5.2 In fuga dall`Europa occidentale
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5.2 In fuga dall`Europa occidentale
5.2 In fuga dall’Europa occidentale 5.2.1 Abe Furmanski, proveniente da Varsavia, 35 anni. “Tu vuoi conoscere le nostre storie. Ti dirò quello che i nazisti e i francesi di Vichy ci hanno fatto in Francia. Tu devi scriverlo. Il mondo deve sapere. Ho ascoltato persone dire che le cose che ci hanno fatto sono solo propaganda. Come la propaganda nella Grande Guerra. Quello che ti dirò non è propaganda. Ero in Francia quando i tedeschi entrarono il 16 giugno 1940. Un capitano tedesco di 26 anni, il suo nome era Capitano Danniker 255 – era il commissario nazista a Parigi per gli affari ebraici – andò a parlare con Rabbi Julien Weill, il Grande Rabbino di Parigi 256 . Danniker diede un ordine: ‘Rabbi, esigo che tu costituisca un Consiglio Ebraico di sette uomini, ebrei francesi e stranieri, per collaborare con i tedeschi.’ Noi non collaborammo. Sabotammo il progetto in tutti i modi. Tutti noi con il Rabbino Weill eravamo pronti a pagare, con le nostre teste e le nostre vite, e molti di noi lo fecero. Creammo il nostro movimento clandestino e riunimmo tutte le organizzazioni politiche e religiose ebraiche. Cominciammo a portare di nascosto gli ebrei verso la zona libera nella Francia non occupata. Ma sfortunatamente molti furono catturati dai gendarmi francesi di Vichy. Ovunque i nazisti catturavano uno di noi, c’erano terribili rappresaglie. Il Rabbino Weill fu gettato in prigione. Non so se è sopravvissuto alla tortura. 22 agosto, 1941. Non dimenticherò mai quel giorno. I nazisti presero 6500 ebrei – bambini, uomini, donne che stavano nutrendo i loro bambini – e li buttarono nel terribile campo di concentramento di Drancy, vicino a Parigi 257 . Poi li portarono in Polonia. C’erano alcuni bravi francesi, come i gruppi gollisti che aiutarono gli ebrei a fuggire in Spagna e in Svizzera e didero loro falsi documenti e soldi. Ma molti francesi…uh. Non posso più guardare le persone francesi. Costruirono il campo di concentramento di Gurs dove molte migliaia di ebrei furono internati. (…). Clandestinamente cercammo di tirarne fuori da Gurs centinaia. Ne portammo fuori una manciata. Poi arrivò il peggio. Tutta la Francia fu occupata dai tedeschi. Cominciarono gli omicidi di massa. Negli autocarri chiusi, costruiti per portare venti persone, i tedeschi ne pressarono cento e più. Era stata messa della calce viva sul pavimento, dieci pollici di altezza. Le porte furono chiuse ermeticamente in modo che l’aria non potesse uscire. Le persone dovevano urinare – ciò cominciò a riscaldare la calce. I gas e i fumi salirono e li portarono alla morte. I corpi furono gettati in forni speciali e bruciati. I nazisti dicevano tutto il tempo, ‘Uccidi i russi con le pallottole. Uccidi gli ebrei con la calce.’” 258 È interessante notare che Jan Karski, nel suo resoconto redatto dopo essere riuscito ad entrare nel campo di Izbika Lubelska (v. nota 20), descrisse una scena praticamente identica e si soffermò su quelle che potevano essere le motivazioni e le conseguenza di una tale scelta da parte dei nazisti: “Il fondo dei vagoni era ricoperto da uno spesso strato di polvere bianca. Si trattava di calce viva. La calce viva non è altro che ossido di calcio disidratato. Chiunque abbia visto preparare il cemento sa bene che cosa accade quando si versa l’acqua sulla calce. Il miscuglio comincia a ribollire e a esalare vapori per via della reazione con l’acqua, sprigionando un notevole calore. Nell’economia della brutalità tedesca la calce viva svolgeva un duplice scopo. La pelle sudata entrando in contatto con la calce