Untitled - Paleolithic Continuity Paradigm

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Untitled - Paleolithic Continuity Paradigm
CENTRO DI STUDI FILOLOGICI E LINGUISTICI SICILIANI
Presidente del Consiglio Direttivo: ANTONINO BUTTITTA
BOLLETTINO
diretto da
GAETANA MARIA RINALDI
Iscrizione in data 9 marzo 1955 al n. 3 del Registro Periodici del Tribunale di Palermo
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e-mail: [email protected]
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PALERMO
2007
Volume pubblicato con il contributo dell’Assessorato dei Beni Culturali
Ambientali e della Pubblica Istruzione della Regione Sicilia e della
Fondazione Ignazio Buttitta
ISSN 0577-277X
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
© 2007
CENTRO DI STUDI FILOLOGICI E LINGUISTICI SICILIANI
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PALERMO
IL PRATO E IL CAMPO PELATO
1. Premessa.
Alla luce di un nuovo modello di ricostruzione linguistica, illustrato
da Alinei (2000, 958-78), è possibile riconsiderare l’etimo di un tipo lessicale siciliano (e calabrese), che ha molti riflessi nella toponomastica: si
tratta, come vedremo, di pilata e var.
Il modello di ricostruzione – proposto all’interno della «Teoria della
Continuità»1 – si basa sulla nozione che i dialetti «moderni» sono «più
antichi del Latino» e sull’«idea che i dialetti neolatini moderni possano
servire a illuminare aspetti arcaici del Latino» (ivi, 952). In una sequenza
di sviluppo una forma latina (A1) viene collegata a un’altra (A2) attraverso una fase di transizione, rappresentata da una forma dialettale moderna
(M), secondo la formula A1 M A2 (ivi, 958).
Fra gli esempi2 che Alinei porta a conforto di questo nuovo model1
Questa teoria, elaborata a partire da Alinei 1996, viene ora indicata come «Teoria della Continuità Paleolitica» (TCP) in articoli dello stesso Alinei (ad es. Alinei 2003) e di altri
studiosi, per cui si veda il sito internet <www.continuitas.com>.
2
Gli esempi riguardano il lessico, la fonetica e la morfologia: a) per il lessico: 1. lat.
CAUS(S)A < lig.-piem. caus(s)a “tronco, radice” < lat. *CALCEA; 2. lat. BELLUA “belva” < lig. belua “bellina” < lat. BELLULA “bellina”; 3. lat. PRATUM < lig. prau “pelato” < lat. PILATUS; 4. lat.
CASEUS “formaggio” < lomb. cač “caglio” < lat. COAGULUM “coagulo”; 5. lat. ASILUS < piem. e
mod. asij “mosca cavallina, estro” < lat. *ACILUS < lat. ACULEUS; 6. lat. RABIES < romagn. rabià, rabio “erpicare, erpice” < lat. (H)YRPEX, HYRPICARE “erpice, erpicare”; 7. lat. FERRUM < lat.
FABRUM; 8. lat. GLORIA < it. centr. grolia < a. it. (a/o)rgoglio < lat. RECOLLIGO; 9. lat. OBTURARE, RETURARE < it. merid. taurare “andare al toro” < lat. TAURUS; 10. lat. APPENNINUS < it. mer.
pennino “pendio” < lat. PENDO. b1) per la fonetica: 1. lat. ROMA < (O chiusa < U breve) < lat.
RUMA; 2. lat. VOMER < VOLUMEN; b2) 1. -GN- > -(N)N- (Plauto); 2. opposizione -o/ -u finali; 3.
frangimento di vocali latine o conservazione di dittonghi arcaici? Un fenomeno dialettale bassoadriatico e ischiano-pozzuolano. c) per la morfologia: il futuro perifrastico.
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lo, desidero ricordare (ivi, 961) il lat. PRATUM < lig. prau < lat. PILATUS.
