Occorre considerare come dati immutabili: a) che il lavoratore,
se fosse stato in salute, avrebbe continuato a svolgere il suo lavoro; b) che avrebbe continuato a
percepire il proprio salario; c) che non sarebbe stato impedito nella propria attività da alcun evento; d) che non avrebbe lasciato il proprio lavoro per altre attività. Supponendo che tale quadro sia immodificabile al momento del verificarsi dell'evento dannoso, il lucro cessante si presenta come un
danno dotato del carattere della certezza (M. ROSSETTI, op. cit., p. 665).
(11) È stato osservato che l'unico valido criterio di differenziazione tra il danno da perdita di chance
e il danno da lucro mancato sia quello che fa leva sulla « certezza » del danno. Si deve indicare
come lucro cessante « solo il caso in cui si avvera la perdita di una possibilità favorevole, che spetterebbe ad un determinato soggetto con una probabilità che rasenta la certezza; nell'ipotesi di perdita di chance, invece, il sopraggiungere del risultato utile è per definizione indimostrabile »; un
esempio cercherà di chiarire il concetto: lo schema delle rebus sic stantibus potrebbe essere utile per
dimostrare che un soggetto che abbia presentato domanda di partecipazione a un pubblico
concorso, avrebbe sicuramente partecipato se ciò non gli fosse stato impedito dal verificarsi dell'evento dannoso; ma questo stesso schema non potrà essere utilizzato per valutare in termini di assoluta certezza se il soggetto danneggiato avrebbe vinto il concorso, pur possedendo questa
spetterebbe ad un determinato soggetto con una probabilità che rasenta la certezza; nell'ipotesi di perdita di chance, invece, il sopraggiungere del risultato utile è per definizione indimostrabile »; un
esempio cercherà di chiarire il concetto: lo schema delle rebus sic stantibus potrebbe essere utile per
dimostrare che un soggetto che abbia presentato domanda di partecipazione a un pubblico
concorso, avrebbe sicuramente partecipato se ciò non gli fosse stato impedito dal verificarsi dell'evento dannoso; ma questo stesso schema non potrà essere utilizzato per valutare in termini di assoluta certezza se il soggetto danneggiato avrebbe vinto il concorso, pur possedendo questa
chance (M. BOCCHIOLA, op. cit., 74).
(12) F.D. BUSNELLI, Perdita di una « chance » e risarcimento del danno, in Foro it., 1965 IV, 47.
(13) In merito è utile l'esempio di M. ROSSETTI, op. cit., 666: « nel caso di lesioni personali, la perdita
delle retribuzioni per il leso costituirebbe una ipotesi di lucro cessante, in quanto il danneggiato era
titolare di un vero e proprio diritto a percepire la retribuzione ... viceversa, nel caso di morte di una
persona causata dall'altrui illecito, la perdita delle contribuzioni che spontaneamente il defunto
elargiva ai familiari conviventi costituirebbe una ipotesi di perdita di chance, in quanto i familiari
suddetti non potevano vantare un diritto perfetto alla elargizione ».
(14) P. C ALAMANDREI, Limiti di responsabilità del legale negligente, in Riv. dir. proc. civ., 1931, II, 260; A.
DE CUPIS, Il danno, Milano, 1966, I, 265; M. BOCCHIOLA, op. cit., 94; in giurisprudenza si vedano
Cons. Stato, Sez. VI, 11 marzo 2010, n. 1443; Trib. Torino, 8 aprile 2009, n. 1358, in Riv. it. dir. lav.,
2010, 1, 104; Cass. civ., 21 luglio 2003, n. 11322; Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2008, n. 2751.
(15) Alcuni autori considerano la chance come un bene giuridico tutelabile « che integra il patrimonio
del creditore », e la cui lesione « integra una perdita, piuttosto che un mancato guadagno » (per
tutti, A. P ONTECORVO, La responsabilità per perdita di chance, in Giust. civ., 1997, II, 448); allo stesso
modo si afferma che l'occasione « è già un'entità, economicamente valutabile in base alle sue caratteristiche, presente nel patrimonio del danneggiato, e la sua perdita deve considerarsi perciò danno emergente piuttosto che lucro cessante » (F. MASTROPAOLO, op. cit., 13); in giurisprudenza si
vedano Cass. civ., 18 settembre 2008, n. 23846; Cass. civ., 27 marzo 2008, n. 7943; Cass. civ., 25
maggio 2007, n. 12243.
(16) La dottrina ha osservato che se dovesse condividersi la tesi suesposta, allora « la possibilità di ottenere un risultato sperato costituisce una ricchezza suscettibile di valutazione patrimoniale, e
facente parte del patrimonio dell'individuo. Di conseguenza la perdita della possibilità di ottenere il risultato sperato costituisce un danno distinto e autonomo rispetto alla perdita del risultato sperato
» (M. ROSSETTI, op. cit., 667; lo stesso Autore riporta i due criteri di quantificazione del danno
adottati dalla giurisprudenza di legittimità che riconosce nella chance un bene autonomo: a)
quantificare il risultato perduto, e poi ridurlo in base ad un coefficiente di riduzione pari alla
possibilità di conseguire effettivamente tale risultato; b) adottare il criterio equitativo puro ex art.
1226 c.c.; si veda in merito Cass. civ., 19 dicembre 1985, n. 6506; Cons. Stato, Sez. VI, 24
settembre 2010, n. 7132; TAR L'Aquila, Abruzzo, 10 settembre 2010, n. 661, in Red. Amm. TAR,
2010, 9).
(17) Alcuni autori hanno infatti rilevato che una impostazione siffatta potrebbe rappresentare uno
stratagemma per conferire rilevanza giuridica ad una lesione altrimenti irrisarcibile. Inoltre affermare
che la chance costituisce un bene autonomo equivarrebbe a creare una sorta di realtà virtuale, dal momento che (finora) la chance non si vende e non si acquista. Così ROSSETTI, op. cit., 668; G. ALPA,
Responsabilità civile e danno, Bologna, 1990, 207.
(18) In merito TAR Genova, Liguria, 14 aprile 2010, n. 1653, in Foro amm. TAR, 2010, 1236, afferma
che « il quantum risarcibile riferibile al valore della chance è infatti parametrato al grado di prossimità di conseguire il risultato e alla idoneità ad ottenerlo. Maggiore è la prossimità, progressivamente aumenta il quantum da liquidarsi; all'inverso, tanto minore è la prossimità di conseguire il risultato e l'idoneità ad ottenerlo, di pari passo si riduce il risarcimento, fino a ragguagliarsi a zero nel caso in cui tale rapporto non sussista affatto, ossia irrilevante ».
(19) Una simile ricostruzione lascerebbe, dunque, spazio ad ampie disparità di trattamento. A parere di chi scrive, una soluzione al problema suesposto potrebbe forse consistere nel riconoscere
il risarcimento del danno da perdita di chance (inteso quale bene autonomo) anche quando
statisticamente le possibilità di ottenere quell'occasione siano inferiori al cinquanta per cento, ma nel solo particolare caso in cui l'evento dannoso abbia leso un diritto costituzionalmente garantito.
(20) Questa dottrina ritiene che la posizione lesa debba essere inserita in una « relazione causale
della quale è elemento necessario ma non sufficiente (l'aver acquistato un biglietto della lotteria è presupposto necessario ma non sufficiente per vincere il premio), ed esso viene preso in
considerazione in quanto correlato a quell'evento finale » (V. ZENO ZENCOVICH, Il danno per la perdita
della possibilità di un'utilità futura, in Riv. dir. comm., 1986, II, 216); in giurisprudenza Cass. civ., 7
ottobre 2010, n. 20808.
(21) M. ROSSETTI, op. cit., 672.
(22) Si ritiene, in merito, che il primo nesso causale vada provato attraverso un accertamento
storico, mentre il secondo attraverso lo schema dell'id quod plerumque accidit (M. ROSSETTI, op. cit.,
672).
(23) M. ROSSETTI, op. cit., 676.
(24) Così Cass. civ., 11 maggio 2010, n. 11353; Cass. civ., 26 marzo 2010, n. 7414; Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2009, n. 4628; Cons. Stato, Sez. V, 19 marzo 2009, n. 1622; Cass. civ., 23 gennaio
2009, n. 1715.
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PERDITA DI CHANCE E DANNO PATRIMONIALE RISARCIBILE
Resp. civ. e prev. 2003, 02, 296
CRISTINA SEVERI
Dottoranda di ricerca in Istituzioni di diritto privato nell'Università di Modena e Reggio Emilia e Parma
SOMMARIO: 1. Premessa. 2. La perdita di chance quale possibile conseguenza patrimonialmente dannosa
di un fatto illecito. 3. I dubbi circa la certezza del danno da perdita di chance. 4. Danno emergente e lucro
cessante. 5. La tesi che ravvisa nella perdita di chance un danno di natura emergente. 6. L'esistenza di
un danno da lucro cessante derivante dalla perdita di una chance. 7. Perdita di chance e prevedibilità del danno. 8. La prova del danno da perdita di chance. 9. Perdita della chance di sopravvivenza. 10. Le
pronunce giurisprudenziali in tema di perdita di chance. 10.1. Quale conseguenza dannosa del
comportamento illegittimo del datore di lavoro. 10.2. Quale conseguenza dannosa dell'inadempimento del
contratto di prestazione d'opera professionale. 10.3. Quale conseguenza dannosa della violazione di un
diritto della persona.
1. Premessa.
Le norme sulla responsabilità civile fondano un sistema atto a disciplinare le ipotesi in cui si verifica un danno in occasione di un contatto sociale che avviene al di fuori di una preesistente relazione
giuridica (5).
Nessun sistema di responsabilità civile ha mai preteso di assicurare un risarcimento in tutti i casi in cui si verifichi un danno, ma la selezione dei presupposti per l'individuazione, del soggetto
responsabile, dei limiti del danno risarcibile, dipende dalla funzione che si ritenga di dover attribuire
alla responsabilità civile (6).
Tale punto di snodo è estraneo alla responsabilità cosiddetta contrattuale e, sotto tale profilo, la distinzione con la responsabilità extracontrattuale appare pienamente giustificata: l'esistenza di un rapporto giuridico tra le parti elimina ogni questione sulla rilevanza del danno (7) e la disciplina
dell'inadempimento detta al contempo il criterio di individuazione del soggetto responsabile e quello
di imputazione della responsabilità (8).
L'impostazione tradizionale ravvisava nella responsabilità la conseguenza di un comportamento illecito, posto in essere con violazione di norme dettate a tutela di diritti soggettivi assoluti e
alla responsabilità civile (6).
Tale punto di snodo è estraneo alla responsabilità cosiddetta contrattuale e, sotto tale profilo, la distinzione con la responsabilità extracontrattuale appare pienamente giustificata: l'esistenza di un rapporto giuridico tra le parti elimina ogni questione sulla rilevanza del danno (7) e la disciplina
dell'inadempimento detta al contempo il criterio di individuazione del soggetto responsabile e quello
di imputazione della responsabilità (8).
L'impostazione tradizionale ravvisava nella responsabilità la conseguenza di un comportamento illecito, posto in essere con violazione di norme dettate a tutela di diritti soggettivi assoluti e
qualificato dall'elemento soggettivo della colpevolezza (9). Veniva in tal modo accentuato un
particolare profilo funzionale della responsabilità civile, incentrato sulla figura dell'autore del danno, quello di sanzionare e di conseguenza prevenire, comportamenti ritenuti riprovevoli.
Tale concezione è stata oggetto di revisione critica (10). Il legislatore del 1942 introducendo il requisito dell'ingiustizia (riferito al danno e non al comportamento dell'agente, secondo una
interpretazione contraria al dato letterale ma ossequiosa ai canoni tradizionali) ha posto una
condizione di rilevanza giuridica del danno, idonea cioè a discriminare, tra le varie situazioni di contatto sociale in cui esso si verifica, quelle che giustificano l'obbligo di risarcire (11).
È dunque dal fatto dannoso che bisogna prendere le mosse. La colpa è soltanto uno dei criteri che permettono di imputare l'evento dannoso ad un soggetto determinato fatto responsabile; dire cioè che un soggetto è giuridicamente responsabile non equivale ad affermare che egli è stato l'autore del fatto dannoso che è chiamato a risarcire (12).
Tale prospettiva ha determinato un progressivo ampliamento degli interessi ritenuti meritevoli di
tutela aquiliana, non necessariamente coincidenti con diritti soggettivi assoluti (13), con rinnovata
attenzione ai valori espressi dalle norme costituzionali ed è stata spinta talvolta sino al punto, nell'intento di offrire la più ampia tutela ai diritti fondamentali della persona, di garantire il rimedio risarcitorio indipendentemente dalla prova del verificarsi di un danno (14).
Al sistema di responsabilità civile si riconosce oggi una molteplicità di funzioni (15) dipendenti, oltre che dai differenti criteri di imputazione, dalla natura del danno arrecato. Tale funzione è principalmente riparatoria (16), oltre che redistributiva (17), quando l'illecito abbia arrecato un
danno suscettibile di valutazione economica ed al contempo preventiva e sanzionatoria (18) quando
il comportamento sia caratterizzato da dolo o colpa (19), con diversa considerazione delle ipotesi
nelle quali il dolo assume rilevanza esclusiva (20). È sattisfattiva o, secondo diversa impostazione, punitiva (21), quando i danni siano di natura non patrimoniale, categoria tra le più tormentate, anche per la previsione del limite di cui all'art. 2059 del codice civile (22).
2 . La perdita di chance quale possibile conseguenza patrimonialmente dannosa di un fatto
illecito.
Con il termine chance si suole indicare l'aspettativa che ha un soggetto di conseguire un risultato
economicamente vantaggioso, sia sotto forma di incremento sia di mancata diminuzione del
patrimonio (23).
Ciò che peraltro caratterizza la chance rispetto ad altre situazioni in cui il soggetto attende un
risultato favorevole è che tale risultato dipende anche da circostanze fortuite od aleatorie. Per la verità il concetto di aleatorietà non sempre è esatto con riferimento alla chance perché essa generalmente descrive la situazione di chi spera di conseguire un vantaggio, senza che il mancato
raggiungimento di esso comporti necessariamente una perdita, come invece avviene nelle
fattispecie caratterizzate dall'àlea (24). Vi è invece una componente fortuita perché la realizzazione della chance dipende anche dalla sorte o dal comportamento di terzi (quali ad esempio altri
partecipanti ad una selezione) rispetto ai quali la volontà o il comportamento di chi spera nella chance non possono avere influenza alcuna.
La perdita della chance può venire in rilievo quale conseguenza dannosa sia di un fatto generatore di responsabilità extracontrattuale, sia dell'inadempimento di una preesistente obbligazione. L'opinione oramai maggioritaria ritiene che si tratti, in tal caso, di un danno patrimoniale risarcibile,
pur rimanendo differenti gli argomenti spesi per superare quello che, ai primi interpreti, era apparso
uno scoglio insormontabile: l'eventualità od incertezza del danno stesso(25).
A suscitare l'interesse della dottrina fu il diverso orientamento espresso dalla giurisprudenza
d'oltralpe ed in special modo da quella francese (26), in relazione a casi ormai noti: la perdita della
chance di vincere una causa per colpa dell'ufficiale giudiziario o dell'avvocato, che non compiono un
atto processuale in tempo utile. La perdita della chance, per il proprietario di un cavallo, di vincere la
corsa a causa di un ritardo del fantino o di un incidente che impedisce al cavallo di prendervi parte.
La perdita della chance per un candidato di superare un esame o un concorso, perché un incidente gli impedisce di presentarsi (27).
Perché la giurisprudenza italiana, mutando il proprio convincimento, accolga richieste di risarcimento del danno da perdita di chance (28)deve trascorrere un intero secolo.
Due sono le pronunce della Suprema Corte precorritrici e alle quali fa riferimento tutta la
giurisprudenza successiva, entrambe della sezione lavoro, il cui orientamento è oggi assolutamente consolidato nel senso di ritenere risarcibili le chances del prestatore di lavoro subordinato che venga
privato della possibilità di conseguire un avanzamento di carriera o di essere assunto. Nel primo caso il datore di lavoro aveva richiesto all'ufficio di collocamento una serie di nominativi per una
eventuale assunzione e sottoposto i chiamati ai tests fisici, ma non alle ulteriori prove psicoattitudinali, privandoli in tal modo della chance di essere assunti (29). Nell'altro caso il risarcimento
del danno da perdita di chance veniva concesso ad un soggetto che, dopo aver partecipato a due
concorsi per l'assunzione presso il medesimo ente, aver vinto il primo e superato nell'altro la prova
scritta, non veniva ammesso a sostenere le prove orali del secondo concorso a causa di una norma
del contratto collettivo di lavoro, poi dichiarata illegittima, che vietava la partecipazione ai concorsi
indetti dall'ente a chi era già dipendente (30).
Quanto alla giurisprudenza di merito, il precedente viene fatto risalire ad una pronuncia del
Tribunale di Monza, che del pari ammette la risarcibilità della perdita della chance quale
conseguenza dannosa dell'inadempimento contrattuale: si trattava di un pilota automobilistico che,
ingaggiato per correre nella formula 3000, non veniva poi di fatto utilizzato, perdendo in tal modo la
chance di mettersi in luce per accedere all'ambita categoria della formula 1 (31).
È bene sin d'ora evidenziare che la perdita di chance, oltre che come conseguenza dannosa di un
fatto illecito o dell'inadempimento (32), puòvenire in rilievo come evento lesivo nel qual caso si dovrà discutere della ingiustizia del danno e cioè dell'esistenza stessa dell'illecito, piuttosto che delle sue eventuali conseguenze dannose (33)(34).
È questa, dell'ingiustizia del danno, una tematica affatto differente (35), che ha ricevuto di recente un decisivo contributo da parte delle Sezioni Unite della Suprema Corte con la nota pronuncia in
tema di risarcibilità degli interessi legittimi (36). La Corte, se da un lato ha riconsiderato l'interpretazione tradizionale secondo la quale costituisce danno ingiusto solo la lesione di un diritto
soggettivo (37), dall'altro ha ribadito, con riferimento ai rapporti famigliari, che soltanto la
soppressione di legittime aspettative di natura patrimoniale determina un danno risarcibile; tali
aspettative sono qualificate "legittime", in contrapposizione a quelle "semplici o di mero fatto" in
relazione, sia a precetti normativi, sia a principi etico-sociali di solidarietà famigliare e di costume (38). Con tale pronuncia la Corte ha dunque avvalorato l'orientamento di quella giurisprudenza che
in caso di morte di un soggetto aveva sempre riconosciuto ai congiunti il diritto di essere risarciti per
la perdita della chance di poter conseguire in futuro dalla vittima aiuti economici purché, al momento dell'illecito, fossero elargiti in modo continuativo, a prescindere dall'esistenza tra le parti, di obblighi
di natura alimentare (39)(40).
Nei casi trattati dalla nostra giurisprudenza la perdita della chance viene in considerazione quale
conseguenza di un fatto illecito (41) e, nella maggioranza dei casi, di un inadempimento contrattuale
(42)(43). Infondata appare pertanto relativamente ad essi la preoccupazione, diffusa, di cercare
giustificazioni al risarcimento di un interesse di mero fatto, che è sottesa ad argomentazioni simili alla seguente: "dunque si è verificato un danno certo ... È quella che suole essere definita come perdita di chance, o di possibilità, e non di mera aspettativa di fatto" (44). È stato infatti chiarito che, posta l'ingiustizia del danno arrecato dal comportamento illecito, possono essere risarciti, quali
conseguenze dannose ulteriori, anche interessi di mero fatto, che non necessariamente devono
ricevere tutela quali diritti soggettivi. Per questi ulteriori interessi, coinvolti nella serie causale
dell'illecito, non occorre verificare l'esistenza di una specifica tutela, perché la loro rilevanza e l'ingiustizia della loro lesione è data semplicemente dalla loro connessione con la posizione giuridica violata (45).
3. I dubbi circa la certezza del danno da perdita di chance.
l'ingiustizia del danno arrecato dal comportamento illecito, possono essere risarciti, quali
conseguenze dannose ulteriori, anche interessi di mero fatto, che non necessariamente devono
ricevere tutela quali diritti soggettivi. Per questi ulteriori interessi, coinvolti nella serie causale
dell'illecito, non occorre verificare l'esistenza di una specifica tutela, perché la loro rilevanza e l'ingiustizia della loro lesione è data semplicemente dalla loro connessione con la posizione giuridica violata (45).
3. I dubbi circa la certezza del danno da perdita di chance.
Le pronunce dei nostri giudici favorevoli al risarcimento del danno da perdita di chance fanno proprie
le conclusioni della dottrina sul tema.
Il dubbio che si intravede al fondo di queste decisioni è che la perdita di chance non sia un danno
patrimoniale risarcibile, perché si tratterebbe di danno meramente eventuale (46). Sarebbe infatti impossibile accertare, stante gli elementi di parziale casualità da cui dipende il buon esito dell'aspettativa del soggetto che, in mancanza del fatto dannoso, il danneggiato avesse delle
possibilità pressoché uguali alla certezza di acquisire il vantaggio patrimoniale sperato (47); impossibile formulare un giudizio circa la consistenza che avrebbe avuto il patrimonio del
danneggiato in mancanza del fatto dannoso (48).
Il ragionamento sulla certezza del danno (intesa come certezza del suo verificarsi) (49) diviene
addirittura argomento per escluderne la patrimonialità: alla chance viene riconosciuto un valore
sociale notevole, ma non un valore di mercato. "Una chance, una possibilità aleatoria, non è un valore effettivo, certo e presente. Simili casi sono spiacevoli, ma non danno luogo ad un vero e proprio
danno" (50).
La certezza, quale connotato "estrinseco" del danno, non ha trovato definizioni appaganti, tanto da
esserne denunciata l'equivocità (51). Si può osservare, tuttavia, che tale requisito trova il proprio fondamento logico, ancor prima che normativo, nello stesso obbligo risarcitorio, il quale presuppone
che un danno si sia effettivamente verificato. Il risarcimento del danno patrimoniale non consegue
cioè automaticamente all'atto illecito, se questo non ha avuto conseguenze dannose (52); e, d'altra parte, come dicevamo, la nozione di danno risarcibile non è ristretta alle conseguenze dannose che siano al contempo lesive di un interesse tutelato come diritto soggettivo, ma si estende a
ricomprendere tutti i danni relativamente ai quali sia accertato un nesso di causalità con la condotta del responsabile (53).
Abbandonato il tentativo di dare contenuto, sul piano definitorio, al requisito della certezza del
danno, risulta un diverso procedimento: si finisce con l'individuare il criterio per accertare il confine
tra danno certo e danno meramente eventuale assumendolo in modo strumentale rispetto alla
funzione attribuita alla responsabilità civile (54). Come già visto tale funzione, riguardo al danno patrimoniale, è principalmente riparatoria (55), nel senso che "il danneggiante deve risarcire tutto il
danno che il danneggiato ha sofferto e niente più del danno; il risarcimento non deve servire [cioè] di
pena al danneggiante né di lucro aldanneggiato" (56), al quale dovranno essere messi in conto anche
gli eventuali vantaggi patrimoniali che dovesse conseguire per effetto dell'illecito (57).
Orbene è sintomatico che laddove si tende maggiormente a rimarcare la funzione punitiva o satisfattiva della sanzione risarcitoria, come nel caso in cui il danno ingiusto consiste nella lesione di
un diritto della persona, la prova della certezza del danno venga fatta coincidere con quella
dell'esistenza di un evento lesivo (danno ingiusto) che abbia un "normale o presunto significato di
danno" (58), di tal che il presupposto della certezza viene ad assumere, a tale stregua, un diverso
contenuto, che rimane tuttavia funzionale allo scopo che si ritiene di dover perseguire con la
sanzione risarcitoria (59).
La lesione dei diritti della personalità dà luogo comunque al risarcimento del danno, tanto da avere indotto parte della dottrina a rivalutare, per tali casi, la nozione di pena privata (60).
4. Danno emergente e lucro cessante.
Se l'accertamento del presupposto della certezza del danno non solleva particolari perplessità quando si verta in tema di danno emergente, lo stesso non può dirsi quando si tratti di danno da lucro cessante (61).
Il codice vigente, conformemente a quello che l'ha preceduto, perpetua la distinzione, similmente al
codice francese (art. 1149), tra danno emergente e lucro cessante, assicurando il risarcimento così delle perdite subite come dei mancati guadagni, purché siano conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito dannoso (art. 1223 del codice civile, dettato in tema di responsabilità contrattuale, ma richiamato dall'art. 2056 anche per i casi di responsabilità extracontrattuale).
Tale distinzione, che appare sfumata quando la si consideri dal punto di vista meramente
economico, assume contorni precisi quando il punto di vista diviene giuridico (62). Momento decisivo
per distinguere il danno emergente dal lucro cessante è quello in cui si verifica l'evento danneggiante. Se tale evento sottrae utilità che il danneggiato in quel momento già aveva, si è prodotto un danno emergente; se impedisce che nuovi elementi od utilità vengano acquisiti, si verifica un lucro cessante. È peraltro il criterio secondo il quale si deve considerare se l'utilità sia già acquisita dal danneggiato, che distingue il punto di vista giuridico da quello economico; occorrerà avere riguardo al diritto che il soggetto abbia o meno di disporre e/o di godere del bene, o di
ricevere una determinata prestazione. Ciò significa che qualora tutti i presupposti necessari per realizzare il guadagno siano già nella sfera giuridica del soggetto danneggiato si dovrà parlare di danno emergente e non di lucro cessante (63).
Posta tale distinzione, non pare peraltro che il lucro cessante si debba distinguere ulteriormente dal
danno emergente per un maggiore o minore rigore nell'accertamento del requisito della certezza del
danno. È il concetto stesso di danno ad essere il risultato di una ipotesi, il non verificarsi dell'evento dannoso, e non vi è pertanto che maggiore facilità di accertamento circa l'an ed il quantum nei casi di
danno emergente rispetto a quelli di lucro cessante (64).
La consueta affermazione dottrinale secondo la quale il danno da lucro cessante deve ritenersi
certo quando fosse presumibile attendersi il guadagno secondo un giudizio che tiene conto della
massima di esperienza dell'id quod plerumque accidit, esprime una valutazione in relazione al
problema causale (65), per la soluzione del quale si richiama il criterio dettato dall'art. 1223 del
codice civile (66), che pone quale unica condizione del risarcimento, così del danno emergente come del mancato guadagno, che siano conseguenza immediata e diretta dell'illecito (67).
Il lucro mancato è peraltro qualcosa che non verrà mai ad esistenza e pertanto non è rispetto al fatto del mancato guadagno che dovrà essere condotta l'indagine circa l'efficacia causale del comportamento del danneggiante, ma piuttosto tale efficacia causale dovrà essere colta rispetto alla mancata realizzazione dei presupposti necessari al verificarsi del lucro (68).
L'evento che causa un danno emergente colpisce una entità patrimoniale che appartiene alla sfera del danneggiato; nel caso del lucro cessante fa venire meno uno dei presupposti necessari al
conseguimento del guadagno (69), cosicché il danneggiante avrà causato il danno qualora si accerti che gli altri elementi, presupposti necessari del lucro, si sarebbero verificati.
Per ottenere il risarcimento della perdita della chance il danneggiato dovrebbe cioè dare la prova che tutti i presupposti necessari al conseguimento del guadagno si sarebbero sicuramente realizzati
se non fosse intervenuto il comportamento illecito altrui. Tuttavia l'impossibilità di accertare come avrebbe giocato il caso nella realizzazione della chance parrebbe precludere il risarcimento, ove si
consideri il danno sub specie di lucro cessante (70).
Si è allora affermato che il danno da perdita di chance sia risarcibile come danno di natura
emergente.
5. La tesi che ravvisa nella perdita di chance un danno di natura emergente.
Si tratterebbe dunque di danno emergente, consistente nella perdita attuale di una occasione
favorevole, una sorta di "proprietà anteriore" del soggetto che subisce la lesione. Il fatto dannoso non verrebbe a ripercuotersi su un utile da conseguire, ma su una entità esistente e ormai appartenente al soggetto, rispetto alla quale non dovrebbero residuare incertezze sull'effettivo
realizzarsi di un danno (71).
L'individuazione del danno nella perdita della possibilità di conseguire il risultato favorevole, anziché nel mancato conseguimento del risultato definitivo, risolve anche le incertezze sul nesso di
causalità, perché se il danno viene individuato nella perdita della probabilità perduta, allora il nesso diviene certo.
Tale tesi, per ammissione della stessa dottrina che l'ha formulata, suscita peraltro immediate
perplessità circa il rispetto del requisito della certezza del danno, che parrebbe quasi eluso, ammettendosi il risarcimento come danno emergente di ciò che non potrebbe essere risarcito come lucro cessante. Si avverte inoltre che resta comunque necessario ben determinare quando la tutela
giuridica debba essere attribuita all'interesse concernente una chance o possibilità, in sé e per sé nel mancato conseguimento del risultato definitivo, risolve anche le incertezze sul nesso di
causalità, perché se il danno viene individuato nella perdita della probabilità perduta, allora il nesso diviene certo.
