DANNo RENALE ACuTo

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DANNo RENALE ACuTo
Capitolo
34
DANNo RENALE
ACuTo
Non si possono risolvere tutte le difficoltà contemporaneamente.
Paul A.M. Dirac
(1903-1984)
Fino al 70% dei pazienti UTI è affetto da una disfunzione renale di un qualche grado
e il 5% circa di tali pazienti necessita di una terapia sostitutiva renale (1-3). La disfunzione renale che si verifica nei pazienti critici è ora chiamata danno renale acuto. Questa
condizione è simile alla sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) in quanto
si verifica solitamente nel quadro di un’insufficienza multiorganica in pazienti con
infiammazione sistemica progressiva (1). I pazienti affetti da danno renale acuto che
necessitano di emodialisi hanno un tasso di mortalità del 50-70% (3) che non è variato
negli ultimi 30 anni (4). L’incapacità da parte dell’emodialisi di contenere il tasso di
mortalità in caso di insufficienza renale acuta è apparentemente sfuggita all’attenzione dei fanatici della “medicina basata sulle evidenze” che sostengono che si debba
rinunciare a un intervento se esso non migliora la mortalità.
CRITERI DIAgNoSTICI
Il termine “danno renale acuto” (AKI – Acute Kidney Injury) è stato introdotto oltre
un decennio fa per tutte le disfunzioni renali che si verificano in pazienti critici.
È stato anche introdotto un sistema di classificazione della gravità della malattia e
del suo esito. Lo scopo era standardizzare la descrizione della disfunzione renale in
pazienti critici, ma in realtà (come sarà illustrato) si tratta di un sistema di criteri in
competizione tra loro che sembra complicare più che semplificare l’approccio alla
disfunzione renale nei pazienti critici.
Criteri RIFLE
Nel 2002, un gruppo di esperti noto come Acute Dialysis Quality Initiative (ADQI)
ha proposto un sistema di classificazione per definire gli stati progressivi del danno
renale acuto (AKI). Il sistema include 5 categorie e gli è stato conferito il nome di
RIFLE, acronimo di Risk (rischio), Injury (danno), Failure (insufficienza), Loss (perdita), ed End-stage renal disease (malattia renale in fase terminale). I criteri RIFLE sono
illustrati nella Tabella 34.1. Vi sono 3 categorie di gravità e 2 categorie di esito clinico.
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Le categorie di gravità dipendono dalla creatinina sierica e dalla produzione di urina.
La prima categoria (Rischio) identifica i requisiti minimi per la diagnosi di AKI:
aumento del 50% della concentrazione sierica di creatinina e riduzione della produzione di urina a 0,5 ml/kg/h (che corrisponde alla definizione di oliguria) per un periodo
di almeno 6 ore. Se i criteri relativi alla creatinina e alla produzione di urina non vanno
nella stessa direzione, per determinare la categoria viene usata la misura “peggiore”.
I criteri RIFLE hanno 2 limiti: (a) non è definito un periodo temporale per la variazione della creatinina sierica e (b) la variazione minima della creatinina sierica necessaria per la diagnosi di AKI è considerata troppo ampia.
Tabella 34.1 Criteri RIFLE e AKIN per il danno renale acuto
Categorie
RIFLE:
Risk
Injury
Failure
Creatinina sierica
 della SCr a 1,5-<2 x basale
 della SCr a 2-<3 x basale
 della SCr a ≥3 x basale
Loss
Perdita della funzionalità renale
per >4 settimane
ESRD
Perdita della funzionalità renale
per >3 mesi
AKIN:*
Stadio 1
Stadio 2
Stadio 3
 della SCr a ≥0,3 mg/dl
o a 1,5-2 x basale
 della SCr a >2-3 x basale
 della SCr a >3 x basale
o SCr ≥4 mg/dl con un aumento
acuto di ≥0,5 mg/dl
Produzione di urina†
PU: <0,5 ml/kg/h per 6 h
PU: <0,5 ml/kg/h per 12 h
PU: <
0,3 ml/kg/h per 24 h
o anuria per 12 h
PU: <0,5 ml/kg/h per >8 h
PU: <0,5 ml/kg/h per >12 h
PU: <
0,5 ml/kg/h per 24 h
o anuria per 12 h
*I criteri AKIN richiedono che l’aumento della creatinina sierica avvenga entro 48 ore.
†Per
la determinazione della produzione di urina è raccomandato un peso corporeo ideale.
ESRD = malattia renale in fase terminale; SCr = creatinina sierica; PU = produzione di urina. Dai riferimenti bibliografici nn.1 e 2.
Criteri AKIN
A causa dei limiti dei criteri RIFLE sopra menzionati, l’Acute Kidney Injury
Network (AKIN) ha introdotto criteri rivisti che sono illustrati nella parte inferiore della Tabella 34.1. Per la diagnosi di AKI, i criteri AKIN richiedono una
variazione della creatinina di minore entità (≥0,3 mg/dl) e impongono un limite
temporale di 48 ore alla variazione della creatinina sierica. Sfortunatamente,
i criteri RIFLE non sono stati abbandonati dopo l’introduzione dei criteri AKIN,
per cui all’ora attuale esistono due sistemi in competizione per la diagnosi e la
classificazione dell’AKI.
