materiali/15.28.54_Rapporto fiction italiana

Transcript

materiali/15.28.54_Rapporto fiction italiana
STRATEGIE CONTINGENTI
LA FICTION ITALIANA/L’ITALIA NELLA FICTION
Ventiquattresimo rapporto annuale
stagione 2011-2012
A cura dell’Osservatorio Fiction Italiana
Osservatorio Fiction Italiana (OFI)
Direttore Milly Buonanno
Vice Direttore Fabrizio Lucherini
Via di Novella, 8
00199 Roma
e-mail: [email protected]
Indice
L’idillio transatlantico dei television studies e la tradizione di qualità della
fiction italiana.
PARTE PRIMA – XXIV Rapporto dell’Osservatorio sulla Fiction Italiana
Capitolo I. Strategie contingenti. La fiction italiana fra fluidità del mercato e
rigidità dell’industria. Bilancio della stagione 2011-2012
di Fabrizio Lucherini
1. Ore: in crescita nella stagione, in calo sui 12 mesi – 2. Titoli: in netta crescita –
3. Formati: la nuova impennata delle miniserie – 4. Programmazione: in aumento le prime
serate – 5. Gli ascolti: concentrati e polarizzati - 6. I produttori: prove di deframmentazione
Capitolo II. Il programma dell’anno. Paolo Borsellino – I 57 giorni e Il delitto di
Via Poma. Due esempi di fiction civile per due misteri italiani.
di Giovanni Bechelloni
Premessa - 1. Il metodo Falcone. Virtù, esperienza di vita e conoscenza come
risorsa per abitare la complessità e contribuire a un mondo migliore - 1.1.Testimonianza sul
metodo Falcone - A. Marcelle Padovani - B. Francesca Barra. C - Giuseppe Ayala - D.
Giovanni Falcone - E. Riscontri di ricerca - 2. Misteri italiani e fiction civile - 3. Per la
prima volta due film-tv come programmi dell’anno – 3.1. I valori produttivi – 3.2. La
critica – 4. Riferimenti bibliografici
FOCUS SECTION
AI CONFINI DEL QUOTIDIANO. IL FANTASTICO NELLA
SERIALITA’ ITALIANA
Capitolo III. Il Restauratore
di Emanuela Cocco
1. La tradizione narrativa – 2. L’immaginario di riferimento – 3. La struttura
della serie – 4. Lo statuto dell’eroe – L’elemento straordinario
Capitolo IV. Il tredicesimo apostolo
di Domenico Ierone
1. La tradizione narrativa – 2. L’immaginario di riferimento – 3. I protagonisti –
4. L’impianto narrativo – 5. La declinazione del fantastico
3
PARTE SECONDA - Schede dei programmi della stagione 2010-2011
1. Film-tv e collection
L’affondamento del Laconia – Il delitto di Via Poma – Noi credevamo – A fari
spenti nella notte – 6 passi nel giallo – Mai per amore – I guardiani del tesoro –
Area Paradiso – Suor Pascalina – Paolo Borsellino-I 57 giorni – L’una e l’altra
2. Miniserie
Anna e i cinque 2 – Sangue caldo – Dov’è mia figlia – Il segreto dell’acqua – Il
commissario Zagaria – Tiberio Mitri. Il campione e la miss – Il signore della
truffa – Il generale Della Rovere – Violetta – La donna che ritorna – Dove la
trovi una come me? – Viso d’angelo – Cenerentola – La ragazza americana –
Baciati dall’amore – Sarò sempre tuo padre – I cerchi nell’acqua – La figlia del
capitano – Anita Garibaldi – La vita che corre – Il generale dei briganti –
Walter Chiari-Fino all’ultima risata – La Certosa di Parma – Il sogno del
maratoneta – Barbarossa – Maria di Nazareth – Zodiaco-Il libro perduto –
L’Olimpiade nascosta
3. Serie e Serial
Cento Ventrine – Un posto al sole – Don Matteo 8 – Distretto di polizia 11 –
Un amore e una vendetta – Così fan tutte – Tutti pazzi per amore 3 – Camera
Café – Che Dio ci aiuti – Il tredicesimo apostolo – Il restauratore – Provaci
ancora prof. 4 – Il giovane Montalbano – Le tre rose di Eva – Nero Wolfe –
Benvenuti a tavola-Nord vs Sud – Una grande famiglia – Titanic-Nascita di
una leggenda
La ricerca è realizzata in collaborazione con Direzione Marketing Rai, Rai
Fiction, Direzione Diritti e Produzione Fiction Rti, Associazione Produttori
Televisivi
4
L’idillio transatlantico dei television studies e la tradizione di
qualità della fiction italiana.
di Milly Buonanno
Relazione presentata al 4° fiction Day della Sapienza (Roma, 28 novembre 2012)
‘Qualità’ non indica la buona televisione in quanto tale, ma la cornice ideologica entro la
quale vengono espressi i giudizi sulla buona televisione
Simon Frith
Quality tv è un termine ideologico che non si riferisce a nessuna forma mediale
realmente esistente
Sudeep Dasgupta
1. Il problema della qualità
L’intento principale del presente contributo non è quello di discutere e valutare
la qualità della fiction che si produce in Italia – qualche considerazione al
riguardo sarà tuttavia espressa più avanti - ma, in sintonia con le citazioni poste
in exergo, quello di indicare e problematizzare la cornice ideologica ovvero la
pretesa universalizzante degli assunti, criteri e canoni in base ai quali nel
dibattito accademico, e in buona misura anche nel conventional wisdom sulla
televisione, si definisce e si identifica cosa sia o debba intendersi oggi per
fiction di qualità. Non può essere motivo di sorpresa poiché, per l’appunto,
rientra e trova sostegno in un senso comune largamente diffuso, costatare
come all’insieme della fiction italiana contemporanea non arrida una positiva
reputazione sotto il profilo della qualità, riconosciuta eventualmente solo a una
manciata di eccezioni.
Piuttosto che esserne il punto di partenza, il giudizio per la verità poco
lusinghiero che da più parti si riversa sul prodotto nazionale sarà il punto di
arrivo del mio discorso, inteso a ricostruire innanzitutto il contesto delle
contingenze e il quadro comparativo internazionale entro cui tale giudizio si
elabora e si esprime. E’ bene precisare che qui non si tratta in alcun modo di
impegnarsi in una contesa valutativa, prendendo le difese di un sistema di
storytelling imputato, a ragione o a torto (verosimilmente, l’una e l’altro), di
scarso rendimento qualitativo, al di là o a dispetto di rese d’ascolto calanti ma
ancora di qualche entità e qua e là punteggiate da buoni successi. Si tratta
piuttosto di utilizzare il caso italiano, dal momento che de re nostra agitur, come
un’occasione per tornare a riflettere (senza troppa reverenza) sulla inesauribile
e irrisolta questione della qualità televisiva, e per ragionare sulle condizioni in
cui, in un certo momento del tempo, prendono forma, maturano e si
I impongono determinati giudizi sulla buona e cattiva televisione, sulla fiction di
buona o cattiva qualità.
Dunque, partiamo dalla qualità, una parola ricolma di complessità e di
contraddizioni. Il consenso pressoché universale che la circonda, quando
avviene di dover riconoscere la sua importanza cruciale per la televisione, di
reclamare l’innalzamento dei suoi standard, di lamentare il suo declino «Quality is one of those things that it’s very hard to be against»1 - trapassa
rapidamente in dissenso e controversia non appena si richiede di elaborare una
chiara definizione del concetto e di individuare criteri condivisi di valutazione.
La nozione di qualità televisiva risulta complessificata dai molteplici livelli di
significati implicati in una parola che chiama in causa estetica ed etica, valori di
produzione e piaceri del consumo, forme e contenuti, tecnologia e cultura. Ci
si può illudere di trovare una via di fuga da questa scoraggiante complessità
riposizionando l’intera questione sotto il regime soggettivo del gusto personale,
notoriamente sottratto alla disputa (de gustibus…). Ma, come sociologi, siamo
avvertiti del fatto che i gusti personali non sono nè innocenti nè neutrali, e
pertanto una simile scappatoia di senso comune non preserva dal cadere nella
brace di una disputa di schietta matrice bourdieusienne2 sulle determinanti sociali
delle preferenze e dei gusti personali, strutturati secondo gerarchie di classe,
capitale e potere culturale3.
Negli ambienti dell’industria televisiva nazionale e internazionale, dove in anni
recenti ha guadagnato largo corso nella comunicazione di marketing, la parola
qualità funge convenientemente da brand, marchio di identità4, inteso a esibire
e vantare la signature distintiva di reti, produttori5 o prodotti6. Nel contesto
industriale lo stesso termine dispiega inoltre una plastica multifunzionalità.
Nell’ambiente del narrowcasting, ad esempio, alla qualità si accredita, e se ne
apprezza, un elevato potenziale di attrazione nei confronti di pubblici di
nicchia scolarizzati e affluenti (i molto ricercati ‘pubblici pregiati’). Alle reti
generaliste, invece, accade di mettere sul conto della qualità sia effetti selettivi,
ovvero esiti d’ascolto inferiori alle aspettative – il commento «un’operazione di
qualità che il pubblico non ha apprezzato» accompagna non di rado un
risultato deludente - sia i larghi e inclusivi successi di audience, attribuiti in
questo caso alla ‘qualità vincente’ dei prodotti. Al riguardo, si potrebbe
G. Mulgan (ed.), The question of quality, London: Bfi, 1990, p. 5
Cfr. P. Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna: il Mulino, 2001
3 Si veda in proposito M. Z. Newman,
E.Levine (2011), Legitimating television, London:
Routledge, 2011
4 «Quality television has became a label, a brand», afferma S. Frith in “The black box: the value
of television and the future of television research”, «Screen» 41:1, 2000, pp. 41
5
Sul proprio sito, ad esempio, Taodue si definisce «la principale produttrice di fiction di
qualità» (http://www.taodue.it/?page_id=704)
6 «Un prodotto di grande qualità» è definizione che ricorre spesso nelle tradizionali conferenze
stampa di presentazione delle nuove fiction.
1
2
II affermare che attraverso il ricorso frequente alla parola qualità l’industria
televisiva contemporanea metta in atto un ‘rituale strategico’. L’espressione è
stata coniata quarant’anni fa dalla sociologa Gay Tuchman 7 , per spiegare
l’insistenza sulla ‘obbiettività’ che si poteva osservare all’epoca nei discorsi e
nelle pratiche giornalistiche; secondo la Tuchman questa insistenza su un alto
ed esigente ideale professionale serviva essenzialmente a legittimare la
credibilità del giornalismo e dei giornalisti e a prevenire o smussare possibili
critiche. Ponendo l’accento sulla qualità, l’industria televisiva si annette a sua
volta un marchio ambizioso e prestigioso, e dispiega il rituale strategico inteso
ad ottenere apprezzamento e legittimazione culturale.
Nel campo dei television studies si possono trovare tracce di un dibattito
intermittente sulla qualità. In realtà queste tracce appaiono più o meno
profonde e continuative a seconda dei differenti contesti. Più di quanto non sia
accaduto in Italia8, ad esempio, una intensa discussione sulla qualità televisiva
ha avuto luogo in Gran Bretagna nei primi anni novanta, producendo analisi e
riflessioni che configurano ancor oggi contributi autorevoli e imprescindibili al
dibattito sull’argomento9.
Ma non c’è dubbio che la discussione sulla qualità televisiva non sia mai stata
così intensa e corale come negli anni 2000; lo attesta una profusione senza
precedenti di lavori accademici – articoli su riviste, edited collections, monografie10
– che hanno affrontato la vexata quaestio della qualità televisiva (anche se non
necessariamente in questi termini). Per una analitica e illuminante rassegna
storica del nuovo flusso di discorsi sulla qualità, rimando ad alcuni scritti di
Robin Nelson11.
Come è ampiamente noto, questo nuovo flusso è stato attivato dall’avvento
della cosiddetta second golden age della televisione americana12, che si è espressa in
un ragguardevole numero di produzioni - nello specifico, serie del prime-time
- sotto vari aspetti innovative, non di rado di eccellente fattura, rapidamente e
diffusamente etichettate come quality tv. Sebbene il trend della quality tv fosse
G.Tuchman, “Objectivity as strategic ritual: an examination of newsmen's notions of
objectivity”, «The American journal of sociology», 77:4,1972, pp. 660-679
8 Si veda: C.Sartori, La qualità televisiva, Milano: Bompiani,1993; C.Lasagni, G. Richeri, Televisione
e qualità, Roma: RAI-VQPT, 1996; A. De Marzo, Qualità televisiva, Milano: Franco Angeli, 2009
9 Mi limito a segnalare il citatissimo saggio di C.Brunsdon, “Problems with quality”, «Screen»,
31:1, 1990, pp. 67-90, e lo smilzo ma prezioso volumetto a cura di G. Mulgan, già citato alla n.
1.
10 Per citare solo i più noti: M. Jancovich, J. Lyons (eds.), Quality popular television, London:
British Film Institute, 2003; S. Gwenllian-Jones, R. E. Pearson (eds.), Cult television,
Minneapolis: University of Minnesota Press, 2004; J. McCabe, K. Akass (eds.), Quality TV,
London: I.B. Tauris, 2007; E. Pujadas, La television de calidad, Barcelona: Aldea Global, 2011.
11 R. Nelson, “Quality television: the Sopranos is the best television drama ever… in my
humble opinion”, «Critical studies in television», 1:1, 2006, pp. 58-71; R. Nelson, Quality tv
drama: Estimations and influences through time and space, in J. McCabe, K. Akass (eds.) Quality TV,
I.B. Tauris:London, 2007, pp.38-51
12 R. J. Thompson, Television’s second golden age, Syracuse: Syracuse University Press, 1997
7
III stato avviato già negli anni Ottanta dai network generalisti (Hill Street Blues13,
considerata la serie pioniera del nuovo corso, andava in onda sulla NBC), è
stato l’ingresso delle agguerrite e competitive reti via cavo (HBO, Showtime,
AMC etc.) nell’arena della produzione originale che ha grandemente
contribuito, nell’ultimo decennio o poco più, a dilatare il fenomeno e ad
amplificare la sua risonanza sulla scena nazionale e internazionale. Serie come
The Sopranos, The Wire, Mad Men, Breaking Bad, The Game of Thrones, hanno
acquisito lo status di programmi di culto, guadagnato l’attenzione e il plauso
della critica, ottenuto candidature e premi; e hanno cooperato assieme a Lost,
CSI, Desperate Housewives e svariati altri titoli dei network, a ridare lustro
all’immagine e nuovo slancio al consumo della fiction americana nel mondo14.
E soprattutto hanno dimostrato «television’s capacity to produce art»15.
Vale la pena sottolineare che, per la prima volta nella (in effetti ancor breve)
storia dei television studies, qualcosa di simile alla ‘telefilia’ – la cui assenza era
stata perspicuamente osservata da John Caughie un paio di decenni orsono –
ha preso a emergere entro l’accademia, non più abitata solo da individui «who
can see the seduction but are not seduced» 16 dalla televisione. Oggi taluni
studiosi non esitano perfino a riconoscersi nella figura dell’aca/fan, ibrido di
accademico e di fan.
In ogni caso, nel corso degli anni 2000 gli studiosi di televisione si sono
impegnati in un vibrante dibattito internazionale che, tra le altre cose:
ha affermato il valore della lungamente svalutata (anche nel mondo
accademico) televisione, e contribuito a diffondere l’idea che gli studiosi non
debbano astenersi dal valutarne i prodotti;
ha introdotto l’estetica nell’agenda accademica (ciò che da qualche
parte è stato interpretato come il ritorno a una estetica ‘elistista’, in grado di
placare finalmente l’ansia di legittimazione da cui la televisione e gli stessi
studiosi di televisione sono stati lungamente ossessionati17);
Cfr. J. Feuer, P. Kerr, T. Vahimagi, MTM ‘Quality Television’, London: Bfi, 1984
Non si dimentichi che, anche in paesi come l’Italia dove si è importata e consumata negli
anni moltissima fiction americana, quest’ultima veniva considerata tutt’al più un affidabile e
ben collaudato prodotto industriale, non certo un modello di qualità – prerogativa che veniva
riconosciuta se mai alla fiction inglese.
15 J. Jacobs, “The medium in crisis: Caughie, Brunsdon and the problem of US television”,
«Screen», 52:4, 2011, pp. 503-511
16
J. Caughie, Playing at being American, in P. Mellecamp (ed.) Logics of television,
Bloomington:Indiana University Press, 1990, pp. 44-58.
17
M.Kackman, HBO Harkens The Return to Elitist Aesthetics?, flowtv.org/2010/03/flowfavorites-quality-television-melodrama-and-cultural-complexity-michael-kackman-universityof-texas-austin/. Si veda anche Newman e Levine, cit. alla nota 3, e il recente intervento di S.
Dasgupta, “Policing the people: Television studies and the problem of quality”, «NECSUS.
European Journal of Media Studies», Spring 2012, s.i.p.
13
14
IV ha favorito una pratica di sofisticata analisi multivocale dei testi
televisivi, che ha consentito di raggiungere livelli profondi di comprensione di
un considerevole insieme di serie contemporanee18.
La inerente complessità e il carattere elusivo della qualità, unita alla inevitabile
diversità fino al contrasto di interessi, posizioni, approcci fra i differenti
studiosi impegnati in questo dibattito accademico ha - prevedibilmente –
confermato che «la qualità è senza dubbio un motivo di grande controversia»19,
ancor più quando si tratta di definire gli indicatori appropriati per riconoscere i
segni della sua presenza e stimarne il valore. Per riprendere Charlotte
Brunsdon, ci sono sempre problemi con la qualità.
2. Un assunto condiviso
E tuttavia sembra esserci un assunto condiviso, un elemento quasi assiomatico
che impronta nettamente e identifica, pur nella pluralità delle sue differenziate
espressioni e posizioni, il dibattito contemporaneo sulla qualità. Mi riferisco
all’abbraccio pressoché universale della televisione americana, delle serie
statunitensi per essere più precisi, considerate non soltanto il non plus ultra
dell’eccellenza, ma di fatto l’unico e solo corpus di testi televisivi degno di
interesse e investigazione accademica in quanto ‘quality tv’ per antonomasia.
Robin Nelson rende perfettamente chiaro questo punto quando afferma che
«critical discourse on quality TV drama has been dominated by the celebration
of American quality TV», per ribadire più avanti che «American quality is
currently dominating the discourse» 20 . Basti pensare al profluvio di
pubblicazioni su serie come CSI, The Sopranos, Lost. Sul saturante effetto di un
interesse accademico egemonizzato da un certo tipo di testi ha espresso
qualche insofferenza Stuart Hall, spingendosi fino a dichiarare - nel corso di
una intervista che non riguardava peraltro la televisione ma lo stato presente
dei cultural studies - «I really cannot read another cultural analysis of…The
Sopranos»21.
Intendo per l’appunto sollevare il problema che questa sorta di monopolio
esercitato dalle serie Usa sull’agenda accademica non è per nulla benefico né
per i television studies né per lo stesso dibattito sulla qualità. Di fatto, la
18
Penso soprattutto alla collana “Reading contemporary television” della casa editrice
londinese I.B. Tauris, dove sono state pubblicate (al dicembre 2012) 13 edited collections dedicate
ad altrettante serie televisive (12 americane, 1 inglese).
19 P. Kerr, Never mind the quality…, in G. Mulgan (ed.), The question of quality, London: BFI
Publishing, 1990, pp. 43-55.
20
R.Nelson, Quality tv drama: Estimations and influences through time and space, cit., pp.41.42.
21 C. MacCabe, “An interview with Stuart Hall”, «Critical Quarterly», 50:1-2, 2007, p. 29. Devo
precisare che la critica di Hall aveva soprattutto come bersaglio non tanto l’eccesso quanto un
certo tipo di analisi testuale, oggi per la verità prevalente, capace anche di attingere livelli
profondi dei testi ma sostanzialmente incurante di indagarne le relazioni con più ampie
formazioni sociali e tendenze culturali e politiche. Sull’analisi testuale come fine in sé si veda
anche G. Turner, What’s became of cultural studies?, London: Sage, 2011, p. 173.
V focalizzazione pressoché esclusiva su un corpus testuale che è unico nella sua
specificità – in quanto originato e modellato nelle peculiari condizioni di un
mercato televisivo ad elevato tasso di frammentazione e di competizione, dove
le reti cavo hanno scelto di puntare forte sugli alti valori produttivi,
l’innovazione estetica, le tematiche controverse, per conquistare i pubblici
‘pregiati’ delle classi colte e affluenti – comporta per i television studies il rischio
di contribuire a validare un’opposizione binaria: ovvero una dicotomia tra una
relativamente ristretta selezione di serie statunitensi identificate con la quality
tv, e tutto il resto, che viene automaticamente a ricadere nella categoria della
non-quality.
Questo duplice e correlato processo di selettiva inclusione e di massiccia
esclusione appare problematico e contestabile, in qualunque accezione si voglia
assumere l’espressione ‘quality tv’. Mi riferisco qui all’ambivalenza semantica
di un termine che ha subìto negli anni uno slittamento – in realtà una
commistione – di significati e di usi, vedendo la propria originaria valenza
valutativa ritrarsi sullo sfondo a favore della accezione puramente descrittiva
prevalsa più di recente nel lessico dei television studies. In altri termini, nel
discorso accademico contemporaneo si conviene di usare l’espressione ‘quality
tv’ non per esprimere un giudizio di valore, ispirato a un concetto di buona o
eccellente televisione; ma piuttosto per richiamare una definizione di genere –
come dire che una certa serie è un poliziesco, o un teen-drama – che si applica
(in linea di principio senza intenti valutativi) ai prodotti nei quali sono
riconoscibilmente presenti gli elementi costitutivi del genere stesso. In
proposito, Thompson ha stilato una lista di ben 12 requisiti che compongono il
profilo della ‘quality television’ come genere vero e proprio22.
Naturalmente l’uso descrittivo di un termine come qualità, fortemente
connotato in senso valutativo, non è senza problemi e soprattutto senza
ambiguità. Un grado maggiore o minore di conflazione fra una classificazione
di genere e una valutazione critica incapsulate in una medesima parola è in
effetti difficile da evitare, per quanto si voglia tener ferma la distinzione e
ribadire che ‘quality tv’ non deve essere intesa come un equivalente o sinonimo
di ‘buona televisione’. Ma in realtà proprio questa equivalenza è il presupposto
implicito del maggior numero degli studi di caso dedicati alle serie americane
contemporanee, da studiosi statunitensi e non. Sara Cardwell, che ha scritto in
modo assai convincente sull’importanza di preservare la distinzione analitica e
critica fra ‘quality tv’ e ‘good television’, riconosce come gli studiosi che si
occupano delle serie USA appaiano di fatto poco turbati dalla questione, e
siano «more willing to assume that American quality television is likely to
22
R.J. Thompson, cit, pp. 13-16.
VI warrant serious critical attention and that American quality television is also good
television»23 (il corsivo è mio).
Lo slittamento semantico (francamente improprio ed evitabile24) della parola
qualità dal versante valutativo a quello descrittivo non smentisce dunque la
diffusa tendenza dei television studies contemporanei a concentrare attenzione,
esercizio analitico, produzione discorsiva su un corpus di testi a cui l’iscrizione
entro un genere definito significativamente di qualità - e fiorente soprattutto
nell’ambiente delle reti cavo americane - conferisce un alto grado di scholarly
worthiness, candidandoli a una valutazione accademica non di rado consonante
con l’apprezzamento della critica televisiva25, l’entusiasmo dei fan, la messe
delle nominations e dei premi agli Emmy e ai Golden Globe.
La predilezione di tanti studiosi per la ‘quality tv’ americana è sotto molto
aspetti comprensibile. Non occorre condividere quel poco o molto di
populismo riecheggiante nelle (peraltro minoritarie) voci critiche verso
l’avvento e la celebrazione di una ‘estetica elitista’ in televisione 26 , per
riconoscere come un pubblico dotato di un consistente capitale culturale e di
sensibilità estetica – quale è per l’appunto, anche se non esclusivamente, il caso
di intellettuali e accademici – sia tra i più suscettibili di provare attrazione,
interesse, e coinvolgimento nei confronti delle artisticamente e culturalmente
ambiziose espressioni della ‘quality tv’ contemporanea.
Non si tratta evidentemente di mettere in discussione il diritto degli studiosi di
occuparsi delle serie televisive delle quali riconoscono e ammirano
(imprimendovi il loro sigillo accademico) l’eccellenza artistica o l’audacia
innovativa. Le preferenze e i piaceri che strutturano le nostre relazioni con la
televisione possono favorire approcci più profondi e illuminanti ai testi e farne
oggetto di indagine e analisi appassionata. Nondimeno dovremmo essere cauti
nell’adottare agende di ricerca e indicatori estetici e culturali troppo consonanti
con i nostri gusti. Mi riferisco qui ai modelli di preferenza e di valorizzazione
che una comunità accademica adotta in un determinato momento del tempo, e
che in maggiore o minor misura possono essere dettati dall’air du temps. Gli
studiosi sono, tra le altre cose, una selezionata taste community27 le cui gerarchie
di valore non sono al riparo da una ricorrente fascinazione per il nuovo. Non
sono al riparo, più di preciso, dalla «modernist obsession for innovation and
novelty» 28 , che così spesso rende tanti di noi disponibili a condividere, e
contribuire a diffondere, l’iperbolica celebrazione che accompagna fenomeni e
S. Cardwell, Is quality television any good?, in J. Mccabe e K. Akass, cit., p.24.
Sarebbe in effetti preferibile elaborare una definizione diversa, invece di continuare a usarne
una che impone uno sforzo costante di disambiguazione.
25 La quality tv è la critics’darling, la favorita della critica.
26 Rimando in proposito alla nota 17.
27 M.Hills, “Television aesthetics: a pre-structuralist danger?”, «Journal of British cinema and
television», 8:1, 2011, pp.99-117
28 J. Mulgan, cit., p.18.
23
24
VII processi di cambiamento – ai quali meglio si addicono posizioni più in
equilibrio tra celebrazione e problematizzazione, tra adesione e critica -. E
mentre una fascinazione storicamente situata non è in alcun modo ‘naturale’,
accade che i modelli accademici di preferenza e di valorizzazione
contribuiscano dal canto loro a ‘naturalizzare’ gerarchie di rilevanza e di valore
che fanno presto a cristallizzarsi in canoni indiscussi. Come ha affermato di
recente Roberta Pearson «if such a process of canonization is inevitable… I’d
like it to be driven by something other than the tastes of television scholars,
who are overwhelmingly the white, middle class upmarket audience at which
many of the programs in these series are directed by their producers and
distributors»29.
3. L’invisibilità di tutto il resto
Una volta che l’opposizione binaria tra ‘quality tv’ americana e tutto il resto è
divenuta auto-evidente, una delle conseguenze è che tutto il resto recede
nell’invisibilità. Richiamo in proposito la utile nozione di invisible television che è
stata avanzata ed esplorata in un recente numero della rivista «Critical studies in
television»; l’espressione vuole cogliere e comunicare l’idea che una parte assai
cospicua di contenuti televisivi non entra mai o quasi mai nella sfera di
attenzione e di interesse degli studiosi dei media, e risulta pertanto
letteralmente «invisibile all’interno dell’accademia»30.
Matt Hills31, nello stesso numero della rivista, identifica in modo preciso e
discute i principali requisiti del tipo di televisione che è oggi più suscettibile di
attrarre l’attenzione degli accademici e divenire oggetto di studi di caso: novità
immaginativa, temi controversi, complessità narrativa, ambizioni da cinema
d’arte, visualità stupefacente, intertestualità, transmedialità, statuto culturale,
seguito di fan… tutti perfettamente ritagliati sulla misura delle ambiziose e
doviziose produzioni della ‘quality tv’ americana, alla quale assicurano la
massima visibilità nella vetrina degli studi accademici. Pertanto, essendo ben
difficilmente in grado di esibire analoghi requisiti, la larghissima maggioranza
delle serie contemporanee di ogni paese ha scarse chances di entrare nella sfera
dell’interesse accademico ed è destinata a recedere nell’invisibilità (con
l’eccezione di qualche serie inglese) – rischiando in aggiunta la denigrazione per
non essere all’altezza del normativo canone americano.
E’ dunque necessario mettere in discussione l’apparentemente indiscussa
naturalizzazione e universalizzazione, nei television studies contemporanei, di
Dal position paper di Roberta Pearson per la tavola rotonda “The good, the bad and the cult:
television studies sensibilities”, nel contesto della quarta Flow conference svoltasi ad Austin,
Texas, a novembre del 2012 (http://flowtv.org/conference/schedule/)
30 B. Mills, “Invisible television: the programs no one talks about even though lots of people
watch them”, «Critical studies in television», 5:1, 2010, p.1.
31 M. Hills, “When television doesn’t overflow beyond the box: the invisibility of momentary
fandom”, «Critical studies in television», 5:1, 2010, pp.97-110
29
VIII standard di qualità e di valutazione che – essendo calibrati su uno specifico
genere di fiction americana – non sono estensibili e non sono in grado di
rendere giustizia, in tutto o in parte, a ciò che qualità e valore può significare in
società e culture al di là dei confini Usa. Di conseguenza, sarebbe opportuno
che gli studiosi di televisione abbandonassero senza esitazioni il postulato che
solo la qualità e l’eccellenza di certe serie americane sono degne di attenzione
accademica, e facessero spazio all’assunto che differenti concezioni e
concretizzazioni di rilevanza estetica e culturale possono esistere e di fatto
esistono nelle differenti culture televisive; e anche queste richiedono di essere
prese in considerazione, interrogate e valutate nei loro propri termini e
contesti.
4. La ‘tradizione di qualità’ della fiction italiana
Il caso italiano può essere considerato emblematico del ruolo che ha assunto la
televisione americana nel fornire la pietra di paragone sulla quale il valore della
fiction nazionale viene saggiato, stimato, e posizionato nella gerarchia culturale
delle forme mediali contemporanee. In Italia, al pari che altrove, le serie
statunitensi dei tardi anni Novanta e degli inizi del Duemila hanno guadagnato
pubblico e rinomanza, imponendosi come ‘televisione di qualità’ per
eccellenza. E poiché una polarità positiva ha sempre bisogno di essere messa a
confronto con un opposto affinché la sua bontà ne risulti meglio validata e
intensificata, la celebrazione delle serie americane si è accompagnata alla diffusa
tendenza a svalutare e denigrare più o meno in blocco la fiction italiana; la
quale è divenuta oggetto costante di riprovazione e critica da parte di
commentatori e intellettuali, ed è snobbata dai pubblici pregiati (giovani e
giovani-adulti urbani e scolarizzati) per la sua inadeguatezza nel competere - sia
pure a grande distanza – con l’audacia creativa e la stupefacente perfezione
estetica delle serie a valenza trans-nazionale prodotte negli Stati Uniti. A loro
volta, gli studiosi italiani di televisione32 condividono (salvo rare eccezioni) con
i colleghi di altri paesi33 il bias a favore delle serie americane.
Aldo Grasso, ad esempio, ha sostenuto che l’eccellenza dei telefilm americani è riuscita a
redimere la televisione dallo stigma pesantemente negativo che l’ha marcata dalle sue origini,
esaltandone le doti e il ruolo da ‘buona maestra’ (A. Grasso, Buona maestra, Milano: Mondadori,
2007). E’ esattamente questo tipo di argomento che viene contestato da quanti (cfr. i già citati
Newman e Levine) vedono nel fenomeno della ‘quality tv’ i segni di una svolta elitista, attuata
dalle reti che hanno strategicamente scelto di sintonizzarsi sui gusti di selezionati, colti ed
esigenti pubblici settoriali. La legittimazione culturale che ne discende dimostra come in realtà
la televisione riesca ad accedere al rango delle arti legittime solo se rinuncia o viene sottratta
allo statuto di arte popolare per le masse.
33 Mi limito a citare un solo esempio. Nel numero monografico che la rivista francese di studi
di comunicazione «Réseaux» ha dedicato di recente (n. 1/2011) alla serialità televisiva, l’unica
fiction di produzione locale presa in considerazione era la soap Plus belle la vie; per tutto il resto
si trattava delle serie americane.
32
IX Di certo, nessuno potrebbe in buona fede negare che lo storytelling televisivo
nazionale attraversi già da qualche anno una fase poco esaltante sotto il profilo
delle proposte ideative, della scrittura drammaturgica, talora della stessa
realizzazione tecnica. E non c’è alcun bisogno di stabilire confronti con le
serie Usa (confronti metodologicamente scorretti, data la sostanziale
incomparabilità dell’industria televisiva italiana con quella americana) per
scorgere i difetti di ideazione, struttura narrativa, trattamento tematico – o altro
– che inficiano con una certa assiduità la buona fattura della fiction domestica.
Ma così come ‘quality tv’ non è necessariamente sinonimo di buona televisione,
una qualità malferma o discontinua non attesta necessariamente la
inconsistenza culturale e artistica di un intero corpus narrativo, giustificando il
disinteresse degli studiosi, l’accanimento dei critici, il giudizio sommario
enfatizzato dal conventional wisdom. Di fatto, alla domanda se possa darsi buona
televisione e buona fiction anche al di fuori di esigenti standard di qualità la
risposta è senza esitazioni positiva – e sembra ultimamente delinearsi
all’interno dei television studies un orientamento in tal senso, che però attende
ancora di ‘passare all’atto’ - . «Let us abandon quality television and embrace
good television» ha esortato per prima Sara Cardwell34.
Tuttavia, se si adottasse nei confronti della produzione domestica il medesimo
approccio selettivo messo in atto per le serie americane – ovvero, restringere il
campo a uno specifico genere e a un insieme di programmi che lo
rappresentano al meglio – si arriverebbe facilmente a vedere come la fiction
italiana abbia a sua volta costruito negli anni una propria ‘tradizione di qualità’,
nella quale è possibile ravvisare sia la fisionomia di un genere sia un’idea,
nonché esempi riusciti, di buona televisione.
Introduco l’espressione ‘tradizione di qualità’ nel preciso intento di evocare
quella corrente del cinema francese del secondo dopoguerra (così denominata,
appunto) che François Truffaut, all’epoca giovane critico cinematografico,
prese a bersaglio della sua acuminata polemica in un celebre articolo dei primi
anni Cinquanta, considerato il manifesto della nouvelle vague35. Alla tradizione di
qualità – in cui si iscrivevano film e cineasti apprezzati e premiati a livello
nazionale e internazionale – Truffaut imputava conformismo culturale e
accademismo estetico, il ricorso iterato quanto infedele alle fonti letterarie, e
una compiaciuta indulgenza per modi convenzionali e formulaici di narrazione
e rappresentazione della realtà; e contro questo ‘cinema de papa’36 invocava
l’audacia e lo sperimentalismo di un nuovo cinema d’autore, arrivando a
sostenere l’impossibilità della coesistenza fra le due opposte tendenze.
S. Cardwell, cit, p. 34.
F.Truffaut, “Une certaine tendence du cinéma français”, «Cahiers du cinéma», n°31, 1954,
s.i.p.
36 L’espressione ‘cinema de papa’ viene comunemente attribuita a Truffaut, ma non si ritrova
tuttavia nell’articolo citato.
34
35
X Trasposta sulla odierna scena televisiva, una analoga contestazione può essere
vista all’opera in Italia, dove egualmente l’invocazione di una svolta innovativa
(certo necessaria e opportuna) si accompagna volentieri a indiscriminati giudizi
demolitori della arretrata e stagnante fiction domestica, e a un misto di
derisione e insofferenza per il legame privilegiato che essa ha stabilito e
intrattiene con i pubblici di età più avanzata37.
La ‘tradizione di qualità’ della fiction italiana ha radici lontane, nella televisione
delle origini. E, al di là di inevitabili aggiustamenti intervenuti nel corso del
tempo, si è mantenuta nella sostanza coerente con una idea basilare di
ambizione e riuscita qualitativa come prerogative costituite e definite
primariamente dalla associazione privilegiata, una sorta di affinità elettiva, fra una
certa forma narrativa e certi contenuti tematici.
Nel nostro caso la forma coincide con la miniserie. Media hybrid38, formula
liminale al confine tra cinema e televisione, la miniserie occupa un posto
speciale nella storia della fiction italiana, in quanto incorpora la prolungata e
duratura refrattarietà della cultura televisiva nazionale nei confronti della
serialità. Da noi la reputazione dei formati produttivi e delle formule narrative
sembra essere inversamente proporzionale alle ‘quantità’ che mobilitano, sul
piano della estensione, segmentazione e durata, in base al convenzionale
principio di contraddizione tra quantità e qualità. Il formato corto della
miniserie, che in Italia viene realizzata preferibilmente nella versione in due
parti, si ritrova pertanto a occupare una posizione privilegiata sulla polarità
positiva dell’asse del prestigio culturale, a grande distanza da soap, telenovele e
serie lunghe.
S’intende che all’estremo opposto della serialità televisiva risiede il cinema. E
non a caso - dopo una prima fase risalente alle origini della televisione, quando
si presentava sotto specie di sceneggiato e ricercava nei modelli della
rappresentazione teatrale i riferimenti alti della propria nobilitazione culturale la miniserie italiana ha preso a guardare direttamente al cinema nell’intento di
affrancarsi dalla condizione di ‘figlia di un medium minore’ (non diversamente
peraltro dalla ‘quality tv’ statunitense che, secondo Thompson, vanta fra i suoi
primari requisiti il pedigree cinematografico39). Gli elevati investimenti finanziari,
le campagne promozionali, la ricchezza scenografica, le riprese in esterni e on
location, il cast importante che include non di rado attori e autori del grande
schermo, nazionale e internazionale: tutti questi elementi innalzano la miniserie
al rango di un’opera cinematografica. E al cinema è invalso ultimamente l’uso
di equipararla negli stessi titoli di testa che, specie quando i registi o gli
Ad esempio, intervenendo il 15 ottobre 2012 a una puntata di Tv talk, il regista Paolo Virzì
ha definito la fiction italiana ‘camomilla per gli anziani’.
38 G. Edgerton, The American made-for-tv movie, in B.Rose (ed.), Tv Genres, Westport: Greenwood
Press, 1985, pp. 151-180.
39 R. J. Thompson, cit., p. 14.
37
XI sceneggiatori sono (come non è infrequente) personalità rinomate e di
formazione e pratica cinematografica, convertono la definizione di miniserie
nella più lusinghiera attribuzione autoriale ‘un film di…’. Una piena
consacrazione in tal senso si è avuta nel 2003, quando la miniserie in quattro
puntate La meglio gioventù diretta dal regista Marco Tullio Giordana, rinomato
esponente del cinema civile italiano, ha partecipato al 56° festival di Cannes
ottenendo riconoscimenti e premi cinematografici (miglior ‘film’ nella sezione
‘un certain régard’) – e venendo successivamente inclusa dal «New York
Times» nella lista dei migliori film distribuiti negli USA nel corso del 2005 -.
La meglio gioventù ricostruiva 40 anni della più recente storia socio-politica del
Paese. Il che conduce direttamente alla materia narrativa tradizionalmente
associata alla miniserie, e di fatto sua parte integrante nella stretta interrelazione
di forma e contenuti. Costruire narrative su temi e soggetti seri, rilevanti,
‘impegnati’, è per l’appunto ambizione e prerogativa della miniserie che trae
largamente ispirazione da fonti storiche, biografiche, religiose, letterarie,
nonché dai problemi dell’attualità sociale: vale a dire, un insieme di materia
narrativa caratterizzata da un grado elevato di rispettabilità culturale.
Risiede inoltre nella miniserie un potenziale di internazionalizzazione dotato di
speciale attrattiva per un paese, come l’Italia, che non è finora riuscito a
ritagliarsi un ruolo significativo nella esportazione del prodotto televisivo
domestico. Si tratta di un potenziale suscettibile di essere dispiegato per il
tramite delle co-produzioni, presenti in modo costante se pure
quantitativamente rarefatto nell’ampio catalogo storico delle miniserie italiane40.
E quand’anche la promessa o l’aspettativa della circolazione internazionale non
vengano soddisfatte, una miniserie co-prodotta costituisce una risorsa di valore
aggiunto, poiché attrae e lusinga il pubblico nazionale con l’offerta di fiction ad
alto budget che compensa e riscatta le modeste economie e i mediocri valori di
produzione di buona parte della fiction italiana corrente.
Ma, qualunque sia la tipologia di produzione, la miniserie sembra possedere un
inimitabile vantaggio esclusivo: quello che i broadcasters e gli operatori del
marketing definiscono ‘illuminazione della rete’, ovvero un lusinghiero ritorno
di immagine e un rilucente alone positivo che perdura nel tempo - perfino
indipendentemente dai risultati di ascolto, d’abitudine assai elevati come
dimostra la sistematica collocazione delle miniserie al top dei successi stagionali
-. In proposito, vale la pena sottolineare come la considerazione e l’uso della
Per limitarsi a una selezione di titoli degli anni 2000: I miserabili (Canale 5, 2000); Il dottor
Zhivago (Canale 5, 2002: candidatura del regista Giacomo Campiotti ai BAFTA Awards del
2003; Papa Giovanni Paolo II (Raiuno, 2005: protagonista John Voight); Guerra e pace (Raiuno,
2007); Caravaggio (Raiuno, 2007); Coco Chanel (Raiuno, 2008: candidatura di Shirley MacLaine ai
Golden Globe e Emmy Awards del 2009); Pinocchio (Raiuno, 2009: protagonista Bob Hoskins);
La principessa Sissi (Raiuno, 2010); Titanic (Raiuno, 2012: premio per la migliore co-produzione
europea al Festival di Montecarlo del 2012).
40
XII miniserie in funzione di ‘faro’ delle reti41 sia tutt’altro che una pratica obsoleta
in cui si attarda la televisione italiana. Se la televisione americana deve offrire
un orizzonte di riferimento e un termine di confronto, non si può ignorare la
rinascita sperimentata dalla miniserie nell’innovativo ambiente del
narrowcasting statunitense, dove è migrata da tempo, e dove viene usata
strategicamente dai canali di nicchia per costruire brand, status culturale, eventi
di speciale richiamo 42 . Proprio HBO, alfiera della ‘quality tv’, ha aperto
pionieristicamente la strada al ritorno della miniserie, ridando vita con i suoi
progetti ambiziosi a una forma ormai abbandonata dai grandi networks.
Dotata di un alto grado di rispettabilità artistica in virtù della sua affinità con il
cinema, e corredata da ulteriori prerogative che ne marcano la distinzione
rispetto alla fiction ‘normale’ - così da venire spesso associata alla risonante
nozione di ‘evento’ - la miniserie riverbera sulla propria materia narrativa il
prestigio di un veicolo di prima classe, dai costi e valori produttivi all’altezza
del rango. A sua volta beneficia del marchio nobilitante che le viene impresso
da contenuti storici, biografici, letterari e sociali, dotati della legittimità culturale
indiscutibilmente attribuita ai soggetti seri, colti e impegnati. Si realizza in tal
modo, nella (costruita) affinità elettiva tra una forma quasi-cinematografica e
una materia narrativa dotata di riconosciuta rilevanza, un mix suscettibile di
passare per una condizione o una credenziale di qualità.
Formula narrativa non (o debolmente) seriale, pedigree cinematografico, elevati
valori di produzione, elementi e fattori di internazionalizzazione, carattere
evenemenziale, selezione tematica di ispirazione letteraria (adattamenti) e
soprattutto realistica (storia, biografie, società), strategia comunicativa orientata
a un pubblico generalista: su questo insieme di caratteristiche si è costituita la
‘tradizione di qualità’ della fiction italiana, da assumere qui nella accezione
definitoria di un profilo di genere. E’ interessante osservare come alcuni tratti
del profilo, indubitabilmente ‘classico’ e in senso proprio tradizionale, appaiano
sostanzialmente omologhi a quelli attribuiti alla ‘quality tv’ statunitense: ad
esempio, l’ambizione di distinguersi dalla produzione televisiva corrente e se
possibile dalla televisione tout-court, le aspirazioni realistiche, la predilezione
per temi rilevanti o controversi, la tensione ad acquisire uno status da opera
cinematografica. (A quest’ultimo proposito, sarebbe probabilmente il caso per i
television studies di smettere di voler presidiare i confini della televisione43, e
accettare le sue incursioni nei territori di altre forme culturali e artistiche come
pratiche ibridatorie potenzialmente feconde, e comunque non stigmatizzabili
per il solo fatto di perseguire intenti di legittimazione culturale).
E. Copple Smith, A form in peril? The evolution of the made-for-television movie, in A. D. Lotz (ed.),
Beyond prime time, London: Routledge, 2009, pp. 138-155.
42 Cfr. in proposito J. Mc Murria, Long-format Tv. Globalisation and network branding in a multichannel era, in M. Jancovich and J. Lyin (eds.), 2003, cit.,pp. 65-87; e E. Copple Smith, cit.
43 Raccolgo questa esortazione da S. Dasgupta, cit.
41
XIII S’intende che le differenze sono altrettanto numerose, ma il principale fattore
di discrimine è senza dubbio il pubblico di riferimento. Scrive Thompson che
la ‘quality tv’ «attracts an audience with blue chip demographics. The upscale,
well-educated, urban-dwelling, young viewers advertisers so desire to reach
tend to make up a much larger percentage of the audience of these shows than
of other kinds of programs44». All’opposto, la ‘tradizione di qualità’ della fiction
italiana, che si è costruita e rimane tuttora iscritta entro le logiche culturali e le
strategie comunicative del broadcasting, si caratterizza per i suoi successi presso
le estese e composite formazioni dei pubblici generalisti. Senza dover per
questo aderire a un atteggiamento di populistica compiacenza per la ‘massa’
contro la ‘classe’, è plausibile sostenere che la postura generalista della
‘tradizione di qualità’ risulta oggi particolarmente invisa – quasi come un vizio
d’origine o un fatal flaw da redimere - agli occhi della critica e di una opinione
intellettuale e accademica tributarie entrambe, in maggiore o minor misura, di
una infatuazione per i fenomeni di differenziazione e frammentazione in corso
negli ambienti mediali contemporanei.
Riguardata da una prospettiva valutativa, la ‘tradizione di qualità’ della fiction
italiana appare innegabilmente vulnerabile a giudizi critici 45 – più o meno
motivati o pregiudiziali, a seconda dei casi - non dissimili, in parte, da quelli
rivolti da François Truffaut al cinema francese del secondo dopoguerra. Resta
tuttavia il fatto che questa stessa tradizione (criticabile al pari di ogni altra) ha
generato negli anni numerosi esempi di buona televisione, che per apprezzabile
livello di fattura, efficace trattamento drammaturgico dei soggetti, e non di
rado utile contributo conoscitivo alla storia e alla società italiana, si annoverano
tra i migliori prodotti di fiction realizzati fino a oggi: si pensi, a titolo
meramente indicativo, a La piovra (Raiuno, 1984-2001), Un cane sciolto (Raiuno,
1990-91), Fantaghirò (Canale 5, 1991- 1994), Giuseppe (Raiuno, 1995)46, Ultimo
(Canale 5, 1998-1999), Padre Pio (Canale 5, 2000), Perlasca. Un eroe italiano
(Raiuno, 2002), Papa Giovanni (Raiuno, 2002), La meglio gioventù (Raiuno, 2003),
Il giudice Borsellino (Canale 5, 2004)47, Cefalonia (Raiuno, 2005), Il capo dei capi
(Canale 5, 2007), C’era una volta la città dei matti (Raiuno, 2010)48. E molti altri.
Non è possibile argomentare qui le ragioni dei risultati piuttosto modesti, sul
piano qualitativo anche se non necessariamente degli ascolti, raggiunti da serie
e serial italiani (con le dovute eccezioni49): frutti imperfetti di un’industria e
R. J. Thompson, cit., p. 14.
Riproporre iteratamente narrative formulaiche e convenzionali, voler compiacere tutti,
rifuggire dalle controversie morali così come dalle sperimentazioni estetiche, peccare di
didatticismo e semplicismo, cedere alle tentazioni agiografiche e buoniste, e altro ancora.
46 Giuseppe, uno dei capitoli del Progetto Bibbia, ha vinto l’edizione 2005 degli Emmy Awards
come miglior miniserie dell’anno.
47 Premio per la miglior miniserie al 45° Festival della televisione di Montecarlo.
48 Premio per la miglior miniserie al Festival della televisione di Montecarlo del 2010.
49 Il commissario Montalbano (Raiuno) e le prime stagioni di RIS. Delitti imperfetti (Canale 5) sono
sicuramente da citare in proposito.
44
45
XIV cultura televisiva che solo tardi e con riluttanza mai del tutto superata si è
arresa all’imperativo della produzione seriale. Basterà dire che – facendo
eccezione in questo caso per le finora rare ma acclamate incursioni delle reti
satellitari nel campo della produzione originale, ovvero Boris (Fox, 2007-2010) e
Romanzo criminale (Sky, 2008-2010) – la fiction italiana contemporanea nel suo
insieme, e massimamente la ‘tradizione di qualità’, riguardata dai suoi molti
critici come esausta e superata, viene «repudiated within scholarship for a
transatlantic romance (il corsivo è mio) with US quality drama»: come ha scritto
Charlotte Brunsdon constatando già qualche anno fa una analoga sindrome nel
contesto britannico50.
Può valere la pena annotare come la presa di distanza culturale dalla serialità, su
cui è del resto fondata la preminenza della miniserie nella tradizione italiana, sia
stata per anni strettamente associata a una forte sospettosità (se non proprio
rifiuto) nei confronti della televisione statunitense. Broadcasters, intellettuali,
critici, talenti creativi, settori del pubblico nazionale, hanno lungamente
considerato i programmi di origine americana alla stregua de ‘la cattiva
televisione’ da tenere a distanza, ‘l’altro transatlantico’ di fronte a cui la fiction
domestica si ergeva come un bastione di qualità. Un tempo ‘cattiva televisione’,
la fiction americana si è ora convertita nell’epitome dell’eccellenza televisiva, da
assumere come termine di confronto - in realtà atto a stimolare piuttosto la
propensione al cultural cringe51 che una virtuosa emulazione -.
Beninteso, non c’è assolutamente niente di male nel coltivare un ‘idillio
transatlantico’, tanto più che le serie americane – e non solo quelle che
ricadono nella categoria della ‘quality tv’ – possono essere realmente di gran
pregio, e suscitare interesse, attaccamento e ammirazione sotto svariati profili.
Allo stesso tempo, le tradizioni nazionali di qualità come quella italiana
meritano a loro volta attenzione accademica e impegno di analisi e di
valutazione critica, senza che ciò equivalga in alcun modo a privilegiare «a very
municipal sense of the medium»52, né a fornire un endorsement allo storytelling
domestico contro l’evidenza della sua mediocrità ovunque essa si manifesti.
Il punto fondamentale è che, in quanto studiosi di televisione, siamo tenuti a
essere pluralisti e a riconoscere e accogliere, invece che respingere, l’esistenza
di un «range of different and often contradictory qualities» 53 . L’abbraccio
romantico di nuove stupefacenti estetiche e di complessità narrative
magistralmente dispiegate dalle migliori fiction americane non esige il nostro
C. Brunsdon, “Is television studies history?”, «Cinema journal», 47:3, 2008, p. 133.
Il cultural cringe, che si dice affligga la cultura Australiana – ma non è per nulla estraneo a
quella italiana - è una sorta di complesso di inferiorità culturale nei confronti di altri gruppi,
popoli o paesi.
52 J. Jacobs, “The medium in crisis: Caughie, Brunsdon and the problem of US television”,
«Screen», 52:4, 2011, pp. 503-511. Non è del resto meno municipale ovvero provinciale la
celebrazione della fiction americana.
53 J. Mulgan, cit., p. 8.
50
51
XV coinvolgimento esclusivo. Al contrario, può e deve coesistere con la presa in
considerazione di altre fondative tradizioni di qualità: in specie quando queste
dimostrino di continuare a svolgere 54 rilevanti funzioni culturali offrendo i
piaceri, i significati e i saperi propri della buona televisione all’esperienza di
consumo condiviso delle (tuttora esistenti e consistenti) audience televisive
nazionali.
54
Forse non indefinitamente, se è vero che la miniserie è a rischio di estinzione o comunque di
netto ridimensionamento a causa dei suoi elevati costi di produzioni sempre meno compatibili
con i bilanci ridotti delle reti.
XVI PARTE PRIMA
XXIV Rapporto dell’Osservatorio sulla Fiction Italiana
Capitolo 1
Strategie contingenti. La fiction italiana fra fluidità del mercato e
rigidità dell’industria
Bilancio della stagione 2011-2012
di Fabrizio Lucherini
1. Ore: in crescita nella stagione, in calo sui 12 mesi
Nella stagione 2011 - 2012 (5 settembre 2011 – 3 giugno 2012) Rai e Mediaset hanno
trasmesso complessivamente 562 ore di fiction italiana inedita, 44 in più rispetto alla scorsa
stagione. La programmazione di fiction è cresciuta su entrambe le emittenti (graf. 1).
L’incremento più consistente si registra su Mediaset: 31 ore in più rispetto al 2010-2011. La
Rai, che ha aumentato la propria offerta di 13 ore, conferma il proprio primato nella
produzione e programmazione di fiction domestica (graf. 2)
6 Sono le reti ammiraglie dei due gruppi, quelle su cui tradizionalmente si concentra la
programmazione di fiction inedita, ad accrescere ulteriormente la propria offerta rispetto
alla passata stagione (graf. 3). Raiuno e Canale 5 hanno trasmesso il 78% del volume orario complessivo, rispetto al 76%
del 2010-2011. Grazie alla nuova edizione di Camera Cafè, Italia 1 è l’altra rete su cui
l’offerta di fiction è in crescita nel passaggio interstagionale; Raitre, che ha trasmesso la
7 sedicesima stagione di Un posto al sole, è l’unica rete, al di fuori delle ammiraglie, che ha
significativa presenza di fiction italiana nel proprio palinsesto. Su Raidue la fiction
domestica è ridotta a una manciata di ore, frutto della programmazione di due vecchi titoli
rimasti sin qui inediti: episodi residuali della sitcom Piloti, e le prime due puntate di Zodiaco
2. Visti i bassi ascolti, le ultime due puntate sono state spostate su Rai Premium: è la prima
volta che la Rai trasmette fiction italiana inedita su uno dei suoi canali specializzati. Sparisce
la fiction in prima visione da Rete 4 e La 5, dove era presente nella scorsa stagione, ma solo
in seguito allo spostamento su queste reti, causa bassi ascolti, di due titoli di Canale 5.
Dopo quattro stagioni caratterizzate da un costante decremento della produzione, il saldo
interstagionale dell’offerta torna in attivo (graf. 4). Un dato importante, che va analizzato
nella sua dinamica e nel suo significato. Occorre insomma rispondere a due domande: a) in
quali segmenti produttivi si realizza l’incremento stagionale? b) Si tratta di un’autentica
inversione di tendenza rispetto al ciclo recessivo iniziato nella stagione 2007-2008?
Cominciamo a rispondere alla prima domanda, osservando il grafico 5 che illustra
l’andamento della produzione di fiction suddivisa in tre macrocategorie, a partire dalla
stagione 2006-2007, quella che ha fatto registrare, ad oggi, l’apice dell’offerta di prodotto
domestico.
8 Il dato macroscopico è la crescita consistente della fiction più economica: 45 ore in più
rispetto alla passata stagione. Un andamento tanto più significativo se si considera che
questo segmento produttivo dal 2006-2007 era costantemente in calo. Per quanto riguarda
le altre due tipologie si registra, come di consueto, un andamento asimmetrico: una scende
e l’altra sale, a stagioni alterne1. Nel 2011-2012, rispetto alla stagione precedente, sono le
fiction “cinematografiche” (film-tv e miniserie in 2 parti) a guadagnare terreno (+ 24 ore) a
scapito della serialità media e lunga di prima serata (- 25 ore).
Tabella 1 – Rai – Categorie produttive (ore)
2011-2012
Formati brevi
67
Serialità media e lunga
147
Sitcom e soap
86
Totale
300
Differenza interstagionale
+ 21
- 16
+8
+ 13
Nel passaggio interstagionale, la fiction Rai aumenta soprattutto nel segmento più costoso,
quello delle fiction cinematografiche (tab. 1), al contrario l’incremento dell’offerta Mediaset
è concentrato in quello della serialità più economica. Le due emittenti fanno una scelta
analoga solo nel tagliare la serialità media e lunga, quella che in teoria dovrebbe
rappresentare il core business dell’industria televisiva.
1 Unica eccezione la stagione 2010-2011, nella quale entrambe queste categorie produttive risultavano in calo
rispetto all’offerta della precedente stagione (graf. 5)
9 Tabella 2 – Mediaset – Categorie produttive (ore)
2011-2012
Formati brevi
12
Serialità media e lunga
130
Sitcom e soap
120
Totale
262
Differenza interstagionale
+3
-9
+ 37
+ 31
Per avere un quadro esaustivo dell’andamento del mercato della fiction, prendiamo in
considerazione anche l’offerta del trimestre estivo (giugno – agosto 2012).
Tabella 3 – Offerta estiva Rai e Mediaset
Estate 2012
Rai
23
Mediaset
14
Totale
37
Estate 2011
34
59
93
Differenza
- 11
- 45
- 56
Entrambe le emittenti hanno ridotto l’offerta di fiction italiana in prima visione rispetto al
periodo analogo dell’anno precedente; una riduzione di proporzioni limitate da parte della
Rai e drastica per quel che riguarda Mediaset (tab. 3). Il trend è univoco e nasce dalla stessa
esigenza: la fiction è un prodotto pregiato e, in una fase di scarsità di risorse, va valorizzata
al massimo, concentrandone la programmazione nei periodi più competitivi.
L’emittente pubblica ha confermato la consueta programmazione estiva della soap Un posto
al sole, ma non ha messo in onda nessuna prima serata di fiction inedita, come invece era
accaduto negli anni scorsi. Quanto a Mediaset, nell’estate 2011 aveva programmato un
consistente volume orario di fiction italiana inedita, offerta che nell’estate 2012 è stato
ridotto ai minimi storici. Due le ragioni, all’origine di questo cambio di strategia.