Tale tesi, per ammissione della stessa dottrina che l'ha formulata, suscita peraltro immediate
perplessità circa il rispetto del requisito della certezza del danno, che parrebbe quasi eluso, ammettendosi il risarcimento come danno emergente di ciò che non potrebbe essere risarcito come lucro cessante. Si avverte inoltre che resta comunque necessario ben determinare quando la tutela
giuridica debba essere attribuita all'interesse concernente una chance o possibilità, in sé e per sé considerata. Tale interesse riceverebbe sicura tutela nei casi di responsabilità contrattuale, quando cioè vi sia un vincolo contrattuale attraverso cui una delle parti ha inteso garantirsi la realizzazione dell'interesse sotteso alla chance(72). Come nel caso del fantino che, ingaggiato per una
competizione, arriva tardi alla partenza, del trasportatore che consegna in ritardo un quadro per
una esposizione a premi, ipotesi nelle quali la parte attraverso il contratto intendeva acquisire
proprio quella chance andata perduta per l'inadempimento della controparte. Si riconosce invece la
difficoltà di stabilire i limiti della tutela quando la chance venga in considerazione nell'ambito della
responsabilità extracontrattuale (73)(74).
Non a caso la tesi in esame ha avuto degli sviluppi contraddittori. È stato infatti sostenuto, sul presupposto che la chance possa essere risarcita come danno emergente, che il danno da perdita di
chance sarebbe certo quando il danneggiato abbia una probabilità superiore al 50 per cento di raggiungere il risultato sperato. Non dunque una semplice possibilità di successo, ma una probabilità superiore al 50 per cento, ferma restando la necessità di dimostrare che "al momento
dell'illecito sussistevano in concreto tutti gli elementi della sequenza causale dalla quale avrebbe potuto
conseguire il vantaggio sperato che, per effetto dell'illecito è, irrimediabilmente, venuto meno" (75).
Il criterio così introdotto, quello probabilistico, è oltremodo contraddittorio con la premessa che la perdita di chance si traduca in un danno emergente e non può avere alcuna rilevanza in ordine alla soluzione del problema della certezza del danno, potendo, semmai, giocare il proprio ruolo al
momento della liquidazione (76).
Se la perdita di chance è un danno certo, allora anche una semplice possibilità, purché seria e fondata su circostanze concrete, deve ritenersi risarcibile (77).
Non è coerente infine, da un lato, negare che la perdita di chance possa essere risarcita come lucro
cessante e, dall'altro, tenere in ogni caso in considerazione, ai fini del risarcimento, il risultato
mancato, ancorché introducendo dei correttivi che tengano conto della minore o maggiore probabilità di conseguirlo (78).
Nella realtà il danneggiato non chiede di essere risarcito del fatto di non aver partecipato agli avvenimenti che avrebbero potuto condurre al risultato, ma lamenta il mancato raggiungimento del
vantaggio patrimoniale che ne sarebbe potuto conseguire (79).
Ulteriore argomento contro la ravvisabilità della chance come entità autonoma, è l'impossibilità di un suo autonomo sfruttamento: essa non sarebbe cioè suscettibile di atti di disposizione (80).
6. L'esistenza di un danno da lucro cessante derivante dalla perdita di una chance.
Si tratta a questo punto di verificare se, nonostante la componente fortuita che caratterizza la
realizzazione della chance, possa essere ravvisato un nesso di causalità giuridica tra l'evento dannoso e il mancato conseguimento del risultato patrimonialmente vantaggioso. La risposta sarà negativa, se si ritiene che tra i presupposti necessari al conseguimento del guadagno debba essere
incluso il fatto che il danneggiato avrebbe giocato la propria chance con esito favorevole, piuttosto
che il semplice fatto di averla spesa (81). Altra sarà la risposta, se si ritenga che sia la sola circostanza della sicura partecipazione all'evento, impedita dall'illecito, a dover essere inclusa tra i
presupposti da prendere in esame ai fini del giudizio di causalità (82).
In che misura allora l'eventualità che si possano verificare accadimenti fortuiti, che potrebbero ugualmente impedire il conseguimento del lucro, influenza il giudizio circa l'esistenza di un danno
risarcibile?
A ben vedere, una volta dimostrato che il danneggiato avrebbe sicuramente preso parte se non
fosse intervenuto l'illecito a quegli avvenimenti (selezione, gara, concorso, giudizio) che
costituiscono i presupposti per il conseguimento del lucro, le eventuali circostanze che non hanno
potuto concretizzarsi per effetto dell'illecito ma che, secondo un calcolo di probabilità, avrebbero ugualmente potuto impedire il raggiungimento del guadagno sperato, assumono rilevanza ai soli fini
della quantificazione del danno (83). Solo le cause che hanno operato in concreto toccano infatti il
piano della causalità; diversa rilevanza hanno invece le cause che sono rimaste ipotetiche, ma che avrebbero potuto porre il danneggiato nella stessa situazione in cui si è trovato per effetto dell'illecito (84).
La dottrina che si è occupata della complessa problematica della causalità alternativa ipotetica (85), pur nella diversità delle premesse e dei risultati raggiunti (86) è infatti in ogni caso concorde nell'affermare che la rilevanza di tali cause ipotetiche riguarda il danno quale perdita patrimoniale, il
danno nella sua dimensione concreta e non il rapporto di causalità, perché l'esistenza di una possibilità alternativa di danno non elimina né l'evento dannoso, né il processo causale che l'ha determinato (87).
Il problema della causalità alternativa ipotetica e quello della causalità giuridica vengono spesso confusi, perché per entrambi si ricerca se una determinata circostanza sia omeno "condizione
necessaria" del danno (88). Ma per la causalità giuridica la condizione necessaria è rilevante per determinare qual è la situazione patrimoniale successiva all'illecito (89); per la causalità alternativa ipotetica la condizione necessaria è rilevante per determinare quale sarebbe stata la situazione patrimoniale se l'illecito non fosse intervenuto, tenendosi conto di quelle circostanze che, pur
essendo diverse, per condizioni di tempo o di luogo e per modalità, avrebbero condotto allo stesso risultato ultimo di pregiudizio economico.
La considerazione, in sede di valutazione del danno, delle circostanze intervenute successivamente
all'illecito e fino al momento in cui il guadagno atteso sarebbe stato conseguito, è giudizio coerente ai principi espressi dalla Differenztheorie (90), la quale, se è stata sottoposta a numerose critiche (91), mantiene tuttavia la propria validità quando si tratti di determinare il danno di natura patrimoniale e costituisce tuttora un punto di riferimento per la giurisprudenza (92).
L'avere incluso tra i presupposti necessari al conseguimento del lucro la sola partecipazione
all'evento impedito dall'illecito permette di formulare il giudizio circa l'esistenza del danno, ma non
ancora quello circa la misura della sua concreta incidenza sul patrimonio del danneggiato (93).
La prospettazione qui seguita in ordine agli elementi di giudizio circa l'esistenza di un danno da
lucro cessante risarcibile trova conferma nei criteri usualmente applicati in relazione ai danni
derivanti da inadempimento. Nel caso di inadempimento dell'obbligazione di consegnare una cosa
determinata, per avere diritto al risarcimento del danno da lucro cessante il creditore danneggiato
deve fornire la prova che egli si era già impegnato contrattualmente a rivendere il bene, o comunque che il bene, tenuto conto delle qualità professionali dell'acquirente, sarebbe stato certamente rivenduto per un prezzo superiore e non anche la prova del sicuro adempimento del
terzo acquirente al proprio obbligo di pagare il prezzo, o l'altra, che nessun aumento di valore del
bene, tale da azzerare lo sperato guadagno, avrebbe potuto determinarsi (94). Si potrebbe
obiettare che, in tali ipotesi, è soltanto quel minimo di rischio che è comune ad ogni affare che resta a carico del soggetto inadempiente; tuttavia si ammette che costui possa essere chiamato a
risarcire anche un mancato guadagno caratterizzato da una maggiore incertezza ed in particolare
quello derivante dalla mancata stipulazione di un contratto aleatorio (95).
L'eventualità che la chance fosse destinata, anche in mancanza dell'illecito, a non essere realizzata
è il motivo invocato per escludere tout court il diritto al risarcimento del danno, si ritiene cioè che, per la presenza di accidenti fortuiti, sia impossibile accertare un nesso di causalità (96) rispetto al mancato conseguimento del risultato patrimonialmente vantaggioso (97).
Riconoscere efficacia causale al comportamento del danneggiante nei casi di perdita di chance non
comporta tuttavia l'automatico riconoscimento del diritto di ottenere, attraverso l'obbligazione
risarcitoria, il vantaggio patrimoniale non realizzato. È al momento della valutazione del danno che le eventuali circostanze, anche dipendenti dal fortuito, che avrebbero potuto determinare una
situazione pressoché identica a quella determinatasi per effetto dell'illecito, divengono rilevanti per diminuire o, nelle ipotesi estreme, rendere ingiustificato il risarcimento (98). La perdita della chance
non dovrà essere risarcita quando, esaminato come si è svolto e quali sono stati gli esiti dell'avvenimento cui il danneggiato non ha potuto partecipare, il riconoscere il risarcimento verrebbe
ad attribuirgli un ingiustificato arricchimento (99). La preoccupazione di evitare un arricchimento
ingiustificato non deve peraltro essere spinta fino al punto di sacrificare l'interesse del danneggiato
quando il suo arricchimento sia solo probabile. Nel dubbio, gli interessi del danneggiato dovranno
le eventuali circostanze, anche dipendenti dal fortuito, che avrebbero potuto determinare una
situazione pressoché identica a quella determinatasi per effetto dell'illecito, divengono rilevanti per diminuire o, nelle ipotesi estreme, rendere ingiustificato il risarcimento (98). La perdita della chance
non dovrà essere risarcita quando, esaminato come si è svolto e quali sono stati gli esiti dell'avvenimento cui il danneggiato non ha potuto partecipare, il riconoscere il risarcimento verrebbe
ad attribuirgli un ingiustificato arricchimento (99). La preoccupazione di evitare un arricchimento
ingiustificato non deve peraltro essere spinta fino al punto di sacrificare l'interesse del danneggiato
quando il suo arricchimento sia solo probabile. Nel dubbio, gli interessi del danneggiato dovranno
prevalere su quelli del danneggiante, con diritto al risarcimento del danno, ancorché in misura modesta (100) ed una valutazione ancora diversa sarà necessaria quando il comportamento del danneggiante sia caratterizzato da dolo (101).
Le conclusioni cui siamo pervenuti non hanno una valenza meramente teorica. Il danneggiato avrà l'onere di dimostrare che il fatto illecito è stata la condicio sine qua non della mancata partecipazione
all'evento; avrà anche l'onere di dimostrare tutte le circostanze che fanno ritenere probabile che il risultato patrimonialmente vantaggioso sarebbe stato conseguito. Tale ultimo carico probatorio
riguarda tuttavia non l'esistenza di un danno risarcibile, ma la sua misura e pertanto, in caso di
estrema difficoltà della prova, potrà essere invocata la liquidazione in via equitativa. Sarà viceversa onere del danneggiante individuare le cause che avrebbero potuto compromettere il
raggiungimento del risultato e darne la prova. Il legislatore si è ben rappresentato casi in cui, pur risultando accertata la causalità del comportamento del danneggiante, risulta impossibile o estremamente difficile fornire la prova dell'ammontare del danno; tale situazione si manifesta con
maggior frequenza nel caso di danno da lucro cessante tanto che illucro cessante è (sempre) valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso (art. 2056, comma II, c.c.)
(102).
7. Perdita di chance e prevedibilità del danno.
Come è noto, l'estensione del danno risarcibile, oltre che in forza dei principi ricavabili dagli artt. 1223, 1221, 1226 e 1227, comma II, del codice civile si determina, nei casi di responsabilità derivante da inadempimento di una obbligazione, anche in forza della disposizione di cui all'art.
1225, norma che limita il danno risarcibile a quello che poteva prevedersi al momento del sorgere
dell'obbligazione e che non è richiamata dall'art. 2056 in tema di danno extracontrattuale (103).
Secondo l'interpretazione maggioritaria il giudizio di prevedibilità è funzionale all'esigenza di proporzionare il risarcimento alla normale utilità della prestazione, con onere per il creditore di provare che il debitore era a conoscenza, o comunque avrebbe potuto prevedere, quei fatti che
hanno inciso sulla produzione del danno (104).
La prevedibilità costituisce, dunque, un ulteriore limite al risarcimento del danno da perdita di chance
nei casi di responsabilità contrattuale, unitamente all'ulteriore criterio, espresso con validità generale dal comma II dell'art. 1227, che esclude il risarcimento di quei danni che, una maggiore
diligenza del creditore, avrebbe potuto evitare (105).
Il limite della prevedibilità del danno è stato tenuto in considerazione dalla Suprema Corte in un caso di responsabilità professionale di un commercialista che, colposamente, aveva lasciato perimere il termine per proporre impugnazione avverso l'avviso di accertamento irrogativo di
sanzioni pecuniarie. Il giudice di merito aveva condannato il professionista, non solo al pagamento
di una somma pari alla differenza tra l'ammontare della pena pecuniaria effettivamente pagata e
quella che avrebbe potuto essere pagata in seguito all'accoglimento del ricorso (dato per certo in
ragione della legislazione vigente all'epoca), ma altresì alla maggiore differenza derivante dalla applicazione della pena pecuniaria che avrebbe potuto essere pagata in forza di un condono
intervenuto ben otto anni dopo la condotta omissiva del professionista (essendosi valutato che il
procedimento tributario avrebbe potuto essere procastinato fino all'entrata in vigore della
sanatoria). La Corte di cassazione ha censurato tale pronuncia ritenendo insufficienti gli elementi
presi in considerazione dal giudice d'appello ai fini del giudizio di prevedibilità del danno, essendo mancata la prova di puntuali elementi di fatto dai quali poter ricavare che, all'epoca
dell'inadempimento, il professionista avrebbe potuto presagire l'avvento di una legislazione
premiale (106).
8. La prova del danno da perdita di chance.
All'impossibilità di determinare con assoluta certezza se la partecipazione all'evento avrebbe comportato il risultato atteso dal danneggiato soccorre la valutazione del danno in via equitativa,
prevista, in via generale, dall'art. 1226 del codice civile, espressamente richiamato, per la
responsabilità extracontrattuale, dall'art. 2056 c.c. (107). Come già anticipato la liquidazione in via equitativa è da ritenersi la regola nel caso di danno da lucro cessante, rispetto al quale deve essere consentito al giudice di valutare tutte le circostanze del caso. L'art. 1226 racchiude una norma che
viene interpretata dalla giurisprudenza in bonam partem, nel senso che all'impossibilità di fornire la prova viene equiparata l'estrema difficoltà di fornirla (108), fermo restando che la difficoltà di prova deve riguardare la misura del danno e non la sua esistenza (109); che la parte gravata dall'onere
probatorio non è esonerata dal fornire elementi circa l'ammontare del danno (110); che la liquidazione equitativa non può essere invocata nei casi di complessità della prova, superabile mediante una consulenza tecnica o per presunzioni (111).
Di tali principi la giurisprudenza fa applicazione anche in materia di danno da perdita di chance che
viene ritenuto un danno attuale e risarcibile sempre che ne sia provata la esistenza, ancorché secondo un calcolo di probabilità o per presunzioni, ma si ribadisce che, in mancanza di tale prova, la liquidazione in via equitativa non è ammessa, essendo diretta a fare fronte alla sola impossibilità di provare l'ammontare preciso del danno (112).
Una volta accertato che, se non fosse intervenuto l'illecito, il danneggiato avrebbe sicuramente
partecipato alla gara, selezione, concorso, non sarà impossibile offrire elementi probatori, anche presuntivi (113), che dimostrino in quale misura la chance poteva ritenersi esistente (114). Gli
avvenimenti che avrebbero potuto pregiudicare la realizzazione del vantaggio patrimoniale sotteso
alla chance si giocano infatti in un momento successivo a quello in cui si verifica l'evento
danneggiante, ma generalmente prima della liquidazione giudiziale del danno (115). Cosè è per l'accertamento delle modalità di svolgimento e per la verifica dei risultati di quelle prove cui il danneggiato non ha potuto partecipare, che rendono senza dubbio più o meno concreta la probabilità di conseguire il risultato favorevole: il fatto che la selezione abbia coinvolto un numero, maggiore o minore, di concorrenti; che un certo numero di essi potesse o meno vantare maggiori
titoli rispetto a quelli di chi sia stato privato della possibilità di partecipare alla selezione; che si sia presentata o meno quella determinata persona (particolarmente qualificata); che le prove
assegnate fossero estremamente facili oppure difficili; che il concorso sia stato superato da una tale
o talaltra percentuale di partecipanti, sono tutte circostanze che avrebbero potuto determinare, allo
stesso modo che il comportamento del danneggiante, il mancato conseguimento del risultato e che
potranno essere verificate al momento della liquidazione giudiziale del danno.
È dunque su tali fatti che dovrà vertere la prova per stabilire l'ammontare del danno.
Quando si tratti di liquidare il danno da lucro cessante si ritiene che occorra distinguere tra fatti
costitutivi del lucro (necessari alla produzione del guadagno) e fatti impeditivi (fatti cioè, che subentrando, impedirebbero la produzione del lucro). Mentre i primi devono essere provati da chi
chiede il risarcimento (116), i secondi invece devono essere provati da colui che si oppone al
risarcimento, tanto che, nel caso di danno da perdita di chance, la liquidazione equitativa svolge in
modo particolare la sua funzione di garantire un equo contemperamento degli interessi delle parti in
conflitto, potendo, in taluni casi, operare anche a favore del danneggiante (117).
Generalmente, la valutazione del danno da perdita di chance viene espressa in termini percentuali
rispetto all'ammontare del danno consistente nel mancato conseguimento del vantaggio
patrimoniale atteso; il danno viene cioè liquidato proporzionalmente al grado di probabilità di superare la prova (118).
Nei casi di risarcimento del danno da perdita di chance non mancano pronunce che si distinguono,
stante l'obbligo di motivare circa gli elementi presi in considerazione per la liquidazione in via
equitativa, per avere puntualmente individuato le circostanze tenute in conto ai fini della
valutazione (119).
È infine opinione diffusa in giurisprudenza e coerente con la qualificazione della perdita di chance
come danno di natura emergente, che diverse siano le circostanze di fatto che la parte pone a base
della propria pretesa nel richiedere il risarcimento del danno da perdita di chance, rispetto a quelle
per il risarcimento dell'intero danno, tanto che la domanda con la quale si chiede il risarcimento della
chance perduta si caratterizzerebbe per una diversa causa petendi, rispetto a quella con la quale si
equitativa, per avere puntualmente individuato le circostanze tenute in conto ai fini della
valutazione (119).
È infine opinione diffusa in giurisprudenza e coerente con la qualificazione della perdita di chance
come danno di natura emergente, che diverse siano le circostanze di fatto che la parte pone a base
della propria pretesa nel richiedere il risarcimento del danno da perdita di chance, rispetto a quelle
per il risarcimento dell'intero danno, tanto che la domanda con la quale si chiede il risarcimento della
chance perduta si caratterizzerebbe per una diversa causa petendi, rispetto a quella con la quale si
chiede il risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato patrimoniale atteso (120).
9. Perdita della chance di sopravvivenza.
Alla problematica del risarcimento del danno da perdita di chance viene accostata quella (che pur si
sottolinea essere diversa, riguardando essa esclusivamente il nesso di causalità tra azione ed evento) (121) del risarcimento del danno per la perdita di una "chance di sopravvivenza", discussa
nell'ambito della responsabilità medica.
Si tratta di fattispecie in cui l'evento, fonte dell'eventuale risarcimento, è certo, essendosi verificata la morte o l'invalidità del paziente, ma non è possibile stabilire con certezza se si sarebbe verificato anche in mancanza della omissione colposa del medico (che non ha attivato tutte le cautele
possibili); si può emettere solo un giudizio di pari o diversa probabilità dell'evento (122). La giurisprudenza ha in merito prevalentemente seguito un criterio "probabilistico", ritenendo provato il
nesso causale anche quando l'opera del medico, se correttamente e tempestivamente intervenuta,
avrebbe avuto non già la certezza, ma soltanto serie ed apprezzabili possibilità di successo, tali che la vita del paziente sarebbe stata, con una certa probabilità, salvata (123). Ritenuto in tal modo accertato il nesso causale, il medico viene ritenuto penalmente responsabile della morte del
paziente e il danno viene risarcito per intero.
A conclusioni difformi pareva essere giunta in un primo tempo la giurisprudenza francese, a cui si
deve l'uso dell'espressione "perte de chances de survie", la quale, nei casi di dubbio del giudice sul
nesso eziologico (124), condannava l'autore dell'illecito ad un risarcimento parziale (125). Il
revirement si deve alla sentenza della prima Camera civile del 17 novembre 1982, con la quale
veniva riformata la sentenza del giudice di appello che, di fronte all'incertezza circa l'efficacia causale
del comportamento del medico, lo aveva condannato a risarcire la metà del danno (126).
È corretto, diversamente, riservare la nozione di perdita di chance ai soli casi in cui non è in discussione l'efficacia causale del comportamento del medico il quale ha tuttavia causato al
paziente, già in pericolo di vita, soltanto la perdita di probabilità favorevoli di sopravvivenza (127). Così nella fattispecie decisa dal Tribunale di Monza (128), chiamato a liquidare i danni a seguito di una sentenza penale di condanna che, ritenuto colpevole il medico di una errata diagnosi su di un
melanoma, accertava, sul piano causale, che, se il paziente fosse stato sottoposto a tempestiva e
adeguata terapia, avrebbe avuto concrete chances di sopravvivenza, con probabilità pari al 30% per almeno cinque anni. Interpretando il giudicato penale il Tribunale civile liquida il danno patrimoniale
risentito dalla vittima individuandolo nella perdita certa di cinque anni di vita (129) e non nella
perdita della possibilità, percentualmente stimata pari al 30%, di sfruttare appieno le proprie possibilità di sopravvivenza; ipotesi questa che, precisa il giudicante, avrebbe comportato un risarcimento percentualmente ridotto, in modo da tenere conto del fatto che non si trattava di una
perdita certa di sopravvivenza, ma della perdita della mera possibilità di sopravvivere (130).
10. Le pronunce giurisprudenziali in tema di perdita di chance.
10.1. Quale conseguenza dannosa del comportamento illegittimo del datore di lavoro.
È oramai principio generalmente accolto che, sia nella fase che precede l'assunzione, sia in costanza del rapporto di lavoro, il lavoratore abbia un vero e proprio diritto soggettivo al rispetto da parte del
datore di lavoro degli obblighi di correttezza e buona fede (131).
Oltre ai casi già esaminati, si ritiene che possa chiedere il risarcimento della chance perduta chi
venga illegittimamente escluso dal partecipare ad un concorso anche quando il concorso, già bandito, venga revocato senza giusta causa (132), purché dia la dimostrazione che, in concreto, sussistevano elementi tali da far presumere che vi fossero concrete possibilità di superare il concorso.
Anche la chance del lavoratore di conseguire un avanzamento di carriera può essere pregiudicata dal datore di lavoro che, nell'ambito di una selezione promotiva, nell'attribuire i punteggi cosiddetti
variabili, attribuiti cioè sulla base di valutazioni comparative, tenga un comportamento contrario a correttezza e buona fede procedendo immotivatamente alla promozione di taluni candidati rispetto
ad altri (133) o, ancora, escludendo illegittimamente un dipendente da un corso di addestramento
finalizzato ad una qualifica superiore (134).
Non è ovviamente escluso che il lavoratore possa chiedere il risarcimento dell'(intero) danno corrispondente alla qualifica non conseguita, quantificato nella relativa retribuzione, ma in tal caso
avrà l'onere di provare che, in mancanza dell'inadempimento, egli sarebbe stato certamente promosso, o assunto, o adibito alle mansioni cui aspirava (135).
10.2. Quale conseguenza dannosa dell'inadempimento del contratto di prestazione d'opera
professionale.
Stabilita la responsabilità contrattuale del professionista (avvocato, notaio, commercialista) per un suo comportamento omissivo colposo (sulla base dei criteri di rilevanza della colpa individuati
dall'art. 2236 c.c. con riferimento alla difficoltà dei problemi tecnici affrontati), la giurisprudenza più risalente era compatta nel senso di ritenere impossibile il risarcimento del danno da lucro cessante,
consistente cioè nel mancato raggiungimento del risultato patrimonialmente favorevole che, attraverso l'opera del professionista, il cliente sperava di ottenere.
La discussione fu particolarmente vivace in relazione alla responsabilità professionale dell'avvocato, che non si riteneva mai obbligato a risarcire al cliente il danno da lucro cessante, prima ancora che
per considerazioni attinenti alla certezza del danno perché, essendo il giudizio rispetto al quale l'attività professionale era stata negligentemente svolta coperto da giudicato, si riteneva precluso l'accertamento, sia pure incidentertantum e ai soli fini del risarcimento, di fatti oggetto di decisione
già passata in giudicato (136).
Tale motivo è stato da tempo superato e non si dubita più che, posta l'attività negligente del professionista, il giudice adito per il risarcimento del danno possa decidere in via incidentale del
caso nonostante il giudicato, tenendo in considerazione quegli argomenti difensivi o mezzi di prova
di cui il danneggiato non si era potuto avvalere a causa del comportamento omissivo colposo del
professionista (137).
Restava peraltro l'ulteriore argomento che, essendo l'esito della lite frutto del concorso di molteplici
fattori (quali la condotta processuale delle parti, il convincimento del giudice, lo stato della dottrina e
della giurisprudenza nel tempo e nel luogo della decisione) il danno non avrebbe potuto dirsi certo
ed attuale (138).
Il problema non si pone nei casi in cui il professionista abbia consigliato al cliente di intraprendere
delle azioni che, secondo un giudizio tecnico di media diligenza, non avevano alcuna probabilità di esito positivo, quale quella di iniziare un processo per un diritto ormai prescritto (139), venendo
meno al dovere di informare il proprio assistito della pressoché certa impossibilità di ottenere il risultato per il quale l'attività professionale era stata richiesta (140), trattandosi in tali casi di risarcire solo danni di natura emergente (141).
In discussione invece le ipotesi in cui il professionista avesse trascurato di porre in essere delle
iniziative che avrebbero potuto determinare un esito della lite o del procedimento più favorevoli per il cliente.
Per riprendere il caso precedentemente riferito, non solo il legale non aveva informato il proprio
assistito dell'avvenuta prescrizione del diritto da lui vantato né prima di instaurare il processo, a seguito dello studio preliminare del caso litigioso, né dopo che l'eccezione di prescrizione era stata sollevata dalla controparte, ma aveva prodotto in primo grado soltanto dopo l'udienza di
precisazione delle conclusioni e pertanto tardivamente, documenti che avrebbero potuto dimostrare
l'avvenuta interruzione della prescrizione ed inoltre aveva causato l'inammissibilità dell'appello da lui stesso proposto, nel corso del quale i documenti in questione avrebbero potuto essere prodotti, per
avere assegnato all'appellato un termine a comparire inferiore a quello legale, senza poi notificare
un nuovo atto di appello nel termine utile che ancora residuava.
Oggi si ammette che anche il danno da mancato guadagno possa essere risarcito quando il giudice
abbia raggiunto la "certezza morale" (142) ovvero la "ragionevole certezza" (143) che gli effetti di
una diversa attività del professionista sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente (144). Il punto di vista è esclusivamente quello della causalità del comportamento del professionista rispetto al mancato guadagno del cliente ed al criterio della certezza degli effetti della condotta viene
stesso proposto, nel corso del quale i documenti in questione avrebbero potuto essere prodotti, per
avere assegnato all'appellato un termine a comparire inferiore a quello legale, senza poi notificare
un nuovo atto di appello nel termine utile che ancora residuava.
Oggi si ammette che anche il danno da mancato guadagno possa essere risarcito quando il giudice
abbia raggiunto la "certezza morale" (142) ovvero la "ragionevole certezza" (143) che gli effetti di
una diversa attività del professionista sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente (144). Il punto di vista è esclusivamente quello della causalità del comportamento del professionista rispetto al mancato guadagno del cliente ed al criterio della certezza degli effetti della condotta viene
sostituito, quello della probabilità ed idoneità della condotta a produrli (145).
Tale criterio viene ribadito in una recente sentenza della Corte di cassazione con riferimento al
danno "da mancata impugnazione" (nel caso specifico, un domiciliatario aveva omesso di recapitare
in tempo utile per l'impugnazione gli avvisi di accertamento fiscale che gli erano stati notificati)
rispetto al quale il nesso causale risulterebbe accertato quando il danneggiato dimostri che vi erano
serie probabilità di successo dell'azione (146). Tale danno viene tenuto distinto, dalla Corte, da quello derivante dalla perdita della mera "possibilità di impugnazione", ovvero della chance di
conseguire risultati economicamente favorevoli, indipendentemente dall'esito della controversia,
quali quelli derivanti dalla conciliazione della lite o dalla possibilità di avvalersi di situazioni di fatto o di diritto sopravvenute favorevoli al danneggiato (147). Tale sentenza, se afferma per la prima volta
in modo esplicito che è risarcibile il danno da perdita di chance anche in dipendenza di un illecito
professionale, risolve il problema della causalità ancora una volta adottando i criteri elaborati dalla giurisprudenza in tema di causalità di fatto, con riferimento al danno da "mancata impugnazione", e accogliendo la tesi del danno emergente e dunque della certezza del nesso causale, in relazione al
danno da perdita di chance.
L'efficacia causale del comportamento omissivo colposo del professionista non può invece, in questo e in simili casi (148), essere posta in dubbio, qualora abbia fatto venire meno uno dei presupposti
necessari al conseguimento del vantaggio patrimoniale, tanto che in tali fattispecie non è mai stata messa in discussione la possibilità del cliente di ottenere il risarcimento del danno di natura emergente. Il vero problema è invece quello di stabilire in che misura il danno si sia in concreto verificato (149). Il giudizio svolto, incidenter tantum, circa la probabilità di accoglimento delle istanze o azioni non proposte permette peraltro di attestare con maggior grado di attendibilità, rispetto alle altre ipotesi di danno da perdita di chance, in che misura il danno è stato prodotto (150).
