Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo rivisto
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Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo rivisto
Le iscrizioni poetiche relative a Erode Attico: testo rivisto, traduzione e commento Inaugural-Dissertation Zur Erlangung der Doktorwürde der Philologischen Fakultät der Albert-Ludwigs-Universität Freiburg i. Br. vorgelegt von Andrea Toma aus Copertino (Lecce), Italien SS 2008 Erstgutachter: Prof. Dr. Bernhard Zimmermann Zweitgutachter: Prof. Dr. Onofrio Vox Vorsitzende des Promotionsausschusses Der Gemeinsamen Kommission der Philologischen, Philosophischen und Wirtschaftsund Verhaltenswissenschaftlichen Fakultät: Prof. Dr. Elisabeth Cheauré 24.11.2008 Introduzione Il presente lavoro è dedicato all’analisi filologica dei testi poetici collegati alla figura di Erode Attico, il maggiore rappresentante di quel movimento culturale fiorito nel II sec. d. C., noto con il nome di Seconda Sofistica secondo la definizione di Philostr. V. S. 1, 481. Si tratta di un periodo in cui filosofi e retori ricoprivano le principali cariche dell’Impero romano, esercitavano la loro munificenza a beneficio delle loro comunità e dominavano il campo intellettuale servendosi come mezzo di comunicazione della prosa, caratterizzata dall’uso esperto e disinvolto della parola1. Per questa ragione, sottolinea Bowie 1989a, 209, «the role of poetry and poets in the Greek society of the Second Sophistic is easy to underestimate». Questo però non significa che essi disprezzarono la poesia perché sotto i loro nomi sono stati tramandati componimenti appartenenti a generi diversi, quale quello epico, tragico, lirico ed epigrammatico2. È proprio quest’ultimo il genere più frequentato dai sofisti. Ne restano tracce sulle stele, le quali testimoniano vari livelli di cultura e abilità versificatoria. Bowie 1990, 53, spiega i motivi per cui l’epigramma rimase il genere più popolare: «any well-read person (pepaideumenos) knew hexameter and elegiac models that could suggest words and ideas, and did not need to be a professional poet to write metrically for a few lines. Moreover epigrams were short enough to risk on a readership of friends, or on a convivial gathering, and continued to have a function in public life - particularly epitaphs, but also dedicatory, honorific, and commemorative inscriptions». Il commento delle iscrizioni poetiche relative al neosofista Erode Attico ne vuole ricostruire la figura dal punto di vista letterario e si distingue per questo dalla maggior parte dei lavori precedenti che hanno un carattere prevalentemente 1 Gli studi sulla Seconda Sofistica hanno iniziato a guadagnare maggiore interesse a partire dai contributi di BOWERSOCK 1969 e 1974, il quale sottolinea l’importanza sociale svolta dai sofisti quali mediatori tra le province e la capitale dell’Impero. Ved. GERTH 1956, BOWIE 1970, KENNEDEY 1974, BASILEIOS 1981, BOWIE 1982, ANDERSON 1989, SIRAGO 1989, ANDERSON 1990, ANDERSON 1993, NICOSIA 1994, GLEASON 1995, SCHMITZ 1997, KORENJAK 2000, BOWIE 2003, BORG 2004, ESHLEMAN 2005, WHITMARSH 2005. 2 Sulla produzione letteraria e poetica del II sec. d. C. ved. NORTH 1952, DEN BOER 1955, VAN GRONINGEN 1965, KINDSTRAND 1973, STANTON 1973, STEINMETZ 1982, BOWIE 1989a , 1989b, CIZEK 1989, STEINMETZ 1989, BOWIE 1990, RUSSELL 1990, BOWIE 1991, SWAIN 1996, RUTHERFORD 1998, WHITMARSH 2001, BOWIE 2002, WHITMARSH 2004. 1 storico e archeologico. Gli storici hanno mirato a chiarire aspetti quali il rapporto di patronato tra Erode e i cittadini delle città da lui beneficate mentre gli archeologi hanno concentrato l’attenzione sugli edifici che Erode Attico aveva fatto edificare o ristrutturare, con lo scopo di individuarne uno stile distintivo. Questi studi hanno preso in esame i testi poetici con l’obiettivo di ricostruire in modo quanto più completo possibile la figura del neosofista, combinando le informazioni epigrafiche con quelle che si possono dedurre dalla ricca documentazione letteraria offerta da Flavio Filostrato, Luciano, Pausania, Frontone e Aulo Gellio. L’interesse per Erode Attico da parte degli studiosi nasce dal fatto che egli sembra incarnare appieno la figura del nuovo sofista: intellettuale di successo e abile conferenziere, inserito interamente nella vita amministrativa e sociale dell’Impero, capace di accumulare ingenti patrimoni, promotore di numerose costruzioni (circa venticinque) in città dell’Italia, Grecia, Epiro e Turchia. Erode Attico è uno dei pochi personaggi dell’antichità sul quale siano state tramandate molte notizie: oltre centocinquanta iscrizioni citano il suo nome per le cariche da lui ricoperte o per la datazione di avvenimenti. Altre iscrizioni invece ricordano le sue opere evergetiche oppure hanno come tema vicende che riguardano la vita privata del neosofista. Esse provengono dalle aree geografiche in cui egli aveva dei possedimenti: Maratona, Cefisia, Corinto e Roma. La sua presenza in queste aree è ricordata da testimonianze antiche e confermata da ritrovamenti archeologici. Di queste iscrizioni quattordici sono componimenti poetici in esametri o distici elegiaci di varia lunghezza, da un minimo di due versi a un massimo di cinquantanove. Poiché si tratta di testi poetici incisi su monumenti o basi di statue di familiari di Erode, in questo lavoro il termine epigramma verrà impiegato nel suo significato originario di testo scritto su pietra e non nell’accezione comune di breve componimento letterario, in quanto i testi possono essere assegnati per le loro caratteristiche a generi diversi da quello dell’epigramma, quale l’inno e l’encomio. Poiché questi epigrammi sono incisi su elementi strutturali di edifici, ne consegue che il messaggio di ogni componimento si coglie appieno solo se 2 inserito nel complesso architettonico di appartenenza. Cito solo un esempio, quello delle tre iscrizioni presenti sulla Porta della Concordia immortale a Maratona. La sola lettura di IG III 403 = IG II2 5189 ρ δου µονο ας θαν τ[ου] π λη χ ρος ε ς ν ε σ ρχε[ι], l’unica a essere stata scoperta nel 1792, aveva convinto Graindor 1914, 75, a interpretare questo monumento come testimonianza della riconciliazione avvenuta tra Erode e la città di Atene dopo le vicende giudiziarie di Sirmio e a leggere nella Concordia dell’iscrizione la personificazione di questo nuovo clima cittadino. La scoperta nel 1926 dell’iscrizione IG II2 5189a µονο ας θαν τ[ου] π λη !ηγ λλης χ ρος ε ς ν ε σ ρχει, posta sullo stipite opposto, ha permesso di pervenire alla giusta interpretazione del complesso architettonico e delle sue iscrizioni. La Porta della Concordia immortale è infatti il simbolo della felice unione matrimoniale tra Erode e Regilla, alla quale egli dona un appezzamento di terreno a Maratona in occasione del loro matrimonio, mentre la Concordia che compare nelle due iscrizione è la divinità che protegge la relazione matrimoniale. La sua citazione conferisce a questa zona tra Vrana e Maratona un significato quasi sacrale. Erode mutua l’idea di una città caratterizzata «dalla progressiva sacralizzazione degli spazi» (Calandra 2006, 279) dall’imperatore Adriano, la cui imitatio è un punto costante nella sua vita e attività evergetica ad Atene. A questo processo di sacralizzazione degli spazi appartiene anche il desiderio di perpetuare la memoria dei cari. Per questo motivo Erode, dopo la morte della moglie (160-161 d. C.), fa incidere sul pilastro destro della porta un epigramma funebre (SEG 21, 123 = 99 Ameling) in cui è espresso il suo grande dolore per la perdita della consorte e la sua immagine pubblica di uomo felice viene messa a confronto con quella privata di marito afflitto per la morte di Regilla. In questo modo, l’arco, con le sue tre iscrizioni, sembra rinviare a una zona necropolare o quanto meno memoriale. Per quanto riguarda l’identità dell’autore degli epigrammi, mancano elementi decisivi che permettano di attribuire questi testi con certezza alla mano di Erode Attico stesso. Alcuni epigrammi sono stati composti da poeti su commissione di Erode Attico: ne sono un esempio i due poemetti provenienti dal possedimento romano di Erode sulla via Appia (IG XIV 1389 A, B = 146 Ameling A, B). Qui l’identità dell’autore è garantita dal genitivo del suo nome 3 posto prima dell’inizio del primo componimento. In ogni caso queste iscrizioni poetiche sono degne di interesse perché si fanno portavoce degli interessi diretti di Erode Attico, visto o come l’autore oppure come il committente attento a ogni dettaglio e offrono la possibilità di studiare il modo in cui Erode si servì della cultura classica e della tradizione mitologica e letteraria per conferire alla sua persona una veste letteraria e definire la sua identità greca nell’ambito del mondo romano. Il mito, p. es., offre ad Erode i presupposti necessari per rivendicare una discendenza mitica e divina pari a quella che ogni Romano poteva ascrivere a sé; cfr. IG XIV 1389 A, 30-3 = 146 A, 30-3 Ameling. Per un greco come Erode Attico che aspirava a svolgere una funzione importante anche a Roma, nella κοιν$ πατρ ς di tutti gli abitanti dell’Impero romano, era importante non risultare inferiore per fama e nobile discendenza alla classe senatoria romana. Tutti i componimenti nascono da un’occasione reale quale la dedica di una statua di Regilla, la morte di un familiare, un avvenimento politico o il ringraziamento per la guarigione da una malattia. Quasi tutti hanno in comune il tema dell’amore e/o del dolore di Erode Attico per la morte della consorte Regilla, dei figli naturali e adottivi. Queste vicende vengono trasferite nella sfera del mito attraverso un lessico poetico ricercato, peraltro determinato da precise necessità metriche. Ricorrenti sono i riecheggiamenti classici, soprattutto omerici, la ripresa di termini adoperati dalla poesia ellenistica, in particolare da Callimaco, i riferimenti a situazioni e a personaggi mitici; cosicché il lutto per Regilla viene esemplificato con l’immagine della casa completata a metà di Laodamia, vedova