si disidrata e si ricopre di ustioni cutanee. Coloro che si fossero trovati a contatto del pavimento del vagone sarebbero bruciati vivi lentamente, a mano a mano che si essiccavano i tessuti. Gli altri occupanti del carro non avrebbero fatto una fine migliore perché la calce durante il viaggio avrebbe assorbito tutta l’umidità dell’aria, facendo crollare la percentuale di ossigeno, così da asfissiarli in modo graduale. E venendo a contatto con gli escrementi avrebbe sprigionato sostanze 255 Si tratta dell’SS-Hauptsturmführer Theodor Dannecker, a Parigi dal settembre 1940 fino al luglio 1942, in qualità di leader della Judenreferat (unità ebrei) presso l’ufficio della SD (Sicherheitsdienst, servizio di sicurezza); diresse il servizio di controspionaggio nazista e divenne capo della IV sezione J della Gestapo, incaricata della “questione ebraica”. 256 Julien Weill, Grand Rabbin di Parigi dal 1933, fu uno dei protagonisti del movimento di resistenza in Francia. Morì, all’età di 77 anni, il 27 aprile del 1950. Si veda http://judaisme.sdv.fr/histoire/rabbins/julienw.htm e http://fr.wikipedia.org/wiki/Julien_Weill. 257 Abe Furmanski fa riferimento alle retate, condotte dalla polizia francese in collaborazione con i tedeschi, che ebbero luogo a Parigi dal 20 al 24 agosto 1941. Il primo giorno la reatta riguardò l’11° arrondissement, il 21 le operazioni furono estese al 10°, 18°, 19° e 20° arrondissements. Il 22 agosto si aggiunsero il 3°, il 4° e il 12° e il 23, il 1°, il 5°, il 6°, il 9°, il 13° e il 17°. Le retate si conclusero il 24 agosto. Si trattò esclusivamente di uomini ebrei, francesi e stranieri, tra i 18 e i 50 anni. In totale furono arrestate 4.232 persone (sulle 5.784 presenti sulle liste) ch furono portate al campo di Drancy. 258 Gruber, R., cit., pp. 70-72. velenose come il cloro. (…). Inoltre la calce viva avrebbe bloccato la diffusione di malattie infettive causate dai cadaveri in decomposizione.” 259 Purtroppo Furmanski, almeno nella testimonianza riportata da Ruth Gruber, non spiega come è venuto a conoscenza dell’uso della calce viva nei treni utilizzati in Francia per le deportazioni. È probabile che, facendo parte del movimento clandestino avesse accesso a molte informazioni relative alle retate e alle deportazioni. Di calce viva parla anche Charles Liblau, deportato da Drancy ad Auschwitz, nel suo libro I Kapo di Auschwitz 260 . 5.2.2 Samuel Silberman, 32 anni, pellicciaio a Tarnow, in Polonia. Nel 1928 Samuel, la moglie Breindel e i loro due figli si erano trasferiti a Bruxelles, ma nel 1940, dopo l’occupazione del Belgio da parte dei tedeschi, cominciarono a nascondersi e a fuggire. “Pensavamo che la Francia sarebbe stata sicura. Noi lasciammo tutto quello che avevamo e prendemmo solo le poche cose che potevamo portare facilmente. Perdemmo anche quelle alla stazione ferrovia. Con centinaia di persone raggiungemmo Boulogne sulla costa francese e ci nascondemmo in uno scantinato. Per tre giorni rimanemmo senza cibo e acqua. I soldati belgi che scapparono dai nazisti con noi ci portarono del vino per sostenerci. Quella fu l’unica cosa che i nostri bambini ebbero – vino. Il quarto giorno, anche Boulogne cadde. Guardavo fuori dalo scantinato. Gli ufficiali tedeschi stavano in piedi nei carri armati e guardavano intorno in ogni angolo della strada con i binocoli. I soldati stavano in piedi nelle macchine dell’esercito puntando le mitragliatrici. Fummo così ingenui. I tedeschi sembravano così gentili. Dissero a noi e ai soldati belgi, ‘Andate a casa. Il Belgio è libero’. Noi pensammo – immaginate quanto eravamo stupidi – che i tedeschi avessero raggiunto tali vittorie che avrebbero dimenticato