Tradizionalmente Mediaset non esitava a collocare in estate i titoli ritenuti deboli, o quelli
che, al loro esordio nella stagione, registravano ascolti al di sotto delle attese. In questa
stagione, caratterizzata da una penuria di risorse economiche e dalla scarsa disponibilità di
prodotto, la soglia di tolleranza agli insuccessi si è alzata, e nessun titolo, a prescindere dagli
esiti di ascolto, è stato spostato nei mesi estivi. In secondo luogo, Mediaset ha concentrato
nel periodo settembre 2011 – giugno 2012 tutto il volume orario disponibile di Centovetrine.
La soap infatti, per tre mesi fra gennaio e marzo 2012, oltre alla consueta striscia
quotidiana, è stata collocata in prima serata a cadenza settimanale. Mediaset ha così esaurito
le scorte di magazzino che normalmente ne garantivano la continuità della
programmazione in estate. E’ all’utilizzo anomalo di Centovetrine che si deve, in larga misura,
l’incremento dell’offerta stagionale di Mediaset che, come illustrato in precedenza, era
concentrato nel segmento della fiction più economica.
10 In sintesi, l’offerta di fiction italiana delle due emittenti è diminuita nel periodo estivo tanto
quanto era aumentata nella stagione; anzi, nel caso di Mediaset il saldo è negativo, e dunque
lo è anche il bilancio complessivo sui 12 mesi (graf. 6). Tornando alla domanda posta in
precedenza, se cioè siamo di fronte a un’autentica inversione di tendenza rispetto al ciclo
recessivo iniziato nella stagione 2007-2008, la risposta è no. Come si evince chiaramente dal
grafico 6, l’offerta di fiction italiana continua a scendere, e nel giro di cinque stagioni
l’industria televisiva nazionale ha ridotto di un terzo la sua produzione annuale.
11 Nel corso della stagione 2011-2012, risulta in calo la già esigua programmazione di fiction
italiana di produzione, da parte delle reti del gruppo Sky. L’incidenza sul volume orario
complessivo stagionale dell’offerta di fiction domestica da parte del terzo grande operatore
televisivo del mercato italiano, si riduce al 2% (graf. 7) contro il 4% della passata stagione.
Nel 2011-2012 Disney ha confermato la tradizionale offerta di sitcom indirizzate al target
dei preadolescenti (Life bites), mentre Skycinema ha presentato una novità e una conferma.
La novità è il film-tv Un Natale per due, una commedia a tema natalizio trasmessa in prima
visione proprio il 25 dicembre; la conferma è Faccia d’angelo, sulla mafia del Brenta, che
prosegue il filone della storia dell’Italia del crimine organizzato inaugurata da Skycinema
con Romanzo criminale. Rispetto a Romanzo criminale (2 serie per un totale di 22 episodi),
Faccia d’angelo è apparsa una produzione meno ambiziosa, sin dal formato (la classica
miniserie in 2 parti tipica della tv generalista).
Certezze che producono incertezza
Nel 2012, sul territorio italiano, è arrivato a compimento il passaggio dalla televisione
analogica a quella digitale: un evento significativo per il mercato televisivo domestico, sia
dal punto di vista pratico che simbolico. Esso è, infatti, emblematico dell’accelerazione del
processo di pluralizzazione dell’offerta e di frammentazione del consumo televisivo in
corso ormai da alcuni anni. Un processo i cui esiti sono incerti e in divenire. I modelli
consolidati di produzione, programmazione e fruizione televisiva, e di valorizzazione
economica dell’ascolto sono messi in discussione dal nuovo scenario multicanale e
multipiattaforma, ma nuovi modelli sono ben lungi dall’essere individuati, e tantomeno
consolidati. Il mercato televisivo italiano, ogni stagione che passa, diventa più fluido.
12 Aumentano i canali e la richiesta di contenuti, dunque le possibilità di crescita per
l’industria televisiva, ma aumentano proporzionalmente rischi e incertezze: non si sa bene
cosa produrre, come, per chi.
La risposta dell’industria televisiva a questo scenario fluido, fatto tanto di opportunità
quanto di incertezze, sembra essere quella di irrigidirsi nel perpetuare i modi di ideare,
sviluppare, realizzare e distribuire il proprio prodotto, modi messi a punto in uno scenario
competitivo molto diverso da quello attuale. La nostra industria della fiction eccelle nel
prodotto non seriale realizzato con il modello cinematografico ma è debole sulla serialità,
investe nella finalizzazione editoriale dei prodotti (realizzata in larga misura dalle strutture
di controllo di Rai e Mediaset) ma manca della capacità di lavorare in modo innovativo
sulle idee e trasformarle in format capaci di vivere e generare profitti al di là del prodotto
finito. E’ un’industria nata e cresciuta alle dirette dipendenze della tv generalista che l’ha
modellata a sua immagine. Adesso però sia le emittenti che investono nella fiction (Rai e
Mediaset), sia tutte le altre presenti sul mercato italiano, che non lo fanno, avrebbero
bisogno di un’industria diversa: più agile nel modello produttivo, più duttile nel mettere a
punto prodotti seriali multipiattaforma, e animata da una agguerrita competizione nella
ricerca e messa a punto delle idee.
Cogliere le nuove opportunità del mercato fluido comporta necessariamente l’assunzione
dei rischi, ma non è chiaro chi avrà la forza e la lungimiranza di assumersi per primo quei
rischi. Le reti che producono fiction tendono a difendere lo status quo, quelle che non
producono preferiscono acquistare il prodotto di importazione. Dal canto loro autori e
produttori italiani, pur con le dovute eccezioni, sembrano incapaci di mettere in gioco, in
maniera imprenditiva, risorse non solo economiche ma, prima ancora, artistiche e
intellettuali, per sperimentare, a proprio rischio, format e modelli produttivi innovativi da
immettere sul mercato.
Cause ed effetti di questa rigidità sono così strettamente intrecciati che è difficile
distinguerli. Questo circolo vizioso si può riassumere così: un mercato fluido è un mercato
incerto; la reazione dell’industria televisiva, nel perseguire il naturale obiettivo di ridurre
l’incertezza sull’esito delle proprie produzioni, sceglie le certezze, ovvero le opzioni sulla
carta che offrono maggiori sicurezze, in quanto già sperimentate. Ne risultano quelle scelte
contingenti che, a vari livelli, caratterizzano l’offerta di fiction della stagione. Per non citare
che le più macroscopiche: la concentrazione, programmaticamente esclusiva del prodotto
domestico sulle ammiraglie Rai e Mediaset, che determina la crescente autoreferenzialità di
un canone portato a utilizzare sempre lo stesso, ristretto, repertorio narrativo; il privilegio
accordato alla miniserie e alla serialità media, in un momento in cui, vuoi per le
trasformazioni del mercato, vuoi per l’immanente crisi economica, fare economie di scala
sarebbe vitale.
Sull’immediato si tratta di scelte premianti, ma esse sono destinate ad accrescere il gap fra
rigidità dell’industria e fluidità del mercato; è una ricerca di certezze che, sul medio periodo,
produrrà crescente incertezza.
13 2. Titoli: in netta crescita
I titoli di fiction in prima visione trasmessi nel 2011-2012 sono stati 58, nove in più rispetto
alla scorsa stagione. E’ soprattutto l’emittente pubblica ad aver aumentato la propria offerta
di nuove fiction, tanto che i titoli Rai sono quasi il doppio di quelli Mediaset (Tab. 4).
Tabella 4 – Numero titoli. Confronto interstagionale
2011-2012
2010-2011
Rai
37
30
Mediaset
21
19
Totale
58
49
Differenza
+7
+2
+9
Anche su questo indicatore va pesato il fattore estivo. Nell’estate 2012 Rai e Mediaset non
hanno trasmesso programmi inediti, contro i 5 nuovi titoli di fiction che erano andati in
onda nel trimestre estivo 20112. In questo caso quindi, c’è una diminuzione dell’offerta
estiva, che però non annulla l’incremento stagionale. A differenza di quel che accadeva con
i volumi orari, l’aumento dei titoli è reale.
Tabella 5 – Titoli per tipologie di produzione
Rai
Mediaset
IT
EURO
Intercontinentali
31
6
0
19
2
0
Totale
50
8
0
Differenza
interstagionale
+4
+6
-1
L’ormai endemica scarsità di risorse che affligge non solo l’industria televisiva italiana ma
quella europea nel suo complesso, ha spinto anche i broadcaster italiani, soprattutto la Rai,
che nel campo delle coproduzioni vanta una lunga tradizione, a ricercare all’estero partner
con cui dividere rischi e costi della produzione. Una significativa novità della stagione è
infatti il rilancio delle coproduzioni internazionali, che negli ultimi anni erano quasi del
tutto abbandonate. Nel 2011-2012 sono state 8 (quasi tutte Rai) le fiction realizzate in
collaborazione con partner europei (Germania, Francia, Irlanda), il triplo rispetto alla scorsa
stagione (Tab. 5).
2 Vengono classificati come titoli estivi gli inediti la cui programmazione avviene completamente nel periodo
estivo. Sono quindi escluse da questo computo le due soap, e qualunque altro titolo la cui programmazione
inizi nella stagione e poi prosegua in estate.
14 Tabella 6 - Titoli Rai (in ordine decrescente di ascolto)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
Titolo
Paolo Borsellino - I 57 giorni
Maria di Nazareth
Sarò sempre tuo padre
Don Matteo 8
Il giovane Montalbano
Una grande famiglia
Cenerentola
La ragazza americana
Che Dio ci aiuti
Il generale dei briganti
Provaci ancora prof. 4
La vita che corre
Walter Chiari
Il restauratore
La donna che ritorna
Dove la trovi una come me?
La figlia del capitano
Anita Garibaldi
La Certosa di Parma
Il signore della truffa
A fari spenti nella notte
Nero Wolfe
Mai per amore
Violetta
Il generale Della Rovere
L'Olimpiade nascosta
Suor Pascalina
Tutti pazzi per amore 3
Tiberio Mitri
Il sogno del maratoneta
Barbarossa
Il segreto dell'acqua
Titanic – Nascita di una
leggenda
Un posto al sole
Zodiaco
Noi credevamo
Piloti
Formato
filmtv
miniserie
miniserie
serie
serie
serial
miniserie
miniserie
serie
miniserie
serie
miniserie
miniserie
serie
miniserie
miniserie
miniserie
miniserie
miniserie
miniserie
filmtv
serie
collection
miniserie
miniserie
miniserie
filmtv
serie
miniserie
miniserie
miniserie
serie
serie
serial
miniserie
filmtv
Serie
Genere
Identità / Bio
Identità / Relig.
Melò / Family
Crime / Detection
Crime /Detection
Melò / Family
Melò / Adatt. Lett.
Melò /Sentimentale
Crime / Relazionale
Identità / Melò
Crime / Relazionale
Dramma / Attualità
Identità / Bio
Mistery /Detection
Melò / Crime
Relaz. / Sentimentale
Identità / Adatt. Lett.
Identità / Bio
Identità / Adatt. Lett.
Dramma / Comedy
Melò / Family
Crime / Detection
Dramma / Attualità
Identità / Melò
Identità / Storico
Identità / Storico
Identità / Bio
Relaz. / Sentimentale
Identità / Bio
Identità / Bio
Identità / Storico
Crime / Melò
Melò / Storico
Melò / Soap
Mistery / Melò
Identità / Storico
Comico / Sketch
Rete
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raitre
Raidue
Raitre
Raidue
Fascia
oraria
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
Notte
Ascolto
medio
8.163.590
7.758.773
7.397.353
7.037.451
7.008.096
6.837.689
6.680.725
6.516.126
6.336.904
6.219.191
6.212.580
6.164.785
5.962.892
5.901.372
5.760.667
5.693.029
5.602.877
5.596.029
5.388.190
5.178.329
4.899.668
4.875.200
4.748.979
4.748.486
4.727.295
4.582.251
4.422.971
4.275.642
4.141.000
4.010.545
3.635.192
3.089.356
3.014.532
2.407.940
1.437.481
1.198.755
260.627
Su Raiuno sono andate in onda 33 fiction su un totale di 37 titoli Rai (tab. 6), Mediaset ha
trasmesso, su Canale 5, 19 dei 21 titoli della sua stagione (tab. 7): per entrambe le emittenti
il livello di concentrazione dei titoli sulle reti ammiraglie è pari al 90%, percentuale identica
a quella della passata stagione.
15 Tabella 7 - Titoli Mediaset (in ordine decrescente di ascolto)
Titolo
Formato
Genere
Rete
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
Il tredicesimo apostolo
Le tre rose di Eva
Benvenuti a tavola
Un amore e una vendetta
Dov'è mia figlia?
Anna e i cinque
Viso d'angelo
Sangue caldo
I cerchi nell'acqua
Il delitto di Via Poma
I guardiani del tesoro
Area Paradiso
Centovetrine
Serie
Serial
Serie
Serial
Miniserie
Serie
Miniserie
Miniserie
Miniserie
filmtv
Filmtv
Filmtv
Serial
Mistery / Detection
Melò /Crime
Relazionale / Family
Melò / Crime
Crime / Melò
Relazionale/ Family
Crime / Melò
Crime / Melò
Mistery / Melò
Dramma / Attualità
Avventura
Comico
Melò / Soap
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
14
15
16
17
18
19
20
L'una e l'altra
Sei passi nel giallo
Distretto di polizia 11
Il commissario Zagaria
Baciati dall'amore
L'affondamento di Laconia
Camera Cafè
Filmtv
Collection
Serie
Miniserie
Serie
Filmtv
Serie
Relaz. / Sentiment.
Crime / Thriller
Crime / Detection
Crime / Comico
Relazionale / Family
Identità / Storico
Comico / Sketch
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Italia1
21
Così fan tutte
Serie
Comico / Sketch
Italia1
Fascia
oraria
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
Daytime/
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT
PT/
Daytime
Notte
Ascolto
medio
5.773.187
5.249.815
4.630.975
4.422.238
4.110.464
4.083.743
4.060.549
4.017.254
3.941.198
3.881.984
3.697.286
3.592.581
3.462.098/
3.043.341
3.443.846
3.268.301
3.164.326
3.159.871
2.969.225
2.362.324
2.098.603/
914.400
1.409.035
Un elemento di discontinuità con il recente passato è invece rappresentato dal rapporto fra
novità e ritorni (nuove edizioni di serie già in onda nelle passate stagioni, sequel e spin off
di fiction trasmesse negli anni precedenti). Le novità sono in larghissima maggioranza e la
quota dei ritorni è, per entrambe le emittenti, la più bassa delle ultime cinque stagioni (tab.
8).
Tabella 8. – Incidenza dei ritorni
2011-2012
2010-2011
Rai
16%
27%
Tot. Titoli
37
30
Mediaset
24%
63%
Tot. Titoli
21
19
2009-2010
54%
26
32%
25
2008-2009
31%
39
36%
28
2007-2008
39%
41
57%
26
Su questo dato incide in modo significativo la discontinuità nella programmazione delle
serie: molti titoli di successo della scorsa stagione, pur essendo in produzione, non sono
andati in onda, come Un medico in famiglia, I Cesaroni, Un passo dal cielo, Rossella, Terra ribelle,
L’onore e il rispetto, per limitarsi ad alcuni esempi. La discontinuità della programmazione
quindi, è parte conseguenza della storica difficoltà dell’industria televisiva italiana di
realizzare i prodotti seriali con sufficiente regolarità e rapidità da consentirne la messa in
onda in stagioni consecutive.
16 Ma, al di là di questo specifico aspetto, la presenza così massiccia di novità (lo sono 4 titoli
su 5) è un indicatore della fase di passaggio, di ridefinizione produttiva ed editoriale, che la
fiction italiana sta attraversando. Un ciclo si è concluso: quello apertosi a metà degli anni
Novanta, caratterizzato dalla rapida crescita della neonata industria televisiva, realizzata
attraverso la moltiplicazione delle miniserie storico-biografiche, la messa a punto della serie
all’italiana con gli eroi in divisa, la scoperta della soap e della lunga serialità di prima serata,
con Incantesimo, Un medico in famiglia, Distretto di polizia, quest’ultima chiusa dopo la messa in
onda dell’edizione numero 11 proprio in questa stagione. Un nuovo ciclo è in gestazione e
si va costruendo in una dialettica fra tradizione e innovazione dagli equilibri ancora incerti.
Per avere un quadro più chiaro delle scelte editoriali di Rai e Mediaset, e delle direzioni che
hanno impresso allo sviluppo del racconto televisivo italiano, analizziamo forme e
contenuti dei titoli della stagione, utilizzando come categoria chiave il genere narrativo.
La tabella 9, illustra il numero di titoli della stagione ascrivibile ai vari generi, per ciascuno
dei quali viene anche indicata la distribuzione per emittente, il numero di ritorni, l’incidenza
dei titoli seriali e di quelli ambientati nel passato. Quelli indicati nella tabella 9 sono
macrogeneri, categorie inclusive che contemplano al loro interno sottogeneri e ibridazioni
di cui si rende conto, titolo per titolo, nelle tabelle 6 e 7.
Tabella 9 – Generi per emittenti (titoli)
Generi
Rai
Mediaset Totale
Identità
Crime
Melò
Relazionale
Dramma
Comico
Mistery
Avventura
Totale
15
6
8
2
3
1
2
0
37
1
6
3
4
1
3
2
1
21
16
12
11
6
4
4
4
1
58
Diff.
interst.
N.
ritorni
N.
serie
+9
-3
+3
-2
-1
+2
=
+1
+9
0
4
2
2
0
3
0
0
11
0
7
6
4
1
3
2
0
23
N. titoli
nel
passato
16
2
2
0
1
0
0
0
21
Fiction identitarie, crime e melodramma sono di gran lunga i repertori narrativi più
frequenti nell’offerta della stagione: due titoli su tre si collocano in una di queste tre
categorie. L’egemonia narrativa di questi macrogeneri appare tanto più forte se si considera
poi, che essi tendono a incrociarsi reciprocamente. Sono soprattutto i modi e i temi
melodrammatici a ibridare gli altri generi; ormai sono rare le fiction italiane che non
esibiscano come motivo di attrazione una qualche componente melò.
I titoli classificati sotto l’etichetta identità (biografie di personalità notevoli e ricostruzione
di eventi significativi per la storia e l’identità nazionale, adattamenti di testi del patrimonio
della letteratura europea sulla falsariga degli sceneggiati) costituiscono di gran lunga il
17 pacchetto di titoli più consistente dell’offerta del 2011-2012 e risultano più che raddoppiati
rispetto alla scorsa stagione (tab. 9). Questi titoli (con un’unica eccezione) sono tutti
prodotti e offerti dalla Rai, nel rispetto delle convenzioni del genere, sono tutti delle novità
non seriali, e sono tutti ambientati nel passato.
Una così corposa presenza di fiction identitarie ha trasmesso la propria impronta a tutta
l’offerta stagionale che infatti si caratterizza per una forte incidenza delle novità, un ribasso
della serialità, un ampliarsi dello scarto fra numero di titoli Rai e Mediaset, un deciso
incremento delle fiction di ambientazione non contemporanea che passano dal 28% della
scorsa stagione, al 36% di quella in esame. In sostanza, più di un terzo dei titoli è
ambientato nel passato: una concentrazione inusuale anche per una fiction fortemente
orientata al racconto in costume come quella italiana, inusuale come il primato dei titoli
identitari nella classifica dei generi più praticati e la consistenza dell’incremento
interstagionale. Alla base di questo dato sorprendente ci sono due ordini di ragioni.
La prima è quella strategia delle scelte contingenti, già evidenziata nel paragrafo di apertura.
In una fase di profonda incertezza, la Rai investe sistematicamente in quello che è
tradizionalmente il genere in cui ha raggiunto il maggior numero di successi di pubblico e di
immagine; una strategia contingente appunto, difficilmente reiterabile nell’immediato
futuro, stanti, da un lato, gli elevati costi unitari dei titoli non seriali in costume, e dall’altro
la crescente necessità di abbassare i costi medi della produzione.
L’altra ragione è anch’essa contingente: in questa stagione arriva a compimento l’impegno
della televisione di servizio nelle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, che ha visto
anche la fiction in prima linea. Non a caso le ambientazioni risorgimentali sono le più
frequenti nelle ficton storiche della stagione: da Anita Garibaldi a Il Generale dei briganti, da
Noi credevamo a Violetta. Questi titoli più di altri evidenziano una forte contaminazione
melodrammatica, che funziona in entrambe le direzioni. Se la vicenda, storiograficamente
complessa e controversa, del brigantaggio diventa uno scenario puramente funzionale a un
intreccio da feuilleton, allo stesso modo il più classico dei melodrammi, La signora delle
camelie/La traviata, viene riscritta e riambientata in funzione patriottico-risorgimentale
(Violetta). Quanto agli altri scenari storici evocati dalla fiction della stagione, alcuni sono
inconsueti (il Medio Evo di Barbarossa), altri più canonici, come la Seconda Guerra
Mondiale (Il generale della Rovere, L’affondamento del Laconia) e la Shoah (L’olimpiade nascosta).
Del pacchetto dei titoli identitari fanno parte, come di consueto, adattamenti letterari (La
figlia del capitano, La certosa di Parma), fiction religiose (Maria di Nazareth, Suor Pascalina) e
biografie di eroi civili (Paolo Borsellino – I 57 giorni). Ma i tradizionali bacini del biopic
televisivo italiano sono ormai ampiamente sfruttati, e una linea di tendenza per
implementare, e in parte rinnovare questo genere, è quella di (melo)drammatizzare vicende
biografiche di personaggi emblematici del mondo dello sport (Tiberio Mitri, Il sogno del
maratoneta) e dello spettacolo (Walter Chiari).
Crime e melodramma sono così frequentemente ibridati, che spesso ormai si fa fatica a
distinguerli. Sono molti i titoli della stagione le cui narrazioni sono basate su eventi
18 criminali che creano i blocchi emotivi e gli impedimenti affettivi tipici del melodramma. Si
tratta soprattutto di titoli Mediaset, che utilizzano così sistematicamente l’ibridazione
melò/crime, sia sulla media (Sangue caldo, Viso d’angelo, Dov’è mia figlia?) che sulla lunga
serialità (Un amore e una vendetta, Le tre rose di Eva), da farne il brand più forte e
caratterizzante della propria offerta di fiction nella stagione. Toni forti che accomunano il
crime/melò ai thriller della collection Sei passi nel giallo, anch’essi in onda su Canale 5. Il
crimine vissuto non dalla parte di chi indaga ma di chi lo commette o lo subisce,
rappresentazioni di situazioni violente, emozioni negative o moralmente ambigue (la
vendetta) sono tratti distintivi di questo raggruppamento di titoli.
Il crime/melò trova spazio anche nell’offerta Rai (Il segreto dell’acqua, La donna che ritorna),
accanto però al crime/investigativo, affidato a una serie storica come Don Matteo 8, o a
novità che però ripropongono personaggi già noti al pubblico televisivo (Il giovane
Montalbano e Nero Wolfe). L’unico investigatore ricorrente del tutto inedito della stagione è la
suora detective protagonista di Che Dio ci aiuti, fiction fortemente ibridata di elementi
relazionali al pari dell’altra serie Rai che ruota attorno alle vicende di un’investigatrice
dilettante: Provaci ancora prof. 4.
Il melodramma classico, nelle sue varie declinazioni, è sistematicamente presente nella
fiction Rai, dal melò in costume (Titanic) a quello familiare (Sarò sempre tuo padre, Una grande
famiglia) e sentimentale (La ragazza americana). Finisce per iscriversi nei canoni del melò
sentimentale anche Cenerentola, rielaborazione della celebre fiaba ambientata in Italia negli
anni cinquanta e privata di ogni elemento fantastico.
In una stagione dominata da storie a tinte forti, in cui persino il melodramma viene
esasperato attraverso innesti crime, perdono inevitabilmente terreno le fiction che puntano
su intrecci relazionali radicati in contesti quotidiani. Infatti, sono poche e in calo dramedy e
commedie relazionali. Non mancano i titoli Rai (Dove la trovi una come me?, Tutti pazzi per
amore 3) ma sono in leggera prevalenza quelli Mediaset (Anna e i 5, Baciati dall’amore) che,
con Benvenuti a tavola, ha presentato l’unica novità seriale di rilievo della stagione, in uno dei
generi seriali per antonomasia, il family.
Chiudiamo questa breve panoramica delle linee editoriali Rai e Mediaset, con un rapido
sguardo ai generi meno frequentati dalla fiction italiana della stagione.
La cronaca ha fornito spunti interessanti per un ridotto numero di drammi d’attualità: da Il
delitto di via Poma a La vita che corre sulle stragi del sabato sera, a Mai per amore collection
dedicata al tema della violenza sulle donne.
Se i titoli di genere drammatico sono non seriali e in prevalenza Rai, quelli comici, come di
consueto, sono soprattutto seriali e targati Mediaset. I più significativi, non foss’altro
perché trasmessi da una rete “alternativa” come Italia 1, sono stati Camera Cafè e Così fan
tutte.
Il fantastico, nelle sue varie declinazioni, ha sempre avuto uno spazio marginale nelle
politiche produttive della fiction italiana, ma in questa stagione, seppur in numero ridotto,
19 le fiction di genere mistery (il fantastico calato in contesto realistico che genera un mistero
da indagare) si sono comunque ritagliate un ruolo significativo. Infatti, in una stagione in
cui è stata palese la difficoltà di proporre nuovi e convincenti eroi seriali nel più classico
genere detection, sia Rai che Mediaset hanno individuato nel mistery il terreno ideale per
mettere in campo inediti e convincenti figure di investigatori anticonvenzionali. Si tratta de
Il restauratore (Raiuno), il cui protagonista è dotato del potere della preveggenza, e de Il
Tredicesimo apostolo (Canale 5), che vede al centro delle storie una inusuale coppia di
investigatori, un gesuita e una psicologa, alle prese con fenomeni paranormali e complotti
ecclesiastici. Suggestioni alla Dan Brown che contaminano anche l’unico titolo di genere
avventuroso della stagione: I guardiani del tesoro, trasmesso da Canale 5.
In sintesi, il perno della fiction Rai della stagione è costituito dalle fiction dell’identità e
della memoria, attorno a cui l’emittente pubblica ha costruito una strategia di relativa
differenziazione dell’offerta che spazia dal melodramma alla detection, classica e ibridata di
commedia o elementi fantastici, passando per il dramma d’attualità e la commedia
sentimentale. Al contrario Mediaset ha costruito la sua offerta attorno ad un gruppo di titoli
a tinte forti (crime/melò e thriller con punte horror), accanto a cui ha mantenuto piccole
dosi di comicità e dramedy relazionale.
Exploitation: autoreferenzialità e trame sensazionalistiche
Con il termine exploitation si intende lo sfruttamento intensivo di generi e filoni narrativi, cui
si accompagnano strategie discorsive eccessive e sensazionalistiche, che non escludono
operazioni sofisticate (Pulp fiction è una di queste). Questo termine è stato coniato per
descrivere politiche produttive nate nell’industria hollywoodiana, e poi adottate in differenti
contesti produttivi, compreso il cinema italiano: dal peplum ai film di pirati, dal
poliziottesco allo spaghetti western, praticamente non c’è genere popolare che non abbia
attraversato la fase exploitation.
Anche la fiction italiana, in alcuni suoi generi, sta attraversando questa fase, iniziata da
qualche anno e che nell’offerta della stagione sembra arrivata a maturazione. Le strategie
exploitation messe in campo, in alcuni casi passano attraverso il gioco
dell’autoreferenzialità. Ne è un esempio brillante Che Dio ci aiuti, il cui concept potrebbe
essere riassunto così: Don Matteo incontra Tutti pazzi per amore. La serie di Raiuno spinge
avanti il confine della classica ibridazione giallo-commedia, tipica della serie all’italiana per
fondere i due universi narrativi più estremi e antitetici, sotto il profilo etico ed estetico,
proposti in questi anni da Raiuno. Nella classica serie all’italiana (da Il maresciallo Rocca in
poi), l’ibrido fra detection e commedia familiare, conservava un aggancio referenziale ai due
generi e ai modi messi in scena: l’investigatore (poliziotto, carabiniere, prete), era
riconoscibile come tale, e lo stesso la famiglia e i sentimenti ad essa collegati. In Che Dio ci
aiuti, la suora protagonista ha tutti gli attributi della suora-investigatrice da fiction (eroina
della comunicazione, risolutrice e redentrice, devota ma di ampie vedute…), ma non
conserva nessuna eco dei suoi referenti realistici (la suora e l’investigatrice) né sul piano
20 etico, né su quello psicologico o funzionale, e lo stesso vale per il colorato universo
parafamiliare che le ruota attorno. Il gioco funziona alla perfezione proprio perché è
autoreferenziale, cioè rimanda, portandolo alle estreme conseguenze, al peculiare
immaginario della fiction di Raiuno, sedimentato in questi anni.
Un’altra strategia exploitation è quella del melò/crime di Canale 5 che lavora sul
sensazionalismo dell’intreccio. Inteso come situazioni forti in termini di sesso, violenza,
trasgressioni in genere (forti ovviamente per i canoni della fiction generalista italiana) ma,
soprattutto come gioco narrativo che ha il suo perno nell’accumulo di elementi di trama,
spesso eterogenei e nella ricerca di continui colpi di scena, che trovano un loro regime di
verosimiglianza, non nella struttura classicamente intesa, ma nei meccanismi ludici
dell’exploitation. Questo modello narrativo, messo a punto attraverso le numerose fiction
costruite attorno alla figura divistica e alla maschera trasgressiva di Gabriel Garko, è ormai
diventato canonico e se ne trova un’eco in numerose produzioni, ad esempio Le tre rose di
Eva, dove il classico immaginario soap di una guerra di potere in un’azienda vinicola, viene
arricchito e complicato dalle mosse della “setta delle 3 rose” del titolo.
Operazione simile, ma di taglio più raffinato, quella compiuta da Raiuno con Una grande
famiglia. Anche in questo caso l’immaginario classico del melò familiare e dei “ricchi che
piangono” viene incrociato con sottili atmosfere misteriche, legate alle apparizioni di un
personaggio creduto morto, e con l’utilizzo della struttura narrativa basata sul narratore
inaffidabile, “sdoganata”, in ambito seriale, da Lost. La forza di Una grande famiglia, sta nella
capacità di mescolare non solo repertori di genere molto distanti, ma anche diverse
tradizioni culturali, recuperando suggestioni dalla serialità americana per ricondurle dentro i
canoni della fiction di Raiuno: la recitazione teatrale degli interpreti, il ritmo lento, la
narrazione quasi in tempo reale, fanno de La grande famiglia una intrigante versione, rivista e
aggiornata, di un classico sceneggiato e rappresenta, da questo punto di vista, la versione
exploitation delle radici della fiction di Raiuno.
La presenza così sistematica di strategie exploitation, e il fatto che risultino vincenti a livello
di ascolti, è un segnale dello stato dell’arte della fiction italiana: da un lato, è emblematica
della forza del legame fra una determinata rete, i canoni della propria fiction e il suo
pubblico di riferimento; dall’altra l’exploitation, storicamente, è indicatore della fine di un
ciclo produttivo.
21 3. I formati: la nuova impennata delle miniserie
Nel 2011-2012 la miniserie torna ad essere il formato privilegiato della fiction italiana. Sono
miniserie quasi la metà dei titoli della stagione, formato in netta crescita nel passaggio
interstagionale, tanto da compensare ampiamente il sensibile decremento dei titoli seriali
(tab. 10).
Tabella 10 – I formati (n. titoli)
Rai
Diff. Int.
Film-tv
4
=
Collection
1
+1
Miniserie
21
+9
Serie
8
-3
Serial
3
=
Totale
37
+7
Mediaset
5
1
5
7
3
21
Diff. Int.
+2
+1
+2
-3
=
+2
Tot.
9
2
26
15
6
58
Diff. Int.
+2
+2
+ 11
-6
=
+9
L’incremento interstagionale dei titoli dunque, è strettamente legato alla crescita del
numero della miniserie, in larga misura concentrato nell’offerta Rai (tab. 10), e conseguenza
della forte concentrazione di titoli appartenenti alla linea editoriale dell’identità e della
memoria, il cui formato privilegiato è la miniserie evento in due parti.
Le decisioni relative ai formati hanno sempre carattere strategico nell’industria televisiva,
poiché il formato implica scelte in merito alla forma, ai contenuti e alla programmazione
dei titoli di fiction. Siccome i formati seriali, sia quelli a serialità forte che quelli a serialità
debole, presentano al loro interno notevoli differenziazioni, che rappresentano altrettante
opzioni industriali ed editoriali, è importante analizzare più nel dettaglio quelle opzioni e le
relative scelte compiute da Rai e Mediaset. Per farlo, utilizziamo lo schema presentato nella
tabella 11 che per ciascun formato prende in esame le differenti pezzature (numero di
episodi).
Tabella 11 – Formati per numero di episodi (n. titoli)
1 episodio
2 episodi
4-8 episodi
Film-tv
Collection
Miniserie
Serie e serial
Totale
Diff. Int.
Rai
4
-
Med.
5
9
+2
Rai
18
-
Med.
1
19
+8
Rai
1
3
4
Med.
1
4
3
16
+3
12-26
episodi
Rai Med.
5
4
9
-7
+ 26 episodi
Rai
-
Med.
-
2
3
5
+3
Le miniserie in due parti sono il formato più numeroso e sono praticamente un’esclusiva
dell’emittente pubblica. Su tutti gli altri formati, e sulle relative pezzature, lo scarto fra
22 l’offerta Rai e Mediaset non supera mai un titolo: le due emittenti fanno scelte praticamente
identiche (tab. 11).
Le differenze interstagionali più marcate riguardano le miniserie in due parti (poco meno
che raddoppiate) e la lunga serialità di prima serata, quella convenzionalmente compresa nel
range 12-26 episodi, i cui titoli risultano quasi dimezzati (tab. 11). Ma il dato più
significativo emerge confrontando le due categorie seriali che sono naturalmente
concorrenti, e cioè la serialità media (4-8 episodi) e la serialità lunga (12-26 episodi). Non
solo questi due formati hanno un andamento asimmetrico, il primo sale e il secondo scende
ma, e questo è il dato più significativo, i rapporti di forza risultano invertiti rispetto alla
scorsa stagione: i titoli realizzati nel formato della serialità media sopravanzano quelli di
lunga serialità.
Per dare il giusto peso agli andamenti dei formati appena evidenziati è utile contestualizzarli
in una serie storica. Il grafico 8 mostra i dati relativi alla distribuzione dei titoli nelle cinque
pezzature standard. Come punto di inizio è stata scelta la stagione 2008/2009, l’ultima in
cui i titoli di fiction hanno superato le 60 unità.
Il numero di film-tv, dopo il picco della stagione 2008/2009, quando Mediaset aveva
cominciato l’esperimento dei piloti in onda (film-tv da testare in vista dello sviluppo
seriale), si è stabilizzato sotto le 10 unità.
Le miniserie in due parti, dopo due stagioni in cui sono state in calo, nel 2011-2012 sono
in netta crescita, raggiungendo il valore più alto dal 2008.
La serialità media (4-8 episodi) in questi anni ha sempre mantenuto un peso significativo
nell’offerta Rai e Mediaset, ma i titoli realizzati in questa pezzatura non sono mai stati così
23 numerosi come nel 2011-2012, stagione nella quale per la prima volta superano i titoli di
lunga serialità.
La lunga serialità di prima serata (12-30 episodi) va incontro a un calo repentino nella
stagione 2011-2012, toccando il minimo storico dal 2008.
I titoli di lunghissima serialità (soap e sitcom interstiziali) restano pochi ma recuperano
terreno, tornando sui livelli di quattro stagioni fa.
La distribuzione dei titoli sui diversi formati, trova una diretta rispondenza nell’andamento
dell’offerta rispetto alla durata degli episodi (grafico 9).
Gli episodi lunghi (durata superiore ai 60’), rispetto alla scorsa stagione, sono in crescita
sia su Rai che su Mediaset (graf. 9) come conseguenza: a) dell’accresciuta produzione di
film-tv, miniserie in due parti, miniserie lunghe e serie brevi, tutti formati che adottano la
pezzatura cinematografica degli episodi; b) la scelta di Mediaset di puntare, per la lunga
serialità di prima serata sul formato da 80’ che, su alcune produzioni, ha cominciato a
rimpiazzare quello canonico da 50’ (nella passata stagione I Cesaroni, in quella attuale, Le tre
rose di Eva).
Di conseguenza, sull’offerta di entrambe le emittenti diminuisce il numero degli episodi
medi (50’), che risultano la pezzatura meno praticata dalla fiction italiana.
Rispetto alla scorsa stagione cresce nettamente la programmazione di episodi brevi (durata
inferiore ai 30’), soprattutto su Mediaset, sulla cui offerta hanno un peso decisivo i quasi
200 microepisodi della nuova edizione di Camera cafè.
24 Tabella 12. - Indice di serialità (rapporto fra n. di episodi e n. di titoli)
2008-2009
2009-2010
2010-2011
2011-2012
Rai
19
15,3
12,8
11,2
Mediaset
13,4
13,5
17
24,6
La svolta miniseriale della fiction Rai nella stagione è fotografata da un indice di serialità
che risulta il più basso delle ultime quattro stagioni. Al contrario, il numero medio degli
episodi della fiction Mediaset è in netta crescita rispetto alle ultime stagioni, ancora una
volta per l’effetto Camera Cafè (escludendo la quale, l’indice di serialità Mediaset sarebbe di
15 episodi a titolo).
La serialità italiana di fronte a un bivio
Commentare i dati di una stagione di fiction significa confrontarsi con gli esiti: a) di
decisioni prese almeno un anno prima, quando le contingenze del mercato possono essere
molto diverse da quelle in cui gli esiti di tali decisioni andranno ad inserirsi; b) di una serie
di scelte che vanno a sommarsi nel tempo producendo un determinato effetto.
Appartiene al primo tipo lo spettacolare incremento interstagionale delle miniserie in due
parti, frutto di scelte maturate 12-24 mesi fa, quando la crisi economica non aveva ancora
dispiegato tutti i suoi effetti, mettendo l’industria televisiva, al pari di tanti altri settori
produttivi, di fronte alla necessità stringente di comprimere i costi. La nostra industria,
producendo molto in questo formato, ha messo a punto un modello produttivo efficiente
nella realizzazione dei “film in 2 parti”, e sicuramente le miniserie continueranno ad aver
un ruolo significativo nell’offerta, soprattutto Rai, che però non sarà paragonabile a quello
avuto in questa stagione o, in generale, negli anni del rilancio produttivo della fiction e della
crescita dell’industria. Ma qual è l’alternativa?
I dati del 2011-2012 indicano una opzione privilegiata: la serialità media. Il sorpasso di
quest’ultima rispetto alla lunga serialità è un esempio di quegli esiti frutto di decisioni
reiterate nel tempo. Da alcune stagioni infatti, come abbiamo puntualmente rilevato nei
rapporti OFI, si era manifestata la tendenza a privilegiare le serie medie rispetto alle lunghe
con un progressivo effetto di sostituzione dei titoli più datati (spesso realizzati nel formato
12 o 24 x 50), che mano a mano andavano esaurendosi, con nuovi titoli prodotti nel
formato 6 x 100’. E’ paradossale che quindici anni fa, in una fase di assoluta inesperienza
nei formati seriali ma di fiducia nella crescita del futuro dell’industria, venissero varate
lunghe serialità come Incantesimo, Un medico in famiglia, Don Matteo, Distretto di polizia, La
squadra, Carabinieri, per non citare che alcuni dei più longevi, mentre oggi, dopo anni di
esperienza maturati sul prodotto seriale, prevale un clima di sfiducia che porta alla scelta
prudenziale della serialità media. Da dove nasce questa sfiducia? In parte è legata a quella
crescente fluidità del mercato e degli ascolti, che spingono sistematicamente a strategie di
riduzione del rischio. Dall’altro però essa affonda nella sfiducia sulle capacità di scrittura e
25 di realizzazione del prodotto seriale, che negli anni del rilancio produttivo della fiction e del
consolidamento dell’industria, non è cresciuto a sufficienza.
Ora, questo è il vero nodo irrisolto, che pone la serialità italiana di fronte a un bivio. Che
non è tanto quello delle pezzature e delle durate: serie lunghe e medie possono
tranquillamente coesistere. Sia le une che le altre presentano vantaggi e svantaggi: le prime
presentano un maggiore potenziale di racconto, di immaginario e di fidelizzazione; le
seconde sono meno rischiose e si prestano con più facilità a essere veicolo per lo star
system. Una fiction all’avanguardia come quella britannica, dimostra come un’industria
possa prosperare facendo sistematico affidamento su serie di 6-8 episodi a stagione. Purché
siano serie autentiche, cioè basate su un concept ripetibile capace di reiterare a lungo il
successo della prima edizione, capaci di fidelizzare e di garantire la continuità e la regolarità
della produzione, conditio sine qua non di un’industria capace di svilupparsi e prosperare.
Basta un’occhiata ai dati della tabella 11, per vedere come nella categoria della serialità
media finiscano sia miniserie lunghe che serie corte. E spesso il confine è così sottile che è
difficile distinguerle.
Questo è il bivio di fronte al quale si trova la fiction italiana: da una parte la serialità
autentica, seppur in formato corto, basata su un concept ripetibile, dall’altra la tentazione
della miniserie allungata, basata su una premessa accattivante sull’immediato ma non
reiterabile se non con faticose operazioni di sequel dall’esito sempre incerto; da un lato una
strada in salita, che impone di aggiornare i modelli produttivi e di scrittura, ma che offre
una autentica prospettiva di sviluppo all’industria; dall’altro una strada in discesa, che
consente di continuare a scrivere e girare la serialità come un lungo film, ma che risulta
fatalmente immobilista e, a lungo andare regressiva, rispetto alla qualità e alla tenuta del
prodotto fiction.
26 4. Programmazione: in aumento le prime serate
Concentrazione è la parola chiave che riassume le strategie Rai e Mediaset sulla fiction, già
in atto e ulteriormente radicalizzata in quest’ultima stagione. Concentrazione sulle reti
ammiraglie, concentrazione nel periodo settembre-maggio, concentrazione in prime time.
La fiction trasmessa in prime time, sia Rai che Mediaset, è in aumento rispetto alla scorsa
stagione (graf. 10): l’82% del volume orario complessivo di fiction del 2011-2012 (più dei
quattro quinti) è andato in questa fascia oraria. Rai, che come sempre ha trasmesso la soap
Un posto al sole nello slot 20:30-21:00, ha collocato tutta la propria fiction in prime time,
salvo una manciata di ore (gli episodi residuali di Piloti) trasmesse di notte. Rispetto alla
scorsa stagione Mediaset invece ha aumentato l’offerta sia in prime time che in daytime,
dove l’appuntamento con Camera Café è andato ad affiancare quello tradizionale con
Centovetrine.
Tab. 13 Numero di serate di fiction
2011-2012
Rai
130
Mediaset
104
Totale
234
2010-2011
122
93
215
Differenza
+8
+ 11
+ 19
27 All’incremento del volume orario in prime time corrisponde ovviamente un aumento del
numero di prime serate di fiction: nel 2011-2012 sono state complessivamente 234 (tab. 13)
il numero più alto delle ultime quattro stagioni (graf. 11).
Nel passaggio interstagionale crescono le prime serate di fiction su entrambe le emittenti
(tab. 13). Come di consueto le serate Rai sono in numero maggiore di quelle Mediaset.
L’incremento di queste ultime, leggermente superiore alla crescita delle serate Rai, è frutto
di una politica di sfruttamento estensivo del prodotto fiction in prime time: nella stagione
Mediaset ha realizzato prime serate di fiction con titoli da daytime (Centovetrine e Camera
Café) e programmano per alcune settimane un solo episodio da 50’ di Distretto di polizia
seguito dalla replica di un episodio di Squadra antimafia.
Comunque sia stato ottenuto, l’incremento del numero di prime serate di fiction è tangibile
e, ancora una volta, concentrato su Raiuno e Canale 5, reti sulle quali la fiction di
produzione è evidentemente un genere strategico.
Sia su Raiuno che su Canale 5, il numero di serate di fiction è in netto aumento rispetto alla
scorsa stagione, mentre sulle altre reti Rai e Mediaset, considerate complessivamente, è in
calo (tab. 14). Su Rai sono venute meno le serate di Raitre, che per molti anni erano state
garantite da La squadra; su Mediaset, Canale 5 recupera la diaspora delle proprie serate che
nella scorsa stagione erano state programmate su Rete 4 e La 5.
28 Tabella 14 – Numero di serate di fiction per giorno e rete
DO
LU
MA
ME
GIO
VE
SA
TOT
Raiuno
Raidue
Raitre
RaiPremium
Canale 5
Italia 1
Rete 4
La 5
Totale
Diff. Inter.
0
0
0
0
0
0
0
0
0
-1
125
2
1
2
100
4
0
0
234
36
0
0
0
23
0
0
0
59
+ 18
26
0
0
2
1
0
0
0
29
-4
24
0
0
0
13
4
0
0
41
-6
4
2
0
0
35
0
0
0
41
+ 16
35
0
0
0
16
0
0
0
51
+6
0
0
1
0
12
0
0
0
13
- 10
Diff.
Inter.
+ 12
+2
-8
+2
+ 16
+3
-4
-4
+ 19
L’accresciuto livello di concentrazione della fiction su due sole reti è andato di pari passo
con la concentrazione della programmazione in determinate serate della settimana. Lo
scarto fra il giorno con il maggiore e il minore numero di serate di fiction, rispettivamente
domenica e venerdì (tralasciamo il sabato, dove, tradizionalmente, non va mai in onda
fiction domestica) è di 46 serate contro le 22 della passata stagione.
La domenica torna ad essere la giornata per eccellenza della fiction, con un record di 59
serate: nella stagione, la domenica sera, Raiuno ha programmato praticamente solo fiction
italiana, e Canale 5 lo ha fatto per i due terzi delle volte. Le altre giornate con un’alta
percentuale di fiction sono quelle centrali della settimana: martedì, mercoledì e soprattutto
giovedì, dove sia Raiuno che Canale 5 hanno programmato alcuni dei loro titoli seriali.
Il mercoledì è l’unico giorno in cui le serate di fiction di Mediaset superano quelle della Rai.
In questa stagione, il mercoledì per Raiuno è stato il giorno dell’appuntamento con le
partite della Champions league, a cui spesso Canale 5 ha contrapposto la fiction domestica,
mirando al pubblico femminile amante degli intrighi e del melodramma, le materie prime di
gran parte della nostra fiction.
Passando invece alle controprogrammazioni dirette fra fiction italiane, le serate in cui sono
andate in onda due fiction domestiche in prima visione sono state il 30% del totale,
percentuale analoga a quella delle ultime stagioni. Per forza di cose, la serata con la più alta
concentrazione di controprogrammazioni è stata la domenica. Va rilevato come la
connotazione fortemente femminile della fiction italiana l’abbia trasformata nell’alternativa
naturale al calcio. Se c’è così tanta fiction la domenica sera su Raiuno e Canale 5, è anche
perché questa serata per il pubblico televisivo maschile è legata indissolubilmente alla
diretta del posticipo di Serie A trasmesso sulle reti a pagamento.
L’incremento interstagionale del numero delle serate non si traduce in un analogo
incremento dell’indice di serialità dell’offerta di prima serata, che sulla fiction Mediaset
registra un incremento infinitesimale, mentre su quella Rai risulta in calo (tab. 15).
29 Tabella 15 – Indice di serialità dell’offerta di prima serate (rapporto fra n. serate e n.
titoli)
2008-2009
2009-2010
2010-2011
2011-2012
Rai
4
5,4
4
3,7
Mediaset
3,5
4,3
4,9
5,2
L’incremento delle serate è stato ottenuto attraverso l’aumento dei titoli programmati in
questa fascia oraria, e non attraverso un maggior grado di serializzazione dell’offerta. I dati
relativi a questo indicatore, molti simili per Rai e Mediaset, fotografano la predilezione per
la serialità breve e media di entrambe le emittenti.
Produzione e programmazione: una difficile sinergia
La programmazione in prima serata di una sitcom con episodi da 5’ (Camera Cafè), e di una
soap (Centovetrine) che, sin dal suo esordio 11 anni fa e sino a questa stagione, era andata in
onda nel primo pomeriggio, è solo l’ultimo esempio di quella tensione che da sempre
caratterizza il rapporto fra produzione offerta di fiction italiana.
Che le esigenze della programmazione retroagiscano sulle logiche della scrittura e della
produzione è del tutto naturale e in larga misura auspicabile. Senza le costrizioni del
palinsesto televisivo e la necessità di prevedere break commerciali, ad esempio, non si
sarebbe mai sviluppato quel peculiare linguaggio narrativo che tanto ammiriamo nelle serie
americane. Allo stesso modo in Italia, la codifica della miniserie in due parti come formato
principe della nostra fiction, è avvenuto nei primi anni Novanta sulla spinta di una precisa
esigenza di palinsesto: prendere il posto dei film, fino a quel momento massicciamente
utilizzati negli appuntamenti di prime time, sostituendo con un solo titolo di fiction di
taglio cinematografico, non uno, ma due film in un colpo solo.
Il problema però, quando si montano insieme cinque puntate di una soap, o una decina di
episodi di una sitcom interstiziale per coprire una serata, è che l’esigenza della
programmazione finisce per snaturare la logica del prodotto e il suo linguaggio. E questo
poi, porta a ragionare in termini assolutizzanti: se non è possibile utilizzare agevolmente
una soap per coprire le due ore della prima serata, ha senso produrre una soap? La risposta
rischia di essere negativa come quella data ad una analoga domanda sulla sitcom che,
proprio per questa ragione, non ha avuto da noi nessuno sviluppo.
L’ormai quasi esclusiva concentrazione del prodotto domestico in prima serata, unita
all’esigenza della serata indivisa, sta orientando la produzione verso un formato unico:
episodi di durata cinematografica (in alcune produzioni Mediaset accorciati a 80’), che
portano come conseguenza quasi necessaria la serialità media, che a sua volta spinge verso
la narrazione ad arco narrativo unitario). E questo, evidentemente, rischia di appiattire
oltremisura la nostra produzione. Ci sono generi che funzionano molto bene su questo
formato (su tutti il melodramma, ed è anche per questo che in Italia se ne producono tanti),
30 altri come la comicità, la dramedy relazionale o le storie di detection, funzionano meglio su
pezzature di episodio più brevi. Marginalizzare o snaturare questi generi in ossequio al
dogma della prima serata unitaria è una scelta miope, che finisce per impoverire l’offerta di
fiction e il suo appeal complessivo.
C’è un’altra fonte di possibile tensione fra programmazione e produzione di fiction, una
tensione ancora latente, la cui esplosione potrebbe non essere negativa ma utile a favorire
nuove opportunità di crescita per l’industria televisiva italiana.
La replicabilità è uno dei vantaggi competitivi della fiction ben fatta. Rai e Mediaset già
utilizzano ampiamente le repliche della fiction domestica, non solo sulle proprie reti
generaliste ma anche sui canali specializzati (il palinsesto di Rai Premium è dedicato quasi
esclusivamente alle repliche di fiction italiana, che sono sempre più presenti anche su Iris e
La 5); non solo in prime time ma anche in altre fasce orarie. Sin qui l’utilizzo in replica,
tanto sulle reti generaliste che su quelle specializzate, non ha minimamente retroagito sulla
produzione. Ma, la pressante richiesta di contenuti, possibilmente contenuti pregiati, come
la buona fiction, dovrà necessariamente portare a riconsiderare il ruolo competitivo del
prodotto domestico anche su reti e su fasce orarie differenti dalla prima serata di Raiuno e
Canale 5. E ciò potrà avvenire, sia sviluppando produzioni specificamente destinate a reti e
fasce orarie alternative a quelle adesso egemoni ma anche, tenendo conto, in sede di
scrittura e produzione del prodotto generalista, del suo necessario riutilizzo al di là della
prima visione sul prime time delle ammiraglie Rai e Mediaset.
Ad esempio, l’esperienza accumulata in questi anni con le repliche del prodotto domestico,
ha già evidenziato degli scarti significativi nell’efficacia della fiction fra la prima visione e i
successivi passaggi. Sui formati brevi al primo passaggio, le reti ottengono i migliori risultati
con le miniserie evento, che sono di fatto non replicabili, se non rimontate in versione filmtv. Le serie con episodi chiusi (Il commissario Montalbano, Don Matteo) ottengono in replica
risultati decisamente migliori di serie, altrettanto popolari, costruite tutte in orizzontale. Se
le serie medie con episodi da 100’ sembrano essere l’opzione privilegiata per il prime time
di Raiuno e Canale 5, è ormai assodato che la merce più preziosa sul mercato delle repliche
è costituita dalle serie lunghe da 50’, le più adatte alla programmazione estensiva e le più
duttili nella programmazione, visto che si prestano sia alla programmazione settimanale in
prime time, che alla messa in onda a cadenza quotidiana in fasce orarie diverse dalla prima
serata.
La crescente consapevolezza di questi scarti fra utilizzo in prima visione e replica, potrebbe
imporsi come un positivo elemento di tensione fra produzione e programmazione, capace
di contribuire all’auspicabile pluralizzazione dei generi e formati praticati dalla fiction
italiana.
31 5. Ascolti: concentrati e polarizzati
In una stagione televisiva caratterizzata da un complessivo calo degli ascolti della
televisione generalista, legata innanzitutto al definitivo passaggio dalla tv analogica al
digitale, alla fiction è stata assegnata ancora una volta un’unica e sola mission: perseguire
l’ascolto classico, quello ampio e trasversale, della tv generalista. Obiettivo che è stato
centrato, completamente dalla fiction di Raiuno, in misura minore da quella di Canale 5.
L’offerta di fiction italiana inedita su Raiuno è riuscita a confermare i buoni risultati della
scorsa stagione: la limatura dell’ascolto nel passaggio interstagionale (graf. 12), in un
panorama dominato da contrazioni consistenti dell’ascolto delle generaliste è da
considerare come un risultato di tutto rispetto.
Risulta invece più marcato il calo interstagionale dell’ascolto medio della fiction di Canale 5
(graf. 12) su cui ha pesato l’assenza di alcuni dei titoli seriali più forti della rete, in parte per
ragioni produttive (I Cesaroni) in parte per scelte di programmazione. E’ il caso di Ultimo e
Squadra antimafia, di cui Mediaset ha rimandato la messa in onda alla prossima stagione, in
attesa di migliori prospettive sulla raccolta pubblicitaria, quest’anno fortemente penalizzata
dall’acuirsi della crisi economica.
Rispetto alla scorsa stagione è in crescita l’ascolto medio della fiction di Italia 1 (graf. 12),
anche se, comparativamente parlando, è un dato poco significativo: quattro prime serate di
fiction nel 2011-2012 contro una soltanto nel 2010-2011.
Infine, risulta leggermente in calo la media della fiction di Raitre (graf. 12). Un posto al sole ha
confermato i livelli d’ascolto della passata stagione, ma alla rete è venuto meno l’altro titolo
storico della propria, La squadra, e Raitre ha offerto una sola prima serata di fiction con Noi
credevamo, versione lunga di un film già uscito in sala e di scarso appeal televisivo.
32 Approfondiamo adesso l’analisi delle dinamiche dell’ascolto della fiction di prima serata di
Raiuno e Canale 5 attraverso i due indicatori tradizionalmente utilizzati nei rapporti OFI:
- diffusione dei successi. Le serate di fiction con ascolto medio pari o superiore a 5
milioni di spettatori sono il 65% di quelle offerte da Raiuno (erano state il 73% la scorsa
stagione) e il 15% di quelle di Canale 5 (rispetto al 36% del 2010-201). La fiction di Raiuno
quindi, è passata quasi indenne attraverso la tempesta che ha investito gli ascolti delle reti
generaliste, tempesta che invece non ha risparmiato Canale 5 e la sua fiction.
- intensità dei successi. Le serate di fiction con ascolto medio pari o superiore a 8 milioni
di spettatori sono state 5, esattamente come nella scorsa stagione. Il fatto che la fiction di
Raiuno sia riuscita a confermare ascolti di questa intensità, in uno scenario di avanzata
frammentazione della audience è indicatore eloquente della potenziale credibilità della
fiction domestica presso il grande pubblico. E lo è tanto di più, se si considera che nella
passata stagione 4 delle 5 serate con ascolti sopra gli 8 milioni erano state realizzate da un
solo titolo, Il commissario Montalbano, mentre in quella in esame sono state ben quattro le
fiction che hanno realizzato almeno una serata con ascolti record: Paolo Borsellino - I 57
giorni, Maria di Nazareth, Sarò sempre tuo padre e Don Matteo 8. Sono questi i quattro titoli che
aprono la classifica dei maggiori ascolti di fiction della stagione (tab. 16)
Tabella 16 – Le fiction con i 20 maggiori ascolti
N.
Titolo
Rete
Formato
1 Paolo Borsellino - I 57 giorni Raiuno
Filmtv
Ascolto
8.163.590
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
Maria di Nazareth
Sarò sempre tuo padre
Don Matteo 8
Il giovane Montalbano
Una grande famiglia
Cenerentola
La ragazza americana
Che Dio ci aiuti
Il generale dei briganti
Provaci ancora prof. 4
La vita che corre
Walter Chiari
Il restauratore
Il tredicesimo apostolo
La donna che ritorna
Dove la trovi una come me?
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Canale5
Raiuno
Raiuno
Miniserie
Miniserie
Serie
Serie
Serial
Miniserie
Miniserie
Serie
Miniserie
Serie
Miniserie
Miniserie
Serie
Serie
Miniserie
Miniserie
7.758.773
7.397.353
7.037.451
7.008.096
6.837.689
6.680.725
6.516.126
6.336.904
6.219.191
6.212.580
6.164.785
5.962.892
5.901.372
5.773.187
5.760.667
5.693.029
18
19
20
La figlia del capitano
Anita Garibaldi
La Certosa di Parma
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Miniserie
Miniserie
Miniserie
5.602.877
5.596.029
5.388.190
Produttore
Leone
Cinematografica
Lux Vide
Solaris
Lux Vide
Palomar
Magnolia
Lux Vide
Immagine e Cinema
Lux Vide
Ellemme Group
Endemol
Dap Italy
Casanova
Albatross
Taodue
Endemol
Leone
Cinematografica
Immagine e Cinema
Goodtime
Tangram
La celebrazione, in chiave intimista, di un eroe civile seguita da una fiction religiosa: la
classifica dei top 20 si apre e, nel suo insieme, si presenta all’insegna della continuità, al pari
della complessiva offerta di fiction nella stagione. Fra i maggiori ascolti della stagione c’è
una prevalenza di titoli non seriali (12 miniserie e 1 film-tv contro 7 serie) e una forte
33 concentrazione di titoli di ambientazione non contemporanea (9 su 20). Ma in che misura
gli ascolti top rispecchiano gli andamenti complessivi delle performance della fiction? Per
avere un quadro più dettagliato delle variabili che influiscono sul successo o l’insuccesso
della produzione domestica analizziamo le performance della fiction di Raiuno e Canale 5,
sulla base della share media dei singoli programmi.
