La prima esperienza di variazione territoriale delle Regioni al vaglio
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La prima esperienza di variazione territoriale delle Regioni al vaglio
Archivio selezionato: Note Nota a: Corte Costituzionale, 08/07/2010, n. 246 La prima esperienza di variazione territoriale delle Regioni al vaglio della Corte costituzionale. Giur. cost. 2010, 5, 3976 Stefania Mabellini 1. La pronuncia in commento ha ad oggetto la prima concreta esperienza di distacco di alcuni Comuni da una Regione ed aggregazione ad un'altra. Un tema, quello dell'identificazione territoriale delle Regioni, che, invero, con andamento carsico, affiora puntualmente nel dibattito costituzionale italiano, ma che, soprattutto negli ultimi anni, è emerso con straordinario vigore sulla spinta delle iniziative presentate da diversi Comuni appartenenti a Regioni ordinarie desiderosi di migrare nelle limitrofe Regioni ad autonomia speciale (1). È quanto mai facile constatare che, in questa occasione, il carattere ordinario della Regione di origine e di quella di destinazione non abbia rappresentato una variabile indipendente rispetto all'esito positivo della procedura che ci si trova a commentare, mentre, per converso, la sorte di analoghe procedure che coinvolgono Regioni speciali non sembra attualmente avviato a rapida conclusione. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale la Regione Marche lamenta che, nel procedimento parlamentare di approvazione della legge che ha sancito il distacco, il parere contrario da essa reso non sarebbe stato oggetto di sostanziale considerazione da parte dell'organo legislativo né, d'altra parte, la Regione sarebbe stata messa in condizione di conoscere i motivi che avrebbero spinto le Camere a discostarsene, con conseguente violazione del principio di leale collaborazione. La ricorrente, in altre parole, non contesta, nel merito, la scelta del Parlamento, né che il suo parere sia stato concretamente disatteso: il carattere non vincolante dei pareri resi dai Consigli regionali nel corso del procedimento ex art. 132, comma 2, Cost. è, del resto, pacificamente riconosciuto in dottrina (2). Come è noto, infatti, analogamente a quanto si registra in altri ordinamenti, anche federali, in Italia, nel corso del procedimento di riordino territoriale, è riconosciuto, alle assemblee regionali, un coinvolgimento (sotto forma di consultazione obbligatoria) (3) di ordine eminentemente procedimentale (4). Dal quale si evidenzia, in prima battuta, una certa debolezza della posizione dei Consigli. Il cui parere - quanto meno finché era in vigore l'interpretazione estensiva del concetto di «popolazione interessata», accolta nella legislazione attuativa (5), estesa a comprendere le popolazioni indirettamente interessate o controinteressate alla variazione -, avrebbe potuto subire una qualche svalutazione, sovrapponendosi, da un canto, alla volontà espressa dal corpo elettorale (6), e subendone, dall'altro, il condizionamento politico, in conseguenza della collocazione successiva al responso popolare (7). Il pericolo di subalternità dell'assemblea rappresentativa rispetto alle potenzialità espresse dall'istituto di democrazia diretta è, però, destinato a stemperarsi considerando il ruolo effettivamente assegnato al referendum in questione (8), che, privo del significato oppositivo che gli viene generalmente riservato nell'ordinamento italiano, si inserisce, piuttosto, nel procedimento di variazione territoriale, come uno degli elementi di giudizio messi a disposizione del legislatore statale (9). A ciò va ad aggiungersi un'ulteriore considerazione. Affermatasi, infatti, nella giurisprudenza costituzionale, l'interpretazione secondo la quale la consultazione referendaria deve intendersi limitata alle sole popolazioni direttamente interessate (10), sono proprio i pareri dei Consigli regionali - atti presupposti all'interno del procedimento di formazione della legge di variazione e condizione di legittimità della stessa (11) - a rappresentare l'unico strumento per dare voce alle popolazioni non residenti nei territori attivamente coinvolti nella variazione, ma nondimeno da essa incise, per quanto indirettamente (12). Motivo per cui lascia perplessi l'orientamento affermatosi in via di prassi - prevalente, per quanto, sembrerebbe, non pacifico (13) -, in base al quale l'iter parlamentare potrebbe prendere avvio prescindendo dalla conclusione di tale fase consultiva (14). La quale, su questa strada, rischierebbe di assumere, surrettiziamente, carattere facoltativo, vedendo esponenzialmente diminuita la sua capacità di esercitare una qualche influenza sul legislatore nazionale. 