Che cosa accadrà ora?
Quali criteri devono quindi essere usati per diagnosticare e definire lo stadio
dell’AKI? I criteri AKIN sembrano favoriti nelle rassegne critiche pubblicate, ma
studi di confronto non hanno dimostrato alcuna differenza tra i criteri RIFLE e AKIN
per predire gli esiti. Ciò è dimostrato nella Figura 34.1 che mostra che i due gruppi
di criteri sono equivalenti nel predire i tassi di mortalità (5).
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Fonti di confusione
Malgrado l’obiettivo di semplificare l’approccio all’insufficienza renale nei pazienti
critici, la condizione recentemente coniata e nota come danno renale acuto ha creato
le seguenti fonti di confusione:
1. La diagnosi di AKI include condizioni prerenali (ad esempio ipovolemia) in cui
non vi è alcun “danno” ai reni.
2. L’oliguria (cioè una produzione di urina <0,5 ml/kg/h) è necessaria per la diagnosi di AKI, per cui vengono trascurati i casi di insufficienza renale acuta non
oligurica (ad esempio nefrite interstiziale, insufficienza renale mioglobinurica).
3. Non vi è accordo sull’aumento minimo di creatinina sierica necessario per la diagnosi di AKI.
Tasso di mortalità (%)
50
40
(42%)
Categorie RIFLE
(44%)
Categorie AKIN
30
20
(17%)
(20%)
(19%)
(14%)
10
0
Rischio
Stadio1
Danno
Stadio 2
Insufficienza
Stadio 3
FIguRA 34.1 Confronto tra i tassi di mortalità ospedaliera per i corrispondenti criteri RIFLE e AKIN
in 291 pazienti con AKI. La mortalità prevista dai due sistemi di classificazione non presenta alcuna
differenza. Dati dal riferimento bibliografico n. 5.
CoNSIDERAzIoNI DIAgNoSTICHE
Categorie
I disordini clinici promossi dall’AKI possono essere classificati in base alla loro posizione, cioè prerenali, intrarenali o postrenali.
Disordini prerenali
Il danno nei disordini prerenali consiste in una riduzione del flusso ematico renale.
I disordini prerenali sono responsabili del 30-40% dei casi di AKI (6) e derivano
principalmente da ipovolemia e bassa gittata cardiaca. L’AKI prerenale tipicamente
risponde agli interventi che aumentano il flusso ematico sistemico (ad esempio ripristino del volume), ma la risposta può andare persa quando il flusso è gravemente
ridotto (ad esempio nello shock ipovolemico).
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Disordini renali
Le patologie intrarenali che producono AKI sono la necrosi tubulare acuta (ATN) e
la nefrite interstiziale acuta (NIA).
ATN L’ATN è responsabile di più del 50% dei casi di AKI (6). Inizialmente si riteneva
che questa patologia fosse dovuta a ipoperfusione renale, ma vi sono ora prove convincenti che il processo patologico sia una lesione infiammatoria (ossidativa) del rivestimento epiteliale dei tubuli renali (7). Le cellule danneggiate si sfaldano nel lume dei
tubuli renali, dove creano un’ostruzione (si veda la Figura 34.2). L’ostruzione del lume
crea una pressione di ritorno sul lato luminale del glomerulo e ciò riduce la pressione
di filtrazione netta attraverso il glomerulo, che a sua volta riduce il tasso di filtrazione
glomerulare (GFR). Questo processo è chiamato feedback tubulo-glomerulare (8).
L’ATN non è una malattia renale primaria, mentre è solitamente una manifestazione
di uno dei seguenti disordini: sepsi grave e shock settico, uso di mezzi di contrasto
radiologici o di farmaci nefrotossici (ad esempio aminoglicoside) o rabdomiolisi con
danno renale mioglobinurico.
FIguRA 34.2 Microfotografia di una necrosi tubulare acuta (ATN) che mostra un tubulo prossimale
(delineato dalla linea tratteggiata) pieno di cellule dei tubuli renali esfoliate.
NIA La NIA è anch’essa dovuta a una lesione infiammatoria, ma la lesione è localiz-
zata nell’interstizio renale invece che nei tubuli renali. La NIA è descritta più avanti
in questo capitolo.
Ostruzione postrenale
L’ostruzione distale al parenchima renale è responsabile soltanto del 10% circa dei
casi di AKI (6). L’ostruzione può coinvolgere la parte più distale dei dotti collettori
renali (necrosi papillare), degli ureteri (ostruzione extraluminale da massa retroperitoneale) o dell’uretra (stenosi). L’ostruzione ureterale da calcoli non provoca AKI,
a meno che non vi sia un solo rene funzionale.