10.3. Quale conseguenza dannosa della violazione di un diritto della persona.
La perdita di una chance può senza dubbio essere conseguenza anche della lesione di un diritto della persona, si tratti dell'integrità fisica o di altri diritti fondamentali, quali l'onore e la reputazione (151). Quando si pongono questioni di risarcimento del danno alla salute (e a parte le fattispecie
dannose sin qui trattate, che senza dubbio possono essere conseguenza anche della lesione del
diritto all'integrità fisica: si pensi all'impossibilità, causata dall'illecito, di partecipare ad un concorso) il danno da perdita di chance viene liquidato come danno patrimoniale futuro da lucro cessante.
In presenza di una menomazione invalidante a carattere permanente, che non comporti una
diminuzione del reddito attuale (perché il lavoratore conserva il posto di lavoro senza decurtazione di stipendio, oppure si tratta di soggetto che non percepisce reddito perché minore o ancora dedito agli studi), si valuta se la stessa sia tale da far fondatamente prevedere una futura e sia pur
potenziale perdita o diminuzione di reddito (perché il danneggiato si troverà svantaggiato nella ricerca di un nuovo lavoro; non avrà possibilità di cogliere occasioni di carriera a causa della menomazione subita; dovrà abbandonare un certo tipo di scelta professionale e optare per soluzioni rinunciatarie) (152).
Spetta al danneggiato dimostrare le concrete circostanze di fatto fondanti la chance perduta sulle
quali dovrà pronunciarsi il giudice di merito, come nella fattispecie decisa da Cassazione, sez. III, 25 settembre 1998, n. 9598, circa la domanda della vittima di un incidente stradale di essere risarcita
del danno patrimoniale futuro consistente nell'impossibilità di intraprendere la professione di ballerino. La Corte del merito, con una motivazione giudicata immune da censure, riteneva
ininfluente la prova orale circa la frequentazione di una scuola professionale, considerando che,
anche se detta prova avesse dato esito positivo, non sarebbe risultato provato né che senza l'incidente il danneggiato avrebbe potuto divenire un valente ballerino, né che la professione di ballerino avrebbe potuto produrre un reddito netto, certo e quantificabile (153).
Il risarcimento del danno derivante dall'impossibilità di conseguire probabili e futuri vantaggi patrimoniali viene talvolta attratto nell'ambito del danno alla vita di relazione (154), formula con la
quale la giurisprudenza è solita indicare i riflessi negativi di carattere economico derivanti dall'impossibilità, per la vittima dell'illecito, di mantenere la vita sociale e professionale condotta prima del fatto dannoso (155).
Possibile fonte di pregiudizi da disistima sociale quando non addirittura da perdita di occasioni
matrimoniali viene ritenuta la seduzione con promessa di matrimonio, che sopravvive come illecito
civile (156), pur essendo stata abrogata la parzialmente coincidente fattispecie penalistica (157),
quando il danneggiato sia stato indotto all'esercizio della propria libertà personale e sessuale per effetto di una falsa rappresentazione della realtà ingenerata dolosamente o colposamente dal partner e ne siano derivate conseguenze patrimonialmente pregiudizievoli, da valutarsi sulla base di
prove concrete e non discrezionali o presuntive (158).
In tutte queste ipotesi il problema della certezza del danno non viene quasi mai trattato, restando
per così dire assorbito in quello dell'esistenza di un danno ingiusto consistente nella lesione di diritti della persona costituzionalmente protetti (159).
NOTE
(5) Quantomeno di natura obbligatoria, potendovi essere responsabilità di natura extracontrattuale anche quando le parti siano legate da vincoli di natura famigliare; per tale aspetto si
veda S. PATTI, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, 76.
(6) P.G. MONATERI, La responsabilità civile, nel Tratt. di diritto civile diretto da R. SA C C O, Torino, 1998,
13, 16, individua il problema della responsabilità civile nella scelta dei criteri in base ai quali un determinato costo sociale, anziché essere lasciato in capo alla vittima, secondo la regola che appare più naturale ed economica, viene traslato ad altri soggetti, che possono anche non essere i danneggianti; G. ALPA, Responsabilità civile e danno. Lineamenti e questioni, s.l., 1991, 57, rileva che il
modificarsi delle tecniche di imputazione del danno è in stretta connessione con l'evolversi delle funzioni della disciplina dell'illecito.
(7) C. SALVI, La responsabilità civile, nel Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1998, 9
ss., sottolinea che la funzione della responsabilità contrattuale è quella di offrire tutela ad un rischio specifico di danno, prevedibile dalle parti (art. 1225 c.c.) nonostante il rapporto obbligatorio tenda
sempre di più ad essere connotato da obblighi di natura accessoria, collegati funzionalmente alla prestazione principale; U. BRECCIA, Le obbligazioni, ivi, 1991, 641, rileva che dall'esistenza del
vincolo e dal suo scopo è possibile desumere anche la misura della pretesa del creditore danneggiato; C. TURCO, Brevi considerazioni sul principio di prevedibilità del danno come profilo distintivo fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 93 ss., ravvisa
il fondamento dell'inapplicabilità dell'art. 1225 alla responsabilità di natura extracontrattuale proprio nella mancanza di una relazione giuridicamente rilevante e vincolante tra le parti in conflitto.
(8) La questione della rilevanza della colpa nella responsabilità contrattuale e dell'interpretazione degli artt. 1218, 1256 e 1176 del codice civile è tra le più controverse in dottrina. Secondo C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, II ed., 1997, 183, la colpa non è criterio di imputazione della responsabilità contrattuale, ma criterio di esclusione della rilevanza dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione e ciò anche nelle obbligazioni di mezzi, per le quali la colpa, come mancanza di diligenza, integra l'inadempimento; C. SALVI, La responsabilità civile, cit.,
10, ritiene impossibile individuare un criterio unitario di responsabilità non essendo l'art. 1218, anche se interpretato alla luce dell'art. 1176, riconducibile alla colpa. Ravvisa invece nella colpa il
comune fondamento dei due tipi di responsabilità, F. GIARDINA, Responsabilità aquiliana e da inadempimento: un tema che non ha solo il fascino della tradizione, in Danno resp., 1997, 547.
(9) R. SCOGNAMIGLIO, voce Illecito (diritto vigente), in Noviss. dig. it., VIII, Torino, s.d., ma 1962, 164
ss., delimitata la nozione di illecito ai casi in cui si verifica la trasgressione di una norma
caratterizzata dall'imposizione di un divieto di tenere un certo comportamento, critica la dottrina
la colpa, come mancanza di diligenza, integra l'inadempimento; C. SALVI, La responsabilità civile, cit.,
10, ritiene impossibile individuare un criterio unitario di responsabilità non essendo l'art. 1218, anche se interpretato alla luce dell'art. 1176, riconducibile alla colpa. Ravvisa invece nella colpa il
comune fondamento dei due tipi di responsabilità, F. GIARDINA, Responsabilità aquiliana e da inadempimento: un tema che non ha solo il fascino della tradizione, in Danno resp., 1997, 547.
(9) R. SCOGNAMIGLIO, voce Illecito (diritto vigente), in Noviss. dig. it., VIII, Torino, s.d., ma 1962, 164
ss., delimitata la nozione di illecito ai casi in cui si verifica la trasgressione di una norma
caratterizzata dall'imposizione di un divieto di tenere un certo comportamento, critica la dottrina
tradizionale che, nel riferire tale nozione alla responsabilità extracontrattuale, non riesce poi a dare una convincente spiegazione di quale sia il divieto cui si contravviene quando si reca danno agli altri.
Il richiamo all'obbligo generico del neminem laedere appare all'Autore una soluzione di mero comodo,
non essendo rinvenibile nel diritto vigente un obbligo di non arrecare danno agli altri; così come arbitraria gli appare la tesi che raffigura tale obbligo come una sintesi di obblighi specifici, finendo
per desumere l'illiceità del comportamento da una qualità del danno, quella della ingiustizia. Attraverso le norme della responsabilità civile il legislatore detta invece i criteri per ripartire i danni che si verificano nella vita di relazione, a prescindere dalla finalità di proibire l'attività da cui deriva l'evento dannoso.Nel medesimo senso, C. SALVI, La responsabilità civile, cit., 1 ss. Sul principio
dell'alterum non laedere si veda S. PUGLIATTI, voce Alterum non laedere, in Enc. dir., II, Milano, s.d.,
ma 1958, 98 ss.
(10) Fondamentali, tra gli altri, i contributi di R. SACCO, L'ingiustizia di cui all'art. 2043, in Foro pad.,
1960, I, 1420 ss.; P. SCHLESINGER, L'"ingiustizia" del danno nell'illecito civile, in Jus, 1960,360 ss.; S.
RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964; R. SCOGNAMIGLIO, voce Responsabilità civile, in Noviss. dig. it., XV, Torino, s.d., ma 1968, 636; F.D. BUSNELLI, La lesione del credito da parte di
terzi, Milano, 1964.
(11) Secondo un principio di solidarietà, desumibile, oltre che dalle norme costituzionali, particolarmente gli artt. 2 e 41, anche da norme codicistiche, quali l'art. 833 e l'art. 1337, che appare
"il tramite attraverso cui il criterio della solidarietàoltrepassa l'ambito circoscritto dell'obbligazione e del
contratto, riferendosi al mondo più articolato delle relazioni interindividuali", così S. RODOTÀ, Il problema
della responsabilità civile, cit., 96.
(12) F.D. BUSNELLI, Nuove frontiere della responsabilità civile, in Jus, 1976, 63 ss. sottolinea il ruolo
comunque primario del criterio della colpa che, pur ridimensionato rispetto al principio tradizionale
"nessuna responsabilità senza colpa", rimane criterio complementare (non di imputazione del danno, ma di valutazione del fatto dannoso) nella disciplina di una serie di fattispecie tipiche di
responsabilità; criterio generale di imputazione per i danni ingiusti derivanti da fatti che non trovano disciplina in una fattispecie tipica di responsabilità. Per un compendio delle diverse opinioni espresse in dottrina si vedano gli Atti dell'incontro di studi su "Il ruolo della colpa nell'attuale sistema della
responsabilità civile", svoltosi a Pisa il giorno 11 marzo 1977, in Resp. civ. prev., 1977, 669 ss. e, ivi,
1978, 3 ss..
(13) L'allargamento della tutela aquiliana al diritto di credito e più in generale alle posizioni contrattuali ha fatto sì che la responsabilità civile divenisse forma di tutela anche dei diritti dell'imprenditore, che nel contratto e nel credito trova i principali strumenti giuridici. L'osservazione è di F. GALGANO, La commedia della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 192.
(14) P. GALLO, Pene private e responsabilità civile, Milano, 1996, 7 ss. e 214 ss. denuncia la crescente
espansione della responsabilità civile, anche sotto il profilo del quantum dell'obbligazione
risarcitoria, per la presenza di casi di responsabilità civile senza danno. Su tale problema avremo modo di tornare al § 3.
(15) L'osservazione può dirsi comune a quasi tutti gli Autori. P. TRIMARCHI, Causalità e danno, Milano,
1967, 53 ss., rileva che alla funzione riparatoria deve accompagnarsi necessariamente un'altra
funzione, che giustifichi la traslazione del danno, la quale non può essere unitaria, non essendo unitari i positivi criteri di imputazione.
(16) Attribuisce alla funzione sanzionatoria e preventiva della responsabilità civile un ruolo subordinato rispetto alla funzione compensativa, osservando che l'esistenza e il contenuto
dell'obbligazione risarcitoria dipende dall'esistenza e dall'estensione della perdita economica e non
dalla misura o qualità della colpevolezza, SALVI, La responsabilità civile, cit., 29. Lo stesso Autore non
ha mancato però di segnalare il quadro estremamente problematico del profilo funzionale della responsabilità civile, ID., Il paradosso della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1983, 123 ss. ed
inoltre S. RODOTÀ, Modelli e funzioni della responsabilità civile, ivi, 1984, 595 ss., il quale si interroga
circa la denunciata crisi della responsabilità civile la quale, dilagata in aree sempre più estese, sarebbe stata piegata verso funzioni incompatibili con la sua natura e con la normativa che la
disciplina, tanto da perdere la propria fisionomia.
(17) P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit., 19 ss., individua la principale funzione della
responsabilità civile in quella organizzativa, stante gli effetti redistributivi del sistema: le regole della responsabilità civile distribuendo tra i soggetti i costi delle loro attività ne indurrebbero un regolamento spontaneo. Sottolinea l'importanza della funzione redistributiva anche F.
MASTROPAOLO, voce Danno (risarcimento del danno), in Enc. giur. Treccani, X, Roma, 1988, 1,
rilevando che, anche quando non sia individuabile un altrui condotta dolosa o colposa, il danno non
resta necessariamente a carico di chi lo ha subito, esistendo nel sistema criteri di imputazione
diversi dal dolo e dalla colpa. Secondo poi la nota teoria c.d. dell'analisi costi-benefici, la cui
diffusione si deve principalmente alla traduzione dell'opera di G. CALABRESI, The cost of accident,New
Haven, London, 1970 (trad. it. Costo degli incidenti eresponsabilità civile. Analisi economico-giuridica,
Milano, 1975)il sistema di responsabilità civile realizzerebbe il massimo dell'efficienza qualora tenuto al risarcimento dei danni fosse il soggetto che meglio è in grado di valutarne i costi e di sopportarli.
(18) P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit., 20, ritiene non estranea una funzione sanzionatoria
anche nei casi di responsabilità oggettiva, relativamente ai quali verrebbe sanzionato "un
investimento in misure disicurezza ritenuto inadeguato". Per L. CORSARO, voce Responsabilità civile (diritto civile), in Enc. giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991, 3, il sistema di responsabilità civile non avrebbe invece alcuna funzione sanzionatoria, salvi i casi in cui è ammessa la reintegrazione in forma specifica anche se onerosa per il danneggiante (con il limite dell'eccessiva onerosità).
(19) Secondo F.D. BUSNELLI, voce Illecito civile, in Enc. giur. Treccani, XV, Roma, 1989, 6, mentre i
settori speciali di responsabilità civile sono ispirati ad una finalità essenzialmente compensativa, la responsabilità per colpa rimarrebbe caratterizzata da una funzione complessa: compensativa, sanzionatoria (riferita al comportamento colpevole) e preventiva (che si rivolge all'intera società chiamata a comportarsi secondo diligenza). Data tale funzione la responsabilità per colpa viene ritenuta incompatibile, sia con qualsivoglia limitazione normativa dell'entità dei danni risarcibili, sia con l'interferenza di meccanismi assicurativi. U. CARNEVALI, Tendenze attuali in tema di responsabilità civile, in AA.VV., Vittime del delitto e solidarietà sociale, Milano, s.d., ma 1975, 115, rileva che anche in
presenza di una responsabilità per colpa la funzione sanzionatoria tende ad affievolirsi, essendo applicata una nozione oggettiva di colpa, che non tiene conto delle capacità del danneggiante.
(20) P. CENDON, voce Dolo (intenzione nella responsabilità extra contrattuale), in Dig. civ., VII, Torino,
2001 (rist.), 42, analizza gli indici testuali che dimostrano la maggior importanza assunta dalla
funzione sanzionatoria nell'area di rilevanza esclusiva del dolo, nonché con quali peculiarità in essa si presenti la funzione preventiva della responsabilità; in tale area, caratterizzata dal venire meno dell'esigenza di salvaguardare il danneggiante da risarcimenti eccessivamente onerosi, perderebbe
inoltre di significato ogni riflessione circa i compiti redistributivi della responsabilità civile.
(21) Per la funzione sattisfattiva, si vedano: C. SALVI, La responsabilità civile, cit., 31 e 246 ss.; ID., Il
danno extracontrattuale, Napoli, 1985, 93 ss., secondo il quale in relazione al risarcimento del danno
non patrimoniale non può parlarsi di funzione compensativa in senso proprio, ma piuttosto di molteplici funzioni: sattisfattiva, talvolta quale espressione di un principio di solidarietà; punitiva, tanto da ritenere giustificato anche un arricchimento economico della vittima; E. NAVARRETTA, Diritti
inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1996, 376 ss.; M. LIBERTINI, Le nuove frontiere del danno
risarcibile, in Contr. impr., 1987, 94. Per quella punitiva, G. BONILINI, Il danno non patrimoniale,
Milano, 1983, 272 ss. e ID., voce Danno morale, in Dig. civ., V, 2001 (rist.), 87, il quale, rilevato che
nessuna somma di denaro può essere sattisfattiva del dolore provato dalla vittima dell'illecito, ravvisa nella riparazione del danno non patrimoniale una ipotesi di pena privata; A. RAVAZZONI, La
riparazione del danno non patrimoniale, Milano, 1962, 162 ss., ritiene invece possibile parlare, quanto
alla riparazione del danno non patrimoniale, di pagamento di una indennità.
(22) Come è noto due sono le principali tesi circa il significato da attribuire alla qualità non patrimoniale del danno: secondo una vi sarebbe danno non patrimoniale in presenza di ogni
alterazione peggiorativa di un bene non patrimoniale; secondo l'altra si ha danno non patrimoniale
Milano, 1983, 272 ss. e ID., voce Danno morale, in Dig. civ., V, 2001 (rist.), 87, il quale, rilevato che
nessuna somma di denaro può essere sattisfattiva del dolore provato dalla vittima dell'illecito, ravvisa nella riparazione del danno non patrimoniale una ipotesi di pena privata; A. RAVAZZONI, La
riparazione del danno non patrimoniale, Milano, 1962, 162 ss., ritiene invece possibile parlare, quanto
alla riparazione del danno non patrimoniale, di pagamento di una indennità.
(22) Come è noto due sono le principali tesi circa il significato da attribuire alla qualità non patrimoniale del danno: secondo una vi sarebbe danno non patrimoniale in presenza di ogni
alterazione peggiorativa di un bene non patrimoniale; secondo l'altra si ha danno non patrimoniale
in presenza di ogni alterazione peggiorativa di un bene (patrimoniale o non patrimoniale)
insuscettibile di valutazione pecuniaria oggettiva. Nel senso di una possibile armonizzazione delle
due interpretazioni, si veda ampiamente G. BONILINI, Il danno non patrimoniale, cit., 83 ss.
(23) G. VINEY, Les obligations. La responsabilité: conditions, nel Traité de droit civil sous la direction de J.Ghestin, Paris, 1982, 343: la perdita di una chance riguarda "le plus souvent la perte d'un espoir de
réaliser un avantage mais quelquefois également l'apparition d'un risque nouveau compromettant le chances de maintien de la situation actuelle".
(24) Cfr. A. BALESTRA, Il contratto aleatorio e l'àlea normale, Padova, 2000, 2, n. 4, il quale riferisce la
distinzione, attribuita alla dottrina più risalente, tra rischio, che si concreta in una pura probabilità di danno senza che ricorra l'eventualità del lucro e àlea, consistente in una probabilità di vantaggio, con l'inerente possibilità di una perdita.
(25) Ritengono si tratti di danno eventuale: Pret. Ascoli Piceno, 23 marzo 1993, in Foro it., 1994, I,
1826; Trib. Roma, 24 novembre 1978, in Temi rom., 1979, 434; Trib. Firenze, 18 novembre 1982
(inedito): "Ma è noto che connotato estrinseco del danno, quale possibile oggetto di rilevazione nel diritto vigente, è anzitutto quello della certezza: il danno cioè per essere liquidato dal giudice deve essersi concretamente verificato non essendo sufficiente la suaprobabilità o possibilità", cassato con la
sentenza del supremo Collegio 19 dicembre 1985, n. 6506; App. Roma, 22 febbraio 1951, in Riv.
giur. circ. trasp., 1952, 600, che esclude la risarcibilità del danno riferito all'impossibilità di partecipare ad un concorso, non essendo certo che il candidato avrebbe superato l'esame e tenuto
conto che il rinvio ad altra sessione di esami non poteva incidere negativamente sulla futura carriera
del danneggiato; Cass., 25 ottobre, 1961, n. 2372, in Resp. civ. prev., 1962, 66 la quale, individuato
l'illecito nell'aver fornito informazioni non buone, rigetta l'istanza di risarcimento dei danni
conseguenti al venir meno di possibilità di lavoro, rilevando che soltanto una mancata assunzione non verificatasi in concreto avrebbe potuto essere ritenuta danno risarcibile in quanto
immediatamente e direttamente collegabile all'illecito; Cass., 14 gennaio 1971, n. 54, in Foro it. Rep.,
1971,voce Danni civili, n. 113; Cass., 3 ottobre 1974, n. 2567, ivi, 1974, n. 78; Cass., 9 marzo 1976,
n. 787, ivi, 1976, n. 65; Cass., 11 ottobre 1978, n. 4538, ivi, n. 67; cfr. altresì L. BIGLIAZZIGERI-U.
BRECCIA-F.D. BUSNELLI-U. NATOLI, Diritto civile. Obbligazioni e contratti, 3, Torino, 1989 (rist. 1990),
729, per i quali non è risarcibile il danno (futuro in senso stretto) che si ricolleghi ad una ipotetica (o anche probabile, ma non attuale) lesione di un interesse del danneggiato, ossia la semplice perdita
di quella che la giurisprudenza francese chiama una chance de profit.
(26) Non mancano esempi anche nella giurisprudenza anglosassone e germanica. Nel caso Chaplin
v. Hichs [1911] 2 K.B. 786, riferito da B.A. HEPPLE-M.H. MATTHEWS, Tort: Cases and Materials,
London, Dublin, Edinburgh, 1991, IV ed., 303, una giovane aspirante attrice fece un contratto con il
convenuto grazie al quale avrebbe avuto l'opportunità di presentarsi ad un concorso di bellezza attraverso il quale, se avesse avuto buon esito, avrebbe potuto ottenere un remunerativo contratto
come attrice. Nelle parole di Fletcher Moultan Lj., "The contract gave the plaintiff a right of considerable
value, one for wich many people would give money; therefore to hold that the plaintiff was entitled to no
damages for being deprived of such a right because the final result depended on a contingency or chance
would have been a misdirection". Nel caso Hall v. Meyrich [1957] 2 Q.B. 455, un solicitor non aveva
avvertito una cliente che un suo eventuale matrimonio avrebbe reso inefficace il testamento fatto in
suo favore dal futuro marito, che moriva senza aver fatto un nuovo testamento. La vedova aveva
chiesto il risarcimento dei danni causati dal mancato avvertimento, che l'aveva privata della chance
di garantirsi i benefici successori. Fu evidenziato che in questo caso esistevano almeno quattro
eventualità: la signora avrebbe ricordato l'avvertimento? Suo marito avrebbe fatto un nuovo testamento completamente in favore della moglie? Non l'avrebbe in seguito revocato? A causa di
queste eventualità, fu deciso che la vedova aveva diritto di ottenere il risarcimento per la perdita della chance, ma non aveva diritto all'intera differenza tra la successione testamentaria ed intestata.
Nel commentare tali casi G.H. TREITEL, The law of contract, London, 1991, VIII ed., 845, osserva:
"The quantification of damages in such cases is necessarily speculative. It depends on the value of the
expected benefit and the likelihood of the plaintiff's actually getting it. The chance ofwinning a beauty
contestis obviously worth less than the full prize. In deciding how much the chance is worth the court
will consider the number of contingencies on wich it depends: "the more contingencies, the lower the
value of the chance" [casoHall v. Meyrich]; and the likeliwood of their being satisfied in the plaintiff's
favour: the greater this likeliwood, thehigher the value of the chance".Diversa l'esperienza tedesca, che
fonda le proprie pronunce sull'interpretazione dei par. 252, BGB e 287 ZPO. Il primo stabilisce che
per "mancato guadagno" (Entgangener Gewinn) deve intendersi quello che si sarebbe dovuto
attendere con probabilità secondo particolari circostanze o secondo il normale corso delle cose; il secondo prevede che il giudice, in caso di lite sull'esistenza e sulla misura del danno, deve decidere
secondo l'apprezzamento di tutte le circostanze e secondo il proprio libero convincimento. La figura
del danno da perdita di chance riceve riconoscimento generalmente nell'ambito dei danni
conseguenti a lesioni personali, su cui vedi infra lanota n. 148. La probabilità richiesta dal par. 252 viene ad esempio negata nella fattispecie esaminata dalla Corte federale di cassazione tedesca, 23
settembre 1982, in NJW, 1983, 442, la quale respinge la domanda di un architetto che,
illegittimamente escluso da una amministrazione comunale da una gara per la realizzazione di un
progetto, chiedeva di essere risarcito della perdita della chance di accrescere la propria fama e
dunque di ottenere nuovi incarichi.
(27) Per tale casistica si vedano H. et L. MAZEAUD-A. TUNC, Traité théorique et pratique de la responsabilité civil délictuelle et contractuelle, I, Paris, s.d., ma 1965, V èd., n. 219; G. VINEY, Les
obligations. La responsabilité: conditions, cit., 341 ss.; F. TERRÉ, P. SIMLER, Y. LEQUETTE, Droit civil,
Les obligations, Paris, 1993, V èd., 511 ss.: "La jurisprudence a donc admis que la perte d'une chance
réelle et sérieuse constituait un préjudice certain, appelant réparation. Est notamment indemnisée la perte de la chance d'acquérir un immeuble par la faute d'un notaire ou la perte de la chance de gagner un procés par la faute d'un huissier, d'un avoué, d'un avocat. Appelle aussi indemnisation la perte de la chance d'assurer un transport de marchandises ou de participer à une course. Au sujet de la perte de la chance de la réussite professionnelle, les décisions sont nombreuses, spécialement quant à la perte de la chance de réussir à un examen ou à un concours, d'embrasser une carriére lucrative, d'obtenir une promotion. Le critère auquel semble le plus volontiers se référer la jurisprudence est d'ordré temporel: pour che la perte de la chance de réussir spécialement à un examen ou à un concours, soit indemnisable, il faut che l'avantage escompté ait étà à bref délai. Plus généralement, il convient d'observer que la mesure de la probabilité ne sert pas seulement a déterminer si la perte de la chance donne droit à réparation, mais aussi quel est le montant de cett réparation".
(28) Abbiamo scelto di usare il sostantivo al singolare, nel senso cioè di possibilità, piuttosto che al plurale, nel senso cioè di probabilità. Sui possibili significati del termine chance si vedano, M.
BOCCHIOLA, Perdita di una "chance" e certezza del danno, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, 57; A.M.
PRINCIGALLI, La responsabilità del medico, Napoli, 1983, 124, nota 99.
(29) Cfr. Cass., sez. lav., 19 novembre, 1983, n. 6906, in Foro it., 1984, I, 459 e in Giust. civ., 1984,
1841, con nota di E. CAPPAGLI, Perdita di una "chance" e risarcibilità del danno per ritardo nella procedura di assunzione.
(30) Si tratta di Cass., sez. lav., 19 dicembre 1985, n. 6506, in Riv. dir. comm., 1986, II, 207, con
nota di V. ZENOZENCOVICH, Il danno per la perdita di una utilità futura; in Giur. it., 1986, I,1, 1181,
con nota di A. DECUPIS, Il risarcimento della perdita di una chance; in Foro it., 1986, I, 385, con nota
di A.M. PRINCIGALLI, Quando è piì sì che no: perdita di "chance" come danno risarcibile.
(31) Cfr. Trib Monza, 21 febbraio 1992, in Resp. civ. prev., 1993, 859, con nota di A. DASSI, Sulla
lesione da perdita di "chance" di un corridore automobilistico; in Corr. giur., 1992, 1021, con nota di P.
CAPORALI, Alla ricerca della "chance" perduta; in Dir. sport, 1994, 444, con nota di A. M. PACCES,
Competizioni automobilistiche: nuovo terreno fertile per il risarcimento delle chances perdute.
(32) Intendendosi ivi ricomprendere anche i fatti che danno luogo a responsabilità precontrattuale; cfr. ad esempio Cass., 19 novembre 1983, n. 6906, cit., la quale fonda la responsabilità del datore di lavoro, che non aveva completatol'iter necessario alla possibile assunzione, sull'art. 1337 del codice
civile. Secondo C. ZOLI, La giurisprudenza sui concorsi privati tra logiche pubblicistiche e strumenti
(31) Cfr. Trib Monza, 21 febbraio 1992, in Resp. civ. prev., 1993, 859, con nota di A. DASSI, Sulla
lesione da perdita di "chance" di un corridore automobilistico; in Corr. giur., 1992, 1021, con nota di P.
CAPORALI, Alla ricerca della "chance" perduta; in Dir. sport, 1994, 444, con nota di A. M. PACCES,
Competizioni automobilistiche: nuovo terreno fertile per il risarcimento delle chances perdute.
(32) Intendendosi ivi ricomprendere anche i fatti che danno luogo a responsabilità precontrattuale; cfr. ad esempio Cass., 19 novembre 1983, n. 6906, cit., la quale fonda la responsabilità del datore di lavoro, che non aveva completatol'iter necessario alla possibile assunzione, sull'art. 1337 del codice
civile. Secondo C. ZOLI, La giurisprudenza sui concorsi privati tra logiche pubblicistiche e strumenti
civilistici: oscillazioni e assestamenti, in Riv. it. dir. lav., 1992, I, 41, l'esistenza di un bando di concorso
e dunque di uno specifico rapporto obbligatorio derivante dalla promessa al pubblico esclude in
radice la ricostruzione in termini di responsabilità precontrattuale.