Tabella 17 – Raiuno. Performance delle fiction di prima serata
Titolo
N. serate
Paolo Borsellino-I 57 giorni
1
Maria di Nazareth
2
Cenerentola
2
Don Matteo 8
13
Sarò sempre tuo padre
2
Il giovane Montalbano
6
Una grande famiglia
6
Che Dio ci aiuti
8
La ragazza americana
2
Provaci ancora prof. 4
6
Il restauratore
6
Walter Chiari
2
Il generale dei briganti
2
La vita che corre
2
Dove la trovi una come me?
2
La donna che ritorna
4
La figlia del capitano
2
La Certosa di Parma
2
Anita Garibaldi
2
Il signore della truffa
2
L’Olimpiade nascosta
2
Suor Pascalina
1
Il generale Della Rovere
2
Nero Wolfe
8
Violetta
2
A fari spenti nella notte
1
Mai per amore
4
Tutti pazzi per amore 3
13
Tiberio Mitri
2
Il sogno del maratoneta
2
Barbarossa
2
Il segreto dell’acqua
6
Titanic – Nascita di una leggenda
6
Share Media
30,01%
27,35%
27,08%
27,07%
26,49%
26,13%
25,17%
23,60%
23,55%
22,02%
21,91%
21,82%
21,68%
21,34%
21,27%
20,46%
20,03%
19,94%
19,70%
19,60%
19,03%
18,94%
18,80%
18,64%
18,15%
17,66%
16,98%
16,96%
15,75%
15,00%
13,43%
12,84%
11,73%
34 Come nella passata stagione una fiction di Raiuno riesce a raggiungere la soglia del 30% di
share, un risultato eccezionale, da grande evento televisivo. Ma il risultato che vale la pena
sottolineare è un altro. I titoli di Raiuno che hanno ottenuto una share media pari o
superiore al 25%, quota che identifica i grandi successi, sono state 7 (tab. 17), contro le 4
della passata stagione. Dunque, in una fase di frammentazione degli ascolti, la fiction di
Raiuno sembra riuscire a muoversi in controtendenza. Ma, a fare da contraltare alla crescita
dei grandi successi, c’è da registrare anche un analogo incremento dei risultati più deludenti.
Le fiction con share pari o inferiore al 15% in questa stagione sono state 4, a fronte di un
solo titolo nel 2010-2011. La scorsa stagione, chiudeva la classifica delle performance di
Raiuno la miniserie Notte prima degli esami, con una share media del 14,91%, un risultato
nettamente superiore al fanalino di coda di quest’anno (tab. 17).
Osservando la tabella 17, si nota come titoli di diverso genere e formato si collochino in
tutte le zone della classifica: insomma non sembra esserci un genere o un formato capace di
garantire il successo o che, al contrario, possa essere etichettato come insuccesso sicuro.
L’idea, a lungo coltivata dall’industria televisiva italiana, che le ambientazioni non
contemporanee e il formato non seriale siano sinonimo di successo garantito, è smentita
dal consuntivo delle performance di Raiuno (tab. 17) la rete che più di ogni altra punta su
questo tipo di fiction.
Nel gruppo delle 10 fiction di Raiuno con la share più elevata (da Paolo Borsellino – I 57 giorni
a Provaci ancora Prof. 4) così come fra i 10 programmi con la share più bassa (da Nero Wolfe a
Titanic – Nascita di una leggenda), si trovano titoli appartenenti ai 3 generi forti dell’offerta di
Raiuno: identità e memoria (dalla performance eccezionale di Paolo Borsellino ai flop di
Tiberio Mitri e Il sogno del maratoneta), il crime investigativo (dai successi di Don Matteo 8 e Il
giovane Montalbano al flop de Il segreto dell’acqua), al melò (dalle ottime performance di Sarò
sempre tuo padre e Una grande famiglia a quella modesta di Titanic – Nascita di una leggenda).
Su 10 titoli seriali offerti dalla rete, 6 si collocano nella parte alta della classifica (dal quarto
posto di Don Matteo all’undicesimo de Il restauratore) e 4 nella parte bassa (dalla posizione n.
23 di Nero Wolfe, alla 32 di Titanic – Nascita di una leggenda).
Passiamo adesso alle performance della fiction di prima serata di Canale 5, introducendo un
ulteriore elemento di valutazione: la share media sul target commerciale (15-64). Si tratta di
un dato particolarmente rilevante, visto che è questo il target privilegiato dell’ammiraglia
Mediaset, a differenza di Raiuno, la cui mission è invece la ricerca del pubblico più ampio
possibile. Per quel che riguarda Canale 5, è sulla base dell’obiettivo di centrare il target
commerciale che vengono effettuate le scelte editoriali che danno forma alle fiction in onda
sulla rete, ed è quindi sulla share del target commerciale che è stata elaborata la classifica
presentata nella tabella 18.
35 Tabella 18 – Canale 5. Performance delle fiction di prima serata
Titolo
n° serate
Share media
Share target 15-64
Il tredicesimo apostolo
6
20,99%
23,40%
Benvenuti a tavola
8
18,84%
20,70%
Le tre rose di Eva
9 (12)*
19,29%
19,20%
Dov'è mia figlia?
4
18,16%
18,60%
Area Paradiso
1
16,12%
18,40%
Sangue caldo
6
17,12%
18,30%
Viso d'angelo
4
16,03%
17,90%
Un amore e una vendetta
8
16,77%
17,20%
Anna e i cinque
6
16,60%
16,90%
Il delitto di Via Poma
1
14,72%
16,00%
I guardiani del tesoro
1
14,48%
16,00%
L'una e l'altra
1
15,31%
16,00%
I cerchi nell'acqua
4
15,38%
15,40%
Il commissario Zagaria
2
14,05%
13,90%
Distretto di polizia 11
15
12,44%
13,60%
Sei passi nel giallo
6
11,98%
12,70%
Baciati dall'amore
6
11,38%
12,30%
Centovetrine
11
11,44%
11,10%
L'affondamento del Laconia
1
10,82%
10,70%
* Il primo numero indica le serate in onda nella stagione, quello fra parentesi la durata complessiva della
fiction.
Nella scorsa stagione, due fiction in onda sull’ammiraglia Mediaset avevano registrato una
share media sul target commerciale superiore al 25%, mentre nella stagione in esame
nessun titolo ha superato quella soglia (tab. 18). Nel 2011-2012 sono due i titoli che hanno
superato il 20% sul target 15-64, contro sei del 2010-2011. Passando agli insuccessi, le
fiction con share sul target commerciale inferiore al 15%, nel passaggio interstagionale
sono salite da 5 a 6. Dunque, la perdita di ascolti della fiction di Canale 5 nella stagione è
stata causata innanzitutto dalla contrazione dei grandi ascolti: un problema che ha
accomunato la fiction agli altri macrogeneri offerti dalla rete.
I tre maggiori successi della fiction di Canale 5 in questa stagione sono stati 3 titoli seriali,
appartenenti a tre differenti generi: il mistery (Il tredicesimo apostolo), il family (Benvenuti a
tavola), il melò/crime in versione feuilleton (Le tre rose di Eva). La fiction più innovativa, è
stata anche quella di maggior successo: un messaggio forte e chiaro da parte del pubblico
della rete.
Il crime/melò, il genere ibrido su cui è concentrato il maggior numero dei titoli della rete si
è rivelato abbastanza affidabile: a parte il successo di Le tre rose di Eva, le altre fiction che
rientrano, pur con varianti, sotto questa etichetta narrativa (Dov’è mia figlia, Sangue caldo, Viso
d’angelo e Un amore e una vendetta) si sono tutti collocati nella parte medio-alta della classifica.
36 E’ interessante rilevare lo scarto fra la share sul target commerciale e quella sulla audience
complessiva, come indicatore della maggiore o minore capacità dei vari titoli di centrare il
pubblico privilegiato di Canale 5. Le prime due fiction in classifica, Il tredicesimo apostolo e
Benvenuti a tavola (tab.18), presentano uno scarto positivo fra share sul target 15-64 e quello
sul pubblico complessivo, segno che sono stati capaci di intercettare specifici gusti e attese
specifiche del pubblico di Canale 5; mentre i due titoli immediatamente successivi, Le tre
rose di Eva e Dov’è mia figlia?, hanno share molto simili sui due target, e ciò non è
sorprendente visto che si tratta di due melodrammi, il mainstream per eccellenza della
fiction italiana, senza distinzione di rete.
Concludiamo l’analisi degli ascolti, prendendo in considerazione le due macrocategorie dei
formati, non seriali e seriali, e valutando le performance dei vari titoli all’interno dell’una e
dell’altra.
Tabella 19 –Performance film-tv e miniserie in 2 parti (Raiuno e Canale 5)
Titolo
N. Serate
Share Media
Rete
Paolo Borsellino - I 57 giorni
1
30,01%
Raiuno
Maria di Nazareth
2
27,35%
Raiuno
Cenerentola
2
27,08%
Raiuno
Sarò sempre tuo padre
2
26,49%
Raiuno
La ragazza americana
2
23,55%
Raiuno
Walter Chiari
2
21,82%
Raiuno
Il generale dei briganti
2
21,68%
Raiuno
La vita che corre
2
21,34%
Raiuno
Dove la trovi una come me?
2
21,27%
Raiuno
La figlia del capitano
2
20,03%
Raiuno
La Certosa di Parma
2
19,94%
Raiuno
Anita Garibaldi
2
19,70%
Raiuno
Il signore della truffa
2
19,60%
Raiuno
L'Olimpiade nascosta
2
19,03%
Raiuno
Suor Pascalina
1
18,94%
Raiuno
Il generale Della Rovere
2
18,80%
Raiuno
Violetta
2
18,15%
Raiuno
A fari spenti nella notte
1
17,66%
Raiuno
Area Paradiso
1
16,12%
Canale5
Tiberio Mitri
2
15,75%
Raiuno
L'una e l'altra
1
15,31%
Canale5
Il sogno del maratoneta
2
15,00%
Raiuno
Il delitto di Via Poma
1
14,72%
Canale5
I guardiani del tesoro
1
14,48%
Canale5
Il commissario Zagaria
2
14,05%
Canale5
Barbarossa
2
13,43%
Raiuno
L'affondamento del Laconia
1
10,82%
Canale5
37 I film-tv e le miniserie in 2 parti in onda sulle due ammiraglie sono state in tutto 27, il
52% del totale dei titoli trasmessi in prima serata da Raiuno e Canale 5. Le miniserie sono
più del doppio dei film-tv e, con l’unica eccezione di Paolo Borsellino, ottengono gli ascolti
migliori: nelle prime quattordici posizioni ci sono tredici miniserie (tab. 19). Le miniserie
sono, salvo una eccezione, tutte fiction di Raiuno, che occupa con i suoi titoli, le prime 18
posizioni di questa graduatoria (tab. 19)
Le fiction cinematografiche, in particolare le miniserie, confermano il tradizionale rapporto
privilegiato con le ambientazioni non contemporanee: sono ambienti nel passato 17 dei
27 titoli non seriali della stagione e, di conseguenza, il genere maggioritario è
costituito dalle fiction dedicate all’identità e alla memoria collettiva.
E’ proprio all’interno di questo macrogenere che si rileva la maggiore polarizzazione
degli ascolti che va di pari passo con una crescente dispersione del focus tematico di
questa linea editoriale. Lo straordinario successo di Paolo Borsellino – I 57 giorni, capace di
avvicinarsi alla audience stratosferica di 10 milioni di spettatori realizzati dalla miniserie
dedicata al magistrato e alla sua tragica fine che Canale 5 trasmise nel 2004, mette in risalto
i limiti della fiction italiana nel rinnovare il genere biografico. Da un lato c’è la difficoltà di
identificare personaggi di statuto eroico esemplare, come quelli già proposti negli anni
passati: in questa stagione è toccato a Anita Garibaldi, e l’ascolto è stato solo discreto.
Dall’altro, il tentativo di innovare il tipo di personaggi oggetto di biografie agiografiche e
romanzate, ha dato buoni esiti di ascolti con un divo dell’intrattenimento (Walter Chiari),
ma si è tradotto in due flop con i campioni sportivi (Tiberio Mitri, Il sogno del maratoneta). Con
Maria di Nazareth, le fiction a soggetto religioso hanno confermato i grandi successi delle
passate stagioni, ma l’altra fiction religiosa della stagione, Suor Pascalina, era un titolo
anonimo: anche in questo sottogenere, i soggetti cominciano a scarseggiare, tanto che
ormai ci sono più figure di religiosi in veste di eroi ed eroine di polizieschi seriali (Don
Matteo, Che Dio ci aiuti, Il tredicesimo apostolo), che come protagoniste di fiction evento storicobiografiche. Se gli adattamenti letterari si confermano fonti di ascolti ottimi nel caso delle
fiabe popolari (Cenerentola, un successo come lo era stato Pinocchio due anni fa) e solo
discreti quando si tratta di popolarizzare la grande letteratura (La certosa di Parma, La figlia del
capitano), a mostrare la corda sono le fiction storiche tout court tanto che, in questo
sottogenere, la performance migliore è stata ottenuta da Il generale dei briganti, fra le fiction
storiche della stagione quella più apertamente melodrammatica e lontana dagli intenti
pedagogico-culturali, che sono parte irrinunciabile dello statuto delle fiction identitarie.
Fra le fiction non seriali del 2011-2012, risultano poco rappresentati gli altri generi
(pochi le commedie e i drammi d’attualità e con titoli che non si sono imposti all’attenzione
del pubblico) con l’eccezione del melodramma. In questa stagione infatti, alcuni dei
melodrammi con le share più elevate sono quelli realizzati nel formato della miniserie (Sarò
sempre tuo padre, La ragazza americana).
Le fiction non seriali, in particolare le miniserie, tradizionalmente presentano, come motivi
di attrazione, valori produttivi sopra la media e la presenza nel cast di attori di richiamo. Si
38 tratta di innegabili vantaggi competitivi ma i risultati della stagione hanno dimostrato come
la storia, e soprattutto gli argomenti e i temi del racconto, siano la variabile chiave del
successo. Come di consueto, infatti, film-tv e miniserie hanno fatto ampio ricorso allo star
system televisivo italiano. Ma se attori di richiamo come Zingaretti (protagonista per la
seconda stagione consecutiva della fiction di maggior successo: dopo Il commissario
Montalbano, Paolo Borsellino), Fiorello (Sarò sempre tuo padre), Hassler (Cenerentola, La ragazza
americana), Pession (Ma dove la trovi una come me?) hanno confermato la popolarità degli anni
scorsi, è perché hanno trovato la storia adeguata a confermare l’immagine narrativa
costruita presso il pubblico attraverso i precedenti successi. Non hanno invece trovato un
veicolo altrettanto efficace per confermare la loro notorietà presso il pubblico televisivo,
attori altrettanto popolari come Proietti (Il signore della truffa), Favino (Il generale Della Rovere),
Puccini (Violetta), Bova (I guardiani del tesoro), Banfi (Il commissario Zagaria).
Come sempre, quasi tutti i titoli coprodotti sono stati film-tv e miniserie. Se Maria di
Nazareth è stata un successo, nessuna delle altre coproduzioni ha raggiunto grandi risultati
d’ascolto. Ancora una volta, è una vecchia regola della televisione generalista che trova
conferma negli esiti della stagione: più una fiction riduce la propria riconoscibilità locale (in
termini di ambientazioni, temi, interpreti) più diminuiscono le possibilità di successo. Due
fra i maggiori flop della stagione, il film-tv L’affondamento del Laconia (tab. 19) e il serial
Titanic – Nascita di una leggenda (tab. 20), erano coproduzioni europee, realizzate con
evidente cura e dispendio produttivo, che hanno tentato senza successo di coinvolgere il
pubblico italiano in vicende storiche e in scenari socio culturali, non (completamente)
italiani.
Passiamo infine ad analizzare le performance dei titoli seriali trasmessi da Raiuno e Canale
5 in prima serata (tab. 20). Come già evidenziato in precedenza, l’offerta seriale della
stagione comprende una pluralità di pezzature e di formati. Rientrano nel novero della
serialità debole, sia miniserie lunghe in 4-6 episodi, collection di film-tv di eguale durata,
serie e serial che oscillano fra un minimo di 6 a un massimo di 26 episodi.
I titoli che superano le 10 serate sono solo cinque, e uno di questi, la soap Centovetrine,
appartiene a un formato così distante dalla logica della programmazione per appuntamenti
settimanali in prima serata, che il suo conteggio all’interno di questa categoria è un puro
obbligo statistico. In ogni caso 5 titoli su 25 sono comunque pochi e sono destinati a
scendere, visto che due di essi, Distretto di polizia e Tutti pazzi per amore, non sono più in
produzione, e che tutte le novità della stagione sono realizzate in pezzature più brevi. Con
un’unica eccezione: Le 3 rose di Eva, 12 serate coperte con episodi da 80’. Visto il buon esito
di audience, questo titolo, è probabilmente destinato a diventare un modello per future
produzioni Mediaset, non solo a livello di formato e di pezzature delle puntate, ma anche
dal punto di vista del genere (un feuilleton crime/melò) e dello standard produttivo
economico. In sostanza, si tratta dell’erede di Incantesimo.
39 Tabella 20 – Performance serialità media e lunga (Raiuno e Canale 5)
Titolo
N. Serate
Share Media
Don Matteo 8
13
27,07%
Il giovane Montalbano
6
26,13%
Una grande famiglia
6
25,17%
Che Dio ci aiuti
8
23,60%
Provaci ancora prof. 4
6
22,02%
Il restauratore
6
21,91%
Il tredicesimo apostolo
6
20,99%
La donna che ritorna
4
20,46%
Le tre rose di Eva
9 (12)*
19,29%
Benvenuti a tavola
8
18,84%
Nero Wolfe
8
18,64%
Dov'è mia figlia?
4
18,16%
Sangue caldo
6
17,12%
Mai per amore
4
16,98%
Tutti pazzi per amore 3
13
16,96%
Un amore e una vendetta
8
16,77%
Anna e i cinque
6
16,60%
Viso d'angelo
4
16,03%
I cerchi nell'acqua
4
15,38%
Il segreto dell'acqua
6
12,84%
Distretto di polizia 11
15
12,44%
Sei passi nel giallo
6
11,98%
Titanic – Nascita di una leggenda
6
11,73%
Centovetrine
11
11,44%
Baciati dall'amore
6
11,38%
Rete
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Raiuno
Canale5
Raiuno
Canale5
Canale5
Raiuno
Canale5
Canale5
Raiuno
Raiuno
Canale5
Canale5
Canale5
Canale5
Raiuno
Canale5
Canale5
Raiuno
Canale5
Canale5
* Il primo numero indica le serate in onda nella stagione, quello fra parentesi la durata complessiva della
fiction.
Le novità sono più del doppio dei ritorni: 18 contro 7. Eppure è uno dei titoli più longevi,
Don Matteo 8, ad aver ottenuto la migliore performance d’ascolto. Ottimi risultati anche per
un ritorno a metà (lo spin off Il giovane Montalbano) e per un altro titolo rodato: Provaci ancora
prof. 4. Questi 3 titoli hanno qualcosa in comune: la formula narrativa dell’eroe ricorrente e
la stabile identificazione fra protagonista e interprete. Caratteristiche che distinguono
queste fiction da Tutti pazzi per amore e Distretto di polizia, le quali, pur appartenendo a generi
diversi, fondano la loro drammaturgia su una ampia comunità di protagonisti e sulla
multilinearità. Non che queste caratteristiche siano necessariamente sinonimo di scarsa
tenuta seriale, solo che la rendono più difficile da perseguire soprattutto nel contesto
italiano dove la volatilità dei cast delle serie è un limite delle logiche professionali
dell’industria televisiva, che, dopo quindici anni di produzione seriale, ancora non è stato
superato. Lo stesso Distretto di polizia, che pure è una delle più longeve serialità italiane e si è
affermato come uno degli esempi più efficienti di produzione industriale, da diverse
40 stagioni ormai aveva visto il suo cast (di interpreti, e quindi di personaggi) depauperarsi
progressivamente fino a rendere quasi irriconoscibile la serie.
Nei formati seriali, i generi più praticati, quasi egemoni con 20 titoli su 25, sono il crime
(nelle sue varie declinazioni, compreso il mistery) e il melò, da soli o reciprocamente
ibridati. Debole e poco incisiva la presenza delle serie relazionali, con la sola eccezione di
Benvenuti a tavola, convenzionale nella struttura family, ma innovativo nell’ambiente scelto (il
ristorante come luogo di incontro scontro familiare) e che ha puntato con decisione sulla
carta della cucina, non solo come elemento drammaturgico ma anche come pretesto di un
gioco a premi riservato agli spettatori della fiction.
Come nelle passate stagioni, non sono mancate rielaborazioni di titoli preesistenti
attraverso l’adattamento di format stranieri (Un amore e una vendetta, basato su un format
argentino a sua volta debitore de Il conte di Montecristo) o realizzando remake di titoli italiani.
Rientra in questa logica Nero Wolfe, serie basata sui romanzi del celebre giallista Rex Stout
ma che era innanzitutto un remake/omaggio ai celebri sceneggiati trasmessi dalla Rai fra il
1969 e il 1971 e interpretati da Tino Buazzelli. Questa operazione nostalgia ha lasciato
piuttosto freddo il pubblico di Raiuno. Ormai le storie in costume sono inflazionate (la
serie era ambientata all’inizio degli anni Sessanta); e poi l’esperienza degli anni scorsi ha
insegnato che le combinazioni di giallo e ambientazione non contemporanea non
funzionano. A questa regola ha fatto eccezione Il giovane Montalbano, che però è ambientato
in un passato molto vicino a noi, gli anni Novanta, da poter essere quasi considerato
contemporaneo. E soprattutto, Montalbano è un brand così forte per Raiuno, da superare
ogni possibile handicap.
Al di là della durata variabile, i titoli seriali della stagione si possono suddividere in due
macrocategorie narrative. Da un lato, ci sono quelle fiction che basano la loro premessa
drammatica e la loro promessa di fidelizzazione su personaggi e ambienti
ricorrenti, bene riconoscibili e strettamente intrecciati gli uni agli altri: da Don Matteo a Il
giovane Montalbano, dalla suora investigatrice di Che Dio ci aiuti, a Provaci ancora prof., da Il
restauratore alla coppia di investigatori dell’occulto de Il tredicesimo apostolo fino alle due
famiglie di ristoratori rivali di Benvenuti a tavola. Tutti titoli che si sono collocati nella parte
alta della classifica delle performance, e che, grazie alla scelta narrativa di far prevalere il
personaggio sulla trama si sono garantiti le migliori opportunità di proseguire la produzione
senza tradire il concept di partenza. Dall’altro ci sono quelle fiction in cui, invece, la
trama prevale sul personaggio. Nella maggior parte dei casi si tratta di miniserie e
miniserial che escludono in partenza ogni ipotesi di continuità produttiva (La donna che
ritorna, Dov’è mia figlia?, Sangue caldo, Un amore e una vendetta) e che si sono collocate nella
parte centrale della classifica delle performance. Di questa categoria fanno parte anche due
titoli che, a differenza degli altri, si sono rivelati fra i maggiori successi della stagione e che,
furbescamente, hanno lasciato in sospeso le loro intricatissime trame. Si tratta di Una grande
famiglia e Le 3 rose di Eva, che adesso si trovano di fronte alla sfida più difficile per tutte le
41 narrative seriali basate sulla trama: rilanciare i conflitti, sorprendendo il pubblico senza
tradirne le attese.
Successi e fallimenti: scenari antitetici per Raiuno e Canale 5
Come abbiamo visto dall’analisi dei dati, l’andamento degli ascolti della fiction delle due reti
ammiraglie è stato asimmetrico.
Su Raiuno sono aumentati sia i grandi successi che i grandi insuccessi. Un risultato che
rispecchia la notevole forza della fiction realizzato per la prima rete Rai, e i rischi connessi
alla strategia della concentrazione, del prodotto e dell’ascolto.
La fiction, per quantità e qualità, è il genere cardine di Raiuno, e della strategia che ruota
attorno alla programmazione della prima rete Rai: la ricerca del massimo ascolto, quello
classico generalista. Raiuno può contare su uno zoccolo duro di pubblico anziano che ha
nella televisione generalista e nella prima rete Rai un imprescindibile punto di riferimento; e
la fiction della rete ha messo a punto negli anni le formule giuste per coinvolgere e
fidelizzare questa fascia di pubblico, a cui ha saputo aggiungere anche tipi di prodotto
capaci di spostare leggermente il target, e aprendolo all’altro grande bacino di ascolti capace
di generare i grandi numeri: quello intergenerazionale/familiare.
Il bilancio della stagione per Raiuno, come si è evidenziato nell’analisi dei dati, è molto
positivo. Le formule tradizionali della fiction della rete hanno funzionato come, e in alcuni
casi anche meglio, che in passato. E gli insuccessi possono essere spiegati con i limiti dei
singoli prodotti, non tanto sul piano della qualità oggettiva (sarebbe davvero ingeneroso
verso titoli realizzati con cura come Il segreto dell’acqua e Titanic – Nascita di una leggenda,
rifiutati dal pubblico della rete), quanto su quella dell’aderenza alle formule vincenti. In
parte può essere vero ma, a nostro parere, c’è un problema più generale.
La mission della fiction di Raiuno è quella di andare in controtendenza rispetto al
movimento generale dell’ascolto televisivo che va nella direzione opposta, non la
concentrazione ma la frammentazione. Questo da un lato rende la fiction tradizionale di
Raiuno speciale, perché si distingue da temi e stili dominanti nell’affollato e caotico
panorama televisivo multicanale, una sorta di faro verso un porto rassicurante, capace di
attrarre un vasto pubblico desideroso di rassicurazione. Dall’altro però mette questo tipo di
fiction, che è a suo modo sempre e comunque un evento, a rischio di un “effetto
saturazione”: oltre una certa soglia scatta il rifiuto a priori.
Su Canale 5 gli andamenti stagionali dell’ascolto hanno evidenziato un arretramento
generalizzato, ma le perdite maggiori si registrano nella fascia degli ascolti più elevati: in
questo caso non c’è effetto saturazione quanto piuttosto una sensazione di stanchezza.
Per quanto anche l’obiettivo d’ascolto di Canale 5 sia ampio e generalista, esso è comunque
diverso da quello di Raiuno. Il pubblico cui mira Canale 5 è quello del target commerciale,
meno vasto a livello di numeri complessivi ma internamente più variegato e segmentabile
42 rispetto a quello di Raiuno; ed è un pubblico maggiormente immerso nei flussi dell’offerta
multicanale, è meno stanziale e ha un immaginario di riferimento meno ancorato alla
tradizione della fiction italiana.
Eppure, anche su questo pubblico, ma sarebbe meglio dire su questi bacini potenziali di
ascolto, la fiction italiana può avere un forte appeal. Lo dimostrano due dei successi
stagionali di Canale 5, Il tredicesimo apostolo (capace di esordire con un ascolto di 7 milioni di
spettatori, in parte poi persi per strada) e Le 3 rose di Eva, due titoli molto diversi tra loro
che, a nostro parere, identificano due possibili strade per la fiction di Canale 5.
Il tredicesimo apostolo è un tentativo di mediazione, imperfetto ma estremamente interessante,
fra la tradizione della fiction domestica e l’immaginario coltivato dalla serialità
internazionale. E’ una strada difficile, perché è facile deludere il pubblico di riferimento di
questo tipo di produzioni, bombardato dal flusso di novità a getto continuo che arrivano
dall’estero. Ma il buon successo di questa serie, mostra che, anche presso il pubblico
dall’immaginario globalizzato, c’è un significativo spazio di attenzione per serie locali che
siano coerenti con quell’immaginario.
Le 3 rose di Eva, è un successo che si muove in una diversa zona dell’immaginario del
pubblico femminile di Canale 5, quello fatto di passioni esasperate e sentimenti
spettacolarizzati coltivato dai reality e dai talk show della rete. E’ una zona dell’immaginario
su cui la fiction può giocare con successo le sue carte, visto che sentimenti e passioni sono
la materia prima del racconto popolare.
Queste due serie sono esempi puntiformi, non configurano ancora una formula di
successo, che per essere tale va rodata, ripetuta, variata. Questo è il limite e il rischio
fondamentale di Canale 5, non poter fare affidamento su tradizioni consolidate, cosa che
costituisce invece il vantaggio competitivo della fiction di Raiuno. D’altro canto nel
palinsesto di Canale 5 possono convivere e raggiungere il successo generi e stili di fiction
molto diversi fra loro, cosa che invece con maggiore difficoltà può accadere su Raiuno,
dove la necessità di concentrare l’ascolto sui bacini ampi di cui si è detto, finisce
inevitabilmente per limitare le possibili variazioni sul prodotto da offrire.
43 6. I produttori: prove di deframmentazione
I produttori che hanno realizzato le fiction della stagione sono 27, due in meno rispetto al
2010-2011. Rai ne ha impiegati 21, Mediaset 11. Cinque le case di produzione che hanno
realizzato fiction per entrambe le emittenti: Endemol, Magnolia, Publispei, DAP Italy,
Paolomar.
In una stagione in cui è cresciuta l’offerta di fiction, sia in volume orario che in titoli, sono
diminuiti leggermente i produttori attivi. Anche per quel che riguarda la produzione
indipendente, vale dunque la parola d’ordine della stagione: concentrazione.
Tabella 21 - Volume orario medio stagionale per produttore
2006-2007
2007-2008
2008-2009
2009-2010
2010-2011
22,8
25,2
17,9
18,2
17,1
2011-2012
20,7
La media del volume di produzione realizzato da ciascun produttore è di circa 21 ore, un
valore leggermente superiore a quello delle ultime stagioni (tab. 21).
Tabella 22 – Produttori (ore e titoli)
Produttore
Volume
orario
Endemol/Mediavivere
149
Fremantle
82
Magnolia
55
Taodue
47
Lux Vide
41
Casanova
29
Publispei
24
Dap Italy
23
Palomar
19
Ares Film
17
Albatross
10
Leader Film
10
Ciao Ragazzi
7
Immagine e Cinema
7
Leone Cinematografica
5
Alba Film 3000
3
Artis
3
Cristaldi
3
Ellemme Group
3
Goodtime
3
Martinelli
3
Rizzoli
3
Solaris
3
Tangram
3
11marzo film
1,5
Colorado
1,5
Ocean Production
1,5
Titoli
Totali
7
1
6
4
4
5
2
3
3
2
1
1
1
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Titoli
Rai
2
1
4
0
4
5
1
2
2
0
1
0
1
2
2
0
1
1
1
1
1
1
1
1
0
0
1
Titoli
Mediaset
5
0
2
4
0
0
1
1
1
2
0
1
0
0
0
1
0
0
0
0
0
0
0
0
1
1
0
44 Il comparto della produzione indipendente è stato tradizionalmente caratterizzato da una
forte frammentazione (tanti produttori, rispetto alle ridotte dimensioni del mercato) e
polarizzazione (pochi produttori che realizzano la maggior parte della fiction, e una
moltitudine di piccole case di produzione impiegate su quote minimali del restante volume
orario). Come si vede dai dati riassuntivi della tabella 22, la struttura complessiva della
produzione indipendente di fiction vede confermate sia la frammentazione che la
polarizzazione. Ci sono però delle piccole significative variazioni rispetto alla scorsa
stagione, quelle che hanno determinato la variazione del volume orario medio (tab. 21).
Nel 2011-2012, i cinque produttori con il più alto volume orario sono stati, nell’ordine:
Endemol, Fremantle, Magnolia, Taodue, Lux Vide; sono gli stessi della passata stagione,
con una sola eccezione: Magnolia al posto di Publispei. Complessivamente le prime cinque
case di produzione hanno realizzato il 67% del volume orario complessivo, contro il 65%
della passata stagione. Dunque, la concentrazione di grandi volumi orari presso i “grandi
produttori” resta più o meno la stessa della scorsa stagione.
I produttori che superano le 10 ore di fiction stagionale sono stati dieci, mentre nel 20102011 erano stati sette. Ad accrescersi dunque, è la concentrazione del volume di fiction
presso una più vasta fascia di case di produzione medio-grandi.
Del resto è un andamento coerente con il tipo di incremento dell’offerta registrato nella
stagione: ad aumentare non sono stati i titoli di lunga e lunghissima serialità, che hanno
come conseguenza quasi obbligata la concentrazione dei volumi presso i pochi produttori
specializzati in questo tipo di produzioni; ad accrescersi sono stati i titoli di serialità breve e
media.
Il numero dei produttori che hanno un solo titolo in onda nella stagione, sono stati 16 (tab.
22), il 59% di quelli attivi nel 2011-2012, una percentuale ancora alta, ma comunque
inferiore al 69% del 2010-2011. E ciò è tanto più significativo se si tiene conto che nella
stagione sono aumentati i titoli brevi, che in passato avevano alimentato la frammentazione
produttiva, attraverso una distribuzione a pioggia delle nuove committenze (tanti titoli tutti
a produttori diversi) che in questa stagione non c’è stata.
Il settore della produzione indipendente continua ad essere frammentato ma i dati della
stagione indicano un leggero cambio di tendenza che potremmo definire come “prove di
deframmentazione”, da verificare nelle prossime stagioni nella sua consistenza e,
soprattutto nei suoi effetti. L’esito atteso e auspicabile è che si consolidi una fascia di
produttori di dimensioni medie, capace di garantire quelle caratteristiche che rendono
virtuoso l’apporto della produzione indipendente al mercato della fiction: professionalità e
pluralismo.
45 Capitolo II
Il programma dell’anno. Paolo Borsellino – I 57 giorni e Il
delitto di Via Poma. Due esempi di fiction civile per due
misteri italiani
di Giovanni Bechelloni
Premessa
Anche quest’anno abbiamo deciso di analizzare in questo capitolo dedicato al
“programma dell’anno” due testi televisivi: 2 film-tv che hanno tra loro
qualcosa in comune. Sono entrambi buoni esempi di quella “fiction civile” che
spesso abbiamo avuto modo di analizzare e valorizzare nei rapporti delle
passate stagioni.
Si tratta, innanzitutto, del film-tv che ha registrato il miglior ascolto della
stagione, Paolo Borsellino – I 57 giorni, messo in onda in prima serata da Rai Uno
martedì 22 maggio 2012, vigilia del ventesimo anniversario della strage di
Capaci (ascolto medio superiore agli otto milioni) nella quale persero la vita
Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre membri della sua
scorta.
Questo film-tv, pur essendo dedicato a raccontare la vita ansiosa e ansiogena di
Paolo Borsellino nell’arco dei 57 giorni che intercorrono tra la strage di Capaci
e la strage di Via D’Amelio nella quale persero la vita lo stesso Borsellino e la
sua scorta, ha come protagonista assoluto Giovanni Falcone, amico di Paolo
Borsellino fin dall’infanzia vissuta nello stesso quartiere di Palermo: anche
allora, a partire dallo sbarco degli Alleati in Sicilia del luglio ’43, abitato da
associati di Cosa Nostra. E’ Falcone, infatti, quello che per primo ha capito
cosa fosse Cosa Nostra, come fosse organizzata e quale potesse essere il
metodo migliore per combatterla e contenerla. Paolo Borsellino è stato un suo
allievo oltre che amico e sodale. Il film-tv su Borsellino è costruito in modo
tale da ricordare, ad ogni passo, chi era Giovanni Flacone e perché è stato così
importante: non solo perché è stato assassinato a Capaci, ma soprattutto
perché ha saputo costruire la conoscenza necessaria per combattere la
criminalità mafiosa.
Il secondo film-tv è Il delitto di Via Poma, andato in onda in prima serata su
Canale5 martedì 6 dicembre 2011, poco prima della sentenza di appello che ha
mandato assolto il fidanzato di Simonetta Cesaroni; che era stato condannato
come autore del bestiale omicidio compiuto il 7 agosto 1990. L’ascolto medio è
stato di circa quattro milioni. Pur non trattandosi, molto probabilmente, di un
delitto di mafia, lo straziante femminicidio di Via Poma, tuttora privo di
46 colpevoli riconosciuti e condannati (a più di vent’anni dal fatto!) non solo
appartiene al novero di uno dei tanti misteri italiani ma le scelte di produzione,
sceneggiatura e regia hanno fatto di questo film-tv un altro ottimo esempio di
fiction civile. Tali scelte hanno, infatti, reso protagonista delle indagini un
personaggio inventato, l’Ispettore Niccolò Montella (magistralmente
interpretato da un Silvio Orlando in gran forma), che non solo ha dispiegato
virtù indagative degne di un Falcone, ma ha consentito al pubblico di
comprendere i livelli di incompetenza, cialtroneria burocratica e vera e propria
collusione da parte di chi ha condotto le indagini che furono svolte all’epoca.
Quei livelli di incompetenza e collusione che Falcone aveva saputo ben
identificare attirandosi non solo l’ira funesta dei mafiosi ma anche dei tanti –
confusi tra i giornalisti e i magistrati, i funzionari e i politici – che si sono
macchiati di colpe indegne di cittadini responsabili.
*
*
*
La versione finale di questo capitolo viene scritta il 16 dicembre 2012,
venticinquesimo anniversario della chiusura a Palermo del maxiprocesso
contro Cosa Nostra. Iniziato il 10 febbraio 1986 – e conclusosi con la
condanna di 360 imputati, molti dei quali all’ergastolo e gli altri a 2.665 anni di
carcere – è stato giustamente definito da Marcelle Padovani “il vero capolavoro
prodotto dal metodo Falcone”.
Per ricordare e celebrare l’anniversario, “La Stampa” pubblica un articolo di
uno dei più attendibili giornalisti di “cose mafiose”, Francesco La Licata, che
così inizia in prima pagina: “Il maxiprocesso contro la mafia, di cui celebriamo
oggi il venticinquesimo anniversario, ha rappresentato forse l’unico vero
avvenimento rivoluzionario della nostra storia politico-giudiziaria. Il 16
dicembre del 1987 si delineò uno spartiacque netto tra il prima di Falcone e il
dopo”.
Anche il “Sole 24 Ore” pubblica un’ampia rievocazione del maxiprocesso
scritta dal Procuratore Antimafia Pietro Grasso, mentre la Rai annuncia la
messa in onda di due puntate di “Maxi + 25. Anatomia di un processo” che
verranno replicate su Rai Tre nel pomeriggio di sabato 29 dicembre1.
1 Quattro sono i libri che consentono al lettore di comprendere la vera e propria rottura
epistemologica compiutasi con il metodo Falcone che ha permesso di giungere a comprendere
per la prima volta nella storia, la vera identità della mafia siciliana costituita da un’associazione
denominata Cosa Nostra; dotata di regole e di un’organizzazione, di capi e di collegamenti
interni e internazionali che le hanno consentito di essere molto efficiente rispetto allo scopo
principale che intende perseguire: fare soldi dotandosi di tutte le risorse di professionalità e
rigore, di potere e disciplina necessarie allo scopo. Tanto da averla resa a lungo più potente e
più efficiente dello Stato italiano (che fino al maxiprocesso non era stato in grado di
combatterla come si deve). Il primo di tali libri è quello scritto e pubblicato dallo stesso
Falcone nel 1991, con la collaborazione di Marcelle Padovani (giornalista del settimanale
francese “Nouvel Observateur” e compagna di vita del sindacalista B. Trentin): Cose di Cosa
47 1. Il metodo Falcone. Virtù, esperienza di vita e conoscenza come risorse per abitare la
complessità e contribuire a un mondo migliore.
We are living in a time of geopolitical creative destruction.
Geopolitics are suddenly in play in a way that for the last
half-century they haven’t been.
(Jan Bremmer, at the International Conference of the
Global Risk Institute held in Toronto 2012 December 1012)
We are moving from the brief post-Cold War Pax
Americana to a new age of Metternich… Prepare for the
revenge of politics.
(Chrystia
Freeland,
Business
need
more
than
math,
International Herald Tribune, 2012 December 14, p. 2)
La disfunzione di alcune istituzioni e di alcuni servizi
pubblici e privati non potrebbe essere spiegata da
un’educazione mal garantita e male assimilata? …E’
pertanto necessario educare nella verità e alla verità. Ma,
che cos’è la verità? Si chiedeva già Pilato, che era un
governatore. Ai giorni nostri, dire il vero è divenuto
sospetto, voler vivere nella verità sembra superato e
promuoverla sembra essere uno sforzo vano. Eppure il
futuro dell’umanità si trova anche nel rapporto dei
bambini e dei giovani con la verità: la verità sull’uomo, la
verità sul creato, la verità sulle istituzioni, e così via…
Occorre insegnare loro che ogni atto che la persona
umana compie deve essere responsabile…
(Benedetto XVI, I giovani hanno bisogno di verità,
L’Osservatore Romano, 14 dicembre 2012, p. 7)
Il problema siamo noi. Si sta affermando in Italia, anche
con certo favore di pubblico, una figura di giornalista che
mi spaventa. Perché è convinto che i confini del mondo
coincidano con i confini della sua testa. Il commento è
tutto, i fatti sono nulla. Viaggiare, studiare, parlare con le
Nostra (Rizzoli); il secondo è di Francesco La Licata, Storia di Giovanni Falcone (Feltrinelli 2006);
il terzo è quello di Giuseppe Ayala, Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino
(Mondadori 2008); il quarto è scritto dalla sorella Maria Falcone (con la collaborazione di
Francesca Barra), Giovanni Falcone. Un eroe solo. Il tuo lavoro, il nostro presente, i tuoi sogni, il
nostro futuro (Rizzoli 2012).
48 persone, lavorare sulla scrittura non servono a niente; vuoi
mettere con un tweet, una rubrichetta, una predica
televisiva? L’invettiva e l’insulto valgono più dell’analisi e
della riflessione. L’intervista è una forma di piaggeria,
l’inchiesta è noiosa il reportage superato. Quel che
importa è quel che io penso…
(Aldo Cazzullo, L’Italia s’è ridesta. Viaggio nel paese che resiste
e rinasce, Mondadori, 2012, pp. 14-15)
L’Ulisse di Dante non si ferma a Itaca, non invecchia in
famiglia; diventa l’archetipo dell’uomo moderno che cerca
virtù e conoscenza, che vuole guardare “di retro al sol”,
scoprire il mondo senza gente, inebriarsi nel “folle volo”.
Nell’Ulisse di Dante ci sono già gli scopritori di nuovi
mondi.
(Aldo Cazzullo, op. cit. p. 74)
Giovanni Falcone era nato nel 1939 e Paolo Borsellino nel 1940: un anno di
differenza! Abbastanza per consentire a Giovanni di fare “il fratello maggiore”,
come testimonia Giuseppe Ayala nel suo libro.
Prima di analizzare e comparare i due film-tv chi scrive ritiene necessario
mettere meglio in luce le virtù dell’uomo Falcone e del suo metodo di lavoro.
Essendo un sociologo che ha cercato di capire l’Italia e il mondo: facendo
molta ricerca, studiando e viaggiando in Italia e nel più vasto mondo, chi scrive
utilizzerà testimonianze tratte sia da tre dei quattro libri citati alla nota 1 sia
dalla propria esperienza di vita e di ricerca.
1.1. Testimonianze sul metodo Falcone
A. Marcelle Padovani
Come scrive Marcelle Padovani2: “Falcone diventerà un magistrato da manuale,
un servitore dello Stato che dà per scontato che lo Stato debba essere rispettato
– non uno Stato ideale e immaginario, ma questo Stato così com’è.
Paradossalmente, cercando solo di applicare la legge, si è trasformato in un
personaggio disturbante, un giudice che dà fastidio, un eroe scomodo. Dotato
di una straordinaria capacità di lavoro e di una memoria da elefante, ha saputo
sfruttare in modo intelligente la polizia, ha organizzato efficacemente la propria
sicurezza personale. Si è dimostrato rigoroso all’estremo nell’esercizio del suo
mestiere di inquirente…
Si può tentare di ricostruire i rapporti tra questo magistrato pragmatico, alieno
da qualsiasi astrazione ideologica, attento a rispettare le norme, concreto e
2 Cose di Cosa Nostra, op. cit., pp. 15-16, 18-19.
49 riservato, con uno dei boss mafiosi, o un pentito, sottoposto al suo martellante
interrogatorio. Insolenti o vittimisti, chiusi in un ostinato silenzio o
violentemente contestatori, Falcone oppone loro una calma e una sicurezza di
sé incrollabili. Niente sguardi di intesa, niente rapporti basati sul tu, ma
nemmeno insulti: devono rendersi conto di trovarsi di fronte allo Stato.
“Durante l’interrogatorio di Michele Greco, capo di Cosa Nostra a Palermo,
ogni tanto ci dicevamo a vicenda: ‘Mi guardi negli occhi!’, perché entrambi
sapevamo l’importanza di uno sguardo che si accompagna a un certo tipo di
affermazione”.
Questo è l’asso nella manica di Falcone: siciliano, anzi – meglio – palermitano,
ha trascorso tutto la vita immerso nella diffusa cultura mafiosa, come un altro
siciliano qualsiasi e come un qualsiasi mafioso, e conosce perfettamente il
lessico delle piccole cose, dei gesti e dei mezzi gesti che a volte sostituiscono le
parole. Sa che ogni particolare nel mondo di Cosa Nostra ha un significato
preciso, si riallaccia a un disegno logico, sa che nella nostra società dei
consumi, in cui i valori tendono a scomparire, si potrebbe pensare che le rigide
regole della mafia offrano una soluzione, una scappatoia non priva
apparentemente di dignità, e ha di conseguenza imparato a rispettare i suoi
interlocutori anche se sono criminali.
Giovanni Falcone è stato stregato dalla mafia? In realtà è stato l’unico
magistrato che si sia occupato in modo continuo e con impegno assoluto di
quel particolare problema noto come Cosa Nostra. E’ il solo in grado di
comprendere e spiegare perché la mafia siciliana costituisca un mondo logico
razionale, funzionale e implacabile. Più logico, più razionale, più implacabile
dello Stato…
Ecco la situazione di questo singolare magistrato: meglio di chiunque altro può
combattere la mafia perché la conosce e la comprende. Ma è poi tanto strano
che un fanatico dello Stato come lui sia affascinato da Cosa Nostra proprio per
quello che rappresenta di razionalità statale?
La mafia sistema di potere, articolazione del potere, metafora del potere,
patologia del potere. La mafia che si fa Stato dove lo Stato è tragicamente
assente. La mafia sistema economico, da sempre implicata in attività illecite
fruttuose e che possono essere sfruttate metodicamente. La mafia
organizzazione criminale che usa e abusa dei tradizionali valori siciliani. La
mafia che, in un mondo dove il concetto di cittadinanza tende a diluirsi mentre
la logica dell’appartenenza tende, lei, a rafforzarsi; dove il cittadino, con i suoi
diritti e i suoi doveri, cede il passo al clan, alla clientela, la mafia, dunque, si
presenta come una organizzazione dal futuro assicurato.
Il contenuto politico delle sue azioni ne fa, senza alcun dubbio, una soluzione
alternativa al sistema democratico. Ma quanti sono coloro che oggi si rendono
conto del pericolo che essa rappresenta per la democrazia?”.
50 Si è dimostrato rigoroso all’estremo nell’esercizio del suo mestiere di
inquirente: senza mai colpire obiettivi vaghi; senza mai imbarcarsi in alcune
iniziative di cui non si fosse assicurato il successo; senza mai entrare in
polemica con un presunto mafioso. Le operazioni “Pizza Connection”, “Iron
Tower” e “Pilgrim”, condotte di concerto con gli inquirenti americani, e poi
quel vero capolavoro che è stato il maxiprocesso del 1986 passeranno alla
storia come esempi del metodo Falcone…”
B. Francesca Barra
“All’Accademia FBI di Quantico, nelle vicinanze di Washington, ci sono due
monumenti: uno è dedicato a Thomas Jefferson, il terzo presidente degli Stati
Uniti d’America, l’altro al giudice italiano Giovanni Falcone. A volerlo, nel
1994, fu Louis Freeh amico e collaboratore di Falcone nelle indagini degli anni
Ottanta su Cosa Nostra e, all’epoca, direttore dell’FBI… Quando
domandarono a Louis Freeh perché mai avesse scelto di erigere la statua di un
italiano nella scuola di polizia americana, rispose: “Falcone è la più alta
rappresentazione della Giustizia e dello Stato… Proprio da oltreoceano
arrivarono i maggiori riconoscimenti del suo lavoro che egli impostò con un
respiro ampio, trasversale, instaurando preziose collaborazioni internazionali,
cosciente com’era di dover affrontare e combattere un fenomeno non
circoscritto, né isolato:…la lotta alla criminalità…
Giovanni Falcone ideò inoltre un preciso metodo per sconfiggere la
mafia…dopo vent’anni, c’è ancora la necessità di parlare del suo lavoro e della
sua vita. Ma anche di ciò che fecero contro di lui. Perché non solo fu ucciso
dalla mafia, ma venne anche tradito da parti deviate dello Stato che lui serviva e
difendeva, in cui lui credeva. Perciò è doveroso ricordare anche l’iniqua e
ormai chiara delegittimazione, il disprezzo e lo spietato isolamento a cui fu
sottoposto in vita.
Giovanni Falcone collezionò molte sconfitte, ma anche successi ineguagliabili,
che però non gli furono riconosciuti pienamente, mediante gratificazioni e
nomine adeguate.
Il magistrato Ilda Bocassini ha detto: “Non c’è stato uomo in Italia che ha
accumulato nella sua vita più sconfitte di Falcone. E’ stato sempre
trombatissimo. Bocciato come consigliere istruttore. Bocciato come
procuratore di Palermo. Bocciato come candidato al Csm, e sarebbe stato
bocciato anche come procuratore nazionale antimafia, se non fosse stato
ucciso… Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più
determinazione e malignità”3.
3 Francesca
Barra, Ricordare Falcone vent’anni dopo. Introduzione a Maria Falcone, Giovanni Falcone.
Un eroe solo, op. cit., pp. 5-12 passim.
51 C. Giuseppe Ayala
“Arrivai alla procura di Palermo nel settembre 1981. Assai prima di quanto
avessi programmato…
Scoppiava, intanto, la cosiddetta “guerra di mafia”…il kalashnikov AK-47
esordì con successo sullo scenario di sangue di una Palermo che sarebbe stata
ricoperta, nel giro di alcuni mesi, dalle centinaia di cadaveri che l’assurdo
conflitto avrebbe preteso…
Era questa la Palermo del 1981. Una città trascinata in una spirale di violenza,
di sangue e di terrore, della quale avvertivo, come molti altri, tutta la
paradossale assurdità… Era la mafia che scendeva in guerra, per regolare i suoi
equilibri interni e per indebolire l’azione dello Stato. E, come in tutte le guerre,
era la morte che la faceva da padrona, ma, al tempo stesso, da riflettore. Perché
illuminava e rendeva visibile una drammatica realtà che i siciliani, me
compreso, erano quasi d’istinto portati a marginalizzare in un ambito
puramente delinquenziale. Senza nessuna voglia di capire che di ben altro si
trattava.
Era questa la “colpevole indifferenza” che Paolo Borsellino rimprovererà
anche a se stesso, quantomeno fino alla soglia dei quarant’anni…
La mafia, da parte sua, rifuggiva ogni forma di clamore, evitava con cura di
mostrarsi, agiva nell’ombra, garantendo copertura a tutti gli esponenti della
burocrazia e degli affari, con i quali se la intendeva alla grande.
La Palermo del 1981 cambiò il quadro… Raccontò Rocco Chinnici che,
durante l’istruttoria del cosiddetto “processo Spatola”, l’allora procuratore
generale Giovanni Pizzillo lo convocò per redarguirlo severamente: “Ma che
credete di fare all’ufficio istruzione? La devi smettere di fare indagini nelle
banche, perché così rovini l’economia siciliana. A quel Falcone caricalo di
processi, così farà quello che deve fare un giudice istruttore. Niente. Hai capito,
Chinnici?” Ordinaria amministrazione, questo era il diktat…
Eppure nel Palazzo qualcosa stava cambiando. Quel processo era destinato a
segnare l’inizio di una nuova stagione…
Visione unitaria e indagini a tutto campo. E tanto, ma tanto lavoro. Il “metodo
Falcone” era nato ed era subito risultato vincente. Era il 1990. Costa per un
verso. Chinnici per l’altro e Falcone, soprattutto, avevano messo in piedi un bel
problema. Per la mafia, sicuramente. Ma non solo…
Giovanni, “neanche aveva cominciato che già aveva combinato un casino”,
come scherzosamente gli dissi in occasione del nostro primo colloquio…
52 Quella mattina ci imbattemmo in Falcone per caso. Presentazione di rito e
primo scambio di battute. Tono rilassato e scherzoso… Eppure, a partire da
quel giorno, la mia vita sarebbe stata un’altra. Ma chi poteva immaginarlo?...
Solo sul finire della serata realizzai che avevo di fronte a me il giudice di cui più
si parlava a Palermo. Lo avevo trovato al primo impatto di una semplicità e di
una ingenuità disarmanti. Supponenza zero. Simpatia mille. Ironia, di più, ma
assolutamente demenziale…
Nel frattempo gli incontri con Falcone erano diventati abituali. La mafia fece
così inesorabilmente ingresso nelle nostre conversazioni. Lui se ne occupava a
tempo pieno e ne sapeva più di chiunque altro. Non era affatto geloso del
bagaglio di conoscenze che aveva accumulato sul fenomeno. Non mi lesinò
mai un’informazione, una riflessione, un’intuizione. Compii, così, anch’io il
mio salto di qualità. Ne discutevamo con cognizione di causa. Fermo restando
che continuavamo a ritenere più appassionante misurarci sul commento
all’ultimo libro letto o al film del momento. Politica, pochissima. Musica quasi
niente. Giovanni era un melomane. Io no. L’uomo non finiva di sorprendermi.
Quando veniva a cena per i miei figli era una festa. Nessuno sapeva
intrattenerli come lui. Paolo aveva dieci anni, Vittoria otto e Carla quattro. Per
ognuno lui aveva l’argomento giusto. La demenzialità delle sue battute li faceva
sbellicare dalle risate…
Ci riunimmo, di lì a poco, per darci un primo abbozzo di organizzazione e
divisione dei compiti, ma emerse subito un problema. Falcone non era amato.
Non si discutevano le sue capacità, almeno a parole, ma “l’iperattivismo
dell’ufficio istruzione, da lui trainato, rischiava seriamente di relegare
nell’ombra il ruolo della procura”. E questo non andava bene. Li guardai negli
occhi, anche perché sapevo che non mi ritenevano estraneo a quel problema,
in quanto portatore di una colpa: essere diventato “troppo amico di Falcone”.
Ma feci finta di niente…affrontai senza peli sulla lingua l’argomento vero:
“Mettiamocelo in testa una volta per tutte. Falcone non ha una marcia in più,
sono almeno due, se non tre. Cercare la competizione con lui vuol dire
consegnarsi alla sconfitta…
Per la prima volta lo vidi assumere quel ruolo di fratello maggiore che non
abbandonerà più…
La nomina di Falcone a direttore generale degli affari penali diede la stura a
non pochi contrasti. Gli fu addirittura addebitato di essersi “venduto ai
socialisti”. Il ministro della giustizia, era, infatti, un dirigente del Psi. Gli eventi,
come sempre, dimostrarono che Giovanni si era già venduto da tempo: non ai
socialisti, bensì al suo enorme senso del dovere, che ne faceva un ineguagliabile
servitore delle istituzioni…
Concepì subito un’importante novità: la Procura nazionale antimafia… La
nascita fu molto travagliata. Si levarono diverse voci critiche. La magistratura,
53 in particolare, era contrarissima. Alcuni magistrati, meritatamente noti per il
loro impegno, sottoscrissero e resero pubblico un documento che la bocciava
senza mezzi termini. La prima firma era quella di Paolo Borsellino..
Il governo decise di tagliare la testa al toro e varò la Super procura addirittura
con un decreto legge. La nomina di Giovanni a guidarla avrebbe dovuto essere
scontata se la scelta fosse stata affidata a criteri legati al merito e alla
competenza. Nessuno, in quella materia, poteva reggere il confronto con lui.
Le cose, invece, andarono in altro modo. La cosiddetta “toga rossa” lo era a tal
punto che i comunisti, da poco diventati Pds, lo osteggiarono apertamente, puntando su un
candidato alternativo. Falcone ci restò male…
Mario Pirani ha paragonato Falcone ad Aureliano Buendia, l’eroe di Cent’anni di
solitudine, che “dette trentadue battaglie, e le perdette tutte”. Nessuno le ha
vinte, però. Le abbiamo perse tutti insieme…
Giovanni mi telefonava spesso. A fine gennaio 1992 appresi proprio da lui che
la Cassazione aveva confermato le condanne del maxiprocesso. “Giuseppe, hai
vinto” fu il suo commento. “Abbiamo vinto” lo corressi. “E io che c’entro? Tu
hai sostenuto l’accusa. A te hanno dato ragione” aggiunse. Non scherzava.
L’uomo era fatto così.
Il 16 marzo, mentre ero in piena campagna elettorale (capolista per il Pri per le
elezioni alla Camera dei Deputati), mi chiamò: “Poco fa hanno ucciso Salvo
Lima. Paolo propone di vederci domani sera da me. Ce la fai?” “Ci sarò”
confermai. Li trovai di pessimo umore… Né io né Falcone spiccicammo una
parola… Borsellino rincarò la dose, rivolto a Giovanni: “Tu sei a Roma,
Giuseppe sarà sicuramente eletto e ti raggiungerà. Resto solo io a Palermo.
Non soffro di solitudine. Ma non mi piace lo stesso”… Fu un fallimento, non
era serata. L’ultima cosa la disse Giovanni: “Stavolta previsioni serie non se ne
possono fare. Può succedere la qualunque!”. Non significava niente, ma
spiegava tutto.