2. È proprio sull'incidenza del parere nel corso del procedimento parlamentare che la Regione Marche chiama la Corte costituzionale a pronunciarsi. Ciò che rileva la Regione, difatti, è che, dagli atti parlamentari, non sia emersa una formale ponderazione degli interessi contrari al distacco né sia stato dato conto delle ragioni sulle quali si fonda la scelta legislativa definitivamente assunta. In altre parole, ad avviso della Regione, al riconoscimento costituzionale della rilevanza giuridica dei pareri consiliari, dovrebbe corrispondere l'obbligo, per il Parlamento, di «tenerne conto», anche formalmente. La Corte costituzionale dichiara non fondata la pretesa della Regione, argomentando tale conclusione sulla base di due ordini di considerazioni. In primo luogo, la «sicura incidenza», pure riconosciuta anche recentemente dalla stessa Corte a tali pareri «ai fini dell'eventuale approvazione della legge di modifica territoriale» (sent. n. 334 del 2004) non potrebbe tramutarsi, nel silenzio della Costituzione, in un onere a carico del legislatore nazionale, neanche ritenendolo conseguente al principio di leale collaborazione - la cui applicabilità alla funzione legislativa sarebbe, peraltro, ad avviso della Corte, assai dubbia (15) - in quanto si finirebbe col sottoporlo a vincoli non previsti nel normale iter di formazione delle leggi. Né, d'altra parte, potrebbe, la Regione, dolersi della mancata formale emersione del parere reso dal Consiglio regionale nella documentazione relativa ai lavori delle Commissioni e dell'Aula, trattandosi di atti parlamentari, la cui predisposizione rientrerebbe a pieno titolo negli interna corporis. 3. È subito il caso di rilevare che la pronuncia della Corte non sorprende. Che i pareri, stante il loro carattere non vincolante, siano diretti ad offrire al Parlamento niente più che un tassello di una decisione politica «di sintesi», diretta, cioè, a comporre ad unità una pluralità di interessi in ipotesi contrapposti ed ulteriori rispetto a quelli già emersi col referendum consultivo della popolazione direttamente coinvolta nel mutamento territoriale - e, pertanto, in prima persona messa in gioco sotto il profilo identitario - non è in discussione. Che, dunque, la l. n. 117 del 2009 non dovesse essere motivata non è dubbio (16). Altro è interrogarsi sulla possibilità e finanche sull'opportunità di una sua motivazione. Di fatto, nella sua prospettazione, la Regione ricorrente fa propria un'esigenza ormai diffusamente avvertita (17) (per quanto non ancora recepita in sede di legittimità costituzionale delle leggi) (18), dischiudendo la seguente alternativa. O, al fine di concretizzare pienamente le istanze collaborative, si ammette la possibilità, anche in relazione agli atti politici, di attingere ad una motivazione in senso proprio, oppure, come osservato, la stessa dovrebbe essere «desunta - non senza incertezze - proprio dal confronto tra le diverse istanze acquisite nel procedimento che ha portato a quella decisione» (19). 