Il lat. pratum “prato”, senza etimologia, potrebbe essere interpretato come un derivato dal lat. pilatus “pelato” attraverso una fase intermedia rappresentata dalla variante rotacizzata del lig. prau “pelato”, a sua volta sviluppo «normale» del lat. pilatus. L’evoluzione semantica da “pelato” a
“prato” si spiegherebbe in quanto il “prato” sarebbe «lo spazio erboso,
“pelato”, in opposizione alla selva o alla macchia». La stessa evoluzione
avrebbe subito l’agg. lat. pilosa “pelosa”, da cui il fr. pelouse «Rasenplatz»
“prato, tappeto erboso” e il champ. plu, plö «Brachfeld» “maggese” (REW
6505 s.v. pilosus).
2. Il tipo lessicale siciliano (e calabrese).
Pur mancando nel siciliano il tipo “prato”3 – inteso come ‘terreno
coperto di piante erbacee destinate a essere falciate e raccolte, e utilizzate, fresche o conservate, come foraggio per il bestiame’ o come ‘tratto di
terreno ricoperto di erba, spontanea o coltivata, come spazio libero, o destinato a particolari usi’4 (De Felice-Duro 1975) – un tipo lessicale sic. e
diversi toponimi sono stati ricondotti al lat. PRATUM, pl. PRATA. Il tipo lessicale cui si fa riferimento è pilata, attestato un po’ dovunque in Sicilia
coi seguenti significati che attingo da Trovato5 (1997, 67):
a) ‘addiaccio per le pecore senza muro di cinta generalmente vicino a
una casa rustica, in montagna’ (Sant’Alfio [CT]); ‘spazio non recintato
all’aperto in cui le pecore passano la notte’ (Capizzi [ME] Licata [AG]
e Marsala [TP]);
b) ‘spazio erboso dove si fanno andare le pecore dopo munte’ (Montedoro [CL] e Ravanusa [AG]); ‘luogo all’aperto, senza erba, in cui si
fanno andare le vacche per mungerle’ (Castel di Judica [CT], Altofonte [AG]);
c) ‘posto ombroso in cui si conducono le vacche nelle ore più calde
del giorno’ e equivalente, con questo significato, al più diffuso mirìu
lett. ‘meriggio’ (Paternò [CT]);
d) ‘sterpaia, pruneto’ (Milena [CL]);
e) ‘semenzaio’ (Mistretta [ME]).
3
Come appare evidente dalla carta 1415 dell’AIS (vol. VII), il tipo prato è diffuso in quasi tutta la penisola italiana ma, ad eccezione di pochi punti, è assente in Puglia e in Calabria.
In Sicilia e nella Sardegna meridionale è del tutto assente.
4
I concetti contenuti nell’it. prato vengono propriamente espressi in Sicilia con a maisa
/ u maisi “maggese” e con gavitatu e var. “quella parte del pascolo, spesso custodita, che viene riservata alla pastura per il periodo in cui sono esauriti gli altri pascoli” (VS II s.v.). Cfr.
Trovato 1997: 67-68.
5
Per cui si veda anche VS III 751 s.v. pilata2.
Il prato e il campo pelato
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Il VS III 792 registra anche una variante di pilata, il masch. piratu, col
significato generico e, a questo punto, poco attendibile di ‘prato’. Il tipo pilata ‘addiaccio’ è documentato anche per la Calabria meridionale (DDC s.v.).