(33) La distinzione tra danno evento e danno conseguenza non è pacifica in dottrina; serve peraltro a rimarcare che il requisito dell'ingiustizia del danno è un presupposto per il sorgere della responsabilità ed è quindi un prius rispetto alla determinazione dell'estensione del danno
patrimoniale risarcibile; in tal senso cfr. F.D. BUSNELLI-S. PATTI, Danno e responsabilità civile, Torino,
1997, 18; C.M. BIANCA, Dell'inadempimento delle obbligazioni, in Commentario del codice civilea cura di
A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1979, II ed., 246; M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, ivi, 1993, 106,
il quale distingue la nozione di danno ingiusto, che esprime in termini di rilevanza giuridica la lesione
degli interessi colpiti, da quello di evento di danno, che indica gli effetti materiali della lesione.
(34) Nella maggior parte dei casi di perdita di chance viene cioè in considerazione solo uno dei profili di qualificazione del danno, quello della patrimonialità e non quello dell'ingiustizia, entrambi necessari perché il fatto sia considerato danno risarcibile, come bene espresso da C. SALVI, La
responsabilità civile, cit., 43; G. ALPA, Responsabilità civile e danno. Lineamenti e questioni, cit., 205,
avverte che della perdita di chance si può trattare sia in materia di risarcimento, sia in materia di presupposti della responsabilità e quindi di danno ingiusto; G. ALPA-M. BESSONE-V.
ZENOZENCOVICH, I fatti illeciti, Obbligazioni e contratti, VI, nel Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno,
Torino, 1995, II ed., 222, sottolineano l'esigenza di distinguere il problema della individuazione della
situazione giuridica lesa, da quella del risarcimento del danno conseguente all'illecito, punto
relativamente al quale la Suprema Corte viene accusata di aver ingenerato equivoche
sovrapposizioni (soprattutto in riferimento alla necessità che la chance andata perduta sia superiore
al 50%). Nella fattispecie decisa da Trib. Roma 28 ottobre 1999, in Danno e resp., 2000, 658, con
nota di A. M. PACCES, Alla ricerca delle chances perdute: vizi e virtù di una costruzione giurisprudenziale,
nella quale un pugile dilettante lamentava la perdita di opportunità di lavoro a fronte del ritardo con cui gli veniva comunicato dall'associazione sportiva di appartenenza l'esistenza di patologie
incompatibili con l'esercizio dell'attività di pugile professionista, il diritto al risarcimento del danno viene negato, ancor prima che per l'ipoteticità dei guadagni di cui il danneggiato lamentava la mancata realizzazione, per l'impossibilità di ravvisare un danno ingiusto.
(35) Generalmente discussa nell'ambito della problematica della risarcibilità del danno meramente patrimoniale, che si caratterizza per l'assenza della lesione di una situazione soggettiva tutelabile
ex art. 2043 c.c., nonostante la presenza di una perdita patrimoniale, cfr. C. CASTRONOVO, La nuova
responsabilità civile, cit., 80 ss.; A. DIMAJO, Il problema del danno al patrimonio, in Riv. crit. dir. priv.,
1984, 297 ss.; ID., La tutela civile dei diritti, Milano, 2000, 218; L. BIGLIAZZIGERI, Interessi emergenti,
tutela risarcitoria e nozione di danno, in Riv. crit. dir. priv., 1996, 49 ss., e, con espressa menzione alla
perdita di chance, G. PONZANELLI, Il risarcimento del danno meramente patrimoniale nel diritto italiano,
in Danno e resp., 1998, 729; A.M. MUSY, Commento a Cass., 14 maggio 1999, n. 4762, ivi, 2000, 167;
F. TORTORANO, Il danno meramente patrimoniale, Torino, 2001, 116-117; J.M. VANDUNNE,
Responsabilità per danno meramente patrimoniale: regola o eccezione, in Danno e resp., 2000, 121, il
quale attribuisce importanza fondamentale, in relazione ai problemi connessi alla risarcibilità del danno meramente patrimoniale, alla nozione di perdita di chance presente nell'ordinamento
francese.
(36) Il riferimento è a Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, in Foro it., 1999, I, 2487, per la quale la
lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria, occorrendo altresì che risulti leso, per effetto dell'attività illegittima e colpevole della pubblica amministrazione, l'interesse al bene della vita, meritevole di tutela, al quale l'interesse
legittimo si correla. Su tale pronuncia cfr., senza pretesa di voler essere esaustivi, F.D. BUSNELLI,
Lesione di interessi legittimi: dal "muro di sbarramento" alla "rete di contenimento", in Danno e resp.,
1997, 272, secondo il quale l'interesse legittimo c.d. pretensivo, corrispondente alla posizione del
privato che non può fare affidamento ex ante sull'emanazione dell'atto richiesto, degrada a mera
chance; M. FRANZONI, La lesione dell'interesse legittimo è, dunque, risarcibile, in Contr. impr., 1999,
1025 ss.; G. VISINTINI, Danno ingiusto e lesione di interessi legittimi, in Contratto e impr., 2001, 9;
R.PARTISANI, Lesione di un interesse legittimo e danno risarcibile: la perdita di chance, in Resp. civ.
prev., 2000, 566, che affida all'indagine statistica il compito di valutare la consistenza minima che la
chance dovrà presentare per oltrepassare la soglia dell'interesse di mero fatto e divenire aspettativa legittima; F. RUSCELLO, Responsabilità civile e lesione di interesse legittimo, in Rass. dir.
civ., 1999, 391; S. TARULLO, Giustizia amministrativa ed appalti pubblici, influssi comunitari e linee di
tendenza, in Cons. stato, 2000, II, 1549. Il Giudice amministrativo ha immediatamente recepito
l'insegnamento della Corte tanto da aver più volte ritenuto risarcibile, nei confronti della pubblica amministrazione, la perdita della possibilità di aggiudicarsi una gara pubblica, in tal senso cfr., ex
multis, T.A.R. Lombardia, sez. I, Milano, 23 dicembre 1999, n. 5049, in Danno e resp., 2000, 310, con
nota di V. CARBONE, La responsabilita per violazione degli interessi legittimi come prospettiva di legalità per la P.A.; T.A.R. Puglia, sez. I, Lecce, 16 aprile 1999, n. 418, in Trib. amm. reg., 1999, I, 2832;
T.R.G.A. Alto Adige - sez. aut. Bolzano, 9 gennaio 2001, n. 1, in Nuovo dir., 2001, 414, con nota di M.
LORUSSO, Risarcimento per perdita di chance e risarcimento del danno in forma specifica, il quale, pur
rilevando non esservi certezza alcuna che la ricorrente avrebbe conseguito quel bene della vita cui
aspirava (aggiudicazione), accoglie ugualmente la domanda risarcitoria sotto il titolo minore della
perdita della possibilità di conseguire il risultato utile.
(37) La Corte, nel ripercorrere le tappe dell'evoluzione giurisprudenziale menziona il c.d diritto
all'integrità del proprio patrimonio "in relazione al quale è stata affermata, tra l'altro, la risarcibilità del danno da perdita di chance, intesa come probabilità effettiva e congrua di conseguire un risultato utile, da accertare secondo il calcolo delle probabilità o per presunzioni". Critica tale passaggio della sentenza C.M. BIANCA, Danno ingiusto a proposito del risarcimento da lesione di
interessi, in Riv. dir. civ., 2000, 691, rilevando che la perdita di chance non è di per sé risarcibile e che il riconoscimento della sua risarcibilità riguarda il diverso piano delle conseguenze economiche negative della lesione di un diritto soggettivo.
(38) Idea questa che troviamo già espressa da A. DECUPIS, Il danno. Teoria generale della
responsabilitàcivile, II, Milano, 1979, III ed., 94, il quale rinviene la giustificazione dell'eccezionale
legittimazione spettante ai titolari di crediti aventi fondamento familiare, dei quali rimangano privati
a causa dell'uccisione del debitore, nel vincolo reciproco di solidarietà familiare, in forza del quale l'interesse del titolare del credito realizza anche il superiore interesse della stessa famiglia.
(39) Giurisprudenza che, tuttavia, si è sempre posta il problema nell'ottica della causalità giuridica piuttosto che in quella dell'ingiustizia del danno, cfr., a titolo esemplificativo, Cass., 26 febbraio
1966, n. 594, in Foro it., 1966, I, 1754, secondo la quale "costituisce danno diretto ed immediato della
morte della persona e conferisce legittimazione all'azione dei danni, anche il venire meno di un'aspettativa
di prestazioni costituenti un duraturo e concreto apporto patrimoniale, da parte del defunto, in favore di
un prossimo congiunto, ancorché questo sia fuori della cerchia dei parenti a cui per legge sono dovute prestazioni alimentari e fuori da un concreto obbligo di taliprestazioni"; Cass., 28 marzo 1994, n. 2988,
in Giust. civ., 1994, 1849 ss., che riconosce legittimazione al convivente more uxorio. La
giurisprudenza francese concede il risarcimento del danno ai congiunti solo se le condizioni di tale
contributo si sono completamente verificate o comunque sono sul punto di esserlo quando
sopravviene il fatto imputato al convenuto. Se, ad esempio, al momento della morte il figlio non era
ancora in grado di apportare un contributo alimentare o i genitori non erano ancora in stato di
necessità, il risarcimento della chance di ottenere gli alimenti si ritiene non dovuto. Così nel caso deciso da Cass. civ., II sez., 5 gennaio 1994, in Resp. civ. et ass., 1994, aprile 1994, comm. n. 116, in
cui la madre era in stato di bisogno, ma il figlio deceduto era disoccupato ed aveva avuto delle
occupazioni sempre precarie, citato da F. CHABAS, La perdita di chance nel diritto francese, in questa
Rivista, 1996, 242 (ove altri riferimenti giurisprudenziali) il quale osserva che in questi casi la chance
è a due livelli: vi erano delle possibilità perché si verificasse la situazione dannosa che allora avrebbe avuto delle chances di cessare grazie al figlio. Diverso quando i genitori versino già in stato di bisogno al momento della morte del figlio; in tal caso la perdita della chance viene tutelata.
necessità, il risarcimento della chance di ottenere gli alimenti si ritiene non dovuto. Così nel caso deciso da Cass. civ., II sez., 5 gennaio 1994, in Resp. civ. et ass., 1994, aprile 1994, comm. n. 116, in
cui la madre era in stato di bisogno, ma il figlio deceduto era disoccupato ed aveva avuto delle
occupazioni sempre precarie, citato da F. CHABAS, La perdita di chance nel diritto francese, in questa
Rivista, 1996, 242 (ove altri riferimenti giurisprudenziali) il quale osserva che in questi casi la chance
è a due livelli: vi erano delle possibilità perché si verificasse la situazione dannosa che allora avrebbe avuto delle chances di cessare grazie al figlio. Diverso quando i genitori versino già in stato di bisogno al momento della morte del figlio; in tal caso la perdita della chance viene tutelata.
(40) Orientamento che viene denunciato come "sconcertante anomalia" da F.D. BUSNELLI, Perdita di
una chance e risarcimento del danno, in Foro it., 1965, IV, 50, il quale rileva come, relativamente agli
alimenti, la giurisprudenza abbia finito per risarcire un danno dovuto alla perdita di una chance,
facendo eccezione al tradizionale modo di intendere l'ingiustizia del danno. Cfr. invece F. GALGANO,
Le mobili frontiere deldanno ingiusto, in Contratto e impr., 1985, 2, per il quale in tali sentenze il
confine danno ingiusto non può dirsi ancora varcato, apparendo valutata la lesione di un diritto soggettivo, ancorché solo potenziale. Diversa è la prospettiva se invece si ritiene, come fa la giurisprudenza, che il lucro mancato del terzo sia una conseguenza come tutte le altre di un'unica
lesione fondamentale, come affermato da M. BOCCHIOLA, Perdita di una "chance" e certezza del
danno, cit., 72 ss. Si veda anche la recente Cass., 2 febbraio 2001, n. 1516, in questa Rivista, 2001,
881 ss., con nota critica sul punto di C. FAVILLI, Le conseguenze "non riflesse" della lesione subita dal
coniuge e la costituzionalizzazione del danno morale. In tale sentenza viene risarcito il danno
patrimoniale subito dalla moglie della vittima di un incidente stradale, costretta a lasciare
anticipatamente la propria attività lavorativa per assistere il congiunto, quale conseguenza immediata e diretta dell'evento dannoso che aveva colpito il coniuge. Denunciano la tendenza
giurisprudenziale a risolvere, sul piano della causalità giuridica, ciò che invece riguarda il profilo della ingiustizia del danno, M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit., 818 ss.; G. VISINTINI, Il danno ingiusto, in Riv.
crit. dir. priv., 1987, 186.
(41) App. Roma, 17 febbraio 1988, in Giur. it., 1991, I, 2, 640, con nota di G. NARDULLI, Perdita di
chance: verso l'ampliamento di un danno risarcibile, accorda il risarcimento del danno subito da un
revisore dei conti a causa di un protesto erroneamente elevato da una banca che, nonostante fosse
stata immediatamente pubblicata una dichiarazione di rettifica, provocava l'interruzione da parte di
una società delle trattative per la conclusione di un contratto di collaborazione professionale. In tale fattispecie il danno ingiusto viene ravvisato non nella lesione della credibilità, buon nome ed avviamento professionale dell'attore (ritenuta non sussistente, in considerazione della diffusione
tempestiva dell'avviso di rettifica) ma del diritto all'integrità del proprio patrimonio che, come abbiamo riferito, se è stato di recente avvalorato dalle Sezioni Unite, è comunque diritto di mera creazione giurisprudenziale, che non ha mancato di sollevare perplessità, tanto da essere definito un marchiano errore giuridico da P.G. MONATERI, Responsabilità extracontrattuale, fattispecie, in Riv.
dir. civ., 1994, II, 720 e relativamente al quale, oltre agli autori citati alla nota 31, è possibile riassuntivamente consultare A. THIENE, Uso giurisprudenziale del diritto all'integrità del patrimonio, in
Nuova giur. civ. comm., 2000, II, p. 34 ss.. Essendo risultato dalle prove testimoniali esperite che le
trattative erano cadute in conseguenza del protesto, del tutto indipendentemente dalle probabilità di pervenire all'accordo finale ed al contratto, la Corte risarcisce la "possibilità" di continuare le trattative, che viene ritenuta sussistere in concreto in misura rilevante. Ravvisano una lesione del
diritto all'integrità del patrimonio: Cass., 13 dicembre 2001, in Danno e resp., 2002, 393 ss., con Il
commento di A.L. BITETTO; C. conti reg. Lombardia, sez. giurisd., 13 marzo 1998, n. 436, in Riv. Corte
conti, 1988, 166, la quale afferma che il danno erariale può anche consistere nella perdita di chance;
Pret. Torino, 23 maggio 1997, in Danno e resp., 1998, 277, con nota di P. LAGHEZZA, Pagine gialle e
lesione del diritto all'integrità del patrimonio, circa i danni derivanti dall'erronea pubblicazione, in una
inserzione delle Pagine gialle, del numero telefonico attribuito ad una attività commerciale riguardante altra azienda. Nega che sia configurabile un diritto al risarcimento del danno da perdita
di chance quando non sia ravvisabile la violazione di un diritto soggettivo, ma di una mera
aspettativa, come quella del beneficio al prepensionamento, Cass., sez. lav., 14 aprile 1999, n.
3714.
(42) P.G. ALLEVA, Il campo di applicazione dello statuto dei lavoratori, Milano, 1980, 217, rileva che in
tema di concorsi privati il rispetto dell'impegno ad effettuare la procedura con l'osservanza delle
modalità stabilite è per il datore di lavoro materia di vincolo giuridico, tanto che non si pone il problema dell'individuazione di posizioni giuridicamente garantite.
(43) Nella fattispecie decisa da Cass., 7 maggio 1998, n. 4619, in questa Rivista, 1998, 1395, con
nota di M. LIO, Disservizi postali e perdita di chance tra responsabilità contrattuale e responsabilitàaquiliana delle Poste, l'attrice, risultata vincitrice di un pubblico concorso, conveniva in
giudizio l'Amministrazione postale che aveva recapitato in ritardo e non più in tempo utile la raccomandata con la quale veniva richiesta ulteriore documentazione a pena di decadenza
dall'assunzione. La Corte ha ritenuto che l'Amministrazione sia incorsa in una responsabilità di natura contrattuale e quindi ha limitato il risarcimento all'indennità stabilita dal D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, pari a 10 volte il diritto fisso di raccomandazione, senza ravvisare una concorrente
responsabilità di natura extra contrattuale; per una analoga fattispecie di mancata partecipazione ad un concorso dovuta al ritardo della comunicazione della data della prova scritta, cfr. Trib. Termini
Imarese, 10 maggio 1999, in Giur. it., 1999, I, 2073, con nota di T. TORRESI, Il "danno da perdita di
chance" tra contratto e torto: diritto all'integrità patrimoniale? Danno meramente patrimoniale?
(44) Cfr. Cass., sez. lav., 19 dicembre 1985, n. 6506, cit., la quale, pur riconoscendo che alla base
della pretesa risarcitoria fatta valere vi era la lesione di un diritto soggettivo, si preoccupa di
rafforzare l'ingiustizia del comportamento dannoso ravvisando "in ogni caso" una lesione del diritto
all'integrità del proprio patrimonio; Trib. Torino, 29 febbraio 1996, in Giur. piem., 1997, 239, che in
una fattispecie di concorrenza sleale ed in particolare di storno di clientela ritiene non sia
ammissibile il risarcimento del danno da perdita di chance perché non si ha chance risarcibile se
l'interesse di giocarsi la probabilità è di mero fatto; A. PONTECORVO, La responsabilità per perdita di chance, in Giust. civ., 1997, II, 455, che identifica la perdita dell'occasione favorevole con l'evento
lesivo; F. GHISIGLIERI, Risarcimento del danno e perdita di chance, in Nuova giur. civ. comm., 1991, II,
141, per il quale il risarcimento del danno per perdita di una chance viene concesso solo nel caso in
cui sia vanificata un'aspettativa legittima e non un'aspettativa di mero fatto; F. PECCENINI, La
perdita di chance, in P.G. MONATERI, Il danno alla persona, Torino, 2000, 176, secondo il quale la
chance è per l'appunto una aspettativa legittima e concreta di un futuro vantaggio patrimoniale; L. IMPECIATI, Danno morale: configurabilità e risarcimento nei confronti della pubblica amministrazione, in
Trib. amm. reg., 1994, II, 105, per il quale con la perdita di chance si manifesta un danno cagionato
da un comportamento che, almeno formalmente, sfugge ai canoni di tipicità dell'art. 2043 e dell'art. 2059; E.M. BARBIERI, Riflessioni sul risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, in Riv. it. dir.
pubb. com., 1992, II, 739; Sez. un. civ., 5 marzo 1993, n. 2667, in Giur. it., 1994, I, 1, 768, con nota
di A.M. MUSY, "Aspettative minori".
(45) In tal senso C.M. BIANCA, Dell'inadempimento delle obbligazioni, cit., p. 246 ss., in particolare
note 6 e 8, che rileva come ciò valga anche per l'inadempimento, rispetto al quale non tutte le conseguenze dannose possono qualificarsi come costitutive della fattispecie della mancata o
difettosa esecuzione del rapporto obbligatorio; F. MASTROPAOLO, voce Danno (Risarcimento del
danno), cit., 12, il quale osserva che la vittoria in una causa costituisce una probabilità, non di puro fatto, ma dipendente dal diritto che il cliente ha alla prestazione del professionista. A. GAMBINO,
L'assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964, 204, il quale avverte che il concetto di
aspettativa giuridica ha significato e portata del tutto diversi dalla generica aspettativa di fatto
(spes) di un bene futuro, che pure può essere per qualche riflesso rilevante per l'ordinamento giuridico: come nella determinazione del danno risarcibile ove assume rilievo la speranza di
guadagno, apprezzata per quanto è fondatamente prevedibile sulla base di una normale successione di eventi (artt. 1223 e 2056 c.c.). Ciò vale anche per il risarcimento del danno da lucro cessante che viene ritenuto risarcibile indipendentemente dal diritto che il danneggiato abbia o
meno di percepire il lucro, cfr. AL. GRAZIANI, Appunti sul lucro cessante, in Studi di dir. civ. comm.,
Napoli, 1953, 296 ss. (giàpubblicato negli Annali dell'Istituto giuridico dell'Università di Perugia, VII e
VIII, 1923-4); M. BOCCHIOLA, Perdita di una "chance" e certezza del danno, cit., 67 ss.
(46) G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999, 545, rileva che la nozione di
perdita di chance serve a far penetrare nella posta di danno patrimoniale risarcibile un pregiudizio
che spesso è incerto e cioè collegato non in modo certo, ma soltanto probabile, con l'evento dannoso.
(47) La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell'affermare che il danno non deve ritenersi
meno di percepire il lucro, cfr. AL. GRAZIANI, Appunti sul lucro cessante, in Studi di dir. civ. comm.,
Napoli, 1953, 296 ss. (giàpubblicato negli Annali dell'Istituto giuridico dell'Università di Perugia, VII e
VIII, 1923-4); M. BOCCHIOLA, Perdita di una "chance" e certezza del danno, cit., 67 ss.
(46) G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999, 545, rileva che la nozione di
perdita di chance serve a far penetrare nella posta di danno patrimoniale risarcibile un pregiudizio
che spesso è incerto e cioè collegato non in modo certo, ma soltanto probabile, con l'evento dannoso.
(47) La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell'affermare che il danno non deve ritenersi
risarcibile nei casi di mera possibilità di guadagno. Discusso è tuttavia se il lucro cessante sia risarcibile anche quando vi sia solo la probabilità di conseguirlo o invece se chi pretende il risarcimento del danno debba provare che il lucro si sarebbe sicuramente verificato (tesi
quest'ultima che si richiama al principio della certezza del danno). In giurisprudenza prevale oramai
la tesi meno rigorosa, secondo la quale l'utilità patrimoniale deve ritenersi risarcibile quando sarebbe stata conseguita secondo un giudizio di probabilità, così Cass., 18 aprile 2000, n. 5014, in Dir. e prat. soc., 2000, 56; Cass., 22 febbraio 1991, n. 1908, in Foro it. Rep., 1991, voce Danni civili, n.
67.
(48) Secondo i noti principi della Differenztheorie, formulata da F. MOMMSEN, Zur lehre von dem
Interesse, Braunschweig, 1855, che definisce il danno patrimoniale in termini di differenza tra
l'ammontare del patrimonio del danneggiato in un certo momento storico (successivo all'illecito) e
quello che avrebbe avuto se l'illecito non si fosse verificato. Il confronto tra la situazione
patrimoniale effettiva e quella ipotetica implica che si debba tener conto di tutti gli eventi ipotetici
che si sarebbero verificati, in special modo in sede di valutazione del lucro cessante, cfr. G.
TEDESCHI, Il danno e il momento della sua determinazione, in Riv. dir. priv., 1933, 257.
(49) Infatti "certezza" potrebbe anche riferirsi al suo ammontare. Avverte la necessità di scindere le questioni attinenti al danno subito da quelle attinenti al risarcimento, P.G. MONATERI, La
responsabilità civile, cit., 312.
(50) È questa l'autorevole opinione espressa da G. PACCHIONI, Dei delitti e quasi delitti, in Dir. civ. it.,
II, Padova, 1940, 111, il quale ravvisa la giustificazione dell'opposta opinione, ricavabile dalla
dottrina e giurisprudenza francesi, nel fatto dell'ammettere la risarcibilità di qualsiasi danno morale. Contra E. BONASIBENUCCI, La responsabilità civile, Milano, 1955, 29, secondo il quale "non può negarsi a priori la risarcibilità di una possibilità di guadagno, di una chance, che può essere valutata in sé, a prescindere dal risultato finale, di esito eventualmente incerto, e nel suo intrinseco valore economico
diprobabilità". Nel senso che si sia in presenza di un danno patrimoniale quando le conseguenze
pregiudizievoli siano valutabili economicamente, secondo un criterio sociale tipico, senza che su di
questo incida la natura eventualmente non patrimoniale dell'interesse leso, M. FRANZONI, Dei fatti
illeciti, cit., 273, secondo il quale la qualificazione patrimoniale del danno sulla base di tale criterio
consente di poter desumere se esiste un danno certo e comunque consente di impiegare il criterio
equitativo per la sua liquidazione; C. SALVI, La responsabilità civile, cit., 46; ID., Il danno
extracontrattuale, cit., 104, per il quale la patrimonialità del danno non implica necessariamente una diminuzione di prezzo, di reddito, un esborso monetario da parte della vittima, ma piuttosto la
perdita o la mancata acquisizione di utilità o valori suscettibili, secondo una valutazione sociale tipica, che si riflette sul quantum risarcitorio, di commisurazione del danno; circa la nozione di danno
patrimoniale cfr. anche F.D. BUSNELLI-S. PATTI, Danno e responsabilità civile, cit., 3 ss.
(51) La critica è di R. SCOGNAMIGLIO, voce Risarcimento del danno, in Noviss. dig. it., XVI, Torino, s.d.,
ma 1969, 8, il quale osserva ulteriormente che la perdita di una chance costituisce un pregiudizio
attuale e che la difficoltà consiste semmai nel determinarne in modo attendibile l'entità.
(52) È assolutamente minoritaria l'opinione che ravvisa la presenza di un danno in ogni violazione di un diritto, cfr. A. DECUPIS, Il danno, cit., 623. Così, nel caso di ingresso abusivo nel fondo altrui risulterebbe sempre pregiudicato l'interesse del proprietario a conservare il bene per il proprio uso
esclusivo, caso questo che, qualora l'ingresso non abbia provocato danni materiali, si ritiene dia al
proprietario altri strumenti di tutela, in special modo azioni inibitorie, che hanno proprio la funzione
di evitare che un danno si possa verificare. La mancanza di danno si può configurare anche nei casi di responsabilità contrattuale; si pensi alla mancata esecuzione da parte del mandatario della rinnovazione della formalità ipotecaria quando il grado di detta ipoteca non avrebbe in ogni caso assicurato un riparto al creditore, l'esempio è tratto da V. POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile
italiano, I, Roma, 1915, II ed., 584; cfr. altresì, Cass., 3 novembre 1994, n. 9039, secondo la quale: "Il principio secondo cui alla mancata cancellazione dell'ipoteca consegue il diritto del debitore al
risarcimento del danno il quale è "in re ipsa" e trova la sua causa diretta ed immediata nella situazione
illegittima posta in essere dal creditore si riferisce esclusivamente all'"an debeatur", che presuppone
soltanto l'accertamento di un fatto potenzialmente dannoso, in base ad una valutazione anche di
probabilità o di verosimiglianza, mentre la prova di un concreto pregiudizio economico è riservata alla fase successiva di determinazione e liquidazione, che nonpreclude al giudice di negare la sussistenza stessa
del danno"; F.D. BUSNELLI, La lesione del credito, cit., avverte che una componente della fattispecie di
cui all'art. 2043 è il danno inteso come pregiudizio economico e non esclusivamente inteso come lesione di un interesse giuridicamente protetto; C. SALVI, La responsabilità civile, cit., 6, osserva che
nell'ambito delle tecniche di tutela civile la responsabilità si caratterizza per la centralità che vi assume il danno. P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit., 321-322, rileva che tutela inibitoria e
responsabilità civile hanno scopi inversi; quest'ultima mira infatti a permettere le azioni illecite, che, tuttavia, vengono rese costose. In generale, U. MATTEI, Tutela inibitoria e tutela risarcitoria, Milano,
1987. Cfr. inoltre, per una sintesi delle varie tesi proposte in dottrina, sotto la vigenza del codice del
1865, circa l'essenzialità del danno ai fini della sussistenza dell'illecito aquiliano, R. ROVELLI, La
responsabilità civile da fatto illecito, Torino, 1964, 80.
(53) Cfr. p. 307 e nota n. 41.
(54) L'insegnamento è di P. TRIMARCHI, Causalità e danno, cit., 52, il quale, avvertita l'insufficienza
dell'art. 1223 a determinare l'estensione del danno risarcibile, sottolinea come la determinazione di
tale ambito debba muovere dalla funzione della responsabilità civile.
(55) Cfr. C. SALVI, La responsabilità civile, cit., 29 ss. e 243 ss., secondo il quale la funzione
compensativa, in quanto propria del risarcimento, è l'unica che caratterizza sempre e comunque la responsabilità per danno patrimoniale.
(56) Le parole sono di G. TEDESCHI, Il danno e il momento della sua determinazione, cit.,264. Cfr.
altresì P. TRIMARCHI, Causalità e danno, cit., 9; C. SALVI, voce Risarcimento, in Enc. Dir., Milano, s.d.,
ma 1989, 1087, il quale sottolinea la diversità con il danno di natura non patrimoniale; A. PINORI-E.
CORRADI, Il principio della riparazione integrale dei danni, in Risarcimento del danno contrattuale ed
extracontrattuale, a cura di G. Visintini, Milano, 1999, 41. Per un'analisi dei criteri che permettono di
distinguere fin dove arriva il risarcimento e dove comincia il lucro, si veda, G. VALCAVI, Indennizzo e
lucro del creditore nella stima del danno, in Quadr., 1986, 681 ss.
(57) Secondo il noto principio della compensatio lucri cum damno, del quale è difficile incontrare delle concrete applicazioni, come evidenziato da M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit., 799 e, recentemente da
P.G. MONATERI, Gli usi e la ratio della compensatio lucri cum damno. È possibile trovarne un senso?, in
Quadr., 1990, 377. In giurisprudenza, Cass., 17 luglio 1999, n. 7612, in Danno e resp., 516, con nota
di A.F. SALVATORE. In forza di tale principio si ritengono rilevanti soltanto i vantaggi collegati
causalmente con l'evento che ha provocato danno e non i vantaggi indiretti, mentre si discute se si
debba tenere conto dei vantaggi in concreto realizzati od in astratto realizzabili, come nel caso in cui
il bene leso abbia un valore residuo che il danneggiato non abbia di fatto sfruttato. Nel senso di una
valutazione di tipo astratto cfr. PATTI, voce Danno patrimoniale, in Dig. civ., V, Torino, 2001 (rist.),
105, il quale argomenta dalla regola secondo la quale non sono risarcibili i danni che il creditore
avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (art. 1227, comma II, c.c.)