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Cause comuni di AKI
La maggior parte dei casi di AKI è causata dai disordini clinici elencati nella Tabella
34.2. Le cause più frequenti di AKI sono elencate nella colonna di sinistra. La sepsi
(cioè infezione più infiammazione sistemica) è responsabile anche del 50% dei casi
di AKI ed è quindi la causa più comune (3,9). L’AKI è stato riferito anche nel 40%
dei pazienti sottoposti a un intervento chirurgico maggiore, specialmente per bypass
cardiopolmonare (3). L’AKI è stato riferito nel 30% delle vittime di traumi maggiori
(3) e la rabdomiolisi è responsabile del 30% di questi casi (3). I farmaci nefrotossici
e i mezzi di contrasto radiologici sono implicati nel 20% circa dei casi di AKI (9).
L’aumento della pressione addominale sta emergendo come causa comune e spesso
trascurata di AKI. Questa condizione è descritta più avanti in questo capitolo.
Tabella 34.2 Cause comuni di danno renale acuto
Cause più frequenti†
Altre cause frequenti
Sepsi*
Aumento della pressione addominale
Intervento chirurgico maggiore
Bypass cardiopolmonare
Ipovolemia
Trauma
Bassa gittata cardiaca
Rabdomiolisi
Agenti nefrotossici
†Dal
riferimento bibliografico n. 9.
*Causa principale di danno renale acuto.
Valutazione diagnostica
La valutazione dell’AKI inizia con un’ecografia dei reni effettuata al letto del paziente
per evidenziare un’eventuale ostruzione postrenale. Se non vi è alcuna ostruzione, la
valutazione successiva ha lo scopo di determinare se il problema è un disordine prerenale (ad esempio ipovolemia o riduzione della gittata cardiaca) o un disordine renale
intrinseco (ad esempio ATN o NIA). Le misurazioni della Tabella 34.3 possono aiutare
a distinguere i disordini prerenali da quelli renali, ma solo nei pazienti con oliguria.
Tabella 34.3 Misurazioni delle urine per la valutazione dell’AKI
Misurazione
Disordine prerenale
Disordine renale
Sodio urinario estemporaneo
<20 mEq/l
>40 mEq/l
Escrezione frazionale del Na
<1%
>2%
Escrezione frazionale dell’urea
<35%
>50%
>500 mOsm/kg
300-400 mOsm/kg
>1,5
1-1,3
Osmolalità dell’urina
Osmolalità U/P
Sodio urinario estemporaneo
Nei disordini prerenali, l’ipoperfusione renale è accompagnata da un aumento del
riassorbimento di sodio nei tubuli renali e da una conseguente riduzione della concentrazione di sodio nelle urine. Le “tubulopatie” renali come l’ATN, invece, sono caratterizzate da una riduzione del riassorbimento di sodio e da un aumento della perdita
di sodio nelle urine. Pertanto, quando si ottiene un campione estemporaneo di urina
(urina spot) in un paziente con AKI, una concentrazione di sodio nell’urina <20 mEq/l
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viene usata come prova di un disordine prerenale, mentre una concentrazione di sodio
nell’urina >40 mEq/l è usata come prova di un disordine renale intrinseco (10).
Eccezioni Un disordine prerenale può essere associato a un’elevata concentrazione
di sodio nell’urina (>40 mEq/l) se è in corso una terapia diuretica o se il paziente ha
una malattia renale cronica (in cui vi è una perdita “obbligatoria” di sodio nell’urina).
Escrezione frazionale del sodio
L’escrezione frazionale del sodio (FENa) è considerata una misura più accurata del
funzionamento dei tubuli renali rispetto alla concentrazione estemporanea di sodio
nelle urine. La FENa è equivalente alla clearance frazionale del sodio divisa per la
clearance frazionale della creatinina, ed è espressa dalla seguente equazione:
FENa (%) =
U/P [Na]
U/P [Cr]
(34.1)
(U/P è il rapporto urina/plasma delle concentrazioni di sodio e creatinina.) Nei
pazienti euvolemici con funzione renale normale, la FENa è pari all’1% (cioè solo
l’1% del sodio filtrato è escreto nelle urine). Nei disordini prerenali come l’ipovolemia, la FENa è <1% (il che indica la conservazione del sodio) e nei disordini
renali intrinseci come l’ATN, la FENa è tipicamente >2% (il che indica un aumento
dell’escrezione urinaria di sodio) (11).
Eccezioni Come il sodio urinario estemporaneo, la FENa può essere erroneamente aumentata (>1%) dalla terapia diuretica e dall’insufficienza renale (11). La FENa
può essere inoltre erroneamente bassa (<1%) nei pazienti con insufficienza renale
dovuta a sepsi (12), uso di mezzi di contrasto radiologici (13), emoglobinuria o
mioglobinuria (14).
Escrezione frazionale dell’urea
L’escrezione frazionale dell’urea (FEU) è concettualmente simile alla FENa ed è
equivalente alla clearance frazionale dell’urea divisa per la clearance frazionale della
creatinina, come espresso dalla seguente equazione:
FEU (%) =
U/P [urea]
U/P [Cr]
(34.2)
(U/P è il rapporto urina/plasma delle concentrazioni di urea e creatinina) La FEU è
bassa (<35%) nei disordini prerenali come l’ipovolemia ed elevata (>50%) nei disordini renali come l’ATN. Tuttavia, la FEU non è influenzata dai diuretici (15), il che
rappresenta il principale vantaggio della FEU rispetto alla FENa.