di Protesilao (SEG 21, 123 = 99 Ameling), il dolore per la morte di un figlio nei primi mesi di vita che lo porta al taglio dei capelli in segno di lutto ricorda l’analogo gesto compiuto da Achille per la morte dell’amato Patroclo (SEG 26, 290 = 140 Ameling). Un poemetto frammentario sottolinea il legame di amicizia di Erode con l’imperatore Lucio Vero (Peek 1942, 330 = 186 Ameling) mentre un altro (IG II2 3606, 1-5 = 190 Ameling 1, 5) saluta il ritorno ad Atene di Erode e la sua riconciliazione con gli abitanti della città che in un corteo sontuoso gli danno il benvenuto secondo un cerimoniale riservato agli imperatori. Infine un tema ricorrente degli epigrammi collegati alla figura di Erode Attico è quello 4 dell’origine della sua famiglia da Maratona, demo ateniese che nel 490 a. C. vide la vittoria contro il nemico persiano della Grecia unita sotto il comando di Milziade che egli annovera tra i suoi antenati. L’allusione a noti avvenimenti mitici testimonia la volontà di Erode da una parte di assimilare le proprie vicende a quelle del passato mitico, dall’altra di rivolgersi a un pubblico selezionato, dotto, in grado pertanto di cogliere tale assimilazione, che lo inserisce nel solco della tradizione poetica della sua patria. *** Qui di seguito, dopo l’elenco delle abbreviazioni usate, presento la biografia di Erode Attico, la quale mira a ricostruire soprattutto gli avvenimenti storici relativi alla stesura degli epigrammi. Segue il commento filologico dei testi poetici. Il loro censimento è stato condotto sul catalogo curato da W. Ameling, Herodes Atticus: II. Inschriftenkatalog, Hildesheim 1983, di cui ho riprodotto il testo, apportando delle modifiche in alcuni punti, là dove l’analisi le rendeva necessarie, e ho offerto una traduzione in lingua italiana, discutendo nel commento letture e integrazioni significative proposte da altri studiosi. I testi sono presentati in ordine cronologico. Questo permette di ricollegare ogni componimento agli eventi storici che ne hanno determinato la stesura, di comprendere il clima generale di cui esso si fa portavoce e di stabilire possibili collegamenti tra i diversi componimenti analizzati. Letti sotto questa luce, gli epigrammi sembrano delineare una biografia poetica di Erode Attico, perché documentano gli episodi salienti che ne hanno caratterizzato la vita, come se Erode Attico stesso in questo modo avesse voluto lasciare ai posteri una versione ufficiale della sua esistenza dominata dai lutti familiari e dalle vicende giudiziarie. Chiude il lavoro una bibliografia degli studi dedicati fino ad ora alla discussione delle epigrafi commentate. 5 Elenco delle Abbreviazioni Per la citazione dei testi greci ho usato le abbreviazioni convenzionali registrate dal LSJ. Faccio riferimento ai testi latini mediante le sigle in uso nel TLL e ai testi epigrafici mediante quelle riportate da Horsley-Lee 1994. Nel corpo dell’opera mi sono avvalso anche delle seguenti abbreviazioni: DNP = Der Neue Pauly. Enzyklopädie der Antike, Stuttgart 1996-2005. Et. M. = Etymologicum Magnum, seu verius Lexicon saepissime vocabulorum origines indagans: ex pluribus lexicis scholiastis et grammaticis anonymi cuiusdam opera concinnatum, ad codd. mss. recensuit et notis variorum instruxit G. Thomas, Oxford 1848. FGrHist = F. Jacoby et al., Die Fragmente der griechischen Historiker, Berlin 1923-. LfgrE = B. Snell et al., Lexikon des frühgriechischen Epos, Göttingen 1955-. LIMC = Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Zürich 1981-. LSJ = H. G. Liddell, R. Scott, H. S. Jones, A Greek-English Lexicon, Oxford 1996. OCD3 = S. Hornblower and A. Spawforth, The Oxford Classical Dictionary, Oxford 19963. OLD = P. G. W. Glare, Oxford Latin Dictionary, Oxford 1982. RE = G. Wissowa et al., Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Stuttgart - München 1893-1980. Roscher = W. H. Roscher, Lexikon der griechischen und römischen Mythologie, IVII, Leipzig 1884-1937. SH = H. Lloyd-Jones / P. Parson, Supplementum Hellenisticum, Berlin - NewYork 1983. 6 TLG = Thesaurus graecae linguae, ab H. Stephano constructus. Tertio ediderunt C. B. Hase, L. De Sinner et Th. Fix, Parisiis 1831-65. TLL = Thesaurus linguae latinae, editus iussu et auctoritate Consilii ab Academiis Societatibusque diversarum nationum electi, Lipsiae 1904. 7 Biografia di Erode Attico Ricca è la documentazione letteraria che permette di ricostruire la vita di Erode Attico. La fonte principale, da cui partono tutti gli studi dedicati al neosofista, è l’opera di Flavio Filostrato Vitae Sophistarum. Filostrato offre la prima biografia di Erode Attico all’interno di un’opera dedicata alle vite dei principali retori dall’età classica fino al 220 d. C. La biografia di Erode è posta all’inizio del secondo libro delle Vitae ed è la più estesa. La sua centralità non si spiega solo alla luce dell’importanza politica e culturale di Erode, ma anche, come sostiene Civiletti 2002, 30, in virtù del suo legame con il dedicatario dell’opera, il console Gordiano, discendente di Erode. A questa spiegazione di ordine strutturale se ne deve aggiungere anche una di natura ideologica e cioè che Erode Attico era un personaggio che riuniva in sé impegno pubblico, attività politica e professione retorica. Egli era inoltre un grande amico degli imperatori Adriano, Antonino Pio, Lucio Vero e Marco Aurelio e rappresentava un sicuro punto di riferimento per Atene che egli aveva abbellito nel corso degli anni. «Si può allora comprendere come Erode rappresenti, nell’ottica di Filostrato, il personaggio non solo più degnamente adatto al confronto con una personalità di alto rango come Gordiano, ma anche quello che meglio e più grandiosamente esprime il ruolo politico e culturale dei sofisti, che della magnificenza e della preminenza sociale ed intellettuale fecero i tratti peculiari della loro orgogliosa personalità» (Civiletti 2002, 31). Evidente è nella biografia di Filostrato il tentativo di presentare gli avvenimenti più oscuri della vita di Erode sotto un’ottica positiva e di tacere quelli che di più avrebbero nuociuto a questo intento. Un’altra fonte letteraria antica è Aulo Gellio, il quale intorno al 140 d. C., aveva studiato ad Atene ed era stato spesso ospite di Erode Attico nella villa a Cefisia. Nella sua opera Noctes Atticae Gellio narra diversi avvenimenti accaduti mentre egli era in compagnia del retore. Altre informazioni sulla vita di Erode Attico vengono offerte da Frontone nelle sue epistole indirizzate a Marco Aurelio, le quali aiutano a fare luce sul periodo romano del neosofista. Erode Attico compare anche nei due dialoghi lucianei Peregrinus e Demonax; in quest’ultimo egli viene deriso per le manifestazioni eccessive di dolore per la morte della 8 moglie Regilla e del figlio adottivo Polluce. Ulteriori informazioni relative soprattutto agli edifici fatti costruire da Erode provengono da Pausania, il quale, benché sia un contemporaneo di Erode, non offre dei racconti molto dettagliati. *** Lucio Vibullio Ipparco Tiberio Claudio Attico Erode (cfr. SIG3 863, n. 1 = 76 Ameling e IG II2 3603 = 89 Ameling) nacque a Maratona tra il 101 e il 103 d. C3. In molte iscrizioni egli viene semplicemente indicato con il nome di Erode Attico, accompagnato dall’aggettivo Μαραθ νιος; cfr. IG II2 1088, 2090, 3191, 3594/5, 3600, 3603, 3733, 4072, 4780, 6791, 12568, 12569, SEG 21, 745, IOlympia 611, 622. Egli era figlio di Tiberio Claudio Attico Erode, che Filostrato chiama semplicemente con il nome di Attico. Questi aveva scoperto un tesoro nella propria casa presso il teatro di Dioniso, ai piedi dell’acropoli di Atene. L’imperatore Nerva, cui Attico aveva inviato una lettera per informarlo del ritrovamento e per chiedere come avrebbe dovuto comportarsi di fronte a quella somma di denaro, lo esortò a farne uso senza moderazione4. Attico sposò poco dopo questa fortunata vicenda Vibullia Alcia, appartenente alla famiglia dei Vibulli, forse imparentata con il senatore repubblicano L. Vibullio Rufo. Vibullia Alcia possedeva ingenti ricchezze, che accrebbero la fortuna del figlio Erode, ed aveva inoltre rapporti con le città di Sparta e Corinto. Quest’ultima era abitata dalla famiglia dei Vibulli sin dall’età di Augusto; ved. Tobin 1997, 18, n. 24. 3 A favore del 103 si pronuncia AMELING 1983, II, 2, n. 13. Cfr. Philostr. V. S. 2, 547, 27-548, 5 Αττικ'ν δ( τ'ν µ(ν )κε νου πα*δα, ρ δου δ( πατ ρα ο, περιε*δεν - Τ χη π νητα )κ πλουσ ου γεν/µενον, λλ0 ν δειξεν α,τ2 θησαυρο3 χρ4µα µ θητον )ν µι5 τ ν ο κι ν, 6ς πρ'ς τ2 θε τρ7 )κ κτητο, ο8 δι9 µ γεθος ε,λαβ$ς µ;λλον < περιχαρ$ς γεν/µενος =γραψε πρ'ς τ'ν α,τοκρ τορα )πιστολ$ν ?δε ξυγκειµ νην· "θησαυρ/ν, B βασιλε3, )πC τ4ς )µαυτο3 ο κ ας εDρηκα· τ οEν περC α,το3 κελε εις;" καC α,τοκρ τωρ, Νερο ας δ( Iρχε τ/τε, "χρ " =φη "οKς εDρηκας." Secondo VISCONTI 1794, 2, il tesoro era stato depositato da un ricco romano all’interno di una fessura sul pendio dell’acropoli di Atene durante le guerre civili o le proscrizioni che accompagnarono gli ultimi anni della Repubblica, mentre per LANCIANI 1895, 289, il tesoro era stato nascosto da Serse, dopo la sconfitta della sua flotta nelle acque di Salamina, nella speranza di un secondo ritorno di maggiore successo. MÜNSCHER 1912, 923, è invece dell’avviso che il denaro ritrovato da Attico appartenesse già a suo padre Ipparco, il quale lo avrebbe nascosto al tempo della confisca dei suoi beni da parte dell’imperatore Domiziano. Attico si sarebbe quindi limitato a riportare alla luce un tesoro nascosto non appena un nuovo imperatore salì sul trono di Roma; ved. CIVILETTI 2002, 505-6, n. 13. 