(58) Così, in tema di liquidazione equitativa, C.M. BIANCA, Dell'inadempimento delle obbligazioni, cit.,
394, il quale, partendo dalla premessa che tale liquidazione esige la dimostrazione della certezza
del danno, ritiene che essa consista nella prova di un evento lesivo normalmente fonte di danni.
(59) In tal senso P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit., 277. Secondo M. FRANZONI, Dei fatti
illeciti, cit., 820, in tali casi la certezza del danno non si riferisce al rapporto di causalità desumibile dall'interpretazione dell'art. 1223, bensì ad una più ampia definizione della patrimonialità del danno; P. ZIVIZ, Alla scoperta del danno esistenziale, in Scritti in onore di R. Sacco a cura di P. Cendon, Milano,
1994, 1325, ritiene che, una volta dimostrata l'esistenza della lesione di determinate situazioni
soggettive (salute psichica, onore, lavoro, salubrità ambientale) sia opportuno far capo ad un sistema fondato su un largo utilizzo di automatismi presuntivi, in forza del quale possono venire
date per scontate tendenzialmente tutta una serie di conseguenze dannose (essenzialmente quelle
che riflettono una compromissione della sfera relazionale del danneggiato). In giurisprudenza:
illeciti, cit., 820, in tali casi la certezza del danno non si riferisce al rapporto di causalità desumibile dall'interpretazione dell'art. 1223, bensì ad una più ampia definizione della patrimonialità del danno; P. ZIVIZ, Alla scoperta del danno esistenziale, in Scritti in onore di R. Sacco a cura di P. Cendon, Milano,
1994, 1325, ritiene che, una volta dimostrata l'esistenza della lesione di determinate situazioni
soggettive (salute psichica, onore, lavoro, salubrità ambientale) sia opportuno far capo ad un sistema fondato su un largo utilizzo di automatismi presuntivi, in forza del quale possono venire
date per scontate tendenzialmente tutta una serie di conseguenze dannose (essenzialmente quelle
che riflettono una compromissione della sfera relazionale del danneggiato). In giurisprudenza:
Cass., 7 giugno 2000, n. 7713, in questa Rivista, 2000, 923, con nota di P. ZIVIZ; in Foro it., 2001, I,
187, con nota di A. D'ADDA, che ha riconosciuto il danno esistenziale o alla vita di relazione del
minore cui il padre aveva per anni fatto mancare il contributo al mantenimento (poi versato, anche
se tardivamente) affermando "È poi del pari innegabile che la lesione didiritti siffatti" [diritti
fondamentali della persona] "collocati al vertice della gerarchia dei valoricostituzionalmente garantiti,
vada incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno-evento) indipendentemente
dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno-conseguenza); Tribunale di
Roma, 20 marzo 1987, in questa Rivista, 1988, 85, con nota di C. VACCÀ, Concorsi universitari:
l'importante non è partecipare ... candidato in falsa luce e diritto al risarcimento, discussa da P.G.
MONATERI, Risarcimento e danno presunto: verso una teoria dei general damages in diritto italiano, in
Quadr., 1990, 24 ss. e da BUSNELLI, La parabola della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1988,
663, il quale rileva come il danno si risolvesse nella lesione di valori di libertà e dignità individuali. Del pari significative sono le pronunce giurisprudenziali in tema di lesione dell'onore e reputazione
causata da un protesto illegittimo: Cass., 3 aprile 2001, n. 4881 e Cass., 10 maggio 2001, n. 6507,
in questa Rivista, 2001, 1176 ss., con note di S. PERON, Illegittima levata del protesto, conseguenze e
prova del danno alla reputazione personale e commerciale (1198) e P. ZIVIZ, I "nuovi danni" secondo la
Cassazione, ivi, 1203 ss.; in tali pronunce si trova affermato che la prova della lesione della
reputazione personale comporta anche la prova della riduzione o della perdita del relativo valore,
cosicché la distinzione ontologica tra lesione del valore e consequenziale perdita o diminuzione della stessa rimarrebbe ferma, assumendosi soltanto che, provata la prima, risulta provata anche la
seconda; Cass., 5 novembre 1998, n. 11103, in Banca borsa tit. cred., 2000, II, 35, per la quale il
discredito derivante da un protesto illegittimo incide sull'onore e reputazione del debitore come
persona, con un danno che è in re ipsa e che dovrà dunque essere risarcito senza che sul danneggiato incomba l'onere della prova; diversamente quando si lamenti la lesione della
reputazione commerciale, ritenuta semplice indizio dell'esistenza di un danno risarcibile; Trib. Milano,
8 giugno 2000, che in caso di illegittima levata di un protesto ritiene risarcibile il danno esistenziale
subito dalla vittima, in questa Rivista, 2000, 923, con nota di P. ZIVIZ, Continua il cammino del danno
esistenziale; Trib. Milano, 28 settembre 1989, in Banca borsa tit. cred., 1991, II, 495 con nota di V.
ZENO-ZENCOVICH, Considerazioni sul danno da protesto illegittimo, il quale ha ritenuto che l'erronea
levata di un protesto sia da ritenersi lesiva della dignità e del prestigio del danneggiato e che da essa derivi comunque un danno risarcibile, da considerare come danno materiale e non morale, pur
non comportando necessariamente una diminuzione della sfera patrimoniale.
(60) Si parla di pena privata quando l'obbligo per un soggetto di corrispondere una determinata
somma di denaro ad un altro soggetto ha una funzione esclusivamente o prevalentemente
sanzionatoria, che si giustifica per il valore particolarmente alto del bene colpito. Tale sanzione
rimane all'interno del sistema della responsabilità civile quando la misura dell'obbligo risarcitorio non oltrepassa la frontiera del danno; ne è al di fuori quando la misura della riparazione è svincolata dalla componente economica del danno, come precisa P. CENDON, Pena privata e diffamazione, in Pol.
dir., 1979, 152, il quale propone di utilizzare lo strumento della pena privata per migliorare la
reazione civilistica contro la diffamazione. La possibilità che, attraverso una pena privata, venga garantita una riparazione la cui misura supera l'entità del danno arrecato, consentirebbe di riversare al danneggiato anche gli arricchimenti realizzati mediante il fatto ingiusto, quantomeno in
presenza di fattispecie dolose. Per una trattazione generale del tema si vedano: R. SACCO,
L'arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto, Torino, 1959; P. TRIMARCHI, L'arricchimento senza
causa, Milano, 1962; P. GALLO, L'arricchimento senza causa, Padova, 1990. Sul tema della pena
privata si vedano: P. GALLO, Pene private e responsabilità civile, Milano, 1996, cit.; G. BONILINI, Il
danno non patrimoniale, Milano, 1983, 272 ss. e, ID., Pena privata e danno non patrimoniale, in Le pene
private, a cura di F.D. BUSNELLI e G. SCALFI, Milano, 1985, 301 ss. ove gli ulteriori contributi (ci
limitiamo a menzionare quelli in tema di responsabilità civile) di: P. CENDON, Responsabilità civile e pena privata, 293 ss.; A. DECUPIS, Sul tema del danno e del risarcimento, 321 ss.; C. SALVI,
Risarcimento del danno extracontrattuale e "pena privata", 325 ss.; U. MAJELLO, Pena privata e
responsabilità civile, 331 ss.; D. POLETTI, L'art. 2059 come ipotesi di sanzione puntiva?, 335 ss.
(61) P. MASTROPAOLO, voce Danno (Risarcimento del danno), cit., 12, osserva come sembri nascere
un aporia tra la probabilità del lucro realizzabile e l'esigenza che il danno sia certo, dal momento che il lucro mancato proprio per effetto dell'illecito non può più realizzarsi.
(62) Secondo la teoria economica il valore di ogni bene capitale è pari al valore scontato di tutto il reddito futuro che da esso si spera di trarre. Quando pertanto un evento distrugge una entità patrimoniale, non avrebbe senso dire che esso produce un danno emergente ed inoltre che viene
ad impedire l'incremento patrimoniale che da quella entità si sarebbe potuto ritrarre. Così il proprietario di un cavallo da corsa non potrà ottenere a titolo di danno i proventi delle probabili future vincite dell'animale, perché il valore della chance è già contenuto nel valore commerciale del cavallo. L'osservazione è di M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit.,825, con riferimento alla fattispecie
decisa da Trib. Napoli, 21 maggio 1986, in questa Rivista, 1986, 568.
(63) È questa la conclusione di AL.GRAZIANI, Appunti sul lucro cessante, cit., 262, il quale facendo
applicazione dell'esposto criterio ritiene che la perdita dell'avviamento sia da considerarsi danno da
lucro cessante. In senso contrario M. BOCCHIOLA, Perdita di una "chance" e certezza del danno, cit.,
97. Ritengono che la perdita di chance sia fenomeno assimilabile alla perdita dell'avviamento
commerciale, G. ALPA, Resp. civ. e danno, cit., 207; Cass., 19 novembre 1983, n. 6906, cit.; in senso
contrario,M. ROSSETTI, Il danno da perdita di chance, cit., 673, secondo il quale la perdita
dell'avviamento costituisce un danno futuro, ma certo; la perdita di chance un danno solo eventuale.
(64) In tal senso G. TEDESCHI, Il danno e il momento della sua determinazione,cit., 259; G. VISINTINI,
Trattato breve della resp. civ., cit., 544-545.
(65) È il criterio introdotto dalla teoria c.d. della causalità adeguata, formulata dal fisiologo tedesco von Kries, che considera causa la condotta umana che, oltre ad essere condicio sine qua non, risulta
altresì, secondo un giudizio ex ante, rapportato al momento della condotta stessa, adeguata,
proporzionata all'evento: cioè idonea a determinare l'effetto secondo l'id quod plerumque accidit, cfr.
F. MANTOVANI, Diritto penale, 2001, IV ed., 149 e generalmente accolto dalla giurisprudenza. A
posteriori è invece il giudizio che deve formularsi per la determinazione del danno risarcibile, che deve tenere conto delle possibili cause alternative ipotetiche, sulle quali vedi infra, § 6.
(66) Come è noto non vi è unanimità di vedute circa il significato da attribuire all'art. 1223 del codice civile. Si riconosce, nonostante la formulazione letterale della norma, che anche i danni c.d. mediati e
indiretti sono risarcibili e ciò, tra l'altro, anche per la previsione della risarcibilità del danno da lucro cessante che è sempre una conseguenza mediata. Differenti sono invece i criteri proposti per determinare i limiti del danno risarcibile, secondo il principio di causalità giuridica (per alcuni, termine improprio e fonte di equivoci) che seleziona i danni giuridicamente rilevanti, ovvero individua il danno
patrimoniale risarcibile. Ulteriormente discusso è se il nesso di causalità abbia una duplice funzione: causalità materiale o di fatto per imputare al soggetto, in concorso con altri fattori, l'evento dannoso; causalità giuridica rispetto alle conseguenze dannose ulteriori, per stimare il danno patrimoniale (secondo la nota distinzione di G. GORLA, Sulla cosiddetta causalità giuridica: "fatto dannoso e conseguenze", in Studi in onore di A. Cicu, II, Milano, 1951, 438), salvo poi offrire diverse
soluzioni per l'accertamento, nei casi dubbi, dell'uno o dell'altro nesso di causalità. Per una analisi delle varie teorie proposte, cfr. C.M. BIANCA, Dell'inadempimento delle obbligazioni, cit., 249 ss.; M.
FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit., 84 ss. Ritiene invece che tra fatto e danno non possa correre una
relazione causale, esprimendo il danno una qualità o modo di essere del fatto, F. CARNELUTTI,
Perseverare diabolicum, in Foro it., 1952, IV, 99.
(67) Il danno è certo quando è in rapporto di causalità con il suo fatto produttivo, in tal senso P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit., p. 281; M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit., 762 e 817, per il
quale il danno diviene certo ed attuale quando, mediante il criterio della causalità giuridica, lo si trasforma da mera perdita economica ad evento rilevante per il diritto.
(68) L'osservazione è tratta sempre dal lavoro di AL.GRAZIANI, Appunti sul lucro cessante, cit., 293
ed è condivisa da M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit.,823, secondo il quale la prova che va data, ai fini
relazione causale, esprimendo il danno una qualità o modo di essere del fatto, F. CARNELUTTI,
Perseverare diabolicum, in Foro it., 1952, IV, 99.
(67) Il danno è certo quando è in rapporto di causalità con il suo fatto produttivo, in tal senso P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit., p. 281; M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit., 762 e 817, per il
quale il danno diviene certo ed attuale quando, mediante il criterio della causalità giuridica, lo si trasforma da mera perdita economica ad evento rilevante per il diritto.
(68) L'osservazione è tratta sempre dal lavoro di AL.GRAZIANI, Appunti sul lucro cessante, cit., 293
ed è condivisa da M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit.,823, secondo il quale la prova che va data, ai fini
della certezza del danno, non riguarda il lucro in sé, bensì i presupposti affinché esso si determini. Ritiene che il rapporto di causalità possa anche essere accertato con riferimento ad eventi negativi F. REALMONTE, Il problema del rapporto di causalità nel risarcimento del danno, Milano, 1967, 94.
(69) Cfr. Trib. Roma, 22 aprile 1998, in Giur. rom., 1998, 211, secondo il quale la perdita di una
chance rappresenta l'annullamento di un presupposto causale necessario per il conseguimento del
risultato sperato.
(70) Ritengono che la perdita di chance rientri nel quadro del lucro cessante F. MASTROPAOLO, voce
Danno (risarcimento del danno), cit., 12; G. VISINTINI, Trattato breve della resp. civ., cit., 545, nella
misura in cui si tratta di danno proiettato nel futuro. Nel senso che abbia diritto al risarcimento del
danno da lucro cessante, per perdita di chance, il lavoratore che non venga utilizzato per le
mansioni per le quali era stato assunto (annunciatore televisivo) perdendo in tal modo la possibilità di acquisire ulteriori occasioni di lavoro, Pret. Roma, 30 aprile 1986, in Nuovo dir., 1986, 991, con
nota di M. TATARELLI, Esercizio illegittimo dello ius variandi e risarcimento dei danni da dequalificazione
professionale. Per una rassegna recente delle diverse opinioni dottrinali e giurisprudenziali, cfr. A.
BALDASSARI, Il danno patrimoniale, in Enciclopedia, collana diretta da P. Cendon, Padova, 2001, 177
ss.
(71) Così M. BOCCHIOLA, Perdita di una "chance" e certezza del danno, cit., 86, secondo il quale anche
la dottrina francese, pur non facendo uso del termine danno emergente vi farebbe implicito
riferimento nel sostenere che la perdita di una chance costituisce un danno certo ed attuale; P.G.
MONATERI, Manuale della responsabilità civile, Torino, 2001, 185, per il quale la perdita di chance è un capo autonomo di danno, con cui si fa riferimento alla perdita attuale di un miglioramento
patrimoniale futuro e possibile; A. PONTECORVO, La responsabilità per perdita di chance, cit., 447 ss.,
per il quale la chance di conseguire un vantaggio patrimoniale costituisce un bene giuridico tutelabile
che integra il patrimonio del creditore e la sua lesione configura un perdita, piuttosto che un
mancato guadagno; Cass., 13 dicembre 2001, n. 15759, cit.; Cass., 19 novembre 1983, n. 6906, cit.,
la quale afferma che la possibilità di conseguire un risultato utile esisteva nel patrimonio del danneggiato al momento del compimento dell'illecito; Cass., 19 novembre 1985, cit.; Trib. Monza, 21
febbraio 1992, cit.; Trib. Roma 28 ottobre 1999, cit.
(72) P.G. ALLEVA, Il campo di applicazione dello statuto dei lavoratori, cit., 220, rileva che la possibilità del conseguimento di un vantaggio patrimoniale è l'oggetto specifico delle norme collettive che prevedono e regolano le procedure concorsuali di avanzamento di carriera; P. FORCHIELLI, Il
rapporto di causalità nell'illecito civile, Padova, 1960, 106, n. 38, osserva, relativamente ai casi
giurisprudenziali di perdita dei tagliandi da parte dei ricevitori della scommesse, che tra gli obblighi
contrattualmente assunti da questi ultimi rientra innegabilmente anche la garanzia della chance.
(73) Le considerazioni esposte nel testo sono svolte da A. DECUPIS, Il danno, cit., 301-302 il quale
esclude il diritto al risarcimento per un caso limite, caratterizzato cioè dalla mera sorte, quello della morte di un soggetto che giocava abitualmente al lotto, provocata da un terzo. Come, all'opposto, il
danno dovrà essere sicuramente risarcito quando si accerti che l'àlea avrebbe giocato in modo del tutto favorevole, come nella fattispecie decisa da Trib. Alessandria, 10 agosto 1959, in Giur. it.,
1961, I, 2, 1224, che condanna il ricevitore di un gioco concorso pronostici che aveva, con il proprio
comportamento colposo, impedito al danneggiato di partecipare al gioco con una schedina
sicuramente vincente e determina il danno in base all'ammontare del premio che il soggetto avrebbe
ricevuto risultante dalla divisione del montepremi per il numero dei vincitori, aumentato di una unità. Ritiene che le preoccupazioni esposte nel testo siano infondate, M. BOCCHIOLA, Perdita di una
"chance" e certezza del danno, cit., 98 ss., per il quale tali rilievi muoverebbero da un ragionamento di
carattere prettamente economico, mentre la perdita di chance deve ritenersi un danno emergente.
(74) R. SAVATIER, Traité de responsabilité civile en droit français, II, Paris, 1951, II èd., 11, nel fare l'esempio del cavallo al quale viene impedito di partecipare o terminare una competizione, non
distingue tra fonte contrattuale della responsabilità (la colpa dell'Ente ferrovie, S.N.C.F.) e fonte extracontrattuale (il calcio di un altro cavallo) ma per entrambe le ipotesi rileva che: "Les tribunaux
refusent logiquement au propriétaire l'indemnità à laquelle il eût pu prétendre, s'il avait été sûr de gagner la course. Mais ils doivent normalement reconnaître, à sa chance de gagner lacourse, une valeur
justifiant une indemnité ".
(75) Così M. BOCCHIOLA, Perdita di una "chance" e certezza del danno, cit., 101, che sviluppa la
proposta di P. CALAMANDREI, Limiti di responsabilità del legale negligente, in Riv. dir. proc. civ., 1931,
II, 267, il quale, per accertare le probabilità di vittoria del cliente cui viene impedito di proporre appello a causa del comportamento negligente del difensore, proponeva di far ricorso alla statistica
giudiziaria, per accertare se, prima del verificarsi dell'evento dannoso, esisteva una entità avente un certo contenuto patrimoniale positivo; M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit.,824; Cass., 19 dicembre
1985, n. 6509, cit., la quale rileva che soltanto 24 dei concorrenti su 91 non avevano superato la
prova orale da cui era stato illegittimamente escluso il candidato e quindi che oltre il sessanta per
cento dei partecipanti lo aveva superato; Trib. Cosenza, 10 dicembre 1987, in Foro it., 1988, I, 956,
secondo il quale mancando una rilevante probabilità (possibilità superiore al 50%) viene a difettare la stessa esistenza di un danno risarcibile; Trib. Torino, 16 febbraio 1998, in Giur. it., 2000, I, 1, 320.
(76) Esattamente A.M. PRINCIGALLI, Quando è piì sì che no: perdita di "chance" come danno risarcibile,
cit., rileva che "il quantum del risarcimento per la chance perduta è cosa diversa dalla prova della sua esistenza" [e] "che non si può far dipendere la certezza del danno dalla maggiore o minore probabilità diottenere il risultato sperato"; O. MAZZOTTA, Problemi giuridici del lavoro bancario, Padova, 1987,
osserva che è necessario distinguere, sul piano logico, il problema della esistenza del danno da quello della sua quantificazione, diversamente risultando fortemente limitata la possibilità di impiego della tecnica risarcitoria basata sul riconoscimento del danno da perdita di chance.
(77) In tal senso, coerentemente, A. DECUPIS, Il risarcimento della perdita di una chance, cit., 1183;
G. ALPA-M. BESSONE-V. ZENOZENCOVICH, I fatti illeciti, cit., 222, secondo i quali una
percentualizzazione del diritto è di dubbio fondamento, rilevando semmai nella successiva fase della liquidazione del danno; M. ROSSETTI, Il danno da lesione alla salute: biologico-patrimoniale-morale,
Padova, 2001, 1054; C. ZOLI, La giurisprudenza sui concorsi privati, cit.,44, per il quale l'esiguità della chance dovrebbe indurre il giudice a liquidare una somma ridotta o puramente simbolica; P.G.
ALLEVA, Il campo di applicazione dello statuto dei lavoratori, cit., 221, secondo il quale la "certezza" del
danno dovrebbe logicamente coincidere con la sua quantificazione nel minimo assoluto; ogni
ulteriore maggiorazione del lucro perduto dovrebbe essere risarcita ex art. 1226 come perdita di
chance; D. PIERGROSSI, Responsabilità precontrattuale, risarcimento del danno e perdita di chance,
nota a Cass., sez. lav., 25 febbraio 1994, n. 1897, in Riv. giur. lav. prev. soc., 1994, II, 1012.
Accolgono tale prospettiva: Cass., sez. lav., 22 aprile 1993, n. 4725, in Diritto e prat. lav., 1993,
1775, secondo cui "il danno risarcibile al lavoratore va ragguagliato alla probabilità di conseguire un risultato utile al qual fine è sufficiente la ragionevole certezza dell'esistenza di una non trascurabile probabilità favorevole (non necessariamente superiore al 50%)..."; Cass., sez. lav., 13 giugno 1991, n.
6657, in Riv. giur. lav. prev. soc., 1991, II, 424, con nota di F. DOUGLASSCOTTI, Ancora sui limiti ai
poteri privati nell'esercizio dell'impresa; Cass., sez. lav., 7 marzo 1991, n. 2368, in Foro it., 1991, I,
1793, con nota di G. DEMARZO, Purché non siano percentuali:perdita di "chance" e "quantum" del
danno risarcibile. Secondo la giurisprudenza francese la chance per essere risarcibile deve essere
"réelle et sérieuse". Essa viene data generalmente per esistente quando l'attore si sia già attivato per mettere a profitto le sue possibilità: "le demandeur est en train de courir sa chance".
Diversamente quando l'attore non stia ancora sfruttando la possibilità di cui lamenta di essere stato privato. Per valutare la serietà della chance i tribunali richiedono allora un nuovo elemento: la
prossimità del momento nel quale la speranza venuta meno avrebbe potuto realizzarsi. Più questo momento è lontano, piè è verosimile che circostanze esterne ne avrebbero impedito la realizzazione. Tale criterio viene impiegato nei casi in cui si lamenta l'impossibilità di accedere ad una professione o la perdita del diritto agli alimenti futuri, come riferisce G. VINEY, Les obligations. La
responsabilité:conditions, cit., 347, con ampi richiami giurisprudenziali.
(78) Ad esempio assumendo come parametro le retribuzioni percipiende e non percepite, con un
coefficiente di riduzione che dovrebbe tenere conto del grado di possibilità di conseguirle, in tal privato. Per valutare la serietà della chance i tribunali richiedono allora un nuovo elemento: la
prossimità del momento nel quale la speranza venuta meno avrebbe potuto realizzarsi. Più questo momento è lontano, piè è verosimile che circostanze esterne ne avrebbero impedito la realizzazione. Tale criterio viene impiegato nei casi in cui si lamenta l'impossibilità di accedere ad una professione o la perdita del diritto agli alimenti futuri, come riferisce G. VINEY, Les obligations. La
responsabilité:conditions, cit., 347, con ampi richiami giurisprudenziali.
(78) Ad esempio assumendo come parametro le retribuzioni percipiende e non percepite, con un
coefficiente di riduzione che dovrebbe tenere conto del grado di possibilità di conseguirle, in tal senso Cass., 19 dicembre 1985, n. 6506 cit. Non cade in tale contraddizione M. FRANZONI, Dei fatti
illeciti, cit., 824, il quale specifica che la probabilità di realizzazione del risultato utile non attiene ai criteri per determinare e liquidare il danno, dal momento che l'oggetto del risarcimento non è dato dall'equivalente monetario del risultato non conseguito. Attiene invece alla sussistenza stessa
dell'evento di danno che, solo a queste condizioni, potrà essere successivamente determinato e liquidato.
(79) A.M. PRINCIGALLI, Quando è piì sì che no: perdita di "chance" come danno risarcibile, cit., 385,
osserva che "con l'espressione "perdita di una possibilità favorevole" non si fa riferimento ad un danno distinto da quello finale, si descrive solo una sequenza causale. Il danno finale: non aver vinto il concorso,
deriva anche dal fatto che al candidato è stato impedito di sostenere la prova. Il problema della risarcibilità della possibilità perduta è pertanto strettamente legato alla sua misura, una volta che sia data la prova chesussistevano le possibilità favorevoli"; A.M. PACCES, Competizioni automobilistiche: nuovo terreno
fertile per il risarcimento delle chances perdute?, cit., 447, rileva che la chance non ha un utilità in sé ma è utile solo in quanto viene realizzata; Trib. Roma, 22 aprile 1998, cit., 211, che argomenta dall'emptio spei, contratto che non ha ad oggetto una speranza ma un bene futuro; allo stesso
modo, quando si perde una chance, il danno sarebbe costituito non dalla perdita della possibilità in sé, ma dalla perdita del risultato favorevole auspicato.
(80) Così M. ROSSETTI, Il danno da perdita di chance, cit., 662, 670; contra F. CHABAS, La perdita di
chance nel diritto francese, cit.,230, secondo il quale il pregiudizio arrecato dall'avvocato negligente
ha lo stesso valore del credito litigioso di cui disponeva il cliente; P.G. ALLEVA, Il campo di applicazione
dello statuto dei lavoratori, cit., 220, il quale osserva che anche mere possibilità o probabilità di guadagno costituiscono continuamente oggetto di valutazione economica, e come tali vengono
persino scambiate e commerciate; A. BENABENT, La chance et le droit, Paris, 1973, 180, secondo il
quale "En indemnisant la victime par l'équivalent de la chance perdue, on la place dans la situation où elle serait si elle avait vendu sa chance, non dans celle où elle serait si elle l'avait courue"; Trib. Monza
21 febbraio 1992, cit. Un esempio di chance trasferibile può essere rappresentato dal biglietto della lotteria e, più in generale, dai casi di trasferimento dei diritti litigiosi, come rilevato da G. VINEY, Les
obligations. La responsabilité: conditions, cit., 342, secondo la quale il biglietto della lotteria non
sarebbe altro che un "titre représentatif d'une chance". Cfr. infine A. GAMBINO, L'assicurazione nella
teoria dei contratti aleatori, cit., 209, il quale, con riferimento alla possibilità che il trasferimento del credito verso l'assicuratore, ex art. 1889 c.c., si possa attuare anche nel periodo anteriore al
verificarsi dell'evento aleatorio, afferma che il fatto che l'aspettativa possa essere oggetto di
disposizione giuridica non è di immediata evidenza per l'ordinamento italiano e riferisce l'idea, diffusa in dottrina, secondo la quale ciò che distingue l'aspettativa giuridica dalla mera spes è proprio la sua trasferibilità.
(81) In tal senso M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit., 823, secondo il quale se si osserva la chance dal
punto di vista del lucro cessante non può mai essere risarcibile, poiché non solo non è possibile dimostrare che l'utilità sarebbe stata conseguita, ma neppure che sono certi i presupposti per conseguirla; M. BOCCHIOLA, Perdita di una "chance" e certezza del danno, cit., 78, secondo il quale la
chance rappresenta quel lucro i cui elementi costitutivi rimangono nell'eventuale.
(82) Cfr. sul punto M. ROSSETTI, Il danno da perdita di chance, cit., 664, secondo il quale il
risarcimento del danno da lucro cessante richiede due prove di verosimiglianza, una sulla
circostanza che senza l'evento dannoso la chance avrebbe potuto essere colta (partecipare al
concorso, avviare le trattative contrattuali, iscriversi ad una competizione); la seconda sulla
circostanza che la possibilità sperata si sarebbe verosimilmente realizzata (la vincita del concorso; la conclusione del contratto; la vincita della gara).
(83) Cfr. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, VIII ed., 698, secondo il quale l'an
debeatur va valutato in termini di attualità ed effettività della chance, nonché dinesso di causalità tra sua perdita e fatto illecito, mentre il quantum del risarcimento va liquidato equitativamente, avuto
riguardo alla percentuale di probabilità (anche non superiore al cinquanta per cento) che il danneggiato aveva di conseguire il vantaggio finale.
(84) Ricalcando la contrapposizione mutuata dall'Heck da G. TEDESCHI, Il danno e il momento della
sua determinazione, cit., 268, si può dire che, individuata nell'illecito la causa "aggressiva", quella cioè che ha in effetti prodotto il danno e rispetto alla quale deve porsi il problema della causalità, l'"àlea" rimane una causa "latente" che avrebbe ugualmente potuto produrre un danno già verificatosi.