Non ci perdemmo di vista. Vollero addirittura partecipare a una
manifestazione elettorale in mio favore. La foto simbolo che li ritrae sorridenti
l’uno accanto all’altro fu scattata proprio in quell’occasione. Conquistai il mio
seggio alla Camera e tornai a Roma. Falcone mi accolse con entusiasmo… Il 14
maggio cenammo insieme alla Carbonara di Campo dei Fiori. Una serata
vivace. L’argomento principale fu Tangentopoli, da poco venuto alla ribalta…
Lo rividi a Palermo nella tarda serata del 23 maggio in una “camera” fredda e
molto spoglia. Eravamo soli ma non parlammo. Lui dormiva. Un sonno senza
risveglio.
Ai primi di luglio mi telefonò da Firenze Nino Caponnetto pregandomi di
andare a trovare Borsellino, che aveva sentito e gli era sembrato molto giù di
corda.
54 Volai a Palermo prima possibile e lo raggiunsi in ufficio. Parlammo a lungo. A
un certo punto mi disse una frase che feci finta di non capire: “Giuseppe, non
posso lavorare meno. Mi resta poco tempo”.
Rividi anche lui, nel pomeriggio del 19 luglio, davanti alla casa di sua madre.
Ma non lo riconobbi. Ne era rimasto ben poco.
Ha detto Agnese Borsellino: “Paolo cominciò a morire quando morì Giovanni,
come due canarini che difficilmente sopravvivono a lungo l’uno alla morte
dell’altro”.
Pare che un giorno ci ritroveremo ancora. Senza fretta, però. Loro ne hanno
avuta troppa. Senza volerlo. E così sia”4.
D. Giovanni Falcone
Giovanni Falcone è stato chiarissimo a proposito dei rapporti tra mafia e
politica. Ha scritto nel suo libro:
“La mafia tuttavia non si impegna volentieri nell’attività politica. I problemi
politici non la interessano più di tanto finché non si sente direttamente
minacciata nel suo potere o nelle sue fonti di guadagno. Le basta fare eleggere
amministratori e politici “amici” e a volte addirittura dei membri
dell’organizzazione. E ciò sia per orientare il flusso della spesa pubblica, sia
perché vengano votate leggi idonee a favorire le sue opportunità di guadagno e
ne vengano invece bocciate altre che potrebbero esercitare ripercussioni
nefaste sul suo giro d’affari. La presenza di amministrazioni comunali docili,
poi, vale ad evitare un possibile freno alla sua espansione dovuto o al rifiuto di
concessioni edilizie o a controlli troppo approfonditi degli appalti o dei
subappalti…
E’ evidente che è la mafia ad imporre le sue condizioni ai politici, e non viceversa. Essa
infatti non prova, per definizione, alcuna sensibilità per un tipo di attività,
quella politica, che è finalizzata alla cura di interessi generali. Ciò che importa a
Cosa Nostra è la propria sopravvivenza e niente altro. Essa non ha mai
pensato di prendere o di gestire il potere. Non è il suo mestiere.
A proposito del dirottamento di voti nella consultazione elettorale del 1987,
Francesco Marino Mannoia ci ha detto: “E’ stato provocato da Cosa Nostra
per lanciare un avvertimento alla Democrazia cristiana, responsabile di non
aver saputo bloccare le inchieste antimafia dei magistrati di Palermo”. I suffragi
sottratti alla Democrazia Cristiana non sono passati automaticamente ad un
altro partito, ma sono confluiti verso quei partiti che avevano assunto una
posizione fortemente critica nei confronti della magistratura: il Partito Socialista e
il Partito Radicale…
Non bisogna tuttavia credere che Cosa Nostra non sappia, in caso di bisogno,
fare politica. L’ha fatto alla sua maniera, violenta e spiccia, assassinando gli
4
G. Ayala, op. cit., pp. 10-28 passim; pp. 40-41; 46; 192-196, passim.
55 uomini che le davano fastidio, come Piersanti Mattarella, presidente della
Regione Sicilia, e democristiano, nel 1980; Pio La Torre, deputato comunista,
principale autore della legge che porta il suo nome, nel 1982; e Michele Reina,
segretario provinciale della Democrazia cristiana nel 1979. Questi crimini
eccellenti, su cui finora non si è riusciti a fare interamente luce, hanno
alimentato l’idea del “terzo livello”, intendendosi con ciò che al di sopra di
Cosa Nostra esisterebbe una rete, ove si anniderebbero i veri responsabili degli
omicidi, una sorta di supercomitato, costituito da uomini politici, da massoni,
da banchieri, da alti burocrati dello Stato, da capitani di industria, che
impartirebbe ordini alla Cupola.
Questa suggestiva ipotesi che vede una struttura come Cosa Nostra agli ordini
di un centro direzionale sottratto al suo controllo è del tutto irreale e rivela una
profonda ignoranza dei rapporti tra mafia e politica.
Considero poi che la ricchezza crescente di Cosa Nostra le dà un potere
accresciuto, che l’organizzazione cerca di usare per bloccare le indagini. Mi
sembra infine che le connessioni fra una politica “affarista” e una criminalità
mafiosa sempre più implicata nell’economia, rendono ancora più inestricabili le
indagini. Con questo risultato finale: lo sviluppo di un sistema di potere che si
fonda e si alimenta in Sicilia sulle connivenze e sulle complicità mafiose e che
costituisce un ostacolo in più per delle indagini serene ed efficienti.
Credo che Cosa Nostra sia coinvolta in tutti gli avvenimenti importanti della
vita siciliana, a cominciare dallo sbarco alleato in Sicilia durante la seconda
guerra mondiale e dalla nomina di sindaci mafiosi dopo la Liberazione. Non
pretendo di avventurarmi in analisi politiche, ma non mi si vorrà far credere
che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa Nostra – per un’evidente
convergenza di interessi – nel tentativo di condizionare la nostra democrazia,
ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi.
Parlando di mafia con uomini politici siciliani, mi sono più volte meravigliato
della loro ignoranza in materia.
Niente è ritenuto innocente in Sicilia, né far visita al direttore di una banca per
chiedere un prestito perfettamente legittimo, né un alterco tra deputati né un
contrasto ideologico all’interno di un partito. Accade quindi che alcuni politici
a un certo momento si trovino isolati nel loro stesso contesto. Essi allora
diventano vulnerabili e si trasformano inconsapevolmente in vittime potenziali.
Al di là delle specifiche cause della loro eliminazione, credo sia incontestabile
che Mattarella, Reina, La Torre erano rimasti isolati a causa delle battaglie
politiche in cui erano impegnati. Il condizionamento dell’ambiente siciliano,
l’atmosfera globale hanno grande rilevanza nei delitti politici: certe
dichiarazioni, certi comportamenti valgono a individuare la futura vittima senza
che la stessa se ne renda nemmeno conto.
56 Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo
grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché
si è privi di sostegno.
In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a
proteggere”5.
E. Riscontri di ricerca
Il lettore che ha letto gli estratti delle quattro testimonianze che abbiamo
riportato, avrà senz’altro compreso che ciò che emerge è quasi l’esatto
contrario di quanto capita abitualmente di sentire e di leggere sui media italiani
e stranieri a proposito della mafia. Le abbiamo volute riportare, perché esse ci
hanno aiutato a “leggere” ed interpretare i due film-tv: sia quello sui 57 terribili
giorni di Paolo Borsellino sia quello sull’ignobile delitto di Via Poma.
Questo capitolo è stato scritto da un sociologo, di formazione storicofilosofica e psicoanalitica, la cui biografia ha molti punti – si parva licet componere
magnis - in comune con quella di Giovanni Falcone, anche se non è stato un
magistrato e non ha dovuto combattere contro Cosa Nostra. Tanto da
condividere quasi del tutto il punto di vista di Falcone su Cosa Nostra e sulla
criminalità mafiosa, sui modi per combatterla, contenerla e vincerla. Si tratta di
un punto di vista che ha radici profonde nella storia lunga della civiltà italiana e
di altre civiltà europee e del Mediterraneo caratterizzate da quelle matrici ibride
che si sono formate attraverso secoli di incontri e di scontri tra culture diverse
dell’Oriente e dell’Occidente. Si tratta di popoli che, pur coltivando le loro
specifiche tradizioni, condividevano un approccio alla vita di tipo religioso:
generato sia dalla virtù sia dalla conoscenza e aperto sia al sentimento della
cittadinanza comunitaria sia al sentimento della divinità che collega i tempi
passati ai tempi futuri; oltrepassando tutti i tipi di frontiere. Le analogie e le
somiglianze tra i popoli dell’antichità erano molto maggiori di quanto oggi si
tende a pensare.
Cresciuto da bambino, fino ai dieci anni, a contatto con le culture dei paesi e
delle campagne umbre e toscane, chi scrive ha imparato a coltivare la mente
osservando chi sapeva coltivare la terra e attraverso quel tipo di sapere riusciva
a comunicare anche con il diverso e il lontano senza farsi intimidire più di
tanto dalle barriere spazio-temporali.
E proprio perché aveva imparato a coltivare la terra sapeva, più facilmente di
altri, destreggiarsi tra le diverse culture e religioni delle quali erano portatori gli
adulti e i suoi genitori e ad amare i viaggi: sia quelli relativamente brevi che
aveva imparato a fare a piedi sui sentieri allora battuti attraversando boschi,
greppi e campi sia quelli da fare su una bicicletta di derivazione bartaliana.
5 G. Falcone, op. cit., pp. 165-170, passim.
57 Avrebbe voluto fare l’agricoltore, sulle orme del padre. Ma la guerra civile, il
progresso tecnico e la seconda rivoluzione industriale misero in crisi quel
mondo che aveva imparato a conoscere e ad amare. Si volse allora verso la
religione: otto anni con i Barnabiti. Per fare il ginnasio e il classico, ma anche
per servire Messa, essere attivo con l’Azione Cattolica e la San Vincenzo.
Durante quel percorso, allietato anche dai viaggi, maturò il distacco sia dalla
famiglia sia dalla vocazione sacerdotale sostituita dal desiderio, maturato negli
stessi anni in Giovanni Falcone, di andare per mare: facendo domanda per
l’Accademia Navale di Livorno. Il padre di Falcone non voleva e iscrisse
Giovanni, senza dirgli nulla, a Giurisprudenza! Anche lo scrivente si trovò di
fronte al no del padre e a un altro ostacolo imprevisto: all’esame di maturità
subì l’onta di essere rinviato a ottobre in Filosofia, materia nella quale aveva
sempre avuto ottimi voti. L’onta gli venne inferta da un commissario comunista
che ritenne “scandaloso” il suo tema di italiano su Cavour e “vergognosa” la
sua ignoranza di Marx. Non poté presentarsi all’esame di ammissione
all’Accademia Navale. Riparò a ottobre in Filosofia e si iscrisse ad Agraria. Ma
quell’insieme di eventi lo sbalestrarono e, da vero sbandato, a fine maggio
mollò Agraria e andò a iscriversi a Scienze Politiche deciso a cominciare,
all’alba dei suoi 19 anni, una nuova vita. Aveva perso un anno, subìto una
sconfitta, rotto con il padre tanto amato, con la tradizione di famiglia e con le
pratiche religiose. Si imbarcò verso l’ignoto volendo dimostrare a se stesso e al
mondo che ce l’avrebbe fatta da solo: “senza padri né maestri”.
Accadde così che dall’età di vent’anni in poi iniziò una vita intensa di studio,
scrittura, attivismo politico-culturale, giornalismo, viaggi. Due sono stati i temi
che l’hanno coinvolto e interessato: la politica e il giornalismo. La criminalità
mafiosa li attraversava entrambi tanto che nel 1962, organizzò l’annuale viaggio
di Facoltà per portare gli studenti in Sicilia e in Sardegna. In Sicilia organizzò
una serie di incontri per cercare di capire la mafia. Memorabile fu quello con
Danilo Dolci a Partinico. In Sardegna organizzò un incontro con un celebre
giurista che aveva pubblicato un libro memorabile La vendetta barbaricina come
ordinamento giuridico (che non aveva nulla a che vedere con la mafia ma faceva
capire un’altra cultura altrettanto interessante connessa con la criminalità).
Ciò che gli era accaduto tra i 18 e i 20 anni fu una specie di rottura epistemologica
inconsapevole provocata da imprevisti eventi esterni: la guerra e il dopoguerra,
la discesa sociale della famiglia, il viaggio transoceanico in America e in
Canada, il Collegio, la ritirata dal paese e la perdita del palazzo avito, la ritirata
dalla campagna e la perdita della Villa, l’intensa esperienza religiosa, l’apertura
allo sport e ai viaggi, l’incontro con i classici, la filosofia e la storia…
Tutti quegli eventi motivarono e attrezzarono la mente e la sensibilità di chi
scrive a “stare di vedetta” e cioè ad attivare la curiosità per tutto ciò che “si
muoveva” nel mondo – sia quello lontano sia quello vicino – coltivando –
58 attraverso la psicanalisi e la sociologia, i viaggi e la lettura, l’attivismo
associativo e politico – l’ascolto e lo sguardo. In altre parole lo scrivente
divenne a poco a poco un ricercatore, un parlatore e uno scrittore. Tutte
attività che lo portarono ad esercitare professionalmente sia il giornalismo sia
l’insegnamento nei campi della sociologia della comunicazione e dei cultural
studies. Tra le prime cose che imparò ci furono proprio quelle che sono state al
centro delle capacità investigative di Giovanni Falcone. Innanzitutto: che non
si nasce imparati, che si deve stare sempre “sul pezzo” e cioè concentrati nelle
attività principali che dovrebbero caratterizzare la vita umana e in particolare
quelle del cittadino: osservare e ascoltare. Tali attività sono centrali in alcune
professioni come quelle del magistrato, del giornalista e del sociologo. Chi
scrive arrivò abbastanza presto – frequentando a Firenze e a Milano, a Roma e
a Napoli, a Bari e a Palermo, magistrati, giornalisti e politici – a capire che
osservare e ascoltare erano attività non solo poco praticate, ma addirittura
sottovalutate. La maggior parte degli interlocutori che gli capitava di incontrare
e frequentare erano soprattutto orientati a imporsi, a fare esercizi di volizione.
Sottovalutando sistematicamente la conoscenza. Come se il mondo fosse quasi
immobile, e non come allo scrivente si era ben presto rappresentato, cioè in
movimento sempre più rapido e sempre più imprevedibile.
E’ così accaduto che quando chi scrive è entrato in contatto più stretto con le
attività mafiose, con Giovanni Falcone e con il pool antimafia, prima attraverso
il lavoro del sociologo calabrese Pino Arlacchi, poi leggendo Cose di Cosa
Nostra: frequentando intensamente il Mezzogiorno d’Italia e facendo ricerca, ha
scoperto una vera e propria identità di vedute con il “metodo Falcone”.
Già era capitato – nel contesto di ricerche sul campo connesse al terrorismo
delle BR e alla camorra napoletana – di scoprire che le gravissime deformazioni
della realtà provenienti dalla politica, dall’intellettualità e dal giornalismo erano
prodotte dall’intreccio perverso tra ideologie politiche e ignoranza. In entrambi
i casi si sottovalutavano sistematicamente gli avversari dello Stato, della
democrazia e della comunità nazionale. Si tendeva a ignorare, coprendo
ideologicamente o colludendo, i veri protagonisti (la loro consistenza, i loro
profili socio-culturali, la loro pericolosità).
Per esempio, chi scrive aveva già scoperto, nei primi anni Ottanta, che sia a
Napoli sia a Palermo – le due città che registravano i più alti tassi di evasione
dall’obbligo scolastico da parte dei bambini maschi nei centri storici di
entrambi le città – si era diffusa la tesi ufficiale che ciò accadeva a causa
dell’ignoranza delle famiglie. Ricerche ben mirate scoprirono in entrambi i casi
che i figli maschi che evadevano dall’obbligo scolastico appartenevano a
famiglie che preferivano “iscrivere” i loro figli più svegli e promettenti alla
“scuole” della camorra e della mafia che erano meglio attrezzate per preparare i
giovani a un destino professionale ambizioso e di successo.
59 2. Misteri italiani e fiction civile
Che cosa sono “i misteri italiani?” Che cosa si intende per “fiction civile”, una
espressione raramente utilizzata? Dal punto di vista di chi scrive misteri italiani
vengono chiamati tutti quei “problemi” che non si ha voglia di affrontare e di
risolvere perché sono conseguenza, per lo più voluta, di scelte imprenditoriali o
politiche “sbagliate”. Le cause di tali sbagli possono essere tra loro molto
diverse. Spesso sono frutto di pigrizia e ignoranza, di pessimo uso delle risorse,
di scarsa voglia di lavorare. Altre volte sono conseguenze di imbrogli veri e
propri eseguiti di proposito per avvantaggiare alcuni e danneggiare altri.
E’ vero, tuttavia, secondo l’esperienza di ricerca e di vita di chi scrive, che
alcuni dei più fitti – e gravidi di conseguenze negative – misteri italiani sono
frutto di una particolare forma di ignoranza che è stata ed è tuttora tipica di chi
si è rifiutato di ammettere o riconoscere esplicitamente che il mondo umano
che si è venuto a costituire nel corso del XIX secolo è un mondo complesso
che richiede, per essere capito e governato, elevate qualità che già gli Antichi
avevano saputo individuare quando le cose del mondo erano molto meno
complicate di adesso. Si allude a quelle doti, sintetizzate già da Dante in “virtù”
e “conoscenza”, che poco sopra abbiamo messo al centro del metodo Falcone.
Ci sono stati nella storia italiana del Novecento alcuni bienni che chi scrive ha
denominato “fatali” durante i quali si sono compiute scelte strategiche di tipo
politico e culturale che hanno provocato danni incalcolabili all’Italia e alla sua
gente.
Tanto per fare degli esempi si possono citare i seguenti bienni fatali,
caratterizzati tutti da forme di “guerra civile”, quasi sempre mascherate
ideologicamente, per ignoranza o prepotenza da parte di coloro che volevano
essere considerati i vincitori. Senza parere.
Il biennio 1910-1912, per esempio, diede inizio a una “guerra di Libia” che
durerà vent’anni e a una “guerra ideologica” tra riformisti e rivoluzionari che si
protrarrà fino ai giorni nostri in altri bienni. Come, per esempio, quello 191920; quello 1943-45 (l’unico che, sia pure flebilmente, porta pure il nome di
“guerra civile”); quello 1947-48 (che porta alla nascita di una Costituzione che,
per la sua astrattezza e complessità lungi dall’essere “la più bella del mondo” è
all’origine di molti dei nostri guai)6.
Uno di questi bienni fatali – strettamente associato ai 2 film-tv di cui ci stiamo
qui occupando – è il biennio 1992-93. Il quale biennio non solo è associato alle
due stragi che hanno portato al sacrificio di Falcone e Borsellino ma anche
Il tema è stato sfiorato in vario modo nei primi quattro incontri di “Confronto Italiano”
(1994-1997) svoltisi a Cetona e i cui Atti sono stati curati da G. Bechelloni e U. Cerroni (e
pubblicati dalla Regione Toscana). I temi trattati sono stati: 1. L’identità civile degli italiani; 2.
Gli italiani e le istituzioni; 3. La cultura politica degli italiani; 4. Gli italiani e la Costituzione.
6
60 all’affossamento del regime repubblicano nato nel 19467 . E l’ultimo di tali
bienni fatali è proprio quello 2011-12 nel quale si pone fine al cosiddetto
regime berlusconiano, che tale non è stato del tutto. Perché questo, come tutti
gli altri bienni nominati, è stato anch’esso caratterizzato da una forma “postmoderna” di guerra civile. Una guerra civile che non viene quasi mai nominata
come tale ma si può “leggere” osservando molte forme tipicamente italiane del
post-moderno, “leggendo” attentamente tutti i media (dai giornali alle tv e ai
cosiddetti social media), una vasta molteplicità di luoghi di lavoro, le scuole e le
università, le strade e le piazze…
La Fiction civile, invece, è costituita da quell’insieme di film cinematografici
(per fare un esempio lo sono stati tutti quelli fatti da Sergio Leone e,
specialmente, il suo ultimo quale C’era una volta in America che più di ogni altro
fa capire come nasce e come si riproduce “Cosa Nostra” oppure la criminalità
mafiosa in generale, quella che produce “il denaro sporco” senza del quale le
moderne economie capitalistiche hanno difficoltà a funzionare “come si
dovrebbe”), di serie televisive e di film-tv che sono capaci di comunicare “il
senso delle cose del mondo”, in modo che un numero crescente di persone sia
messo in condizione di comprendere cosa è necessario fare e conoscere per
essere cittadini competenti, virtuosi e responsabili. Consapevoli che senza
cittadini siffatti non solo una democrazia non può funzionare bene, ma,
addirittura, non può esistere.
3. Per la prima volta due film-tv come programmi dell’anno
Il film-tv classico di una sola puntata è un genere poco coltivato dalla
televisione italiana. Ci troviamo quindi di fronte a una duplice novità:
- sia la scelta produttiva, forse inconsapevole, di scegliere un formato
televisivo poco abituale da mettere in onda il martedì, cioè in una serata
che, a differenza di quelle della domenica e del lunedì, non è “abituata”
a registrare i grandi ascolti;
- sia la scelta di un film-tv dedicato non solo a un tema scottante ma ad
un tema scottante trattato dalla sceneggiatura e dalla regia in modo da
consentire – ad una visione e ad un ascolto attenti – una “lettura”
critica e non banale di problemi irrisolti della società italiana, spesso
avvolti da una fitta coltre di misteri.
Come è stato già accennato poco sopra sia Rai sia Mediaset hanno compiuto
scelte di metodo che, a vent’anni e più dai fatti raccontati, costituiscono un
omaggio a una delle menti più lucide della magistratura italiana e fanno onore a
chi le ha compiute.
7 Sul punto si vedano le illuminanti analisi e testimonianze raccolte in G. Acquaviva e L.
Covatta (2012), Il crollo. Il PSI nella crisi della prima Repubblica, Marsilio
61 Ne Il delitto di Via Poma troviamo l’asso della manica in una scelta narrativa
“geniale”: quella di inventarsi un protagonista che nella realtà della storia non
era esistito. L’ispettore Niccolò Montella diventa, infatti, il vero protagonista
della storia, fa la parte puntigliosa e competente non solo di quello che non
molla, pur venendo redarguito, preso in giro e umiliato dai “superiori” che si
approfittano della sua “bontà” e del suo senso di responsabilità per trattarlo a
pesci in faccia. Ne più né meno di come è accaduto nella realtà della vita al
“grande Giovanni Falcone”, che non dimenticava mai di essere un magistrato e
un servitore dello Stato. Montella cerca di andare fino in fondo nelle indagini,
prende sul serio la sua professione. Così facendo, lo stile “canagliesco” del
Commissario e di tutti gli altri personaggi, compreso il Questore, toccati più o
meno tangenzialmente dalle indagini fanno la figura di essere “cialtroni” e
“sfaticati” (il delitto di Via Poma è stato compiuto d’agosto, in tempo di ferie,
non può essere preso sul serio!). Oppure, lo spettatore – se è osservatore e
ascoltatore attento – può essere indotto a pensare “gatta ci cova”: qualche
prepotente l’ha fatta sporca e non vuole “pagare pegno”…
Il film-tv su Via Poma non è, come distrattamente ha scritto qualche giornale,
“una copia della cronaca” bensì una “fiction civile” che contribuisce a costruire
la verità dei fatti criticando la realtà, così come era stata costruita da indagini di
polizia e magistratura superficiali o corrotte.
Anche se l’audience e la critica non hanno premiato il film-tv come avrebbe
meritato, noi abbiamo pensato di segnalarlo soprattutto per mettere in luce
l’originalità della sfida raccolta. Una sfida lanciata da un regista-sceneggiatore e
da un attore che già avevano molto dato al cinema e alla televisione italiani.
Nel Paolo Borsellino – I 57 giorni ci troviamo di fronte a un film-tv che ha saputo
imboccare – su un tema molto controverso e tra i più battuti dalla televisione
italiana – una strada nuova, facendoci incontrare i risvolti inediti di un
personaggio molto popolare e, per certi aspetti, più conosciuto dello stesso
Falcone e dei due prototipi dei tanti combattenti italiani della mafia:
l’indimenticabile Commissario Cattani (La Piovra) e il popolarissimo
Montalbano.
Contrariamente a quello cha ha scritto un illustre critico, il Paolo Borsellino di
questo film-tv non è né un “santino” né un “eroe” nel senso tradizionale del
termine. Il Paolo Borsellino, impersonato magistralmente da Luca Zingaretti, è
un uomo sofferente, non solo sconvolto dalla tragica “bestiale e lacerante”
morte dell’amico più caro, del “fratello maggiore” che viene “messo a morte”
proprio nel momento in cui sembrava, finalmente, prossimo ad ottenere quel
giusto riconoscimento – come la nomina a Procuratore Nazionale Antimafia –
che invano aveva da tempo atteso, sperato e meritato... Non solo sconvolto,
dunque, ma anche umiliato e sconfitto perché impedito dai superiori:
impossibilitato a lavorare, come avrebbe voluto, alle indagini per scoprire perché
62 era stata decisa quella morte oscena, lacerante e spaventevole, dell’uomo che,
più di ogni altro in Italia e nel mondo, aveva lavorato, con piena coscienza di
causa e con grande competenza, a combattere “Cosa Nostra”.
Il film-tv fa comprendere – allo spettatore attento e sensibile – fino a che
punto può arrivare la cattiveria umana non tanto dei “cattivi”, bensì dei
cosiddetti “buoni” e cioè di quelli che hanno il dovere di battersi per la legge e
la giustizia, di raccontare la verità dei fatti, di rappresentare e difendere i
cittadini.
Nel film-tv su Borsellino si può anche apprezzare l’ironia che si cela dietro le
numerose immagini che ci mostrano Borsellino in compagnia di un giovane
Antonio Ingroia, accattivante e sorridente, che si spaccia oggi – a “babbo
morto” – per un “allievo” di Borsellino: pur sostenendo “a spada tratta” tesi e
ipotesi su “Cosa Nostra” e sulla “mafia” che sono esattamente al polo opposto di
quelle fermamente sostenute da Giovanni Falcone e dallo stesso Borsellino.
3.1. I valori produttivi
I valori produttivi di entrambi i film-tv sono “di qualità”. Come il lettore che ci
ha seguito fin qui avrà intuito.
In Paolo Borsellino – I 57 giorni eccellono due grandi italiani. Innanzitutto, Ennio
Morricone che riesce con la sua musica a far entrare lo spettatore in sintonia
con i pensieri, il dolore e le angosce, il senso di impotenza e di rabbia, di un
uomo messo a terra proprio da coloro che dovrebbero metterlo in condizione
di continuare a vincere le battaglie di un amico con il quale aveva condiviso
una vita in prima linea. E poi l’attore protagonista, Luca Zingaretti che entra
dentro quel personaggio amletico, lacerato e dolcissimo, che è il Borsellino che
si prepara alla morte: facendo i conti con se stesso e con Dio, con la famiglia
amatissima, ma non con il mondo. Un mondo che non aveva amato fino in
fondo perché l’aveva percepito ostile, lontano dalla sua sensibilità. Quando
Falcone era vivo e sembrava vincente, Paolo Borsellino si era illuminato alla
grande. Lo si può apprezzare, almeno una volta, in una foto con Giovanni
Falcone: entrambi sorridenti a un incontro a Roma a sostegno dell’amico e
sodale Giuseppe Ayala.
La sceneggiatura di Francesco Scardamaglia, anche lui un maestro che non ha
potuto vedere l’esito sullo schermo del suo lavoro, riesce a guidare la
narrazione in modo che lo spettatore possa sentirsi testimone consapevole di
una storia eccezionalmente drammatica: una grande lezione di vita.
La regia, come sempre accorta e professionale, di Alberto Negrin riesce a
gestire bene i contrasti tra i due mondi frequentati da Borsellino negli ultimi
tremendi giorni della sua vita: quello caldo, gioioso e accogliente della famiglia
e quello ostile, freddo e repulsivo del Palazzo di Giustizia.
63 Ne Il delitto di Via Poma i due “grandi” che eccellono sono il regista e cosceneggiatore Roberto Faenza e l’attore protagonista Silvio Orlando che
interpreta l’ispettore Niccolò Montella. Entrambi mettono in scena sia la
violenza e l’ignoranza degli uomini che rappresentano le istituzioni giudiziarie
sia l’Italia cialtrona animata dalle cricche e dalle clientele chiuse negli egoismi di
ceto e incapaci non solo di fare giustizia ma neanche di “salvare la faccia”.
Sicure, come dimostrano di essere, che la passeranno liscia.
3.2. La critica
La critica televisiva, soprattutto quando non si attivano eventi finalizzati a
mobilitarla, è, ormai da qualche tempo, abbastanza contenuta dal punto di vista
quantitativo (6 pezzi per “Via Poma” e 12 per “Borsellino”). Sul piano
qualitativo prevalgono “i pezzi” – sia lunghi sia brevi – che, anche nei casi in
cui sono stati scritti da critici televisivi, sembrano scritti da chi non ha visto e
ascoltato con attenzione. Da segnalare, tuttavia, che ci sono anche alcune prese
di posizione perspicue e positive che supportano, almeno in parte, anche il
punto di vista che si è cercato di argomentare in questo capitolo.
Per esempio per “Via Poma”, il critico Aldo Grasso sviluppa nella sua rubrica
quotidiana (“Corriere della Sera”, 7 dicembre 2011) un ragionamento molto
importante: “…la fiction rispetto al talk si prende alcune responsabilità formali
(dove l’estetica si tramuta necessariamente in etica). Il delitto di Via Poma cerca
di mettere un po’ di ordine nel disordine del flusso televisivo: il suo strumento
è la scrittura, il suo scopo è di ristabilire, almeno nel piano formale, la gerarchia
del punto di vista (nei talk si può dire tutto e il contrario di tutto)”.
Cinzia Romani su “il Giornale” (30 novembre) scrive: “Va da sé che girare
questo “instant movie” dal sapore di cinema civile non è stato uno scherzo per
la Taodue di Pietro Valsecchi”.
Elena Martelli su “il Venerdì di Repubblica” del 18 novembre scrive che
“Antonio Manzini per scrivere la sceneggiatura ha letto tutti i libri scritti sul
caso, studiato le carte processuali e sentito gli avvocati di ogni parte… lo
definisce un noir tipico: ‘Mettiamo in scena tutte le incongruenze di questa
indagine facendo nomi e cognomi’ spiega.
Marco Castelli, su “La Provincia” del 6 dicembre, riporta un’intervista
all’interprete principale, Silvio Orlando, il quale dichiara: “Siamo orgogliosi
della diffida e delle polemiche che hanno riguardato solo la nostra fiction e non
i talk show che si sono occupati ampiamente del caso in questi anni: significa
che il racconto televisivo e il talento di un attore fanno paura, perché arrivano
direttamente al cuore del pubblico”.
Per Paolo Borsellino, Antonio Dipollina su “La Repubblica” del 24 maggio
con il titolo “I rischi di un’opera a fin di bene” si limita a scrivere: “E’ un coro
quello degli apologeti di Paolo Borsellino – I 57 giorni, il film-tv di Rai Uno con
64 Luca Zingaretti… Di operazione fondamentale parlano tutti per il film diretto
da Alberto Negrin e girato come una sorta di instant-movie…”
Positivi o molto positivi i commenti su: “La Stampa” (24 maggio) dove
Alessandra Comazzi scrive che “l’efficacia della sceneggiatura è stata sostenuta
dall’interpretazione: prima di tutto di Luca Zingaretti…ma poi di tutti gli
attori”; e su “Avvenire” (24 maggio) dove Mirella Poggialini scrive: “Così il
cinema, la fiction diventano testimonianza e ricordo, omaggio e insegnamento,
al di là dei conti dell’auditel, della forza trascinante di una emozione
ampiamente condivisa”.
Stefania Carini, invece, su “Europa” (24 maggio) scrive: “spiace assistere a
un’agiografia che al di là della passione di Zingaretti non riesce a emozionare…
Non c’è scansione drammaturgica, ma piatta sequenza a tappe forzate”.
Infine Donatella Cuomo su “Gazzetta del Sud” (24 maggio) scrive: “il difetto
maggiore di questa fiction è la paradossale mancanza di coraggio nel raccontare
la storia di un uomo che di coraggio ne aveva da vendere…”
*
*
*
Molto altro si potrebbe dire e scrivere. Intanto che la scelta di investire sul
film-tv è stata una scelta coraggiosa che ha dato ottimi risultati. Se si fosse
investito in promozione o si fosse decisa una collocazione più favorevole –
domenica o lunedì – forse anche la critica se ne sarebbe accorta e l’audience
avrebbe potuto toccare le punte di antan. In ogni caso, entrambi i film-tv
dimostrano che la fiction può svolgere una funzione critica, culturale e civile di
altissima qualità…
65 4. Riferimenti bibliografici
AA.VV. (2012), Due anni di stragi. Vent’anni di trattative (19 luglio 1992 -19 luglio
2012), Editoriale il Fatto
AA.VV. (2012), Falcone e Borsellino 1992-2012. Il coraggio e l’esempio, vol. I Le
parole – vol. II Le immagini, RCS Mediagroup
AA.VV: (2009), Le mafie, i giornalisti, “Problemi dell’informazione”, n. 1/2, pp.
5-229
Arlacchi P. (2010), Gli uomini del disonore, il Saggiatore
Arlacchi P. (2009), L’inganno e la paura, il Saggiatore
Arlacchi P. (2007), La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno, il
Saggiatore
Ayala G. (2008), Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino,
Mondadori
Bakewell S. (2010), How to Live or A Life of Montaigne, Random House
Bechelloni G. (2012), Comunicazione strategica e strategie comunicative: le cose del
mondo tra ignoranza e avidità in L. Bozzo (ed.) Studi di strategia, Egea, pp.
227-244
Bechelloni G. (2011), Tra l’incudine dei giornali mediatizzati e il martello della
criminalità mafiosa in G.B. Il sorriso etrusco. Ipotesi sociologiche sulla diaspora
italica e sulla storia lunga degli italiani, Ipermedium Libri, pp. 81-99
Bechelloni G. (2010), I nostri eroi. La funzione bardica della televisione, Liguori
Editore
Bechelloni G. (2010), Una miniera inesauribile. Menzogne e verità nel giornalismo
mediatizzato dell’Italia berlusconiana, in “Problemi dell’Informazione”, n.
1/2, pp. 63-89
Bechelloni G. (2009), La comunicazione giornalistica. Una centralità poco percepita, Le
Lettere
Bechelloni G. (2005), Mafia e media in G.B., Televisione come cultura. I media italiani
tra identità e mercato, Liguori, pp. 123-132
Bechelloni G. (2005), Lo malo paese in G.B., Giornalismo o postgiornalismo? Studi per
pensare il modello italiano, Liguori, pp. 175-188
Bechelloni G. (1993), L’eterno presente dello schermo: la tragedia e la commedia della
vita, in G.B. e M. Buonanno, Televisione e valori. Un approccio sociologico,
Quaderni della Fondazione Olivetti, n. 37
Bolzoni A. (2012), Uomini soli. Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa. Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino, Melampo
Buonanno M. (20121), The Political Career of a Popular Fiction: La Piovra (The
Octopus: The Power of the Media) in M.B., Italian TV Drama and Beyond.
Stories from the Soil/Stories from the Sea, Intellect, pp. 49-87
66 Buonanno M. (20122), In the Footsteps of La Piovra: Twenty Years of Mafia Stories in
Italian Tv Drama in ibidem, pp. 139-164
Buonanno M. (20123), “La Piovra”. La risposta italiana a Dallas in M.B., La fiction
italiana, Laterza, pp. 64-79
Buonanno M. (20124), Storie di mafia tra cronaca e immaginario in ibidem, pp. 117134
Buonanno M. (2010), La mafia in Tv. Da “La piovra” a “L’ultimo padrino”.
Vent’anni di storie di mafia nella fiction italiana, in “Problemi
dell’informazione”, n. 3, pp. 289-311
Buonanno M. (1996), La piovra. La carriera politica di una fiction popolare, costa e
nolan
Caruso A. (2010), Milano ordina: UCCIDETE Borsellino. L’estate che cambiò la
nostra vita, Longanesi
Cazzullo A. (2012), L’Italia s’è ridesta, Mondadori
Ciancimino M. e La Licata F. (2010), Don Vito. Le relazioni segrete tra Stato e mafia
nel racconto di un testimone d’eccezione, Feltrinelli
Contrada B. (2012), La mia prigione. Storia vera di un poliziotto a Palermo,
Marsilio
Deaglio E. (2010), Il raccolto rosso 1982-2010. Cronaca di una guerra di mafia e delle
sue tristissime conseguenze, il Saggiatore
De Saint-Victor J. (2008), Mafia. L’industria della paura, Nuovi Mondi
Diamond J. (2011), Collapse. How Societies Choose to Fail Or Survivem Penguin
Books
Dickie J. (2007), Cosa nostra. Storia della mafia siciliana, Laterza
Dino A. (2011), Gli ultimi padrini. Indagine sul governo di Cosa Nostra, Laterza
Falcone M. con Barra F. (2012), Giovanni Falcone. Un eroe solo. Il tuo lavoro, il
nostro presente, i tuoi sogni, il nostro futuro, Rizzoli
Falcone G. in collaborazione con M. Padovani (2009), Cose di Cosa Nostra,
Rizzoli
Feo F. (2011), Matteo Messina Denaro. La mafia del camaleonte, Rubbettino
Follain I. (2012), I 57 giorni che hanno sconvolto l’Italia. Perché Falcone e Borsellino
dovevano morire? Newton Compton Editori
Ingroia A. (2012), Io so. Intervista a cura di G. Lo Bianco e S. Rizza, Chiare
Lettere
Lodato S. e Scarpinato R. (2008), Il ritorno del principe. La criminalità dei potenti in
Italia. La testimonianza di un magistrato in prima linea, Chiare Lettere
Marino G.C. (2011), Global mafia. Manifesto per una internazionale antimafia. Con
un contributo di Antonio Ingroia, Bompiani-RCS Libri
Mori M. e Fasanella G. (2011), Ad alto rischio. La vita e le operazioni dell’uomo che
ha arrestato Totò Riina, Mondadori
Pansa G. (2012), La guerra sporca dei partigiani e dei fascisti, Rizzoli
67 Pansa G. (2006), La grande bugia. La sinistra italiana e il sangue dei vinti, Sperling &
Kupfer
Parfit D. (2011), On What Matters, vol. I and II, Oxford University Press
Reski P. (2012), The Honoured Society. The Secret History of Italy’s Most Powerful
Mafia, Atlantic Books
Robinson J. (2000), The Merger. The Conglomeration of International Organized Crime,
The Overlook Press
Ruffolo G. (2009), Un paese troppo lungo, Einaudi
Volpato C. (2011), Deumanizzazione. Come si legittima la violenza, Laterza
(2010), Nel nome del padre. I 23 interrogatori di Massimo Ciancimino, I libri di S,
Novantacento Edizioni
68 FOCUS SECTION
AI CONFINI DEL QUOTIDIANO. IL FANTASTICO NELLA SERIALITA’
ITALIANA
Il fantastico, nelle sue varie declinazioni (fantascienza, fantasy, misteri soprannaturali,
gotico e horror) è un immaginario scarsamente frequentato dalla fiction italiana. Per
questo la presenza, nell’offerta della stagione 2011-2012, di due titoli come Il restauratore
(Raiuno) e Il Tredicesimo apostolo (Canale 5), è un significativo segnale di innovazione e di
ampliamento degli orizzonti narrativi della produzione domestica.
La novità non riguarda solo il genere ma anche, soprattutto, il formato. Se negli anni
precedenti non era mancato qualche tentativo di fiction di genere mistery e gotico,
sempre realizzato nel formato della miniserie, per la prima volta in questa stagione, sia
Raiuno che Canale 5, hanno offerto al proprio pubblico una serie a eroe ricorrente basata
sull’elemento fantastico, declinato in modi differenti.
I due contributi che compongono questa focus section analizzano le peculiarità narrative
e tematiche de Il restauratore e Il Tredicesimo apostolo, contestualizzandole all’interno di
precise tradizioni narrative e mettendo in luce, di entrambe le serie, gli elementi di novità
suscettibili di ulteriori sviluppi e variazioni.
70 Capitolo III
Il Restauratore
di Emanuela Cocco
1. La tradizione narrativa
È il 1947 quando Joseph L. Mankiewicz porta sullo schermo Il fantasma e la
signora Muir1, incantevole storia d’amore con fantasma, che racconta l’irrompere
dello “straordinario” nella vita di una donna qualunque. Il film racconta le
vicende di Lucy Muir, una giovane e testarda vedova che dopo la morte del
marito, vincendo le resistenze della famiglia del defunto consorte, si trasferisce
da sola in un cottage nel New England, dove dimora il fantasma di Daniel
Gregg. Questi, ex capitano di mare, uomo burbero e scontroso si diverte a
scoraggiare, con apparizioni improvvise e giochi di prestigio, i possibili
acquirenti di quella che, nonostante tutto, continua a considerare la sua casa. I
tentativi del capitano di terrorizzare la donna si scontrano, però, con la
determinazione di lei a cominciare una nuova vita. Dopo alcune scaramucce e
qualche incomprensione i due stringono amicizia, tanto che il fantasma chiede
a Lucy di aiutarlo a scrivere le sue memorie. Grazie a questo inusuale
connubio, la donna trova la forza di ricominciare a vivere e, attraverso il
bizzarro progetto editoriale intrapreso insieme al fantasma del capitano Gregg,
conquista l’indipendenza economica e la fiducia in se stessa.
Il film, dal quale è stata tratta una serie televisiva2 di cinquanta episodi articolata
in due stagioni e andata in onda sulle reti statunitensi dal 1968 al 1970, è quasi
una tappa obbligata nell’immaginario di ogni appassionato di questo tipo di
storie e può essere il punto di partenza per una riflessione più ampia sulle
narrazioni di genere fantastico del piccolo schermo, che possono ormai vantare
una consolidata tradizione. Il film e la serie contengono infatti alcuni degli
elementi più rappresentativi del genere che ci apprestiamo ad indagare: la
descrizione di un mondo ordinario caratterizzato da uno squilibrio di valori, la
presentazione della minaccia e dell’opportunità insiti nell’incontro con “lo
straordinario” e le sue ripercussioni sulla vita del protagonista, il concetto di
“dono” che modifica radicalmente la vita della persona che lo riceve,
fornendole la possibilità del cambiamento. Proprio prendendo in
The Ghost and Mrs Muir, Usa 1947. Regia di Joseph L. Mankiewicz, Sceneggiatura di Philip
Dunne.
2 La signora e il fantasma (The Ghost and Mrs Muir), Serie televisiva ideata da Howard Leeds, Usa
1968 -1970.
1
71 considerazione questi elementi, tipici delle storie che integrano lo
“straordinario” in una storia per il resto realistica, possiamo iniziare a tracciare
un discrimine tra i tipi di narrazioni che affrontano in maniera diversa
l’argomento. Semplificando, possiamo distinguere due grandi gruppi ai quali
queste storie fanno riferimento, che si differenziano tra loro per le diverse
implicazioni che “lo straordinario” imprime alle storie narrate e anche per la
particolare caratterizzazione del protagonista di queste. Al primo gruppo, nel
quale annoveriamo serie come Supernatural3, The Fades 4 e True Blood5, possiamo
ricondurre tutte quelle narrazioni che presentano “lo straordinario” come
elemento perturbante, portatore di caos e di squilibrio, dove l’evento
straordinario è esterno al protagonista e si caratterizza come minaccia per
l’umanità e come sovvertimento dei valori del mondo umano. “Lo
straordinario” viene qui incarnato in presenze soprannaturali che tornano dal
mondo dei morti o che appartengono a specie non umane per minacciare
oppure distruggere la razza umana e il mondo terreno. In queste serie, che
sovente virano a una narrazione che contiene elementi horror e action, il
protagonista è un eroe coinvolto in una vera e propria battaglia contro le forze
del paranormale, che minacciano di distruggere il mondo così come lo
conosciamo, per instaurare il dominio del regno delle ombre sulla terra.
L’elemento straordinario, connotato negativamente, viene vissuto da
quest’ultimo come minaccia e pericolo. Completamente diversa è invece la
trattazione dell’elemento fantastico nella seconda tipologia di storie, alle quali
possiamo ricondurre serie, alcune di queste di successo, quali Ghost Whisperer6,
Medium7, Ultime dal cielo8, Pushing Daisies9, le quali presentano l’elemento
fantastico, solitamente non più esterno ma interno al protagonista, come
opportunità e dono, un aiuto da un mondo altro, non necessariamente
antagonista al nostro, che offre la possibilità di cambiare le cose: riparare a un
errore o persino preservare una vita riportando l’equilibrio nel mondo
ordinario.
È a quest’ultimo filone che possiamo ricondurre anche una serie tutta italiana,
Il Restauratore, che ha per protagonista un uomo qualunque che viene investito
suo malgrado di un dono che gli permette di conoscere il futuro. In questa
serie, infatti, la componente straordinaria presente nel racconto è parte
integrante delle qualità dell’eroe, e si caratterizza come un vero e proprio dono,
una competenza che permette al protagonista di affrontare delle questioni
Supernatural, Usa 2005.
The Fades, UK 2011.
5 True Blood, USA 2008.
6
Ghost Whisperer, USA 2005-2010.
7 Medium, USA 2005-2011.
8 Ultime dal Cielo – Early Edition, USA 1996-2000.
9 Pushing Daisies, USA 2007-2009.
3
4
72 rimaste aperte nel mondo ordinario e quotidiano che possono essere risolte
solo grazie all’elemento straordinario.
Scopo di questo breve saggio è indagare alcuni degli elementi costitutivi del
genere e analizzare Il restauratore, mettendola in relazione con due delle serie
americane più longeve e di successo degli ultimi anni che, come la serie italiana,
uniscono la dimensione quotidiana al racconto fantastico: Medium e Ghost
Whisperer.
2. L’immaginario di riferimento
Come abbiamo anticipato, le serie che integrano nella narrazione elementi
fantastici, si differenziano tra loro in primo luogo per la diversa
rappresentazione dello “straordinario” e soprattutto per la diversa modalità
d’accesso al mondo sovrannaturale da parte del protagonista. Questo incontro
tra i due mondi può essere traumatico e conflittuale nel momento in cui “lo
straordinario” viene caratterizzato come elemento perturbante in quanto
portatore di disequilibrio. L’elemento paranormale, in questo tipo di narrazioni,
è esterno al protagonista in quanto espressione di forze disumane contro le
quali l’eroe del mondo ordinario ingaggia una vera e propria battaglia per
scongiurare la dissoluzione del mondo terreno. “Lo straordinario” diviene
portatore di un nuovo ordine che prevede, prima di essere instaurato, la
distruzione del mondo originario. A contrastare queste forze interviene l’eroe
dotato di poteri eccezionali, che diviene un difensore del vecchio mondo.
Il secondo tipo di narrazioni, quelle di cui intendiamo occuparci, si basa invece
su presupposti completamente diversi, che prevedono l’incarnazione
dell’elemento fantastico in una qualità interna all’eroe. Il protagonista, per
qualche motivo, viene a contatto con questo mondo in virtù di un dono che gli
permette di colloquiare con le forze e le presenze paranormali, non per
combatterle ma allo scopo di scendere a patti con loro e di operare come
conciliatore tra le due dimensioni, o addirittura di sfruttare queste presenze, o il
suo dono, per restaurare un disequilibrio che si è venuto a creare nel mondo
quotidiano. L’eroe protagonista di questo tipo di avventure riceve quindi un
dono straordinario che non porta con sé una carica dissolutrice di un mondo,
al contrario, proprio in virtù di questo dono ha la possibilità di mettere a tacere
le contraddizioni che lo minacciano dall’interno.
Il concetto di dono in queste narrazioni è sempre legato a quello di
responsabilità. L’eroe si fa garante della sopravvivenza del mondo ordinario e
della salvezza dell’umanità intera e agisce a favore di questa, dialogando con le
forze paranormali per risolvere delle questioni rimaste in sospeso. Il contatto
con il mondo straordinario può manifestarsi sotto forma di preveggenza o
73 visione, nella forma di un sogno enigmatico, un rompicapo, risolto il quale sarà
possibile scongiurare un evento carico di minaccia, ad esempio un omicidio,
che sta per venire a turbare la pace del mondo ordinario.
Lo “straordinario”, quindi, qui non è caratterizzato come minaccia, ma al
contrario diventa occasione, opportunità e vantaggio; ma questa dimensione
positiva del dono non è completamente svincolata da problemi di ordine etico.
Il dono ha un prezzo in termini di sofferenza psichica da parte dell’eroe che
solitamente in una prima fase tende a desiderare di sottrarsi a questa grave
responsabilità. Abbiamo quindi al principio un mondo ordinario in cui regna
uno squilibrio dato ad esempio dalla morte di uno o più individui. Questa
morte può essersi già verificata nel passato, e in questo caso la funzione
dell’eroe è una funzione conciliatrice, di dialogo con le presenze che hanno
subito un torto che li ha portati alla morte, al fine di placare la loro sete di
vendetta, oppure la loro sete di giustizia e verità. È questo il caso di Ghost
Whisperer, nel quale Melinda Gordon, proprietaria di un negozio di antiquariato,
è una sensitiva che si offre come intermediaria tra il mondo terreno e quello
delle presenze, gli spiriti dei morti che non riescono a passare oltre a causa di
questioni rimaste in sospeso che li tengono ancorati alla vita terrena.
Ma, come abbiamo detto, il dono può anche manifestarsi in altri modi, come
visione o sogno enigmatico che permette di venire a capo di un delitto che è
stato commesso nel passato il cui autore è rimasto impunito, o come
strumento di prevenzione del crimine. Come accade in Medium, dove il dono si
rivela essere un aiuto concreto all’indagine su un caso irrisolto e gli elementi
ambigui che compongono la visione sono a tutti gli effetti degli indizi che
vanno interpretati dal ricercatore-sensitivo, che diviene consulente della
squadra investigativa impegnata a risolvere il caso, oppure come preveggenza
di un delitto che verrà commesso in futuro. Allison Dubois, aspirante avvocato
di Phoenix, moglie, madre e sensitiva, vive delle esperienze paranormali che si
manifestano attraverso sogni e visioni che le permettono di raccogliere
informazioni e le consentono di comprendere come si sono svolti i crimini
efferati sui quali è aperta un’indagine, ma ha anche la possibilità di ricevere un
avvertimento su un delitto che ancora non è stato compiuto. Qualcosa di
molto simile a quella che accade al personaggio interpretato da Lando
Buzzanca nella serie italiana.
3. La struttura della serie
Il protagonista de Il Restauratore è Basilio, ex poliziotto ed ex detenuto, che ha
scontato vent’anni di prigione dopo essere stato condannato per l’omicidio
degli assassini della moglie. In carcere ha imparato un mestiere, quello del
restauratore e, grazie alla sua buona condotta, gli viene concesso di scontare
74 fuori gli ultimi cinque anni di pena. Il direttore dell’istituto carcerario in cui era
detenuto, Ernesto De Angelis, nel frattempo divenuto un suo caro amico, gli
trova un impiego nella bottega di antiquariato di Maddalena Fabbri, stimata
restauratrice con la quale Basilio entra in società. Subito dopo essere uscito dal
carcere, proprio all’interno della bottega di antiquariato, Basilio riceve il dono.
Rimane folgorato da un filo elettrico rimasto scoperto e da quel momento,
toccando alcuni degli oggetti che è incaricato di restaurare, inizia ad avere delle
visioni che lo informano su un delitto che sta per essere commesso. Il suo
dono ha, quindi, una valenza preventiva. Attraverso questa esperienza
straordinaria, Basilio ha l’opportunità di restaurare la vita delle persone che si
sono rivolte a lui affidandogli un oggetto, e di preservare la loro vita.
La strategia di integrazione dell’esperienza straordinaria all’interno della
narrazione, ne Il Restauratore segue delle modalità diverse rispetto a quella delle
serie sopra citate. Andiamo a vedere nel dettaglio.
Il Restauratore è una serie che pone al centro del racconto un ben congegnato
sistema di relazione tra i personaggi che permette anche una riuscita
ibridazione dei generi e l’allargamento del pubblico di riferimento. Abbiamo
una linea sentimentale, della quale è protagonista la restauratrice Maddalena
Fabbri, impegnata in una sfortunata relazione con Riccardo, affascinante uomo
sposato, bugiardo e donnaiolo che non perde occasione per sedurla e deluderla,
puntata dopo puntata. Una seconda linea di genere comico-brillante è data
invece dai personaggi di Arturo e di sua moglie Dora, romani doc e gestori
della trattoria di fronte alla bottega di Maddalena i quali, con la loro semplicità
e simpatia, sono protagonisti di divertenti siparietti comici che coinvolgono
anche il Basilio. Un’altra linea, che potremmo definire appartenente al genere
teen drama, è data dal personaggio di Giulio, giovane figlio di Dora e Arturo,
innamorato di una sua coetanea che diventa assistente di Basilio, ed è
protagonista, insieme ai suoi amici, di piccole avventure sentimentali e non.
Verso di lui Basilio agisce in qualità di mentore. Infine, l’incontro con “lo
straordinario” segue in questa serie le due principali linee narrative. Una di
queste ha uno sviluppo verticale e ci racconta, attraverso il singolo caso di
puntata, l’azione restauratrice operata da Basilio per impedire che il crimine
venga commesso. All’interno di questa linea il protagonista della storia vive
delle avventure che partono dall’oggetto restaurato e conducono in un
microcosmo dove è stata commessa un’ingiustizia che sta per avere come
effetto il compimento di un crimine o, più in generale, un atto di violenza (un
omicidio, una vendetta, un suicidio). Toccando l’oggetto da restaurare, Basilio
viene investito da un potere di preveggenza attraverso una serie di immagini
ambigue che si susseguono velocemente davanti ai suoi occhi. Queste
immagini raccontano una storia e celano al loro interno l’identità del potenziale
assassino oppure della futura vittima dell’atto violento. Da quel momento le
75 azioni di Basilio sono volte alla risoluzione del mistero celato nella sua visione.
Attraverso un’indagine privata, il protagonista cerca di stabilire la verità su
quanto sta per accadere. In un secondo momento, appurata l’identità delle
persone coinvolte nell’evento e le circostanze che lo hanno determinato,
Basilio agisce in prima persona per cercare di scongiurare il verificarsi di quello
che, al momento in cui inizia la storia, è solo un funesto presagio. La seconda
importante linea di racconto, invece, ha uno sviluppo orizzontale e affronta il
tema della responsabilità, indagando le ripercussioni sulla vita privata dell’eroe
del potere di cui è investito e il suo atteggiamento nei confronti del dono.
A questo proposito, possiamo notare come il rapporto tra l’eroe e il suo dono
descriva in questa serie quello che Dara Marks, nel suo celebre saggio10,
definisce come “arco di trasformazione del personaggio”, che trova una
risoluzione definitiva alla fine della prima stagione della serie. Notiamo come
questo sia il tipico approccio italiano alla serialità, che lavora su un arco
narrativo chiuso “a miniserie”, anche quando affronta il modello della serie a
eroe ricorrente.
Ne Il restauratore, infatti, il percorso del protagonista ha inizio con l’acquisizione
della preveggenza e la conseguente capacità di preservare la vita. La scoperta di
questo dono costringe Basilio a confrontarsi con un errore fatale commesso in
passato - l’uccisione degli assassini della moglie – e con il profondo senso di
colpa che ne deriva e che ha condizionato pesantemente la sua vita. Il
protagonista capisce che deve liberarsi di questo senso di colpa per poter
continuare a vivere, e il suo percorso si conclude con il superamento di questo
problema attraverso la piena accettazione del dono. La linea orizzontale della
serie racconta, insomma, un compiuto percorso di redenzione, capace di
cancellare nel protagonista le colpe del passato per farlo rinascere a nuova vita.
Vista la natura seriale del racconto, il conflitto interiore del protagonista
avrebbe potuto e dovuto essere strutturato come un percorso aperto e trattato
come un problema reiterabile, oggetto di progressivi approfondimenti nelle
serie successive. La scelta fatta, al contrario, è stata quella di gestire alcuni
aspetti importanti del materiale narrativo, che costituisce la linea orizzontale
della serie, come autoconclusivi di stagione in stagione e questo ha creato la
necessità, ad ogni nuova stagione, di dover alimentare l’intreccio dello sviluppo
di questa linea della storia con implicazioni tematiche del tutto nuove. Non
sarà infatti possibile, in una nuova stagione della serie, approfondire
ulteriormente il rapporto del personaggio protagonista con il suo dono, poiché
questo si chiude e trova una completa risoluzione alla fine della prima stagione.
10
Dara Marks, L’arco di trasformazione del personaggio, Dino Audino Editore, Roma 2007.
76 In che modo verrà problematizzato il rapporto dell’eroe con il suo dono?
Come sarà possibile portare avanti una linea orizzontale che presenti una
progressione del racconto nei confronti di un protagonista che ha già esaurito il
suo arco di trasformazione all’interno della prima stagione? Forse è possibile
riscontrare un indizio di quella che potrebbe essere la nuova caratterizzazione
del personaggio protagonista all’interno della serie nel nono episodio (Il bivio)
della prima stagione. In questo episodio, Basilio ha una visione che avrà un
esito inaspettato. Dopo essersi recato in farmacia per acquistare delle medicine,
riceve in regalo da Maddalena un portapillole nuovo che gli trasmette una
visione inquietante: un uomo armato di pistola ferisce apparentemente a morte
la dottoressa che lavora in farmacia. Basilio decide di intervenire e raggiunge
immediatamente la farmacia. Qui, in breve, si ritrova in ostaggio, insieme ad
altri clienti, di un rapinatore che, pistola spianata, vuole commettere una rapina.