4 9 Nell’educazione di Erode il padre Attico svolse un ruolo fondamentale, perché fornì al figlio tutti i presupposti necessari per la sua futura carriera politica: soldi, istruzione ma anche privilegiata posizione politica, poiché Attico aveva ricevuto sotto Nerva o nei primi anni di regno di Traiano gli ornamenta praetoria da parte del Senato su incarico dell’imperatore. In questo modo gli si aprirono le porte al Senato romano; ved. Ameling 1983, II, nrr. 34-6. Erode Attico trascorse la sua prima infanzia a Roma insieme al padre Attico che nel 108 d. C. ricoprì la carica di console suffetto, una delle più importanti dell’Impero romano. Erode non giunse a Roma come semplice greco ma come membro della più alta classe dirigente. «Diese Monate werden ihn daran gewöhnt haben, auch in Rom, dem Senat und dem Kaiser nichts Außergewöhnliches zu erblicken, sondern Teile seines täglichen Lebens» (Ameling 1983, I, 36-7). Egli soggiornò nella casa di P. Calvinio Tullo Ruso, nonno del futuro imperatore Marco Aurelio. Qui ricevette un’accurata educazione perchè Ruso, filellenico, aveva fatto istruire i suoi figli in modo tale che la loro educazione iniziasse con l’apprendimento della lingua greca5. Questo soggiorno permise a Erode di apprendere il latino, cosa che era alquanto insolita per i Greci illustri e colti del tempo, che comprendevano poco la lingua latina, mentre era sempre più comune che gli esponenti della classe dirigente romana parlassero il greco. Il padre Attico era ben cosciente del fatto che non conoscere la lingua latina sarebbe stata una gravissima mancanza per chiunque aspirasse a voler entrare a far parte dell’Ordo senatorius e che scegliere ottimi maestri per l’educazione del figlio sarebbe stato in ogni caso lo strumento migliore per assicurargli una preparazione culturale adeguata ai futuri incarichi politici. Tra il 116 e il 120 d. C. deve essere datato un soggiorno del giovane Erode nella città di Sparta, dove egli trascorse il periodo della sua efebia, poiché un’iscrizione proveniente da Corinto (IG V 1, 45 = 70 Ameling), contenente il cursus di un certo Corinta, presenta Erode a capo di un gruppo di efebi. 5 Sull’educazione di Erode ved. PAPALAS 1981. 10 Al suo rientro nella citta di Atene Erode Attico venne iniziato ai culti misterici6 e ricevette la sua formale educazione, compiendo i primi studi di grammatica sotto la guida di Teagene di Cnido e Munazio di Trallo, e quelli filosofici con il maestro L. Calveno Tauro di Berito, che gli insegnò la filosofia di Platone7. Sin da giovane Erode rivelò la sua propensione per la retorica ed ebbe come insegnanti i migliori retori del tempo. Il primo fu l’ateniese Secondo, figlio di un carpentiere. Philostr. V. S. 2, 544, 26, riferisce che Erode si servì di un verso esiodeo (Op. 25), modificato scherzosamente nella parte finale (καC κεραµεMς κεραµε* κοτ ει καC NOτορι τ κτων) per offendere l’umile origine di Secondo durante una lite per un interrogativo di retorica. In ogni caso alla morte di Secondo Erode tenne in suo onore l’orazione funebre in lacrime e fece porre nell’agora di Atene una statua in ricordo del suo primo maestro di retorica8. Nel 118 d. C. fu inviata dalla città di Atene una delegazione al nuovo imperatore Adriano, allora accampato in Pannonia, per rivolgergli un discorso di saluto. Per i cittadini più in vista di una città questi discorsi rappresentavano una delle poche occasioni reali in cui poter compiere qualcosa di eccezionale. Questi cittadini erano anche gli unici a essere veramente interessati a simili incarichi, poiché, come sottolinea Ameling 1983, I, 42, «Gruß- und Gratulationsadressen waren ein Officium publicum und kosteten Geld». Quando Adriano salì al trono, gli Ateniesi, probabilmente su consiglio di Attico, inviarono all’imperatore il 6 Nel II sec. d. C. quasi tutti gli Ateniesi erano iniziati ai culti misterici; cfr. Philostr. V. A. 4, 17, 1-3 Τοια3τα µ(ν τ9 )πC τ4ς νε ς, )ς δ( τ'ν Πειραι; )σπλε σας περC µυστηρ ων Qραν, Rτε Sθηνα*οι πολυανθρωπ/τατα TλλOνων πρ ττουσιν. Luc. Demon. 11, racconta che gli Ateniesi avrebbero rimproverato Demonatte per essere l’unico in città a non essere iniziato ai culti misterici. 7 Cfr. Philostr. V. S. 2, 564, 5-11, Uς µ(ν δ$ Πολ µωνα καC Φαβωρ*νον καC Σκοπελιαν'ν )ν διδασκ λοις Xαυτο3 Iγε καC Uς Σεκο νδ7 τ2 Sθηνα 7 )φο τησεν, ε ρηµ νον µοι Yδη, τοMς δ( κριτικοMς τ ν λ/γων Θεαγ νει τε τ2 Κνιδ 7 καC Μουνατ 7 τ2 )κ Τραλλ ων συνεγ νετο καC Τα ρ7 τ2 Τυρ 7 )πC τα*ς Πλ τωνος δ/ξαις. 8 Cfr. Philostr. V. S. 1, 544, 17-8 λλ0 ποθαν/ντι καC λ/γον )πεφθ γξατο καC δ κρυα )π δωκε κα τοι γηραι2 τελευτOσαντι. ANDERSON 1986, 26 e CIVILETTI 2002, 503, n. 5, sostengono che tale notizia doveva avere la funzione di riabilitare la figura di Erode Attico, il quale, schernendo il maestro per la sua umile origine, non si era di certo distinto per correttezza di comportamento. Il fatto che Erode abbia veramente onorato il maestro Secondo al momento della sua morte è documentato dall’iscrizione SEG 23, 115 = 183 Ameling, la quale presenta una dedica da parte di Erode per un καθηγητOς. Questo termine designa un insegnante privato da identificare qui con Secondo, perchè così egli viene nominato in Suda Σ 189 Adler καθηγητ$ς δ( γ γονε καC ρ δου το3 σοφιστο3. Ved. AMELING 1983, II, 175-6 e TOBIN 1997, 196. 11 giovane Erode a tenere un discorso di omaggio e di augurio. Il padre Attico era allora non solo il senatore più noto della Grecia, ma anche l’unico così ricco da potersi fare carico delle spese della delegazione. Erode, proprio quando doveva tenere il suo discorso e parlare liberamente davanti all’imperatore, interruppe l’orazione e scappò via per la forte pressione che sentiva su di sè. Filostrato aggiunge che a causa di questo fallimento egli tentò di togliersi la vita con il proposito di gettarsi nel fiume Istro9. Ma mentre gli avversari di Erode gli rinfacciarono anche negli anni successivi questo fallimento, Filostrato lo scusa alla luce di quanto di simile era avvenuto a Demostene che, da adulto, non era riuscito a pronunciare la sua orazione di fronte all’imperatore Filippo di Macedonia. Questo avvenimento non danneggiò in alcun modo la carriera di Erode. Filostrato lo sfrutta per sottolineare, a conclusione della biografia, quell’estrema emotività che costituisce uno dei tratti più caratterizzanti della figura di Erode Attico. Dopo questo episodio Erode ebbe come insegnante l’oratore Scolepiano, di cui egli ammirava l’arte dell’improvvisazione. Un’educazione così accurata, soprattutto in campo retorico, aveva fornito ad Erode Attico tutti i presupposti necessari per una carriera in patria e a Roma. Nel 125 d. C. Erode iniziò la sua attività politica rivestendo, come era consuetudine, una delle cariche più basse della carriera municipale, cioè quella di agoranomo10. Nel 126-127 d. C. egli divenne arconte eponimo e, grazie a questa carica, anche membro dell’Areopago. Nel 127 d. C. ricoprì anche il suo primo incarico ufficiale 9 Cfr. Philostr. V. S. 2, 565, 13-22 ο\ δ( προφ ροντες α,τ2 ν 7 =τι τ' λ/γου τιν'ς )ν Παιον ] )κπεσε*ν )πC το3 α,τοκρ τορος ^γνοηκ ναι µοι δοκο3σιν, Rτι καC ∆ηµοσθ νης )πC Φιλ ππου λ γων τα,τ'ν =παθεν· κ κε*νος µ(ν `κων SθOναζε τιµ9ς προσbτει καC στεφ νους πολωλυ ας Sθηνα οις Sµφιπ/λεως, ρ δης δ , )πεC το3το =παθεν, )πC τ'ν cστρον Iλθεν Uς N ψων Xαυτ'ν, τοσο3τον γ9ρ α,τ2 περι4ν το3 )ν λ/γοις βο λεσθαι dνοµαστ2 εeναι, Uς θαν του τιµ;σθαι τ' σφαλ4ναι. 10 Plut. Mor. 794, giudica quella dell’agoranomo un’attività politica senza alcun interesse. I compiti dell’agoranomo erano strettamente collegati con quelli dello stratega, probabilmente suo superiore, cui prestava assistenza nel provvedere a una sufficiente offerta di cereali e nel controllare la qualità del pane. L’approvvigionamento della popolazione con alimenti di base a prezzi bassi era un compito che spesso poteva essere adempiuto quando l’impiegato incaricato era pronto a mettere a disposizione a tal fine una cospicua somma di denaro dalle proprie tasche. Agli occhi degli Ateniesi, quindi, Erode Attico, che godeva del denaro paterno di Attico, appariva l’uomo più appropriato per portare a termine questo incarico nel modo migliore. Dopo aver espletato con successo questo compito, mediante un’epigrafe egli venne onorato come benefattore dal popolo; cfr. IG II2 3600 = 75 Ameling. 12 a Roma. La Grecia, in quanto provincia dell’Impero romano, poteva offrire al giovane Erode soltanto incarichi provinciali mentre Roma, la capitale, poteva dargli l’opportunità di rivestire cariche importanti. Attraverso la testimonianza epigrafica di SIG3 863, n. 1 è possibile ricostruire il cursus honorum di Erode: probabilmente egli fu questore nel 129 d. C., tribuno della plebe nel 131 d. C. e pretore nel 133 d. C. A questo periodo trascorso a Roma risale l’incontro con Favorino di Arelate, uno dei più importanti rappresentanti della Seconda Sofistica, il quale esercitò una notevole influenza sulla formazione di Erode, che soleva chiamarlo διδ σκαλος e πατOρ. Favorino, appartenente alla tradizione filosofica dell’accademia scettica, contribuì, dopo Tauro, alla formazione filosofica di Erode. Nel 134-135 d. C. Erode ricevette la nomina di Corrector delle città libere d’Asia con il titolo di legatus Augusti pro praetore missus ad ordinandum statum liberarum civitatum provinciae Asiae; cfr. Philostr. V. S. 2, 548. Questo incarico permise a Erode Attico di controllare giuridicamente e finanziariamente molte città della costa dell’Asia Minore, di cui a quel tempo era governatore T. Aurelio Fulvio Boionio Arrio Antonino, più tardi noto con il nome di Antonino Pio11. Erode dedicò gran parte del suo impegno a rifornire di un acquedotto adeguato la città di Alessandria di Troade, la quale si trovava in gravi difficoltà a causa di uno scarso rifornimento d’acqua. In una lettera indirizzata all’imperatore Adriano egli chiese l’investimento di tre milioni di dracme. L’intervento di Erode eccedette però la somma stanziata di oltre quattro milioni e provocò la protesta degli ufficiali delle altre città dell’Asia Minore, i quali lamentavano il fatto che tutto il tributo delle città venisse speso interamente a beneficio di un’unica città. Le lamentele giunsero fino alle orecchie dell’imperatore Adriano che si lamentò con Attico, allora a Roma, dell’atteggiamento del figlio. Il padre prese su di sé l’onere di regalare al figlio il surplus investito per rifornire la città di una fontana, di un 11 AMELING 1983, I, 53, stabilisce che il 134-135 