(85) Non è pacifico in dottrina se esista un principio generale di influenza delle cause successive ipotetiche in ordine alla determinazione del danno dal momento che, a tale influenza, il legislatore
dedica solo due norme: l'art. 1221 c.c. il quale stabilisce che: "Il debitore che è in mora non è liberato per la sopravvenuta impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, se non prova che l'oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il debitore. In qualunque
modo sia perita o smarrita una cosa illecitamente sottratta, la perdita di essa non libera chi l'ha
sottratta dall'obbligo di restituirne il valore", e l'art. 1805, comma II, che ribadisce il principio in tema
di comodato. Nel codice civile previgente la stessa regola veniva applicata all'erede in mora nel
consegnare la cosa legata (art. 893) e, nel contratto di soccida, al conduttore "non obbligato per i
casi fortuiti, se non quando sia imputabile di colpa precedente, senza la qualenon sarebbe avvenuto il
danno" (art. 1672). Riconosce il carattere universale della ratio che sta alla base dell'art. 1221 e la
ritiene estensibile anche ai casi di responsabilità extracontrattuale, P. FORCHIELLI, Il rapporto di
causalità nell'illecito civile, cit., 92. Nel senso che da tali norme non possa essere desunto un principio
di carattere generale, TRIMARCHI, Condizione sine qua non, causalità alternativa ipotetica e danno, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, 1432.
(86) Si discute e non vi è accordo in dottrina circa il momento rilevante per la liquidazione definitiva del danno, se quello in cui si è verificato l'evento dannoso o quello della liquidazione giudiziale (nel primo senso V. POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, cit., 532; P. TRIMARCHI, Condizione
sine qua non, cit., 1444 ss. e 1454 ss.; nel secondo senso G. TEDESCHI, Il danno e il momento della
sua determinazione, cit., 263 ss.). La tesi secondo la quale delle cause alternative ipotetiche si deve
tenere conto fino al momento in cui il danno si è verificato precisa peraltro che, in sede di valutazione del danno da lucro cessante, devono essere tenute in considerazione anche le cause
alternative ipotetiche intervenute dopo che la possibilità di guadagno è stata lesa e fino al momento in cui il guadagno sarebbe stato conseguito, perchè è da tale momento che il danneggiato avrebbe potuto fare affidamento sul guadagno sperato.
(87) In tal senso, F. REALMONTE, Il problema del rapporto di causalità nel risarcimento del danno, cit.,
114 ss.; C.M. BIANCA, Dell'inadempimento delle obbligazioni, cit., 237 e ID., La responsabilità, in Diritto
civile, V, Milano, 1994, 134, il quale osserva che, pur non rientrando tra i fatti accaduti, il danno
successivo ipotetico indica l'effettivo contenuto dell'utilità sottratta al creditore a causa dell'inadempimento nel contesto degli eventi successivamente verificatesi; V. GERI, Il rapporto di
causalità in diritto civile, in questa Rivista, 1983, 203, per il quale l'incidenza della causa alternativa
ipotetica sul quantum risarcitorio derivante da lucro cessante non attiene alla causalità dell'evento, ma a quella delle conseguenze economiche negative dell'evento stesso. AL.GRAZIANI, Appunti sul
lucro cessante, cit., 289 che, per quanto riguarda il lucro cessante, ritiene che l'evento successivo sia
rilevante quando faccia venire meno un presupposto del lucro. P. FORCHIELLI, Il rapporto di causalità nell'illecito civile, 93, vede invece nell'art. 1221 l'espressione del principio della irrilevanza giuridica
delle concause fortuite, anche posteriori alle concause imputabili. Distingue il caso di una serie
eziologica alternativa ipotetica e cioè non effettiva, in cui l'ipotesi cade su un evento materiale che non si è verificato; ed il distinto caso di una serie eziologica sopravvenuta che ha prodotto un evento materiale effettivamente verificatosi, ritenendo inammissibile la rilevanza del giudizio
ipotetico nel primo caso, quando cioè gli eventi tenuti in considerazione non rientrano tra gli accadimenti reali, DIGIOVANNI, Causalità, danno, e giudizio ipotetico, in Rass. energ. elettrica, 1986,
901.
(88) Così P. TRIMARCHI, Condizione sine qua non, cit., 1435 ss. il quale ritiene che i principi in tema di
causalità alternativa ipotetica valgano a risolvere le seguenti fattispecie: il passaggio di un eziologica alternativa ipotetica e cioè non effettiva, in cui l'ipotesi cade su un evento materiale che non si è verificato; ed il distinto caso di una serie eziologica sopravvenuta che ha prodotto un evento materiale effettivamente verificatosi, ritenendo inammissibile la rilevanza del giudizio
ipotetico nel primo caso, quando cioè gli eventi tenuti in considerazione non rientrano tra gli accadimenti reali, DIGIOVANNI, Causalità, danno, e giudizio ipotetico, in Rass. energ. elettrica, 1986,
901.
(88) Così P. TRIMARCHI, Condizione sine qua non, cit., 1435 ss. il quale ritiene che i principi in tema di
causalità alternativa ipotetica valgano a risolvere le seguenti fattispecie: il passaggio di un autocarro, il cui peso supera quello consentito, determina il crollo di un ponte che però, si accerta, sarebbe crollato a breve scadenza a seguito di una incrinatura che già esisteva; un tale colpevolmente distrugge una cassa contenente fiale di un certo prodotto terapeutico; qualche
giorno più tardi quello stesso prodotto viene posto fuori commercio perché nocivo; in un incidente la vittima subisce la frattura di un arto che comporta l'inabilità al lavoro; pochi giorni dopo in un secondo incidente, indipendente dal primo, subisce una diversa frattura e dunque l'inabilità al lavoro si sarebbe avuta anche in mancanza del primo incidente.
(89) Secondo i noti principi della condicio sine qua non, salvo ulteriori qualificazioni delle condizioni
sulla base dei criteri selezionati in dottrina, quello dell'adeguatezza, della valutazione dello scopo
della norma violata, per ricordarne alcuni e sui quali si possono consultare gli autori citati alla nota
n. 62.
(90) Vedi nota n. 44.
(91) Puntualmente riassunte da F.D. BUSNELLI-S. PATTI, Danno e responsabilità civile, cit., 13 ss., ma
si veda anche R. SCOGNAMIGLIO, Appunti sulla nozione di danno, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 464
ss., ora negli Studi in onore di G. Scaduto, III, Padova, 1970, 191 ss.
(92) L'osservazione è di M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit., 832. Rivaluta la teoria della differenza F.
MASTROPAOLO, voce Danno (Risarcimento del danno), cit., 8, il quale osserva che per il lucro cessante
è ancora più evidente che il danno non si identifica con la modificazione di un bene esistente in natura ma consiste in una differenza negativa, che appare dal raffronto tra diverse situazioni.
Secondo C. SALVI, La responsabilità civile, cit., 46, ID., Il danno extracontrattuale, cit., 104, Id., voce
Danno, in Dig. civ., V, 2001 (rist.), 64, nel danno patrimoniale il nesso tra patrimonio e danno è differente a seconda della natura del bene leso. Quando questo ha un valore economico sul
mercato, conserverebbe un significato la tradizionale nozione di differenza patrimoniale. G.
BONILINI, Il danno non patrimoniale, cit., 53, rileva l'inutilizzabilità della Differenztheorie per la
determinazione del danno non patrimoniale. Cfr. in giurisprudenza: Cass., 15 ottobre 1999, n.
11629, in Danno e resp., 2000, 257, con nota di F. ALONZO, Il nesso causale e la lesione di aspettative
future: un master mancato, ivi, 2000, 1215 e in Foro it., 2000, I, 1918, con nota di E. SCODITTI, Danni
conseguenza e rapporto di causalità; in tale sentenza vi è un espresso richiamo al "principio ricavabile
dall'art. 1221 c.c. che si fonda sul giudizio ipotetico di differenza tra la situazione quale sarebbe stata
senza il verificarsi del fatto dannoso e quella effettivamente avvenuta. Qui il giudizio ipotetico assume il
valore di criterio idoneo a valutare compiutamente l'ammontare del danno patrimoniale; criterio relativo
alla c.d. causalità alternativa ipotetica, di cui si deve tenere conto ove non si voglia tramutare in arricchimento il dovuto al danneggiato"; Cass., 18 luglio 1989, n. 3352, in Foro it., 1990, I, 933, con
nota di G. VALCAVI, In materia di criteri di liquidazione del danno in genere e di interessi monetari;
Cass., 3 ottobre 1987, n. 7389, in Foro it. Rep., voce Danni civili, 1987, n. 85.
(93) Contra G. CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, 196, per il quale nel caso
in cui il giudice si convinca che il cliente aveva soltanto 50 probabilità su cento di vincere la causa, e altrettante di perderla, il danno da lucro cessante non risulta provato: esso resta un fatto incerto, e
le conseguenze ricadono su chi aveva l'onere di fornire la prova, cioè sul cliente. Una volta accertata l'esistenza del danno, accertato cioè il fatto che l'appello avrebbe avuto successo, se resta incerta la misura della vittoria, si può allora ricorrere al criterio della probabilità, al fine della valutazione equitativa della misura del danno.
(94) P. GALLO, Introduzione alla responsabilità civile. Articoli 2043-2059 c.c., Torino, 2000, 82-83,
osserva che il risarcimento del danno da perdita di chance è in un certo senso vicino a quello della responsabilità precontrattuale. Anche in caso di rottura ingiustificata delle trattative non vi può essere infatti la certezza assoluta che il contratto sarebbe stato concluso.
(95) La considerazione è di C.M. BIANCA, Dell'inadempimento delle obbligazioni, cit., 285, il quale rileva
che qualora non si riesca a dimostrare né che il contratto avrebbe avuto sicuramente un esito favorevole (lucro cessante) né che il soggetto non avrebbe tratto il vantaggio sperato (mancanza di danno risarcibile) vi sarebbe comunque un "attuale significato economico negativo" che dovrebbe
essere liquidato in via equitativa, sulla base delle probabilità di un risultato utile.
(96) Esprime tale preoccupazione A.M. PACCES, Alla ricerca delle chances perdute, cit., 661: "Fuori dai
denti, la risarcibilità del danno da perdita di chances si traduce nel riconoscimento della giuridica rilevanza di un nesso di causalità espresso in termini probabilistici. Ma è un riconoscimento (necessariamente) velato di ipocrisia, posto che nel nostro ordinamento la responsabilità civile non è imputabile in funzione del probabile contributo eziologico statisticamente attribuibile a ciascuna potenziale fonte di danno. Una
diversa conclusione urterebbe contro il postulato della c.d. irrilevanza delle concause, minando alla base la
nozione tradizionale del nesso di causalità, improntata ai principi cardine della conditio sine qua non e dellaconseguente equivalenza delle condizioni". In realtà quando si parla di causalità per accertare se vi sia stato il concorso del danneggiato, si allude alla cosiddetta causalità di fatto, quella che può essere interrotta dal caso fortuito, in senso ampio comprensivo del fatto del danneggiato; quando
invece si indicano i criteri per ridurre il danno si parla della causalità giuridica di cui all'art. 1223; l'osservazione è di M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit., 773. Nel medesimo senso V. GERI, Il rapporto di
causalità in diritto civile, cit., 202, secondo il quale non può essere dubbia l'irrilevanza sul processo eziologico reale della causa ipotetica alternativa, perché l'efficienza causale di quest'ultima appare del tutto inesistente, salvo che intervenga prima che l'evento si sia verificato; ma, in tal caso, si
tratterebbe del diverso problema delle concause.
(97) Rileva che snodo centrale del problema del risarcimento della perdita di chance è l'assenza della prova del nesso di causalità tra la perdita del risultato e la condotta colpevole, F. CHABAS, La perdita
di chance nel diritto francese, cit., 228. Imposta la propria rassegna giurisprudenziale sul profilo della
causalità, P. PETRELLI, Causalità e perdita di chance, in I fatti illeciti. III. Causalità e danno, a cura di G.
VISINTINI, in I grandi orient. della giur. civ. e comm. collana diretta da F. Galgano, Padova, 1999, 297
ss.. G. ALPA, Danno aquiliano, in Contratto e impr., 1990, 809, individua la ragione formale addotta
per negare il risarcimento della perdita della chance nel non essere il danno causalmente immediato
e diretto. Posizione più articolata è quella espressa da M. ROSSETTI, Il danno da perdita di chance,
cit., 675, il quale aderisce alla tesi della perdita di chance come normale danno da lucro cessante,
causato dalla perdita di un fattore causale necessario per conseguire il risultato utile, con la
conseguenza, per il giudice, della necessità di ricostruire un doppio nesso causale: il primo tra condotta illecita e perdita di chance, da ricostruirsi in base ad un accertamento storico, in quanto
pertinente ad un evento storicamente concluso; il secondo, tra perdita di chance e perdita del
risultato favorevole sperato, da ricostruirsi in base ad un giudizio probabilistico fondato sull'id quod
plerumque accidit.
(98) "...Siamo in tema di danno certo, e però risarcibile, quando il danno non si può più scansare...Non si nega peraltro essere questa certezza tutt'altro che matematica: giacché rimane ignoto, se un evento fortuito avrebbe distrutto queste speranze fondate di lucri e frutti...anche senza il concorso del fatto
illecito: però rimane un lato campo all'arbitrio del giudice, per ridurre al giusto, secondo il giro delle mondane probabilità, il valore di quelle speranze. Ma tanto basta perché vi sia materia di risarcimento; ogni altra questione appartiene alla liquidazione, di cui parleremo in progresso" l'affermazione è di G. GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, V, Firenze, 1909, VII ed., 269; cfr. altresì A. BENABENT, La chance et le droit, cit., 179: "On l'indemnise par l'équivalent de cette chance, considérant qu'elle a subi un "préjudice certain dont le quantum varie selon que la chance perdue était plus ou moins grande". Le recours à la probabilité est ici on ne peut plus direct: il sert à calculer la valeur de la chance. Le degré de probabilité de celle-ci sera la mesure de l'indemnisation par rapport au profit
espèrè". (99) Le particolari cautele che accompagnano il risarcimento del danno da lucro cessante muovono
proprio dalla preoccupazione di impedire un guadagno che comunque non sarebbe stato percepito,
tanto che i limiti di tale forma di risarcimento furono particolarmente studiati dalla dottrina
intermedia in relazione al problema dell'usura. Il mutuo all'epoca era un contratto essenzialmente
gratuito, dal quale pertanto il mutuante non doveva ricevere alcun guadagno; si riteneva tuttavia
che esso non dovesse essere costretto a sopportare un danno, salvo poi discutere il limite oltre il
quale il guadagno era ritenuto illecito, ancor prima che ingiustificato; riassume tale dibattito, AL.
espèrè". (99) Le particolari cautele che accompagnano il risarcimento del danno da lucro cessante muovono
proprio dalla preoccupazione di impedire un guadagno che comunque non sarebbe stato percepito,
tanto che i limiti di tale forma di risarcimento furono particolarmente studiati dalla dottrina
intermedia in relazione al problema dell'usura. Il mutuo all'epoca era un contratto essenzialmente
gratuito, dal quale pertanto il mutuante non doveva ricevere alcun guadagno; si riteneva tuttavia
che esso non dovesse essere costretto a sopportare un danno, salvo poi discutere il limite oltre il
quale il guadagno era ritenuto illecito, ancor prima che ingiustificato; riassume tale dibattito, AL.
GRAZIANI, Appunti sul lucro cessante, cit., 278 ss.
(100) Tali le considerazioni di P. TRIMARCHI, Causalità e danno, cit., 15 ss. in relazione alle possibili
difficoltà di accertamento del nesso di causalità materiale, cui adde P. FORCHIELLI, Il rapporto di
causalità nell'illecito civile, 114, il quale in riferimento all'art. 1221, comma I, del codice civile, rileva
che nei casi di maggiore o minore probabilità che un evento fortuito, si sarebbe ugualmente verificato, indipendentemente da una determinata condotta imputabile, l'arricchimento è solo possibile, mentre il danno è certo.
(101) In tal senso P. CENDON, voce Dolo (intenzione nella responsabilità extra contrattuale), cit., 44,
per il quale l'esistenza di un animus nocendi assume rilevanza anche nella determinazione
dell'ammontare del risarcimento e, ciò, sia nei casi di lucro cessante, attraverso i poteri equitativi assegnati al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., sia sul terreno della causalità alternativa ipotetica.
(102) Denunciano la peculiarità del fatto che il lucro cessante, sulla base dell'art. 2056 c.c., è valutato sempre in via equitativa, P. RESCIGNO, Valutazione equitativa: profili comuni, in Risarcimento
del danno contrattuale ed extracontrattuale a cura di G. Visintini, Milano, 1984, 84, secondo il quale nel
caso del lucro cessante si tratta di valutare ciò che "nel futuro, secondo uno sviluppo normale dei
rapporti del soggetto e l'esplicazione delle sue attitudini, vocazioni, astratte possibilità e concrete capacità, avrebbe potuto significare per lui rimanere illeso nella persona o nei beni"; C. SALVI, voce Risarcimento
del danno, cit., 1087; PATTI, voce Danno patrimoniale, cit., 100.
(103) È rimasta minoritaria in dottrina la tesi che, argomentando dalla modifica dell'art. 1225 rispetto alla norma omologa contenuta nel codice del 1865, che riferiva la prevedibilità al tempo del contratto, anziché al tempo in cui è sorta l'obbligazione, ritiene che il criterio della prevedibilità debba essere esteso anche al danno derivante da responsabilità extracontrattuale; è stato comunque rilevato come, in campo extracontrattuale, la giurisprudenza limiti, di fatto, il danno
risarcibile a quello prevedibile, mediante il ricorso ai principi della regolarità causale, così C.M. BIANCA, Dell'inadempimento delle obbligazioni, cit., 374.
(104) C.M. BIANCA, Dell'inadempimento delle obbligazioni, cit., 384 ss.; Cass., 11 marzo 1992, n. 2910,
in Giust. civ., 1992, I, 3072; Cass., 26 maggio 1989, n. 2555, in Giur. it., 1989, I, 1, 1696.
(105) Tale ulteriore criterio, anche se non esplicitato, è sotteso alla pronuncia resa da Cass., sez. lav., 14 giugno 2000, n. 8132, in Orient. giur. lav., 2000, I, 656, la quale, in una fattispecie di
scorretta attribuzione di punteggi variabili, ha ritenuto che non residui più alcuna ragione di danno da perdita di chance qualora il datore di lavoro abbia riconosciuto la illegittimità della graduatoria e l'abbia annullata, bandendo un nuovo concorso con effetti retroattivi, perché in tal caso il danno avrebbe potutocertamente essere evitato dal lavoratore attraverso la partecipazione al nuovo
concorso. Nel senso che qualora il dipendente, facendo valere l'illegittimità della procedura concorsuale, abbia ottenuto la ripetizione della prova concorsuale, venga meno l'eventuale danno
da perdita di chance, quando la nuova procedura abbia avuto esito negativo, Cass., sez. lav., 25
ottobre 2000, n. 14074, in Giust. civ. Mass., 2000, 2177.
(106) Così Cass., 5 giugno 1996, n. 5264, in Resp. civ. prev., 1997, 1169 con nota di G. DEFAZIO,
Responsabilità del legale e perdita della chance di vincere il processo e in Danno e resp., 1996, 581, con
nota di E. BRUNETTI, Responsabilità del commercialista per mancata presentazione del ricorso alla Commissione Tributaria.
(107) Cfr. l'ampia rassegna di V. DIGREGORIO, La valutazione equitativa, in I grandi orient. della giur.
civ. e comm. collana diretta da F. Galgano, Padova, 1999, 748 ss.
(108) Cfr. in tal senso Cass., 17 maggio 2000, n. 6414, in Giust. civ. Mass., 2000, 1046; Cass., 15
maggio 1998, n. 4914, in Foro it. Rep., 1998,voce Danni civili, n. 274.
(109) Cfr. Cass., 3 luglio 1982, n. 3977, in Dir. prat. ass., 1983, 143; Cass., 9 luglio 1979, n. 3942, in
Dir. prat. ass., 1983, 143.
(110) Cfr. Cass., 28 giugno 2000, n. 8795, in Giust. civ. Mass., 2000, 1427; Cass., 26 febbraio 1986,
n. 1212, in Foro it. Rep., 1986, voce Danni civili, n. 151.
(111) In tal senso Cass., 14 maggio 1998, n. 4894, in Foro it. Rep., 1998, voce Danni civili, n. 277.
(112) Così Cass., sez. lav., 21 giugno 2000, n. 8468, in Giust. civ. Mass., 2000, 1369; cfr. altresì Cass., sez. un. 6 dicembre 1982, n. 6651, in Giur. it., 1984, I, 1, 150, la quale ritiene che per il
riconoscimento del danno consistente nel venire meno delle legittime aspettative di un futuro
contributo economico a favore dei genitori di un minore deceduto è possibile far ricorso anche a dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, che evidenzino il suddetto pregiudizio in termini di
verosimiglianza e possibilità, cui adde Cass., 11 gennaio 1988, n. 23, in Dir. prat. ass., 1988, 652, che
valuta circostanze quali: la composizione del nucleo familiare; le condizioni economico-sociali e
l'attività economica esercitata dai genitori e da altri congiunti. (113) Relativamente alla prova per presunzioni la Suprema Corte ha più volte affermato che non occorre che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto
come l'unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio, ma è sufficiente che il fatto ignoto sia desunto alla stregua di un canone di probabilità, con riferimento ad una connessione di avvenimenti possibile e verosimile, secondo un criterio di normalità, così, ex multis, Cass., 26 marzo
1997, n. 2700, in Giust. civ. Mass. 1997, 470.
(114) D. BELLANTONI, Lesione dei diritti della persona: tutela penale-tutela civile e risarcimento del
danno, Padova, 2000, 288, osserva che nell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale la perdita di
chance costituisce figura a sé stante di danno patrimoniale, che va provato anche per presunzioni, tenendo conto delle reali probabilità che si pervenga ad un determinato risultato.
(115) Il danno da perdita di chance non è pertanto necessariamente un danno futuro, come spesso si trova scritto, tale essendo il danno che non esiste ancora al momento della pronuncia giudiziale,
pur essendovi elementi dai quali è ragionevole presumere che esso si verificherà, si veda, sul punto, M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit., 812, il quale evidenzia come il concetto di danno presente non sia
sinonimo di danno futuro e il concetto di danno futuro non sia sinonimo di lucro cessante.
(116) È ormai massima ricorrente quella secondo la quale il lavoratore che avanzi un danno da perdita di chance abbia l'onere di provare l'esistenza di una non trascurabile probabilità di esito favorevole delle prove selettive, cfr. Cass., sez. lav., 21 giugno 2000, n. 8468, cit.; Cass., sez. lav.,
10 gennaio 1994, n. 158, in Giur. it., 1994, I, 1, 1761, con nota di A. BOLLANI, Concorsi privati e
discrezionalità di scelta; Cass., sez. lav., 29 aprile 1993, n. 5026, in Giur. it., 1994, I, 1, 234 con nota
di A.M. MUSY, Sicilcasse ed il danno da perdita di una chance; Cass., sez. lav., 22 aprile 1993, n. 4725,
cit.; Cass., sez. lav., 24 gennaio 1992, n. 781, in Foro it. Rep., 1992, voce Lavoro (rapporto), n. 836;
Cass., sez. lav., 13 giugno 1991, n. 6657, cit.
(117) I principi esposti in tema di ripartizione dell'onere della prova appaiono consolidati in dottrina,
cfr. AL.GRAZIANI, Appunti sul lucro cessante, cit.,292 ss.; P. TRIMARCHI, Condizione sine qua non, cit.,
1444, secondo il quale è il danneggiante che deve dare la prova di una causa alternativa ipotetica di danno; G. TEDESCHI, Il danno e il momento della sua determinazione, cit.,278; M. BOCCHIOLA, Perdita
di una "chance" e certezza del danno, cit., 76; M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, cit., 870. In
giurisprudenza: Cass., 21 giugno 2000, n. 8468, cit.; Cass., 10 ottobre 1980 n. 5577, in Arch. civ.,
1981, 39 per la quale, in un caso di responsabilità professionale derivante dalla perdita di cambiali, è il professionista che ha l'onere di provare che l'esecuzione forzata, se promossa, non avrebbe avuto esito positivo; Cass., sez. lav., 2 dicembre 1996, n. 10748, in Foro it. Rep., 1996, voce Lavoro
(rapporto), 764; Cass., 20 gennaio 1992, n. 650, in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 568, con nota di C. ZOLI,
La ripartizione dell'onere della prova nel caso di promozione a scelta; Cass., 19 dicembre 1985, cit.; Pret.
Roma, 30 aprile 1986, cit., per la quale spetta al danneggiante anche la prova
dell'"illiceità" (discendente dall'esistenza di divieti contrattuali) delle attività che avrebbero potuto far conseguire i guadagni sperati. Chi invece ritiene che il danno da perdita di chance sia di natura
emergente pone l'onere della prova tutto sul danneggiato, in tal senso A. PONTECORVO, La
responsabilità per perdita di chance, cit., 455;
(118) Cfr., tra le altre, Pret. Napoli, 27 ottobre 1993, in Dir. lav., 1994, II, 312, con nota di M.
NOCELLA, Concorsi privati, perdita di "chance" e risarcibilità del danno; Pret. Roma, 16 marzo 1993, ivi,
1994, II, 36, con nota di C. LAUDO, Promozione a scelta: esternazione dei motivi e risarcimento del
danno da perdita di chance e, con riferimento alla valutazione equitativa, Trib. Roma, sez. lav., 28
dell'"illiceità" (discendente dall'esistenza di divieti contrattuali) delle attività che avrebbero potuto far conseguire i guadagni sperati. Chi invece ritiene che il danno da perdita di chance sia di natura
emergente pone l'onere della prova tutto sul danneggiato, in tal senso A. PONTECORVO, La
responsabilità per perdita di chance, cit., 455;
(118) Cfr., tra le altre, Pret. Napoli, 27 ottobre 1993, in Dir. lav., 1994, II, 312, con nota di M.
NOCELLA, Concorsi privati, perdita di "chance" e risarcibilità del danno; Pret. Roma, 16 marzo 1993, ivi,
1994, II, 36, con nota di C. LAUDO, Promozione a scelta: esternazione dei motivi e risarcimento del
danno da perdita di chance e, con riferimento alla valutazione equitativa, Trib. Roma, sez. lav., 28
gennaio 1999, in Giur. it., I, 1, 83, con nota di T. TORRESI, Perdita di chance e tutela civile dei diritti.
(119) Cfr. Cass., sez. lav., 1 aprile 1997, n. 3139, in Foro it., 1997, I, 2073; Cass., sez. lav., 29 aprile
1993, n. 5026, cit., in tema di procedure concorsuali per la promozione ad una qualifica superiore, la
quale ha considerato la posizione del danneggiato corrispondente ai soli punteggi fissi; lo scarto più o meno ampio rispetto ai candidati con punteggio inferiore; la distribuzione più o meno uniforme dei punteggi discrezionali; Cass., 7 marzo 1991, n. 2368, cit.; App. Trieste 25 novembre 1987, in Dir. e
prat. ass., 1988, 535 che, esaminando il caso di uno studente impossibilitato, a causa di un incidente
stradale, a sostenere gli esami scolastici e che lamentava il danno da ritardo nell'iniziare l'attività di concertista o di maestro di musica, alle quali il conseguimento del titolo lo avrebbe abilitato, ha
ritenuto equo liquidare il danno in una somma pari alla pensione sociale, leggermente aumentata.
(120) In tal senso Cass., sez. lav, 10 novembre 1998, n. 11340, in Foro it. Rep., 1998, Lavoro
(rapporto), n. 921, che rigetta il ricorso avendo ritenuto che il lavoratore avesse fatto valere in
giudizio la lesione del suo diritto alla promozione e non della possibilità di vincere il concorso; Cass., sez. lav., 11 giugno 1992, n. 7210, in Giur. it., 1993, I, 1, 1302; Cass., sez. lav., 22 luglio 1995, n.
8010, in Giur. it., 1996, I, 1, 415, con nota di M. DENICOLÒ, Principi generali circa la ripartizione
dell'onere della prova in tema di procedure concorsuali per la promozione ad una qualifica superiore;
contra, Cass., sez. lav., 19 febbraio 1992, n. 2074, in Foro it. Rep., 1992, voce Lavoro (rapporto), n.
828; Cass., sez. lav., 28 maggio 1992, n. 6392, in Foro it., 1993, I, 488; Cass., sez. lav., 29 aprile
1993, n. 5026, cit., le ultime due in motivazione.
(121) Così M. BOCCHIOLA, Perdita di una "chance" e certezza del danno, cit., 87 ss.; V.
ZENOZENCOVICH, Il danno per la perdita di una utilità futura, cit., 218.
(122) Problema ancora diverso è quello del concorso alla produzione del fatto dannoso di cause preesistenti o concomitanti; cfr. App. Roma, 9 novembre 1985, in Giur. mer., 1987, 712, la quale
accertava che l'omissione da parte del medico di una più adeguata e tempestiva terapia non doveva essere considerata causa o concausa certa della morte del paziente, essendo parimenti possibile
che tale evento fosse da riferire al tipo di malattia ed in particolare ad un sopravvenuto fattore
dotato di autonoma efficacia eziologica.
(123) Si confrontino, tra le tante, Cass. pen., sez. IV, 12 luglio 1991, in Foro it., 1992, II, 363, che
ritiene sussistere il rapporto di causalità qualora la tempestiva opera del medico avrebbe potuto evitare l'evento con probabilità apprezzabili nella misura del trenta per cento; Cass. pen., sez. IV, 7 gennaio 1983, in Foro it., 1986, II, 351, con nota di L. RENDA, Sull'accertamento della causalità omissiva nella responsabilità civile; Pret. Modena, sez. distaccata di Carpi, 7 giugno 1999, in Foro it.,
2000, II, 202; Pret. Ivrea, 5 giugno 1989, in Foro it., 1989, II, 601e la giurisprudenza citata da R.