Incertezza
Può essere difficile distinguere le cause prerenali e intrarenali di AKI e spesso è
necessario un carico di fluidi per distinguere queste due condizioni (si veda il prossimo paragrafo).
TRATTAMENTO INIZIALE
Il trattamento iniziale dell’AKI deve includere le seguenti azioni: (a) infusione di
liquidi per promuovere il flusso ematico renale; (b) sospensione di tutti i farmaci
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nefrotossici e (c) trattamento di tutte le condizioni che predispongono all’AKI (ad
esempio sepsi).
Carico di fluidi
Se non è stata esclusa una causa prerenale di AKI, è giustificata un’infusione immediata di liquidi. Un ritardo nel correggere l’ipoperfusione renale può portare a
danno intrarenale per cui è fondamentale prestare immediatamente attenzione al
ripristino del volume. Le infusioni di liquidi possono essere somministrate in aliquote di 500-1000 ml per i fluidi cristalloidi e di 300-500 ml per i fluidi colloidali, per una
durata di 30 minuti (16). Le infusioni di liquidi continuano finché vi è una risposta
(cioè un aumento della produzione di urina) o finché non insorge un potenziale
sovraccarico di volume (si ricordi che solo il 20-25% dei fluidi cristalloidi infusi resta
nello spazio intravascolare per cui 500 ml di fluidi cristalloidi infusi aumentano il
volume plasmatico solo di 100-125 m ). Le infusioni di fluidi cristalloidi, quindi, non
vengono interrotte se un volume di 500 ml non produce una risposta favorevole.
Non si devono mai usare diuretici per aumentare la produzione di urina finché non
è stata esclusa la possibilità che vi sia una patologia prerenale.
Idrossietil amido
Diversi studi hanno dimostrato un’associazione tra le soluzioni di idrossietil amido
e l’AKI (si veda a pagina 214). In caso di AKI è quindi preferibile evitare le soluzioni
di amido per i carichi di fluidi.
Disordini intrarenali
Le seguenti considerazioni sono rilevanti nei pazienti con AKI dovuto a disordini
intrarenali (cioè ATN e NIA). Sfortunatamente, l’unica opzione precoce disponibile
per arrestare o invertire il decorso dell’AKI è sospendere i farmaci potenzialmente
responsabili.
Furosemide
Malgrado la sua popolarità nell’AKI, la furosemide per via endovenosa non migliora la
funzione renale in caso di AKI e non converte l’insufficienza renale oligurica in insufficienza
non oligurica (3,17). La furosemide può aumentare la produzione di urina durante
la fase di guarigione dell’AKI (18) ed è ragionevole tentarne la somministrazione
durante questo periodo per ridurre l’accumulo di liquidi.
Dopamina a basse dosi
La dopamina a basse dosi (2 µg/kg/min) può agire da vasodilatatore renale, ma non
migliora la funzione renale nei pazienti con AKI (19,20). La dopamina a basse dosi,
inoltre, può avere effetti deleteri sull’emodinamica (riduzione del flusso ematico
splancnico), sulla funzione immunitaria (inibizione della funzione dei linfociti T) e
sulla funzione endocrina (inibizione del rilascio dall’ipofisi dell’ormone stimolante
la tiroide) (20). Vista la mancanza di benefici combinata al rischio di effetti nocivi,
l’uso di dopamina a basse dosi nei pazienti con AKI è considerato bad medicine (prendendo in prestito il titolo del riferimento bibliografico n. 20).
Agenti nefrotossici
Come menzionato prima, la sospensione dei farmaci potenzialmente responsabili è
la misura precoce più efficace per arrestare o invertire il decorso dell’AKI. Svariati
farmaci possono essere responsabili dell’AKI, come indicato nella Tabella 34.4.
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Tabella 34.4 Farmaci implicati più frequentemente nel danno renale acuto
Meccanismo
Farmaci responsabili
Emodinamica
intrarenale
Più frequenti: Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS)
Nefropatia
osmotica
Più frequenti: Idrossietil amidi
Danno
ai tubuli renali
Più frequenti: Aminoglicosidi
Nefrite
interstiziale
Più frequenti: A
ntibiotici (penicilline, cefalosporine, sulfamidici,
vancomicina, macrolidi, tetracicline, rifampicina)
Altri: A
CE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina,
ciclosporina, tacrolimus
Altri: Mannitolo, immunoglobuline endovenose
Altri: Amfotericina B, antiretrovirali, cisplatino
Altri: A
nticonvulsivanti (fenitoina, acido valproico),
H2-bloccanti, FANS, inibitori di pompa protonica
Adattata dal riferimento bibliografico n. 21.
CONDIZIONI SPECIFICHE
Danno renale indotto da mezzo di contrasto
I mezzi di contrasto iodati possono danneggiare i reni in svariati modi, tra cui danno
diretto ai tubuli renali, vasocostrizione renale e produzione di metaboliti tossici
dell’ossigeno (21). Usando i criteri AKIN per la diagnosi di AKI, l’incidenza di AKI
dopo studi con mezzo di contrasto è dell’8-9% (22). L’AKI solitamente compare entro
72 ore dallo studio con mezzo di contrasto. L’incidenza è maggiore nei pazienti con
insufficienza multiorganica, insufficienza renale cronica o durante la terapia con altri
agenti nefrotossici (23). La maggior parte dei casi si risolve entro due settimane e
pochi richiedono una terapia sostitutiva renale (24).