2.1. I riflessi nella toponomastica.
A giudicare dai riflessi di pilata nell’onomastica, si può evincere che
il nostro tipo lessicale era più diffuso6 di quanto possa sembrare e inoltre più ricco di varianti e di significati. Le varianti, oltre a quelle italianizzanti del tipo Pelata, si possono distinguere sulla base di differenze fonologiche, morfologiche e fonomorfologiche:
a) varianti fonetiche: i) a Pilata ‘località di Catania’; ii) Pirata / Pidata
di San Pràzzitu / Pedata di San Placido ‘zona orticola posta ai confini
fra Biancavilla e Adrano (CT)’; iii) Pidata di Sant’Àita ‘località di Mascalucia (CT)’; Plata ‘cognome documentato a Enna (e a Napoli)’;
b) varianti morfologiche: i) (Contrada, Cozzo, Monte, Timpone) Pelato
è toponimo frequente in Sicilia; ii) Pilato, (Contrada, Monte, Piano, Rivo) Pilato; iii) (Contrada) Serro Pilato; iv) u Pilatu ‘località di Assoro e
Nicosia’;
c) varianti fonomorfologiche: i) Pirato, (Contrada, Vallone, Case, Portella, Pizzo del, Stazione di) Pirato ‘toponimo diffuso un po’ dovunque in
Sicilia’; ii) Pirato Grande, Pirato Piccolo; iii) Pirato Cava Maria ‘frazione di Modica’; iv) San Giovanni lo Pirato ‘frazione di Scicli’; v) Piratello, u Pirateddu ‘località presso Calatabiano’.
In Calabria sono presenti i toponimi Serra Pilata, nome di due contrade presso Falerna e Palia (CZ) (DTOC 243), Monte Pelato (Alessio
1939, n. 3136, s.v. pilatus) e Pirato, nome di due contrade di Orsomarso
e Scalea (CS) (DTOC 245).
3. Le proposte etimologiche.
La maggior parte di questi toponimi sono stati spiegati dagli studiosi
come dei derivati del lat. PRATUM, le forme maschili, e PRATA neutro plurale, quelle femminili (cfr. Avolio 1937, DOS, Trovato 1997, Lanaia 1997);
poiché inoltre non è documentata una forma sic. del tipo *pratu7, il processo evolutivo deve essere integrato da regole fonologiche come l’anaptis6
Per la localizzazione dei toponimi citati di seguito, ove non specificata, rimando a
DOS II s.v.
7
Le forme nicosiane prà e prateddhe, registrate da Trovato (1997, 66), sembrano influenzate dall’it., tant’è che «il pratu registrato dal Traina [...] e il prat’ di Piazza Armerina [...]
sono forme dotte ed estranee alla effettiva realtà del dialetto. Non è un caso, infatti, che pratu
non sia stato accolto nel VS III» (ivi, 68).
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si di -i- e la dissimilazione di r- in l-, secondo la seguente trafila: PRATA >
pirata > pilata ovvero PRATU(M) > pilatu > piratu. Le forme come Pidata/Pedata/Pirata (di San Placido) presuppongono certamente un raccostamento paretimologico con il sic. pidata e pirata ‘orma del piede’ «con conseguente fioritura di leggende relative all’impronta del santo lasciata
miracolosamente sul terreno» (Trovato 1997, 69; Lanaia 1997, 146).
Il toponimo Pelato, secondo Caracausi (DOS II 1191), deriva dall’it.
pelato, «nell’accezione geomorfica di ‘disboscato’». La funzione aggettivale di Pelato si riscontra nei citati Monte Pelato, Serro Pelato, Timpone Pelato, ma non in Contrada Pelato.
Per quanto riguarda, invece, il toponimo Pilato, Caracausi scrive che
esso potrebbe derivare dal cognome Pilato, a sua volta dal sic. pilatu
‘stempiato’, ‘completamente calvo’, oppure «dall’aggettivo, nel significato
di ‘brullo’ (cfr. terra pilata ‘terra senza erba’ VS)»; ma, continua l’autore,
«non va esclusa una parziale confusione con Pilatu» (ivi, 1231), a sua volta, aggiungiamo noi, da PRATUM.
4. Un unico tipo lessicale?
Come appare evidente, le proposte etimologiche dei toponimi citati
individuano due tipi lessicali che muovono dal lat. PRATUM/PRATA, dal sic.
pilatu agg. e dall’it. pelato agg. (< lat. PILATUS). Una proposta, a mio modo di vedere, più soddisfacente ed economica è quella di considerare tutti i toponimi in questione varianti di un unico tipo lessicale, il sic. pilata,
a sua volta dal lat. PILATUS ‘pelato’.