d. C. è l’anno dell’incarico di Erode in Asia Minore sulla base della testimonianza di Philostr. V. S. 2, 554, 28-555, 9, il quale riferisce la voce, a suo avviso non degna di credito, secondo cui Erode aggredì Antonino Pio sul monte Ida al tempo in cui il primo governava le città libere d’Asia e il secondo tutte le città d’Asia. Questo incarico era stato espletato da Antonino Pio nel 134-135 d. C. 13 acquedotto e di bagni12. Durante l’espletamento di questo incarico in Asia Minore Erode riuscì a coniugare insieme gli impegni ufficiali e gli interessi culturali, frequentando il grande sofista Polemone, che egli andò ad ascoltare nella città di Smirnia. Quando il suo mandato in Asia terminò, Erode fece ritorno di nuovo ad Atene dove adempì i propri obblighi come insegnante di retorica e agonoteta delle feste Panellenie; inoltre nel 136 d. C. venne scelto dal popolo ateniese come agonoteta delle Panatenee per l’anno 140 d. C.; ved. Ameling 1983, I, 61. Tra la fine del 137 e l’inizio del 138 d. C. il padre Attico morì ed Erode ne ereditò i beni. Il testamento del padre fu però all’origine dello scontro tra Erode e gli abitanti della città poiché Attico, sollecitato dai suoi liberti, aveva espresso la volontà che ogni Ateniese ricevesse una pensione di una mina all’anno. I liberti avevano cercato in questo modo di avere l’appoggio del popolo, data l’avversione di Erode Attico nei confronti di schiavi e liberti13. La reazione di Erode dinanzi a questa volontà del padre fu inizialmente dettata dalla rabbia perché il testamento lo obbligava a elargire ogni anno circa 12.000 mine alla popolazione ateniese che tra il 138 e il 139 d. C. si aggirava intorno ai 12.000 abitanti; ved. Rutledge 1960, 101. Erode si liberò tuttavia da questo obbligo proponendo di assegnare ad ogni ateniese 5 mine in una sola donazione. Quando i cittadini si recarono a ritirare il denaro loro spettante, trovarono la disposizione che li vincolava a saldare i debiti contratti dai loro padri e nonni nei confronti dei genitori di Erode. Pertanto alcuni ricevettero ben poco denaro, altri non ebbero nulla mentre altri ancora furono trattenuti ed esortati a saldare il debito. Questo atteggiamento non solo provocò disordini nella città di Atene ma valse ad Erode anche l’accusa di tiranno, come già era accaduto al nonno Ipparco e gli fece perdere l’elezione alla carica di ρχιερεMς τ ν Σεβαστ ν, rivestita sempre da membri della famiglia di Erode Attico e ora vacante per la morte di 12 Per una discussione di questi monumenti nella città di Alessandria di Troade ved. TOBIN 1997, 327-31. 13 Cfr. Philostr., V. S. 2, 549, 12-7 εeχον µ(ν γ9ρ α\ διαθ4και, Uς εeπον, =γραψε δ( α,τ9ς ξυµβουλ ] τ ν µφ0 Xαυτ'ν πελευθ ρων, οf χαλεπ$ν ρ ντες τ$ν ρ δου φ σιν πελευθ ροις τε καC δο λοις ποστροφ$ν )ποιο3ντο το3 Sθηνα ων δOµου, Uς τ4ς δωρε;ς α,τοC αgτιοι. 14 Attico14. Gli Ateniesi elessero questa volta Tiberio Claudio Lisiade III di Melite, esponente di una famiglia avversaria di quella di Erode. Subito dopo aver assolto il suo incarico di agonoteta, Erode si trasferì a Roma tra la fine del 140 e l’inizio del 141 d. C. I motivi della partenza furono l’aspirazione al consolato, il matrimonio con una donna appartenente a un’importante famiglia romana e l’incarico di precettore di retorica greca, conferitogli dall’imperatore Antonino Pio, dei giovani Lucio Vero e Marco Aurelio; cfr. Cass. Dio 72, 35, 1. Quest’ultimo aveva iniziato intorno al 135 d. C. gli studi di retorica e li aveva continuati sotto la guida di Frontone a partire dal 138 d. C15. Questa nuova veste di precettore rappresentò per Erode un grande onore ma anche una seria responsabilità, perché l’apprendimento dell’arte retorica era per i principi una necessità alla quale non potevano sottrarsi, visto che ogni comando passava attraverso la comunicazione orale. Erode ricorse a esempi mitologici per enfatizzare l’importanza del suo ruolo, paragonando se stesso a Fenice, che aveva avuto il compito di istruire Achille; cfr. Peek 1942, 330 = 186 Ameling. A questo periodo romano risale il processo intentatogli da Tiberio Claudio Demostrato, esponente della famiglia dei Claudii di Melite il quale, recatosi a Roma, incaricò il retore latino Frontone di sostenere a suo nome l’accusa. Oggetto del processo, che ebbe luogo nel 141 d. C.16, era il testamento di Attico e il modo in cui era stato trasgredito da Erode, che con il suo atteggiamento aveva provocato 14 cfr. Philostr., V. S., 2, 249, 10-31 hπεC δ( τ ν το3 Sττικο3 διαθηκ ν )πεµνOσθην, ν γκη καC τ9ς α τ ας ναγρ ψαι, δι0 6ς προσ κρουσεν ρ δης Sθηνα οις· εeχον µ(ν γ9ρ α\ διαθ4και, Uς εeπον, =γραψε δ( α,τ9ς ξυµβουλ ] τ ν µφ0 Xαυτ'ν πελευθ ρων, οf χαλεπ$ν ρ ντες τ$ν ρ δου φ σιν πελευθ ροις τε καC δο λοις ποστροφ$ν )ποιο3ντο το3 Sθηνα ων δOµου, Uς τ4ς δωρε;ς α,τοC αgτιοι. καC πο*α µ(ν τ ν πελευθ ρων τ9 πρ'ς τ'ν ρ δην, δηλο τω κατηγορ α, iν πεπο ηται σφ ν π;ν κ ντρον ^ρµ νος τ4ς Xαυτο3 γλ ττης. ναγνωσθεισ ν δ( τ ν διαθηκ ν ξυν βησαν ο\ Sθηνα*οι πρ'ς τ'ν ρ δην π ντε µν;ς α,τ'ν )σ παξ Xκ στ7 καταβ λλοντα πρ ασθαι παρ0 α,τ ν τ' µ$ εC διδ/ναι· λλ0 )πεC προσbεσαν µ(ν τα*ς τραπ ζαις jπ(ρ τ ν Uµολογηµ νων, )πανεγιγν σκετο δ( α,το*ς ξυµβ/λαια πατ ρων τε καC π ππων Uς dφειλ/ντων το*ς ρ δου γονε3σιν ντιλογισµο*ς τε jπOγοντο καC ο\ µ(ν µικρ9 ^ριθµο3ντο, ο\ δ( ο,δ ν, ο\ δ( συνε χοντο )π0 γορ;ς Uς καC ποδ σοντες, παρ ξυνε τα3τα τοMς Sθηνα ους Uς -ρπασµ νους τ$ν δωρε9ν καC ο,κ )πα σαντο µισο3ντες, ο,δ( π/τε τ9 µ γιστα ε,εργετε*ν kετο. 15 «Fronto und Herodes als Lehrer des Prinzen zeigen die Bedeutung, die man am römischen Kaiserhof der Rhetorik beimaß» (AMELING, 1983, I, 71). 16 Per la datazione del processo ved. l’argomentazione di AMELING 1983, II, 32-33. 15 degli scontri in città e causato la morte di un uomo17. L’esito del processo è oscuro ma il fatto che non siano noti cambiamenti nella condizione patrimoniale di Erode fa ritenere che esso si sia concluso a suo favore per insufficienza di prove, con una probabile intesa con gli Ateniesi. Per questo processo Erode dovette scrivere quell’accusa contro i liberti, cui Philostr. V. S. 2, 549, 17-20 fa riferimento. Non poca influenza dovettero avere, nello svolgimento del processo, la sua ricchezza, la sua influenza e i suoi legami con l’imperatore. Nel 143 d. C. egli rivestì la carica di console18. I motivi di questa veloce carriera politica di Erode Attico vanno ricercati non solo nella sua educazione, ma anche nel suo ricco patrimonio e nella natura della discendenza divina e mitica che egli aveva rivendicato a sè. Per un greco come Erode, che voleva godere degli stessi diritti e privilegi degli esponenti delle famiglie romane al potere, era importante poter vantare una nobile discendenza non inferiore a quella dei Romani, orgogliosi per la loro origine divina da Venere attraverso la figura del mitico Enea. Erode si dichiarava discendente da Eracle (cfr. IG II2 3606, 2 = 190, 2 Ameling), imparentato con le mitiche figure di Peleo e Achille, membro della famiglia dei Cerici, sacerdoti ateniesi di Demetra (cfr. IG XIV 1389 A, 30-7 = 146 A, 30-7 Ameling). Inoltre annoverava tra i suoi antenati Milziade e Cimone che avevano avuto un ruolo fondamentale nella storia di Atene del V. sec. a. C durante le guerre contro i Persiani19. Per rafforzare la sua posizione nell’ambito della gerarchia di potere dell’Impero romano, Erode aveva bisogno di sposare un’esponente di un’importante e ricca famiglia romana che fosse della stessa posizione sociale della sua. La promessa sposa si chiamava Appia Annia Atilia Regilla Caucidia Tertulla, appartenente alla famiglia degli Annii, la quale annoverava tra i suoi 17 cfr. Fronto Ad. M. Caes. 3, 3, 2 Dicendum est de hominibus liberis crudeliter verberatis et spoliatis, uno vero etiam occiso; dicendum de filio impio et precum paternarum inmemore; saevitia et avaritia exprobranda; carnifex quidam Herodes in hac causa est constituendus ... Illa ipsa de laesis et spoliatis hominibus ita a me dicentur, ut fel et bilem sapiant: sic ubi Graeculum et indoctum dixero, non erit internecivum. 18 AMELING 1983, I, 77, ricorda che per quell’anno anche Frontone ricoprì la carica di console e pertanto definisce il 143 d. C. «Epochenjahr der zweiten Sophistik». 19 Cfr. Philostr. V. S. 2, 545, 15-547, 3 ν φερε δ( )ς τ'ν τ ν Α ακιδ ν, οlς ξυµµ χους ποτ( Tλλ9ς )πC τ'ν Π ρσην )ποιε*το, πηξ ου δ( ο,δ( τ'ν Μιλτι δην, ο,δ( τ'ν Κ µωνα, Uς mνδρε ρ στω καC πολλο3 ξ ω Sθηνα οις τε καC το*ς mλλοις nλλησι περC τ9 Μηδικ , µ(ν γ9ρ Iρξε τροπα ων Μηδικ ν, δ( πbτησε δ κας τοMς βαρβ ρους ?ν µετ9 τα3τα Dβρισαν. 