gli ebrei. Tornammo a Bruxelles per scoprire che i tedeschi avevano già emanato delle leggi speciali contro gli ebrei. Poi nel giugno del 1942 arrivò l’ordine: tutti i ragazzi e le ragazze tra i 15 e i 20 anni dovevano andare a Mechlin a lavorare. Gli dissero di prendere vestiti da lavoro, cibo per dieci giorni, piatti. Furono avvertiti che se non fossero andati, tutti gli ebrei sarebbero stati considerati responsabili. “Pensammo che quei ragazzi stessero andando a lavorare” - disse Breindel, la moglie di Samuel. Ma era una bugia. Mechlin era il posto in cui radunavano le persone per poi spingerle sui carri bestiame e mandarle in Polonia. Ogni giorno alla stazione, un migliaio di meravigliosi ragazzi e ragazze arrivavano, portando i sacchi da montagna, e ogni giorno cinquemila adulti arrivavano con loro, genitori, parenti, piangendo alla partenza dei loro figli”. Samuel continuò il racconto: “Dopo che i giovani furono partiti (loro erano i giovani uomini e le giovani donne che avrebbero potuto combattere contro i tedesch), i tedeschi cominciarono a portar via gli anziani. Bloccavano le strade e prendevano tutti gli ebrei che trovavano. Gli ebrei cominciarono a nascondersi di giorno, così i tedeschi lavoravano di notte. Entravano in ogni casa. La prima notte presero più di tremila ebrei. Molti di noi si unirono alla Brigada Bianca per fare lavori clandestini. Eravamo molto attivi; entravamo negli uffici e bruciavamo documenti con le liste dei nomi degli ebrei. Sabotavamo i treni che portavano materiale grezzo dal Belgio alla Germania; assassinavamo i collaborazionisti belgi; facemmo anche dei raid negli uffici che stampavano i biglietti per il pasto. Ogni mese ottenevamo duecentomila biglietti per il cibo. Noi li distribuivamo clandestinamente al movimento di resistenza, agli ebrei. Per quanto riguarda i bambini, li nascondemmo in un monastero belga. Molti degli ebrei nascosero i loro figli dai monaci, dalle suore e dai contadini. Il 95% delle persone belghe erano molto buone nei confronti degli ebrei. Ma poi divenne dura per i belgi. La Gestapo irrompeva nelle loro case alla ricerca di ebrei. Ogni giorno articoli su un giornale antisemita, L’ami du Peuple, dicevano: ‘Non ditemi dove vive un ebreo, ditemi soltanto il suo numero di telefono; lo prenderemo e tu sarai ricompensato’. Diventò 259 Karski, Jan, cit., pp. 437-438. Si veda http://www.assemblea.emr.it/cittadinanza/attivita-e-servizi/formazione-pdc/viaggio-visivo/i-campi-diauschwitz/l2019arrivo-dei-convogli/la-deportazione-degli-ebrei-francesi/approfondimenti/parigi-drancy-e-auschwitz. Scrive Liblau: “Dopo cinque giorni a Drancy, la maggioranza degli internati furono avviati – per lavorare, così ci veniva detto – verso una località sconosciuta, situata da qualche parte all’Est e che chiamavamo con macabro senso dell’umorismo Pitchi Poi. Per il viaggio, che durò alcuni giorni, ci sistemarono in carri bestiame piombati, ammassati a centinaia. C’erano donne, bambini e vecchi, ma mancavamo d’acqua e di latrine. Il pavimento dei vagoni era ricoperto di calce viva che, se entrava in contatto con un liquido, sprigionava delle emanazioni tossiche. Quando arrivammo a destinazione, nella località di Birkenau, vicino al confine con la Slesia polacca, eravamo semiasfissiati”. Liblau, Charles, I Kapo di Auschwitz, Einaudi, Torino, 2007, pp. 7-10. 260 impossibile rimanere. Decidemmo di tentare la fuga. Ma i bambini erano troppo piccoli per correre con noi. Non sarebbero mai sopravvissuti. Dovevamo prendere la decisone più terribile della nostra vita. Dovemmo lasciare i nostri figli – nel monastero belga. Li ritroveremo ancora?” 261 261 Gruber, R., cit., pp. 74-76.