DEMATTEIS, La responsabilità medica. Unsottosistema della responsabilità civile, Padova, 1995, 445 ss.
Tale orientamento giurisprudenziale ha ricevuto, tuttavia, significative smentite per effetto di
pronunce per le quali il nesso causale può ritenersi provato solo quando il comportamento alternativo dell'agente avrebbe impedito l'evento lesivo con un elevato grado di probabilità prossimo alla certezza e cioè in una percentuale di casi quasi prossima a cento (in tal senso Cass., sez. IV, 28 settembre 2000, in Foro it., 2001, II, 420; Cass., sez. IV, 25 settembre 2001, ivi, 2002, II,
289). Di recente è stato peraltro sottoposto a critica lo stesso metodo probabilistico. La dimostrazione della causalità non potrebbe cioè essere raggiunta in termini di certezza o quasi certezza, percentualmente quantificabili in senso statitistico, ma soltanto attraverso un giudizio di
""probabilità logica" che involge un giudizio complessivo del quale la probabilità statistica è solo una componente che essendo caratterizzata, come si è affermato in dottrina, dalla "verifica aggiuntiva della credibilità dell'impiego della legge statistica nel caso concreto" si risolve in una affermazione di elevata credibilità razionale (in un senso o nell'altro) del risultato dell'operazione logica compiuta dal giudice", così Cass., sez. IV, 23 gennaio 2002, in Foro it., 2002, II, 420, con nota di G. FIANDANCA, il cui
orientamento è stato avvalorato dalle sezioni unite penali, con la sentenza 10 luglio 2002, in Foro
it., 2002, II, 601, con nota di O. DIGIOVANE, La causalità omissiva in campo medico chirurgico al vaglio delle sezioni unite.
(124) G. VINEY, Les obligations. La responsabilité:conditions, cit., 436, sottolinea "l'utilisation de la
notion de "perte d'une chance" a pour charge de alléger la preuve de la causalité".
(125) Approfondiscono il profilo comparatistico A.M. PRINCIGALLI, La responsabilità del medico, cit.,
124 ss. e ID., Perdita diuna chance e danno risarcibile, in Riv. crit. dir. priv, 1985, 315 ss.; V.
ZENOZENCOVICH, La sorte del paziente. La responsabilità del medico per l'errore diagnostico, Padova,
1994, 68 ss., con copiosi riferimenti alla dottrina straniera statunitense e nord-americana.
(126) Così A.M. PRINCIGALLI, Perdita di chance e danno risarcibile, cit., 316; F. CHABAS, La perdita di
chance nel diritto francese, cit., 240; si può leggere la sentenza Cass., 17 novembre 1982, in D.,
1984, 305, con nota di DORSNER-DOLIVET, Prière pour une défunte: la perte d'une chance. (127) Cfr. M. BOCCHIOLA, Perdita di una "chance" e certezza del danno, cit., 89; A.M. PRINCIGALLI,
Perdita diuna chance e danno risarcibile, cit., 320; F. CHABAS, La perdita di chance nel diritto francese,
cit., 239, secondo il quale perché si possa parlare di perdita di chance "bisogna che il malato non
avesse che questa al momento del fatto (colposo) del medico"; S. MAZZAMUTO, Note in tema di
responsabilità del medico, in Europa e dir. priv., 2000, 511, per il quale il dato probabilistico rileva sia
nella fase di accertamento di una posizione tutelabile, sia rispetto alla quantificazione del danno; R.
DEMATTEIS, Colpa omissiva, nesso di causalità e perdita di chances, nota a App. Genova, 10 marzo
1997, in Danno e resp., 1997, 476, secondo la quale la nozione di "perte d'une chance" è criterio utile per la valutazione del danno ma non per l'accertamento del nesso di causalità materiale.
(128) Trib. Monza, 30 gennaio 1998, in questa Rivista, 1998, 696, con nota di P. ZIVIZ, Il
risarcimento per la perdita di chances di sopravvivenza.
(129) Il Tribunale dopo aver determinato il "valore uomo" di una persona avente l'età di settantacinque anni sulla base delle tabelle valutative del danno biologico in uso presso il Tribunale
di Milano, lo divide per 75, pari agli anni della vittima, determinando così il valore uomo per ogni anno di sopravvivenza e lo moltiplica per 5, avvertendo che il valore così ottenuto, in caso di liquidazione delle sole possibilità di sopravvivenza, avrebbe dovuto essere ridotto del 70%. Tali criteri sono criticati da P. ZIVIZ, Il risarcimento per la perdita di chances di sopravvivenza, cit., 711.
(130) Il punto non è condiviso da P. ZIVIZ, Il risarcimento per la perdita di chances di sopravvivenza,
cit., 709, secondo la quale risultato accertato in sede penale un rapporto di causalità tra il comportamento del medico e la perdita di probabilità di sopravvivere della vittima, il pregiudizio risarcibile avrebbe dovuto essere configurato come perdita di chance.
(131) In precedenza la giurisprudenza soleva distinguere posizioni di diritto soggettivo perfetto,
quando il potere di scelta del datore di lavoro fosse da ritenersi un comportamento dovuto sulla
base delle norme contrattuali e collettive, da quelle di interesse legittimo di diritto privato, quando le
norme si limitassero a regolare l'esercizio di tale potere. Soltanto nel primo caso il dipendente
avrebbe potuto agire per l'esecuzione in forma specifica, mentre nella seconda ipotesi avrebbe
potuto chiedere soltanto il risarcimento dei danni. Per tale impostazione cfr. Cass., 10 agosto 1987,
n. 6858, in Foro it., 1987, I, 2989.
(132) Così Cass., sez. lav., 25 settembre 1996, n. 8470, in Danno e resp., 1997, 257, che ravvisa nel
bando di concorso una promessa al pubblico; ritiene invece che il bando di concorso rappresenti una
offerta al pubblico, Cass., sez. lav., 12 dicembre 1993, n. 11158, in Riv. giur. lav. prev. soc., 1994, II,
413, con nota di P. BONETTI, Concorsi privatistici: natura giuridica dei bandi e conseguenze della
mancata osservanza delle regole ad essi relative.
(133) Ritengono la scelta non corretta quando non sia supportata da una adeguata motivazione,
Cass., sez. lav., 15 marzo 1996, n. 2167, in Giur. it., 1997, I, 1, 792, con nota di A. RIGANÒ,
Promozioni a scelta: tutela delle posizioni soggettive del lavoratore e risarcibilità della perdita di chance;
Cass., sez. lav., 22 luglio 1995, n. 8010, cit.; Cass. sez. lav., 29 aprile 1993, n. 5026, cit.; Cass., sez.
lav., 7 marzo 1991, n. 2368, cit.; Cass. sez. lav., 4 maggio 1991, n. 4897, in Foro it. Rep., 1991, voce
Lavoro (rapporto), n. 749; Cass., sez. lav., 24 gennaio 1992, n. 781, cit.; Cass., sez. lav., 1 aprile
1987, n. 3139, in Foro it., 1987, I, 2073; Cass., sez. lav., 8 luglio 1987, n. 5965, ivi, 2989; Cass., sez.
lav., 10 agosto 1987, n. 6858, cit.; Cass., sez. lav., 10 agosto 1987, n. 6864, in Foro it., 1987, I,
2987; Cass., sez. lav., 27 maggio 1983, n. 3675, in Foro it., 1984, I, 1541; Pret. Roma, 16 marzo
Cass., sez. lav., 15 marzo 1996, n. 2167, in Giur. it., 1997, I, 1, 792, con nota di A. RIGANÒ,
Promozioni a scelta: tutela delle posizioni soggettive del lavoratore e risarcibilità della perdita di chance;
Cass., sez. lav., 22 luglio 1995, n. 8010, cit.; Cass. sez. lav., 29 aprile 1993, n. 5026, cit.; Cass., sez.
lav., 7 marzo 1991, n. 2368, cit.; Cass. sez. lav., 4 maggio 1991, n. 4897, in Foro it. Rep., 1991, voce
Lavoro (rapporto), n. 749; Cass., sez. lav., 24 gennaio 1992, n. 781, cit.; Cass., sez. lav., 1 aprile
1987, n. 3139, in Foro it., 1987, I, 2073; Cass., sez. lav., 8 luglio 1987, n. 5965, ivi, 2989; Cass., sez.
lav., 10 agosto 1987, n. 6858, cit.; Cass., sez. lav., 10 agosto 1987, n. 6864, in Foro it., 1987, I,
2987; Cass., sez. lav., 27 maggio 1983, n. 3675, in Foro it., 1984, I, 1541; Pret. Roma, 16 marzo
1993, cit.
(134) Cfr. Cass., sez. lav., 17 marzo 1998, n. 2881, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 713, con nota di G.
BOLEGO, Nesso causale e quantificazione del danno da perdita di chance; Cass., 2 dicembre 1996, n.
10748, cit., in relazione ad un illegittimo mutamento di mansioni; Cass., sez. lav., 15 marzo 1996, n.
2167, cit.; Cass., sez. lav., 3 febbraio 1993, n. 1336, in Giust. civ., 1993, I, 2439, con nota di M.
FRANCO, Tutela della professionalità e perdita di una chance;Cass., sez. lav., 17 aprile 1990 n. 3183, in
Foro it., 1990, I, 2817; Cass., 24 gennaio 1992, n. 781, cit.; Cass., 20 gennaio 1992, n. 650, cit.;
Cass., 19 novembre 1983, n. 6906, cit.; contra Trib. Roma, 24 novembre 1978, riformata da Cass.,
19 novembre 1983, n. 6906, entrambi cit.
(135) Prova che, se è relativamente semplice nel caso in cui i criteri di selezione siano predeterminati senza margini di discrezionalità per il datore di lavoro, è praticamente impossibile offrire nel caso di valutazioni comparative e attitudinali, anche perché sarebbe comunque vietato al giudice esercitare un potere di fatto riservato all'imprenditore, cfr. ex multis Cass., sez. lav., 10
agosto 1987, n. 6858 cit.; Cass., sez. lav., 13 giugno 1991, n. 6657, cit., per la quale in tal caso il
dipendente per "dimostrare che senza l'inadempimento sarebbe stato promosso deve fornire elementi
idonei a circoscrivere l'ambito della valutazione discrezionale, sì da ridurne l'incidenza sulla sua posizione in graduatoria in misura tale da non consentire la sua esclusionedalla fascia dei promuovendi"; Cass.,
sez. lav., 19 novembre 1997, n. 11522, cit.; Cass., sez. lav., 17 marzo 1998, n. 2881, cit., Cass.,
sez. lav., 20 gennaio 1992, n. 650, in Foro it., 1993, I, 489, prec. cit., secondo la quale la
ingiustificata sottovalutazione, in sede di attribuzione di punteggi discrezionali, della posizione dei
candidati rispetto a quella dei promossi è prova sufficiente del nesso causale fra l'inadempimento del datore di lavoro e la mancata promozione solo nel caso in cui il candidato escluso dalla
promozione sia collocato in graduatoria immediatamente a ridosso dei promossi e risulti la poziorità dei titoli di detto candidato rispetto ad un numero di concorrenti antepostigli tale da far desumere
che il rispetto di essa avrebbe comportato l'inclusione del candidato stesso tra i promuovendi.
(136) Ulteriore obiezione è quella fugata dal P. CALAMANDREI, Limiti di responsabilità del legale negligente, cit., 263, il quale osserva che potrebbe anche essere messa in dubbio l'ingiustizia del
danno derivante dalla soccombenza; ma in realtà si tratta di danno che consegue all'inadempimento contrattuale.
(137) Cfr. G. CATTANEO, La responsabilità del professionista, cit., 189, secondo il quale è lecito riesaminare il merito di una controversia decisa con sentenza passata in giudicato per un fine
diverso da quello di togliere efficacia al giudicato; Cass., 10 agosto 1991, n. 8728, in Corr. giur.,
1991, 1319, la quale ritiene congrua la motivazione del giudice di secondo grado che, pur avendo
riconosciuto la colpa professionale dell'avvocato per la tardiva proposizione della querela di falso,
aveva rigettato la domanda risarcitoria, argomentando dalle risultanze istruttorie, tali da far ritenere
che, anche in caso di accoglimento della querela di falso, la domanda del cliente sarebbe stata
rigettata; Cass., 6 maggio 1996, n. 4196, in Foro it., 1996, I, 2384, che respinge la domanda diretta
ad ottenere il risarcimento dei danni di un mediatore nei confronti del proprio legale che aveva
lasciato prescrivere il diritto di ottenere il pagamento delle provvigioni, ritenendo che l'azione del
mediatore non sarebbe stata accolta, perché infondata; Cass., 27 luglio 1984, n. 4453, in Foro it.
Rep., 1984, voce Avvocato, n. 30, secondo la quale nel giudizio nei confronti del professionista che
abbia depositato tardivamente il ricorso avverso il licenziamento del proprio patrocinato questi deve
provare, come fatti costitutivi della propria domanda, oltre al nesso di causalità, anche tutte le circostanze relative all'illegittimità del licenziamento e non soltanto la avvenuta dichiarazione di improcedibilità del ricorso; contra V. ZENOZENCOVICH, Il danno per la perdita di una utilità futura, cit.,
217.
(138) Cfr. Cass. del Regno, 10 febbraio 1931, in Foro it., 1931, I, 628 con nota di A. PARRELLA, Colpa
delprocuratore e stima preventiva della lite, in Dir. proc. civ., 1931, II, 260, con nota di P.
CALAMANDREI, Limiti di responsabilità del legale negligente, cit., per la quale al procuratore in colpa
per omessa interposizione dell'appello può far carico solo il rimborso delle spese all'uopo anticipategli, ma non il danno incerto ed eventuale desunto da una stima preventiva dell'esito della
lite; sulla medesima pronuncia cfr. altresì F. CARNELUTTI, Rimedi contro la negligenza del difensore, in
Dir. proc. civ., 1932, II, 58, il quale replica al Calamandrei che altro è il giudizio di probabilità impiegato come mezzo di convincimento dell'esistenza del danno, altro come criterio per il suo
risarcimento parziale; cfr. altresì App. Roma, 27 ottobre, 1957, in Temi rom., 1958, 407, con nota di
G. CATTANEO, La colpa del difensore e l'accertamento del danno e ID., La responsabilità del professionista, cit., 196; Cass., 10 agosto 1991, n. 8728, in Corr. giur., 1991, 1319.
(139) Fattispecie esaminata da Cass., sez. III, 29 novembre 1973, n. 3298, in Giust. civ., 1974, I,
407 ss., relativamente alla quale il danno risarcibile era stato limitato alle spese e competenze della
fase del giudizio di primo grado successiva alla proposizione ad opera del convenuto della eccezione
di prescrizione e del giudizio d'appello.
(140) Sugli obblighi di informare il cliente desumibili per alcuni dall'art. 1176 c.c., comma II, per altri
dagli artt. 1337 e 1375, cfr. M. FORTINO, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici,
Milano, 1984, 78 ss.; M.R. TRAZZI, Responsabilità dell'avvocato per violazione dell'obbligo di informazione, in Contratto e impr., 1999, I, 47; ID., La responsabilità extracontrattuale dell'avvocato, ivi,
956. Cass., 14 novembre 2002, n. 16023, in Danno e resp., 2003, 256 ss., con nota di A.F.
SALVATORE; Cass., 8 maggio 1993, n. 5325, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 266, con commento di
F. MARINELLI, Le nuove frontiere della responsabilità professionale dell'avvocato, circa l'obbligo di
informativa al momento della revoca del mandato professionale; App. Perugia, 14 febbraio 1995, in
Rass. giur. umbra, 1996, 3, secondo la quale la proposizione di un appello manifestamente infondato
non comporta responsabilità dell'avvocato in quanto non esclude la prestazione di attività professionale apprezzabile a vantaggio dell'appellante.
(141) Cfr. Cass., 19 novembre 1992 n. 12364, in Giur. it., 1994, I, 1, con nota di M.C. TRAVERSO,
Appunti sulla responsabilità del professionista legale, che esamina una fattispecie in cui veniva
lamentato la proposizione, da parte del difensore, di un appello infondato; Trib. Milano, 5 ottobre
1995, in Foro pad., 1997, I, 103, con nota di P. LUONGO, Brevi considerazioni sulla responsabilità civile dell'avvocato.
(142) Cfr. Cass., 5 giugno 1996, n. 5264, cit.; Cass., sez. III, 28 aprile 1994, n. 4044, in Resp. civ.
prev., 1994, 634, con nota di S. RUTA, La responsabilità civile dell'avvocato: alcune considerazioni in margine ad una riaffermazione della Suprema Corte, relativa al caso di un avvocato che, ricevuto
incarico dal cliente di promuovere ogni iniziativa per ottenere il risarcimento del danno da lesioni
personali, dopo iniziali contatti informali con l'assicurazione, non aveva posto in essere alcun atto di
costituzione in mora, con prescrizione del relativo diritto; Cass., 10 agosto 1991, n. 8728, cit.; Cass.,
27 luglio 1984, n. 4453, cit; Cass., 11 maggio 1977, n. 1831, in Foro it. Rep., 1977, voce Professioni
intellettuali, n. 56. L'espressione "certezza morale" è mutuata dalla dottrina più risalente ed in particolare dal C. FERRINI, voce Danni(Azione di), in Enc. giur. it., IV, p. I, II, III, Milano, 1911, 83, il
quale avvertita la speciale difficoltà di dare la prova del danno da lucro cessante così si esprimeva: "in questa materia il certo è da intendersi con discrezione: non si intende certezza matematica, ma solo quella certezza morale, o altissima probabilità, che permette in pratica di operare con pericolo solo remoto del contrario".
(143) Cf. Trib. Roma, 27 novembre 1992, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 267; Trib. S.M. Capua
Vetere 6 febbraio 1989, in Foro it., 1990, I, 3315; Cass., 19 gennaio 2000, n. 566, in Vita not., 2000,
503; Cass., 27 gennaio 1999, n. 722, in Danno e resp., 1999, 1123, con nota di A. LAZZARI, Perdita di
chances in giudizio: la responsabilità del sindacato per omesso appello del lavoratore; Cass., 5 giugno
1996, n. 5264, cit.; Cass., 9 maggio 1993, n. 5325, cit; Cass., 5 aprile 1984, n. 2222, in Dir. prat.
ass., 1985, 306, s.m. con nota di M. ANTINOZZI, Responsabilità dell'avvocato verso il cliente per mancata impugnazione della sentenza di primo grado; si vedano altresì: L. FRANCIOSI, La responsabilità civile dell'avvocato, in questa Rivista, 2001, 831 ss.; MIRANDA, La responsabilità civile dell'avvocato e del consulente legale e l'esperienza di common law, in Europa e dir. priv., 2000, 537 ss.; L. NIVARRA, La
responsabilità civile dei professionisti (medici, avvocati, notai): il punto sulla giurisprudenza, ivi, 529 ss.,
il quale rileva che in tema di chance, leesigenze di tutela del cliente comportano un sacrificio della
chances in giudizio: la responsabilità del sindacato per omesso appello del lavoratore; Cass., 5 giugno
1996, n. 5264, cit.; Cass., 9 maggio 1993, n. 5325, cit; Cass., 5 aprile 1984, n. 2222, in Dir. prat.
ass., 1985, 306, s.m. con nota di M. ANTINOZZI, Responsabilità dell'avvocato verso il cliente per mancata impugnazione della sentenza di primo grado; si vedano altresì: L. FRANCIOSI, La responsabilità civile dell'avvocato, in questa Rivista, 2001, 831 ss.; MIRANDA, La responsabilità civile dell'avvocato e del consulente legale e l'esperienza di common law, in Europa e dir. priv., 2000, 537 ss.; L. NIVARRA, La
responsabilità civile dei professionisti (medici, avvocati, notai): il punto sulla giurisprudenza, ivi, 529 ss.,
il quale rileva che in tema di chance, leesigenze di tutela del cliente comportano un sacrificio della
coerenza interna delle fattispecie di responsabilità e le rassegne di CLARIZIA e RICCI, La
responsabilità civile dell'avvocato, in Nuova giur.civ. comm., 1985, II, 163; L. SBURLATI, La
responsabilità civile del professionista intellettuale, in Rassegna di giurisprudenza 1985-1994, in questa
Rivista, 1995, 54; R. FAVALE, La responsabilità civile del professionista, in Enciclopedia, collana diretta
da P. Cendon, Padova, 2002, 166, che esamina anche gli orientamenti della giurisprudenza inglese
e tedesca
(144) La giurisprudenza francese non appare ancora consolidata in merito alla risarcibilità della chance di vincere ilprocesso determinata dai mandataires de justice. Secondo un orientamentola
chance è risarcibile purché vi fossero serie probabilità di accoglimento della domanda; vi sono tuttavia decisioni che, muovendo dalla considerazione che un processo non è mai perso in partenza e che, nonostante la sua aleatorietà,costituisce comunque uno strumento di pressione
sull'avversario, ammettono che in ogni caso il comportamento negligente dell'avvocato ha privato il
danneggiato della chance di migliorare la sua situazione attuale e dunque accolgono l'azione, salvo
poi tenere conto della debolezza della chance in relazione all'ammontare della condanna. Rileva tale
"hesitation", della giurisprudenza francese, con ampi riferimenti giurisprudenziali, G. VINEY, Les
obligations. La responsabilité: conditions, cit., 348, la quale rileva che "si le rejet de l'action en
responsabilité s'impose effectivement lorsque l'échec du procès était certain, il est plus logique de prononcer une condamnation, même faible dès lors que la prétention de la victime avait quelque chance d'aboutir car le dommage existe alors incontestablement. In riferimento all'ordinamento tedesco, si
veda l'approfondita disamina di R. FAVALE, La responsabilità dell'avvocato nel diritto tedesco, in Riv.
crit. dir. priv., 1998, I, 483, che si occupa anche della rilevanza della causalità alternativa ipotetica e colloca la problematica della risarcibilità del danno consistente nel venire meno della possibilità di conseguire una sentenza favorevole tra quelle inerenti la valutazione ipotetica del danno.
(145) In tal senso N. COSENTINO, Colpa professionale dell'avvocato e "chance" di vittoria del cliente, in
Danno e resp. 1996, 645 e Cass., sez. III, 6 febbraio 1998, n. 1286, in Danno e resp., 1999, 441, con
nota di A.F. SALVATORE; in questa Rivista, 1998, 651, con nota di G. DEFAZIO, Responsabilità dell'avvocato: per la perdita del processo e per la perdita della "chance" di vincere il processo, la quale
conferma le pronunce dei giudici di prima e seconda istanza i quali, dopo aver constatato che
l'avvocato aveva omesso di informare il cliente della data fissata per l'udienza dibattimentale,
facendolo decadere dalla costituzione di parte civile nonché dalla possibilità di citare i testimoni ammessi, dalle deposizioni dei quali sarebbe stata possibile accertare la responsabilità della controparte in un incidente stradale, avevano condannato il legale al pagamento di una somma
corrispondente ai danni che sarebbero stati probabilmente liquidati a favore dell'attore se si fosse
costituito parte civile e avesse assunto i testimoni.
(146) Cass., 13 dicembre 2001, n. 15759, in Danno e resp., 2002, 393, cit. Afferma la Corte che il
rapporto causale deve essere riconosciuto quando l'interesse perseguito con il contratto, in caso di
adempimento, si sarebbe realizzato non necessariamente in modo certo, ma anche solo
ragionevolmente probabile "non essendo dato esprimere, in relazione ad un evento esterno già verificatosi, oppure ormai non più suscettibile di verificarsi "certezza di sorta", nemmeno di segno morale, ma solo semplici probabilità di una eventuale diversa evoluzione della situazione stessa".
(147) Il danno da perdita di chance viene considerato come entità patrimoniale a sé stante, suscettibile di autonoma valutazione, la cui perdita è conseguenza immediata e diretta di una lesione all'integrità del patrimonio, danno rispetto al quale, a giudizio della Corte, non si porrebbero problemi di accertamento sotto il profilo dell'an ma, eventualmente, solo sotto il profilo del quantum.
(148) Cfr. Trib. Milano, 25 marzo 1996, in questa Rivista, 1997, 1170, in tema di mancata
proposizione dell'appello; Trib. Roma, 11 ottobre 1995, in Danno e resp., 1996, 644, in tema di
mancata opposizione a decreto ingiuntivo; Cass., sez. III, 5 giugno 1996, n. 5264, cit., in tema di
mancata opposizione avverso l'ordinanza irrogativa di sanzione pecuniaria; Cass., 6 febbraio 1998,
n. 1286, cit., per il caso di omessa citazione dei testi.
(149) Si confronti la fattispecie decisa da Cass., 8 maggio 1993, n. 5325, cit., relativamente alla
quale si poneva invece effettivamente un problema di nesso causale, essendo materia del decisum
stabilire se, il mancato riconoscimento del diritto del cliente al risarcimento dei danni per rottura
della promessa di matrimonio, considerato "l'evento immediato", dedotto cioè in giudizio come elemento costitutivo dell'illecito contrattuale, fosse stato causato dal comportamento negligente del
professionista.
(150) Nella fattispecie esaminata da Cass., 18 giugno 1996, n. 5617, in Giur. it., 1997, I, 1, 638, il
giudice d'appello aveva, con giudizio ritenuto immune da censure, quantificato il danno risentito dal
cliente per la mancata proposizione della riassunzione di una impugnazione nei termini, nella
differenza tra la somma che questi si era trovato a sborsare e quella, minore, che era stata fatta
oggetto di proposta transattiva ad opera della controparte; cfr. altresì Trib. Roma, 27 novembre 1992, cit., che, riconosciuta la colpa grave dell'avvocato circa l'errata notifica di un atto di
opposizione all'esecuzione, lo condannava a risarcire la somma costituita dalla differenza tra
l'effettivo valore venale del bene subastato e il minor prezzo di aggiudicazione. Nel caso esaminato
da Cass., 6 febbraio 1998, n. 1286, cit., della mancata comunicazione al cliente dell'udienza
dibattimentale, la Suprema Corte ha riconosciuto al giudice d'appello di avere liquidato il danno con
estrema prudenza; la Corte d'appello, infatti, dopo avere accertato che, presumibilmente,
l'assunzione dei testi avrebbe indotto il giudice penale ad esprimere un giudizio di non colpevolezza
con formula dubitativa, aveva ritenuto di liquidare il danno facendo applicazione della presunzione di
cui all'art. 2054, comma II, c.c.. Diversamente il giudice di primo grado che, dopo aver determinato le
varie voci di danno e stabilito che lo stesso era ricollegabile a colpe concorrenti valutate
rispettivamente nel 60% e 40%, aveva ulteriormente decurtato le somme liquidate, in via equitativa,
di una percentuale pari al 20%.
(151) A. PIZZOFERRATO, Il danno alla persona: linee evolutive e tecniche di tutela, in Contratto e impr.,
1999, 1047; Trib. Milano, 26 aprile 1976, in Riv. dir. ind., 1977, II, 457 il quale, in un caso di
usurpazione della paternità dell'opera utilizzata abusivamente, dopo aver riconosciuto che il celamento della paternità dell'opera aveva sottratto alla danneggiata quella reputazione che, diffondendosi nel mondo della musica leggera, avrebbe potuto agevolmente tradursi in una fonte di
guadagno, liquida tale danno in via equitativa, tenendo conto sia della diffusione della canzonetta
oggetto di plagio, sia delle documentate e mai rinunciate aspirazioni dell'attrice nel campo della
musica leggera. Cfr. altresì Trib. Milano, 22 febbraio 2000, in D.L. Riv. crit. dir. lav., 2000, 446, che in
una ipotesi di accertata lesione della professionalità risarcisce il danno da perdita di chance sul
mercato del lavoro.
(152) In tali casi il risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante si accompagna quasi
sempre al riconoscimento di un danno estetico, che viene liquidato in aggiunta al danno biologico.