Prevenzione
Idratazione endovenosa La misura preventiva più efficace per la nefropatia indot-
ta da mezzo di contrasto nei pazienti ad alto rischio è l’idratazione endovenosa (se permessa). Il regime raccomandato è 100-150 ml/h di soluzione isotonica salina iniziata 3-12
ore prima della procedura e proseguita per 6-24 ore dopo la procedura (23). Per le procedure
d’emergenza, si devono infondere almeno 300-500 ml di soluzione salina isotonica
subito prima della procedura.
N-acetilcisteina L’N-acetilcisteina (NAC) è un surrogato del glutatione con attività
antiossidante che ha risultati contradditori come agente protettivo in caso di nefropatia indotta da mezzo di contrasto (3). Un’analisi di 16 studi che hanno usato NAC
ad alte dosi (superiori a 1200 mg al giorno) ha tuttavia dimostrato una riduzione del
50% del rischio di nefropatia indotta da mezzo di contrasto (24). Il regime a base di
NAC ad alte dosi è di 1200 mg per via orale due volte al giorno per 48 ore, iniziando
la sera prima della procedura con mezzo di contrasto. Per le procedure d’emergenza,
la prima dose da 1200 mg deve essere somministrata subito prima della procedura.
Anche se il dibattito continua, la NAC è un agente preventivo popolare grazie al suo
basso costo e alla sua sicurezza.
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Capitolo 34 – Danno renale acuto 589
Nefrite interstiziale acuta (NIA)
La NIA è una condizione infiammatoria che interessa l’interstizio renale e si manifesta sotto forma di insufficienza renale acuta. L’oliguria non è sempre presente in
caso di NIA (25), il che significa che la NIA non è sempre correlata direttamente a
una diagnosi di AKI. La maggior parte dei casi di NIA è dovuta a una reazione di
ipersensibilità a farmaci, ma possono essere coinvolte anche infezioni (solitamente
virali o da patogeni atipici). I farmaci più spesso coinvolti nella NIA sono elencati
nella Tabella 34.4 (26). I farmaci più frequentemente responsabili sono gli antibiotici,
specialmente le penicilline.
La NIA indotta da farmaci è spesso (ma non sempre) accompagnata da segni di una
reazione di ipersensibilità come febbre, eruzione cutanea ed eosinofilia. Il danno
renale solitamente compare diverse settimane dopo la prima esposizione (26), ma
può comparire anche alcuni giorni dopo una seconda esposizione. Manifestazioni
comuni sono piuria sterile ed eosinofiluria (26). Una biopsia renale assicura la diagnosi, ma viene eseguita raramente. La NIA si risolve spontaneamente quando si
sospende il farmaco responsabile, ma il processo di guarigione può impiegare mesi.
Insufficienza renale mioglobinurica
L’insufficienza renale acuta si sviluppa in un terzo circa dei pazienti con danno
muscolare diffuso (rabdomiolisi) (27,28). La colpevole è la mioglobina, che viene
rilasciata dal muscolo leso ed è in grado di danneggiare le cellule epiteliali dei tubuli
renali. La causa del danno cellulare può essere lo ione ferro dell’eme (29) che è in
grado di creare un danno ossidativo alle cellule attraverso la produzione di radicali
idrossile (si veda la Figura 22.6 a pagina 401). Ciò potrebbe spiegare perché anche
l’emoglobina è in grado di produrre danni ai tubuli renali.
La diagnosi di AKI può risultare difficile nelle prime fasi della rabdomiolisi in quanto il muscolo leso rilascia creatina, che viene misurata come creatinina e innalza
erroneamente la concentrazione sierica di creatinina (29).
Mioglobina nelle urine
La mioglobina può essere rilevata nelle urine con lo stick reattivo all’ortotoluidina
(Hemastix®), che viene usato per rilevare il sangue occulto nelle urine. Se il test è
positivo, l’urina deve essere centrifugata (per separare gli eritrociti) e il surnatante
deve essere passato attraverso un filtro micropore (per rimuovere l’emoglobina). Un
test positivo in modo persistente dopo queste misure prova la presenza di mioglobina nelle urine. Un approccio alternativo consiste nell’ispezionare il sedimento urinario per eventuali globuli rossi; uno stick reattivo positivo per il sangue senza globuli
rossi nel sedimento urinario può essere usato come evidenza di mioglobinuria.
La presenza di mioglobina nelle urine non assicura la diagnosi di AKI, ma la sua
assenza può essere usata per escludere la diagnosi di danno renale mioglobinurico (28).