16 antenati Anchise ed Enea ed era imparentata con Faustina, moglie dell’imperatore Antonino Pio. La sua discendenza viene descritta in termini poetici in IG XIV 1389 A = 146 A Ameling. I suoi nonni erano stati consoli ordinari nel 108 d. C. quando il padre di Erode aveva rivestito a Roma la carica di console suffetto. Regilla poteva vantare inoltre tra i suoi parenti importanti personaggi, quali i senatori P. Calvisio Tullo Ruso e Bellicio Flacco Torquato, console ordinario insieme a Erode Attico nel 143 d. C. Quando il matrimonio fu celebrato, tra il 142 e il 143 d. C., Erode aveva già quarant’anni mentre Regilla era ancora una ragazza di diciassette o forse di quindici anni. Attraverso l’unione matrimoniale Erode ottenne il controllo di alcuni territori in Italia, quale quello sulla via Appia alla terza pietra miliare, e forse un terreno a Canosa. Erode, da parte sua, donò a Regilla un appezzamento di terra a Maratona. In Grecia Regilla divenne sacerdotessa di Tyche ad Atene e di Demetra Camina ad Olimpia. A lei Erode dedicò molte statue, accompagnate da iscrizioni che ne celebrano le virtù. Grazie a questi rapporti di parentela con uomini consolari Erode entrò a far parte del collegio dei quindecemviri, che aveva funzioni sacerdotali, di cui il padre Attico era stato già membro. Un’iscrizione ritrovata ad Olimpia20 informa che Erode era membro di altri due collegi sacerdotali, quale sodalis Augustalis e sodalis Hadrianalis. A Roma nacque anche il primo figlio della coppia, che però morì dopo pochi mesi verso la fine del 143 d. C. Questa perdita addolorò profondamente Erode, come informa Fronto, Ad M. Caes. 1, 6, 8: Herodi filius natus <hodi>e mortuus est; id Herodes non aequo fert animo. Volo ut illi aliquid quod ad hanc rem adtineat pauculorum verborum scribas. Erode fece ritorno ad Atene insieme a Regilla intorno al 146 a. C. Dalla loro unione matrimoniale nacquero altri cinque figli: Elpinice (142-143 d. C.), Atenaide (144 d. C.), Regillo (fine anni 40, inizio anni 50) e Brauda (152-153 d. C.). Quest’ultimo causò ad Erode molti dispiaceri a causa delle sue difficoltà di apprendimento e della conduzione di una vita dissoluta21. Infine l’iscrizione SEG 26, 290 = 140 Ameling ricorda la dedica dei 20 AMELING 1983, II, 138, n. 131, ammette di non conoscere personalmente il testo. Cfr. Philostr. V. S. 2, 558, 7-21 )π νθει δ( τα*ς jπερβολα*ς τα ταις τ9ς θυγατ ρας, )πειδ$ Sττικ'ν τ'ν υ\'ν )ν dργo εeχεν. διεβ βλητο δ( πρ'ς α,τ'ν Uς ^λιθι δη καC δυσγρ µµατον καC παχMν τ$ν µνOµην· τ9 γο3ν πρ τα γρ µµατα παραλαβε*ν µ$ δυνηθ ντος Iλθεν )ς )π νοιαν τ2 21 17 capelli di Erode per un figlio sconosciuto, forse da identificare con il bambino di cui Regilla era incinta al momento della sua morte intorno al 160-161 d. C.22. Atenaide morì intorno al 155 d. C.; ved. Ameling 1983, I, 97. In quell’occasione gli Ateniesi mostrarono grande compassione per il dolore che aveva colpito Erode e cercarono di consolarlo conferendo alla figlia defunta l’onore speciale di essere seppellita nella città. L’eccezionalità del provvedimento diventa chiara alla luce della testimonianza di Cic. Ep. ad Fam. 4, 12, 3, il quale riferisce che nel 45 a. C. questo favore non era stato accordato a nessun abitante di Atene. Gli Ateniese decretarono anche di eliminare dal loro calendario, in segno di lutto, il giorno in cui la fanciulla era morta23. Precedente alla morte di Regilla è la scomparsa del figlio Regillo. Quando morì la moglie gli avversari di Erode accusarono il ricco ateniese della morte della donna, sostenendo che egli, a causa di un litigio familiare, avrebbe fatto dare a Regilla un calcio nello stomaco dal liberto Alcimedonte24. Ameling 1983, I, 100, riscontra in questo racconto gli elementi caratteristici che servono a delineare il ritratto di un uomo accusato di tirannide, poiché sia la moglie di Periandro25 che di Nerone26 morirono allo stesso modo; ved. anche Ameling 1986. La morte della donna in circostanze misteriose gli causò un nuovo processo intentatogli dal cognato Bradua, che lo accusò della morte della sorella. Filostrato si limita a riferire che Bradua non riuscì a presentare al Senato romano nulla di ρ δp ξυντρ φειν α,τ2 τ τταρας πα*δας καC εgκοσιν σOλικας qνοµασµ νους π' τ ν γραµµ των, rνα )ν το*ς τ ν πα δων dν/µασι τ9 γρ µµατα )ξ ν γκης α,τ2 µελετ2το. X ρα δ( α,τ'ν καC µεθυστικ'ν καC νοOτως )ρ ντα, Rθεν ζ ν µ(ν )πεχρησµsδει τo Xαυτο3 ο,σ ] )κε*νο τ' =πος· "εKς δ0 =τι που µωρ'ς καταλε πεται ε,ρ ι οgκ7," τελευτ ν δ( τ9 µ(ν µητρ2α α,τ2 π δωκεν, )ς Xτ ρους δ( κληρον/µους τ'ν Xαυτο3 οeκον µετ στησεν. 22 AMELING 1983, I, 100, data la morte di Regilla al 157 d. C. 23 Cfr. Philostr. V. S. 2, 557, 33-258, 1, τ' δ( )πC Παναθηνα δι τo θυγατρC Sθηνα*οι )πρ υναν )ν mστει τε α,τ$ν θ ψαντες καC ψηφισ µενοι τ$ν -µ ραν, )φ0 tς π θανεν, )ξαιρε*ν το3 =τους. 24 Cfr. Philostr. V. S. 2, 555, 10-5 Ηλθεν )πC τ'ν ρ δην καC φ/νου δ κη ?δε ξυντεθε*σα· κ ειν µ(ν α,τ2 τ$ν γυνα*κα !Oγιλλαν vγδο/ν που µ4να, τ'ν δ( ρ δην ο,χ jπ(ρ µεγ λων Sλκιµ δοντι πελευθ ρ7 προστ ξαι τυπτ4σαι α,τOν, πληγε*σαν δ( )ς τ$ν γαστ ρα τ$ν γυνα*κα ποθανε*ν )ν qµ2 τ2 τ/κ7. 25 Cfr. Diog. Laert. 1, 94 χρ/ν7 δ$ jπ0 dργ4ς βαλwν jπο β θρ7 < λακτ σας τ$ν γυνα*κα =γκυον οEσαν π κτεινε, πεισθεCς διαβολα*ς παλλακ δων, 6ς Dστερον =καυσε. 26 Cfr. Tac. Ann. 16, 6, 1 Post finem ludicri Poppaea mortem obiit, fortuita mariti iracundia, a quo gravida ictu calcis adflicta est. neque enim venenum crediderim, quamvis quidam scriptores tradant, odio magis quam ex fide: quippe liberorum cupiens et amori uxoris obnoxius erat. 18 concreto a sostegno dell’accusa e che invece approfittò del processo per elogiare la sua ricchezza, la sua stirpe e i suoi benefici a favore di una città dell’Italia27. Il ricorso a questi temi offre al biografo la possibilità di presentare la ricchezza elargita da Erode e la generosità da lui dimostrata nei confronti di molte città come prove a sostegno dell’innocenza; cfr. Philostr. V. S. 2, 556, 1-2 πολλ9 τοια3τα περC )µαυτο3 διbειν mν, ε )ν xπ σp τo γo )κριν/µην. Anche in questo caso Filostrato non narra come il processo si sia concluso ma lascia intendere l’innocenza del retore citando la costruzione del teatro in onore di Regilla, la rinuncia alla carica di proconsole della provincia d’Asia, che avrebbe coronato la sua carriera politica, la consacrazione degli ornamenti della moglie a Eleusi, l’ostentazione eccessiva del lutto, che lo spinse a rinchiudersi nella sua dimora e a eliminarne ogni colore perché Regilla era la luce della casa28. Fu necessario l’intervento del filosofo Lucio perché Erode ritornasse sulla via della moderazione. Per non diventare il trastullo di uomini dotti, il ricco ateniese liberò la casa dall’oscurità, poiché gli era stato riferito che il filosofo, avendo visto che i servi di Erode lavavano dei ravanelli, aveva esclamato con sarcasmo: δικε* […] !Oγιλλαν ρ δης λευκ9ς Nαφαν*δας σιτο µενος )ν µελα νp ο κ ]. Erode fissò il suo dolore in un epigramma (SEG 23, 121 = 100 Ameling) che fece incidere su una stele, aggiunta su un arco costruito a Maratona, che divideva il suo territorio da quello donato a Regilla e celebrava la loro perfetta armonia matrimoniale 27 Cfr. Philostr. V. S. 2, 555, 15-556, 2 )πC το τοις Uς ληθ σι γρ φεται α,τ'ν φ/νου Βραδο ας τ4ς !ηγ λλης δελφ'ς ε,δοκιµ τατος {ν )ν jπ τοις καC τ' ξ µβολον τ4ς ε,γενε ας περιηρτηµ νος τ2 jποδOµατι, το3το δ )στιν )πισφ ριον )λεφ ντινον µηνοειδ ς, καC παρελθwν )ς τ' !ωµα ων βουλευτOριον πιθαν'ν µ(ν ο,δ(ν διbει περC τ4ς α τ ας, iν )π4γεν, Xαυτο3 δ( =παινον )µακρηγ/ρει περC το3 γ νους, Rθεν )πισκ πτων α,τ'ν ρ δης "σM" =φη "τ$ν ε,γ νειαν )ν το*ς στραγ λοις =χεις." µεγαλαυχουµ νου δ( το3 κατηγ/ρου καC )π0 ε,εργεσ ] µι;ς τ ν )ν |ταλ ] π/λεων µ λα γεννα ως ρ δης "κ γw" =φη "πολλ9 τοια3τα περC )µαυτο3 διbειν mν, ε )ν xπ σp τo γo )κριν/µην." 28 Cfr. Philostr. V. S. 2, 556, 5-18 λλ0 Rµως τ ληθ(ς gσχυεν, ο, γ ρ ποτε ο}τ0 ~ν θ ατρον α,τo ναθε*ναι τοιο3τον, ο}τ0 ~ν δευτ ραν κλOρωσιν τ4ς jπ του ρχ4ς )π0 α,τo ναβαλ σθαι µ$ καθαρ ς =χοντα τ4ς α τ ας, ο}τ0 ~ν τ'ν κ/σµον α,τ4ς )ς τ' )ν hλευσ*νι \ερ'ν ναθε*ναι φ ροντα φ/ν7 µεµιασµ νον, τουτC γ9ρ τιµωροMς το3 φ/νου ποιο3ντος Iν τ9ς θε9ς µ;λλον < ξυγγν µονας. δ( καC τ' σχ4µα τ4ς ο κ ας )π0 α,τo jπOλλαξε µελα νων τ9 τ ν οgκων mνθη παραπετ σµασι καC χρ µασι καC λ θ7 Λεσβ 7—κατηφ$ς δ( λ θος καC µ λας— jπ(ρ ?ν λ γεται καC Λο κιος ν$ρ σοφ'ς )ς ξυµβουλ αν τ2 ρ δp καθιστ µενος, Uς ο,κ =πειθε µεταβαλε*ν α,τ'ν διασκ ψαι. La descrizione di Regilla come luce della casa è conservata in IGUR II 340 = 144 Ameling ρsδου γυνO, τ' φ ς τ4ς ο κ ας, τ νος τα3τα τ9 χωρ α γ γοναν· (vacat) Annia Regilla Herodis uxor lumen domus cuius haec praedia fuerunt, e in IG II2 13200 = 147 Ameling Sππ α Sνν α !Oγιλλα ρ δου γυνO, τ' φ ς τ4ς ο κ ας. 19 mediante la sua denominazione di «Porta della Concordia Immortale»; cfr. IG II2 1589 e 1589a = 97 e 98 Ameling. Egli commissionò anche al poeta Marcello di Side un lungo componimento in esametri per la consorte defunta, cui egli andava dedicando statue e stele, accompagnate da formule di maledizione contro chiunque avesse osato rimuoverle o danneggiarle; cfr. IG XIV 1389 A-B = 146 AB Ameling. Dopo la morte della moglie Erode restò per un certo periodo a Roma, dove apportò dei mutamenti alla sua villa sulla via Appia e fece erigere un monumento commemorativo della moglie, presentata nelle vesti di un’eroina. Il suo corpo però venne seppellito in Attica; cfr. IG XIV 1392 = 145 Ameling. Verso il 162 d. C. Erode ritornò in Grecia accompagnandovi l’imperatore Lucio Vero che allora dava inizio alla guerra contro i Parti. Dopo un breve soggiorno a Canosa a causa delle cattive condizioni di salute di Lucio Vero, Erode e l’imperatore ripresero il viaggio per Atene, dove Lucio Vero soggiornò per alcuni giorni presso la villa di Erode. Alla partenza di Lucio Erode compose o fece comporre un poemetto (Peek 1942, 330 = 186 Ameling) di ambientazione bucolica. Ad Atene egli divenne sacerdote del culto imperiale e di quello di Bacco nella corporazione privata dei Iobacchoi; cfr. IG II2 1368 = 94 Ameling. A questo periodo risale la costruzione dell’Odeion, monumento dedicato da Erode alla memoria di Regilla sul pendio a sud dell’Acropoli, per la cui costruzione furono usati il miglior materiale e marmo del tempo. Tutto quello che Erode fece ad Atene mirava a dimostrare la sua innocenza dall’accusa di aver provocato la morte della moglie. Nel 165 d. C. la peste, importata dall’Oriente in Grecia dai soldati di Lucio Vero, causò la morte di Elpinice, secondogenita di Erode, sposa di Lucio Vibullio Ipparco29. Anche questa volta un filosofo, Sesto da Cheronea, dovette esortare alla moderazione Erode che manifestava il suo lutto in maniera eccessiva. IG II2 12568/9 = 136 Ameling conserva un componimento in esametri che rende testimonianza di questo dolore. È a questo punto della sua vita che Erode pensò di ricorrere all’adozione per assicurarsi la continuazione della famiglia; ved. Ameling 1983, II, 113. Egli si sentiva senza eredi maschi a causa del cattivo rapporto con Bradua, l’unico figlio rimasto in vita, il quale aveva dato al padre solo dispiaceri tanto da fargli 29 Sulla peste che scoppiò durante gli anni di regno di Marco Aurelio ved. GILLIAM 1961. 