Cfr. Trib. Crema, 25 maggio-8 giugno 1989, n. 174, in Informazione prev., 1990, 632; Cass., 29
settembre 1999, n. 10762, in Danno e resp., 2000, 647, con commento di C. FAVILLI, Il danno estetico
alla fotomodella: un "frammento" di danno biologico?, la quale limita la risarcibilità del danno estetico, come autonoma fonte di danno patrimoniale, ai casi in cui l'aspetto estetico è un elemento essenziale o fortemente determinante dell'attività lavorativa espletata dal soggetto danneggiato; Cass., 28 aprile 1997, n. 3635, in Riv. it. med. leg., 1999, 590; Trib. Belluno, 10 settembre 1986, in
Arch. giur. circ. sin., 1987, 49; Trib. Treviso, 24 maggio 1990, n. 1283, ivi, 1990, 959; Trib. Palermo,
26 gennaio 1991, n. 193, ivi, 1991, 588; App. Trieste, 25 novembre 1987, cit.. F. CHABAS, La perdita
di chance nel diritto francese, cit., 242,rileva come la giurisprudenza francese ritenga che abbia
perduto delle vere chances chi, al momento dell'illecito svolgeva buoni studi o fosse in procinto di
terminarli. La giurisprudenza tedesca ha più volte affermato che, lo stato di disoccupazione in cui si trova il danneggiato al momento dell'illecito, non porta necessariamente ad escludere che egli in
futuro possa svolgere attività lucrative idonee a garantirgli un certo reddito; in tal senso, Corte federale di cassazione tedesca, 14 gennaio 1997, in NJW, 1997, 937 ss.; Corte federale di
cassazione tedesca, 3 marzo 1998, ivi, 1998, 1634 ss.; Corte federale di cassazione tedesca, 17
gennaio 1995, ivi, 1995, 1023 ss.; nel caso deciso da App. Colonia, 21 settembre 1971, in NJW.,
1972, 59, un giovane, trascorsi quindici anni dall'incidente che gli aveva arrecato gravi lesioni
perduto delle vere chances chi, al momento dell'illecito svolgeva buoni studi o fosse in procinto di
terminarli. La giurisprudenza tedesca ha più volte affermato che, lo stato di disoccupazione in cui si trova il danneggiato al momento dell'illecito, non porta necessariamente ad escludere che egli in
futuro possa svolgere attività lucrative idonee a garantirgli un certo reddito; in tal senso, Corte federale di cassazione tedesca, 14 gennaio 1997, in NJW, 1997, 937 ss.; Corte federale di
cassazione tedesca, 3 marzo 1998, ivi, 1998, 1634 ss.; Corte federale di cassazione tedesca, 17
gennaio 1995, ivi, 1995, 1023 ss.; nel caso deciso da App. Colonia, 21 settembre 1971, in NJW.,
1972, 59, un giovane, trascorsi quindici anni dall'incidente che gli aveva arrecato gravi lesioni
personali, chiedeva un integrazione del risarcimento che gli era stato liquidato, motivando la propria
richiesta sul fatto di non aver potuto superare, a causa delle lesioni subite, l'esame di
elettrotecnico; la Corte accoglie la richiesta di risarcimento sulla base delle prove fornite dal
danneggiato, quali: le buone prestazioni scolastiche accompagnate da una diligenza superiore alla
media e la severa educazione ricevuta, nonostante il danneggiante avesse dimostrato che la
percentuale di candidati che avevano superato l'esame nel quale l'attore era stato respinto era
molto bassa (non più del 20%).
(153) La sentenza è pubblicata in Danno e resp., 1999, 534, con nota di U. VIOLANTE, La chance di
un giro di valzer, e senza dubbio ricalcal'orientamento seguito dalla giurisprudenza francese la quale,
nel caso in cui la realizzazione della chance sia subordinata ad una doppia serie di eventualità, tende a negare il risarcimento, cfr. quanto esposto sopra, nota n. 35;cfr. anche Trib. Perugia, 13
febbraio 1999, in Riv. giur. umbra, 1999, 746 che ha escluso che la frequentazione di un corso da
indossatrice presso una emittente televisiva da parte dell'attrice diciassettenne, frequentante il
primo anno di liceo classico al momento del sinistro, potesse essere prova sufficiente di un danno
patrimoniale da perdita di chance.
(154) Cfr. la fattispecie decisa da Trib. Roma, 20 marzo 1987, cit., il quale, ravvisata una lesione
della dignità e reputazione discendente da comportamenti illeciti della commissione giudicatrice di un concorso, riconosce un danno di natura patrimoniale alla vita di relazione; Trib. Cosenza, 10
dicembre 1987, cit., il quale, nel caso di attribuzione immotivata di punteggi discrezionali, ravvisa un
danno alla vita di relazione, essendo stato violato l'interesse a preservare l'immagine sociale
acquisita nell'ambiente di lavoro (qualificato danno patrimoniale indiretto, che viene distinto dal
danno da perdita di chance, relativamente al quale si ritiene non raggiunta la prova da parte del
danneggiato); Pret. Bologna, 8 aprile 1997, in Lav. nella giur., 1998, 140, con nota di A. BOSCATI,
Danno alla professionalità: lesione di un interesse morale di natura contrattuale, per la quale la
dequalificazione professionale può comportare, eo ipso, un vulnus alla vita di relazione e il vulnus
alla vita di relazione può comportare, a sua volta, eo ipso, un sicuro lucro cessante per il lavoratore,
peraltro non ravvisato nella fattispecie concreta; A. RAFFI, Danni alla professionalità e da perdita di "chances", in Danno biologico e oltre, a cura di M. Pedrazzoli, Torino, 1995, 81, la quale osserva che la
giurisprudenza considera tale danno: o coincidente con il danno alla vita di relazione; o dotato di
autonomia giuridica e pertanto suscettibile di autonoma risarcibilità; o come possibile contenuto del danno biologico. Circa la possibilità che la perdita della chance lavorativa sia liquidata nell'ambito del
danno biologico cfr. G. GIANNINI, Il risarcimento del danno alla persona, Milano, 1991, 72-73; M.
LANOTTE, Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, Torino, 1998, 19; G.B. PETTI, Il risarcimento del
danno patrimoniale e non patrimoniale della persona, Torino, 1999, 485. Ritengono che nel caso il
datore di lavoro abbia lasciato il proprio dipendente inattivo, con violazione dell'art. 2103 del codice
civile, sia astrattamente configurabile un danno patrimoniale, ritenuto componente del danno
biologico, il cui onere della prova è a carico del lavoratore: Cass., sez. lav., 13 agosto 1991, n. 8835, in Dir. giur., 1993, 351, con nota di M.P. BIFULCO, Inattività del lavoratore e danno biologico; Cass.,
sez. lav., 18 aprile 1996, n. 3686, in Giur. it., 1997, I, 1, 926, con nota di F. GIANMARIA, Osservazioni
in tema di danno da dequalificazione professionale; Trib. Milano, 30 ottobre 1996, in Orient. giur. lav.
1996, 1050; Trib. Roma, 2 giugno 1994, in Notiz. giur. lav., 1994, 323.
(155) Assume propria autonomia, rispetto al danno da perdita di chance e alle problematiche ad
esso inerenti, il danno esistenziale che, secondo la definizione corrente in dottrina e al di là delle qualificazioni che gli si vogliano attribuire, consiste nel pregiudizio arrecato a tutte le manifestazioni
che attengono all'"agire non reddituale del soggetto", che, per effetto dell'illecito, è costretto ad adottare nella vita di ogni giorno comportamenti diversi dal passato, cfr. P. ZIVIZ, Alla scoperta del
danno esistenziale, cit., 1321.
(156) Sul punto G. BONILINI, La seduzione con promessa di matrimonio è ancora illecito civile?, in
questa Rivista, 1977, 62.
(157) A seguito dell'abrogazione dell'art. 526 c.p., che puniva il fatto commesso da persona già coniugata nei confronti di persona minore.
(158) In tal senso Cass., 10 agosto 1991, n. 8733, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, con nota di E.
CORRADI, In tema di seduzione con promessa di matrimonio e responsabilità civile; la giurisprudenza di
merito è oramai giustamente restía a ravvisare conseguenze patrimonialmente dannose quando il danneggiato affermi, a causa della subita seduzione, la perdita di occasioni matrimoniali,
osservando che, l'attuale ruolo svolto dalla donna all'interno della famiglia, non consente più di ritenere che dallo status di coniuge questa possa ottenere, secondo l'id quod plerumque accidit, un
sostanziale miglioramento delle proprie condizioni economiche, come rilevato da Trib. Palermo, 2
giugno 1998, in Danno e resp., 1998, 1140, con nota di V. CARBONE, La seduzione con promessa di
matrimonio non è perdita di chance.
(159) Vedi retro § 3; cfr. altresì l'interpretazione rigorosa di Trib. Lucca, 26 settembre 1990, n. 884, in Arch. giur. circ. sin., 1993, 341, il quale, in una fattispecie in cui veniva lamentato il danno
patrimoniale risentito a causa della perdita di un anno di scuola e, per conseguenza, del ritardo
nell'ingresso nel mondo del lavoro, ritiene si tratti di danno meramente ipotetico, non essendovi
alcuna certezza che il ragazzo avrebbe trovato immediatamente un'occupazione corrispondente al
tipo di preparazione professionale avviata.
Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile
ESTREMI
Autorità: Cassazione civile sez. III
Data: 28 settembre 2010
Numero: n. 20351
CLASSIFICAZIONE
DANNI - Valutazione e liquidazione danno emergente e lucro cessante Vedi tutto
DANNI - Valutazione e liquidazione in genere
Danni - Danno da perdita di chance - Risarcimento - Ammissibilità. INTESTAZIONE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE
Michele
Dott. FILADORO
Camillo
Dott. FINOCCHIARO Mario
Dott. MASSERA
Maurizio
Dott. D'AMICO
Paolo
- rel.
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Presidente
Consigliere
Consigliere
Consigliere
Consigliere
-
Dott. FINOCCHIARO
Dott. MASSERA
Dott. D'AMICO
ha pronunciato la
Mario
- Consigliere Maurizio
- Consigliere Paolo
- rel. Consigliere seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.P.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio dell'avvocato DI MEO
STEFANO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CASINI
PARIDE giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrente e contro
M.A.;
- intimato e contro
GAN
ITALIA
S.P.A.
(OMISSIS),
in
persona
del
legale
rappresentante
pro
tempore,
Dott.ssa
C.C.,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 118, presso lo
studio dell'avvocato POSI MARIA PIA, che la rappresenta e difende
unitamente all'avvocato PLANTADE FRANCOISE MARIE giusta procura
speciale del Dott. Notaio CARLO FEDERICO TUCCARI in ROMA del
12/05/2006, REP. N. 70721, resistente con procura;
- resistente avverso la sentenza n. 17 6/2005 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA,
SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 29/10/2004, depositata il 08/02/2005
R.G.N. 418/1998;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
07/07/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO D'AMICO;
adito l'Avvocato DI MEO STEFANO; udite l'Avvocato POSI MARIA PIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
d.P.G. e L.M., in qualita' di legali rappresentanti del figlio minore A. convenivano in giudizio, dinanzi al
Tribunale di Modena, M.A. e la compagnia di assicurazioni Phenix - Soleil s.p.a., ora Gan Italia s.p.a.,
per sentir dichiarare l'esclusiva responsabilita' del medesimo convenuto in ordine all'incidente
stradale nel quale il minore era stato investito dall'auto del M..
Si costituiva la compagnia assicuratrice contestando la domanda dei D.P. mentre veniva dichiarata la
contumacia di M. A. che si costituiva poi con domanda riconvenzionale.
Il Tribunale dichiarava che il sinistro era avvenuto per colpa dell'attore nella misura del 70% e del
convenuto nella misura del 30% e condannava quindi la Phenix Soleil al risarcimento dei danni in
favore dell'attore; in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale condannava D.P.G. e L.M.
al risarcimento dei danni in favore di M.A..
Proponeva appello D.P.A. chiedendo che la responsabilita' del sinistro del quale era rimasto vittima
venisse imputata esclusivamente ad M.A. e che la Phenix Soleil fosse condannata a pagargli
l'ulteriore somma di L. 136.819.459.
Si costituivano gli appellati chiedendo che il D.P. fosse dichiarato unico responsabile del sinistro e
tenuto a restituire la somma di L. 21.363.000 oltre accessori, corrisposta dalla compagnia
assicuratrice in esecuzione della sentenza di primo grado e, in accoglimento della domanda
riconvenzionale del M., fosse condannato all'integrale risarcimento.
La Corte d'Appello di Bologna confermava l'attribuzione della responsabilita' alle parti come
determinata dal Tribunale; respingeva perche' domanda nuova inammissibile in secondo grado
quella dell'appellante volta ad ottenere la liquidazione del danno patrimoniale da invalidita'
permanente in quanto non specificamente richiesta in primo grado; escludeva la riduzione del 10%
a titolo di scarto fra vita fisica e vita lavorativa; dichiarava inammissibile la riconvenzionale del M.;
confermava la statuizione di primo grado nella valutazione del sinistro e nell'esclusione del danno
morale.
Proponeva ricorso per Cassazione il D.P..
Questa Corte riconosceva a costui il danno morale e il danno patrimoniale e rinviava gli atti alla
Corte d'Appello di Bologna.
D.P. riassumeva il processo nei confronti della Gan Italia s.p.a. (gia' Phenix Soleil s.p.a.) e di M.A.. Si
costituiva soltanto la compagnia assicuratrice.
La Corte distrettuale, pronunciando in sede di rinvio dalla Suprema Corte (sentenza n. 3625/97)
sull'appello proposto da D.P. A. avverso la sentenza del 9.3.1990 n. 349 del Tribunale di Modena,
condannava la Gan Italia s.p.a. a rifondere all'appellante la meta' delle ulteriori spese processuali.
Proponeva ricorso per cassazione D.P.A. formulando due mezzi d'impugnazione.
DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i due mezzi d'impugnazione, da esaminare congiuntamente attesane l'intrinseca connessione,
parte ricorrente rispettivamente denuncia:
1) "Omessa, insufficiente e contrad-dittoria motivazione sul punto decisivo e controverso del
risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacita' lavorativa e di prova dello stesso nel
caso di grave menomazione psico - fisica riportata da un minore in eta' della scuola dell'obbligo e,
quindi, prelavorativa (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)";
2) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 32 Cost., degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2727 e
2729 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1)".
Parte ricorrente critica l'impugnata sentenza sia perche' ha negato la perdita della sua futura,
specifica capacita' di guadagno; sia perche' ha fatto propria la c.t.u., ritenuta insoddisfacente; sia
perche' ha negato che lo stesso d.P.A. sia rimasto pregiudicato nelle sue chances future. Per altro
verso critica la suddetta sentenza per aver violato il diritto alla tutela della salute della vittima e al
risarcimento dei danni.
Entrambi i motivi sono infondati.
Ha infatti accertato l'impugnata sentenza, sulla scorta della C.t.u., che la vittima ha iniziato la
propria attivita' lavorativa all'eta' di sedici anni; che e' attualmente idonea al lavoro; che esercita
un'attivita' lavorativa richiedente un certo grado di specializzazione ed una buona abilita' manuale;
che non presenta esiti minorativi in relazione alla sua capacita' lavorativa attuale;
che non ha subito o subira' una perdita della sua futura, specifica capacita' di guadagno.
Tali rilievi, attinenti al merito della decisione, sono insuscettibili di critica in sede di legittimita', in
presenza di una motivazione congrua, seppur sintetica, e comunque immune da vizi logici o giuridici.
Quanto in particolare alla dedotta perdita di chances deve rilevarsi che a ragione tale perdita non e'
stata riconosciuta perche' non e' stata fornita la prova dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali
desumere in termini di certezza o di elevata probabilita' e non di mera potenzialita', l'esistenza di un
pregiudizio economicamente valutabile (Cass., 11.5.2010, n. 11353; Cass., 19.2.2009, n. 4052).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato mentre la peculiarita' della fattispecie e delle vicende
processuali inducono alla compensazione delle spese del processo di cassazione .
presenza di una motivazione congrua, seppur sintetica, e comunque immune da vizi logici o giuridici.
Quanto in particolare alla dedotta perdita di chances deve rilevarsi che a ragione tale perdita non e'
stata riconosciuta perche' non e' stata fornita la prova dell'esistenza di elementi oggettivi dai quali
desumere in termini di certezza o di elevata probabilita' e non di mera potenzialita', l'esistenza di un
pregiudizio economicamente valutabile (Cass., 11.5.2010, n. 11353; Cass., 19.2.2009, n. 4052).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato mentre la peculiarita' della fattispecie e delle vicende
processuali inducono alla compensazione delle spese del processo di cassazione .
P.Q.M.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e compensa le spese del processo di cassazione.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 21010.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2010
NOTE GIURISPRUDENZIALI
Resp. civ. e prev. 2011, 01, 0103
In senso conforme Cass. civ., 19 febbraio 2009, n. 4052; Cass. civ., 11 maggio 2010, n. 11353;
Cons. Stato, 19 marzo 2009, n.1622
Archivio selezionato: Sentenze Cassazione Civile
ESTREMI
Autorità: Cassazione civile sez. un.
Data: 26 gennaio 2009
Numero: n. 1850
CLASSIFICAZIONE
GIURISDIZIONE CIVILE - Giurisdizione ordinaria e amministrativa autorita' giudiziaria
ordinaria Vedi tutto
RESPONSABILITA' CIVILE (EXTRACONTRATTUALE, alias AQUILIANA) - Amministrazione
pubblica in genere
INTESTAZIONE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE
Vincenzo
- Primo Presidente Dott. VITTORIA
Paolo
- Presidente di sezione Dott. PAPA
Enrico
- Presidente di sezione Dott. MORELLI
Mario Rosario - Presidente di sezione Dott. ODDO
Massimo
- Consigliere Dott. FINOCCHIARO
Mario
- Consigliere Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio
- Consigliere Dott. SALME'
Giuseppe
- Consigliere Dott. NAPPI Aniello
- rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.G., domiciliato in Roma, via Aniene 14, presso lo
studio Sciumè & associati, rappresentato e difeso dall'avv. ALBERTI
A., come da mandato a margine del ricorso;
- ricorrente Contro
Amministrazione provinciale di (OMISSIS), domiciliata in Roma, via
degli Scipioni 8, presso l'avv. F. Carella, rappresentata e difesa
dall'avv. Fracchiolla Lettieri L., come da mandato a margine del
controricorso;
- controricorrente e ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 686/2005 della Corte d'appello di Brescia,
depositata il 21 luglio 2005;
Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Aniello Nappi;
uditi i difensori, avv. Maffei per delega Alberti per il ricorrente
principale e avv. Fracchiolla Lettieri per il resistente e ricorrente
incidentale;
Udite le conclusioni del P.M., Dr. IANNELLI D., che ha chiesto il
rigetto del primo motivo del ricorso incidentale, il rinvio per il
resto alla sezione semplice.
FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 14 maggio 1991 C.G. convenne in giudizio l'Amministrazione
provinciale di (OMISSIS), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionatigli con il
ritardato rilascio in data (OMISSIS) dell'autorizzazione all'esercizio di un'autoscuola in (OMISSIS),
richiesta il (OMISSIS). La domanda, rigettata dal tribunale, fu accolta dalla Corte d'appello di Brescia,
che condannò l'Amministrazione provinciale di (OMISSIS) al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 20.164,56 a titolo di risarcimento dei danni. I giudici d'appello, disattesa l'eccezione
di difetto di giurisdizione del giudice ordinario riproposta dall'Amministrazione provinciale di
(OMISSIS), ritennero che, benchè già previsto da un regolamento provinciale del 11 giugno 1984, il rapporto tra numero di autoscuole e numero di abitanti della provincia, addotto dall'amministrazione
convenuta a giustificazione del diniego dell'autorizzazione, non era ammesso dalla legge vigente
all'epoca, essendo stato introdotto dalla L. n. 111 del 1988 e concretamente applicato solo con il
Regolamento Ministeriale 3 agosto 1990, n. 301, di attuazione di tale legge.
Sicchè era illegittimo il Regolamento Provinciale del 1984 ed erano stati di conseguenza illegittimi i precedenti ripetuti dinieghi dell'autorizzazione richiesta da C.G., cui competeva perciò il risarcimento dei danni arrecati al suo diritto di iniziativa economica. Tali danni potevano peraltro essere liquidati,
secondo i giudici del merito, solo con riferimento alle spese documentate, escluse comunque le
spese di sistemazione dei locali, di cui non risultava provato l'effettivo rimborso al proprietario.
Mancava del tutto di prove invece il dedotto lucro cessante, perchè l'attore, benchè ripetutamente richiestone, aveva omesso di fornire al consulente tecnico d'ufficio la documentazione contabile
necessaria all'accertamento.
Contro la sentenza d'appello ricorre ora per cassazione C. G. e propone tre motivi d'impugnazione,
precedenti ripetuti dinieghi dell'autorizzazione richiesta da C.G., cui competeva perciò il risarcimento dei danni arrecati al suo diritto di iniziativa economica. Tali danni potevano peraltro essere liquidati,
secondo i giudici del merito, solo con riferimento alle spese documentate, escluse comunque le
spese di sistemazione dei locali, di cui non risultava provato l'effettivo rimborso al proprietario.
Mancava del tutto di prove invece il dedotto lucro cessante, perchè l'attore, benchè ripetutamente richiestone, aveva omesso di fornire al consulente tecnico d'ufficio la documentazione contabile
necessaria all'accertamento.
Contro la sentenza d'appello ricorre ora per cassazione C. G. e propone tre motivi d'impugnazione,
cui resiste con controricorso l'Amministrazione provinciale di (OMISSIS), che ha proposto altresì ricorso incidentale, affidato a due motivi.
DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Riuniti i ricorsi in applicazione dell'art. 335 c.p.c., va esaminato innanzitutto il ricorso incidentale,
che propone due questioni pregiudiziali.
2.1 Con il primo motivo la ricorrente incidentale ripropone infatti l'eccezione di difetto di giurisdizione
del giudice ordinario, già proposta nelle fasi di merito.
Sostiene che in tanto il giudice del merito ha dichiarato illegittimi i dinieghi dell'autorizzazione
richiesta da C.G., in quanto ha ritenuto illegittimo e perciò disapplicato il regolamento provinciale di cui i provvedimenti controversi erano attuazione. Ma il regolamento provinciale, in quanto atto
generale, non poteva essere disapplicato, non essendo idoneo a incidere su posizioni soggettive
individuali. E ciò a maggior ragione in una materia, come quella dei servizi pubblici essenziali qual è quello di autoscuola, che la L. 21 luglio 2005, n. 205, art. 7 riserva alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale eccepisce la violazione del giudicato formatosi sulla
legittimità del regolamento provinciale. Infatti l'unico giudizio promosso davanti al giudice amministrativo, nel quale era stata formalmente impugnato il regolamento, si era concluso con una
sentenza dichiarativa della perenzione del processo e mai impugnata. Sicchè la legittimità del regolamento non poteva più essere rimessa in discussione.
2.2 Il ricorso incidentale è infondato. Quanto al primo motivo, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la domanda risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione
per illegittimo esercizio di una funzione pubblica proposta prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n.
80 del 1998, modificato poi dalla L. 21 luglio 2000 n. 205, rientra nella giurisdizione del giudice
ordinario anche se venga dedotta la lesione di un interesse legittimo che, al pari di quella di un
diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può esser fonte di responsabilità aquiliana e, quindi, dar luogo al risarcimento del danno ingiusto (Cass., sez. 1, 17 ottobre 2007, n.
21850, m. 599711).
Sicchè in questi casi il giudice ordinario adito può procedere direttamente ad accertare l'illegittimità del provvedimento amministrativo nell'ambito della verifica della qualificabilità del fatto controverso come illecito a norma dell'art. 2043 c.c. "non essendo più ravvisabile la pregiudizialità del giudizio di annullamento dell'atto dinanzi al giudice amministrativo, in passato costantemente affermata in
quanto solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, unica situazione giuridica
soggettiva la cui lesione si riteneva tutelabile dinanzi al giudice ordinario" (Cass., sez. 3, 22 luglio
2004, n. 13619, m. 575434, Cass., sez. 3, 25 agosto 2006, n. 18486, m. 592067).
Nè la natura generale o regolamentare di un atto può essere considerata ostativa alla sua disapplicazione da parte del giudice ordinario, posto che sono appunto i "regolamenti generali e
locali", che, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E, il giudice ha il potere dovere di
disapplicare ove illegittimi (Cass., sez. 50, 15 febbraio 1985, n. 1304, m. 439393), anche quando
sono solo presupposto dell'atto direttamente lesivo della situazione soggettiva individuale (Cass.,
sez. 50, 18 agosto 2004, n. 16175, m.
576531). Quanto al secondo motivo, si tratta di censura manifestamente infondata, perchè la sentenza del Tribunale amministrativo per la Lombardia invocata dal ricorrente dichiarò improcedibile per carenza sopravvenuta di interesse il ricorso di C., che aveva ottenuto alla fine l'autorizzazione
lungamente attesa. E la dichiarazione di improcedibilità per carenza di interesse è incompatibile con qualsiasi effetto di giudicato sulla legittimità dell'atto impugnato (Cons. Stato, sez. 4, 20 gennaio 2006, n. 143).
3.1 Con il primo motivo del suo ricorso il ricorrente principale deduce violazione degli artt. 193 e 194
c.p.c., vizi di motivazione della decisione impugnata, erroneamente fondata su una consulenza
tecnica d'ufficio che aveva illegittimamente omesso di rispondere ai quesiti sul danno da mancato
guadagno. Sostiene che il consulente d'ufficio:
a) avrebbe dovuto rispondere ai quesiti postigli, indipendentemente dalla documentazione
prodottagli dal consulente di parte e ritenuta carente o inidonea in quanto non ufficiale;
b) avrebbe dovuto accertare direttamente il costo medio di un corso di autoscuola, anche basandosi
sulla dichiarazione dei redditi relativa all'anno (OMISSIS) prodotta in giudizio e anche in mancanza di
elementi per determinare l'importo dei ricavi medi;
c) avrebbe dovuto determinare il numero dei potenziali utenti dell'autoscuola, fondandosi sul
registro degli iscritti per l'anno (OMISSIS), anche in mancanza della dichiarazione IVA assurdamente
ritenuta indispensabile;
d) avrebbe dovuto determinare la perdita assumendo le necessarie informazioni sui ricavi medi delle
autoscuole della provincia, indipendentemente dalla documentazione relativa alla successiva attività della scuola, in quanto l'attore avrebbe potuto anche rinunciare a intraprendere la nuova attività dopo il 1991, senza per questo perdere il diritto al risarcimento dei danni subiti per gli anni
precedenti.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1226
e 2056 c.c. lamentando l'omessa determinazione equitativa dell'entità del danno da mancato guadagno.
Sostiene che, essendo certa l'esistenza del danno, l'incertezza ineliminabile sulla sua entità effettiva ne avrebbe imposto la liquidazione equitativa.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce infine vizi di motivazione nella valutazione delle
testimonianze e della documentazione di spesa relativa alla sistemazione dei locali da destinare
all'autoscuola.
Sostiene che le prove testimoniali e documentali acquisite avrebbero giustificato la liquidazione
anche di tale voce di danno, arbitrariamente esclusa dalla corte d'appello.
3.2 Anche il ricorso principale deve essere rigettato.
I due primi motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono entrambi infondati.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, "il creditore che voglia ottenere, oltre al rimborso
delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di "chance" - che, come concreta ed
effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sè stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione - ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo
di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere
conseguenza immediata e diretta" (Cass., sez. 50, 20 giugno 2008, n. 16877, m. 603883, Cass.,
sez. 3, 28 gennaio 2005, n. 1752, m. 578787).
Nel caso in esame l'attore C., che gestiva anche un'altra autoscuola in un diverso comune e aveva
finalmente avviato nel 1992 la nuova autoscuola di (OMISSIS), era nelle condizioni ottimali per offrire
al consulente d'ufficio tutta la documentazione necessaria alla liquidazione in via presuntiva del
danno da mancato guadagno.
Come risulta dalla sentenza impugnata, e non è sostanzialmente negato neppure nel ricorso, tale documentazione non fu invece fornita, benchè ripetutamente richiesta. Lo stesso elenco degli iscritti all'autoscuola, prodotto solo con riferimento all'anno (OMISSIS), era inidoneo a provare qualsiasi
danno, posto che il numero degli iscritti risultava insufficiente a coprire le spese di gestione. Ciò nondimeno il ricorrente lamenta che il consulente non abbia proceduto autonomamente
all'acquisizione delle informazioni necessarie. Ma la consulenza tecnica d'ufficio non può essere destinata a supplire alle iniziative istruttorie cui le pari sono tenute per l'onere probatorio che grava
su di esse (Cass., sez. 3, 26 novembre 2007, n. 24620, m. 600467, Cass., sez. 1, 5 luglio 2007, n.
15219, m. 598314). Mentre la liquidazione equitativa del danno, di cui pure si lamenta l'omissione, è ammessa solo quando non sia possibile o riesca difficoltosa la sua precisa determinazione, non vi si
all'autoscuola, prodotto solo con riferimento all'anno (OMISSIS), era inidoneo a provare qualsiasi
danno, posto che il numero degli iscritti risultava insufficiente a coprire le spese di gestione. Ciò nondimeno il ricorrente lamenta che il consulente non abbia proceduto autonomamente
all'acquisizione delle informazioni necessarie. Ma la consulenza tecnica d'ufficio non può essere destinata a supplire alle iniziative istruttorie cui le pari sono tenute per l'onere probatorio che grava
su di esse (Cass., sez. 3, 26 novembre 2007, n. 24620, m. 600467, Cass., sez. 1, 5 luglio 2007, n.
15219, m. 598314). Mentre la liquidazione equitativa del danno, di cui pure si lamenta l'omissione, è ammessa solo quando non sia possibile o riesca difficoltosa la sua precisa determinazione, non vi si
può ricorrere per ovviare all'inadempimento della parte agli oneri probatori che le incombono (Cass., sez. 2, 21 novembre 2006, n. 24680, m. 593216, Cass., sez. 2, 28 giugno 2000, n. 8795, m.
538126).
Sicchè risulta corretta e pertanto incensurabile la motivazione esibita dai giudici del merito per negare il risarcimento del dedotto danno da mancato guadagno.
Quanto alle spese di sistemazione dei locali da destinare ad autoscuola, i giudici del merito non
negano che i relativi lavori siano stati effettivamente eseguiti. E quindi sono irrilevanti le prove
testimoniali di cui si lamenta in ricorso la mancata valutazione.
I giudici del merito hanno escluso tale voce di danno per la mancanza di prova dell'effettivo esborso
da parte del ricorrente della somma cui si riferisce la documentazione di spesa prodotta, che è intestata al proprietario dei locali. E nessuna censura il ricorrente ha proposto con riferimento a tale
giustificazione della decisione.
Sicchè il terzo motivo del ricorso è inammissibile.
4. Il rigetto di entrambi i ricorsi, con la reciproca parziale soccombenza delle parti, giustifica la
compensazione integrale delle spese di questo grado del giudizio.
P.Q.M.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a Sezioni unite, riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa
integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2009
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