In questo episodio viene fuori la principale qualità del protagonista: quella di
negoziatore. Il giovane rapinatore, infatti, si trova immediatamente a dover
fronteggiare Basilio che tenta in ogni modo di portare a termine una
negoziazione, con lo scopo di preservare la vita delle altre persone presenti
nella farmacia. Ognuno dei presenti è portatore di un problema specifico che
riguarda la loro vita privata. Dopo che il rapinatore ha aperto il fuoco contro la
dottoressa, ferendola in modo grave, inizia per Basilio una lotta contro il
tempo per cercare di convincere il rapinatore a portare fuori la donna e a
salvarle così la vita. Mano a mano che la tensione sale, vengono fuori i
problemi dei singoli clienti in ostaggio del rapinatore: una giovane donna
assiste il marito gravemente malato e sta vivendo una profonda crisi interiore e
medita il suicidio; una donna in affari ha messo da parte i suoi sentimenti per
conquistare un posto di rilievo nella società in cui è impiegata e, giunta all’apice
della carriera, ha intenzione di usare il suo potere per vendicarsi delle angherie
subite in tanti anni di lavoro; uno studente timido e pieno di insicurezze, sta
vivendo una profonda depressione. Anche il rapinatore, che soffre di una
disfunzione della tiroide, ha deciso di rapinare il negozio per procurarsi le
medicine, ora divenute troppo costose perché lui possa acquistarle e sta
vivendo un tale inferno interiore che ha deciso di compiere un atto folle ed è al
tempo stesso tentato di togliersi la vita. Ognuno di questi personaggi è
protagonista, oltre che della vicenda che li accomuna, di un proprio arco di
trasformazione. Tutti sono portatori di un “fatal flaw” che sta minando
seriamente le loro vite. In questo contesto, Basilio agirà da negoziatore non
solo tra la polizia, pronta ad agire fuori dal luogo del sequestro, e il rapinatore,
ma anche con ognuno dei personaggi che usciranno da questa esperienza,
tramite la relazione empatica instaurata con Basilio, profondamente cambiati.
Proprio grazie a Basilio, che non cambia e resta fedele a se stesso e alla sua
missione anche nel momento in cui un’altra visione gli mostra la sua stessa
77 morte, gli ostaggi riescono, una volta tratti in salvo, a compiere il loro arco di
trasformazione e a salvare le loro vite interiori. Questo episodio mostra il
protagonista come un diverso tipo di eroe, un “angelo viaggiatore” che agisce
come catalizzatore ed è in grado di operare il miracolo della trasformazione
nelle persone che vengono in contatto con lui. Non un eroe che cambia,
quindi, ma un eroe capace di intervenire e modificare le vite delle persone con
cui entra in relazione. Alla fine dell’episodio, la donna che meditava il suicidio
decide di restare accanto al marito; lo studente supera le sue paure; la donna in
affari decide di cambiare la politica aziendale e di superare i suoi rancori; il
giovane rapinatore verrà salvato e deciderà di ricominciare da capo.
Anche altri due personaggi della linea orizzontale della serie verranno investiti
dal potere del cambiamento grazie all’azione del protagonista. Maddalena, la
restauratrice proprietaria della bottega e amica di Basilio, riuscirà a chiudere la
travagliata storia d’amore con un uomo sposato e il commissario Mangano,
intenzionato a commettere lo stesso gesto di vendetta compiuto da Basilio
vent’anni prima - l’uccisione degli assassini della moglie - rinuncerà alla sua
vendetta. L’eroe della serie ha, quindi, il compito di restaurare le vite altrui, di
colmare con le sue parole il senso di vuoto che le minaccia dall’interno. Lo
spostamento del processo di cambiamento che non è più incentrato sul
protagonista ma sugli altri attori in gioco nelle vicende narrate, assicura così
una costante progressione continua della storia.
Tornando all’analisi di questa importante linea di racconto che indaga il
rapporto dell’eroe con il suo dono, con il protagonista che compie un
completo arco narrativo, possiamo individuare le tappe fondamentali
attraverso cui si narra l’esperienza soprannaturale dal punto di vista privato e
intimo del protagonista. Si parte con la fase dello stupore e dell’incredulità:
l’eroe viene a conoscenza del suo dono quasi per caso e inizialmente stenta a
riconoscerlo. Nel primo episodio della serie, Basilio resta folgorato toccando
un filo elettrico, subito dopo incontra un clochard che gli regala un accendino.
Toccandolo, Basilio ha una visione: vede l’uomo sepolto sotto un cumulo di
macerie. Spaventato e disarmato corre sul luogo in cui ha incontrato l’uomo e
trovandolo ancora vivo si convince di essere pazzo e desidera ritornare in
carcere. In questa prima fase l’eroe può compiere un errore e sottovalutare la
sua visione oppure agire in ritardo. È quanto avviene anche a Allison Dubois,
in un episodio che ci racconta il giorno del suo matrimonio. Allison ha la
visione di una ragazza adolescente (si scoprirà poi essere una visione relativa al
futuro, la ragazza vista in sogno è infatti sua figlia) che viene strangolata da un
uomo. Anche qui Allison, profondamente turbata da quanto ha visto, non sa
come reagire e arriva a voler annullare il matrimonio per evitare che quanto ha
visto nel sogno si avveri. Ma la natura del suo dono, quanto quella del dono di
78 Basilio, prevede invece un impegno attivo da parte dell’eroe per evitare che il
presagio funesto si concretizzi.
A questa fase segue quella del rifiuto. Accertata l’esistenza di questo potere,
l’eroe cerca di sottrarsi al compito e di ignorare la sua visione. Quando però
l’evento si verifica, questo errore di valutazione porta alla luce la grande
responsabilità implicita in questo straordinario potenziamento della vista.
Sempre nel primo episodio, Basilio giunge tardi sul luogo in cui si è verificato
l’incidente protagonista della sua visione, ma in tempo per salvare comunque la
vita dell’uomo. L’errore commesso lo porta a fare i conti con la grande
responsabilità implicita nel suo dono. Alla consapevolezza di questa
responsabilità, dopo la fase del rifiuto, Basilio si reca sulla tomba della moglie e
le confida di non voler sostenere un peso così grande; a questa fase, segue
quella dell’esplorazione del dono, una fase di avvicinamento, nella quale l’eroe
prende dimestichezza con il suo nuovo potere ed impara ad usarlo. Nel
momento in cui l’azione del protagonista ha come effetto la risoluzione
dell’enigma e la salvezza di una vita, giunge la fase di accettazione nella quale
l’eroe cessa di sottrarsi al suo compito e si attiva in prima persona per usarlo al
meglio, nonostante il costo personale che questo dono comporta. Questo
percorso, però, è pieno di ostacoli e, nella serie che abbiamo scelto di prendere
in esame, le implicazioni etiche e personali del dono sono esplorate fino alle
conseguenze più problematiche. Nel momento in cui le visioni riguardano le
persone care all’eroe oppure se stesso, il protagonista si trova ad affrontare dei
veri e propri dilemmi. Nel quarto episodio della serie (L’uomo del destino), infatti,
la preveggenza di Basilio lo pone davanti a una scelta impossibile, quella tra la
salvezza del suo amico Edoardo, in attesa di un trapianto senza il quale perderà
la vita, e la possibile morte di una ragazza, che appare in una delle visioni di
Basilio. Egli, alla fine, sceglie di salvare la ragazza, ma la morte dell’amico lo fa
precipitare in una vera e propria crisi e ancora una volta l’eroe è portato a
rifiutare il suo dono. Il percorso per la piena accettazione di un potere che si
rivela sempre più essere un’arma a doppio taglio per l’eroe, è una conquista
lunga e dolorosa. Nel nono episodio della serie (Il bivio), Basilio rimane
coinvolto in una rapina e arriva a vedere la propria morte, ma pur avendo la
possibilità di trarsi in salvo non esita a sacrificare la propria vita pur di non
abbandonare gli altri ostaggi. L’esito di questa avventura, nella quale resterà
ferito, è una momentanea perdita del dono nel corso del decimo episodio della
serie. Dopo aver constatato di non avere più la capacità di leggere nel futuro
attraverso il contatto con gli oggetti da restaurare - una delle sue clienti muore
senza che lui abbia una visione che gli permetta di intervenire - Basilio si rende
conto, forse per la prima volta, della grande importanza del dono non solo a
beneficio dell’umanità, ma anche per se stesso. È proprio nella sua capacità di
redimere gli altri spingendoli a non commettere un omicidio, nel suo potere di
79 salvare delle vite, che Basilio può trovare requie al profondo senso di colpa per
aver in passato scelto la via della vendetta e spezzato due vite umane, seppure
artefici della morte della moglie. Solo attraverso il suo dono Basilio riesce a
trovare il modo di redimere se stesso dal grave peccato commesso in passato.
Ma per arrivare a una piena e profonda consapevolezza bisogna giungere
all’ultimo episodio della serie (Un eroe in famiglia) che chiude l’arco aperto nel
primo episodio, in cui Basilio riesce a redimere il proprio passato vivendo
un’esperienza speculare a quella vissuta in passato e convince l’ispettore
Mangano a non uccidere gli assassini della moglie. In quel momento la
parabola del nostro eroe si compie e il significato del dono viene riconosciuto
in tutta la sua evidenza. Così come la preveggenza permette a Allison Dubois e
a Melinda Gordon di dare un senso alle loro vite, Basilio trova nel suo dono
speciale il senso ultimo della propria esistenza.
4. Lo statuto dell’eroe
La nostra riflessione non può tralasciare un'altra importante questione da
prendere in esame: quella dello statuto dell’eroe, della sua caratterizzazione e
della modalità con cui questo entra in contatto con il mondo straordinario.
Come abbiamo detto, l’eroe in possesso di queste facoltà medianiche può
pagare caro in termini personali il suo dono; ma in questa battaglia intima per
l’accettazione e il tentativo di restaurare un equilibrio interiore e con il mondo
esterno, l’eroe può essere sostenuto dalla comunità di riferimento oppure
restare isolato e vivere il suo potere come segreto inconfessabile. La sua
capacità straordinaria può essere legittimata come azione ufficiale oppure agire
in maniera sotterranea. Abbiamo, in quest’ultimo caso, un eroe isolato nella
dimensione del segreto, costretto ad agire nell’ombra e senza aiuto, per portare
a termine la sua missione. Le sue azioni vengono mantenute segrete e
ammantate da spiegazioni razionali e il dono diviene quasi un elemento di
disturbo apparente della dimensione investigativa ufficiale. Così, il dono
diventa a tutti gli effetti non solo una risorsa, ma anche una minaccia per la sua
piena integrazione nella società. In questo tipo di narrazione l’azione dell’eroe è
di aiuto a quella ufficiale di indagine di una squadra investigativa, ma agisce su
binari paralleli: l’eroe non è un consulente riconosciuto dal team investigativo,
come accade ad esempio ad Allison Dubois, la sensitiva protagonista di
Medium, ma agisce parallelamente alle forze di polizia per scongiurare il
verificarsi di un crimine imminente. Le forze ufficiali e riconosciute, incaricate
di restaurare l’ordine, possono avere in questo caso una valenza antagonistica e
ostacolare o ritardare la risoluzione del caso da parte dell’eroe. Così accade ne
Il Restauratore. Basilio, infatti, si trova spesso nel corso della sua indagine privata
a scontrarsi con la squadra investigativa e a dover giustificare la sua presenza
80 sul luogo del crimine. Non solo. Mentre il potere di Allison e di Melinda è
pienamente condiviso dalla famiglia o da una piccola comunità di riferimento
delle due eroine, che è messa a parte del segreto - le due donne, ad esempio,
possono condividere le loro esperienze con i rispettivi consorti e con amici: a
Melinda Gordon capita di avere un collega con il quale risolvere alcuni casi,
mentre Allison Dubois ha un ruolo ufficiale come consulente della polizia nella
risoluzione dei crimini - Basilio è un eroe che per lunga parte della prima
stagione agisce di nascosto e non può mettere a conoscenza nessuno del suo
segreto. I suoi rapporti con la polizia sono per certi versi antagonistici. Le due
indagini si muovono in parallelo. Basilio si serve della sua complicità con una
giovane agente di polizia, Patrizia Vannini, per suggerirle delle piste
investigative che poi la portano a risolvere il caso, ma viene continuamente
redarguito dal Commissario Maccari, il quale non vede di buon occhio il suo
interessamento ai casi, gli ricorda costantemente che ormai non è più un
poliziotto e gli vieta di partecipare alle indagini. Basilio è un alleato occulto
della polizia ed è destinato ad agire nell’ombra. Per gran parte della serie agisce
da solo e si trova in qualche modo a dover giustificare, con non pochi
problemi, le sue visioni come semplici intuizioni investigative agli altri membri
del team completamente all’oscuro del suo segreto. Solo nell’ottavo episodio
della serie (Scienza e coscienza), dopo averle salvato la vita, Basilio è costretto a
confidare a Maddalena, sua amica e socia in affari, la natura del suo dono. È
l’unica con la quale Basilio si confida, per tutti gli altri continua ad essere solo
un ex poliziotto dall’intuito eccezionale.
Un altro importante elemento da prendere in considerazione è la modalità con
cui il protagonista della serie entra in contatto con il mondo straordinario.
Mentre per le due eroine protagoniste di Medium e di Ghost Whisperer il dono è
una capacità innata che le accompagna fin dalla nascita, per Basilio la
preveggenza è una capacità acquisita in un momento particolare della sua vita.
Qualcosa che giunge in modo inaspettato, con cui deve imparare a convivere.
Inoltre, a differenza di Allison e di Melinda, Basilio non ha la possibilità di
colloquiare con le presenze, né può interrogarle sui dettagli del caso su cui sta
investigando. Il suo dono si concretizza in una sequenza di immagini, un
rompicapo che viene risolto solo attraverso le doti intuitive del protagonista. È
anche importante sottolineare che per le due eroine il dono non necessita di
oggetti di mediazione che fanno scaturire la visione, per Basilio, invece, c’è
bisogno del contatto fisico di un oggetto da restaurare perché la visione possa
verificarsi. La presenza di un oggetto di mediazione tra l’eroe e il mondo
straordinario accomuna il personaggio di Basilio a quello protagonista della
serie Ultime dal cielo, in cui un uomo ha l’opportunità di prevedere il futuro
affidandosi a un oggetto magico: la copia di un quotidiano che riporta le notizie
del giorno dopo.
81 5. L’elemento straordinario
Le differenze tra il modello di eroe sensitivo proposto da Medium e Ghost
Whisperer e quello de Il Restauratore non finiscono qui. Nelle due serie prese a
modello in questa analisi comparativa, possiamo riscontrare anche una diversa
integrazione dell’elemento straordinario nella vita dell’eroe e nell’economia del
racconto. In entrambe queste serie, infatti, la rappresentazione del mondo
paranormale si manifesta attraverso vari modi, che vanno dal sogno, alla
visione ad occhi aperti, alla presenza fantasmatica con la quale è possibile
dialogare. Queste manifestazioni paranormali sono inserite all’interno della
narrazione come vere e proprie scene e sequenze narrative che sono parte
integrante della storia. Ne Il Restauratore, invece, l’elemento straordinario si
limita alla dimensione di luccicanza, una sequenza di immagini, di dettagli non
esaustivi alla comprensione del mistero, che arresta l’azione della storia e viene
riproposta, caso per caso, sempre identica a se stessa, con la sua carica di
ambiguità e di mistero. La visione di Basilio è un montaggio di dettagli di un
quadro più ampio degli eventi. Dopo la sua manifestazione inizia per Basilio
una lotta contro il tempo nel tentativo di scongiurare la catastrofe imminente.
Solo in un secondo momento Basilio agirà come intermediario, ma non tra il
mondo dei morti e dei vivi, ma tra possibili carnefici e vittime, per convincere i
primi a non scegliere la via della vendetta. L’elemento straordinario è
determinante a motivare il protagonista ad agire e dà un primo significativo
impulso all’indagine. La natura enigmatica della visione di Basilio imprime al
suo intervento i meccanismi propri della detection. L’elemento straordinario è
trattato come un indizio che fa partire un’indagine strutturata, però, in modo
tradizionale. Una volta avuta la visione, Basilio inizia la sua indagine privata
facendo un sopralluogo sulla scena di un crimine che non si è ancora verificato
e del quale non sono chiare le dinamiche. Il ricercatore in questo caso si trova
ad affrontare una strategia investigativa particolare. Infatti, è chiaro che un
delitto verrà commesso: il pericolo, annunciato da dettagli che in un primo
momento non sono facilmente codificabili, appare imminente, ma al tempo
stesso non è chiaro chi sia la vittima, né quali siano le effettive circostanze della
sua morte. L’indagine quindi non può partire da un esame della scena del
crimine e dalle prove lasciate sul luogo del delitto dall’autore dello stesso. La
strategia adottata in questa serie per far muovere la detection si basa
completamente sulla relazione con i futuri attori in gioco del crimine, oppure
con le future vittime. È proprio attraverso le relazioni e il dialogo con loro che
il protagonista riesce gradualmente ad appurare la verità. L’analisi degli
elementi della scena del crimine oppure i tradizionali interrogatori, sono qui
sostituiti da un approfondimento sui personaggi, sulla loro storia e sui
movimenti interiori che li portano a scegliere di commettere un crimine. Le
storie dei casi di puntata narrano infatti di traumi interiori che potrebbero
82 sfociare nella violenza e non si limitano a indagare l’evento in sé, ma ricercano
piuttosto le cause che si nascondono dietro le scelte discutibili dei personaggi.
Possiamo quindi concludere che, nonostante Il Restauratore utilizzi entrambe le
strategie narrative delle serie citate e si ponga in una via di mezzo tra esse
servendosi sia della narrazione investigativa di Medium ma scegliendo anche di
dare risalto all’azione conciliatoria e da intermediario caratterizzante la
protagonista di Ghost Whisperer, la differenza determinante nella scelta di
strategia drammaturgica adottata nel modello italiano è quella di isolare l’evento
straordinario relegandolo in una posizione marginale nell’economia dell’intero
racconto, privilegiando invece l’approfondimento e la caratterizzazione dei
personaggi anche minori, protagonisti dei casi di puntata. Mentre nelle altre
narrazioni prese in esame la scelta drammaturgica va nella direzione di una
continua interazione tra i due mondi - entrambe le eroine dialogano con le
presenze che sono protagoniste di diverse scene ed è anche grazie alle azioni e
alle dichiarazioni delle presenze fantasmatiche che riescono ad appurare la
verità sulle vicende sulle quali stanno indagando - l’azione di Basilio segue il
percorso, esclusa la visione, di un’indagine tradizionale, fatta di colloqui,
sopralluoghi sulla futura scena del crimine e pedinamenti, e sfocia in un
approfondimento del personaggio che diventa il vero motore della storia.
In questa serie, che propone l’idea suggestiva di una realtà che può essere
restaurata, “lo straordinario” è utilizzato ancora come semplice motore iniziale
dell’indagine, che poi torna e si muove nel contesto più rassicurante di un
mondo tutto umano. Forse un possibile sviluppo del modello italiano potrebbe
partire proprio da una maggiore integrazione dell’elemento fantastico nel
tessuto della narrazione, al fine di dare nuovo impulso alla storia e di creare un
nuovo interessante arco di sviluppo del personaggio. Ma per il momento la
tensione è posta sul percorso del singolo, sulla sua personale avventura di
redenzione e cambiamento a rispecchiare quella del protagonista, che proprio
nella necessità di redimersi da un’azione commessa nel passato, trova il
significato ultimo e la motivazione principale del suo dono magico.
83 Capitolo IV
Il tredicesimo apostolo
di Domenico Ierone
1. La tradizione narrativa
Un prete anticonformista e scevro da pregiudizi che indaga, per conto di
un’organizzazione interna alla Chiesa, su eventi e fenomeni che esulano dagli
schemi logici di comprensione. Una psicologa votata allo scetticismo, che legge
gli stessi accadimenti attraverso la lente dell’osservazione razionale. La
coscienza, da parte del prete, di un dono miracoloso con il quale è difficile
convivere, le cui origini sono da ricercare in un passato familiare nebuloso,
tutto da ricostruire. Un trauma infantile che si cela nello stesso passato, e che
dà luogo ad allucinazioni ed incubi ricorrenti. Una società segreta che mira a
rovesciare l’autorità della Chiesa e che per farlo si prepara ad accogliere il
nuovo messia, annunciato da una profezia vergata in un vangelo esoterico.
Sono questi i motivi drammaturgici che sostanziano Il tredicesimo apostolo, la
fiction targata Taodue trasmessa da Canale 5 e composta da dodici episodi,
nella quale abbondano situazioni e contenuti tipici del mistery e del thriller a
tinte soprannaturali. La serie traspone in ambito domestico, con modalità al
contempo inedite e familiari, un immaginario culturalmente e geograficamente
ben radicato come quello fantastico, di rado frequentato dai nostri racconti
televisivi. L’operazione, sulla carta rischiosa proprio per la scarsa familiarità
dello storytelling italiano con questa sfera narrativa, è stata nel complesso
premiata dagli ascolti - lo share medio del programma si attesta intorno al 21%
- e il titolo rinnovato per una seconda stagione.
Il tredicesimo apostolo arricchisce l’esiguo campionario delle fiction nazionali
ascrivibili al mistery. Il primo significativo ed efficace approccio televisivo con
questo immaginario risale all’epoca d’oro degli sceneggiati, precisamente al
1971, anno in cui la Rai ha trasmesso Il segno del comando. Il racconto, strutturato
in cinque puntate e ambientato a Roma, sfrutta i principali topoi del genere, tra
cui quelli del “prescelto” e del “libro esoterico” - che ritroviamo ne Il tredicesimo
apostolo -, innestandoli in un’avvincente trama dalle tinte giallo/gotiche. Sempre
composta di cinque puntate e girata nella capitale è la miniserie Voci notturne
(Rai Uno, 1995). Scritta da Pupi Avati, già autore per il grande schermo di
riuscite storie di stampo horror/mistery rese particolarmente suggestive dallo
scenario della Bassa Padana (Zeder , La casa dalle finestre che ridono), la fiction
84
sembra porsi in continuità con Il segno del comando, riprendendo da questa gli
elementi esoterici e complottistici, ma ibridandoli con una più marcata vena
investigativa e aggiornandoli con accenni di spaccato socio-politico. Più recenti
sono le tre miniserie Zodiaco (Rai Due, 2008), L’isola dei segreti (Canale 5, 2009),
L’ombra del destino (Canale 5, 2011). Questi titoli - i primi due basati su format
francesi -, pur non mancando di aspetti interessanti e apprezzabili, pagano lo
scotto di un’eccessiva tendenza alla commistione di generi, a causa della quale
la suspense soprannaturale, ibridata con i temi melodrammatici cari alla nostra
tradizione, perde alla lunga mordente. Infine, questa stagione televisiva, oltre a
Il tredicesimo apostolo, ha visto in onda il film tv I guardiani del tesoro (Canale 5), in
cui le atmosfere mistery sono decisamente virate verso l’adventure, e la serie Il
restauratore (Rai Uno): seppur tra loro profondamente differenti, quest’ultima
condivide con Il tredicesimo apostolo l’“arditezza” nell’affrontare determinate
sfumature del fantastico avvalendosi di un formato differente da quello della
miniserie, fino ad ora quello privilegiato per approcciarsi al genere.
Con questa analisi faremo il punto sulle opportunità e sulle criticità insite nella
portata innovativa de Il tredicesimo apostolo, verificando in particolar modo due
aspetti tra loro complementari: le modalità di declinazione in chiave nazionale
di stilemi narrativi d’importazione e la loro ibridazione con i generi più praticati
dalla nostra fiction; l’influenza che le morfologie tipiche della media-lunga
serialità dei titoli Taodue hanno nel modellare i contenuti e la semantica del
racconto.
2. L’immaginario di riferimento
Prima di passare ad esaminare nei dettagli il mondo diegetico de Il tredicesimo
apostolo, individuiamo i riferimenti audiovisivi e letterari cui ammicca la serie. In
seguito ne verificheremo i punti di contatto con le tipicità della nostra
tradizione televisiva.
La particolare missione del protagonista della fiction, Gabriel Antinori, unita ai
suoi tormenti d’animo, ci riporta intuitivamente ad un film che è una vera e
propria pietra miliare dell’horror a tinte soprannaturali, L’esorcista (1973). In
questa pellicola padre Karras, oltre alla giovane età e l’appartenenza all’ordine
dei gesuiti, condivide con Gabriel la problematica convivenza con la propria
missione spirituale e il complicato rapporto con la figura materna. La figura di
Antinori è vagamente ispirata anche a padre Kiernan di Stigmate (1999), il quale
investiga per conto di una congregazione del Vaticano sulla veridicità di
presunti fenomeni miracolosi. Oltre alla peculiare missione del sacerdote,
ritroviamo qui un altro dei leitmotiv della serie di Canale 5: la presenza di una
verità alternativa a quella su cui si basa l’autorità riconosciuta della Chiesa
cattolica. Lo stesso tema attraversa i bestseller di Dan Brown e i relativi
85
adattamenti cinematografici, Il codice da Vinci (2006) e Angeli e demoni (2009). È
proprio all’universo finzionale creato dallo scrittore statunitense che sembra
guardare la rappresentazione che ne Il tredicesimo apostolo viene fatta delle
gerarchie ecclesiastiche e delle dinamiche “politiche” che le animano. Alla
parvenza di realismo nella resa del contesto istituzionale religioso fa da
contraltare la presenza degli elementi esoterici, incarnati nel caso specifico,
proprio come nelle opere di Brown, da una associazione segreta che cospira
alle spalle della Chiesa cattolica. La concitata ricerca da parte di Gabriel di uno
degli oggetti feticcio di questa setta, un vangelo non ufficiale, rimanda
tangenzialmente al film La nona porta (1999), a sua volta tratto dal romanzo Il
club Dumas di Arturo Pérez Reverte. Gli elementi più strettamente afferenti alla
sfera del fantastico e del paranormale si palesano, ne Il tredicesimo apostolo, nella
natura dei casi su cui Antinori e la psicologa Claudia Munari indagano. Le
qualità di questa “strana” coppia, e il loro modo di approcciarsi a vicende fuori
dall’ordinario, ricordano molto da vicino le caratteristiche del celebre duo di
agenti dell’FBI della serie di culto X-Files (Fox, 1993-2002). Gabriel e Claudia,
similmente all’intuitivo Mulder e all’analitica Scully, si interrogano da opposte
prospettive, mettendo in gioco parte del loro vissuto, sulle possibili cause di
fenomeni che non sono riconducibili, in apparenza, a una spiegazione
razionale.
Il filo rosso che attraversa questi riferimenti è l’argomento religioso. La
trattazione di queste tematiche è, in Italia, radicalmente differente da quella
attuata dalle opere citate. L’immaginario cattolico è materia di ispirazione
quintessenziale dei racconti italiani per il piccolo schermo: con la sua varietà di
figure - santi, papi, apostoli, preti, suore - è stato ed è al centro di storie di
grande successo, a loro modo specchio dell’identità del Paese. Se nella
tradizione anglosassone sono gli elementi di genere a farla da padrone, nei cui
confronti la dimensione realistica si rivela spesso una piattaforma d’accesso ad
eventi bigger than life, nella drammaturgia nazionale la messa in scena, al
contrario può, a seconda dei casi, avere come prerogativa la fedeltà nella
rievocazione del contesto storico-politico e culturale, la raffigurazione di un
microcosmo sociale ordinario e quotidiano, il realismo emozionale.
Veniamo allo specifico caso di protagonismo oggetto della nostra analisi, ossia
quello relativo alla figura del prete. Sono due le tipologie di rappresentazione
predilette dalla nostra fiction per raccontare l’universo religioso e civile visto
dalla prospettiva dei sacerdoti: le biografie di importanti personalità legate al
cattolicesimo e le storie di parroci alle prese con vicende che esulano dalla loro
ordinaria area di competenza. Il biopic, che si avvale dei formati a breve serialità
- film-tv e miniserie -, ha per protagonisti veri e propri “eroi della fede”:
personaggi carismatici e al contempo fortemente umanizzati che, a seconda
delle circostanze, possono essere caratterizzati come veri e propri outsider
86
moderni nei confronti del conservatorismo delle gerarchie ecclesiastiche.
Questi racconti, il più delle volte di natura agiografica, sono fortemente
permeati da toni melodrammatici, in consonanza con la natura del tradizionale
biopic domestico. Nella seconda categoria di narrazioni abbiamo sì a che fare
con “eroi della fede”, ma di tipo ricorrente e le cui qualità non sono riducibili
soltanto alla loro vocazione religiosa. In Don Matteo e Un prete tra noi, due serie
esemplari in questo senso, lo statuto dei protagonisti poggia, oltre che su una
ben definita tensione morale e spirituale, sugli slanci intuitivi ed empatici
funzionali alla risoluzione di vicende che apparentemente non avrebbero nulla
a che vedere con la spiritualità: Don Matteo e Don Marco sono infatti
sistematicamente coinvolti, seppur con diverse modalità e gradi di
responsabilità, nei crimini e nei drammi individuali/familiari che minano
l’equilibrio delle piccole comunità civili/spirituali di cui sono figure di
riferimento (una piccola cittadina di provincia il primo, la parrocchia di un
carcere il secondo). L’operato dei due preti si sovrappone, in maniera decisiva,
a quello di istituzioni elettivamente deputate ad occuparsi delle stesse vicende,
ma la loro peculiare caratura etica, unita alla loro autorità, consente loro di
comunicare ad un livello più profondo, più umano, con soggetti problematici:
sono vere e proprie figure di raccordo tra principi religiosi e regole civili, in
grado di innescare processi di redenzione in coloro che sbagliano e
trasgrediscono la legge. All’interno di strutture narrative di questo tipo, a
maggior respiro seriale, si assiste ad una marcata ibridazione tra diversi generi:
ai toni melodrammatici caratterizzanti le vicende episodiche dei preti
protagonisti e la loro missione, si affiancano, a seconda dei casi, il giallo, il rosa
e la commedia, con gli ultimi due registri a connotare perlopiù i subplot
orizzontali dei personaggi secondari.
Il tredicesimo apostolo rappresenta una novità assoluta per come siamo abituati a
vedere rappresentata la figura del prete e il suo operato, per come finora
abbiamo familiarizzato catodicamente con il sentimento e le istituzioni
religiose. Calcando pesantemente la mano sui meccanismi di sospensione
dell’incredulità, la serie trasla una importante fetta d’immaginario della nostra
fiction in nuovi territori, quelli del mistery. Il risultato, come stiamo per vedere,
è una coraggiosa e inedita declinazione di argomenti che, a loro modo, hanno
sempre rappresentato un ideale anello di congiunzione con modelli
internazionali di racconto poco praticati nei nostri lidi.
3. I protagonisti
Gabriel Antinori, oltre ad adempiere alle ordinarie funzioni religiose, insegna
teologia all’università, ambiente nel quale, grazie alla sua giovane età e ad
un’inconsueta apertura mentale per il ruolo che riveste, affascina gli studenti
87
con le sue brillanti lezioni. Ma è lontano dall’altare e dalla cattedra che esplora i
territori liminali tra la conoscenza razionale e i misteri della fede: Gabriel,
membro “operativo” di un’organizzazione segreta del vaticano, la
Congregazione della Verità, si occupa, per conto di questa, di verificare la reale
natura di presunti fenomeni miracolosi. Per decifrare i segni connessi alle
manifestazioni paranormali, spesso ad Antinori non bastano l’intuizione e
l’erudizione personali: oltre che dell’importante aiuto di Claudia, Gabriel si
avvale spesso della consulenza di Pietro e Giulia, brillanti ricercatori
universitari che fanno coppia anche nella vita, e delle preziose dritte di padre
Alonso, stravagante archivista della Congregazione. Responsabile di questa è lo
zio di Gabriel, monsignor Demetrio Antinori, un mentore ambiguo di cui a
inizio serie sappiamo essere per il nipote una figura di riferimento sin
dall’infanzia, da quando, dopo la morte in un incidente dei genitori, se ne è
preso cura. Le sue attenzioni verso il giovane sono tali che tenta di favorirlo
nella nomina per un posto nel Direttorio della Congregazione, carica per cui è
in lizza con padre Isaia, che mal tollera l’occhio di riguardo di Demetrio verso
il nipote e che è disposto a tutto pur di screditare l’avversario.
I presunti miracoli, per Gabriel, non sono soltanto una stimolante materia di
indagine, ma rappresentano un mistero con il quale egli sa di aver convissuto
sin dall’età di dieci anni quando, dopo essere caduto dal tetto di casa, è riuscito
a salvarsi. Ma quell’esperienza, di cui non ricorda praticamente nulla e da cui sa
solo di aver ereditato qualche disfunzione cerebrale, continua a tormentarlo: ha
frequenti allucinazioni e incubi ricorrenti che hanno come denominatore
comune la figura del padre e gli istanti precedenti il suo salto nel vuoto, un
gesto di cui non ha mai conosciuto le vere motivazioni. Quando scopre di
essere a sua volta in possesso di un dono taumaturgico - lo spettatore lo scopre
insieme a lui, nel secondo episodio, e sulla sua infanzia sa quello di cui è a
conoscenza fino a quel momento lo stesso personaggio -, grazie al quale può
riportare in vita persone che hanno appena cessato di respirare, arriva per lui il
momento di confrontarsi con se stesso e soprattutto con il suo passato.
La ricerca da parte di Gabriel della verità sul suo potere miracoloso e sulla sua
famiglia costituisce il principale tirante del plot orizzontale della serie.
Un’importante linea narrativa che contribuisce a sostanziarlo è quella
riguardante le attività di una misteriosa società segreta interessata ai medesimi
soggetti paranormali su cui indaga il prete. Ma il vero obiettivo del leader di
questa organizzazione, l’enigmatico Serventi, è proprio Antinori: a conoscenza
del suo dono, lo mette spesso alla prova, convinto che egli sia il messia
annunciato dalla profezia contenuta nell’Antivangelo, il testo esoterico sul
quale, nella visione della setta, dovrà sorreggersi il nuovo ordine religioso che
prenderà il posto delle istituzioni cattoliche. Il manoscritto riconosce il nuovo
leader spirituale nel figlio concepito da un uomo di chiesa e da una donna laica.
88
Ed è proprio questa la sconvolgente verità sulla nascita di Gabriel, il quale
arriva infine a scoprirla, grazie all’aiuto di Claudia e di padre Alonso, e a quello
di un medium la cui famiglia era implicata nelle attività di Serventi. Tutto ciò
che Antinori sa a proposito della sua infanzia si rivela così una menzogna: il
suo vero padre è in realta lo zio, Demetrio, in combutta con lo stesso Serventi
per far sì che la profezia si realizzasse; la madre non è morta come crede, bensì
riveste un importante ruolo nella setta; colui che considerava il suo vero
genitore, dopo aver scoperto il tradimento della moglie, è stato ucciso dallo
stesso Demetrio. Inoltre, i reali avvenimenti della notte dell’incidente si
riveleranno connessi a questa verità nascosta, e Gabriel scoprirà che a
procurargli il coma era stato il suo primo tentativo di esercitare il proprio dono,
nel tentativo di riportare in vita la madre precipitata dal tetto di casa.
Vale la pena evidenziare la peculiarità della caratterizzazione e dello statuto del
protagonista de Il tredicesimo apostolo. Il titolo stesso della fiction, nonché il suo
sottotitolo, Il prescelto, suonano come una dichiarazione di intenti: oltre
all’evocazione di una sfera di suggestioni relative a un determinato
immaginario, emerge un ben preciso inquadramento di categoria del
personaggio di cui il pubblico seguirà le vicende. Antinori, in virtù della sua
missione e delle sue qualità paranormali, si differenzia in modo netto dalle
figure in abito talare del fictionscape italiano. Mentre Don Matteo e il Don
Marco di Un prete tra noi, carismatiche guide morali-spirituali dalla profonda
umanità sono, come la maggior parte dei nostri protagonisti del piccolo
schermo, eroi di spessa pasta mimetica, Gabriel possiede i tratti dell’eroe altomimetico e dell’eroe mitico. Mentre i primi gli derivano dalle capacità
intellettuali e dalle spiccate doti intuitive finalizzate a decodificare i fenomeni
paranormali, i secondi sono espressione della natura dei suoi poteri
taumaturgici. Gabriel è consapevole di avere delle responsabilità derivanti da
questo dono, ma non ha il totale controllo su di esso: ad ogni modo sa che la
chiave per comprenderlo appieno sta da un lato nel suo nebuloso passato,
dall’altro nelle informazioni che potrebbe rivelargli Serventi.
Profondamente mimetico e più in linea con i canoni della nostra fiction è
invece lo statuto di Claudia Munari, l’affermata psicologa che affianca Gabriel
nelle indagini sui fenomeni straordinari. Scettica per vocazione e
sistematicamente pronta a mettere in discussione gli slanci di fede del prete, è
in realtà una donna fragile e problematica, che nel privato vediamo spesso
confidarsi con una sua collega e amica. Della sua back-story ci vengono rivelati
pochi dettagli: sappiamo che ha passato l’infanzia in collegio, dove
probabilmente ha maturato una presa di distanza nei confronti dei precetti
religiosi, e che ha un rapporto conflittuale con il padre, che non vede da diversi
anni. Claudia incontra Gabriel nel primo episodio: i due si incrociano
casualmente, chiamati a pronunciarsi sul medesimo caso inspiegabile, la donna
89
per conto dei servizi sociali. Tra di loro il feeling è immediato, nonostante le
antitetiche inclinazioni intellettuali e di spirito. Da quel momento avviano una
assidua collaborazione che, oltre alle rispettive competenze professionali, ne
mette in gioco anche i sentimenti. Reciprocamente attratti l’uno dall’altra, è
Claudia a esternare maggiormente il suo innamoramento verso Gabriel il quale,
a sua volta, vive un forte conflitto tra le sue pulsioni più recondite e gli ideali
che lo hanno portato a ricoprire l’incarico di sacerdote. Nonostante le
incertezze e le resistenze di Antinori, Claudia si rivela per lui una figura
fondamentale, che lo aiuterà a convivere con il suo dono e a far luce sul suo
passato e sulle trame oscure che connettono Demetrio a Serventi.
4. L’impianto narrativo
Dal punto di vista produttivo, la fiction si inserisce concettualmente nel filone
a lunga serialità di marca Taodue, che ha portato in prima serata, nei palinsesti
di Canale 5, titoli longevi e di larga presa sul pubblico quali Distretto di polizia,
R.I.S. - che ha lasciato di recente il posto alla sua ideale continuazione R.I.S.
Roma - e Squadra Antimafia. La griffe editoriale Taodue sta nella peculiare
commistione di generi moderni e non autoctoni, quali ad esempio la detection
e la mafia-story, con quelli più affini alla nostra tradizione, come il
melodramma e la commedia. Questa confluenza di differenti immaginari
prende vita tramite il formato della serie serializzata (fa eccezione in questo
caso Squadra Antimafia, che è un miniserial), in cui il vero e proprio baricentro
narrativo, più che nei casi episodici prettamente di genere, risiede nel massiccio
running plot, teso ad assicurare alti livelli di melodrammaticità e di suspense
attraverso la messa in gioco dei sentimenti e della vita stessa dei protagonisti.
Vediamo ora come Il tredicesimo apostolo declina l’immaginario fantastico
all’interno di queste strutture formali fortemente codificate.
La natura dei casi episodici della fiction afferisce in toto al mistery. Ma in cosa
consistono esattamente i fenomeni paranormali su cui Gabriel e Claudia
indagano? È chiaro il non trascurabile debito che Il tredicesimo apostolo ha verso
X-Files, oltre che per la caratterizzazione dei personaggi principali, per ciò che
concerne la matrice di suggestioni dalla quale attingono i plot verticali. Ecco
nel dettaglio gli eventi oggetto di indagine: due fratellini levitano durante il
sonno; una donna usa dei disegni come anatemi; un medium prevede la morte
di una bambina; un ragazzo rivive una sua vita precedente; una bambina,
scomparsa da anni, riappare all’improvviso, uguale a come era il giorno in cui è
sparita; una ragazza provoca fenomeni di combustione con la forza del
pensiero; una donna vergine rimane incinta; una paraplegica riacquista l’uso
delle gambe; una setta tiene prigioniero un bambino, reputandolo il nuovo
messia; un fantasma infesta una villa. Queste sono le situazioni di partenza dei
90
casi episodici, dalle quali prendono le mosse le azioni della coppia di indagatori.
Ma il loro agire, al contrario di quello che sembrerebbero suggerire gli
accadimenti, il più delle volte travalica la mera indagine conoscitiva per
sconfinare in un coinvolgimento fisico, oltre che emotivo: lo sviluppo delle
vicende, più che muoversi sui canoni dell’enigma a tinte soprannaturali, procede
perlopiù lungo i binari della suspense. Gabriel e Claudia hanno infatti spesso a
che fare con situazioni che progredendo coinvolgono in maniera pericolosa,
oltre ai diretti interessati, le persone a loro più vicine o i piccoli microcosmi
sociali nei quali vivono. I due si trovano quindi a dover evitare il peggio, e di
conseguenza la domanda implicita nel racconto sulle vere cause del fenomeno
paranormale si tramuta in un interrogativo sul “come” si svilupperanno gli
eventi, e su quali saranno le conseguenze. A questi interrogativi si aggiungono
quelli, di altra natura, strettamente connessi allo sviluppo del running plot.
La linea orizzontale, come detto in precedenza, è centrata sulla vicenda
personale di Gabriel e sulle attività dell’organizzazione di Serventi, storyline
destinate a convergere armonicamente negli episodi finali de Il tredicesimo
apostolo. Qui il mistery va a braccetto con il retaggio melodrammatico più
classico: forti polarizzazioni etiche, intrighi familiari, situazioni cariche di
suspense, l’agnizione finale. La fiction non fa quindi eccezione nei confronti
dei titoli Taodue citati in precedenza: le tematiche fantastiche vanno ad
arricchire la gamma dei generi con i quali la casa di produzione, di volta in
volta, configura serialmente le dinamiche del feuilleton. C’è poi il subplot
relativo al forte legame tra Gabriel e Claudia: anche qui il racconto si muove su
coordinate note, quelle melodrammatico-sentimentali, ma data la peculiarità
della figura di Antinori viene messa la sordina sugli step caratterizzanti storie di
questo tipo. Il loro rapporto sui generis vive così più di suggestioni ed
incertezze che dell’aspettativa di una concreta realizzazione affettiva.
5. La declinazione del fantastico
La contaminazione del mistery con i canoni del racconto popolare e il relativo
innesto in un impianto seriale già rodato, se da una parte ha garantito la
“riconoscibilità editoriale” de Il tredicesimo apostolo, dall’altra ha contribuito
senz’altro, come confermato dall’elevato share d’ascolto della fiction, alla
familiarizzazione con modi di racconto culturalmente distanti dalla nostra
tradizione. Di più, quest’operazione ha permesso una inedita declinazione, sia
dal punto di vista iconico che tematico, di un immaginario puntigliosamente
codificato come quello della religione cattolica. D’altro canto, possiamo però
affermare che, in questa sorta di incasellamento aprioristico in un dato
modello, anche se vincente, le potenzialità dei toni e delle strutture del
fantastico hanno trovato dei limiti espressivi, che a loro volta hanno avuto
91
ripercussioni sulla limpidezza del concept di serie. Sintomo più immediato della
problematica integrazione tra il campionario di risorse espressive del mistery e le
robuste morfologie di marca Taodue sono i dati relativi agli ascolti dei singoli
episodi della serie: dal primo all’ottavo i dati decrescono costantemente, con
una differenza di quasi tre milioni tra gli estremi, per poi risalire gradualmente
fino all’ultima serata. Numeri emblematici di un interesse parzialmente
scemato, come se il racconto, di settimana in settimana, non avesse mantenuto
delle aspettative. Cerchiamo di capire il perché di questa perdita di pubblico.
Un prezioso aiuto per la nostra analisi ci viene dalle riflessioni di Tzvetan
Todorov sul genere fantastico, raccolte in La letteratura fantastica. Ne citiamo un
passo fondamentale:
Così penetriamo nel cuore del fantastico. In un mondo che è sicuramente il
nostro, quello che conosciamo […] si verifica un avvenimento che, appunto,
non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare. Colui che
percepisce l’avvenimento deve optare per una delle due soluzioni possibili: o si
tratta di un’illusione dei sensi, di un prodotto dell’immaginazione, e in tal caso
le leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure l’avvenimento è
realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà è
governata da leggi a noi ignote […] Il fantastico occupa il lasso di tempo di
questa incertezza; non appena si è scelta l’una o l’altra risposta, si abbandona la
sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile, lo strano o il
meraviglioso. Il fantastico è l’esitazione provata da un essere il quale conosce
soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente
soprannaturale.1
L’ambiguità, l’incertezza, il dubbio sono quindi i requisiti quintessenziali dei
racconti fantastici. Il genere sprigiona tutte le proprie potenzialità all’interno di
questo cono d’ombra, in cui i personaggi cercano di fare, per quanto riescono,
un po’ di luce, nel contempo confrontandosi con i loro più profondi moti
d’animo. È qui che emergono le implicazioni tematiche di questo immaginario,
alimentate dalla capacità dell’ignoto di fungere da efficacissimo elemento
catalizzatore delle dinamiche emotive e speculative.
Il tredicesimo apostolo fa senz’altro parte della categoria dei racconti fantastici: per
dirla con Todorov, la sua natura attiene al meraviglioso più che allo strano. La
narrazione è costellata di eventi regolati da un ordine “altro”, fatti che
irrompono con prepotenza nell’ordine quotidiano dei personaggi, e che
inevitabilmente lo sconvolgono. Essendo la fiction in esame un’opera seriale,
dovremmo quindi trovare in essa una peculiare “drammaturgia del dubbio”,
una messa in forma sofisticata dell’ambiguità che tenga appunto conto del
1
T. Todorov, La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 1977
92
formato narrativo, nello specifico quello della serie serializzata. Come si
inserisce quindi l’essenza del mistery, letta sotto questa lente, ne Il tredicesimo
apostolo? Il racconto, nella sua globalità, può dirsi compiuto in questo senso?
L’elemento fantastico più potente è da rinvenire nella presa di coscienza da
parte di Gabriel dei suoi poteri taumaturgici. Si intuisce subito che le direttrici
principali della fiction si muoveranno sul running plot, imperniato sulla lunga e
complessa, nonché affascinante, elaborazione delle incertezze di Antinori
riguardo la sua vera identità e le sue origini. Per contro, non è ben focalizzata, a
livello sintattico e semantico, la dimensione episodica della serie,
potenzialmente l’arena elettiva del dubbio e quindi cuore pulsante del concept.
È da una parte nelle dinamiche tra Antinori e Claudia, come detto personaggi
parzialmente ispirati a Mulder e Scully di X-Files, e dall’altra nella strutturazione
e nella natura delle indagini che li vedono protagonisti che manca il quid
necessario a fare de Il tredicesimo apostolo un racconto davvero compiuto. Un
rapido parallelo proprio con la serie americana, che al contrario è un caso
esemplare di drammatizzazione della questione cruciale alla base del fantastico,
può aiutarci a chiarire la questione, a maggior ragione proprio perché il
prodotto in esame mutua da essa alcuni elementi chiave. Vediamo la differenza
tra i due titoli nei loro aspetti più immediatamente tangibili.
Mentre in X-Files emerge, come vera e propria spina dorsale del racconto, il
confronto tra antitetici punti di vista (conflitto che al suo massimo grado verte
sul mistero stesso dell’esistenza), tra Gabriel e Claudia, rispettive incarnazioni
delle istanze della fede (Gabriel in questo senso può essere considerato una
sorta di Mulder al quadrato) e della scienza, la dialettica stenta ad emergere e a
trovare dei temi privilegiati da dibattere. Paradossalmente, la tensione
principale tra i due si rinviene nel loro rapporto affettivo sui generis, che va a
rinforzare l’impalcatura melodrammatica della serie. Inoltre l’interazione tra
Gabriel e Claudia sembra soffrire della mancanza di un compito
istituzionalizzato che accomuni la coppia, e quindi di quell’insieme di finalità e
competenze condivise che contribuiscono a declinare e sostanziare il conflitto
tra opposti. Antinori agisce per conto della Congregazione, ha un movente ben
radicato che lo spinge a investigare e inoltre può contare su un repertorio di
conoscenze e materiali utili a comprendere meglio il fenomeno indagato:
possiamo ben dire di trovarci di fronte ad un eroe ricorrente, le cui
caratteristiche trovano consonanza nella natura dei casi. Claudia, al contrario,
viene coinvolta nelle vicende episodiche dallo stesso Gabriel, alla stregua di
“consulente speciale”: le motivazioni che la spingono ad agire appaiono più
sfumate rispetto a quelle della sua controparte, sospese tra la mera curiosità e la
molla affettiva.
93
Se manca il terreno fertile al conflitto tra opposti, è anche perché le indagini
perdono parte della loro potenziale ambiguità, e quindi del loro fascino, una
volta individuata con certezza all’inizio del racconto, nelle qualità di Gabriel,
l’esistenza dell’elemento soprannaturale. Il parziale statuto di eroe mitico di
Antinori si riverbera, oltre che nel rapporto con Claudia, sui toni dei casi
episodici: questi, spesso modellati sul registro della suspense piuttosto che su
quello dell’indagine conoscitiva tout-court (foriero del confronto tra i diversi
punti di vista), non di rado esaltano le qualità di Gabriel, intento a salvare delle
vite, quando non a “resuscitarle”. In questi casi, l’utilizzo di un espediente
puramente melodrammatico inficia la coerenza nella risoluzione del plot
verticale. Altro elemento che concorre alla nebulosità del concept concerne il
filo rosso che accomuna le indagini. In X-Files la coppia di detective si
confronta, durante le nove stagioni della serie, con una sterminata casistica di
fenomeni paranormali: questi, pur nella loro eterogeneità, vanno a comporre a
mo’ di tasselli un armonico e sofisticato mosaico, la cui chiave di lettura risiede
nelle implicazioni fantascientifiche e fantapolitiche su cui sono imperniate le
tematiche del racconto. Ne Il tredicesimo apostolo, al contrario, manca una
macrocornice di suggestioni che funga da collante per l’ampia diversificazione
dei casi: l’impressione è piuttosto quella di trovarsi di fronte a fatti isolati, tra
loro flebilmente legati, di importanza secondaria rispetto al running plot. La
principale funzione della dimensione episodica deve piuttosto essere
individuata in territorio extradiegetico, in quanto elemento che concorre nel
creare una struttura seriale, piuttosto che come modalità di declinazione del
tema di serie.
Proprio quest’ultima affermazione è emblematica dell’attitudine della nostra
fiction, anche a contatto con immaginari non autoctoni, a rimanere arroccata
su morfologie seriali prestabilite, a vocazione generalista, in cui la fidelizzazione
del pubblico è delegata principalmente ai toni melodrammatici (e/o a quelli
leggeri della commedia) e alle forme del racconto popolare. All’interno di
questi formati la dimensione prettamente episodica delle storie viene
penalizzata, privata di spessore e relegata in secondo piano. Abbiamo visto che
il modello editoriale in cui si inscrive Il tredicesimo apostolo non fa eccezione: le
strutture e gli elementi intrinseci del fantastico, lungi dal trovare una
tematizzazione coerente e compiuta, si palesano più che altro nei loro aspetti
più superficiali e spettacolari, spesso connessi al melodramma. Ma la serie è
comunque riuscita nell’intento di catturare l’attenzione del pubblico,
proponendo coraggiosamente un sottogenere, il mistery, quasi del tutto estraneo
alle corde nazionali. Il risultato finale, pur con i suoi limiti, è quindi uno
stimolante viatico per nuovi e più consapevoli tentativi di indigenizzazione di
immaginari internazionali.
94
PARTE SECONDA
Schede dei programmi della stagione 2011-2012
Le schede sono state redatte da: Giacomo Gailli, Elena Giogli, Domenico
Ierone, Fabrizio Lucherini, Annalucia Natale, Samuela Vannuccini
FILM-TV/ COLLECTION
96
L’affondamento del Laconia – 12 settembre 1942
Film-tv (120')
Canale 5 – Prima serata
Domenica 2 ottobre 2011
Ascolto (in migliaia): 2.362
Share: 10,82%
Regia: Uwe Janson
Soggetto e sceneggiatura: Alan Bleasdale
Musiche: Enjott Schneider
Produzione: Publispei, teamWorx, Talkback Thames, in collaborazione con ARD Degeto,
SWR, BBC, Eos Entertainment
Produttori: Nico Hoffmann, Klaus Zimmermann, Johnatan Young, Juergen Schuster, Tobias
Haas, Sara Geater, Lorraine Heggessey
Interpreti: Franka Potente, Ken Duken, Andrew Buchan, Matthias Koeberlin, Thomas
Kretschmann, Jacob Matschenz, Frederick Lau, Simon Verhoeven, Brian Cox, Lindsay
Duncan, Ludovico Fremont
1942, Oceano Atlantico, al largo della costa occidentale africana. A bordo del
mercantile inglese Laconia, oltre all’equipaggio e ai civili britannici, viaggiano
soldati polacchi e 1800 prigionieri di guerra italiani. L’attacco all’imbarcazione
da parte di un sommergibile tedesco segna l’inizio di una lunga odissea sia per i
sopravvissuti sia per gli stessi uomini del Reich, guidati dal capitano
Hartenstein. L’ufficiale, resosi conto che tra i superstiti, oltre ai militari inglesi,
vi sono civili e alleati italiani, cerca di riparare alle errate direttive del Comando
portando in salvo e accogliendo nell’U-Boot i naufraghi. Tra questi, tre
personaggi per i quali la tragedia si rivela occasione di solidarietà reciproca e di
riscatto personale: Hilda, ragazza tedesca che, pur di portare in una nazione
libera la nipotina orfana di pochi mesi, si finge passeggera inglese; l’ufficiale
inglese Mortimer, cui i soldati del Reich hanno ucciso la famiglia e l’unico a
conoscere il segreto di Hilda; l’orgoglioso tenente italiano Vincenzo Di
Giovanni, deciso a riscattare se stesso e i suoi commilitoni dalle vessazioni
subite a bordo del Laconia. Hartenstein, nel tentativo di favorire i soccorsi,
tratta con gli inglesi, che temendo una trappola scaricano la responsabilità di
ogni scelta agli americani; ma questi non comprendono la gravità della
situazione e bombardano il sommergibile. Il comandante tedesco troverà
comunque il modo di portare in salvo i superstiti del disastro, guadagnandosi in
patria una Croce al valore.
Coproduzione di alto profilo, la fiction narra un episodio poco conosciuto
della seconda guerra mondiale, in cui persero la vita più di mille soldati italiani.
Concepita come miniserie in due puntate, in Italia è stata rimontata nel
formato del film-tv, utilizzando l’espediente della voce narrante fuori campo
(quella di Di Giovanni) per sopperire ai tagli: una scelta che, pur non inficiando
la resa dei temi a base della narrazione (solidarietà, senso di responsabilità) e
delle motivazioni dei personaggi, confonde nell’individuazione di un chiaro
protagonista (presumibilmente Hartenstein nella versione integrale). (D.I.)
97
Il delitto di Via Poma
Film-tv (100’)
Canale 5 – Prima serata
Martedì 6 dicembre 2011
Ascolto (in migliaia): 3.882
Share: 14,72%
Regia: Roberto Faenza
Soggetto: Pietro Valsecchi
Sceneggiatura: Antonio Manzini, Roberto Faenza
Musiche: Andrea Farri
Produzione: RTI, Taodue
Produttori: Giuseppe Scrivano (RTI), Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt (Taodue)
Interpreti: Silvio Orlando, Giulia Bevilacqua, Michele Alhaique, Astrid Meloni, Giorgio
Colangeli, Rosa Pianeta, Claudio Botosso, Imma Piro, Lorenzo Lavia, Fabrizio Traversa,
Angelo Maggi, Paolo Buglioni, Alessio Caruso, Alessandro Giuggioli, Luca Cimma, Vittorio
Ciorcalo, Maria Laura Rondanini, Sergio Graziani, Daniela Piperno, Paolo Maria Scalondro,
Milena Miconi, Paolo Bernardini, Sebastiano Lo Monaco, Massimo Popolizio,
Marzo 2010. Un uomo si suicida lasciandosi annegare dopo aver ingerito dei
sedativi. E’ l’anziano Pietrino Vanacore, portiere dello stabile romano di Via
Poma dove il 7 agosto 1990 venne assassinata Simonetta Cesaroni. Il gesto
estremo di Vanacore è conseguente della riapertura del processo sul delitto per
il quale, dopo 20 anni, non c’è ancora un colpevole. Dopo questo breve
prologo il racconto torna all’agosto del 1990, presentando Simonetta, 21 anni,
che vive con i genitori e lavora come segretaria contabile. Il pomeriggio del 7
agosto la ragazza si reca in ufficio, deserto a causa delle vacanze estive, per
sbrigare delle pratiche. Quando i familiari non la vedono tornare per cena
cominciano una ricerca sempre più angosciosa, che culmina con il
ritrovamento del cadavere della ragazza. Le indagini, affidate all’ispettore
Montella, sono problematiche: la scena del crimine è di difficile lettura
probabilmente a causa di un depistaggio, tutte le persone coinvolte (dal
portiere dell’elegante palazzo, ai datori di lavoro e alle colleghe della vittima)
sono reticenti, la stampa monta il caso puntando sugli aspetti più pruriginosi.
Montella procede con caparbietà alla ricerca del colpevole, ma è ostacolato dai
suoi stessi superiori che conducono le indagini senza la cura necessaria,
inimicandosi i familiari della vittima e commettendo clamorosi errori, come
l’arresto di Vanacore. La narrazione si concentra sul primo mese delle indagini,
poi procede per ellissi dando conto delle periodiche riaperture del caso, e si
conclude con il processo d’appello al fidanzato dell’epoca di Simonetta,
condannato in primo grado e prosciolto in appello, pochi mesi dopo la messa
in onda della fiction. La ricostruzione di un celebre caso di cronaca nera
diventa l’occasione per il ritratto di un Paese in cui l’omertà è un habitus
mentale che accomuna le diverse classi sociali. Attori in parte, ricostruzione
d’epoca accurata, narrazione scevra da eccessi e forzature: sono molti i pregi di
questo film-tv, un prodotto superiore alla media della fiction italiana. (F.L.)