20 esclamare un giorno: «uno solo, ancora stolto, rimane nella casa» (Philostr. V. S. 2, 558, 19; trad. Civiletti). Egli adottò il fratello di suo genero, che prese il nome di Lucio Vibullo Claudio Erode (cfr. IG II2 3979 = 141 Ameling), di cui non sono tramandate altre notizie. Si potrebbe quindi concludere che questi sia morto poco dopo l’adozione. Erode adottò anche tre giovani, che amò come figli propri, cui diede un’accurata educazione. Poiché sporadici ritratti lasciano dedurre che i giovani al tempo dell’adozione avessero circa quindici anni, la data della loro nascita si collocherebbe intorno al 150 d. C.; ved. Ameling 1983, I, 114. Il primo si chiamava Achille (cfr. IG II2 13195 = 162 Ameling, IG II2 3977 = 180 Ameling, IG II2 10938 = 181 Ameling), il secondo Mnemone, di origine etiopica, detto piccolo topazio (cfr. IG II2 13196 = 163 Ameling), mentre il terzo era un parente di Erode Attico, di nome Vibullio Polluce. Dalle iscrizioni a lui dedicate risulta che questi era un eques romanus30. Come i figli naturali di Erode, anche quest’ultimi morirono presto a causa della peste, l’uno a poco tempo di distanza dall’altro: dapprima Polluce, poi Achille e infine Memnone. Alla loro morte Erode fece collocare statue e stele e iscrizioni nei luoghi che lui era stato solito frequentare insieme ai giovani, trasferendo in questo modo la loro esistenza e il tempo trascorso insieme nella sfera eroica e mitica31. Il fatto che alcune iscrizioni per Polluce contengano il nome di Vibullia Alcia, la quale dedica al giovane statue e stele, testimonia che la madre di Erode Attico era ancora in vita intorno agli anni sessanta del secondo secolo; cfr. IG II2 3972 e 3973. Anche per la morte di Polluce Erode si abbandonò a eccessive manifestazioni di dolore come aveva già fatto per la morte dei figli e di Regilla; cfr. anche Luc. Demon. 24, 33. Secondo Robert 1979, 160-5, in quell’occasione 30 cfr. IG II2 3969 = 173 Ameling [ψηφ σµατι τ4ς βουλ4ς] [τ4ς )ξ Sρε ου π γου καC] [τ4ς] βουλ4ς [τ ν πεντακ][ο]σ ων καC το3 δOµ[ου το3 Sθηνα ων] ρ δης Βιβο [λλι][ο]ν Πολυδευκ ωνα \ππ[ α] [!]ωµα ων θρ ψας καC φι[λ]Oσας Uς υ\'ν τo Νεµ [σει], • µετ0 α,το3 =θυεν, ε,µ[ε]ν4 καC µνηστον τ'ν [τρ/]φιµον. vac. 31 Cfr. Philostr. V. S. 2, 558, 22-559, 5 λλ0 Sθηνα οις π νθρωπα )δ/κει τα3τα ο,κ )νθυµουµ νοις τ'ν Sχιλλ α καC τ'ν Πολυδε κην καC τ'ν Μ µνονα, οlς gσα γνησ οις )π νθησε τροφ µους vντας, )πειδ$ καλοC µ λιστα καC γαθοC Iσαν γεννα*ο τε καC φιλοµαθε*ς καC τo παρ0 α,τ2 τροφo πρ ποντες. ε κ/νας γο3ν νετ θει σφ ν θηρ ντων καC τεθηρακ/των καC θηρασ/ντων τ9ς µ(ν )ν δρυµο*ς, τ9ς δ( )π0 γρο*ς, τ9ς δ( πρ'ς πηγα*ς, τ9ς δ( jπ' σκια*ς πλατ νων, ο,κ φαν ς, λλ9 ξMν ρα*ς το3 περικ/ψοντος < κινOσοντος, οlς ο,κ ~ν )πC τοσο3τον Iρεν, ε µ$ )πα νων ξ ους )γ γνωσκεν. 21 Erode avrebbe celebrato un concorso funebre in onore del giovane defunto sullo stile dei giochi che i Greci organizzarono davanti alle mura di Troia per la morte di Patroclo e poi di Achille. Al 173-174 d. C. risale lo scontro di Erode Attico con i fratelli Quintili della città di Alessandria di Troade, che erano stati consoli ordinari nel 151 d. C. Philostr. S. V. 2, 559, 10-7, al quale i motivi veri del contrasto non sembrano essere noti, parla dapprima di uno scontro ai giochi pitici nel giudicare l’agone musicale, poi di una battuta di Erode che, criticando la stima dell’imperatore Marco Aurelio per i due fratelli, esclamò: «io persino lo Zeus omerico biasimo, perché ama i Troiani» (Philostr. V. S. 2, 559, 15-7; trad. di Civiletti). Sulle cause dello scontro Ameling 1983, I, 108, ponendosi sulla scia di Graindor 1930, 113 e Oliver 1970, 72, afferma: «In neuerer Zeit wurde angenommen, dass die beiden Brüder es nicht verwinden konnten, in Herodes einen so großen Wohltäter ihrer Heimatstadt zu sehen, an dessen Munifizenz sie nicht heranreichen konnten». A questa conclusione portano infatti le allusioni di Philostr. V. S. 2, 559, 17-560, 17 il quale, ricordando che ai due fratelli si rivolsero gli abitanti di Atene per accusare Erode Attico di tirannide, sottolinea come subito i Quintili riferirono quanto avevano appreso dal popolo ateniese all’imperatore. Demostrato, Prassagora e Mamertino, esponenti del partito politico contrario al ricco ateniese, si fecero portavoce dell’accusa, inviando una delegazione a Marco Aurelio con la speranza di ottenere da lui una sentenza di colpevolezza nei confronti del loro avversario. Al tempo di questa accusa Marco Aurelio era con il suo esercito a Sirmio, dove conduceva la guerra contro i Marcomanni. Qui si presentarono da una parte Demostrato e i suoi seguaci che cercarono di ottenere il sostegno di Faustina la giovane, moglie dell’imperatore, e di sua figlia di tre anni, che con moine pregava il padre di salvare gli Ateniesi, dall’altra Erode, accompagnato dal seguito dei liberti, tra cui Alcimedonte e le sue due figlie gemelle, educate da Erode come proprie. Anche questa volta il destino volle che un tremendo lutto sconvolgesse Erode alla vigilia del processo. Durante la notte un fulmine, abbattutosi sulle torri dove abitavano le due fanciulle, ne provocò la morte. Uscito di senno, Erode si presentò in giudizio il giorno dopo, lanciando le sue accuse contro l’imperatore perché questi si lasciava abbindolare dalla moglie e da una 22 bambina di tre anni. Secondo Papalas 1978, la frase filostratea τα3τ µοι - Λουκ ου ξεν α, ν σ µοι =πεµψας· Rθεν δικ ζεις, γυναικ µε καC τριετε* παιδ 7 καταχαριζ/µενος (V. S. 2, 561,6-8), pronunciata da Erode, fa pensare che l’accusa principale, dalla quale il ricco ateniese dovette difendersi, sia stata propriamente quella relativa al tipo di ospitalità offerta a Lucio Vero a Canosa, in occasione della quale Erode Attico aveva organizzato banchetti e battute di caccia per il giovane imperatore dedito ai piaceri e al lusso, incapace di assumersi gli impegni di governo; cfr. H. A. Ver. 4-5; 6, 7; 8-9, Aur. 8, 9. Secondo Civiletti 2002, 522, Erode Attico incarnava in quel processo agli occhi austeri dei Romani la personificazione dei vizi tipici dell’Oriente che avevano fuorviato il giovane Lucio Vero. Marco Aurelio era rattristato dalle accuse degli Ateniesi contro Erode, suo primo maestro, e voleva perciò evitare di infliggergli una punizione. Poiché gli Ateniesi avevano mosso delle accuse anche contro i liberti di Erode, l’imperatore decise di dare a quest’ultimi una punizione, sebbene molto mite. Oliver 1970, 75, collega questa accusa rivolta dagli abitanti di Atene ai liberti, con il provvedimento promosso da Lucio Vero a favore di figli e nipoti dei liberti, ai quali erano state affidate importanti cariche pubbliche in seguito alle grosse perdite di uomini. Alla morte di Lucio Vero, Marco Aurelio, rimasto l’unico detentore del potere, cercò di limitarne l’influenza negli alti organi di governo attraverso speciali provvedimenti come la regolamentazione dell’accesso all’Areopago. Purtroppo Filostrato non rivela il tipo di accuse che gli Ateniesi mossero al loro antico benefattore, che abbandonò il tribunale senza usare a sua difesa tutto il tempo che aveva a disposizione. Civiletti 2002, 523, sottolinea come l’incompletezza del racconto filostrateo relativo al processo di Sirmio sia dovuta alla volontà del biografo di oscurare le responsabilità di Erode Attico negli scontri che nella seconda metà del II sec. d. C. caratterizzarono lo scenario politico di Atene, la quale attraversava allora una forte crisi economica. Sebbene Erode fosse stato assolto dalle accuse, non fece ritorno ad Atene ma si recò ad Orico dove diede vita a dei lavori di ricostruzione della città. Questo alimentò alcune voci, smentite da Philostr. 2, 262, 1-6, secondo cui egli era stato mandato in esilio dall’imperatore. Intorno al 174-175 d. C. Marco Aurelio inviò 23 agli Ateniesi una lettera, incisa sulla superficie di due marmi bianchi (SEG 29, 127 II = 189 Ameling), i cui frammenti sono stati ritrovati nel 1930, con cui egli rendeva noti alla città alcuni provvedimenti su casi giudiziari ateniesi. Qui ai righi 87-94 egli invita gli Ateniesi a richiamare in patria il loro benefattore, senza il quale la città sembrava aver perso il suo supporto finanziario32. Erode ritornò ad Atene nel 175 d. C., prima della rivolta organizzata da Avidio Cassio contro l’imperatore, nei confronti della quale egli mostra la sua piena disapprovazione nell’epistola inviata a Cassio, di cui Philostr. V. S. 2, 563, 12 cita la battuta iniziale ρ δης Κασσ 7· )µ νης. IG II2 3606 = 190 Ameling contiene un poemetto che ricorda l’accoglienza festosa di Erode da parte della sua città, a cui Flavio Filostrato non fa alcun cenno. L’imperatore Marco Aurelio fece visita alla città di Atene nel 176 d. C. insieme al figlio Commodo, ed entrambi vennero iniziati ai misteri eleusini durante i quali Erode servì come mistogogo33. Questo è l’ultimo avvenimento databile della vita di Erode Attico, il quale morì all’età di settantasei anni di consunzione nel 177 d. C; ved. Swain 1990, 214-6. Sebbene egli avesse chiesto ai suoi liberti di essere seppellito a Maratona, gli Ateniesi vollero collocare il suo corpo nello stadio panatenaico, il più grande dono che egli aveva fatto alla città di Atene e fecero iscrivere sulla sua tomba il seguente epitaffio, citato da Philostr. V. S. 2, 566: Sττικο3 ρ δης Μαραθ νιος, ο8 τ δε π ντα / κε*ται τ2δε τ φ7, π ντοθεν ε,δ/κιµος. 32 Per un’analisi della lettera riguardo ai righi relativi a Erode Attico ved. OLIVER 1970, JONES 1971, WILLIAMS 1975, AMELING 1983, II, 182-205, nr. 189, CORTOSSA 1985, KENNELL 1997 e TOBIN 1997, 41-4. 33 La volontà dell’imperatore di essere iniziato ai misteri eleusini viene espressa dallo stesso nella lettera inviata ad Erode, per manifestare la sua benevolenza nei confronti del vecchio maestro e citata da Philostr. V. S. 2, 562, 24-563, 5 "χα*ρ µοι, φ λε ρ δη." διαλεχθεCς δ( jπ(ρ τ ν το3 πολ µου χειµαδ ων, )ν οKς Iν τ/τε, καC τ$ν γυνα*κα dλοφυρ µενος mρτι α,τ2 τεθνε σαν ε π ν τ τι καC περC τ4ς το3 σ µατος σθενε ας )φεξ4ς γρ φει "σοC δ( jγια νειν τε ε}χοµαι καC περC )µο3 Uς ε}νου σοι διανοε*σθαι, µηδ( -γε*σθαι δικε*σθαι, ε καταφωρ σας τιν9ς τ ν σ ν πληµµελο3ντας κολ σει )π0 α,τοMς )χρησ µην Uς οK/ν τε )πιεικε*. δι9 µ(ν δ$ τα3τα µO µοι dργ ζου, ε δ τι λελ πηκ σε < λυπ , πα τησον παρ0 )µο3 δ κας )ν τ2 \ερ2 τ4ς )ν mστει Sθην;ς )ν µυστηρ οις. η,ξ µην γ ρ, π/τε π/λεµος µ λιστα )φλ γµαινε, καC µυηθ4ναι, εgη δ( καC σο3 µυσταγωγο3ντος." Per un elenco delle fonti antiche che citano l’iniziazione di Marco Aurelio ai misteri eleusini ved. AMELING 1983, I, 160, n. 48. 