4. Che si registri, ormai da alcuni anni, un progressivo aumento del corredo motivazionale dei disegni di legge, non solo in sede governativa, ma anche in quella parlamentare, all'interno della quale assume soprattutto la veste della relazione presentata dalla Commissione all'Assemblea - in cui, tra l'altro, si deve dare conto di eventuali scostamenti dai pareri resi da parte degli organi parlamentari competenti (20) -, è stato osservato già da tempo dalla dottrina più accorta (21). Che, del resto, ad incentivare tali prassi, abbia contribuito significativamente l'esperienza offerta dall'Unione europea - che, pure, si fonda su premesse sistematiche ben diverse rispetto a quelle nazionali, contraddistinto com'è, dal labirinto dei procedimenti decisionali (22) - è considerazione normalmente condivisa (23). Ciò che, tuttavia, maggiormente incide sullo sviluppo di questo processo, e che più specificamente rileva nella fattispecie che si sta esaminando, è la constatazione che la tradizionale ricostruzione della legge come espressione della volontà generale non sia più (o comunque non sia in assoluto) adeguata a rappresentare efficacemente la funzione legislativa, chiamata sempre più spesso a svolgere il ruolo di coordinamento del maggior numero di interessi particolari (24). D'altra parte, l'idea che la legge sia per natura libera nel fine - e dunque per natura esentata da qualsivoglia indicazione motivazionale - appare tanto meno convincente quanto più si pone mente all'ingresso in scena della Costituzione rigida - a cui si accompagna l'affermazione della nozione di legalità costituzionale (25) -, che, non infrequentemente, contempla dei limiti alla funzione legislativa (26). Basti considerare le ipotesi di riserve di legge rinforzate, in relazione alle quali si ammette tradizionalmente che l'attività legislativa sia funzionalizzata, tanto da poter essere sindacata in sede di giudizio di legittimità nei termini di eccesso di potere legislativo (27). Che analoghe esigenze non siano estranee a casi, come questo, in cui la scelta del Parlamento si inserisce, a sua volta, in un iter procedimentale complesso - improntato alla «collaborazione» di diversi livelli istituzionali (28) - ed è condizionata da specifici presupposti di validità nonché da un'espressione di volontà ad esso esterna, non sembra irragionevole. È vero, infatti, che, nel procedimento ex art. 132, comma 2 Cost., il Parlamento può anche disattendere l'esito positivo del referendum e che, dunque, non è obbligato ad approvare la legge di modifica del territorio (29). Ma non può trascurarsi che, qualora decida di approvarla, il contenuto «minimo» (istitutivo, cioè, della modifica territoriale) non potrà che essere condizionato dall'oggetto sottoposto alla consultazione popolare (30), la quale, in un certo senso, traccia le finalità del (futuro ed eventuale) intervento legislativo, benché non possa escludersi che quest'ultimo sia accompagnato da un'ulteriore disciplina «accessoria» dal contenuto libero (concernente, ad esempio, la ridefinizione delle circoscrizioni dei collegi elettorali delle Province interessate dalla variazione) (31). D'altra parte, non può tacersi il rilevante effetto pratico che si potrebbe, in tal modo, conseguire. La possibilità di fare riferimento ad un più o meno ampio corredo motivazionale (per quanto non costituzionalmente imposto) offrirebbe al Giudice delle leggi elementi sintomatici in grado di integrare il parametro del giudizio (32), nell'eventualità, pure evocata dalla stessa Corte (33), in cui «la Regione che si vedesse, in maniera arbitraria ed in contrasto col parere da essa espresso, privata o accresciuta di una parte del suo territorio abituale (...)» decidesse di impugnare la legge di modifica «allegandone, ai sensi dell'art. 3 della Costituzione, la eventuale arbitrarietà sotto la specie della irragionevolezza». È poi vero che, su questa strada, l'esito cui si rischia di pervenire è l'applicazione, al sindacato di costituzionalità, di categorie proprie del giudizio amministrativo, con conseguente accostamento della legge all'atto amministrativo (34). Ma, come è stato osservato, «si tratta di un accostamento piuttosto naturale, tant'è che l'esigenza di una motivazione appare particolarmente avvertita per gli atti legislativi a contenuto puntuale o derogatorio» (35). E, è il caso ricordarlo, la legge di variazione territoriale rientra, a buon diritto, proprio tra gli atti legislativi a contenuto provvedimentale. Ebbene, conclusivamente, non si può fare a meno di constatare che a questo contesto non è affatto estranea la legge in esame. Nella quale - spingendosi, forse, al di là degli obblighi costituzionalmente prescritti - si sente il bisogno di