98
Noi credevamo
Film-tv (165’)
Raitre – Prima serata
Venerdì 30 dicembre 2011
Ascolto (in migliaia): 1.199
Share: 5,32%
Regia: Mario Martone
Soggetto: Anna Banti
Sceneggiatura: Mario Martone, Giancarlo De Cataldo
Musiche: Hubert Westkemper, Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gioacchino Rossini
Produzione: Palomar, Rai Cinema, Les Films d’Ici, ARTE France
Produttori: Carlo Degli Esposti, Conchita Airoldi, Giorgio Magliulo, Serge Lalou, Carlo
Cresto-Dina
Interpreti: Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Andrea Bosca, Edoardo
Natoli, Guido Caprino, Renato Carpentieri, Michele Riondino, Peppino Mazzotta, Franco
Ravera, Stefano Cassetti, Andrea Renzi, Ivan Franek, Luigi Pisani, Roberto De Francesco,
Toni Servillo, Luca Barbareschi, Fiona Shaw, Luca Zingaretti, Anna Bonaiuto, Giovanni
Capalbo, Pietro Manigrasso, Pino Calabrese, Enzo Salomone, Alfonso Santagata
Cilento, 1828. Domenico, Angelo e Salvatore sono tre amici che credono
nell’ideale dell’Italia unita, e aderiscono al movimento mazziniano. Salvatore
persegue la causa in modo ingenuo, Domenico è invece un uomo riflessivo e di
saldi principi, Angelo infine, è collerico e impulsivo, invasato e incline alla
violenza. I tre si impegnano nella lotta per l’unità d’Italia prendendo tre strade
diverse. Salvatore, a causa della sua ingenuità, verrà accusato di tradimento e
ucciso da Angelo, che diverrà uno dei più agguerriti e violenti sostenitori del
movimento. Domenico, invece, scrive e studia e insieme ad altri intellettuali
passerà un lungo periodo in carcere, rifiutandosi di chiedere la grazia. Angelo,
in seguito ad alcune azioni terroristiche, rimane ucciso dalle autorità e resta
solo Domenico ad assistere alla fine della sua epoca. Si unisce a Garibaldi, lotta
per l’Italia e alla fine di tutto, nonostante la nazione sia unita, lo sguardo di
Domenico è disincantato e deluso. Assiste a una seduta del Parlamento e sente
che i discorsi dei politici si sono fatti di nuovo vuoti, mentre i ricchi sono
tornati ad arricchirsi e i poveri alle loro miserie. A livello di struttura narrativa,
la scelta fondamentale riguarda le strade dei tre protagonisti, che si dividono
presto, il che diminuisce la forza della storia d’amicizia e il peso del tema
personale in favore di quello storico dell’unità d’Italia. Attraverso i tre
protagonisti e i loro diversi atteggiamenti - ingenuità e prudenza, spirito critico
e violenza - gli autori rappresentano tre aspetti inconciliabili dello stesso
sentimento patriottico, inconciliabilità che si riflette sul suo esito: un’Italia unita
ma incompiuta, incapace di risolvere le sue contraddizioni. Noi credevamo,
versione televisiva del film già uscito nelle sale, è un prodotto accurato nella
confezione e lento nella progressione degli eventi, che traccia un affresco
critico del Risorgimento e della sua eredità storica. (G.G.)
99
A fari spenti nella notte
Film-tv (100')
Rai Uno – Prima serata
Martedì 21 febbraio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 4.900
Share media: 17,66%
Regia: Anna Negri
Soggetto: Umberto Mattone, Alessandra Murri
Sceneggiatura: Giovanna Koch, Fabrizia Midulla con la collaborazione di Umberto Mattone
e Alessandra Murri
Musiche: Dominik Scherrer
Produzione: Ocean Productions, Rai Fiction
Produttori: Doriana Caputi (Rai), Sergio Giussani (Ocean Productions S.r.l)
Interpreti: Guido Caprino, Anita Caprioli, Francesca Inaudi, Federico Pacifici, Manfredi
Aliquo', Maria Rosaria Omaggio
Roma. Stefano è un giovane benestante che trascorre le sue giornate all'insegna
della sregolatezza solo per infastidire il padre. In occasione del matrimonio di
due suoi amici, Leo e Maria, Stefano viene incaricato di fare da
accompagnatore a Chiara, graziosa neurologa, e tra i due scatta subito una
simpatia. Improvvisamente il padre di Stefano muore. Il ragazzo, sconvolto,
dopo il funerale scappa in una folle corsa in moto, resta coinvolto in un
incidente e viene ricoverato in coma nello stesso ospedale dove lavora Chiara,
la quale ha modo di conoscere la madre di Stefano, Federica, e una donna di
nome Antonia che dice di essere la moglie di Stefano. In realtà si tratta di
un'attricetta che Stefano aveva ingaggiato per far infuriare il padre. Ora che il
giovane è in coma, Antonia cerca, insieme al suo amante, di raggirare la
famiglia di Stefano per rubare i suoi soldi. Al suo risveglio, Stefano è
paraplegico e privo di memoria e Antonia ne approfitta per portare avanti il
suo piano che grazie ai sospetti di Chiara viene sventato. Chiara intuisce che c'è
qualcos'altro che impedisce a Stefano di ricominciare a camminare: il ragazzo
durante l'infanzia ha subìto dei traumi a causa di suo padre, che non accettando
la sua dislessia, cercava in tutti i modi di correggerlo per renderlo simile a lui.
Con l'aiuto di Chiara, Stefano supera finalmente questo trauma infantile, e
riesce ad avere una vita normale. Nella prima parte il racconto è più disteso e
focalizzato sul vissuto emotivo dei personaggi, nella seconda parte il giallo si fa
intricato e procede sul doppio binario del noir (il complotto di Antonia) e del
mistero sepolto nel passato di Stefano. La storia, liberamente ispirata a quella
vera del co-sceneggiatore Umberto Mattone, è molto densa dal punto di vista
narrativo, soprattutto per l’elevata commistione di generi: c’è il melò familiare e
la storia d’amore, il complotto noir e l’indagine piscologica. Ma c’è anche il
tema della dislessia, di cui, attraverso dei flash back esplicativi, si raccontano gli
aspetti più critici delle cure messe in atto fino ad alcuni anni fa. Il risultato
finale è sufficientemente coeso e interessante ma poco riconoscibile rispetto
agli standard della fiction domestica. (E.G)
100
6 passi nel giallo
Collection (6 x 100')
Canale 5 – Prima serata
Mercoledì dal 22 febbraio al 28 marzo 2012
Ascolto medio (in migliaia): 3.268
Share media: 11,98%
Regia: Lamberto Bava, Roy Bava, Edoardo Margheriti
Soggetto e sceneggiatura: Stefano Piani, Fabrizio Lucherini, Alberto Ostini, Brian Hampton,
Stefano Sudrié. Story editor: Stefano Piani.
Musiche: Alessandro Molinari
Produzione: Leader Film Company, RTI
Produttori: Raffaello e Cristina Monteverde (Leader), Cristina Pittalis (RTI)
Interpreti: Andrea Osvart, Craig Bierko, Alessandro Riceci, Eliana Miglio, Roberto Zibetti,
Adriano Giannini, Katrina Law, Enrico Silvestrin, Matt Patresi, Demetri Goritsas, Giorgia
Surina, Elisabetta Pellini, Nicolas Vaporidis, Paolo De Vita, Daniele Pecci, Erica Durance,
Tomas Arana, Marco Leonardi, Rob Estes, Ana Caterina Morariu, Clayton Norcross, Kevin
Sorbo, Jane Alexander, Andrea Miglio Risi, Cosimo Fusco, Antonio Cupo
6 passi nel giallo è una collection di sei film-tv tenuti insieme dall’appartenenza al
genere thriller e ambientati nell’area del Mediterraneo, tra Malta, la Sicilia e la
Puglia. Le storie: una medium, dopo aver sognato una bambina minacciata da
un uomo misterioso, coinvolge un detective nella ricerca della piccola; una
guardia del corpo deve proteggere una coraggiosa giornalista vittima di minacce
di morte; un ex profiler dell’FBI, deciso a tagliare i ponti con il suo passato
professionale, si ritrova a indagare sul ritorno di un serial killer; una donna si
rivolge ad un commissario di polizia per ritrovare la sorella gemella scomparsa
e sospettata di omicidio; uno scrittore di successo, accusato ingiustamente
dell’omicidio della moglie, è costretto a nascondersi e a improvvisarsi detective
per scoprire chi lo ha incastrato; una banda di rapinatori in fuga trova rifugio in
una villa e prende in ostaggio la famiglia che ci abita.
La collection, al di là della differente riuscita delle storie di cui si compone, è un
vero e proprio caleidoscopio narrativo delle molteplici declinazioni del thriller:
i racconti abbracciano sia le forme più pure e tradizionali del genere sia quelle
più claustrofobiche e noir, integrandosi anche - in uno dei film - con il
paranormale. È esplicita l’influenza della lezione crime dell’ultimo ventennio
hollywoodiano - un elemento che insieme alla presenza nel cast di guest-star
americane denota il respiro internazionale del progetto -, ma l’interesse della
collection va ricercato soprattutto nel tentativo di ricreare quelle suggestioni,
quelle atmosfere cupe e ambigue, che hanno caratterizzato un certo cinema
italiano di genere degli anni Settanta-Ottanta (al quale rinviano esplicitamente i
nomi dei registi, Bava e Margheriti, figli d’arte). (D.I.)
101
Mai per amore
Collection (4x100’)
Rai Uno – Prima serata
Martedì dal 27 marzo al 17 aprile 2012
Ascolto medio (in migliaia): 4.749
Share media: 16,98%
Regia: Lilliana Cavani, Marco Pontecorvo, Margarethe Von Trotta
Soggetto di serie: Angelo Pasquini, Roberto Tiraboschi
Sceneggiatura: Angelo Pasquini, Liliana Cavani, Roberto Tiraboschi, Andrea Purgatori
Musiche: Andrea Farri, Mauro Pagani, Lucio Gregoretti, Francesco De Luca, Alessandro
Forti; sigla di Gianna Nannini
Produzione: Rai Fiction, Ciao Ragazzi!
Produttori: Claudia Mori (Ciao Ragazzi!), Tonino Nieddu (Rai Fiction)
Interpreti: Antonia Liskova, Massimo Poggio, Carolina Crescentini, Francesca Inaudi, Bruno
Wolkovitch, Alessio Boni, Stefania Rocca, Nina Torresi, Clara Dossena, Ninni Bruschetta,
Barbora Bobulova, Thomas Trabacchi, Esther Ortega, Gaetano Bruno
Mai per amore è una collection composta da 4 storie autonome che mettono in
scena diverse declinazioni del medesimo tema: la violenza sulle donne. Troppo
Amore. Livia si innamora di un professore facoltoso e sicuro di sé che si rivela
però geloso e violento. Quando cerca di allontanarlo, lui reagisce seguendola e
aggredendola. Ragazze in web. Claudia e Silvia sono studentesse universitarie che
dividono lo stesso appartamento. Claudia ha problemi economici e si mantiene
facendo la webcam girl. Chattando, si fa coinvolgere da un cliente facoltoso
con cui accetta di uscire. L’uomo, freddo e solitario, che la lascia a se stessa
quando la scopre incinta, è il padre di Silvia. Lei, prima rompe l’amicizia con
Claudia, poi torna sui suoi passi e trova il coraggio di affrontare quel padre
anaffettivo che l’ha sempre trascurata. La Fuga di Teresa. Teresa è una ragazza la
cui madre muore in un incidente d’auto. Attraverso una serie di flashback,
motivati dalle indagini di Teresa, si scopre che il padre, un medico, è un
maniaco del controllo che, per tenerla legata a sé, drogava la moglie,
spingendola verso una profonda depressione. Helena & Glory. Helena è una
prostituta ucraina ricattata dal suo protettore che tiene in ostaggio il figlio che
hanno avuto assieme. Helena deve trovare il coraggio di ribellarsi e puntare
sull’amicizia della collega Glory per liberare il bambino. Troppo Amore e La Fuga
di Teresa sviluppano un approccio classico ed efficace nel mettere in scena la
vittimizzazione fisica e psicologica delle donne. Helena & Glory è una vicenda
di amicizia femminile ambientata in un mondo ostile. Rispetto alle altre storie,
è più ricca di azione e meno attenta all’analisi della psicologia della
protagonista. Ragazze in web, il film-tv più ambizioso e quello meno risolto, si
scontra con la difficoltà di mettere in scena il mondo dei rapporti virtuali.
Donne vittime degli uomini a cui sono affettivamente legate: è questo il punto
di vista che unifica le diverse storie. I film-tv sono realizzati con cura e un
apprezzabile grado di realismo, il cui unico limite è una qualche indulgenza
nella messa in scena degli aspetti morbosi connaturati ai temi affrontati. (G.G.)
102
I guardiani del tesoro
Film-tv (100')
Canale 5 – Prima serata
Giovedì 5 aprile 2012
Ascolto (in migliaia): 3.697
Share: 14,48%
Regia: Iain B. MacDonald
Soggetto e sceneggiatura: Richard Kurti, Bev Doyle
Musiche: Michael Richard Plowman
Produzione: RTI, Tandem Communications, Film Afrika, Prosieben Television
Produttori: Benedetta Caridi, Raffaella Bonivento (RTI), Moritz Polter
Interpreti: Raoul Bova, Anna Friel, Volker Bruch, Florentine Lahme, Patrick Lyster, Andre
Jacobs, David Sherwood
Angelo, uomo d’azione dal passato tormentato, entra a far parte della
congregazione dei Guardiani del Tesoro, un’organizzazione segreta del
Vaticano il cui scopo è localizzare e proteggere le sacre reliquie sparse per il
mondo. Obiettivo del suo primo incarico è ritrovare il leggendario anello di re
Salomone, ricercato da tempo anche dalla celebre archeologa Victoria Carter.
La donna, in possesso di preziose informazioni sul reperto, dopo qualche
resistenza accetta di collaborare con Angelo, tenendo segretamente aggiornato
il padre Teddy, anch’egli archeologo, sugli sviluppi delle ricerche. Quando
Teddy viene rapito da un gruppo di banditi al soldo del professor Elgar,
doppiogiochista collega della Carter, Victoria e Angelo devono affrontare una
corsa contro il tempo per giungere, prima degli avversari, alle informazioni utili
a rintracciare l’anello. La coppia, a cui si aggiunge in corsa lo scapestrato Luca,
fratellastro di Angelo, intraprende un frenetico e pericoloso viaggio che la
condurrà da Roma al tempio di Salomone, nel deserto della Giordania,
passando per Londra, l’Egitto e la Tunisia. Tra indizi rivelati, fughe
rocambolesche, scontri a fuoco e gli effetti di una leggendaria maledizione
legata alla sacra reliquia, il trio riesce infine a recuperare l’anello, non prima di
aver affrontato un’ultima volta i propri avversari. Victoria riabbraccia
finalmente il padre, mentre Angelo, compiuto con successo il suo primo
incarico per il Vaticano, deve già prepararsi per una nuova missione.
Il film-tv, coproduzione italo-tedesca girata in larga parte in Sudafrica, ha i suoi
riferimenti principali da una parte negli adventure movie degli anni Ottanta (la
saga di Indiana Jones, All’inseguimento della pietra verde), dall’altra nelle più recenti
produzioni mistery a sfondo religioso (Angeli e demoni). Nonostante l’intreccio sia
sin troppo lineare e la narrazione proceda più che altro per accumulo,
riducendo all’essenziale la caratterizzazione dei personaggi, il racconto non
tradisce le caratteristiche fondanti dei modelli cui attinge. Le ambientazioni
esotiche inusuali per la fiction domestica, la compressione delle transizioni
spaziali e temporali, la massiccia dose di azione, fanno de I guardiani del tesoro un
prodotto gradevole e nel complesso abbastanza riuscito. (D.I.)
103
Area Paradiso
Film-tv (100')
Canale 5 – Prima serata
Venerdì 6 aprile 2012
Ascolto (in migliaia): 3.593
Share: 16,12%
Regia: Diego Abatantuono, Armando Trivellini
Soggetto e sceneggiatura: Diego Abatantuono, Giovanni Bognetti, Armando Trivellini
Musiche: Federico De Robertis
Produzione: Colorado Film, RTI
Produttori: Maurizio Totti, Alessandro Usai (Colorado Film), Ludovica Etteri (RTI)
Interpreti: Diego Abatantuono, Ale & Franz, Ricky Memphis, Rosalia Porcaro, Karin Proia,
Gianluca Fubelli, Maria Jesus Pierabella, Stefano Costantini, Ugo Conti, Raul Cremona,
Riccardo Zinna, Marco Milano, Cinzia Mascoli, Michele Vasca, Sebastianello Genovese
Toscana. All’interno della piccola area di sosta “Paradiso” hanno luogo le
vicende della nutrita e strampalata comunità di personaggi, vera e propria
famiglia allargata, che gestisce la struttura. Furio, il responsabile delle pompe di
benzina, che da anni ha eletto l’autogrill a suo microcosmo di vita, riceve la
visita di un figlio che ignorava di avere; Poldo, il direttore del ristorante con il
vizio del gioco d’azzardo, si ritrova indebitato e costretto a ricucire il rapporto
con la moglie Marisa, la barista; Arturo, il meccanico, incontra finalmente la
donna con cui da tempo comunica su internet. La sfida più importante per il
gruppo riguarda però la sopravvivenza stessa di “Area Paradiso”: l’azienda
proprietaria ha infatti deciso che solo il più redditizio tra i due autogrill della
compagnia, situati sulla stessa strada provinciale, potrà rimanere aperto. È
l’inizio di una lotta all’ultimo cliente, fatta di alzate d’ingegno e colpi bassi, tra il
personale del “Paradiso” e il cinico responsabile della più efficiente struttura
concorrente, che alla lunga avrà la meglio. Ma Furio riesce insperatamente a
salvare il lavoro di tutti dimostrando che “Area Paradiso” è stata costruita
abusivamente sul terreno di proprietà della sua famiglia. L’azienda, pur di
evitare beghe legali, accetta così di mantenere aperto l’autogrill.
Area Paradiso è una commedia corale che poggia prevalentemente sulla
riconoscibilità del repertorio comico degli interpreti, quasi tutti provenienti dal
cabaret di trasmissioni di successo come Colorado Café e Zelig. Come spesso
accade in operazioni di questo tipo, il modellamento dei personaggi sui
rispettivi attori finisce per sacrificare alla comicità verbale le dinamiche
conflittuali interne alla comunità. Il limite principale risiede comunque nell’aver
scelto il formato breve del film-tv per un racconto affollato di caratteri e
situazioni: il parallelo e frettoloso dipanarsi delle vicende private dei
personaggi, a mo’ di serie relazionale in nuce, rimane estraneo e slegato dal plot
principale, privando così Area Paradiso di una chiara identità narrativa. (D.I.)
104
Suor Pascalina
Film-tv (100’)
Rai Uno – Prima serata
Domenica 8 Aprile 2012
Ascolto (in migliaia): 4.423
Share: 18,94%
Regia: Marcus O. Rosenmuller
Soggetto di serie: Henriette Piper, Gabriele Scheidt
Sceneggiatura: Henriette Piper, Gabriele Scheidt
Musiche: Hans Franek
Produzione: Betafilm, ARD e Rai Fiction
Produttori: Paola Pannicelli (Rai), Regina Ziegler
Interpreti: Christine Neubauer, Remo Girone, Thomas Loibl, Ulrich Gebuer, Renato Scarpa,
Tina Engel, Emily Behr
Monaco, 1919. Josephine Lehnert (suor Pascalina), viene mandata al servizio
del cardinale Eugenio Pacelli, inviato a Monaco per stringere accordi
diplomatici tra il Vaticano e la Germania nazista. Suor Pascalina, devota e
scrupolosa, non si limita a organizzare la casa e gli impegni di Pacelli ma
instaura con lui un rapporto più profondo, qusi da consigliera e confidente.
L’invidia per il suo status e il suo talento spinge gli altri membri della servitù a
denunciare suor Pascalina presso la madre superiora del suo ordine. Secondo le
calunnie, Pascalina avrebbe stretto con Pacelli una relazione indecorosa per la
quale le viene chiesto di confessarsi e fare ammenda. Lei è una donna
orgogliosa che sa di non aver fatto niente di male: protesta, agisce da ribelle e
non si piega agli ordini superiori. E’ il suo ottimo lavoro che la salva perché
Pacelli, circondato da collaboratori poco competenti, ottiene di riaverla al
fianco. La loro riunione è breve perché il monsignore viene richiamato a Roma
e portare con sé la suora sarebbe profondamente irrituale. Pascalina però non
cede, sa che il suo posto è accanto a lui; trova il modo di seguirlo e, sfidando gli
usi del Vaticano, a restargli vicina anche quando diventa Papa Pio XII. Assieme
affrontano l’incubo del nazismo: ratificano la posizione neutrale della Chiesa
per non aumentare il numero di coloro che rischiano la deportazione, e
riescono a salvare alcuni ebrei dalle SS, mimetizzandoli da Guardie Svizzere.
Suor Pascalina resterà in Vaticano fino al 1958, anno della morte di Pio XII. Il
film-tv è un biopic religioso sui generis che eleva al rango di protagonista un
personaggio che ha vissuto gli eventi storici messi in scena da comprimario. Il
ritratto di suor Pascalina, presentata come esempio di cristianità e rigore e la
cui devozione per Pacelli la fa apparire a tratti una donna quasi maniacale, è
giocato su due versanti narrativi. Il più convenzionale e drammaturgicamente
efficace, è il conflitto della protagonista contro maldicenze e convenzioni; il più
originale, ma che risente di uno sviluppo un po’ didascalico, è la relazione fra
suor Pascalina e Pacelli, vista come opportunità di raccontare il retroscena di
decisioni di portata storica che riposano non solo sulle spalle dei potenti, ma
anche su quelle di chi sta al loro fianco. (G.G.)
105
Paolo Borsellino - I 57 giorni
Film-tv
Rai Uno – Prima serata
Martedì 22 maggio 2012
Ascolto (in migliaia): 8.164
Share: 30,01%
Regia: Alberto Negrin
Soggetto e sceneggiatura: Francesco Scardamaglia
Musiche: Ennio Morricone
Produzione: Compagnia Leone Cinematografica, Rai Fiction
Produttori: Francesco e Federico Scardamaglia (Compagnia Leone Cinematografica), Carla
Capotondi (Rai Fiction)
Interpreti: Luca Zingaretti, Lorenza Indovina, Enrico Iannello, Davide Giordano, Rori
Quattrocchi, Andrea Tidona, Marilù Pipitone, Claudia Gaffuri, Bruno Torrisi
Palermo, 23 maggio 1992. Il giudice Paolo Borsellino riceve la notizia della
morte del suo amico e collega Giovanni Falcone, che ha perso la vita, assieme
alla moglie e alla scorta, in un attentato di mafia. Si tratta di una vera e propria
dichiarazione di guerra allo stato e alla legalità. Borsellino è consapevole di
essere anche lui in pericolo, visto lo strettissimo legame professionale e
ideologico con Falcone, e proprio in virtù di questo legame, sente di dover
proseguire la lotta contro Cosa Nostra, portata avanti per anni assieme a
Falcone. Ma non è una decisione che può prendere da solo: Borsellino ha una
moglie e tre figli per cui è preoccupato e si confronta con loro, ventilando la
possibilità di terminare la propria carriera di magistrato. Ma nessuno lo spinge
a lasciare le armi, sanno che la sua battaglia è troppo importante per la giustizia
e condividono con lui l’etica del dovere: fuggire sarebbe inutile e sbagliato, è
giusto restare al proprio posto senza cedere alla paura. E così Borsellino porta
avanti le indagini, capisce che la mafia si sta riorganizzando e ha messo
profonde radici nello Stato, si scontra con alcuni colleghi che fanno della lotta
alla mafia una questione di prestigio e visibilità pubblica. Più passano i giorni e
più avverte il pericolo incombente: stringe a sé la moglie e i figli cercando di
non allarmarli. Il 19 luglio del ’92 Borsellino muore in un attentato. Quello
stesso giorno la figlia, seguendo gli insegnamenti e l’esempio del padre, va
all’università a sostenere un esame. I 57 giorni del titolo sono quelli che
dividono la morte dei due giudici: un arco temporale, estremamamente
compresso, che si rivela una scelta drammaturgica efficace nello smarcare
questa fiction dal canone delle biografie televisive. Meno storica e più intimista
del Paolo Borsellino proposto da Mediaset nel 2004, la fiction presenta un
protagonista che è l’incarnazione dei valori dell’abnegazione e dell’amore per la
giustizia: un eroe, ma anche un uomo che ha paura, che è consapevole sia dei
rischi che dell’importanza della causa per cui combatte. Ben realizzato e
interpretato con convinzione da uno degli attori più importanti della fiction
italiana, il film-tv riesce nell’intento di rappresentare l’uomo e le sue doti,
mettendo in secondo piano le sue imprese. (G.G.)
106
L’una e l’altra
Film-tv (100’)
Canale 5 – Prima serata
Venerdì 25 maggio 2012
Ascolto (in migliaia): 3.444
Share: 15,31%
Regia: Gianfranco Albano
Soggetto di serie: Paola Pascolini, Emanuela Del Monaco, Antonio Cosentino
Sceneggiatura: Paola Pascolini, Emanuela Del Monaco, Antonio Cosentino
Musiche: Paolo Silvestri
Produzione: R.T.I., 11 Marzo Film
Produttori: Marco Videtta (R.T.I.), Matteo Levi (11 Marzo Film)
Interpreti: Barbara De Rossi, Paola Perego, Christopher Lambert, Luis Molteni, Monica
Dugo, Simon Grechi, Giorgio Marchesi, Francesca Ferrazza, Miriana Raschilla, Ilaria Serrato,
Ettore Belmondo
Perla è una donna raffinata, abituata agli agi e alla vita mondana. Quando
Giacomo, suo marito, muore improvvisamente, Perla scopre che anche il
patrimonio di famiglia si è dissolto. Perla allora è costretta a trasferirsi con la
capricciosa figlia Nice nell’unica proprietà rimasta a suo nome, un casale in
toscana di cui non conosceva l’esistenza. Qui trova Lucia, l’amante di
Giacomo, e le loro figlie Cassy, Tea e Pippi, che hanno sempre vissuto in
campagna, in modo semplice e con pochi soldi. Madri e sorellastre sono
ovviamenti insofferenti le une con le altre, ma le comuni difficoltà economiche
le costringono ad una convivenza e ad una collaborazione forzata. Nasce l’idea
di creare un agriturismo: se riuscissero a promuovere i loro prodotti
potrebbero accedere a un generoso fondo dell’Unione Europea a favore delle
iniziative agricole locali. Le madri, l’una all’insaputa dell’altra, finiscono
entrambe a letto con il viscido direttore di banca pur di avere il prestito di cui
hanno bisogno e, quando scoprono di essere state entrambe usate, si
vendicano prendendolo a schiaffi nella pubblica piazza. Anche sul fronte delle
figlie i problemi non mancano. La piccola Pippi non vuole che il suo maialino
venga venduto per risanare il bilancio familiare; Nice è bella e sfrontata, e il
ragazzo amato da Cassy si invaghisce di lei suscitando gelosia e screzi; Tea
decide di fare voto di silenzio e parlare solo con brevi note di sassofono.
L’una e l’altra è una commedia che mette in scena personaggi sopra le righe e
procede per accumulo di situazioni. Nel soggetto, gli spunti interessanti non
mancano: la cornice agreste e la vita di paese, la convivenza forzata di una
famiglia allargata composta da sole donne, il confronto fra due stili di vita
antitetici. Il film tenta anche la carta del fantastico per trovare un modo
originale per mettere a confronto due persone e i loro pregiudizi: Perla e Lucia
infatti, vedono entrambe il fantasma del marito come se fosse una proiezione
della propria coscienza e dei rispettivi pensieri. Ma anche questo, come gli altri
spunti, finisce per essere un espediente fine a se stesso, che non trova adeguato
sviluppo e integrazione con gli altri elementi narrativi in gioco. (G.G.)
107
MINISERIE
108
Anna e i cinque 2
Miniserie (6 x 100')
Canale 5 – Prima serata
Mercoledì dal 7 settembre al 5 ottobre, martedì 20 settembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 4.084
Share media: 16,60%
Regia: Franco Amurri
Soggetto di serie: Franco Amurri, basato sulla serie televisiva spagnola Ana y los siete, di Ana
G. Obregon
Soggetto e sceneggiatura: Stefania Bertola, Stefano Sudrié, Franco Amurri, Fabio Di Ranno,
Valeria Giasi, Nicola Guaglianone; head writer: Franco Amurri; story editor: Stefano Sudrié;
story editor RTI: Salvatore Mastria
Musiche: Stefano Cenci
Produzione: RTI, Magnolia Fiction
Produttori: Alessandra Silveri (RTI), Rosario Rinaldo (Magnolia)
Interpreti: Sabrina Ferilli, Pierre Cosso, Riccardo Garrone, Eleonora Sergio, Massimo
Ciavarro, Magdalena Grochowska, Paolo Conticini, Andrea Ferreol, Carolina Victoria
Benvenga, Alberto Galetti, Alice Bellagamba, Aurora Andreaus, Karen Ciaurro, Amedeo
Magnaghi, Luisa De Santis, Edoardo Pesce, Eleonora Gaggioli, Massimo De Rossi, Daniela
Terreri, Silvia Gavarotti, Sara Mollaioli, Gianni Franco
Roma. Anna Modigliani è ormai più che una tata per la famiglia Ferrari: è a un
passo dal matrimonio con l’imprenditore Ferdinando Ferrari, per i cui cinque
figli riveste il ruolo di vera e propria figura materna. Le precarie condizioni di
salute di Wilma, la donna che Anna crede essere la madre che non ha mai
conosciuto, la spingono a trasferirsi nella capitale per assisterla: nonostante le
bugie di Wilma sulla sua vera identità, tra di loro si instaura un forte legame.
Intanto, l’azienda Ferrari è in forte crisi: tra i responsabili, l’avvenente
Benedetta, consulente finanziario invaghita di Ferdinando ma decisa a
rovinarlo per volere del padre, banchiere senza scrupoli. Anna, ottenuta la
parte da protagonista in una soap, aiuta i ragazzi ad affrontare il difficile
periodo. La crisi sentimentale è però dietro l’angolo, sempre a causa di
Benedetta, che fa di tutto per intralciare il matrimonio tra Ferdinando e Anna.
Quest’ultima, comprese le vere intenzioni della donna, insieme ai suoi cinque
riesce a tirar fuori l’azienda dalla crisi e a rinsaldare il legame di coppia.
In Anna e i cinque 2 emergono, accanto alla commistione tra family e commedia
romantica caratterizzante la prima edizione della miniserie, il drama piuttosto
marcato del rapporto tra Anna e Wilma e il feuilleton relativo alla crisi
economica dei Ferrari, con tanto di nemico che trama nell’ombra. Questa
abbondanza di spunti disperde la dimensione tematica del racconto originario
(il contrasto fra la tata di modesta estrazione e la famiglia ricca ma scarsa di
affetti) e crea problemi di tono e di compattezza narrativa: la premessa non è
ben definita, e di conseguenza lo sviluppo è caotico, disomogeneo, mancando
di una netta gerarchizzazione tra plot principale e sottotrame. (D.I.)
109
Sangue Caldo
Miniserie (6x100’)
Canale 5 – Prima serata
Venerdì dal 9 settembre al 14 ottobre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 4.017
Share media: 17,12%
Regia: Luigi Parisi e Alessio Inturri
Soggetto: Teodosio Losito
Sceneggiature: Teodosio Losito, Luigi Montefiori, Manuela Romano, Laura Sabatino, Luigi
Spagnol, Valentina Capecci
Musiche: Stefano Caprioli
Produzione: RTI, Ares Film
Produttori: Elena Costa, Michela Palladino (Rti), Alberto Tarallo (Ares Film)
Interpreti: Asia Argento, Manuela Arcuri, Francesco Testi, Valeria Milillo, Raniero Monaco di
Lapio, Gabriel Garko, Angela Molina, Bruno Eyron, Vincent Spano, Valeria Milillo, Elena
Russo, Giulio Berruti, Brando Giorgi, Mirco Petrini, Rosalinda Celentano
Roma, 1958. Arturo La Paglia, detto Mister è un rapinatore che vuole mettere a
segno un'ultima fantastica rapina per poi vivere onestamente con Anna Rosi,
una giovane prostituta che ha due figli: Antonia e Sergio. Il complice di Mister
è Gianni Fontana, un uomo senza scrupoli che, sommerso dai debiti con la
malavita, vuole l'intero bottino della rapina. Fontana uccide Mister ma non
riesce a prendere il bottino perché Anna affida i soldi della rapina a Loretta
Pinin, la sua migliore amica, per poter garantire un futuro ad Antonia, Sergio
ed Enea, il figlio di Loretta. Le due donne scappano in Svizzera con i figli, ma
Fontana è disposto a tutto per riavere quei soldi. Il criminale trova le fuggitive,
uccide Anna e spezza per sempre la sua famiglia, separando i figli Antonia e
Sergio: lei affidata alle suore in collegio, lui venduto agli zingari. Nella miniserie
seguiamo le vicende dei tre giovani a distanza, nel corso degli anni: Antonia
viene adottata dal commissario che ha indagato sulla morte di sua madre,
Mauro Malaspina che si innamora morbosamente di lei; Sergio, cresciuto dagli
zingari come uno di loro, scappa per ritrovare sua sorella; mentre Enea, per
mantenere la madre, è diventato un pugile clandestino. Solo molti anni dopo i
due fratelli si ritrovano, e con l'aiuto del “fratello di sangue” Enea, arrivano ad
una drammatica resa dei conti con il criminale Fontana.
La narrazione, strutturata secondo le convenzioni del feuilleton, è ricca di
eventi e colpi di scena; le situazioni sono spesso estreme, i personaggi
prevedibili nella loro semplicistica tipizzazione: o del tutto negativa o del tutto
positiva. Sangue Caldo è un “fotoromanzo popolare” che ricalca lo stile delle
precedenti produzioni interpretate da Gabriel Garko e Manuela Arcuri, basate
su caratteri e situazioni negative, sulla messa in scena di una torbida sensualità,
su personaggi-maschera, varie facce di una umanità corrotta, crudele e violenta.
Si tratta di un modello di intrattenimento chiaro ed efficace, fondato sulla
trasgressione, la cui ripetizione della formula comincia però ad usurare. (E.G.)
110
Dov’è mia figlia
Miniserie (4x100')
Canale5 – Prima serata
Domenica dall’11 al 25 settembre, giovedì 8 settembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 4.110
Share media: 18,16%
Regia: Monica Vullo
Soggetto di serie: Andrea Purgatori, con la collaborazione di Giuseppina Torregrossa
Sceneggiatura: Andrea Purgatori, Laura Ippoliti, Angelo Pasquini
Musiche: Antongiulio Frulio
Produzione: RTI, Mediavivere
Produttori: Marco Videtta (RTI), Paolo Bassetti, Massimo Del Frate (Mediavivere)
Interpreti: Claudio Amendola, Nicole Grimaudo, Giulia Bevilacqua, Edoardo Sylos Labini,
Serena Autieri, Edoardo Leo, Valentina Carnelutti, Simon Grechi, Sergio Romano, Giorgio
Gobbi, Benedetta Gargari, Andrea Santonastaso, Ascanio Pacelli, Fabrizio Coniglio, Teodoro
Giambanco, Brando Pacitto, Andrea Pittorino
Roma. Claudio Valle gestisce, insieme all’amico Francesco e al fratello Marco,
un’affermata impresa edile. In crisi con la moglie Sabina, frequenta a sua
insaputa la fidanzata di Marco, Valentina. In poche settimane Claudio si ritrova
a far fronte a due eventi destinati a sconvolgere la sua vita professionale e
affettiva: la morte in circostanze misteriose di Francesco e il rapimento della
figlia adolescente Chiara ad opera del boss mafioso Serrano. Il filo rosso
sotteso agli avvenimenti è la scomparsa di un registro della contabilità dal
contenuto compromettente, tenuto in segreto da Marco, complice di Serrano.
Il registro, a suo tempo sottratto da Francesco e ora custodito dalla vedova
Marzia, finisce nelle mani di Claudio, ignaro della collusione mafiosa del
fratello e intenzionato ad usare il documento come merce di scambio per il
rilascio di Chiara. Gli eventi precipitano quando Claudio viene accusato
dell’omicidio di Marzia e costretto a proseguire in clandestinità la ricerca della
figlia. A condurre le indagini sul rapimento è la commissaria Cavani,
determinata a catturare Serrano, che già in passato le era sfuggito, e convinta
dell’innocenza di Valle fino a coprirne la latitanza. Claudio scopre che, oltre a
Marco, nel frattempo ucciso da Serrano, anche Valentina è complice del boss, e
che è stata proprio lei ad uccidere Francesco. Trovato il covo del criminale,
riesce infine con il provvidenziale intervento della Cavani a liberare Chiara.
Miniserie dall’intricato ma convincente impianto drammaturgico, Dov’è mia figlia
si caratterizza per la bilanciata commistione tra il crime a venature noir e il
melodramma familiare. Non sempre evitando gli eccessi nella resa dei conflitti
e delle relazioni tipici di quest’ultimo genere, l’intreccio trova soprattutto
efficacia nella messa in forma degli elementi del crime. In questo senso si rivela
funzionale anche il classico sviluppo da feuilleton, in cui peripezie e colpi di
scena si integrano con i topoi del racconto popolare, quali la serenità familiare
spezzata, l’innocente perseguitato, la dark lady pronta a tutto pur di realizzarsi.
(D.I.)
111
Il segreto dell’acqua
Miniserie (6x90')
Rai Uno – Prima serata
Domenica 11, 25 settembre e 2 ottobre, lunedì 12, martedì 20, mercoledì 21 settembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 3.089
Share media: 12,84%
Regia: Renato De Maria
Soggetto di serie: Umberto Contarello, Piergiorgio Di Cara, Dino Leonardo Gentili, Filippo
Gentili, Filippo Gravino, Sara Mosetti, Marco Pettenello
Sceneggiatura: Umberto Contarello, Filippo Gravino, Sara Mosetti, Marco Pettenello
Musiche: Teho Teardo
Produzione: Rai Fiction, Magnolia Fiction
Produttori: Alessandra Ottaviani, Fania Petrocchi (Rai Fiction), Rosario Rinaldo (Magnolia
Fiction)
Interpreti: Riccardo Scamarcio, Valentina Lodovini, Michele Riondino, Lucia Sardo, Roberto
Herlitzka, Ninni Bruschetta, Luigi Maria Burruano, Massimiliano Gallo, Max Mazzotta,
Salvatore Cantalupo, Natalino Balasso, Dario Aita, Mario Cordova, Dajana Roncione, Fabrizio
Ferracane, Rosario Tedesco, Lino Guanciale
Palermo. Angelo Caronia è un detective abile e colto ma incline
all’insubordinazione, per questo è stato trasferito da Roma in un commissariato
di periferia del capoluogo siciliano. Per Angelo è un difficile ritorno nella città
d’origine: sin dall’adolescenza ha tagliato i ponti con il patrigno Ruggero
Santocastro, imprenditore mafioso, e con il fratellastro Blasco, suo ex
compagno di crimine. Ma è ora giunto il momento di affrontare i fantasmi del
passato: alle prese con una misteriosa mancanza d’acqua in città e con alcuni
casi di omicidio in apparenza scollegati, svelerà un intrigo affaristico - dietro il
quale c’è proprio Santocastro - finalizzato a dirottare l’acquedotto cittadino
verso un complesso turistico in costruzione. E intanto, l’agente Gemma, con
cui ha una relazione, si rivela essere la fidanzata di Blasco, negli anni rimasto
fedele al padre e rancoroso verso Angelo. La verità su Santocastro arriva al
termine di una lunga e travagliata indagine, in cui Angelo trova l’aiuto di Adele,
la donna che in passato lo aveva spinto a uscire dal crimine e che pagherà con
la vita il suo coinvolgimento. È tra i due fratelli che avviene la resa dei conti
finale, che porta al pentimento di Blasco e alla cattura di Santocastro.
Alla base de Il segreto dell’acqua c’è un miscuglio di generi, dal crime alla detection
e al melodramma sentimentale, con in più venature psicologiche. Un racconto
intricato che non riesce a dotare la miniserie di una piena tenuta
drammaturgica. Se nella prima metà si assiste ad un cadenzato quanto
macchinoso evolversi del plot investigativo, nella seconda il ritmo accelera e gli
stilemi della detection si rivelano funzionali al crescendo delle dinamiche
emotive dei personaggi. La fiction si distingue comunque per il sofisticato
tratteggio del personaggio di Angelo, figura atipica di poliziotto intellettuale,
impegnato ad elaborare il suo personale conflitto identitario (D.I.)
112
Il commissario Zagaria
Miniserie (2x100')
Canale 5 – Prima serata
Lunedì 12 e martedì 13 settembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 3.160
Share media: 14,05%
Regia: Antonello Grimaldi
Soggetto: Lino Banfi, Edoardo Bechis, Leopoldo Pescatore
Sceneggiatura: Piero Bodrato, Edoardo Bechis, Leopoldo Pescatore
Musiche: Stefano Arnaldi
Produzione: Alba Film 3000, RTI
Produttori: Bruno Altissimi, Walter Zagaria, Fabio Leoni (Alba), Costantino Margiotta,
Elisabetta Trautteur (RTI)
Interpreti: Lino Banfi, Marco Cocci, Rosanna Banfi, Antonio Stornaiolo, Sandro Ghiani, Ana
Caterina Morariu, Isabelle Adriani, Manrico Gammarota, Luigi Petrucci, Paolo De Vita,
Mimmo Mancini, Vanni Fois, Antonio Cesari, Dante Marmone, Tiziana Schiavarelli, Paolo
Gasparini, Antonio Matessich, Viviana Strambelli, Anna Gigante, Luigi Santamaria, Davide
Donatiello, Giandomenico Cupaiolo, Samantha Michela Capitoni
Lecce. Il commissario Pasquale Zagaria, prossimo alla pensione, si trova ad
affrontare il caso più difficile della sua carriera: i rapporti tra un clan della
‘ndrangheta e la malavita salentina si fanno tesi dando luogo a una catena di
omicidi. Il poliziotto è convinto che a tenere le fila della criminalità locale sia lo
stimato commendator Matera, ma non ha prove per dimostrarlo; può
comunque contare sul prezioso apporto del vice questore Stefano Amato,
appena arrivato da Firenze con il compito di riorganizzare la sezione scientifica
della caserma. La coppia fatica ad entrare in sintonia: Amato, meticoloso e
razionale, non lesina critiche nei confronti dei metodi bonari di Zagaria, il
quale fa valere dalla sua la profonda conoscenza degli ambienti più popolari
della città. Le indagini giungono ad una svolta con il coinvolgimento di un
amico del commissario, Pagano: l’uomo, convinto che i calabresi gli abbiano
rapito la figlia, tenta di farsi giustizia da solo e subisce l’ira di Matera, che ne
ordina l’esecuzione. Zagaria, catturato l’assassino, prepara la stretta finale
intorno a Matera con l’aiuto di Amato, il quale nel frattempo ha approfittato
della sua relazione con Nicoletta, la figlia del boss, per intercettare le
comunicazioni del criminale. Zagaria arresta finalmente Matera e può
pregustare la pensione, mentre Stefano, dopo qualche resistenza, decide di
rimanere a Lecce.
La miniserie, che richiama nel titolo e nella statura comica del protagonista i
detectives cult cinematografici interpretati da Banfi negli anni Settanta-Ottanta
(uno di questi era appunto dedicato al brigadiere Zagaria), tenta di fondere
l’umorismo dell’attore pugliese con le atmosfere del poliziesco televisivo più
tradizionale. Il risultato è un ibrido privo di una chiara identità, in cui è la
leggerezza dei toni, spesso alimentata da gag estemporanee, a prevalere sulle
drammatiche implicazioni della confusa detection story. (D.I.)
113
Tiberio Mitri. Il campione e la miss
Miniserie (2x100’)
Rai Uno - Prima serata
Lunedì 26 e martedì 27 settembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 4.141
Share media: 15,75%
Regia: Angelo Longoni
Soggetto: Alessandro Sermoneta, Elena Bucaccio, Maurizio Giammusso, Angelo Longoni
Sceneggiatura: Alessandro Sermoneta, Elena Bucaccio con la collaborazione di Angelo
Longoni e Maurizio Giammusso.
Musiche: Sergio Cammariere
Produzione: Rai Fiction, Cristaldi Pictures
Produttori: Fabrizio Zappi (Rai Fiction), Massimo Cristaldi (Cristaldi Pictures)
Interpreti: Luca Argentero, Martina Stella, Eleonora Ivone, Giovanni Vettorazzo, Francesco
Meoni, Paolo Scalondro, Paola Sambo, Ruben Spendelhofen, Fabio Camilli, Simone
Colombari, Isabelle Adriani, Carmen Tejedera, Giancarlo Previati, Paolo Giovannucci,
Antonio Ugo, Juan Pascarelli, Francesco Benigno, Alessandro Riceci, Nuccio Siano, Maurizio
Zacchigna, Giuliano Oppes, Ivan Espeche
Trieste, primi anni ’50. È da poco finita la guerra e l’Italia è in cerca di miti per
tornare a sognare. Proprio come Tiberio Mitri e Fulvia Franco che, a dispetto
delle umili origini, sono belli e hanno successo. Lui, campione europeo di
pugilato, lei Miss Italia 1948. Il loro è un amore da rotocalco, alimentato da una
passione viscerale e sincera ma minato dall’irrefrenabile ambizione di entrambi.
Mentre Tiberio si allena a New York per disputare lo storico scontro con La
Motta per il titolo mondiale, Fulvia sogna di sfondare a Hollywood scatenando
la gelosia del marito, sempre meno concentrato sul ring. Sfumata la vittoria,
Tiberio e Fulvia tornano in Italia dove li attendono difficoltà economiche e una
vita coniugale sempre più esanime, nonostante l’arrivo di un figlio. Per
guadagnare, il pugile triestino non esita ad accettare ruoli a teatro o nel cinema,
rubando non di rado la scena ad una moglie sempre più rancorosa e distante. I
tradimenti di entrambi conducono all’inevitabile separazione, lasciando
comunque intatta la memoria di un amore difeso fino all’ultimo round.
Il campione e la miss racconta l’ascesa e l’inizio del declino delle carriere di una
coppia patinata nell’Italia degli anni Cinquanta. Utili e riuscite le scene iniziali,
che mostrano in flashback paralleli come l’ambizione dei due protagonisti non
sia stata un vezzo incoraggiato dalla sorte ma l’approdo di un percorso iniziato
dall’infanzia, nel tentativo di riscattarsi da famiglie inadeguate e soffocanti.
Metafora della provvisorietà del successo e della caducità della fama, il
racconto trova il suo punto di forza nella rappresentazione del sottile
antagonismo tra i due protagonisti, un uomo e una donna uniti dalla passione
ma logorati dall’invidia reciproca e dal timore di essere offuscati e schiacciati
dal riflesso dell’altro. Un po’ appesantita da interpretazioni in dialetto non
sempre all’altezza e dall’eccessivo addensarsi di svolte narrative nella seconda
puntata, questa fiction resta tuttavia un prodotto di medio livello. (S.V.)
114
Il signore della truffa
Miniserie (2x100’)
Rai Uno - Prima serata
Lunedì 3 e martedì 4 ottobre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 5.178
Share media: 19,60%
Regia: Luis Prieto
Soggetto: Giorgio Glaviano, Giorgio Schottler
Sceneggiatura: Paolo Logli, Alessandro Pondi
Musiche: Pasquale Catalano
Produzione: Rai Fiction, Artis
Produttori: Leonardo Ferrara, Federica Rossi (Rai Fiction), Giorgio Schottler (Artis)
Interpreti: Gigi Proietti, Maurizio Casagrande, Massimo De Lorenzo, Susi Laude, Juan Diego,
Lorenza Sorino, Clotilde Sabatino, Edoardo Leo, Giulia Lippi, Sandra Collodel, Lidia
Broccolino, Maurizio Donadoni, Alessandro Mistichelli, Antonio Serrano, Pascal Zullino,
Elizabeth Kinnear, Cristina Puccinelli, Giulia Steigerwalt, Adelmo Togliani, Andrea Refuto, Pia
Velsi.
Verbania. Su un intero condominio pende una finanziaria che minaccia di
espropriare i residenti dei loro appartamenti. In preda al panico, i condomini
chiedono aiuto a Nicola Persico, generale della Guardia di Finanza in pensione,
che dopo un’esitazione iniziale accetta, mosso a compassione e non meno
bramoso di rispolverare la sua vera carriera. L’elegante generale è in realtà
Federico Sinacori, un ex truffatore sempre pronto a cambiare identità. Con la
complicità di tutti i condomini, orchestra una controtruffa ai danni di chi li ha
raggirati: un notaio compiacente, un direttore di banca e un agente
immobiliare. Eludendo le forze dell’ordine, Sinacori riuscirà a racimolare la
somma necessaria al riscatto dell’immobile, conquistando nello stesso tempo la
stima di chi ha visto salva la casa grazie al suo intervento, e della commissaria
di polizia che, dopo aver ripercorso le tappe di un tormentato passato, scoprirà
di essere sua figlia.
Questa miniserie sceglie il linguaggio della commedia brillante per affrescare,
senza particolari pretese e in presenza di un intreccio modesto, uno spaccato di
società facilmente riconoscibile. Con l’espediente narrativo del disagio
innescato da una truffa edilizia, si rappresenta un tableaux vivant della classe
media del giorno d’oggi: colpita dal precariato e dalla crisi economica,
diffidente nelle capacità della giustizia, incline a vedere nel possesso dei beni - e
della casa in particolare - un diritto da difendere ad ogni costo. La riuscita
caratterizzazione del protagonista, una sorta di Robin Hood che truffa i ricchi
per aiutare i poveri, un ladro romantico cui un dramma mai sopito (la morte
della donna amata) aggiunge un tratto di malinconia, si deve anche al
magnetismo dell’interprete: vero mattatore in grado di sollecitare una comicità
corale sottile, partecipata, e pur soffusa di un senso di amarezza e disillusione.
(S.V.)
115
Il generale Della Rovere
Miniserie (2x100’)
Rai Uno - Prima serata
Domenica 9 e lunedì 10 ottobre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 4.727
Share media: 18,80%
Regia: Carlo Carlei
Soggetto e sceneggiatura: Massimo De Rita, Simone De Rita, Carlo Carlei
Musiche: Andrea Ridolfi e Vito Abbonato
Produzione: Rizzoli Audiovisivi, Rai Fiction
Produttori: Fania Petrocchi (Rai Trade), Angelo Rizzoli (Rizzoli Audiovisivi)
Interpreti: Pierfrancesco Favino, Hristo Shopov, Raffaella Rea, Andrea Tidona, Michele Nani,
Matt Patresi, Alexandra Dinu, Valentin Ganev, Mariana Stanisheva, Teodora Duhovnikova,
Julian Vergov, Valentina Elaine Kamenov.
Genova, 1944. Per Giovanni Bertone truffare è un lavoro e insieme un’arte.
Come lo è sperperare il denaro nel gioco e con le donne. Anche nelle
ristrettezze dettate dalla guerra, riesce a fare affari estorcendo denaro ai
familiari dei prigionieri politici, con la promessa di intercedere presso le sue
millantate conoscenze per salvare i loro cari. Smascherato dal colonnello delle
SS Muller, a Bertone viene offerta la possibilità di salvarsi da una morte sicura:
dovrà fingersi il generale della Rovere, capofila della Resistenza ucciso per
errore dalle SS, e carpire informazioni chiave sull’organizzazione del
movimento. Ma la vita del carcere, il calore e la stima che i detenuti dimostrano
nei suoi confronti, la crudeltà senza misure dell’ufficiale Franz, trasformano
poco a poco l’animo di Bertone, che arriva ad assumere del vero generale non
solo il piglio autoritario e motivante, ma anche gli ideali e lo spirito di
abnegazione per la patria. Rifiutandosi di assolvere al suo ruolo di spia da
dietro le sbarre, il destino di Bertone è segnato. Nemmeno le suppliche
dell’amata Olga e della piccola Ada, figlia di un amico vittima della ferocia
nazista, riusciranno a salvarlo dalla fucilazione.
La miniserie rispolvera il caso letterario di Indro Montanelli e il successo
cinematografico di Rossellini, ridisegnando una figura protagonistica
controversa e affascinante. Bertone è un seducente imbroglione, codardo ma
non privo di umanità. La sua esperienza di carcerato sotto mentite spoglie
avrebbe potuto procurargli la salvezza e la libertà, e invece lo spinge a scegliere
la via più difficile, quella della lealtà e della giustizia, dell’onore e del coraggio.
Questo gli costerà la vita, non senza però avergli fatto assaporare la
metamorfosi dell’eroe civile. Arricchita da pochi ma ben costruiti comprimari
(tra i quali Muller, dotato di una vena di giustizia a placare la fede nazista, e la
disadattata Olga, prostituta che ama e che aiuta molto Giovanni), la fiction
alterna al declino morale del protagonista, nella prima puntata, il percorso del
suo riscatto nella seconda. Con un finale che non fa sconti alla drammaticità
della vicenda, si conferma un pregevole prodotto da annoverare tra i racconti
televisivi che traggono linfa dalla memoria storica nazionale. (S.V.)
116
Violetta
Miniserie (2x100’)
Rai Uno - Prima serata
Domenica 16 e lunedì 17 ottobre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 4.748
Share media: 18,15%
Regia: Antonio Frazzi
Soggetto e sceneggiatura: Sandro Petraglia. Liberamente ispirato a “La signora delle
camelie” di Alexandre Dumas figlio
Musiche: Andrea Guerra
Produzione: Rai Fiction, Magnolia Fiction e Beta Film
Produttori: Fania Petrocchi, Sara Polese (Rai Fiction), Rosario Rinaldo (Magnolia Fiction)
Interpreti: Vittoria Puccini, Rodrigo Guirao Diaz, Andrea Giordana, Federica De Cola,
Susanna Marcomeni, Mauro Marino, Luchino Giordana, Mario Cordova, Ugo Maria Morosi,
Marco Morellini, Paolo Giovannucci, Roberto Accornero, Andrea Gherpelli, Massimo De
Francovich, con la partecipazione straordinaria di Tobias Moretti
Milano, 1848. Violetta Valere è sfuggita ad un’esistenza povera concedendosi a
uomini facoltosi, rapiti dalla sua straordinaria bellezza e dalla sua raffinata
cultura. Scopre l’amore solo incontrando Alfredo Germont, studente pieno di
ideali patriottici. È un rapporto fatto di bruciante passione e complicato da una
profonda distanza etica e sociale, cui viene ad aggiungersi l’arresto del giovane
dissidente da parte degli austriaci, poi scarcerato grazie alle influenti
conoscenze di Violetta. Fuggiti da una Milano in subbuglio, e dopo una breve
parentesi di felicità, i due amanti vedono di nuovo vacillare il sogno di una vita
insieme: lui dilapida il suo patrimonio nel gioco, lei vede progressivamente
peggiorare le sue condizioni di salute. Dopo la morte della donna, Alfredo è di
nuovo incarcerato con l’accusa di essere una spia per conto dei Savoia. A
salvarlo dalla condanna per infedeltà agli asburgici, interviene stavolta un
messo imperiale sotto mentite spoglie, che ha scoperto in Violetta la vera spia
che carpiva informazioni dai clienti per conto del suo protettore, un duca
liberale.
Violetta è una miniserie in costume liberamente ispirata al romanzo “La signora
delle camelie”. Il tormentato amore tra i due protagonisti si staglia qui non
lungo le rive della Senna ma contro le ombre di una Milano animata dai moti
patriottici risorgimentali. Lo slittamento di contesto è funzionale ad una
caratterizzazione della coppia in senso storico-sociale, da far evolvere di pari
passo a quella di derivazione letteraria, squisitamente sentimentale e a forti
tinte melodrammatiche. Ma l’intrigo investigativo, basato sul misunderstanding
del colpevole di complotto, non riesce a decollare all’interno di una narrazione
frammentata, e resa un po’ confusa, dai lunghi flashback. A risentirne è il vero
nucleo della vicenda, quello di un amore pronto a combattere le convenzioni
ma piegato da un inesorabile destino, ridotto per buona parte a performance
erotiche e a dialoghi che appiattiscono la dimensione tragica dei personaggi. Un
ritmo lento e interpretazioni a volte fuori registro accentuano i limiti di un
racconto che non ha saputo valorizzare al meglio gli alti standard produttivi.
(S.V.)
117
La donna che ritorna
Miniserie (4x100’)
Raiuno – Prima serata
Martedì 18, 25 ottobre e 1 novembre, mercoledì 19 ottobre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 5.761
Share media: 20,46%
Regia: Gianni Lepre
Soggetto: Peter Exacoustos
Sceneggiatura: Peter Exacoustos, Daniela Bortignoni
Musiche: Pino Donaggio
Produzione: Endemol, Rai Fiction
Produttori: Paolo Bassetti, Massimo Del Frate, Giannandrea Pecorelli (Endemol), Matteo
Martone, Daniela Valentini (Rai)
Interpreti: Virna Lisi, Luca Bastianello, Alessandro Bertolucci, Fabio Testi, Barbara Livi,
Gabriele Caprio, Valentina D’Agostino, Emilio Bonucci, Anna Melato, Marit Nissen, Marzia
Feraudo, Margherita Tamanti, Luigi Montini, Giancarlo Zanetti, Roberta Passerini
Una donna cammina per Roma senza memoria e in evidente stato
confusionale. Il suo caso viene assegnato all’ispettore Leoni che, impegnato
nella caccia a un serial killer, vede il mistero della smemorata come un
intralcio. Ma l’anziana signora nota le foto dell’ultima vittima del serial killer e
dice di averla già vista. La smemorata si scopre chiamarsi Paola, è nonna di un
bambino malato di cuore e proprietaria di una azienda di moda. C’è un uomo
però che la chiama Luisa e la reclama come moglie e madre di sua figlia.
L’assassino intanto uccide ancora e Marco e Paola iniziano una doppia indagine
per svelare sia il passato di lei che l’identità del criminale. In passato Paola,
quando ancora era Luisa, fu vittima di un delitto simile a quelli che il killer sta
replicando adesso, in cui scampò per miracolo alla morte. Il killer è l’altra
donna che, inseme alla giovane Luisa, fu vittima di violenze e abusi che
l’avevano resa folle, facendole maturare un irrazionale risentimento verso
Luisa. Per questo uccide ragazze che assomigliano a Luisa/Paola da giovane.