Trattamento
Il ripristino aggressivo del volume per promuovere il flusso ematico renale è la misura
più efficace per prevenire o limitare il danno renale in caso di rabdomiolisi. Anche
alcalinizzare l’urina può aiutare a limitare il danno renale, ma è difficile da realizzare e spesso non è necessario. I livelli di potassio e fosfato nel plasma devono essere
monitorati attentamente in caso di rabdomiolisi in quanto questi elettroliti sono
rilasciati dai muscoli scheletrici lesi e le loro concentrazioni nel plasma possono
aumentare drasticamente, specialmente quando la funzione renale è compromessa.
Il 30% circa dei pazienti che sviluppano un danno renale mioglobinurico necessita
di dialisi (28).
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Sindrome compartimentale addominale
La sindrome compartimentale addominale (ACS) è la condizione in cui un aumento della pressione addominale determina la disfunzione di uno o più organi vitali
(30,31). Questa disfunzione organica solitamente interessa l’intestino (ischemia
splancnica), i reni (AKI) e il sistema cardiovascolare (ridotta gittata cardiaca).
Definizioni
Le definizioni relative all’ACS sono incluse nella Tabella 34.5 (30). La pressione intraaddominale (IAP) è solitamente pari a 5-7 mmHg in posizione supina (la misurazione dell’IAP è descritta più avanti) e l’ipertensione intra-addominale (IAH) è definita
come un aumento prolungato dell’IAP a ≥12 mmHg. L’ACS si verifica quando l’IAP
sale al di sopra di 20 mmHg e vi sono evidenze di una disfunzione organica precedentemente non presente.
Tabella 34.5 Definizioni correlate alla pressione intra-addominale
Pressione intra-addominale (IAP)
Pressione nella cavità addominale, che è solitamente pari a 5-7 mmHg
in posizione supina.
Ipertensione intra-addominale (IAH)
Aumento prolungato dell’IAP a ≥12 mmHg in posizione supina.
Sindrome compartimentale addominale (ACS)
Aumento prolungato dell’IAP a ≥20 mmHg in posizione supina, accompagnato
da disfunzione organica precedentemente non presente.
Pressione di perfusione addominale (APP)
Misura della pressione di perfusione viscerale, equivalente alla differenza
tra la pressione arteriosa media e la pressione intra-addominale:
APP = MAP – IAP. L’APP desiderata è ≥60 mmHg.
Gradiente di filtrazione (FG)
Forza meccanica attraverso il glomerulo, equivalente alla differenza
tra la pressione di filtrazione glomerulare (o MAP – IAP) e la pressione tubulare
prossimale (o IAP): FG = MAP – (IAP x 2).
Dal riferimento bibliografico n. 30.
Condizioni predisponenti
L’ACS è tradizionalmente associata a trauma addominale, ma diverse condizioni
possono causare un aumento dell’IAP e predisporre all’ACS, tra cui distensione
gastrica, ostruzione intestinale, ileo, emorragia peritoneale, ascite, edema della parete intestinale, epatomegalia, ventilazione a pressione positiva, posizione verticale del
corpo e obesità (31). Diversi di questi fattori possono coesistere in pazienti critici, il
che spiega perché l’IAH viene rilevata anche nel 60% dei pazienti di UTI mediche e chirurgiche (32).
Ripristino di grandi volumi di fluidi Una della cause più comuni e non ricono-
sciute di IAH è il ripristino di grandi volumi di fluidi, che può innalzare l’IAP promuovendo edema negli organi addominali (specialmente l’intestino). In pazienti
UTI con bilancio netto dei liquidi positivo >5 litri in 24 ore, è stata scoperta un’ICH
nell’85% dei pazienti ed è stata diagnosticata ACS nel 25% dei pazienti (33). Questa
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osservazione si aggiunge al crescente consenso al fatto che evitando un bilancio
positivo dei fluidi si riduce la morbilità e la mortalità nei pazienti UTI (si vedano
le pagine 418-419).
Disfunzione renale
Un aumento dell’IAP può interessare virtualmente tutti gli organi (riducendo il
ritorno venoso e di conseguenza riducendo la gittata cardiaca), ma sono i reni a
essere più frequentemente interessati. L’influenza dell’IAP sulla funzione renale si
può spiegare con le due variabili descritte qui di seguito.
Pressione di perfusione addominale La pressione che guida il flusso ematico renale è la differenza tra la pressione arteriosa media (MAP) e la pressione media nelle
vene renali. Quando l’IAP è superiore alla pressione venosa renale, la pressione che
guida il flusso ematico renale è la differenza tra la MAP e l’IAP. Questa differenza
di pressione è chiamata pressione di perfusione addominale (APP):
APP = MAP – IAP
(34.3)
Nei pazienti con IAH, l’APP è equivalente alla pressione di perfusione renale per cui un
aumento dell’IAP riduce il flusso ematico renale riducendo l’APP. L’APP necessaria
per preservare il flusso ematico renale non è nota, ma, in studi sull’IAH e l’ACS, il
mantenimento di un’APP >60 mmHg è stato associato a un miglioramento della
sopravvivenza (30).