precisare (art. 1, comma 1) che il distacco di alcuni Comuni dalla Regione Marche e la loro conseguente aggregazione alla Regione Emilia-Romagna, nell'ambito della Provincia di Rimini, viene operato «in considerazione della loro particolare collocazione territoriale e dei peculiari legami storici, economici e culturali con i Comuni limitrofi della medesima Provincia». NOTE (1) V., A. D'ATENA, Diritto regionale, Torino 2010, 35 ss. (2) Cfr., M. PEDRAZZA GORLERO, Art. 132, in G. BRANCA - A. PIZZORUSSO (diretto da), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma 1990, 183 ss.; G.M. SALERNO, Referendum, in Enc. dir., XXXIX, Milano 1988, 249 ss. (3) Non può condividersi, a riguardo, l'assunto formulato da F. RATTO TRABUCCO, Riflessioni sulla prima attuazione dell'art. 132, secondo comma, Cost., dopo sessantuno anni di vita: l'esame del disegno di legge di variazione territoriale regionale e l'acquisizione dei pareri regionali sulla scorta del «caso Alta Valmarecchia», in Ist. fed. 2009, 621, secondo il quale, in base al dato testuale contenuto nell'art. 132, comma 2, Cost., che «ai fini della procedura di distacco-aggregazione riporta la chiara affermazione sentiti i Consigli regionalii, in assenza quindi di alcun riferimento espresso al rilascio obbligatorio di un pareree», l'assemblea legislativa regionale «potrebbe anche ben scegliere di non pronunciarsi esplicitamente sulla variazione territoriale regionale per eventuali ragioni di opportunità politica». Ogni qual volta la Costituzione contiene analoghe espressioni, infatti, non è dubbio il carattere obbligatorio della consultazione (ad es., v., artt. 88, comma 1; 116, comma 3; 126, comma 1). (4) Cfr., A. D'ATENA, Diritto regionale, cit., 33 ss. Sia consentito il rinvio a S. MABELLINI, Identità culturale e dimensione territoriale delle Regioni, Milano 2008, 99 ss. (5) L. n. 352 del 1970. (6) Cfr., M. PEDRAZZA GORLERO, Art. 132, cit., 183 ss. (7) Cfr., A. AMORTH, La Costituzione italiana. Commento sistematico, Milano 1948, 90; V. CRISAFULLI, Norme regionali e norme statali in materia di referendum, Riv. amm. Rep. it. 1955, I, 459, nt.1; T. MARTINES, Il referendum negli ordinamenti particolari, Milano 1960, 36; G.M. SALERNO, Referendum, cit., 249. V., inoltre, M. PEDRAZZA GORLERO, Art. 132, cit., 183 ss., per il quale, invece, la effettiva valorizzazione della funzione del parere consiliare passerebbe per una collocazione procedimentale in cui (pag. 184) «la valutazione dell'organo rappresentativo abbia la possibilità di proporsi in maniera autonoma e di esercitare la sua influenza sia sul corpo elettorale interessato sia sul legislatore». (8) V., T. MARTINES, Il referendum negli ordinamenti particolari, cit., passim, spec. 9 ss. e 35 ss.; M. SCUDIERO, Il referendum nell'ordinamento regionale, Napoli 1971, 51 ss.; R. NANIA, Il referendum della normativa regionale, in questa Rivista 1974, 2804 ss.; inoltre, M. PEDRAZZA GORLERO, Art. 132, cit., 166 ss., il quale propende, invece, ad inscrivere il referendum alla fase dell'iniziativa. Cfr., inoltre, G.M. SALERNO, Referendum, cit., 249 ss.; L. FERRARO, Artt. 131-132, in R. BIFULCO - A. CELOTTO - M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, Torino 2006, 2541 ss. (9) V., P. VIRGA, La Regione, Milano 1949, 32; A. LA PERGOLA, Residui «contrattualistici» e struttura federale nell'ordinamento degli Stati Uniti, Milano 1969, 347, per il quale la consultazione del popolo si configura in questi casi come «mero presupposto della legge, con la quale viene operata o autorizzata la modifica del territorio statuale»; T. MARTINES, Il referendum negli ordinamenti particolari, cit., 45 ss.; C. CARBONE, Referendum (diritto costituzionale), in Nss. dig. it., XIV, Torino 1967, 1109 s. (10) Nella sent. n. 334 del 2004, in sede di giudizio di legittimità costituzionale relativo alla richiesta di referendum presentata dal Comune di San Michele al Tagliamento, per il distacco dalla Regione Veneto e l'aggregazione al Friuli-Venezia Giulia, si afferma, infatti, che la «specificità dell'ipotesi di variazione territoriale», di cui all'art. 132 Cost., non consente di «mutuare l'accezione