Proprio un’aggressione dell’assasina aveva fatto perdere la memoria alla
protagonista. La donna che ritorna è un thriller arricchito con varie sottotrame
melodrammatiche, quali la crisi della famiglia di Paola, la necessità
dell’intervento al cuore del nipote, il triangolo amoroso tra Marco, una sua
collega e la figlia ritrovata di Paola, con cui lei stessa dovrà riallacciare un
rapporto. Il filo conduttore resta comunque la trama investigativa, che si
mantiene sufficinetemente tesa e movimentata, pur inanellando vari passaggi
improbabili e una soluzione incongruente. Punto di forza della miniserie è la
presenza di Virna Lisi, interprete carismatica e volto popolare della fiction
italiana. Il personaggio coprotagonista, poliziotto ossessionato dal lavoro e con
una cronica paura per i legami affettivi, è convenzionale ma efficace, mentre
sono solo abbozzati e puramente funzionali i molti caratteri secondari, veicolo
di siparietti comici (l’ispettore Sciortino, aiutante di Marco) e di parenetesi
patetico-melodrammatiche (la famiglia di Paola). (G.G.)
118
Dove la trovi una come me?
Miniserie (2x100’)
Rai Uno – Prima serata
Domenica 23 e Lunedì 24 ottobre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 5.693
Share media: 21,27%
Regia: Giorgio Capitani
Soggetto di serie: Francesco Scardamaglia, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi
Sceneggiatura: Francesco Scardamaglia, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi
Musiche: Pino Donaggio
Produzione: Rai Fiction, Compagnia Leone Cinematografica
Produttori: Paola Pannicelli e Sara Polese (Rai), Francesco e Federico Scardamaglia
(Compagnia Leone Cinematografica)
Interpreti: Gabriella Pession, Daniele Pecci, Caterina Guzzanti, Serena Rossi, Josè Maria
Blanco, Giorgio Lupano, Lisa Gastoni, Patrizia Loreti, Luciano Roffi, Maurizio Marchetti,
Alberto Patelli, Ruben Rigillo, Sophie Olsson, Isabelle Adriani
Sonia, aspirante giornalista, a causa di un equivoco, viene scambiata per una
escort da Matteo Conti, astro nascente della finanza e personalità
estremamente schiva. Sonia è convinta che scoprire quale affare stia trattando
sarebbe uno scoop che le permetterebbe di essere assunta al giornale. Perciò la
protagonista, nonostante sia una ragazza molto pudica, decide di stare al gioco
per spiare Matteo. Non ha intenzione di arrivare a concedersi e per evitare che
lui capisca che non è una vera prostituta finge di volerlo coinvolgere in una
complessa sfida di corteggiamento. Matteo si rivela più paziente e generoso di
quanto Sonia si aspettasse, tanto che finisce per innamorarsene. Intanto però
scopre che l’affare segreto è l’acquisizione di un grande gruppo editoriale di cui
fa parte anche il giornale per cui scrive Sonia. Le intenzioni di Matteo
sembrano essere quelle tipiche di un raider: vendere per fare soldi sulla pelle
dei dipendenti. Sonia allora si allontana da lui, ma scoppia uno scandalo per via
di alcune foto che li ritraggono assieme. Grazie all’aiuto del discreto ma saggio
autista di Matteo i due si rivedono ancora una volta e hanno l’occasione di
chiarirsi. Quando la verità si rivela in ogni suo aspetto, tutti sono chiamati a
superare i propri pregiudizi e a decidere di fidarsi, consapevoli che le apparenze
il più delle volte ingannano. Come viene ripetuto in vari momenti nel corso
della storia, il tema della miniserie è proprio quello delle apparenze che
possono mascherare la verità di una persona o di una situazione. Sonia è una
giornalista sincera e innamorata che si finge escort, Matteo sembra un freddo
uomo d’affari ma è solo vittima di antiche ferite. Commedia romantica
debitrice tanto di Pretty woaman quanto di Orgoglio e pregiudizio; che si regge su un
intreccio funzionale al gioco degli equivoci, ottenuti a volte con espedienti di
maniera, come la teatrale Monica, vera escort e vicina di casa della
protagonista. Il conflitto romantico non si basa tanto sulla doppia identità di
lei, quanto sulla doppia lettura del carattere respingente di lui, e questo finisce
per smorzare la forza della trovata iniziale. (G.G.)
119
Viso d'Angelo
Miniserie (4x100’)
Canale 5 – Prima serata
Venerdì dal 28 ottobre al 18 novembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 4.061
Share media: 16,03%
Regia: Eros Puglielli
Soggetto: Teodosio Losito
Sceneggiatura: Teodosio Losito, Manuela Romano e Laura Sabatino
Musiche: Paolo Vivaldi
Produzione: RTI, Ares Film
Produttori: Costantino Margiotta (RTI), Alberto Tarallo (Ares Film)
Interpreti: Alberto Molinari, Veronica Gentili, Gabriel Garko, Cosima Coppola, Eva
Grimaldi, Magdalena Grochowska, Loredana Cannata, Angela Molina, Antonio Giuliani,
Victoria Larchenko
In una cittadina vicino al mare, un serial killer che indossa la maschera di un
angelo compie omicidi a sfondo religioso. Le vittime hanno in comune una
colpa da espiare. Sul caso indaga un esperto di serial killer, il commissario
Parisi, recentemente tornato da Londra dove si era rifugiato in seguito alla
tragica morte della moglie. Roberto viene affiancato da Angela Garelli, giovane
agente che è diventata dipendente dalla droga dopo aver ucciso per errore il
proprio fidanzato, un poliziotto impegnato in un'azione sotto copertura.
L'indagine procede con difficoltà, anche a causa dell'omertà di un istituto
religioso gestito da Suor Serafina, donna dal passato oscuro e da Padre John,
custode dei segreti di tutta la cittadina. Mentre indagano, i due poliziotti si
innamorano, trovando l'uno nell'altra la forza di superare i drammi del loro
passato. Parisi e la Garelli capiscono che il serial killer sta compiendo una sorta
di rito per purificare le anime delle sue vittime, la cui cerimonia è descritta in
un manoscritto dedicato all'inquisitore Torquemada, testo che lega molti
personaggi e li rende tutti sospetti. Dopo varie peripezie, scoprono l’assassino:
una donna che uccide coloro che considera peccatori per poter salvare l'anima
della madre, morta suicida anni prima. Viso d'angelo ripropone le caratteristiche
distintive delle fiction costruite attorno al divismo di Gabriel Garko:
personaggi monodimensionali, trame articolate e ricche di colpi di scena,
riferimenti sessuali espliciti. A differenza delle produzioni precedenti, che si
muovevano sul terreno del melodramma e del gangster story, stavolta il genere
prescelto è il thriller investigativo con venature noir. Genere coerente con
atmosfere torbide e suggestioni macabre cui la fiction fa ampio ricorso, assieme
ad altri espedienti che invece mal si coniugano con la logica dell’indagine. La
storia trova solo in coincidenze inverosimili il modo per concatenare gli
avvenimenti e fare interagire i personaggi, e stuzzica la curiosità del pubblico
con discutibili trovate ad effetto, come l'espediente dell'assassino mascherato
che a fine puntata tira le fila del racconto, fornisce anticipazioni e, rivolgendosi
direttamente allo spettatore, lo esorta a scoprire la sua identità. (E.G.)
120
Cenerentola
Miniserie (2x100’)
Rai Uno - Prima serata
Domenica 30 e lunedì 31 ottobre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 6.681
Share media: 27,08%
Regia: Christian Duguay
Sceneggiatura: Lea Tafuri, Agatha Dominik
Soggetto: Enrico Medioli, Lea Tafuri
Musiche: Andrea Guerra
Produzione: LuxVide - BetaFilm - Rai Trade - 13 Production in associazione con France 2
Produttori: Fania Petrocchi (Rai Fiction), Matilde e Luca Bernabei (Lux Vide)
Interpreti: Vanessa Hessler, Flavio Parenti, Ruth-Maria Kubitschek, Natalia Worner, Frank
Crudele, Ilaria Spada, Mariella Valentini, Rosabel Laurenti, Wanja Sellers, Hary Prinz, David
Brandon, Elisa Di Eusanio, Giulia Andò, Giuseppe Sanfelice, Niccolò Senni, Daniele La
Leggia, Filippo Scarafia, Renato Cortesi, Andrea Atzei, Oliviero Calderoni, Urbano Barberini,
Massimo Poggio, con la partecipazione di Carlotta Natoli
Roma, anni ‘50. Alla morte del padre, brillante direttore d’orchestra, la giovane
Aurora è costretta ad abbandonare la passione per la musica e a fare la
sguattera nell’albergo gestito dalla matrigna e dalle due sorellastre. La vita di
Aurora, cresciuta con le uniche cure di una coppia di governanti, si era
illuminata di un amore platonico dopo l’incontro con Sebastian, ricco rampollo
dall’animo gentile che abitava nella villa di fronte, e che ritrova a distanza di
anni sia pure indurito dall’ambizione inculcatagli dal padre. Decisa a
conquistarlo nonostante le differenze di classe, la bella Cenerentola trova il
sostegno di Mrs Cooper, la facoltosa anziana ospite dell’albergo, che la spinge a
partecipare al ballo in maschera organizzato nella villa per far breccia nel cuore
di Sebastian. L’happy end sarà plurimo: la bella Aurora trova in Mrs Cooper
l’affetto di una nonna che non credeva di avere, riprende a suonare il
pianoforte, e corona il suo sogno d’amore.
Dopo Pinocchio, Cenerentola sancisce un nuovo incontro della fiction italiana con
le grandi favole popolari. La fedeltà alla trama originaria è forte e garantita dalla
presenza degli elementi caratterizzanti la storia - dalla matrigna alla “fata
madrina” Mrs Cooper, dalla scarpetta alla carrozza -, nell’evidente intento di
proporre una commedia sentimentale senza tempo. I richiami alle atmosfere
della ripresa post-bellica e ad una Roma avvolta nel clima della “dolce vita”
aggiungono elementi di contesto che contribuiscono a definire le psicologie dei
personaggi. Così i due protagonisti, in modi differenti, diventano emblemi di
emancipazione e rottura delle convenzioni. Appena indebolita dalla linea
narrativa pretestuosa e poco chiara incentrata su diatribe imprenditoriali (come
quella tra Sebastian e Mrs Cooper), questa miniserie resta un buon prodotto,
dotato di vari livelli di lettura, e dunque godibile da un pubblico diversificato.
(S.V.)
121
La ragazza americana
Miniserie (2x100’)
Rai Uno – Prima serata
Lunedì 7 e martedì 8 novembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 6.516
Share media: 23,55%
Regia: Vittorio Sindoni
Soggetto: Vittorio Sindoni, Patrizia Carrano
Sceneggiatura: Patrizia Carrano, Vittorio Sindoni, Valerio D'Annunzio
Musiche: Fabio Frizzi
Produzione: Rai Fiction, Immagine e Cinema s.r.l.
Produttori: Leonardo Ferrara, Gianluca Casagrande (Rai Fiction); Edwige Fenech (Immagine
e Cinema)
Interpreti: Vanessa Hessler, Giulio Berruti, Ilaria Occhini, Orso Maria Guerrini, Sacha
Dominis, Samanta Piccinetti, Sergio Pierattini
Toscana. Susan, una ragazza originaria del Kentucky, eredita dal nonno, il
duca Anselmo Foschi, un antico castello in rovina con annesso un borgo
toscano. L'arrivo della ragazza nel borgo non è gradito agli abitanti del luogo,
che temono che la giovane americana porti via i beni che il duca ha lasciato
loro in usucapione. L'intero paese si schiera contro Susan e a capo di tutti c'è
un bellissimo maniscalco, Vasco. L’unica persona che accoglie Susan con
gentilezza è l'anziana governante del duca, Bice. L'avvocato del duca intanto
cerca di convincere Susan a vendere il castello, ma la ragazza non vuole cedere
e cerca il modo di interrompere il diritto di usucapione. La ragazza trova un
diario anonimo che parla di un orribile segreto e, aiutata da Vasco, con cui nel
frattempo è nata una storia d'amore, scopre il cadavere di un neonato sepolto
in un bosco. I due giovani scoprono che Bice aveva avuto una figlia, Angelica,
che era stata insidiata dal duca e aveva partorito due gemelli: una piccola nata
morta e seppellita nel bosco, e un maschietto, che è proprio Vasco. Susan e
Vasco sono costretti a lasciarsi poiché pensano di essere consanguinei.
L'avvocato del duca, nel frattempo, vorrebbe vendere il castello e anche un
affresco che si trova nel palazzo, attribuito a Leonardo. Bice cerca allora un
pittore che possa certificare il valore del quadro, e viene a sapere che questi era
l'amante di sua figlia Angelica. Dopo questa rivelazione, Susan e Vasco
possono sposarsi e vivere felici nel borgo. La ragazza americana è un ibrido fra la
fiaba sentimentale di gusto retrò e il melodramma. La narrazione si muove su
binari ampiamente prevedibili, e presenta personaggi dalle psicologie
semplificate, dialoghi poco elaborati e situazioni improbabili. A rendere
attraente questa storia, esaltandone il lato fiabesco, contribuiscono la bella
ambientazione toscana e la presenza nel ruolo della protagonista di Vanessa
Hessler, volto popolare della fiction della rete e reduce dal successo di
Cenerentola, trasmessa su Raiuno la settimana precedente alla messa in onda di
questa miniserie. (E.G.)
122
Baciati dall'amore
Miniserie (6x100’)
Canale 5 – Prima serata
Martedì dal 15 novembre al 20 dicembre, mercoledì 7 dicembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 2.969
Share media: 11,38%
Regia: Claudio Norza
Soggetto: Carlotta Ercolino
Sceneggiatura: Carlotta Ercolino, Valeria Colasanti, Luca Biglione, Francesca Zingariello,
Walter Lupo, Laura Luchetti, Chiara Laudani, Carla Di Tommaso
Musiche: Maurizio De Angelis
Produzione: RTI e DAP Italy
Produttori: Guido, Nicola e Marco De Angelis (DAP Italy); Elena Costa (RTI)
Interpreti: Lello Arena, Pietro Taricone, Flavio Montrucchio, Maria Amelia Monti, Alessandra
Barzaghi, Giampaolo Morelli, Gaia Bermani Amaral, Marisa Laurito, Irene Maiorino, Federica
Sabatini, Achille Sabatino, Eduardo Imparato
Napoli. Carlo Gambarella è un architetto impegnato a tempo pieno presso il
negozio di fiori di famiglia. Abbandonato dalla moglie, vive insieme ai suoi
cinque figli piccoli, ai genitori, e al fratello, un cantante neomelodico. Da
quando la moglie lo ha lasciato, Carlo non si è più innamorato. Le cose
cambiano quando si incontra-scontra con la biologa marina Valentina Trevisol
che si è da poco trasferita da Milano per seguire il padre, magistrato impegnato
nel processo contro il famigerato camorrista Tano Bambardella. Insieme alla
ragazza si è trasferito anche il suo futuro marito, Tommaso. Accanto alla linea
sentimentale, con la storia d'amore fra Carlo e Valentina, si sviluppa la
sottotrama legata a Gaetano, il padre di Carlo. A causa di uno scambio di
persona Gaetano, sosia e quasi omonimo di Tano Bambardella, finisce in
prigione e scopre che la vita in carcere non è così male: anzi, dietro le sbarre
Gaetano si sente finalmente libero e scopre le sue vere passioni. Intanto
l’amore fra Carlo e Valentina incontra molti ostacoli: prima i figli di lui, poi il
padre e il futuro marito di lei, danno filo da torcere ai due giovani, che
dovranno lottare per far trionfare il loro amore. La comicità gioca su opposti
facili e stereotipati: il Nord dei Trevisol, rigidi e tutti d'un pezzo e il Sud dei
Gambarella, fantasiosi e vitali; la legalità rappresentata dal magistrato Trevisol e
l'illegalità che ruota intorno al camorrista Bambardella; il sentimento puro e
passionale di Carlo e Valentina e la ragione calcolatrice di Tommaso. La
miniserie mette molta carne al fuoco. Da un lato c’è una commedia
sentimentale spensierata, il cui tono è incarnato nel personaggio di Valentina,
sempre sorridente e fra le nuvole. Dall’altro, c’è la comicità dialettale e
paradossale legata allo scambio di persona e a tutte le sottotrame che ne
derivano, che fa capo a Lello Arena nel doppio ruolo di Gaetano/Tano.
Nonostante faccia ampio ricorso agli stereotipi, Baciati dall’amore finisce per
essere prodotto televisivamente poco riconoscibile perché tenta di mescolare
immaginari e repertori narrativi troppo distanti fra loro. (E.G.)
123
Sarò sempre tuo padre
Miniserie (2x100’)
Rai Uno - Prima serata
Martedì 29 e mercoledì 30 novembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 7.397
Share media: 26,49%
Regia: Lodovico Gasparini
Soggetto: Francesco Asioli, Anna Maria Carli
Sceneggiatura: Francesco Asioli, Anna Maria Carli, Salvatore Basile, con la partecipazione di
Giuseppe Fiorello e Lodovico Gasparini
Musiche: Paolo Vivaldi
Produzione: Rai Fiction, Solaris
Produttori: Matteo Martone, Federica Rossi (Rai Fiction), Guglielmo e Azzurra Arié (Solaris)
Interpreti: Giuseppe Fiorello, Ana Caterina Morariu, Rodolfo Laganà, Gioia Spaziani,
Augusto Fornari, Edoardo Pesce, Clotilde Sabatino, Milena Miconi, Susanna Smit, Giampiero
Mancini, Dario Fiorica, Leonardo Della Bianca con la partecipazione di Augusto Zucchi,
Pietro De Silva, Angelo Orlando
Roma. Antonio Rubino è un brillante venditore d’auto, padre e marito felice.
La sua vita subisce una brusca quanto inattesa svolta il giorno del suo
compleanno, quando la moglie Diana gli comunica di non amarlo più e di
volere la separazione. Nonostante gli accorati tentativi per riparare la crisi, la
donna è ferma nella decisione di voler rompere il matrimonio con un uomo
reo di averla trascurata. Per Antonio inizia un calvario che lo porta a fare i
conti con l’improvvisa mancanza di una casa, con assegni di mantenimento che
lo gettano sul lastrico e che, dopo aver pure perso il lavoro, lo costringono a
rivolgersi alla mensa della caritas per sfamarsi. La sofferenza maggiore deriva
dalla mancanza di Andrea, il figlio di otto anni che adora e che la ex moglie gli
tiene lontano a suon di ingiunzioni del tribunale e interventi di avvocati, fino
ad arrivare alla diffida. Con la solidarietà di un gruppo di padri nella sua stessa
situazione, e rinvigorito da un nuovo lavoro, Antonio si fa portavoce di una
manifestazione per la tutela dei diritti dei genitori non affidatari riconquistando
la voglia di lottare e la stessa fiducia di Diana.
Sarò sempre tuo padre è il racconto di un dramma privato e familiare,
insolitamente raccontato e schierato da un punto di vista maschile. La tematica
sociale della tutela dei diritti dei padri discriminati, colpiti da disagi e restrizioni
in seguito alle separazioni, è veicolata attraverso le disavventure di un uomo
qualunque, marito non perfetto ma buon padre, che si oppone con dignità
all’allontanamento forzato dal figlio. Se risulta abbastanza convincente il pathos
creato attorno alle cause della separazione, meno riuscito e verosimile è il
susseguirsi di sventure che si abbattono sull’uomo, tali da esasperare
inutilmente i toni melodrammatici e rendere poco credibile sia la
caratterizzazione del protagonista sia la subitanea “redenzione” della moglie.
Piuttosto approssimativi anche i personaggi secondari - la collega frivola vs
quella tradizionalista di Diana - che esemplificano in maniera didascalica
opposte visioni del dramma e della vita. (S.V.)
124
I cerchi nell’acqua
Miniserie (4 x 100')
Canale 5 – Prima serata
Mercoledì dal 14 al 28 dicembre, martedì 27 dicembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 3.941
Share media: 15,38%
Regia: Umberto Marino
Soggetto di serie: Umberto Marino, ispirato alla serie tv francese Le miroir de l’eau, soggetto
originale di Sophie Revil, Laurence Dubos
Sceneggiatura: Umberto Marino
Musiche: Paolo Vivaldi, Fabrizio Pigliucci
Produzione: RTI, Palomar
Produttori: Marco Videtta (RTI), Carlo Degli Esposti (Palomar)
Interpreti: Alessio Boni, Vanessa Incontrada, Giovanni Calcagno, Elena Russo, Sandra
Toffolatti, Paola Pitagora, Regimantas Adomaitis, Monika Biciunaite, Audrius Balsevicius,
Sergio Albelli, Paolo Giommarelli, Giulia Andò, Julija Steponaityte, Giulia Selvatico, Sarunas
Datenis, Jurgita Jurkute, Karolina Reciugaite, Kasparas Andriulevicius, Laimutis Sedzius
Castel Del Lago. Davide Freccero, affermato fotografo, ritorna dopo vent’anni
nel suo paese d’origine, richiamato dalla morte del padre. Qui viene a
conoscenza della tragica sorte di Ginevra, il suo amore adolescenziale, trovata
morta nel lago poco dopo la sua partenza. Le cause del decesso non sono mai
state chiarite, ma la vicenda, da tempo dimenticata, torna prepotentemente alla
ribalta quando, in circostanze identiche a quelle di Ginevra, viene ritrovato il
cadavere della giovane Alessia, la nipote di Davide. Freccero, sconvolto, cerca
di scoprire il collegamento tra le due morti parlando con Valeria, la migliore
amica di Ginevra, con la sorella Bianca, e con Elsa, la madre, che aveva
osteggiato il loro fidanzamento e che farà di tutto per nascondergli che dal suo
amore con Ginevra è nata una figlia. Sarà Bianca, con cui Davide avvia una
relazione, ad aiutarlo a far luce sul passato della sorella. Nel frattempo le
indagini del commissario Spatafora, che si scontrano con una comunità
reticente, si avvalgono del contributo sui generis della stessa figlia del
poliziotto, la piccola Alice, in contatto medianico con lo spirito senza pace di
Ginevra. Grazie ai suggerimenti della bambina e all’aiuto di Davide, Spatafora
risale all’assassino delle due ragazze: è l’instabile fratello di Valeria, che
quest’ultima ha continuato negli anni a coprire.
Il principio ordinatore della drammaturgia de I cerchi nell’acqua risiede nei temi e
nelle strutture del melodramma. Gli elementi afferenti alla detection e al
mistery, lungi dall’avere una propria autonomia e compiutezza formale, si
rivelano più che altro funzionali a catalizzare le dinamiche emotive dei
personaggi. In quest’ottica, il plot investigativo funge da collante per gli intrecci
relazionali dell’affollata comunità dei caratteri: lo sviluppo dell’indagine
compatta le molteplici sottotrame, regolate da un complesso sistema di ricatti e
segreti, disvelando nel contempo l’ambiguità celata sotto la patina del
perbenismo di provincia. (D.I.)
125
La figlia del capitano
Miniserie (2x100’)
Rai Uno – Prima serata
Lunedì 9 e martedì 10 gennaio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 5.603
Share media: 20,03%
Regia: Giacomo Campiotti
Soggetto di serie: Alessandro Sermoneta, Elena Bucaccio
Sceneggiatura: Alessandro Sermoneta, Elena Bucaccio
Musiche: Carlo Silotto
Produzione: Rai Fiction, Immagine e Cinema
Produttori: Fabrizio Zappi, Paola Foffo (Rai), Edwige Fenech (Immagine e Cinema)
Interpreti: Vanessa Hessler, Primo Reggiani, Edwige Fenech, Nini Salerno, Ludovico
Fremont, Francesca Chillemi, Andrei Slabakov, Hristo Jivkov, Teodora Duhonikova
Russia, seconda metà del ‘700. Il giovane Pëtr Grinev, rampollo di una nobile
casata russa, litiga con il padre che per dargli una lezione lo manda a
cominciare la carriera militare in un lontano avamposto di frontiera. Nel corso
del viaggio Pëtr aiuta un mendicante a salvarsi dal freddo donandogli una
pelliccia. Giunto al forte si innamora della bella Maša, figlia del Capitano in
carica; ma un altro ufficiale, geloso del loro amore, tradisce e vende
l’avamposto al sanguinario ribelle cosacco Pugacëv, pretendente al trono dello
Zar. Questi risparmia la vita di Pëtr solo per riconoscenza: il cosacco è infatti
lo stesso viandante a cui aveva donato la pelliccia. Continua la guerra di
Pugacëv contro la Zarina Caterina II e Pëtr si trova preso in mezzo tra i suoi
compatrioti, che lo sospettano di simpatizzare con i ribelli e Pugacëv che,
nonostante lo consideri un nemico, gli porta rispetto in quanto uomo d’onore.
Proprio a lui Pëtr è costretto a chiedere aiuto quando saprà che l’amata Maša
sta per essere costretta all’altare dall’ufficiale traditore. L’aiuto ottenuto dal
cosacco porta Pëtr a essere condannato per tradimento. La guerra si conclude
con la cattura del giovane e dello stesso Pugacev. Maša, ormai tratta in salvo,
riesce a contattare la zarina, le spiega le ragioni per cui il suo amato era a fianco
dei ribelli e implora la grazia per Pëtr, che viene salvato un attimo prima che il
boia apra la botola della forca. La figlia del capitano è la storia di un uomo diviso
tra l’amore per una donna e quello per la sua patria e che è deciso a combattare
per entrambe. E’ anche una storia di formazione in cui il protagonista scopre il
coraggio di restare fedele a se stesso e ai suoi valori, e riesce a salvare la donna
che ama senza grandi gesti ma solo grazie all’integrità e alla testardaggine.
Capolavoro della letteratura russa dell‘800, già adatattato dal cinema (1947) e
dalla televisione italiana (1965), La figlia del capitano viene riproposto in una
nuova versione che sembra identificare possibili strade (la spettacolarità della
miniserie evento, l’attualizzazione di temi, personaggi e relazioni) senza
percorrerne nessuna sino in fondo. Il risultato è un melodramma dai ritmi lenti
e dallo stile letterario, che si propone come un’operazione retrò, riconoscibile
erede dello sceneggiato. (G.G.)
126
Anita Garibaldi
Miniserie (2x100’)
Rai Uno – Prima serata
Lunedì 16 e Martedì 17 gennaio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 5.596
Share media: 19,70%
Regia: Claudio Bonivento
Soggetto di serie: Massimo De Rita, Mario Falcone, Amedeo Minghi
Sceneggiatura: Massimo De Rita, Mario Falcone, Amedeo Minghi, Valentina Ferlan, Patrizia
Pistagnesi
Musiche: Amedeo Minghi
Produzione: Rai Fiction e Goodtime
Produttori: Gabriella Buontempo, Massimo Martino (Goodtime) e Fabrizio Zappi (Rai
Fiction)
Interpreti: Valeria Solarino, Giorgio Pasotti, Tosca D’Aquino, Fabio Galli, Nini Salerno,
Thamisanqa Molepo, Massimiliano Franciarosa, Bruno Conti, Filippo Scarafia
Brasile, 1837. Anita è una ragazza ribelle e coraggiosa che rifiuta ogni marito le
si proponga e vorrebbe invece impegnarsi insieme allo zio nella guerra
rivoluzionaria contro l’imperatore. Tra i comandanti dei ribelli c’è un
professionista italiano, Giuseppe Garibaldi, di cui lei, appena diciottenne, si
innamora. Da quel momento Anita diventa la compagna di Garibaldi,
condividendo con lui non solo la vita domestica ma anche le campagne militari.
La prima puntata presenta un’Anita spavalda, fedele e gelosa, dai principi
incrollabili che rivaleggia con gli uomini in audacia e coraggio. Nel 1841 le sorti
della rivoluzione brasiliana appaiono segnate e la coppia si ritira a vivere in
Uruguay, trascorrendo alcuni anni lontana dai campi di battaglia. Ma è solo una
parentesi: la carriera militare di Giuseppe non è che all’inizio e, nel 1848, arriva
la chiamata per prendere parte al processo di unificazione dell’Italia. La
seconda parte della miniserie mette in scena la vicenda della Repubblica
Romana, che Giuseppe e Anita vivono da protagonisti. Giuseppe diventa un
personaggio di primo piano, un esempio di audacia e patriottismo per gli
uomini quanto Anita lo è per le donne. La protagonista, con altre patriote, aiuta
la raccolta dei fondi e l’organizzazione degli ospedali con passione e senza
pregiudizi. Assume perfino una prostituta, nonostante il dissenso generale,
perché riconosce in lei la fedeltà all’ideale. In seguito alla caduta della
Repubblica Romana, Garibaldi guida i suoi uomini in una faticosa ritirata e
Anita, sempre al suo fianco, si ammala e dopo qualche giorno muore.
La drammaturgia non riesce a risolvere in modo del tutto convincente il
problema implicito nel soggetto di questa miniserie, prodotta in occasione dei
150 anni dell’unità d’Italia: mettere al centro di una narrazione eroicizzante un
personaggio la cui partecipazione agli eventi della storia con la “esse”
maiuscola è marginale. I toni fortemente melodrammatici che sottolineano gli
ideali di cui Anita è resa simbolo, come famiglia e libertà, finiscono per sfociare
in qualche eccesso di retorica (G.G.)
127
La vita che corre
Miniserie (2x100’)
Rai Uno - Prima serata
Lunedì 30 e martedì 31 gennaio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 6.165
Share media: 21,34%
Regia: Fabrizio Costa
Soggetto: Claudio Corbucci, Mara Perbellini, Luisa Cotta Ramosino, Viola Rispoli. Head
writer: Claudio Corbucci
Sceneggiatura: Mara Perbellini, Luisa Cotta Ramosino, Viola Rispoli
Musiche: Maurizio De Angelis
Produzione: Rai Fiction, Dap Italy De Angelis Group
Produttori: Alessandra Ottaviani, Daniela Troncelliti (Rai Fiction), Guido De Angelis, Marco
De Angelis, Nicola De Angelis (Dap Italy De Angelis Group)
Interpreti: Flavio Parenti, Enzo Decaro, Enrico Ianniello, Clotilde Sabatino, Chiara Mastalli,
Valentina Imperatori, Lorena Cacciatore, Desiree Noferini, Fabrizio Bucci, Giuseppe Soleri,
Andrea Calligari, Leonardo Della Bianca, Michele Maganza, Francesco Zecca, Gianna Paola
Scaffidi, Vincenzo Alfieri, Alessandra Costanzo, Milena Miconi, Ettore Belmondo,
Massimiliano Buzzanca, Antonio Serrano, Samantha Capitoni, Massimo Wertmuller, Franco
Castellano, Barbara De Rossi.
Roma. Luca Renzi è un giovane e promettente medico. Andrea è il fratello
minore, ribelle e scontroso. Al ritorno da una serata da sballo in discoteca, un
drammatico incidente sconvolge le loro esistenze e quelle di tre amiche con cui
avevano flirtato fino a poco prima. Andrea e Chiara perdono la vita, Valentina
resta ferita, Anna e Luca restano illesi; Giuseppe, l’autista del furgone che
procedeva in senso opposto, subisce l’amputazione di una gamba. Mentre le
indagini stentano ad assegnare responsabilità, affiora un passato di droga
condiviso dai due fratelli. Luca, già distrutto per aver causato la morte di
Andrea, si ritrova ricattato da uno spacciatore, e pressato dalla ricerca della
verità intrapresa dal padre Vittorio. L’amore per la compagna Simona, da cui
aspetta un figlio, e coraggiose decisioni in campo professionale lo spingeranno
a ritrovare la stima di sé e ad iniziare una nuova vita.
La vita che corre trae spunto da un tema di rilevanza sociale, le drammatiche
stragi del sabato sera che mietono vittime tra i giovani, per giustificare la
costruzione di un tipico melodramma familiare. Il focus narrativo è infatti
quasi interamente centrato sulle tensioni interne alla famiglia del protagonista,
acuite da una tragedia che risveglia nel padre il tardivo desiderio di conoscere il
figlio morto e di riscattarne la memoria. Fanno da contorno esistenze parallele
avvicinate da un amaro destino, come quella di Valentina, rimasta sfregiata e
intenzionata a non coprire quella cicatrice, o di Giuseppe, che rischia per
orgoglio di far naufragare il suo matrimonio. Ma l’inserimento di troppe linee
narrative, che evolvono senza particolari interconnessioni, va a discapito della
profondità nella rappresentazione delle psicologie e dei rapporti. (S.V.)
128
Il generale dei briganti
Miniserie (2x100’)
Rai Uno – Prima serata
Domenica 12 e lunedì 13 febbraio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 6.219
Share media: 21,68%
Regia: Paolo Poeti
Soggetto: Antonio Ferraro, Paolo Poeti
Sceneggiatura: Giovanna Koch, Paolo Poeti, Carlo Felice Casula
Musiche: Andrea Ridolfi, Vito Abbonato, Mario Ramunni
Produzione: Rai Fiction, Ellemme Group
Produttori: Fabrizio Zappi (Rai), Massimo e Vanessa Ferrero
Interpreti: Daniele Liotti, Raffaella Rea, Danilo Brugia, Massimo Dapporto, Fabio Troiano,
Massimiliano Dau, Marco Leonardi, Christiane Filangieri, Larissa Volpentesta, Massimo
Bonetti, Nadia Carlomagno, Chiara Cavaliere, Vincenzo Alfieri, David Coco
Basilicata, 1860. Carmine Crocco, uno dei più famigerati briganti del suo
tempo soprannominato “generale”, osserva a distanza il funerale della madre
perché teme che sia una trappola per catturarlo. Da qui si innescano i flashback
che scandiscono la prima puntata, raccontando le tappe salienti della sua vita e
spiegando perché si è dato al brigantaggio. Da bambino Carmine assiste ai
continui soprusi dei signori ai danni di poveri contadini, fra cui suo padre. Sua
madre resta ferita nel tentativo di salvarlo dalla frusta di un prepotente. Da
ragazzo si arruola nell’esercito borbonico ma è anche innamorato e non vede
l’ora di tornare a casa per sposare Nennella. La ragazza però viene ingannata da
un altro pretendente che approfitta della fiducia e dell’analfabetismo di lei per
reinventare le lettere che Carmine le scrive e di cui lei gli chiede lettura. Riesce
ad allontanarla dall’amato e a sposarla lui stesso. Carmine cerca un porto
franco a casa del padre ma scopre che la sorella è stata sfregiata da un nobile
per aver rifiutato le sue attenzioni. Travolto dalla rabbia Carmine lo uccide e si
dà alla macchia. La seconda puntata procede in modo lineare, raccontando
ascesa e caduta del “generale dei briganti”. In poco tempo Carmine diventa un
bandito famoso con molti uomini al suo comando e inizia a collaborare con
Garibaldi per l’unità d’Italia. Nennella scopre di essere stata ingannata e fugge
dal marito per riunirsi a lui. Intanto il conflitto raggiunge il suo apice e il
protagonista combatte, forte di una lettera di Garibaldi in cui, a guerra finita, gli
viene promessa l’amnistia. Solo alla fine del conflitto scopre che la lettera non
ha valore. Carmine viene condannato a morte per vari crimini, la maggior parte
dei quali compiuti in difesa dei deboli e in nome dell’unità d’Italia. La
rappresentazione del periodo storico e del fenomeno del brigantaggio è
semplicistica, un puro sfondo funzionale alla messa in scena di un efficace
melodramma popolare, con un protagonista costantemente vittima di
ingiustizie, situazioni di immediato impatto emotivo, caratteri manichei. (G.G.)
129
Walter Chiari - Fino all’ultima risata
Miniserie (2x100')
Rai Uno – Prima serata
Domenica 26 e lunedì 27 febbraio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 5.963
Share media: 21,82%
Regia: Enzo Monteleone
Soggetto e sceneggiatura: Enzo Monteleone, Luca Rossi
Musiche: Pivio e Aldo De Scalzi
Produzione: Rai Fiction, Casanova Multimedia
Produttori: Fabrizio Zappi (Rai Fiction), Luca Barbareschi (Casanova Multimedia)
Interpreti: Alessio Boni, Bianca Guaccero, Dajana Roncione, Anna Drijver, Karin Proia,
Caterina Misasi, Gerardo Mastrodomenico, Federico Costantini, Michele Di Mauro
Roma, 1970. Walter Chiari è il comico più amato d’Italia. E’ all’apice della
carriera e aspetta un figlio dalla moglie, l’attrice Alida Chelli, quando la polizia
lo arresta con l’accusa di consumo e spaccio di droga. In carcere, in attesa del
processo, il protagonista rivive le tappe fondamentali della sua carriera, a
partire dall’immediato dopoguerra quando, operaio a Milano, sostituisce per
caso un comico in una rivista teatrale. Nei venti anni successivi la stella di
Walter Chiari brillerà in teatro, al cinema e in televisione. Anche la vita
sentimentale del protagonista è movimentata e vissuta sotto i riflettori. Chiari si
innamora di Lucia Bosé, ex miss Italia e attrice, che gli spezza il cuore per la
prima volta, poi di Ava Gardner, star internazionale che gioca con lui e poi lo
molla, preda della sua vita di eccessi e alcool. Finalmente incontra Alida Chelli,
la donna giusta, e quasi subito scoppia lo scandalo. Chiari ammette l’uso di
stupefacenti e, mentre sconta la sua condanna, lei lo lascia portando con sé il
figlio Simone. Di nuovo libero, Chiari tenta di riprendere il suo posto nel
mondo dello spettacolo, ma fatica ad ottenere scritture e, quando finalmente
torna a lavorare in tv, non sente attorno a sé quel clima di rispetto e fiducia cui
aspira. Colto da un infarto, resta a lungo fuori dalle scene. Sarà il figlio Simone,
ormai adulto, che lo convince a tornare al cinema ottenendo, poco prima della
morte, grandi riconoscimenti di pubblico e critica. Fino all’ultima risata
arricchisce il filone del biopic televisivo dedicato ai personaggi dello spettacolo.
La struttura bipartita delle miniserie utilizza l’arresto come evento spartiacque
del percorso biografico: la prima puntata racconta in flashback esordi e
successo; la seconda il declino e la rinascita del protagonista come padre e
attore. Sebbene attraversi quarant’anni di storia dello spettacolo italiano, la
fiction concede poco al ritratto d’epoca e d’ambiente, concentrandosi sul
delicato equilibrio tra pubblico e privato che caratterizza la vita di un uomo di
spettacolo, sulla fatica di dover corrispondere ogni giorno alle aspettative del
pubblico. Costruito sull’archetipo del clown triste, il Walter Chiari della fiction
è un istrione che cerca di conciliare l’uomo e il personaggio, che si perde e si
ritrova, in tempo per rendersi conto di quanto effimero sia l’amore del
pubblico, e quato solido e duraturo possa essere quello di un figlio. (G.G.)
130
La Certosa di Parma
Miniserie (2x100’)
Rai Uno - Prima serata
Domenica 4 e lunedì 5 marzo 2012
Ascolto medio (in migliaia): 5.388
Share media: 19,94%
Regia: Cinzia TH Torrini
Soggetto: Francesco Asioli, Anna Maria Carli
Sceneggiatura: Louis Gardel, Frederic Mora, Francesco Arlanch, con la collaborazione di
Cinzia TH Torrini e Jacques Nahum
Musiche: Savio Riccardi
Produzione: Rai Fiction, Tangram Film, France 3 e Jnp France Films
Produttori: Daria Hensenberger (Rai Fiction), Monique Trnka (produttore associato), Roberto
Levi (Tangram Film), Jacques Nahum (Jnp France Films), Dominique Ambiel (Aprime Group)
Interpreti: Marie Josee Croze, Rodrigo Guirao Diaz, Hippolyte Girardot, Ralph Palka, Stefano
Abbati, Barbara Ronchi, Davide Lorino, Marco Viecca, Francesco Stella, Ruggero Cara, Lucas
W.Zanforlini, Valentina Reggio, Matteo Ripaldi, Dora Romano, Anna Ferruzzo, Fabio
Farronato, Enrico Beruschi, Delphine Serina, Laura Killing, Roland Copè, Mattia Sbragia,
Francois Berleand e con Alessandra Mastonardi
Milano-Parma, 1815. Fabrizio Del Dongo, giovane nobile milanese animato da
ideali rivoluzionari, parte per la Francia per arruolarsi tra le truppe
napoleoniche. Rimpatriato dopo la disfatta di Waterloo, trova ad accoglierlo la
zia Gina, piena di affettuose premure e segretamente innamorata di lui. Al
termine di un seminario ecclesiastico a Napoli, Fabrizio viene ospitato dalla zia
a Parma - nel frattempo diventata duchessa e amante del Conte Mosca - che
per il nipote nutre un affetto sempre più morboso. Dopo aver conosciuto la
bella Clelia, Fabrizio confessa a Gina che non potrà mai amarla. In seguito ad
un reato, il giovane viene rinchiuso nella Fortezza di Parma, dalle cui finestre
può ammirare Clelia, figlia del generale che dirige la prigione, che lo aiuterà a
fuggire. Ma il loro è un amore impossibile e tragico: lei sposa un marchese e lui
diventa predicatore. Più avanti, alla morte della donna e del loro bambino,
Fabrizio si ritirerà fino alla fine dei suoi giorni nella Certosa di Parma.
Già portata sugli schermi dallo sceneggiato di Bolognini, l’opera di Stendhal
torna ad ispirare il racconto televisivo. La miniserie sceglie di sintetizzare la
trama restando più fedele all’intreccio - che però talvolta si perde tra balzi
temporali e di ambientazione - che all’approfondimento dei personaggi e alla
rappresentazione del contesto storico, evocato in modo didascalico. Puntando
sul richiamo delle scenografie e del romanticismo spinto di alcune scene,
questa sontuosa coproduzione tralascia la riflessione sull’eterna dialettica
passione vs sentimento che caratterizza il romanzo. Nel ritratto edulcorato di
un’epoca piena di cambiamenti e contraddizioni, c’è infatti solo qualche traccia
di quella critica alle ipocrisie della società, e di quel richiamo ai chiaroscuri
dell’animo umano, come il desiderio che sfora nell’incesto o l’amore mai sopito
che trae vigore nel tradimento. (S.V.)
131
Il sogno del maratoneta
Miniserie (2x100’)
Rai Uno - Prima serata
Domenica 18 e lunedì 19 marzo 2012
Ascolto medio (in migliaia): 4.011
Share media: 15,00%
Regia: Leone Pompucci
Soggetto: Pietro Calderoni, Gualtiero Rosella. Tratto dal romanzo “Il sogno del maratoneta. Il
romanzo di Dorando Pietri” di Giuseppe Pederiali, Garzanti Libri
Sceneggiatura: Pietro Calderoni, Gualtiero Rosella, Grazia Giardiello, Roberto Jannone, con
la partecipazione di Giovanna Mori
Musiche: Carlo Crivelli
Produzione: Rai Fiction, Casanova Multimedia
Produttori: Marta Aceto (Rai Fiction), Luca Barbareschi (Casanova Multimedia)
Interpreti: Luigi Lo Cascio, Laura Chiatti, Dajana Roncione, Alessandro Haber, Thomas
Trabacchi, Fabio Fulco, Andy Luotto, Jerry Mastrodomenico, Roberto Nobile, Enrico
Salimbeni, con la partecipazione di Pippo Delbono
Carpi, primi del ‘900. Dorando Pietri è un giovane contadino con una grande
passione: la corsa. Vorrebbe entrare nella squadra cittadina per partecipare alla
maratona ma il direttore lo rifiuta. Incoraggiato dal fratello Ulpiano, sfida allora
Rondinella, il campione italiano in carica, e lo batte. Dorando trova così la
determinazione necessaria per allenarsi in vista delle Olimpiadi di Londra del
1908. Intanto trova l’amore nella dolce Teresa, figlia del suo allenatore, e si fa
sedurre dall’avvenente Luciana, collega della fabbrica di cappelli in cui ha
iniziato a lavorare. Pietri passa alla storia come il vincitore della maratona
olimpica pur non avendo ottenuto la vittoria: viene squalificato per essere stato
aiutato dai giudici di gara, sfinito e barcollante all’arrivo al White City Stadium,
a tagliare il traguardo. Affranto e deluso parte per l’America dove, invece di
trovare il meritato riscatto, è costretto ad esibirsi su scommesse di un losco
agente. A New York ritrova Luciana, emigrata per la delusione d’amore, intenta
a crescere il figlio avuto da Rondinella, di cui era stata amante. È allora che
Dorando capisce che il suo posto è a Carpi, accanto alla fedele e consolatoria
moglie Teresa, almeno fin quando lo scoppio della guerra non lo costringerà ad
andare al fronte insieme al nemico-amico di sempre Rondinella.
Il sogno del maratoneta è un prodotto in linea con le convenzioni narrative delle
miniserie biografiche. La rappresentazione di un eroe “tragico” racchiuso nel
fisico minuto e scattante di un simpatico e onesto operaio di provincia, e
dongiovanni impenitente, è vivificata da una schiera di riusciti comprimari (sin
dall’incipit del racconto, quando ancora scorrono i titoli di testa, ognuno di
loro si rivolge al pubblico con una battuta sul protagonista). La cura nelle
scenografie e nella scelta delle musiche, interpretazioni all’altezza e dialoghi in
carpigiano sincopato - efficace nel far respirare lo spirito del tempo - sono i
valori aggiunti di una fiction che risente tuttavia di una eccessiva lentezza
narrativa. (S.V.)
132
Barbarossa
Miniserie (2x100’)
Rai Uno – Prima serata
Domenica 25 e Lunedì 26 marzo 2012
Ascolto medio (in migliaia): 3.635
Share media: 13,43%
Regia: Renzo Martinelli
Soggetto: Renzo Martinelli, Giorgio Schottler
Sceneggiatura: Renzo Martinelli, Giorgio Schottler, Anna Samueli
Musiche: Pivo e Aldo De Scalzi
Produzione: Martinelli Film Company International, Castel Film Studios, Rai Cinema
Produttori: Renzo Martinelli, Riccardo Pintus, Vlad Paunescu
Interpreti: Rutger Hauer, Raz Degan, Kasia Smutniak, Cecile Cassel, Angela Molina, F.
Murray Abraham, Antonio Cupo, Hristo Shopov, Federica Martinelli, Elena Bouryka, Maurizio
Tabani
Lombardia, XII secolo. Federico Barbarossa, imperatore del Sacro Romano
Impero, durante una battuta di caccia al cinghiale è vittima di un incidente che
lo trasforma in preda, ma un giovane popolano, praticamente un bambino, si
espone al pericolo e lo salva uccidendo la fiera con una freccia. Si tratta di
Alberto Da Giussano che in questo modo ottiene da Federico un prezioso
pugnale in segno di gratitudine. E’ il primo incontro fra i due, che anni dopo si
ritroveranno da avversari sui campi di battaglia. Negli anni seguenti infatti
Barbarossa stringe la presa sulle città del nord Italia: ne sottomette alcune e ne
conquista altre senza troppo sforzo; infine sottopone Milano a un assedio
durante il quale muoiono i due fratelli di Alberto, uccisi e poi esposti in bella
mostra per la gloria dell’imperatore, il quale dispone che la città di Milano sia
distrutta e i suoi abitanti dispersi. Alberto allora fonda la Lega della Morte, che
raccoglie esuli e nobili avversi al dominio del Barbarossa e organizza una
guerra di resistenza contro l’invasore. Barbarossa tenta più volte di annientarlo
senza riuscirci, fino alla storica battaglia risolutiva di Legnano, in cui Alberto è
suo nemico come soldato e come stratega. I milanesi sconfiggono l’esercito di
Barbarossa che sfugge alla morte ma che dovrà rinunciare per sempre al suo
sogno di conquista del territorio italiano. A dispetto del titolo, il protagonista
della miniserie è Alberto Da Giussano, figura leggendaria priva di fondamento
storico che incarna i valori del patriottismo lombardo. Barbarossa è
l’antagonista, il nemico, un uomo di enorme potere e capacità, circondato da
un grande esercito, mentre Alberto è la metafora di un popolo che sebbene sia
povero di risorse, può sconfiggere un potente tiranno se resta unito sotto lo
stesso ideale. La miniserie, che si affida ad un cast internazionale, tenta di
coniugare il mito con la ricostruzione storica, gli intenti didascalici (l’esaltazione
dello spirito d’appartenenza lombardo) con la spettacolarizzazione degli eventi,
facendo ricorso a scene d’azione e situazioni cruente. L’esito finale non risulta
convincente, né sul piano della ricostruzione storica, né nel tentativo di rendere
avvincente una trama appesantita da un eccesso di enfasi. (G.G.)
133
Maria di Nazareth
Miniserie (2x100’)
Rai Uno – Prima serata
Domenica 1 e lunedì 2 aprile 2012
Ascolto medio (in migliaia): 7.759
Share media: 27,35%
Regia: Giacomo Campiotti
Soggetto: Francesco Arlanch
Sceneggiatura: Francesco Arlanch, Giacomo Campiotti. Story editor: Giovanni Capetta
Musiche: Guy Farley
Produzione: Rai Fiction, Lux Vide, Bayerischer Rundfunk, BetaFilm, Tellux, Telecinco
Cinema
Produttori: Luca Bernabei (Lux Vide), Fania Petrocchi (Rai Fiction)
Interpreti: Alissa Jung, Paz Vega, Andreas Pietschmann, Antonia Liskova, Thomas Trabacchi,
Marco Rulli, Luca Marinelli, Andrea Giordana, Roberto Citran, Marco Foschi, Johannes
Brandrup, Antonella Attili, Sergio Muniz, Remo Girone, Mariano Rigillo, Marco Messeri
Maria di Nazareth è un mistero, così dicono i suoi stessi genitori quando da
piccola sfugge miracolosamente ai cani delle guardie inviate da Erodiade,
emissaria del male, che sembra voglia scovarla prima che cresca e dia alla luce
Gesù. Maria diventa una ragazza dolce e virtuosa di cui si innamora il giovane
Giuseppe. Maria però riceve la visita di un angelo che gli annucia la sua futura
gravidanza. Giuseppe non le crede ma l’angelo parla anche a lui e lo
tranquillizza. La prima puntata termina con la nascita di Gesù mentre la
seconda racconta, soprattutto dal punto di vista di Maria, il periodo della
predicazione di Gesù, fino alla sua crocefissione e resurrezione. Parallelamente
seguiamo la storia di Maddalena, migliore amica di Maria che, dopo aver visto
il padre uccidere la madre per adulterio, accetta di entrare come danzatrice e
cortigiana alla corte di Erode. Per lei sarà un percorso di perdizione e poi
redenzione con la guida del giovane Gesù. Maria di Nazareth non offre una
particolare lettura della protagonista ma si limita a metterla in scena
tratteggiando un’allegoria semplice e diretta. Fin dall’inizio Maria considera se
stessa una serva di Dio e non mette in discussione le parole dell’angelo né si
scoraggia di fronte all’iniziale reticenza di Giuseppe. Maddalena, secondo
punto di vista sulla storia, ha invece una linea di trama più articolata in quanto
si trova al centro di un intrigo di palazzo che la vedrà finire accusata di
adulterio, come la madre. Salvata da Gesù, inizia poi la sua redenzione. A parte
qualche concessione al melodramma, la miniserie resta fedele alla sua
vocazione agiografica, presupponendo, da parte del pubblico, una conoscenza
acquisita degli eventi messi in scena ed una adesione aprioristica al loro
significato. Il percorso della protagonista viene tratteggiato attraverso una serie
di eventi che non vengono indagati e spiegati, ma esaltati attraverso la messa in
scena, letterale e dotata di forza imaginifica e metaforica (come nella scena in
cui la malvagia Erodiade viene vista con fattezze da mostro dal re morente), di
momenti più o meno famosi tratti dalle sacre scritture. (G.G.)
134
Zodiaco – Il libro perduto
Miniserie (4 x 100')
Rai Due/Rai Premium – Prima serata
Mercoledì 11 e 18 aprile, lunedì 23 e 30 aprile 2012
Ascolto medio (in migliaia): 1.437 (media dei due episodi in onda su Raidue)
Share media: 4,89%
Regia: Tonino Zangardi
Soggetto e sceneggiatura: Silvia Napolitano, Mimmo Rafele, liberamente tratto da Le maître
du zodiaque, di Franck Olliver e Malina Detcheva
Musiche: Teho Teardo
Produzione: Casanova Multimedia, Rai Fiction
Produttori: Luca Barbareschi (Casanova Multimedia), Daniela Valentini, Matteo Martone (Rai
Fiction)
Interpreti: Sergio Assisi, Magdalena Grochowska, Antonia Liskova, Andrea Bosca, Marina
Tagliaferri, Giorgia Salari, Marc Louis Tainon, Eleonora Binando, Domenico Diele, Riccardo
Marzuoli, Lucrezia Bisignani
Torino. La morte in un incidente d’auto di Ester Santandrea, la protagonista
del primo capitolo di Zodiaco, è l’inizio di una serie di eventi destinati a rivelare
ulteriori segreti sulla famiglia della donna. Due investigatori legati a Ester per
motivi diversi indagano fianco a fianco sulla sua scomparsa, convinti che sia
stata uccisa: Julian Savelli, archeologo e agente di Scotland Yard in incognito,
con cui Ester condivideva il sospetto che in un prestigioso collegio della città si
nascondesse una setta esoterica collegata a Nostradamus; ed Eva Gruber,
commissario di polizia, che si scoprirà essere la schizofrenica sorella di Ester in
cerca di vendetta contro la famiglia dei Daverio, proprietari del collegio e
finanziatori della setta. Eva, durante l’infanzia, era stata sequestrata dai
Daverio, ma era riuscita a scappare sottraendo alla setta il “libro perduto” di
Nostradamus. Ed è ora lei, in stato di follia, a provocare la morte di alcuni dei
suoi carcerieri. Il principale sospettato della catena di delitti è però Matteo, lo
Zodiaco, nel frattempo evaso dal carcere e intenzionato a scoprire la verità
sulla morte di un’altra donna, Elena, causata da uno dei capi della setta in cerca
del “libro perduto”. Il prossimo bersaglio dell’assassino è proprio Eva, ma
Julian e Matteo, ricostruita la storia della Gruber, intervengono in tempo a
salvarle la vita.
La miniserie è il sequel del thriller Zodiaco del 2007-2008, di cui ripropone
formato e atmosfere, ereditandone - e a volte amplificandone - anche i difetti
strutturali. La già problematica fusione tra melodramma familiare,
parapsicologia e detection penalizza ancora di più la dimensione investigativa,
sacrificata alla ambigua caratterizzazione di Eva, il cui ruolo istituzionale si
rivela alla lunga pretestuoso. Il protagonismo del racconto è incerto e al
contempo lo statuto e le ragioni degli antagonisti sono resi in modo confuso.
La trama ha un ritmo altalenante: è a tratti ripetitiva nella parte centrale, mentre
quella finale, seppur movimentata, soffre di un eccessivo spiegazionismo. (D.I.)
135
L’Olimpiade nascosta
Miniserie (2x100’)
Rai Uno – Prima serata
Domenica 27 e lunedì 28 maggio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 4.582
Share media: 19,03%
Regia: Alfredo Peyretti
Soggetto e sceneggiatura: Maura Nuccetelli, Fabrizio Bettelli, Francesco Miccichè
Musiche: Paolo Vivaldi
Produzione: Casanova Multimedia, Rai Fiction
Produttori: Luca Barbareschi (Casanova Multimedia), Francesca Loiero, Paola Pannicelli (Rai
Fiction)
Interpreti: Cristiana Capotondi, Alessandro Roja, Gary Lewis, Andrea Bosca, Johannes
Brandrup
1944, confine tra Polonia e Germania. Mario è un soldato italiano prigioniero
in un campo di lavoro nazista. Weber, l’ufficiale che comanda il campo, è un
fanatico, sadico e inflessibile. Mario, durante dei lavori fuori dal campo,
incontra per caso Kasia, una ragazza del luogo, e la convince a prendere con sé
Joel, un bambino ebreo che la madre ha dovuto abbandonare. All’interno del
campo la situazione si fa sempre più pesante, non solo per le vessazioni dei
nazisti, ma anche perché gli internati, che appartengono a popoli divisi da
antiche rivalità, invece di far fronte comune, sono in conflitto fra loro. Fra i
progionieri c’è un ufficiale inglese, ex atleta, che per combattere lo stato di
abbrutimento dei prigionieri ha l’idea di organizzare in segreto delle Olimpiadi.
Quello sarebbe l’anno giusto se non fosse per la guerra. I detenuti si dividono
in squadre e si allenano di nascosto. Weber li scopre: a sorpresa, non li punisce,
ma esige di partecipare. Dovrà essere la Germania a vincere, per la gloria del
Reich. I prigionieri rifiutano per orgoglio, ma intanto la resistenza ha
organizzato un’evasione nel campo vicino in cui sono tenute donne e bambini,
tra cui anche Kasia e Joel, che erano stati scoperti dalle SS e internati. C’è
bisogno che l’Olimpiade si faccia, come diversivo per facilitare l’evasione.
Mario convince gli altri a partecipare e lui stesso accetta di salire sul ring per un
incontro di boxe contro Weber. All’inizio Mario è perdente, ma quando gli
arriva la notizia che l’evasione è avvenuta, e che Kasia e Joel sono in salvo,
abbandona ogni remora e mette al tappeto il suo avversario. L’olimpiade nascosta
è un’efficace allegoria in cui lo sport si oppone alla guerra con valori come
lealtà e fratellanza. Per l’originalità della situazione messa in scena, che
rielabora eventi reali e suggestioni cinematografiche (a partire da Fuga per la
vittoria), e per i toni a tratti epici, questa miniserie si ditingue dalla recente e
copiosa produzione di fiction storico-melodrammatiche ambientate nella
Seconda Guerra Mondiale. Il percorso del protagonista invece, è convenzionale
(Mario all’inizio schivo ed egoista, grazie a Kasia e Joel, riscopre il valore
dell’amore e della famiglia e trova il coraggio di mettersi in gioco), ma è utile a
conferire unità ad una vicenda tendenzialmente corale ed episodica. (G.G.)
136
SERIE E SERIAL
137
Cento Vetrine
Serial (1812x25’ e 11x100’ nella stagione)
Canale 5 – Daytime/Prima serata
Dal lunedì al venerdì, dal 5 settembre 2011 al 1 giugno 2012
Ascolto medio (in migliaia): 3.462 (daytime) – 3.043 (primetime)
Share media: 20,68% (daytime) – 11,44% (primetime)
Regia: Marco Maccaferri, Fabrizio Portalupi, Giovanni Barbaro, Carlo Timpanaro, Michele
Ferrari, Pepi Romagnoli, Michele Rovini
Soggetto: Luca Pellegrini, Davide Sala, Margherita Pauselli, Andrea Galeazzi, Maria Teresa
Venditti, Annamaria Sorbo, Federico Fava, Christian Bisceglia, Valentina Gaddi, Silvia Cinelli
Sceneggiatura: Cristiana Farina, Eleonora Fiorini; Paolo Girelli; Christian Bisceglia e Davide
Sala (sceneggiatori capo). Story editor RTI: Carlo Levantesi
Musiche: Silvio Amato
Produzione: RTI, Mediavivere
Produttori: Daniele Carnacina (prod. esecutivo e creativo), Massimo Del Frate (prod.
esecutivo), Barbara Anzani (produttori R.T.I.)