Dal punto di vista formale non fa nessuna difficoltà la transcategorizzazione o conversione di PILATUS da aggettivo a sostantivo, come si
può osservare, ad es., tanto per rimanere nello stesso campo semantico,
nel fr. pelouse ‘prato’ sost., dal lat. PILOSA ‘pelosa’ agg., nell’it. maggese
‘che matura e si raccoglie a maggio’ e ‘campo lasciato per qualche tempo a riposo senza seminarlo’ e nell’it. pelato ‘brullo’ e ‘campo privo di
vegetazione’8.
Sul piano propriamente fonetico, mentre le varianti del tipo pilata e
pilatu conserverebbero perfettamente la base latina, quelle del tipo pirata
e piratu presupporrebbero la rotacizzazione di -L-; quest’ultima si può spiegare sulla base del contatto interlinguistico tra i dialetti galloitalici di Sicilia – in cui è presente la rotacizzazione di -L- (Trovato 1998, 550-1) –
8
DGLI XII s.v. cita un brano dello scrittore genovese Piero Jahier in cui pelato è usato come sostantivo: «Mai i prati furon così rigogliosi: dov’era il più tardivo pelato, ora nappe
e margherite».
Il prato e il campo pelato
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e il siciliano, oppure, in alcuni casi, ipotizzando un raccostamento paretimologico con il sic. pirata ‘orma del piede’.
Un’altra variante del nostro tipo lessicale potrebbe essere rappresentata dal top. (u) Pirau ‘località di Buscemi e Randazzo’, presente anche in
altre località della Sicilia: Contrada Pirao, Serra Pirao e Contrada Netti Pirao (DOS II 1105,1239). Secondo Avolio (cit. in DOS ivi), Pirau deriva
dal [lat.] mediev. PARAGO ‘vigneto’, ma nulla ci vieta di vedere in Pirau
una ennesima variante di pilata. Pirau, come abbiamo visto, è una località
di Randazzo, centro galloitalico del Catanese, e di Buscemi, centro del Siracusano non distante da Ferla, Buccheri e Càssaro, località che conservano numerosi tratti galloitalici, fra cui la rotacizzazione di -L- e il dileguo, attraverso la lenizione, di -T- intervocalico, secondo questa sequenza
di sviluppo: -T- > -d- > -r-/Ø (cfr. Trovato 1998: 548). Avremmo, pertanto, la seguente trafila: pilata/-u > (piratu >) * Piradu > Pirau. Da quest’ultima forma potrebbe derivare il top. u Prau ‘loc. di Palazzolo [Acreide (SR)]’ (DOS II 1279). Se così stanno le cose, anche il top. nicosiano
Prà, cit. in Trovato (1997, 66), potrebbe essere una variante di Pilatu/Piratu e non un continuatore di PRATUM.
Il tipo “prato”, tuttavia, se non è presente nel lessico del siciliano, è
ampiamente documentato nella toponomastica e nell’onomastica (DOS ivi),
ma tale presenza sembra dovuta a un prestito dell’it. prato9, piuttosto che
continuare direttamente il lat. PRATUM.
Dal punto di vista semantico, a partire dall’aggettivo sic. pilatu ‘pelato, calvo’ si possono spiegare i significati che ha assunto il nostro tipo
lessicale e che in qualche modo riflettono l’evoluzione semantica ipotizzata da Alinei (2000, 961), per spiegare il passaggio da lig. prau ‘pelato’ a
lat. PRATUM, e cioè «lo spazio erboso, “pelato”, in opposizione alla selva
o alla macchia».
Per concludere, l’applicazione del modello di ricostruzione proposto
da Alinei, oltre a spiegare aspetti arcaici del latino, può gettare nuova luce sullo studio dei dialetti.
Catania
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Cfr. il microtoponimo Pratofiorito ‘prato fiorito’ che designa un bosco presso il Monte
Minardo sull’Etna (IGMI 261 II S.E.).
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