e l'estensione del concetto di popolazioni interessatee», individuato in relazione al procedimento ex art. 133 Cost. Conclusione, questa, che non viene, però, sviluppata dalla Corte, la quale si limita a precisare che, nel contesto dell'art. 132, l'espressione andrebbe riferita «inequivocabilmente» ai soli «cittadini degli enti locali direttamente coinvolti nel distacco-aggregazione». V., in argomento, T.F. GIUPPONI, Le «popolazioni interessate» e i referendum per le variazioni territoriali, ex artt. 132 e 133 Cost.: territorio che vai, interesse che trovi, in Le Regioni 2005, 417 ss.; L. FERRARO, Artt. 131-132, cit., 2537 ss.; F. RATTO TRABUCCO, Sulla presunta incostituzionalità del quorum della maggioranza assoluta degli iscritti alle liste elettorali per i referendum territoriali ex art. 132, Cost., in Ist. fed. 2007, 843 ss. (11) Cfr., A. D'ATENA, Diritto regionale, cit., 324. (12) Cfr., E. ALBANESI, La perdurante insindacabilità del procedimento legislativo e la sua impermeabilità alle istanze esterne: i pareri dei Consigli regionali ex art. 132, comma 2, Cost «sentiti» ma non... ascoltati, in questa Rivista 2010, 2969. (13) Si veda l'ord. Corte cost. n. 434 del 2008, relativa ad un giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della mancata presentazione al Parlamento, da parte del Ministero dell'interno, del disegno di legge di cui all'articolo 132, comma 2, Cost., ove si fa riferimento ad una nota del 26 luglio 2007 inviata al delegato comunale, con cui l'Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari del Ministero dell'interno avrebbe motivato tale omissione con le «perplessità» manifestate dalla Presidenza della Repubblica «sull'opportunità di presentare il d.d.l. senza la preventiva acquisizione dei pareri dei Consigli regionali». Per un'analisi della prassi, v., F. RATTO TRABUCCO, Riflessioni sulla prima attuazione dell'art. 132, secondo comma, Cost., dopo sessantuno anni di vita: l'esame del disegno di legge di variazione territoriale regionale e l'acquisizione dei pareri regionali sulla scorta del «caso Alta Valmarecchia», cit., 605, nota 5, che individua diversi casi in cui, nel corso della XV legislatura, non sono stati presentati alle Camere i relativi disegni di legge ex art. 132, comma 2 Cost., in mancanza dei preventivi pareri regionali. (14) V., sul punto, più ampiamente, S. MABELLINI, Identità culturale e dimensione territoriale delle Regioni, cit., 139 ss. Contra, F. RATTO TRABUCCO, Riflessioni sulla prima attuazione dell'art. 132, secondo comma, Cost., dopo sessantuno anni di vita: l'esame del disegno di legge di variazione territoriale regionale e l'acquisizione dei pareri regionali sulla scorta del «caso Alta Valmarecchia», cit., 605 ss. (15) La giurisprudenza della Corte è piuttosto costante nel ribadire la non invocabilità del principio di leale collaborazione quale requisito di legittimità di una legge, tale da condizionare l'esercizio della funzione legislativa (cfr., ex multis, nn. 159 e 222 del 2008; 247 e 249 del 2009). Al di fuori di tale ambito la Corte ha, però, avuto modo di precisare, già nell'assetto previgente (sent. n. 116 del 1994), in relazione alla forma di intesa cosiddetta «debole», che l'obbligo di motivazione «deve ritenersi connaturato al principio stesso di leale cooperazionee cui deve ispirarsi il sistema complessivo dei rapporti tra Stato e Regionii. Di modo che, considerato che in base a tale principio il confronto rivolto al raggiungimento dell'intesa deve essere caratterizzato da un atteggiamento delle parti ispirato alla correttezza e all'apertura verso le posizioni altrui (v. sent. n. 379 del 1992), l'ipotetica previsione del potere di una delle parti di provvedere in assenza dell'intesa, senza dover addurre motivo alcuno sulle ragioni del mancato accordo e sulla superiore esigenza di provvedere unilateralmente, si risolverebbe in una violazione o in una elusione del principio di leale cooperazione, in conseguenza dell'irragionevole preferenza accordata alla parte che, dopo una certa data, potrà decidere, oltreché non tenendo conto delle posizioni della