Interpreti: Luca Capuano, Elisabetta Coraini, Marianna De Micheli, Pietro Genuardi, Sergio
Troiano, Roberto Alpi, Linda Collini, Sara Zanier, Raffaello Balzo, Alex Belli, Michele D’Anca,
Jgor Barbazza, Barbara Clara, Giusi Cataldo, Daniela Fazzolari
Torino. Nel centro commerciale “CentoVetrine” s’incrociano i destini di
dirigenti e negozianti. Al centro della storia sono sempre Ettore Ferri, che
riconquista saldamente la guida della holding, e il suo nemico Sebastian Castelli
(che dopo la morte della cognata Rossana si unisce a Laura Bettini). Ma
stavolta sono soprattutto le vicende private ad alimentare l’intreccio intorno ai
due personaggi. Per iniziativa di Ettore, entra in scena la moglie di Sebastian,
Matilda, da tempo data per morta, creando fratture nei rapporti di Sebastian sia
con Laura sia con i figli Jacopo e Viola (ai quali aveva nascosto la verità sulla
madre). E anche per Ettore è tempo di “ritorni”: scovata da Ivan Bettini,
l’amministratore del gruppo, arriva Diana Ferri, sorella gemella della compianta
Anita, la cui esistenza era a tutti ignota. Diana si finge figlia amorevole, ma
nasconde propositi di vendetta contro il padre. Tra i segreti e le agnizioni tipici
delle narrative popolari, proseguono poi gli intrighi affaristici per il controllo
dell’azienda (da parte di Jacopo, che non si rassegna ad un ruolo subalterno) e
le immancabili vicende amorose: di Carol Grimani, sempre più legata al medico
Adriano; di sua figlia Serena, che finalmente convola a nozze con il vicecommissario Damiano; e di Viola, addolcita dall’amore per Brando Solani, un
possidente terriero che ha aperto un negozio nel centro. Alla costante ricerca di
un equilibrio appaiono invece Cecilia e Niccolò Castelli: dopo la morte della
madre Rossana, lui parte, mentre lei entra in polizia. Ma nuove nubi si
addensano all’orizzonte per i personaggi della soap… La dodicesima edizione
di Centovetrine ripropone uno stile melodrammatico denso di colpi di scena ed
emozioni forti, di intrighi d’affare e amori vecchi e nuovi. Ingredienti che
hanno confermato - pur con le voci di chiusura e un parziale spostamento in
prima serata - il perdurante successo della soap. (A.L.N.)
138
Un posto al sole
Serial (192x25’ nella stagione)
Rai Tre – Prima serata
Dal lunedì al venerdì, dal 5 settembre 2011 al 31 maggio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 2.408
Share media: 8,64%
Regia: Rossano Mancin, Stefano Amatucci, Donatello Alunni Pierucci, Bruno Nappi, Isabella
Leoni, Francesco Vitiello, Claudio Norza, Gerardo Gallo, Bruno De Paola, Donatella Maiorca,
Monica Massa, Alberto Bader, Massimiliano Papi
Soggetto: Athos Zontini, Andrea Vinti, Cristiano Rocco, Dario Carraturo, Sara Rescigno,
Guglielmo Finazzer, Paolo Terracciano, Benedetta Gargano, Kirsi Viglione, Brunella Voto
Sceneggiatura: Rosanna La Monica (coordinamento creativo); Gabriella Mangia, Mario
Donadio (supervisione FremantleMedia Italia); Michele Zatta (supervisione Rai)
Musiche: Antonio Annona
Produzione: Fremantle Media Italia, Raifiction e Centro di Produzione Rai di Napoli.
Produttori: Fabio Sabbioni (produttore creativo); Daniela Troncelliti, Loredana Carbone (Rai)
Interpreti: Carmen Scivittaro, Lucio Allocca, Luisa Amatucci, Alberto Rossi, Peppe Zarbo,
Vincenzo Messina, Germano Bellavia, Davide Devenuto, Marina Giulia Cavalli, Ilenia
Lazzarin, Patrizio Rispo, Nina Soldano, Marzio Honorato, Claudia Ruffo, Luca Turco,
Michelangelo Tommaso, Riccardo Polizzy Carbonelli, Stefania De Francesco, Cristina
D’Alberto, Marina Tagliaferri, Giorgia Gianetiempo
Napoli, Posillipo. A Palazzo Palladini s’intrecciano le vite di un gruppo di
personaggi, differenziato per età ed estrazione sociale. Questa quindicesima
edizione della soap si sviluppa, come è nelle convenzioni del genere, all’insegna
dei ritorni, dei ricominciamenti e dei nuovi amori: torna Giulia Poggi, che con
la figlia Angela (riunitasi a Franco e madre della piccola Bianca) riorganizza il
lavoro del centro sociale. Silvia e Michele ritrovano l’amore di un tempo e
tornano a vivere insieme; mentre Roberto Ferri, ormai dedito ai Cantieri
Palladini, si riunisce a Greta (la donna per cui aveva tradito Marina Giordano) e
la sposa. Nuovi rapporti, complicati e destinati a non durare, coinvolgono la
sempre agguerrita Marina, ora a capo delle imprese Ferri-Ranieri, Filippo Ferri
e, in un inedito triangolo tra i più giovani, Nico, Rossella e Gianluca Palladini.
Ma a dare l’impronta distintiva alla stagione è la più spiccata attenzione per il
sociale, in particolare per le implicazioni camorristiche che incidono sulla vita
dei personaggi (il lavoro di Giulia e Angela, le inchieste giornalistiche di
Michele, il lavoro in palestra di Franco…), fino al dramma dello stupro di
Angela ad opera di un branco (una vendetta legata ai tentativi del nonno
camorrista di Nunzio, il figlio adottivo di Franco, di attirare a sé il nipote). Sui
consueti binari si snodano infine le unioni del portiere Raffaele e Ornella, di
Renato Poggi e Adriana, del fotografo Andrea e Arianna (che superano la
malattia di lei e si sposano). Un posto al sole conferma le caratteristiche di
sempre: vicende ispirate al realismo quotidiano, e non di rado drammatiche;
enfasi sulle relazioni amicali e sentimentali; una costante attenzione al sociale. Il
tutto senza rinunciare ai toni leggeri della commedia. (A.L.N.)
139
Don Matteo 8
Serie (22x50', 2x70’)
Rai Uno – Prima serata
Giovedì dal 15 settembre all’8 dicembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 7.037
Share media: 27,07%
Regia: Giulio Base, Carmine Elia, Fernando Muraca, Salvatore Basile
Soggetto di serie: Alessandro Bencivenni, Enrico Oldoini, Domenico Saverni, con la
collaborazione di Alessandro Jacchia, Alessandra Caneva; co-autore del soggetto di serie e
adattamento: Carlo Mazzotta; format di serie: Alessandro Jacchia; da un’idea di Enrico Oldoini
Sceneggiatura: Mario Ruggeri, Sabina Marabini, Francesco Arlanch, Andrea Valagussa,
Francesca De Michelis, Umberto Gnoli, Tiziana Lupi, Mariella Sellitti, Luisa Cotta Ramosino,
Lea Tafuri, Mariolina Venezia, Erminio Perocco, Mauro Graiani, Emanuela Canonico, Cecilia
Spera, Alessia Lepore, Elena Bucaccio, Viola Rispoli, Valerio D’Annunzio; story editor: Sabina
Marabini, Mario Ruggeri, con la collaborazione di Umberto Gnoli.
Musiche: Pino Donaggio
Produzione: Lux Vide in collaborazione con Rai Fiction
Produttori: Matilde e Luca Bernabei (Lux Vide), Francesca Tura e Daria Hensemberger (Rai
Fiction), Sara Melodia (prod. creativo)
Interpreti: Terence Hill, Nino Frassica, Simone Montedoro, Nathalie Guettà, Pamela Saino,
Caterina Sylos Labini, Eleonora Sergio, Laura Glavan, Francesco Scali, Pietro Pulcini,
Giuseppe Sulfaro, Simona Marchini, Astra Lanz, Andrea Pittorino, Sydne Rome, Giada Arena
In questa edizione della serie ritroviamo Don Matteo dedito, come sempre, alla
sua peculiare vocazione di parroco detective, diviso tra la veste ufficiale di
autorevole guida religiosa della comunità di Gubbio e il ruolo ufficioso di abile
“collaboratore” nelle indagini dei carabinieri della locale stazione, grazie alla
stima e all’amicizia che lo legano al maresciallo Cecchini. Ad animare la
canonica di Don Matteo, oltre a vecchie conoscenze come Natalina, Pippo e il
piccolo Agostino, una nuova inquilina: Laura, ragazza incinta orfana di madre e
con il padre in carcere, che darà alla luce una bambina. Il sacerdote assume un
inedito ruolo “paterno” nei confronti dell’adolescente, la quale, spesso in
conflitto con Don Matteo riguardo alle decisioni da prendere per il futuro della
neonata, finirà per seguirne i consigli. Intanto il capitano Tommasi chiede a
Patrizia, la figlia di Cecchini, di sposarlo.
Come di consueto, ogni episodio presenta un caso di omicidio, perlopiù
maturato in ambito familiare o lavorativo, sistematicamente risolto dall’acume
investigativo del protagonista. A dare il quid identitario al racconto è ad ogni
modo lo statuto etico-spirituale di Don Matteo, che riesce a cogliere gli indizi
prettamente “umani” del caso e a comunicare ad un livello profondo con
sospettati e colpevoli, inducendoli a confessare le loro colpe e a cercare la
redenzione. La formula narrativa coniuga sapientemente il giallo con il comico
(le numerose gag a cui danno vita Cecchini, Pippo e Natalina) e il rosa della
continuing story (ai quali si aggiungono elementi melodrammatici legati alla
vicenda di Laura). (D.I.)
140
Distretto di polizia 11
Serie (26x50')
Canale 5 – Prima serata
Domenica dal 9 ottobre 2011 al 15 gennaio 2012; martedì 8 novembre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 3.164
Share media: 12,44%
Regia: Alberto Ferrari
Sceneggiatura: Francesco Cioce, Vinicio Canton, Giacomo Durzi, Alessandro Fabbri,
Federico Lunadei Maroder, Sara Mosetti, Andrea Galeazzi, Anna Mittone, Fabio Visca, Andrea
Magnani, Gianluca Ansanelli, Gianni Biondillo. Editors Taodue: Luca Rossi, Debora Alessi,
Andrea Leanza
Musiche: Pivio e Aldo De Scalzi
Produzione: RTI, Taodue
Produttori: Dario Gorini, Gianluca Tino (RTI), Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt (Taodue)
Interpreti: Simone Corrente, Andrea Renzi, Dino Abbrescia, Lucilla Agosti, Marco Marzocca,
Paolo Calabresi, Maria Amelia Monti, Gianluca Bazzoli, Tommaso Ragno, Ninni Bruschetta,
Miriam Leone, Chiara Conti, Valentina Cervi
La nuova edizione di Distretto si apre con l’ennesima dipartita all’interno del X
Tuscolano di Roma: l’indagine orizzontale prende infatti avvio dall’uccisione
del commissario Luca Benvenuto, nel tempo assurto a leader morale, oltre che
professionale, del gruppo. A prendere il suo posto e a coordinare
l’investigazione sull’omicidio è il vicequestore Leonardo Brandi, il quale scopre
che l’assassino di Benvenuto è il latitante Antonio Corallo, cane sciolto deciso a
vendicare la morte del figlio, causata qualche tempo prima dallo stesso Brandi.
La posta in gioco è per il nuovo capitano strettamente personale: la sua nuova
partner, Valentina, ignara della vera identità di Corallo, stringe amicizia con il
criminale, che la sfrutta per tendere un agguato mortale al rivale. Fallito il
tentativo, la donna, pur di riconquistarsi la fiducia di Leonardo, accetta di fare
da esca per stanare Corallo. Questi, messo alle strette, gioca la sua ultima carta
attirando in trappola il figlio adolescente di Brandi, ma il poliziotto gli
impedisce di pareggiare i conti.
Quest’ultima stagione, pur riproponendo la collaudata struttura narrativa,
(running plot investigativo, casi episodici autoconclusivi ispirati perlopiù a fatti
recenti di cronaca, ulteriori sottotrame di taglio sentimentale e comico), soffre
di una forte crisi di identità i cui sintomi sono rintracciabili nella premessa
drammatica e nel diverso bilanciamento dei toni del racconto. Con la morte di
Benvenuto, l’ultimo rimasto dei personaggi “storici” della serie (insieme al
sovrintendente Lombardi), scompaiono importanti tasselli della memoria
diegetica di Distretto, e viene profondamente minata la riconoscibilità della
comunità dei caratteri. Inoltre, emerge una marcata dimensione privatofamiliare (i rapporti di Brandi con la ex moglie e il figlio, la volontà dell’agente
Esposito di adottare un’orfanella) che sposta gli equilibri del concept su un
piano ancor più melodrammatico rispetto alle precedenti edizioni. (D.I.)
141
Un amore e una vendetta
Serie (8x100’)
Canale 5 – Prima serata
Mercoledì dal 12 ottobre al 23 novembre, martedì 18 ottobre 2011
Ascolto medio (in migliaia): 4.422
Share media: 16,77%
Regia: Raffaele Mertes
Soggetto di serie: Eleonora Fiorini, Nicola Lusuardi, Michele Abatantuono; basato sul
format: Montecristo - un amor una venganza
Soggetto: Eleonora Fiorini, Nicola Lusuardi, Mauro Casiraghi, Anna Mittone
Sceneggiatura: Eleonora Fiorini, Nicola Lusuardi, Giorgia Mariani, Dante Palladino, Mauro
Casiraghi, Maura Nuccetelli, Chiara Clini, Anna Mittone
Musiche: Antonello Navarra
Produzione: RTI, Mediavivere
Produttori: Paolo Bassetti, Massimo Del Frate (Mediavivere)
Interpreti: Alessandro Preziosi, Anna Valle, Lorenzo Flaherty, Elisabetta Pellini, Ray
Lovelock, Paolo Seganti, Simona Borioni, Federico Costantini
Trieste. Laura, figlia di un ricco armatore, sta per sposare Marco, socio del
padre, ma la cerimonia viene interrotta perché nella spiaggia privata della villa
di famiglia viene rinvenuta una cassa contenente lo scheletro di una donna.
Intanto, nel porto ha attraccato lo yacht Lorenzo Bermann, invitato al
matrimonio dallo stesso Marco, che spera di concludere affari con lui.
Bermann è un uomo dal passato misterioso che sembra conoscere molti
particolari della vita di Laura e Marco, così come di Luca e Paolo, buoni amici
della coppia. Bermann altri non è che Andrea Damonte, ex fidanzato di Laura,
sparito in mare molti anni prima in seguito a un’aggressione da parte dei suoi
amici Marco, Luca e Paolo, che erano convinti di averlo ucciso. Ma Andrea si è
miracolosamente salvato, ha fatto fortuna e, grazie a una plastica facciale, è
tornato sotto mentite spoglie per consumare la sua vendetta. Basato sul format
argentino a sua volta liberamente ispirato a Il conte di Montecristo di Alexandre
Dumas, il serial nella prima parte resta fedele all’idea del romanzo, e si focalizza
sul tema della vendetta. Bermann, la cui identità è svelata al pubblico da subito,
frequenta alla luce del sole Marco, Laura e i vecchi amici, e segretamente, li
perseguita. Intanto scopre quanto Laura ha sofferto per la sua scomparsa, e
come sia anche lei vittima dell’inganno di Marco e degli altri. Andrea le rivela la
sua vera identità e il loro amore rinasce. La fiction si caratterizza per una cifra
visuale gradevole e per una trama ben equilibrata fra thriller e melò, il cui punto
di forza è senza dubbio il protagonista, ricalcato sulla figura di Edmond
Dantès, affascinante come il tema della vendetta che incarna. Solo nell’ultimo
terzo del racconto, quando ormai l’identità di Bermann/Damonte è nota anche
ai suoi nemici e il protagonista da cacciatore diventa preda, la storia smarrisce il
suo tema e diventa incoerente, anche per i canoni del feuilleton, focalizzandosi
sul terribile segreto sepolto nel passato di Laura, che fu comprata dal padre, il
quale gestiva un giro di adozioni illegali. (E.G.)
142
Così fan tutte
Serie (13x35’)
Italia 1– Notte
Domenica dal 30 Ottobre all’11 dicembre 2011, martedì dal 13 dicembre 2011 al 3 gennaio
2012, mercoledì 11 e 18 Gennaio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 1.409
Share media: 9,51
Regia: Gianluca Fumagalli
Sceneggiatura: Lucio Wilson, Carmelo La Rocca, Maurizio Sangalli, Ugo Ripamonti, Paola
Fossataro
Musiche: Maurizio Mastrini
Produzione: RTI, Mediavivere
Produttori: Reana Turra, Massimo Ubaldi
Interpreti: Alessia Marcuzzi, Debora Villa, Andrea Santonastaso, Gianluca Impastato
Milano. La seconda serie della sketch comedy tratta dal format francese Vous les
femmes, ripropone la varietà di stili comici già sperimentati nella prima stagione,
spaziando dalla commedia degli equivoci alla gag slapstick. Nel corso dei circa
30 minuti di cui si compone un episodio si susseguono una serie serrata di
sketch di durata variabile, ognuno slegato dall'altro. Gli episodi non presentano
quindi una continuità narrativa, ma risultano come un puzzle di situazioni tutte
diverse, il cui unico legame sono Alessia Marcuzzi e Debora Villa. Le due
attrici si confermano brillanti ed efficaci nell'interpretare varie tipologie di
donne, che ricalcano gli stereotipi dell'universo femminile, le contraddizioni, le
manie e le fobie che vengono normalmente attribuite alle donne
nell'immaginario collettivo. Le tematiche affrontate sono varie: il sesso,
l'amore, il tradimento, la bellezza, l'amicizia, la competizione sul lavoro. Tra gli
episodi della stagione: una donna si rivolge ad un'agenzia matrimoniale per
trovare un uomo, ma il suo profilo è incompatibile con tutti gli iscritti; Adamo
ed Eva discutono perché lui ha guardato un'altra donna; una donna pensa di
aver passato la notte con un giovane ragazzo africano, mentre in realtà è stata
con un uomo anziano; un’ambientalista finge di dover comprare delle scarpe
per convincere le altre clienti a non prendere quelle di pelle e così via. Le
donne rappresentate sono varie: dalla madre borghese alla single impenitente,
dalla donna in carriera all'artista distratta, dalla moralista bigotta alla
mangiatrice di uomini, dalla fidanzata traditrice alla moglie trascurata. Il
linguaggio usato è molto diretto e ricco di doppi sensi, i riferimenti sessuali
sono sempre presenti e a volte sfiorano la volgarità, queste caratteristiche
rendono la sketch comedy un prodotto piuttosto trasgressivo per gli standard
della fiction italiana, adatta al palinsesto notturno. Novità di questa stagione è
la presenza di guest stars maschili, tra i quali la coppia comica Luca e Paolo, ai
quali è affidato il compito di mostrare anche il punto di vista degli uomini,
sempre un po' banale e stereotipato, sulle varie situazioni che coinvolgono le
protagoniste. (E.G.)
143
Tutti pazzi per amore 3
Serie (26x50')
Rai Uno – Prima serata
Domenica dal 6 novembre 2011 al 1 gennaio 2012, martedì 22 novembre, 6, 13 e 20 dicembre
2011
Ascolto medio (in migliaia): 4.276
Share media: 16,96%
Regia: Laura Muscardin
Soggetto: Ivan Cotroneo, Stefano Bises, Monica Rametta. Serie ideata da Ivan Cotroneo.
Sceneggiatura: Ivan Cotroneo, Monica Rametta, Stefano Bises, Fidel Signorile, Stefano
Tummolini, Elena Bucaccio
Musiche: Piernicola Di Muro
Produzione: Publispei, Rai Fiction
Produttori: Cesare Andrea Bixio, Verdiana Bixio (Publispei), Leonardo Ferrara (Rai), Carlo
Principini (prod. artistico Publispei)
Interpreti: Emilio Solfrizzi, Antonia Liskova, Carlotta Natoli, Ricky Memphis, Francesca
Inaudi, Irene Ferri, Marina Rocco, Luca Angeletti, Nicole Murgia, Brenno Placido, Laura
Galgani, Claudia Alfonso, Gabriele Rossi, Pia Velsi, Ariella Ireggio, Piera Degli Esposti,
Martina Stella, Anita Caprioli, Luigi Diberti, Giovanna Ralli, Lucrezia Lante Della Rovere
Roma. Dopo il matrimonio celebrato nel finale della scorsa edizione della serie,
riprendono le vicende della coppia formata da Paolo e Laura e dei loro
numerosi parenti e amici. Con il forte desiderio (che alla fine si concretizzerà)
di concepire un bambino che vada ad arricchire la già nutrita famiglia allargata,
la coppia cerca di ritagliarsi un angolo di intimità affittando di nascosto un
appartamento tutto per sé. Ben presto dovranno cedere l’abitazione a Cristina
ed Emanuele, i figli avuti dai precedenti matrimoni, intenzionati a convivere
con i rispettivi partner. L’esperienza sarà tutt’altro che semplice per i giovani:
Cristina, rimasta incinta di Raoul, abbandona gli studi e cerca un lavoro,
nonostante le iniziali resistenze di Paolo; Emanuele ha problemi nel controllare
la sua gelosia nei confronti di un caro amico di Viola. Intanto Monica, che ha
lasciato a Laura la direzione della rivista in crisi di vendite, si innamora del
futuro sposo di sua cugina, che per lei rinuncerà al matrimonio.
La novità principale di questa stagione risiede nella gestione della temporalità
del racconto all’interno della struttura seriale multilineare: ogni puntata
corrisponde a una giornata della vita dei personaggi, le cui vicende hanno
quindi luogo nell’arco di ventisei giorni consecutivi. Questa scelta, se si sposa
bene con lo stile fortemente definito di Tutti pazzi per amore - brillante
commedia sentimentale condita da toni grotteschi e surreali e da inserti musical
- non riesce tuttavia a mascherare i sintomi di stanchezza della formula
narrativa. Più che il ricorso a tipici espedienti melodrammatici, a non
convincere è la funzione di quella che, sulla carta, è la coppia principale di
protagonisti: tra Paolo e Laura il conflitto è stavolta assai flebile, mentre il loro
rapporto con i rispettivi figli risulta poco incisivo e debolmente funzionale allo
sviluppo delle singole storyline. (D.I.)
144
Camera Café
Sitcom (200x6')
Italia 1 – Prima serata/Daytime
Dal lunedì al venerdì, dal 13 dicembre 2011 al 6 aprile 2012
Ascolto medio (in migliaia): 2.099 (PT) – 914 (DT)
Share media: 7,61% (PT) – 7,38% (DT)
Regia: Fabrizio Gasparetto
Soggetto e sceneggiatura: Lorenzo de Marinis, Carlo Giuseppe Gabardini, Matteo Levati,
Massimo Chiellini, Luca Celoria, Oscar Colombo, Achille Corea, Fulvio Di Meo, Francesco
Elli, Paolo Fittipaldi, Luca Franzoni; supervisione editoriale: Karina Andreoli; story editor:
Davide Notarangelo
Musiche: Vision
Produzione: RTI, Magnolia per ITC Movie
Produttori: Reana Turra (RTI), Cristiana Molinero (Magnolia), Patrizia Sartori (ITC Movie)
Interpreti: Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Roberto Accornero, Paolo Bufalino, Sabrina
Corabi, Massimo Costa, Margherita Fumero, Carlo Giuseppe Gabardini, Renato Liprandi,
Desy Luccini, Riccardo Margherini, Roberta Nanni, Lucia Ocone, Alessandro Sampaoli,
Debora Villa
Dopo qualche anno di assenza, torna la sitcom che ha introdotto e portato al
successo in Italia la declinazione interstiziale del formato. In questa edizione
l’azienda, scongiurato il processo di fusione con una struttura rivale e uscita
dalla crisi, vive un periodo di riassestamento che fa aleggiare sul personale lo
spettro del licenziamento per esubero. Nell’area relax continuano a succedersi,
inquadrate dalla camera fissa posizionata nel distributore automatico di
bevande, le strampalate vicende dei due colleghi Luca Nervi, il delegato
sindacale taccagno ed egoista in procinto di sposarsi con la sua ragazza Alex, e
Paolo Bitta, dongiovanni con la passione per i camper e le canzoni dei Pooh.
Ad affiancarli, gli storici comprimari: De Marinis, il machiavellico e pignolo
direttore; Geller, il super consulente delle risorse umane, vero spauracchio dei
dipendenti; la coppia formata dal timido e sottomesso contabile Silvano e
dall’esuberante Patti; Olmo, lo stravagante responsabile informatico; Pippo, il
fattorino omosessuale; Wanda, la stagista ultrasessantenne; Vittorio, l’esagitata
guardia giurata. Non mancano i nuovi arrivi nell’organico aziendale: Gloria, la
bella e svagata segretaria, e Lucrezia, l’autoritaria dirigente dell’Ufficio Iniziative
Speciali.
Camera café si conferma serie di successo e dai marcati tratti identitari: tra i suoi
punti di forza, la riconoscibilità della confezione, la formula fortemente
codificata, e soprattutto la sapiente caratterizzazione e gestione dei personaggi.
Questi, stereotipati e pieni di difetti come vuole il genere, sono il fulcro di un
efficace conflitto tra opposti comici, sorretto da un’ambientazione funzionale
ad enfatizzare i contrasti e foriera di spunti narrativi. La varietà degli sketch
beneficia, inoltre, del frequente ricorso a guest all’interno di singoli episodi.
(D.I.)
145
Che Dio ci aiuti
Serie (16x50’)
Rai Uno - Prima serata
Giovedì dal 15 dicembre 2011 al 2 febbraio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 6.337
Share media: 23,60%
Regia: Francesco Vicario
Soggetto di serie: Elena Bucaccio, Mauro Graiani, Andrea Valagussa, Carlotta Ercolino
Sceneggiatura: Mauro Graiani, Mario Ruggeri, Andrea Valagussa, Lea Tafuri, Carlo Mazzotta,
Cecilia Calvi, Francesco Arlanch. Supervisione di Elena Bucaccio. Story editors: Sabina
Marabini, Cecilia Spera
Musiche: Andrea Guerra
Produzione: Rai Fiction, Lux Vide S.p.A.
Produttori: Sara Polese, Filippo Rizzello (Rai Fiction), Matilde e Luca Bernabei (Lux Vide)
Interpreti: Elena Sofia Ricci, Massimo Poggio, Serena Rossi, Francesca Chillemi, Miriam
Dalmazio, Giampiero Judica, Christian Ginepro, Enrico Mutti, Laura Gaia Piacentile, Marco
Messeri e con la partecipazione di Valeria Fabrizi
Modena. Suor Angela, ex carcerata che ha preso i voti dietro le sbarre,
convince la Madre Superiora ad aprire un convitto universitario all’interno del
convento, che rischia di chiudere per carenza di vocazioni. È grazie a questa
intuizione che il chiostro inizia a pullulare di vita. Arrivano Giulia, ragazza
madre in cerca di lavoro e di laurea; Margherita, studentessa di medicina alla
sua prima esperienza fuori casa; e Azzurra, ricca e frivola figlia di papà che vuol
dimostrare al padre di non essere una fallita. Oltre che nel risolvere i problemi
delle tre giovani, Suor Angela si trova coinvolta in casi delittuosi che la vedono
collaborare, con metodi poco ortodossi e con l’ausilio delle ospiti fisse del
convitto, a stretto contatto con l’acido ispettore Marco Ferrari, per il quale
sviluppa un profondo senso di protezione dopo aver scoperto che è il figlio
della vittima di una rapina che l’aveva vista complice. Ma l’ispettore è una
vecchia conoscenza anche di Giulia: l’aveva sedotta e abbandonata otto anni
prima, e ora è intenzionato a riconquistare il suo amore e quello della piccola
Cecilia, la bambina di cui si scoprirà padre.
L’ultima puntata di Don Matteo 8 aveva messo in scena un esplicito passaggio di
testimone - esempio di cross-over casereccio, con un chiaro intento
promozionale - tra il pacato parroco umbro e la iperattiva suora emiliana,
lasciando presagire le molte simmetrie tra le due produzioni in tonaca. I casi di
puntata sono anche qui alimentati da gialli semplici nell’architettura e
funzionali allo sviluppo del sistema di relazioni, ma la riuscita della nuova serie
è indebolita da una presenza protagonistica non del tutto efficace. Se è
apprezzabile lo stile pop ed emancipato con cui suor Angela vive la sua fede,
risultano invece superficiali e pretestuosi i richiami al suo passato per
giustificare fiuto investigativo ed empatia verso chi sbaglia. Situazioni poco
credibili e svolte narrative preannunciate abbassano il potenziale dell’attesa,
affidando ai toni rilassanti e disimpegnati di una commedia a misura di famiglia
il principale motivo di richiamo per il pubblico. (S.V.)
146
Il tredicesimo apostolo
Serie (12x50')
Canale 5 – Prima serata
Mercoledì dal 4 gennaio al 1 febbraio, martedì 7 febbraio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 5.773
Share media: 20,99
Regia: Alexis Sweet
Soggetto di serie: Pietro Valsecchi
Sceneggiatura: Andrea Nobile, Mizio Curcio, Leonardo D’Agostini, Fosca Gallesio, Alfredo
Arciero, Filippo Kalomenidis, Andrea Leanza, Gianfranco Nerozzi, Aaron Ariotti, Stefano
Sardo, Alessandro Fabbri, Lorenza Ghinelli: story editor: Mizio Curcio, Leonardo D’Agostini,
Fosca Gallesio, Andrea Nobile
Musiche: Andrea Farri
Produzione: RTI, Taodue
Produttori: Lodovica Etteri, Simone Tordi (RTI), Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt (Taodue)
Interpreti: Claudio Gioè, Claudia Pandolfi, Luigi Diberti, Chiara Nicola, Glen Blackhall,
Yorgo Voyagis, Stefano Pesce, Tommaso Ragno, Tony Bertorelli, Imma Piro, Alberto Cracco,
Paolo Romano, Anna Ferzetti, Laura Glavan
Roma. Padre Gabriel Antinori è un giovane e anticonformista teologo. Ha
messo il suo interesse per l’esplorazione delle zone d’ombra tra fede e scienza
al servizio di un’organizzazione segreta del Vaticano, la Congregazione della
Verità. Diretto dallo zio, il monsignor Demetrio Antinori, l’organismo ha lo
scopo di far luce su fenomeni paranormali di vario tipo, potenzialmente
classificabili come miracoli. Gabriel si avvale della consulenza di Claudia
Munari, una psicologa votata allo scetticismo: nonostante le antitetiche
convinzioni, i due instaurano un saldo rapporto d’amicizia, quasi sul punto di
sconfinare in una problematica relazione sentimentale. Ma per Antinori il
conflitto più profondo ha a che fare con la sua reale natura e il suo nebuloso
passato. Gabriel scopre di possedere poteri taumaturgici, e da quel momento in
poi incrocia più volte la strada di Serventi, figura enigmatica a capo di
un’organizzazione segreta che mira a rovesciare l’autorità della Chiesa, e che
vede proprio in Antinori la nuova guida spirituale. Gabriel arriverà a scoprire
verità sconvolgenti sul legame tra la setta e la sua famiglia: monsignor
Demetrio è complice di Serventi, ed è il suo padre naturale; la madre, che
credeva morta, è ancora viva e fa parte dell’organizzazione.
Il tredicesimo apostolo innesta in una morfologia collaudata e riconoscibile i temi e
le suggestioni di un immaginario raramente frequentato dalla fiction italiana
(tra i riferimenti, L’esorcista, X-Files e i romanzi di Dan Brown). In accordo con
la formula delle serie serializzate Taodue, il mistery trova integrazione, nel
running plot, con le dinamiche del feuilleton, che costituiscono la vera essenza
del racconto. La dimensione episodica, in cui il fantastico è virato sull’enigma a
tinte soprannaturali e sulla suspense, assume invece una rilevanza secondaria.
La scarsa incisività del conflitto tra opposti - fede vs scienza - priva la serie di
un concept limpido e saldamente connaturato al genere. (D.I.)
147
Il restauratore
Serie (12x50')
Rai Uno – Prima serata
Domenica dall’8 gennaio al 5 febbraio, lunedì 6 febbraio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 5.901
Share media: 21,91%
Regia: Giorgio Capitani
Soggetto di serie: Salvatore Basile, Vinicio Canton, Alessandro Jacchia; da un’idea di
Alessandro Jacchia; story editor: Jacopo Fantastichini; script editor: Salvatore Basile, Vinicio
Canton, Valerio D’Annunzio, Giorgio Mariuzzo
Sceneggiatura: Salvatore Basile, Vinicio Canton, Valerio D’Annunzio, Giorgio Mariuzzo,
Mauro Graiani, Riccardo Irrera, Silvia Scola, Riccardo Degni, Simona Coppini, Jacopo
Fantastichini, Francesco Favale
Musiche: Fabrizio Bondi
Produzione: Rai Fiction, Albatross
Produttori: Emanuele Cotumaccio, Paola Foffo (Rai Fiction), Alessandro Jacchia, Maurizio
Momi (Albatross)
Interpreti: Lando Buzzanca, Martina Colombari, Paolo Calabresi, Beatrice Fazi, Marco
Falaguasta, Claudio Castrogiovanni, Caterina Guzzanti, Pamela Saino, Emanuele Ajello,
Giacomo Piperno, Katarina Nicolic, Bojan Peric, Misa Beric
Roma. Basilio Corsi è un ex ispettore di polizia, segnato da un passato
traumatico: ha assistito all’omicidio della moglie Maria e ha poi ucciso a sua
volta, sovrastato dal dolore e dalla furia, gli assassini. Dopo vent’anni di
carcere, durante i quali ha imparato a fare piccole riparazioni per gli altri
detenuti, ottiene la libertà vigilata e trova lavoro come aiutante nella bottega di
restauro della bella Maddalena, della quale diventerà amico. Quando, dopo aver
subito una scarica elettrica, si rende conto che toccando gli oggetti da riparare
riesce a vedere il futuro dei relativi proprietari, la sua vita riacquista il senso che
credeva perduto. Per Basilio diviene, infatti, una vera e propria missione
decifrare gli indizi delle visioni, quasi sempre tragiche, e rintracciare le persone
legate agli oggetti allo scopo di modificare il corso degli eventi. Le sue indagini
private incrociano sistematicamente quelle della polizia. A condurle è il bonario
commissario Maccari, suo ex collega che, al contrario del rigido agente
Mangano, chiude un occhio di fronte alle sue intromissioni.
Il concept de Il restauratore è frutto di una efficace rilettura del poliziesco
italiano, funzionale ad una inedita commistione con il fantastico. Pur non
mancando i toni leggeri della commedia e del rosa, espressi nei personaggi
secondari, gli episodi sono centrati sul tentativo del protagonista di prevenire
l’evento futuro di cui solo lui è a conoscenza. Le vicende sono quindi
strutturate sui meccanismi della suspense più che su quelli abituali del giallo,
ma conservano, come da tradizione, una forte sostanza melodrammatica.
Basilio, rileggendo il proprio passato alla luce del suo “dono”, empatizza e
comunica ad un livello profondo con potenziali suoi emuli, evitando che
compromettano, come è accaduto a lui, la propria vita a venire. (D.I.)
148
Provaci ancora prof 4
Serie (6x100’)
Rai Uno– Prima serata
Domenica 19 febbraio, lunedì 20 febbraio e 12 marzo, martedì dal 28 febbraio al 13 marzo
2012
Ascolto medio (in migliaia): 6.213
Share media: 22,02%
Regia: Tiziana Aristarco
Soggetto: Margherita Oggero, Dido Castelli
Sceneggiatura: Dido Castelli, Anna Samueli, Cecilia Calvi, Giovanna Gra, ValentinaCapecci,
Francesca Panzarella
Musiche: Pino Donaggio
Produzione: Endemol Italia, Rai Fiction
Produttori: Francesca Tura, Filippo Rizzello (Rai Fiction); Giannandrea Pecorelli (Endemol)
Interpreti: Veronica Pivetti, Enzo De Caro, Cesare Bocci, Pino Ammendola, Ilaria Occhini,
Flavio Montrucchio, Ludovica Gargari, Carmen Tejedera, Alice Bellagamba, Lorenzo De
Angelis, Claudio Bigagli, Franco Oppini
Roma. La quarta stagione della serie che ruota attorno alle vicende di Camilla
Baudino, insegnante di lettere e investigatrice dilettante, si apre con tante
novità nella vita della protagonista. Dopo aver vissuto due anni a Barcellona, al
seguito del marito Renzo, che aveva ricevuto un’importante proposta di lavoro,
Camilla torna a vivere a Roma insieme alla figlia adolescente Livietta, e a
insegnare in una scuola superiore della capitale. Camilla e Renzo si sono
separati e anche l'ex marito è rientrato a Roma, con Carmen, la sua compagna
spagnola. I nuovi equilibri familiari e l'entrata in scena di nuovi personaggi, a
partire dal commissario De Matteis, che a differenza del precedente
commissario Berardi, non apprezza le intrusioni investigative di Camilla, hanno
rinnovato la serie introducendo elementi vivaci e coerenti con il concept,
basato sull’ equilibrio tra il giallo e la commedia familiare. Le relazioni amorose
fioccano: mentre Renzo vive il suo ménage con la focosa Carmen, Livietta
dalle prime cotte adolescenziali della terza serie passa alle prime delusioni, e
Camilla comincia a frequentare l'affascinante Marco, che si scoprirà essere il
fratello del nuovo commissario. A sostenere questa relazione è la madre di
Camilla, Andreina, felice quando Camilla e Marco si fidanzano. Ma, nell'ultimo
episodio, come da copione, la protagonista e l’ex marito scoprono di amarsi
ancora e tornano insieme. La commedia familiare è scorrevole e riuscita, a
differenza della dimensione investigativa. Due omicidi avvengono in presenza
di Camilla, altri casi coinvolgono colleghi di scuola e uno la fidanzata dell'ex
marito. Se questa inverosimiglianza è intrinseca al concept e non disturba,
risulta incongruente con il tono generale della serie la drammaticità dei delitti,
che portano la protagonista a confrontarsi con realtà problematiche (droga,
escort, sette religiose) rese in modo superficiale. Le indagini appaiono
comunque meno centrali nell’economia delle serie, rispetto alle stagioni
precedenti, lasciando ancora maggior spazio alle dinamiche familiari. (E.G.)
149
Il giovane Montalbano
Serie (6x100’)
Rai Uno – Prima serata
Giovedì dal 23 febbraio al 29 marzo 2012
Ascolto medio (in migliaia): 7.008
Share media: 26,13%
Regia: Gianluca Maria Tavarelli
Soggetto: tratto dai racconti di Andrea Camilleri, dalle raccolte Un mese con Montalbano, La
prima indagine di Montalbano, Gli arancini di Montalbano, La paura di Montalbano
Sceneggiatura: Andrea Camilleri, Francesco Bruni, Salvatore De Mola, Chiara Laudani,
Leonardo Marini
Musiche: Andrea Guerra,
Produzione: Rai Fiction, Palomar
Produttori: Carlo Degli Esposti, Nora Barbieri, Max Gusberti, Gloria Giorgianni (Palomar),
Erica Pellegrini (Rai)
Interpreti: Michele Riondino, Alessio Vassallo, Andrea Tidona, Sarah Felberbaum, Maurilio
Leto, Giuseppe Santostefano, Carmelo Galati, Massimo De Rossi, Beniamino Marcone
Sicilia, primi anni Novanta. Montalbano, trentenne vice commissario in un
piccolo paese di montagna, è fidanzato con Mery, un’insegnante che lavora a
Catania. Nonostante la giovane età Montalbano dimostra grandi abilità
investigative che gli valgono la promozione a commissario. Viene assegnato al
commissariato di Vigata, cittadina dove ha vissuto da ragazzo, dopo la morte
della madre, e dove ritrova suo padre. I nuovi colleghi di Montalbano sono:
Carmine Fazio, agente esperto che l'aiuta ad inserirsi; Catarella, simpatico ma
imbranato; Giuseppe Fazio, figlio di Carmine; e l'ispettore Mimì Augello, con
cui inizialmente non c'è simpatia. Ne La prima idagine, il giovane commissario
indaga su una donna che ha architettato un piano per vendicarsi dell'uomo che
l'ha violentata. In Capodanno, Montalbano è alle prese con un omicidio
consumato nell'albergo dove alloggia per le festività con la fidanzata, con la
quale terminerà la relazione proprio in questo episodio. Ritorno alle origini,
racconta la scomparsa di una bambina e, indagando sul caso, Montalbano
conosce Livia, che inizia a frequentare. In Ferito a Morte, il commissario si trova
a fare i conti con il pensionamento anticipato di Carmine Fazio, mentre ne Il
terzo segreto indaga su alcune morti bianche. L'ultimo episodio, Sette lunedì, vede
Montalbano impegnato in un caso di parricidio che lo porta ad affrontare il
burrascoso rapporto con il padre: Salvo lo rimprovera di averlo abbandonato
dopo la morte della madre e di essersi rifatto una famiglia senza di lui.
Liberatosi dei fantasmi del passato, Montalbano dichiara il suo amore a Livia,
con cui è pronto a impegnarsi in una relazione. Questo prequel riesce in larga
misura a replicare caratteristiche e pregi che hanno fatto la fortuna della serie
originale: storie dall’intreccio non banale ben radicate dal punto di vista
ambientale e sociale, regia e fotografia accurate. Manca, al giovane Montalbano,
il carisma dell’originale, frutto di un vigore caratteriale e di una tensione morale
che solo in parte si ritrovano nel protagonista di questa serie. (E.G.)
150
Le tre rose di Eva
Serial (12x80’)
Canale 5 – Prima serata
Mercoledì dal 4 aprile al 20 giugno 2012
Ascolto medio (in migliaia): 5.250 (media nella stagione)
Share media: 19,29% (media nella stagione)
Regia: Raffaele Mertes e Vincenzo Verdecchi
Soggetto: Michele Abatantuono, Luca Biglione, Maria Carmela Cicinnati, Silvia Cinelli,
Gerardo Fontana, Paolo Girelli, Maria Teresa Venditti
Sceneggiatura: Michele Abatantuono, Fabrizio Bettelli, Luca Biglione, Maria Carmela
Cicinnati, Chiara Clini, Maura Nuccetelli, Maria Teresa Venditti
Musiche: Savio Riccardi
Produzione: RTI, Mediavivere
Produttori: Paolo Bassetti, Massimo Del Frate per Mediavivere
Interpreti: Anna Safroncik, Karin Proia, Licia Nunez, Roberto Farnesi, Luca Capuano,
Giorgia Wurth, Victoria Larchenko, Elisabetta Pellini, Francesco Arca, Fiorenza Marchegiani,
Rocco Giusti, Kaspar Capparoni, Paola Pitagora, Barbara De Rossi, Luca Ward
Toscana. Aurora Taviani viene scarcerata dopo otto anni di reclusione e torna
ad abitare nel suo casale a Villalba, il suo paese d'origine, assieme alla nonna
Ottavia e alle sorelle Marzia e Tessa. La donna è stata ingiustamente accusata
dell'omicidio di Luca Monforte, padre del suo ex fidanzato Alessandro e
amante di sua madre Eva, sparita da otto anni. Il ritorno della ragazza non è
gradito alla famiglia Monforte, in particolare ad Alessandro, che non crede
all'innocenza di Aurora. La famiglia Monforte possiede un'importante azienda
vinicola e Alessandro vuole impossessarsi anche del casale e delle vigne dei
Taviani, per rovinare per sempre Aurora. La giovane Taviani però non si
arrende: scopre che Luca Monforte faceva parte di una associazione segreta,
nella quale sono ancora coinvolti gli uomini più influenti di Villalba. A capo di
tutti c'è Ruggero Camerana, padre di Viola, nuova fidanzata di Alessandro. Nel
corso della serie Aurora è costretta a superare terribili avversità e grandi dolori:
su tutti la morte della madre Eva, che aveva appena ritrovato. La ragazza trova
conforto nell'amore per Alessandro, che col tempo si convince della sua
innocenza e insieme a lui indaga per scoprire la verità. Tutti gli indizi sembrano
portare a Ruggero Camerana, in realtà il colpevole dell'omicidio di Luca
Monforte è sua figlia Viola, che uccise l'uomo per gelosia, poiché ne era
segretamente innamorata. Viola riesce a fuggire all'estero. Le tre rose di Eva è dal
punto di vista narrativo, una soap di prima serata. Saga familiare, melò e thriller si
fondono in una trama che tra intrecci sentimentali e sessuali, segreti
inconfessabili, ricatti e delitti, riesce a garantire ritmo e colpi di scena per tutte
le 12 serate. Punto di forza della fiction è la piacevole cifra visuale che sfrutta al
meglio le ambientazioni ed è frutto di un’efficienza produttiva capace di
trovare una sintesi vincente fra costi contenuti e qualità della confezione.
(E.G.)
151
Nero Wolfe
Serie (8x90’)
Rai Uno – Prima serata
Giovedì dal 5 aprile al 24 maggio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 4.875
Share media: 18,64%
Regia: Riccardo Donna
Soggetto di serie: Piero Bodrato
Sceneggiatura: Grazia Giardiello, Roberto Jannone, Alessandro Sermoneta, Chiara Laudani
Musiche: La Femme Piège
Produzione: Casanova Multimedia, Rai Fiction
Produttori: Lorenza Bizzarri (Rai Fiction), Luca Barbareschi (Casanova Multimedia)
Interpreti: Francesco Pannofino, Pietro Sermonti, Giulia Bevilacqua, Andy Luotto, Marcello
Mazzarella, Michele La Ginestra, Davide Paganini
E’ il 1959 e Nero Wolfe, il celebre investigatore privato, si trasferisce a Roma
assieme al suo assistente Archie Goodwin. Wolfe durante la seconda guerra
mondiale ha lavorato con i servizi del nostro Paese e conosce bene l’italiano. A
Roma ricrea il suo mondo newyorkese, con tanto di serra delle orchidee e
cuoco personale, e inizia a lavorare come investigatore, risolvendo vari casi di
omicidio. Si va dai delitti maturati in ambienti particolari e circoscritti (la morte
di uno scacchista, quella di un’indossatrice) a quelli che ruotano attorno a
rivalità di affari e a eredità contese, alla storia di una povera bambina cinese che
chiede a Wolfe di far luce su un possibile crimine di cui è stata testimone. Nero
Wolfe, grasso e pigro, amante della buona cucina e delle sue orchidee e
infastidito dal contatto con gli esseri umani, si affida alle gambe e agli occhi di
Archie per raccogliere indizi che poi assembla e interpreta per risolvere il caso.
Wolfe deve sempre confrontarsi con le autorità locali e ogni volta la caccia
all’assassino diventa anche una gara di professionalità. Il Nero Wolfe di Rex
Stout è uno degli investigatori più famosi della storia della letteratura poliziesca
mondiale che la Rai aveva già proposto al suo pubblico fra il ‘69 e il ’71 con
Tino Buazzelli nel ruolo del protagonista. Le licenze di questo nuovo
adattamento rispetto all’originale letterario non sono poche: c’è l’aggiunta di
una linea sentimentale che ruota attorno al personaggio di Rosa Petrini,
giornalista che segue tutti i casi di Wolfe e che stabilisce con Archie una
relazione sempre in bilico tra utilità e romanticismo; c’è un intreprete,
Pannofino, fisicamente molto lontano dalla mole pachidermica e dall’attitudine
sorniona del personaggio letterario; soprattutto, c’è lo spostamento dell’azione
da New York a Roma. I romanzi, pur rimaneggiati e semplificati, offrono una
solida base per sviluppare casi capaci si reggere la durata cinematografica degli
episodi. Il punto di forza della serie è proprio quello di riproporre una
narrazione investigativa di taglio classico e dai toni leggeri, ma gli sceneggiati
con Buazzelli sono troppo lontani nel tempo per innescare nel pubblico un
effetto nostalgia, e così la fiction finisce per essere semplicemente retrò.(G.G.)
152
Benvenuti a tavola – Nord vs Sud
Serie (16x50')
Canale 5 – Prima serata
Giovedì dal 12 aprile al 31 maggio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 4.631
Share media: 18,84%
Regia: Francesco Miccichè
Soggetto di serie: Pietro Valsecchi
Sceneggiatura: Andrea Agnello, Antonio Antonelli, Simone Caltabellota, Dante Palladino,
Giorgia Mariani, Giorgio Rossi, Isabella Aguilar, Maurizio Careddu, Antonio Manzini, Paolo
Terracciano, Riccardo Mazza, Anna Mittone, Paola Fossataro, Luca Rossi; story editor: Andrea
Agnello, Antonio Antonelli, Simone Caltabellota, Dante Palladino, Giorgia Mariani
Musiche: Emanuele Bossi
Produzione: RTI, Taodue
Produttori: Manuela Chevallard, Dario Gorini (RTI), Pietro Valsecchi, Camilla Nesbitt
(Taodue)
Interpreti: Giorgio Tirabassi, Fabrizio Bentivoglio, Lorenza Indovina, Debora Villa, Antonio
Catania, Marco D’Amore, Teresa Mannino, Liz Solari, Andrea Miglio Risi, Alessia Mancarella,
Elena Starace, Achille Sabatino, Umberto Orsini
Milano. Lo chef lombardo Carlo Conforti gestisce, assieme alla moglie
Elisabetta, l’elegante e rinomato ristorante “Il meneghino”, di proprietà del
suocero. Desideroso di mettersi in proprio, è a un passo dall’acquisto di un
vecchio locale attiguo al ristorante, che a sorpresa viene invece rilevato da
Paolo e Anna Perrone. La coppia romano-cilentana inaugura una sobria e
tradizionale trattoria specializzata nei sapori tipici delle rispettive zone di
provenienza. È l’inizio di una concorrenza all’ultima portata, ma non solo:
Carlo, indispettito per il mancato affare, rende difficile la vita a Paolo,
innescando una spirale di reciproci colpi bassi. A portare ulteriore scompiglio
nelle due famiglie sono i figli adolescenti, Alessia Perrone e Federico Conforti,
che iniziano una travagliata relazione. Personali difficoltà affettive spingeranno
poi Carlo e Paolo a sotterrare l’ascia di guerra: entrambi sorpresi dalle mogli in
situazioni equivoche - il primo con la cameriera argentina del ristorante, il
secondo con una critica gastronomica sua vecchia fiamma -, si aiutano a
vicenda per recuperare i rispettivi rapporti di coppia.
Benvenuti a tavola integra le classiche dinamiche della serie relazionale/family con
elementi ispirati a recenti fenomeni mediatici: il conflitto tra opposti, non privo
degli stereotipi del caso, che scaturisce da diverse provenienze regionali (il
richiamo al film Benvenuti al sud è palese sin dal titolo); le trasmissioni televisive
a tema culinario (l’estetica registica punta molto, in questa serie, a restituire le
stimolazioni sensoriali legate al cibo). Il risultato è una fiction dalla
drammaturgia semplice, popolata di personaggi dalla caratterizzazione
essenziale ma efficace, che si ritaglia una propria specificità grazie alla
naturalezza con cui gli ingredienti della formula interagiscono. (D.I.)
153
Una grande famiglia
Serial (6 x 100')
Rai Uno – Prima serata
Lunedì dal 16 aprile al 14 maggio, domenica 15 aprile 2012
Ascolto medio (in migliaia): 6.838
Share media: 25,17%
Regia: Riccardo Milani
Soggetto di serie: Ivan Cotroneo
Sceneggiatura: Ivan Cotroneo, Stefano Bises, Monica Rametta
Musiche: Piernicola Di Muro
Produzione: Rai Fiction, Magnolia Fiction
Produttori: Luigi Mariniello, Sara Polese (Rai Fiction), Rosario Rinaldo (Magnolia Fiction)
Interpreti: Stefania Sandrelli, Gianni Cavina, Alessandro Gassman, Stefania Rocca, Sonia
Bergamasco, Primo Reggiani, Giorgio Marchesi, Sarah Felberbaum, Valentina Cervi, Riccardo
Polizzy Carbonelli, Piera Degli Esposti, Giulio Base, Giuditta Saltarini, Luca Peracino, Rosabell
Laurenti, Filippo De Paulis, Abdel Gayed, Ignazio Oliva, Roberto Nobile, Lino Guanciale
Lombardia. Ernesto ed Eleonora Rengoni hanno cinque figli. Ernesto, in
seguito a problemi di salute, ha delegato al primogenito Edoardo la gestione
della grande azienda di famiglia. Quando Edoardo scompare senza lasciare
traccia, i Rengoni, oltre che con il dolore, si trovano a fare i conti con una serie
di misteri legati al tragico evento. Tra questi la grave situazione finanziaria
dell’impresa, che l’uomo aveva tenuto nascosta ai familiari. Inoltre, strane
coincidenze inducono Ernesto a credere che il figlio abbia inscenato la propria
sparizione. Nel frattempo, tra i membri della famiglia il dramma riporta a galla
vecchi conflitti e innesca nuove dinamiche interpersonali: Eleonora tenta di
avvicinarsi a Chiara, la moglie di Edoardo, con cui ha sempre avuto un
rapporto problematico; Raoul, responsabile di un centro per disabili e padre di
un bambino in affido, tradisce la compagna con Chiara, con la quale in passato
aveva già avuto una storia; Stefano, anch’egli impiegato nell’azienda, deve
reprimere i sensi di colpa per aver causato incidentalmente la morte di un
amico; Laura, stimata avvocatessa, non vuole concedere il divorzio al suo ex e
non riesce ad accettare l’omosessualità del figlio adolescente; Nicoletta,
studentessa, è sentimentalmente indecisa tra un suo professore e un giovane
imprenditore.
Alla base di Una grande famiglia c’è l’intrigante tentativo di fondere mistery e family
drama, connubio di generi raramente proposto dalla fiction nazionale. Il
risultato, seppur di buona fattura, trova il suo limite principale nella soltanto
parziale consonanza tra la natura del racconto e il formato della miniserie:
l’accento è posto sulle vicende familiari e private, modellate secondo i canoni
della lunga serialità relazionale; per contro, le dinamiche tipiche del feuilleton,
lungi dal trovare una propria compiutezza drammaturgica, sono perlopiù
evocate da una regia suggestiva. Ad intaccare la coesione narrativa
contribuiscono le fievoli ripercussioni - a parte i nuovi legami tra Eleonora,
Raoul e Chiara - che la scomparsa di Edoardo ha sulle singole storyline. (D.I.)
154
Titanic – Nascita di una leggenda
Serie (12x50’)
Rai Uno – Prima serata
Domenica dal 22 aprile al 13 maggio, lunedì 21 e mercoledì 30 maggio 2012
Ascolto medio (in migliaia): 3.015
Share media: 11,73%
Regia: Ciaran Donnelly
Soggetto di serie: Matthew Faulk, Mark Skeet, Stefano Voltaggio, Ciaran Donnelly
Sceneggiatura: Mark Skeet, Matthew Faulk, Stefano Voltaggio, Alan Whiting, Francesca Brill
Musiche: Maurizio De Angelis
Produzione: Rai Fiction, DAP Italy, Epos film, collaborazione con Tandem Communicatios
Produttori: Emanuele Cotumaccio, Leonardo Ferrara (Rai Fiction), Guido, Nicola e Marco
De Angelis (DAP Italy)
Interpreti: Kevin Zegers, Alessandra Mastronardi, Derek Jacobi, Billy Carter, Massimo Ghini,
Valentina Corti, Neve Campbell, Liam Cunningham
Belfast, 1909. Mark è un giovane ingegnere che collabora alla realizzazione del
Titanic. E’ un cattolico, ma lo ha taciuto per poter lavorare. In città i conflitti
tra operai e padroni si fanno accesi, i sindacati organizzano scioperi e i capi del
cantiere sono divisi sul riconoscere i diritti ai lavoratori. Mark si innamora di
Sofia, operaia che sogna di studiare e accedere a lavori più prestigiosi, che per
ricambiarlo respingerà Andrea, suo promesso, incorrendo nelle ire del padre.
Violetta, sorella di Sofia, si innamora di Conor, che pur di provvedere a lei
entrerà in un gruppo terrorista irlandese. Mark scopre di aver avuto una figlia
da una donna amata anni prima, lei è morta e la bimba è stata adottata. Si
scopre anche che è cattolico e per questo viene allontanato dal cantiere prima
di essere riassunto quando problemi al Titanic rendono necessaria la sua
competenza. Mark cerca la sua bambina senza successo e alla fine, come molti
altri personaggi, sale sul Titanic verso la promessa di una nuova vita. Il dramma
dell’affondamento del Titanic è stato raccontato innumerevoli volte dal cinema
e dalla televisione e questa coproduzione sceglie un approcccio completamente
diverso. La narrazione copre un arco temporale di circa tre anni: dall’apertura
del cantiere del Titanic fino al momento in cui il transatlantico salpa per la sua
prima, e unica, traversata. La costruzione del Titanic diventa così il pretesto per
tracciare un affresco dei problemi storici e sociali dell’Irlanda (e, latamente,
dell’Europa) del tempo: la lotta di classe e i pregiudizi religiosi tra cattolici e
protestanti. Alcuni personaggi sono manichei, come i nobili: Lord Pirrie è
buono e favorevole ai sindacati e tutti gli altri sono affaristi senza scrupoli; altri
sono più sfaccettati e interessanti, come la ricca Kitty che vuol sfuggire al suo
destino di moglie depressa e annoiata, l’irlandese Conor diviso tra famiglia e
patria e la giornalista Joanna che ha un fratello da salvare dalla futura guerra
con la Germania. Un melodramma dall’impianto corale, ambizioso e un po’
dispersivo, improntato a uno stile di racconto molto sobrio, realizzato con
grande cura a livello di costumi e scenografie, che sconta, presso il pubblico
italiano, la distanza culturale degli eventi storici messi in scena. (G.G.)
155