Gradiente di filtrazione Il gradiente di filtrazione (FG) è il gradiente di pressione
attraverso il glomerulo ed è equivalente alla differenza tra la pressione di filtrazione
glomerulare (GFP) e la pressione tubulare prossimale (PTP) (30):
FG = GFP – PTP
(34.4)
Nei pazienti con IAH, la GFP è considerata equivalente a MAP – IAP e la PTP
è considerata equivalente all’IAP, per cui l’equazione 34.4 può essere riscritta
come:
FG = MAP – (IAP × 2)
(34.5)
Secondo questa correlazione, un aumento dell’IAP avrà un impatto maggiore
sulla filtrazione glomerulare (e sul flusso di urina) rispetto a una riduzione equivalente della MAP. Ciò potrebbe spiegare perché l’oliguria è uno dei primi segni
di IAH (30).
Misurazione della pressione intra-addominale
L’IAP dovrebbe essere misurata ai pazienti con AKI e con una condizione predisponente all’ACS (cioè la maggior parte dei pazienti UTI). L’esame fisico non permette
di rilevare un aumento dell’IAP (34) che quindi deve essere misurata attraverso la
pressione di una vescica urinaria decompressa (metodo intravescicale). Per misurare
l’IAP sono disponibili speciali cateteri per il drenaggio vescicale (ad esempio da Bard
Medical, Covington, GA). Per le misurazioni sono necessarie le seguenti condizioni
(30): (a) il paziente deve essere in posizione supina, con il trasduttore di pressione
azzerato lungo la linea ascellare media; (b) un piccolo volume (25 ml) di soluzione
salina isotonica viene iniettato nella vescica 30-60 secondi prima di ogni misurazione
e (c) l’IAP viene misurata alla fine dell’espirazione e solo quando non vi sono evidenze di contrazione dei muscoli addominali. L’IAP è misurata in mmHg, non in cm
di H2O (1 mmHg = 1,36 cm H2O).
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Trattamento
Le misure generali per ridurre l’IAP includono sedazione (per ridurre la contrazione
dei muscoli addominali), mantenimento della testa sollevata a non più di 20° rispetto
al piano orizzontale (35) e assenza di bilancio positivo dei liquidi. Misure specifiche
sono dettate dalla causa dell’aumento dell’IAP e possono includere decompressione
dello stomaco, dell’intestino tenue o del colon, drenaggio percutaneo del liquido
peritoneale o intervento chirurgico (ad esempio per lesioni addominali od ostruzione intestinale). Come menzionato prima, gli sforzi per mantenere un’APP >60
mmHg (con vasopressori per aumentare la MAP, se necessario) sono associati a un
miglioramento degli esiti dell’ACS.
La decompressione chirurgica è raccomandata per i pazienti con ACS mentre l’IAP
non può essere ridotta mediante misure convenzionali (35). Questa procedura ha
tuttavia dei considerevoli rischi (ad esempio l’addome è spesso lasciato aperto per
un drenaggio continuo) che devono essere valutati nei confronti del rischio associato
alla mancata esecuzione della procedura.
TERAPIA SOSTITUTIVA RENALE
Il 70% circa dei pazienti con insufficienza renale acuta necessita di una qualche forma
di terapia sostitutiva renale (TSR). Le indicazioni usuali per la TSR nell’insufficienza
renale acuta includono: (a) sovraccarico di volume; (b) iperkaliemia potenzialmente
mortale o acidosi metabolica refrattaria alle misure tradizionali e (c) rimozione delle
tossine (ad esempio glicole etilenico). Il momento ottimale in cui effettuare la TSR in
caso di insufficienza renale acuta non è chiaro (36).
Il numero di tecniche di TSR è in continua crescita e include non solo emodialisi
ed emofiltrazione, ma anche emodiafiltrazione, dialisi ad alto flusso e plasmafiltrazione. Le descrizioni che seguono si limitano all’emodialisi e all’emofiltrazione.
I meccanismi di rimozione di fluidi e soluti mediante ciascuna di queste tecniche
sono illustrati nella Figura 34.3.
Emodialisi
L’emodialisi rimuove i soluti per diffusione, guidata dal gradiente di concentrazione
dei soluti attraverso una membrana semipermeabile. Per mantenere questo gradiente di
concentrazione, viene usata una tecnica chiamata scambio controcorrente, in cui il sangue
e i liquidi da dialisi sono guidati in direzioni opposte attraverso la membrana dialitica.
Una pompa per il sangue viene usata per spostare il sangue in una direzione attraverso
la membrana dialitica a una velocità di 200-300 ml/min. Il liquido da dialisi sull’altro
lato della membrana si sposta a una velocità quasi doppia, pari a 500-800 ml/min (37).
Per l’emodialisi acuta sono necessari cateteri di grande calibro a doppio lume che sono
descritti nel Capitolo 1 (si vedano la Tabella 1.5 a pagina 13 e la Figura 1.6 a pagina 13).
Vantaggi e svantaggi
Il principale vantaggio dell’emodialisi è la rapida eliminazione di piccoli soluti. Sono
necessarie solo poche ore di emodialisi per eliminare l’accumulo potenzialmente
mortale di potassio o acidi organici o per rimuovere le scorie azotate accumulate
in una giornata. Gli svantaggi dell’emodialisi includono (a) una rimozione limitata
delle molecole di grandi dimensioni (ad esempio citochine infiammatorie) e (b) la
necessità di mantenere un flusso ematico pari a 200-300 ml/min attraverso la camera di dialisi. Quest’ultimo requisito crea un rischio di ipotensione, che si verifica in
quasi un terzo dei trattamenti di emodialisi (37).