controparte, al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo sulla lealtàà del comportamento tenuto» (in termini analoghi, v., anche la n. 204 del 1993). (16) Sull'assenza nell'ordinamento italiano di una norma che prescriva l'obbligo di motivazione, v., G. LOMBARDI, Motivazione. Diritto costituzionale, in Nss. dig. it., X, Torino 1964, 955, per il quale: «in nessun caso la motivazione si può considerare come doverosa». (17) In dottrina mettono in discussione la mancata previsione della motivazione per gli atti normativi, quanto meno quelli governativi, ad esempio, V. CERULLI IRELLI, Parlamento, Governo e funzione normativa, in Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Quaderno n. 12. Seminario 2001, Torino 2002, 57, A. RUGGERI, I paradossi delle esperienze di normazione, attraverso i rapporti tra Parlamento e Governo sul piano delle fonti (e dal punto di vista della forma di Stato e della teoria della Costituzione), in Riv. dir. cost. 2000, 109 ss.; ID., Corte costituzionale e Parlamento tra aperture del «modello» e fluidità dell'esperienza, in A. RUGGERI - G. SILVESTRI (a cura di), Corte costituzionale e Parlamento. Profili problematici e ricostruttivi, Milano 2000, 59, il quale parla, a riguardo, di «procedimentalizzazione legislativa del fatto»; E. BALBONI, La funzione di governo, oggi, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, il quale, inoltre, accoglie la tesi secondo la quale «il dissenso rispetto ai pareri espressi nell''istruttoria politicaa deve essere congruamente motivato a pena di irragionevolezza della decisione» e, proseguendo, rileva che «è ben vero che molti di questi atti, come accennato, sono privi di motivazione (e certamente ora sul punto occorrerà una rimeditazione), ma proprio il raffronto dei vari apporti istruttori, in relazione alla decisione finale, potrebbe avere in questo senso una funzione di supplenza». In argomento, v., anche, G.U. RESCIGNO, Qualità della legislazione e principio di legalità, in Riv. dir. cost. 2000, 163 s., per il quale sarebbe «sommamente opportuno che anche le leggi avessero un preambolo, nel quale le Camere (o i Consigli regionali) spiegano accuratamente ed ufficialmente per quali ragioni hanno voluto l'atto da esse approvato». Infatti, «la regola costituzionale dice che cosa è obbligatorio, ma non vieta che le Camere con gli articoli possano approvare altre parti (del resto è pacifico che le Camere possono approvare separatamente il titolo, e approvano spesso gli allegati, che non sono articoli)». Del resto, l'A. rileva l'esistenza di una «tendenza, che è europea e mondiale, prima ancora che italiana, per cui anche le leggi debbono in qualche modo giustificare la propria esistenza mediante documenti pubblici (conoscibili)». In argomento, peraltro, si ricordi la sent. n. 379 del 2004 in cui la Corte costituzionale affermava che «l'art. 3, comma 2, della l. 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), non impone, ma certo non vieta, la motivazione degli atti normativi; ed in ogni caso - come ben noto - la motivazione degli atti amministrativi generali, nonché di quelli legislativi è la regola nell'ordinamento comunitario: sembra pertanto evidente che la fonte statutaria di una Regione possa operare proprie scelte in questa direzione». (18) V., supra nota 15. (19) Così, E. BALBONI, La funzione di governo, oggi, cit. (20) Si veda l'art. 79, comma 13, r.C. sulle relazioni per l'Assemblea; nonché gli artt. 16-bis, comma 6, relativo ai pareri del Comitato per la legislazione; 74, comma 3, e 75, comma 2, r.C. concernenti i pareri delle Commissioni Bilancio, Affari costituzionali e Lavoro. (21) Cfr., Cfr., N. LUPO, La «motivazione» delle leggi alla luce del nuovo titolo V Cost., in www.consiglio.regione.toscana.it/, 1 ss.; ID., La verifica parlamentare della relazione tecnico-finanziaria come modello per l'istruttoria legislativa, in Rass. parl. 2001, 347 ss.; R. DICKMANN, L'istruttoria legislativa nelle commissioni. Profili formali e garanzie sostanziali per un giusto procedimento legislativo, in Rass. parl. 2000, 239 ss. (22) A. D'ATENA, Costituzionalismo multilivello e dinamiche istituzionali, Torino 2007, 