24 Commento alle iscrizioni poetiche 1 = 139 Ameling Kaibel 1878, 862; App. Anth. III, 1, 240; IG III 914; IG II2 3553. Eleusi. Presso i Grandi Propilei. Intorno al 157 d. C. Ved. Clinton 1974, 108, nr. 19; Ameling 1983, II, 142, nr. 139; Tobin 1997, 87. Ameling 1983, II, 142, assegna IG II2 3553 alla metà del II sec. d. C. e mette l’iscrizione in relazione ad Erode Attico e a sua figlia Atenaide, sebbene Kirchner l’avesse già datata al I sec. d. C. con approvazione di Clinton 1974, 108. Atenaide era nata probabilmente nel 144 d. C. Philostr. 2, 557, 32, la chiama Panatenaide, forse un nomignolo che le era stato dato per essere nata in coincidenza con l’inaugurazione dello stadio Panatenaico ad Atene edificato dal padre; ved. Tobin 1997, 86. Questo nome, insieme a quello dei tre τρ/φιµοι Polluce, Memnone e Achille, documenta, come mette in risalto Graindor 1930, 35, il gusto classicheggiante di Erode Attico che emerge in ogni aspetto della sua vita. Per quanto riguarda la data di stesura del distico bisogna postulare che risalga al 157 d. C. in quanto per la funzione di πα*ς φƒ Xστ ας, cui il testo allude (ved. infra), venivano scelti ragazzi e ragazze che avessero già compiuto tredici anni; ved. Thompson 1948, 179. κο ρην υ\4ος περι νυµον „ερ/φαντις θ4κε θεα*ς δ αις µ στιν Sθηνα δα. 25 La sacerdotessa offrì alle proprie dee la famosa figlia di suo figlio, Atenaide come iniziata. v. 1. κο ρην υ\4 υ\4ος \4ος περι νυµον „ερ/ ερ/φαντις. φαντις L’iscrizione nomina una fanciulla di nome Atenaide, nipote della sacerdotessa dei misteri eleusini („ερ/φαντις), che compie l’offerta. L’identità della sacerdotessa non viene qui rivelata, poiché «hierophantidis nomen ex sacrorum ritu tacetur» (Kaibel 1878, 862). Secondo Ameling 1983, II, 141, la sacerdotessa dei misteri è Vibullia Alcia e il figlio della donna è Erode Attico. La fanciulla in questione viene qualificata dall’aggettivo περι νυµον «farfamed» (LSJ, s. v.), che non è mai usato in età classica. Per il nesso κο ρην … περι νυµον cfr. IG II2 4510 fr. a 2 = SEG 28, 225, 2 [B Φλεγ α] κο ρα περι νυµε. Il sostantivo „ερ/φαντις, insieme al maschile „εροφ ντης, indica il ministro più illustre dei riti eleusini, il quale apparteneva alla nobile discendenza di Eumolpo, primo organizzatore dei misteri e capostipite della famiglia sacerdotale dei Cerici tramite il figlio Cerice; sulla discendenza di Erode da Cerice ved. commento a IG XIV 1389 A, 32-3 = 146 A, 32-3 Ameling. Durante i riti lo ierofante aveva il compito di mostrare agli iniziati i segni sacri. Per quanto riguarda le sacerdotesse, la loro prima comparsa è databile intorno al 250 a. C. grazie a un frammento dello storico Istros FGrHist 334 F 29 ΚαC τ'ν \εροφ ντην δ( καC τ9ς \εροφ ντιδας καC τ'ν δ]δο3χον καC τ9ς mλλας \ερε ας µυ‡N νης =χειν στ φανον. Ai culti erano presenti due „εροφ ντιδες, delle quali una era sacerdotessa di Demetra e l’altra di Core. Quando le iscrizioni distinguono le due sacerdotesse, il titolo ufficiale per quella di Core è \ερ/φαντις τ4ς νεωτ ρας (cfr. IG II2 3585) mentre non compare mai per esteso quello della sacerdotessa di Demetra che tuttavia, per analogia, dovrebbe essere \ερ/φαντις τ4ς πρεσβυτ ρας; per un’analisi delle fonti relative alle ierofanti ved. Clinton 1974, 86-8. v. 2. θεα* θεα*ς δ αις. αις Le due dee sono Demetra e Core per le quali la donna presta il suo servizio religioso. µ στιν. στιν Clinton 1974, 108, sottolinea l’espressione poetica κο ρην … µ στιν per designare la giovane Atenaide come µυηθε*σα φƒ Xστ ας. Questa 26 interpretazione corroborerebbe il collegamento dell’iscrizione con la figlia di Erode, in quanto anche per Bradua ed Elpinice sono conservate iscrizioni che attestano il loro servizio come πα*δες φƒ Xστ ας. Si tratta di IG II2 3608 = 91 Ameling Τʖι.ʖ Κλ. ‰ππιον [Sτε λιον Sττικ'ν] Βραδο αν Κλ. [ ρ δου το3 ρ]χιερ ως καC [!ηγ λλης Sππ ου] jπ του θυʖ[γατρ'ς υ\/ν, υ\'ν] τ4ς Tλλ[ δος, µυηθ ντα φ0 X]στ ας, in cui Bradua viene definito figlio dell’Ellade, e Clinton 1971, 132, nr. 28 = 134 Ameling Sππ [αν Sνν αν Sτειλ αν !O]γιλλʖ[αν Sγριππε*ναν] hλπʖ[ινε κην Sτρ αν] Π [λλαν ρ δου καC !η]γʖ[ λλης θυγατ ρα], per la quale Clinton avanza l’ipotesi che qui la figlia maggiore di Erode venga onorata come πα*ς φƒ Xστ ας. 27 2 = 100 Ameling Corinth I 3, 69, nr. 49; SEG 13, 226; 22, 216; Corinth VIII 3, 128. Corinto. Zona del tempio di Tyche. Sulla base di una statua che raffigurava Regilla. Precedente al 160-161 d. C. Ved. Bousquet 1964, 609-13; Oliver 1970, 26; Ameling 1983, II, 120, nr. 100; Tobin 1997, 78; Galli 2002, 98-104. La pietra, ritrovata il 22 marzo 1935 nell’area occidentale dell’agorà di Corinto in prossimità del tempio di Tyche, presenta un epigramma in quattro distici elegiaci. Il testo rende pubblica la decisione della bulé di Corinto di dedicare una statua di Regilla, venerata come Tyche della città, fatta scolpire da Erode Attico. Si tratta di un atto di evergetismo nei confronti di Corinto da parte del ricco ateniese, alla cui figura l’epigramma conferisce particolare rilievo ai vv. 2-4. Riguardo all’autore del testo, non ci sono elementi decisivi che permettano di dimostrare l’attribuzione dell’epigramma a Erode Attico. Galli 2002, 98, afferma tuttavia che «der offizielle Charakter der Inschrift erhält eine individuelle Note, die auf den Stifter rückverweist». Il componimento deve essere datato tra il 143 e il 160-161 d. C. perché l’epigramma presenta al v. 5 Erode Attico come marito di Regilla; inoltre il fatto che esso non alluda alla morte della donna fa pensare che la statua sia stata eretta quando Regilla era ancora in vita. La pietra risale invece alla seconda metà del III sec. d. C., perché, come annota Kent 1966, 59, «it is impossible to assign such decadent lettering to so early time. The lunate sigma, uncial omega, and the clumsy shapes of rho and other letters indicate that the text was engraved at least a century after Regilla’s death. Nor it is easy to imagine that the Herodes would have tolerated such a slipshod memorial to his beloved wife». Si tratta dunque di una copia dell’epigrafe originale andata distrutta e ricopiata da un lapicida non specializzato e non colto. 28 La superficie si è preservata quasi per intero ad eccezione del lato sinistro rovinato. [!ηγ λλας τ]/δ0 mγαλµα. φυ$ν δ0 )χ ραξε τεχνε της [ Š Š σ]ωφροσ νην )ς λ θον ραµ νην. [Sττικ]'ς ρ δης µ γας ‹πασεν, =ξοχος mλλων [παντ]οʖ ης ρετ4ς ε ς mκρον ε\κ/µενος, [i π]/ʖσιν TλλOνων =λαχεν περ βωτον xπ ντων 5 [α}]σʖονʖα δ0 αEτε π< >ιν, mνθος Sχαιι δος. [!ηγ λ]λʖαʖ, - βουλO σε Τ χην Uς ε\λ σκουσα [ε κ/να π]ρ<'ς> τεµ νι στOσατο λαιν ην. 2 [π;σαν σ] Linforth, probb. Scranton, Kent, [κλε νην σ] Meritt, [γλ πτων σ] Kent, [α,τ4ς σ] Ameling e.g. 5 [i π] Ameling, [ ν π] Scranton, probb. alii [κρ σ]σʖονʖα Scranton lapis ΠΛΙΝ lapis, π ϊν Bousquet 6 [α}]σʖονʖα Robert-Robert, mνθος Scranton et alii, mνθŠος = νθ πατος 8 [ε κ/να π]ρ<'ς> Kent, [ε κ/να π]ρw = lat. “pro” Scranton, [εν λαµπ]ρ2 Bousquet, prob. Robert, [ε ν \ε]ρ2 Oliver, )ν καθα?]ρ2 Ameling. Questa è la statua di Regilla. Un’artista ne scolpì la figura, che riproduce nella pietra la … temperanza. Erode Attico, superiore a tutti, la fece realizzare, raggiungendo il punto più alto d’ogni sorta di virtù. Ella (che) ebbe in sorte uno sposo famoso tra tutti i Greci, per di più figlio d’Ausonia, fiore d’Acaia. O Regilla, il consiglio collocò la tua immagine di pietra presso il recinto sacro, onorandoti come Tyche. v. 1. [! [!ηγ λλας τ]/ τ]/δ0 mγαλµα mγαλµα. γαλµα Kent 1966, 59, stabilisce che il numero esatto di lettere perdute a inizio di ogni verso è recuperabile grazie alla ovvia integrazione del verso 3 [Sττικ]/ς. La lacuna del primo verso è facilmente colmabile, perché l’incipit τ/δ0 mγαλµα, preceduto dal nome di una divinità o di una persona, è tipico degli epigrammi che tramandano la dedica di statue; cfr. Anacr. A. P. 6, 144, 1 Στρο βου πα*, τ/δ0 mγαλµα, Λε κρατες, εEτ0 ν θηκας; Sim. A. P. 13, 19, 1 ‰νθηκεν τ/δ0 mγαλµα Κορ νθιος Rσπερ )ν κα; 16, 24, 1 Μ λωνος τ/δ0 mγαλµα καλο3 καλ/ν; Call. A. P. 6, 347, 1 ‰ρτεµι, τCν τ/δ0 mγαλµα 29 ΦιληρατCς εrσατο τoδε; IDelos 17, 1 Sʖρτʖ µιδος τ/δ0 mγαλµ[α]· ν θε”κε{ν} δ µ0 Ε[}]πολις α,τo; Mil. 445, 1 τ4σδε θε;ς τ/δε mγαλʖ[µα — ν θηκε]; 449, 2 συχ ου τ/δ0 mγαλµα. φυ$ φυ$ν δ0 δ0 )χ )χ ραξε τεχνε της. Il nesso φυ$ν )χ ραξε è attestato soltanto in questo epigramma. Il sostantivo φυO viene spiegato da Hesych. φ 956, 1, come φ σις σ µατος, -λικ α; 958, 1, φυ4ς· φ σεως. καC - το3 σ µατος jπ/στασις. Eust. Comm. ad. Il. 1, 265, 10-1, afferma che φυO viene impiegato da Omero tanto per le qualità corporali quanto per quelle morali di una persona: φυOν τινες νενοOκασι τ' )ξ εgδους τε καC ψυχ4ς γαθ/ν, φ σις jπ0 mλλων καC Iθος λ γεται. In questo epigramma φυO indica la grazia di Regilla che scaturisce dalla compresenza di bellezza interiore ed esteriore. La grafia τεχνε της al posto di τεχν της «artificer» (LSJ, s. v.) è ben attestata nelle epigrafi del II sec. d. C., come, p. es., in IG II2 1105 e SEG 30, 86. v. 2. [ Š Š σ]ωφροσ νην )ς λ θον ραµ νην. νην Il sostantivo σωφροσ νη descrive la principale virtù delle donne nelle iscrizioni greche, «often the only mentioned, or the only moral virtue amid a list of physical qualities, social attributes, and domestic accomplishments» (North 1966, 252); ved. anche Robert 1965, 39. Le qualità morali di Regilla sono presentate da Marcello in IG XIV 1389 A 10 = 146, 10 Ameling το3το γ9ρ ντ0 γαθο*ο ν/ου εgληχεν mποινον, come il motivo dell’onore concessole di dimorare nelle isole dei beati dopo la morte; cfr. commento ad loc. Per quanto concerne la lacuna iniziale, è difficile stabilire quale parola preceda il sostantivo σωφροσ νη. Gli studiosi che si sono confrontati con questo testo, hanno avanzato diverse soluzioni. Meritt propone di integrare il verso con κλεινOν σ. L’aggettivo κλειν/ς significa «famous, renowned» (LSJ, s. v.) ed è attestato