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Capitolo 34 – Danno renale acuto 593
Emodialisi
Sangue
Dialisato
Eliminazione del soluto guidata da un gradiente di concentrazione
Emofiltrazione
Pressione
idrostatica
Sangue
Ultrafiltrato
Eliminazione del soluto guidata da un gradiente di pressione
FIguRA 34.3 Meccanismi di eliminazione dei soluti mediante emodialisi ed emofiltrazione. Le particelle
più piccole rappresentano i soluti piccoli (ad esempio l’urea), che possono essere eliminati con entrambe
le tecniche, mentre le particelle più grandi rappresentano le molecole più grandi (ad esempio le citochine
infiammatorie) che possono essere eliminate mediante emofiltrazione, ma non mediante emodialisi.
Emofiltrazione
L’emofiltrazione rimuove i soluti per convezione, mentre viene usato un gradiente di pressione idrostatica per spostare un fluido contenente soluti attraverso una
membrana semipermeabile. Poiché il movimento in blocco dei liquidi “trascina” il
soluto attraverso la membrana, questo metodo di rimozione dei soluti è anche noto
come trascinamento del solvente (37).
L’emofiltrazione può rimuovere grandi volumi di liquidi (fino a 3 litri all’ora), ma
la velocità di eliminazione dei soluti è molto più lenta che durante l’emodialisi.
L’emofiltrazione deve quindi essere effettuata in continuo per ottenere un’elimina-
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zione efficace dei soluti. Poiché vengono eliminati con l’acqua, la concentrazione
plasmatica di questi soluti (ad esempio l’urea) non diminuisce durante l’emofiltrazione a meno che non venga infuso un liquido endovenoso privo di soluti per sostituire parte dell’ultrafiltrato perso (ciò è spesso necessario a causa dei grandi volumi
rimossi durante l’emofiltrazione).
Metodi
L’emofiltrazione era originariamente effettuata inserendo una cannula in un’arteria
(radiale, brachiale o femorale) e in una grande vena (giugulare interna o femorale).
Questo metodo, chiamato emofiltrazione arterovenosa continua (CAVH), usa la pressione arteriosa media come pressione di filtrazione e non necessita di una pompa nel
circuito. Non è però adatto per i pazienti con pressione sanguigna incostante.
Il metodo più popolare all’ora attuale è l’emofiltrazione venovenosa continua (CVVH),
in cui il sangue venoso viene rimosso e restituito attraverso cateteri di grande calibro a doppio lume come quelli usati per l’emodialisi. Questo metodo non necessita
dell’inserimento di un cannula in un’arteria, ma di una pompa nel circuito per creare
una pressione di filtrazione efficace.
Vantaggi e svantaggi
L’emofiltrazione ha due principali vantaggi. Innanzitutto, permette una rimozione
dei liquidi più graduale rispetto all’emodialisi e quindi è meno probabile che produca una compromissione emodinamica. In secondo luogo, l’emofiltrazione rimuove
molecole di maggiori dimensioni rispetto all’emodialisi, il che la rende il metodo
preferito per la rimozione di tossine come il glicole etilenico. Questa caratteristica
permette anche la rimozione di mediatori dell’infiammazione, il che può rappresentare un vantaggio terapeutico per i pazienti con infiammazione sistemica e insufficienza multiorganica (38).
Il principale svantaggio dell’emofiltrazione è la lenta rimozione dei soluti, che non è
molto adatta quando è necessaria una rimozione più rapida (ad esempio per iperkaliemia o acidosi potenzialmente mortali). Un metodo più recente di TSR noto come
emodiafiltrazione (che associa le caratteristiche della dialisi e dell’emofiltrazione) è più
adatto dell’emofiltrazione nei pazienti che necessitano di una rapida rimozione dei
soluti e dei liquidi.
CONCLUSIONI
L’equazione di Dirac e il danno renale acuto
L’autore della citazione introduttiva, Paul Dirac, è stato un importante (ed eccentrico) fisico teorico che ha introdotto il concetto di antimateria (39). La sua citazione si
riferisce alla sua equazione (l’equazione di Dirac) per descrivere il comportamento
degli elettroni, che successivamente ha mostrato alcune limitazioni. Come l’equazione di Dirac, il concetto di danno renale acuto non ha raggiunto l’obiettivo di descrivere l’intero spettro di insufficienze renali presentate dai pazienti critici. Le fonti di
confusione create dal concetto di danno renale acuto sono descritte a pagina 583.
Il concetto di danno renale acuto ha una caratteristica diversa rispetto all’equazione di Dirac, cioè l’equazione di Dirac ha aggiunto molto alla comprensione del
comportamento degli elettroni, mentre il concetto di danno renale acuto aggiunge
poco alla comprensione di come e perché si verifichi un’insufficienza renale nei
pazienti critici.
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