32. (23) V., N. LUPO, La «motivazione» delle leggi alla luce del nuovo titolo V Cost., cit., 1 ss.; ID., Alla ricerca della motivazione delle leggi: le relazioni ai progetti di legge in Parlamento, in Osservatorio sulle fonti 2000, Torino 2001, 79 ss.; G.U. RESCIGNO, Qualità della legislazione e principio di legalità, cit., 158 ss.; V. CERULLI IRELLI, Parlamento, Governo e funzione normativa, cit., 57. (24) Cfr., A. MANZELLA, Il parlamento federatore, in Quad. cost. 2002, 36 ss., per il quale (pag. 38) «il parlamento si colloca dunque all'incrocio del sistema processuale delle rappresentanze politiche territoriali e di quelle organiche»; N. LUPO, La «motivazione» delle leggi alla luce del nuovo titolo V Cost., cit., 1 ss. (25) V., A. D'ATENA, Lezioni di diritto costituzionale, Torino 2006, 56 s. (26) Cfr., G.U. RESCIGNO, Qualità della legislazione e principio di legalità, cit., 158 ss. (164): il quale osserva che «a) da un lato assistiamo alla degradazione della legge, parificata sempre più ad uno dei tanti atti dei poteri pubblici, e quindi registriamo la fine o comunque il declino del principio di legalità inteso come centralità del parlamento nel distribuire i poteri (...) sia come primazia della legge che giustificava, tra le altre cose, e continua a giustificare in Italia la regola per cui la legge non dovrebbe addurre spiegazioni (...) b) dall'altro lato si afferma e pretende attuazione conforme, l'obbligo della trasparenza anche da parte delle assemblee rappresentative»; N. LUPO, Alla ricerca della motivazione delle leggi: le relazioni ai progetti di legge in Parlamento, cit., 67 ss.; P. CARETTI, Motivazione, I) Diritto costituzionale, in Enc. giur., XX, Roma 1990, 5 s. (27) Si veda, V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, 2, L'ordinamento costituzionale italiano (La Corte costituzionale), Padova 1974, 128, che conclude che in tali ipotesi «potrà esser lecito richiamarsi all'eccesso di potere (come sviamento), quante volte la legge abbia in realtà disposto oltre e contro i motivi e le finalità, cui la sua validità, in relazione a quei particolari oggetti, era costituzionalmente condizionata». Analogamente, G. LOMBARDI, Motivazione. Diritto costituzionale, cit., 957, rileva che «la motivazione, qualora acceda ad una legge sottoposta al giudizio della Corte costituzionale, rappresenta uno strumento assai valido per penetrare - specie quando la legge verta in materie per cui la Costituzione preveda norme tali da determinare nei confronti di essa un vero e proprio vincolo nel fine - il significato delle scelte operate dal legislatore. E specialmente qualora si manifesti un contrasto fra la motivazione e la disposizione normativa cui accede, la prima esplica un ruolo non trascurabile - nel quadro della divergenza rispetto alla reale portata che la legge, staccatasi dalla sua matrice, esplica nell'ordinamento ai fini dell'esercizio del sindacato di costituzionalità sotto il profilo dello sviamento di potere». Esprime perplessità sulla possibilità che, ad esempio, le ragioni di sanità e sicurezza e i fini economici e fiscali ex art. 14, comma 2 Cost., o la dignità umana di cui all'art. 41, comma 2, Cost. possano rappresentare vincoli finalistici tali da far ritenere la legislazione attuativa «ridotta ad attività meramente discrezionale» G. SCACCIA, Gli «strumenti» della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano 2000, 152. Che non sussista un obbligo di motivazione neanche in conseguenza di una norma costituzionale di scopo sarebbe confermato, ad avviso dell'A., anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (pag. 123): «non consta, infatti che una legge, anche in materie coperte da riserva di legge «rinforzata» sia mai stata annullata per difetto di motivazione». Si veda, a riguardo, la nota sent. della Corte n. 14 del 1964 che, in relazione ai diversi presupposti di legittimità per l'applicazione dell'art. 43 Cost., ed in particolare in relazione alla questione se la legge dovesse contenere una motivazione in ordine all'utilità generale, rileva che «di norma, non è necessario che l'atto legislativo sia motivato, recando la legge in sé, nel sistema che costituisce, nel contenuto e nel carattere dei suoi comandi, la giustificazione e le ragioni della propria apparizione nel mondo del diritto». Dubbi sulla possibilità di applicazione alla legge del vizio di eccesso di potere sono espressi da L. VENTURA, Motivazione (degli atti costituzionali), in Dig. disc. pubbl., X, Torino 1995, 31. (28) Cfr., a questo riguardo, E. ALBANESI, La perdurante insindacabilità del procedimento legislativo e la sua impermeabilità alle istanze esterne: i pareri dei Consigli regionali ex art. 132, comma 2, Cost «sentiti» ma non... ascoltati, cit., in questa Rivista 2010, 2969. (29) In questo senso si è espressa del resto anche la Corte costituzionale, con la sent. n. 334 già citata, in cui si sottolinea che «l'esito positivo del referendum, avente carattere meramente consultivo, sicuramente non vincola il legislatore statale alla cui discrezionalità compete di determinare l'effetto di distacco-aggregazione». (30) L. FERRARO, Artt. 131-132, cit., 2539 ss. V., sul punto, M. PEDRAZZA GORLERO, Art. 132, cit., 176 s., il quale sottolinea che nel caso in cui il corpo elettorale si esprima favorevolmente sulla richiesta, gli organi legislativi non sarebbero tenuti a conformarsi alla volontà popolare, ma manterrebbero intatta quantomeno «in linea di diritto» - la sfera di discrezionalità loro propria, sebbene «in linea di fatto», «sarà improbabile una decisione legislativa difforme dalla deliberazione referendaria». (31) Su questo punto la l. n. 117 si limita, in effetti, ad effettuare un rinvio (art. 2, comma 4). (32) V., G.U. RESCIGNO, Qualità della legislazione e principio di legalità, cit., 158 ss., per il quale (pag. 163): «oggi la introduzione di un preambolo» nel quale le assemblee legislative spieghino ufficialmente per quali ragioni hanno voluto l'atto «diventerebbe un ottimo strumento a tutela del parlamento, che avrebbe in tal modo la possibilità di orientare, condizionare, limitare il giudizio della Corte costituzionale, la quale, nel ricostruire scopi e contenuti di una legge, non potrebbe affidarsi più al solo suo giudizio, ma dovrebbe anzitutto esaminare accuratamente il preambolo approvato dalle Camere e misurarsi con le affermazioni in esso contenute». Al contrario, N. LUPO, Alla ricerca della motivazione delle leggi: le relazioni ai progetti di legge in Parlamento, cit., 67 ss., nota (pag. 70) che «la motivazione delle leggi può svolgere una funzione opposta, ampliando, invece di restringere, lo spazio di manovra del giudice, in quanto strumento utile per il controllo delle leggi da parte del giudice della loro costituzionalità. Evidentemente, per il giudice di una legge, è più agevole, e, al tempo stesso, più incisiva, la valutazione della sua congruità rispetto ad uno scopo, nonché tra tale scopo e le finalità poste dalla carta costituzionale, ove lo scopo della legge venga esplicitato nella motivazione»; P. CARETTI, Motivazione, I) Diritto costituzionale, cit., 5 s.; G. LOMBARDI, Motivazione. Diritto costituzionale, cit., 957, per il quale «la motivazione, quando ci sia, viene appunto a vincolare ulteriormente l'autonomia interpretativa, nella misura in cui rivela cristallizzandola, l'intenzione del legislatore» e, sebbene non sia tale da generare un «vincolo assoluto in capo all'interprete», vale a «trasformare l'attività di scelta da libera (...) in discrezionale». Per la considerazione che «gli enunciati che contengono l'indicazione delle situazioni di fatto che hanno condotto all'intervento, prospettando i motivi in senso proprio dell'agire del legislatore, non esercitano vincolii particolari nei confronti dei giudici», si veda C. SALAZAR, La motivazione nella più recente produzione legislativa: niente di nuovo sotto il sole?, in Rass. parl. 1996, 428. (33) Punto 3.4. del Considerato in diritto. (34) In questi termini, N. LUPO, Alla ricerca della motivazione delle leggi: le relazioni ai progetti di legge in Parlamento, cit., 71. (35) Così, ancora, N. LUPO, ibidem. V., inoltre, P. CARETTI, Motivazione, I) Diritto costituzionale, cit., 5 s.; G. LOMBARDI, Motivazione. Diritto costituzionale, cit., 957 s.