in poesia tanto come epiteto di città, quali Agrigento (Pind. O. 3, 2), Siracusa (Pind. O. 6, 6 ed Epich. fr. 231 Kassel-Austin) ed Atene (Pind. fr. 76 Maehler, Aesch. Pers. 474, Eur. Ph. 1758) quanto come qualifica di persone; cfr. Pind. P. 1, 31, Hdt. 7, 228, Aesch. Pr. 834, Soph. Ph. 575, OT. 8. Il nesso κλε νη σωφροσ νη è presente in un epigramma di Crates Theb. A. P. 10, 104, Χα*ρε, θε9 δ σποινα, σοφ ν νδρ ν γ πηµα, / Ε,τελ η, κλειν4ς =γγονε Σωφροσ νης· / σ$ν 30 ρετ$ν τιµ σιν, Rσοι τ9 δ και0 σκο3σιν, in cui la Semplicità viene salutata come figlia della gloriosa Temperanza. Scranton 1951, 69 e Kent 1966, 128, accolgono invece l’integrazione di Linforth π;σαν σ. Kent 1966, 128, pensa anche alla possibilità di integrare il v. 2 con γλ πτων σ, genitivo plurale del sostantivo γλ πτος che designa lo scultore; tuttavia «the spacing strongly favors the shorter word» (Kent 1966, 128). Invece Ameling 1983, II, 120, rifiuta le proposte degli epigrafisti precedenti e integra il testo e.g. con α,τ4ς; il nesso α,τ4ς σωφροσ νη è attestato in testi epigrafici che, sotto forma di decreti della bulé e del popolo, elogiano e ricordano la σωφροσ νη di donne, come in ISide 121 A (a.) 5 ν$ρ α,τ4ς σωφροσ νης τε καC σεµν/τητος χ ριν. Cfr. anche IMT Kyz. Kapu Dag 1435, 5-6 (55-6) δι τε τ$ν τ ν γον ων καC τ$ν το3 νδρ'ς ρετ$ν καC τ$ν δ αν α,τ4ς σωφροσ νην e IEph. 1200, 10-12 δι τε τ$ν δ αν α,τ4ς σωφροσ νην καC δι9 τ$ν το3 νδρ'ς α,τ4ς ρακλε δου πρ'ς τ'ν δ4µον ε}νοιαν, dove però il contesto è diverso poiché il sostantivo σωφροσ νη è accompagnato in tutti e due i casi dall’aggettivo gδιος. Per il participio ραµ νην aoristo di αgρω in clausola di elegiaco cfr. App. Anth. 2, 621, 11 ^ρεµ ην κο της )ς τ λος ραµ νη. Kent 1966, 59, traduce il v. 2 «which has translated all her prudent moderation into stone» e Ameling 1983, II, 120 «im Stein beschwor er ihre edle Gesinnung». v. 3. [Sττικ]' ττικ]'ς ρ δης µ γας ‹πασεν =ξοχος mλλων. Per l’integrazione iniziale ved. supra. Il secondo esametro chiarisce che Erode Attico è il promotore della realizzazione della statua della moglie. A lui è riferito l’aggettivo µ γας. L’uso di riferire µ γας a un nome proprio, senza offrire tuttavia alcuna informazione aggiuntiva sul suo carattere, è già tipico della poesia omerica e si riscontra in tutta quanta la produzione poetica greca; a riguardo ved. Bissinger 1966, II, 15-6. Il secondo aggettivo =ξοχος «standing out (from), then excellent» (Beck 1984, s. v.) rivendica ad Erode una superiorità che lo contraddistingue dagli altri uomini. Il nesso =ξοχος mλλων ha come modello l’espressione omerica =ξοχον mλλων attestata in clausola di esametro; cfr. Il. 6, 194; 9, 631, 641; 13, 499; 17, 358; 20, 184; Od. 5, 118; 6, 158; 19, 247; H. Hom. Pan 28; Hes. fr. 25, 32; 229, 12 Merkelbach–West. Cfr. anche IGUR III 1316, 4 =ν τ0 α,το*ς jπ τοις κλ ος 31 =λλαβες =ξοχον mλλων e IPergamon 2, 576 A, 6 τ/σσον τ ν mλλων =ξοχ/ς )στι Γλ κων. v. 4. [παντ] παντ]οʖ ης ρετ4 ρετ4ς ε ς mκρον ε\ ε\κ/µενος. Il verso è un encomio di Erode Attico, il quale viene descritto come colui che ha raggiunto l’apice di ogni virtù. Il sintagma παντο η ρετ4 è già attestato in Omero in apertura di esametro in Il. 15, 642; 22, 268; Od. 4, 725, 815; 18, 205. Cfr. anche Theogn. v. 624 West2 παντο*αι δ0 ρεταC καC βι/του παλ µαι; Sim. fr. 10, 2 West2 παντο ης ρετ4ς gδριες )ν πολ µωι ed Eur. Med. 845 παντο ας ρετ;ς ξυνεργο ς. Il participio ε\κ/µενος corrisponde a \κ/µενος; ved. commento a τεχνε της del v. 1. Per l’espressione ε ς mκρον ε\κ/µενος cfr. Hes. Op. 291 )π$ν δ0 ε ς mκρον rκηται; Tyrt. fr. 9, 43 Gentili-Prato τα της ν3ν τις ν$ρ ρετ4ς ε ς mκρον / \κ σθαι; Sim. fr. 74, 7 Page rκp τ0 )ς mκρον νδρε ας e Opp. C. 4, 364-5 )π$ν δ0 ε ς mκρον rκωνται / ε,πλαν ος στιβ ης. Il nesso ε ς mκρον più il part. ( φ)ικ/µενος è della prosa tardo-antica e poi bizantina; cfr., ad es., Max. Tyr. Dial. 40, 4 a; Eun. VS 4, 1, 4; 10, 6, 2; Constantinus Manasses Brev. Chron. 2595. v. 5. [i σιν TλλO [i π]/ʖσιν λλOνων =λαχεν περ βωτον xπ ντων. ντων L’integrazione iniziale [i π]/ʖσιν è una proposta di Ameling, il quale respinge ν π] di Scranton perché «[i π] füllt den nach dem vorhandenen Platz eher als ν π]» (Ameling, 1983, II, 120). Il relativo femminile i rende esplicito che soggetto di =λαχεν è Regilla, cui viene attribuita la grande fortuna di aver ricevuto in sorte come sposo Erode, famoso tra tutti i Greci. L’aggettivo περ βωτος è variante poetica di περιβ/ητος e trova numerosi riscontri in testi epigrafici, come, p. es., in IG II2 3669 φOµη µ(ν περ βωτος ν0 Tλλ δα, τ$ν νεανθOς αeνος ∆εξ ππ7 δ κεν )φ0 \στορ p; IG V 1, 730, 11 γουν'ς περ βωτος Sµ κλης, σοC δ( Λυκαον η =νδιον ¡ Πιτ νη; SEG 34, 276, 1 α α* τ'ν περ βω[τον )ν Tλλ δι mνδρα σοφιστOν] τ'ν π ντεσσι β ʖ[βλοις γνωτ'ν )/ντα βροτο*ς]; Magn. Caria 323, 1 Ε,τρ/πιος ζαθ ησι δικ[α]σπολ αις περ βωτος ΜαγνOτων π τρη[ς]. L’aggettivo ha il significato di «noised abroad, much talked of, famous» (LSJ, s. v). Hesych. π 1592, 1, registra che περιβ/ητος può designare tanto una fama positiva quanto una negativa. v. 6. [α [α}]σʖονʖα δ0 δ0 αEτε π< >ϊν, >ϊν, mνθος Sχαιι δος. δος Scranton 1951, 69, propone di integrare la lacuna mediante il comparativo [κρ σ]σʖονʖα con approvazione di Kent 1966, 59, il quale afferma che «the restoration [κρ σ]σʖονʖα 32 (=[κρε σ]), seems clearly superior to [γλ σ]σʖονʖα “sweeter” or [βρ σσ]σʖονʖα “shorter,” as well as to other comparatives whose restoration would call for only three letters (e. g. β σσων, θ σσων, µ σσων, N σσων)». Invece [α}]σʖονʖα è integrazione di Robert-Robert 1966, 371, accolta poi da Oliver 1970, 26 e Ameling 1983, II, 101. Quest’ultimo è convinto del fatto che la lacuna del v. 6 debba essere colmata solo da due lettere. «Für Roberts Ergänzung spricht noch, dass ähnliche Ausdrücke wie „Blüte Achaias“ oft mit römischen Epitheta kontrastieren» (Ameling 1983, II, 121). A sostegno di questa affermazione Ameling rinvia a Robert 1948, 24, il quale cita l’epigramma che gli abitanti di Tespi fecero comporre per il proconsole d’Achaia Pretestato, ρχεγ/νου γα ης Ελλ δος νθ πατος, / τε*χος Sχαιϊ δος, ! µης στ φος, αrµατος ε8χος (ved. a riguardo Plassart 1926, 444-6, nr. 84) e Robert 1948, 64 = SEG 11, 773, 2, per un epigramma ritrovato a Sparta, in cui il proconsole d’Achaia Anatolio viene onorato per avere risollevato la città dalle sue rovine dopo il terremoto del 375 d. C. attraverso un epiteto che ne ricorda la provenienza da Roma, νθ πατον ! µης mνθος )ϋκτιµ νης. Mediante il nesso α}σονα … π ϊν il v. 6 sottolinea quindi che Erode godeva anche della cittadinanza romana, già evidente dal suo gentilizio Claudio. Quest’onore speciale era stato conferito al padre Attico, come testimonia Corinth VIII 2, 58 = 34 Ameling Ti(berio) Claudio Ti(berii) Claudi Hipparchi f(ilio) Quir(ina tribu) Attico proetoriis ornament(iis) ornato ex s(enato) c(onsulto) l(aetus) l(ibens) v(otum) s(olvit). Dean 1919, 174, data l’iscrizione al I secolo d. C. sulla base della forma delle lettere. π< >ϊν. >ϊν. La lettura di π ϊν al posto del tradito ΠΛΙΝ è merito di Bousquet 1964, 611, il quale ritiene di potervi leggere una dieresi come anche sulle parole Sχαιϊ δος e λαϊν ην, dove, a suo giudizio, è ancora più chiara. Bousquet evidenzia che la lettura πλιν = πλOν nell’accezione di Y, come in Eur. Heracl. 231 τα3τƒ )στC κρε σσω πλOν jπƒ Sργειοις πεσε*ν, presenterebbe grosse difficoltà di interpretazione, perché il verso assumerebbe il significato di «en outre supérieur à la fleur de l’Achaïe» (trad. Bousquet) e apparirebbe un’inutile ripetizione dopo il v. 5, dove Erode Attico è celebrato come il più illustre di tutti i Greci. L’uso di π ιν per πα*δα è attestato in poesia a partire dall’età ellenistica; cfr. Ap. Rh. 1, 276 33 (π ιν Rzach, πα*δƒ libri); 4, 697; Opp. C. 3, 218; Greg. Naz. A. P. 8, 51, 1; Carm. Dog. 404, 5; 504; 11; Carm. Mor. 524, 2; A. P. 3, 8, 2; 9, 125, 3 e 6. «Mit der Ergänzung von Robert in Z. 6 entfällt für diese Inschrift die von Bousquet 611 angestrengte Diskussion um H. als υ\'ς τ4ς λλ δος» (Ameling 1983, II, 121). α,ʖ - βουλO v. 7. [! [!ηγ λ]λʖαʖ βουλO σε Τ χην Uς ε\λ σκουσα. σκουσα L’integrazione [!ηγ λ]λʖαʖ è accolta all’unanimità da tutti gli studiosi. «The Corinthian boule, by way of rather farfetched flattery, compares Regilla to Tyche by setting up the statue in the vicinity of Tyche’s sanctuary» (Kent 1966, 59). Per la grafia di ε\λ σκουσα = \λ σκουσα ved. annotazione al v. 1 e 4. Già ad Atene Regilla era stata venerata dai commercianti come Tyche della città, «a cult which Herodes established in the 140’s, an office she probably held for life» (Tobin 1997, 77); cfr. IG II2 3607 = 90 Ameling Sππ αν Sτειλ αν !Oγιλλαν, Κλ. ρ δου το3 ρχιερ ως γυνα*κα, \ερασαµ νην πρ την τ4ς Τ χης τ4ς π/λεως, κατ9 τ' )περ τηµα τ ν κρατ στων Sρεοπαγειτ ν ο\ )ν Πειρα* πραγµατευταC ο\ περC Βα(λ ριον) Sγαθ/ποδα Με(λιτ α). Bousquet 1964, 612, identifica la statua di cui parla questo epigramma con quella ritrovata nel 1902 durante gli scavi nella Stoà di Corinto, di cui restano solo le gambe e la rappresentazione di una ruota. Edwards 1990, 537, sostiene l’identificazione della Tyche di Corinto con la dea Nemesi e aggiunge che Regilla «was represented in the guise of the Nemesis of Rhamnous, since both she and her husband were special devotees of that cult». A favore di questa tesi lo studioso cita la ruota come strumento di punizione della dea Nemesi presente sia nel poemetto di Marcello IG XIV 1389 B 93 = 146 B, 93 Ameling (ved. commento ad loc.), sia in Mesom. Nem. 7-8 Heitsch. Ved. anche Johnson 1931, 12-3 e Galli 2002, 101. v. 8. [ε κ/να π]ρ<'ς> τεµ νι στO στOσατο λαιν ην. ην All’inizio del verso 8 si legge sulla pietra ρωτεµενι. Scranton 1951, 69, accoglie l’integrazione di Meritt πρw τεµ νι «“in front of the sanctuary”, with πρ = Lat. pro, assuming that the poet was writing in Greek but thinking in Latin». Egli poi cerca anche di integrare la lacuna iniziale del verso proponendo il sostantivo ε κ/να, con cui concorda l’aggettivo λαιν ην. Il nesso ε κwν λαιν η è attestato in iscrizioni come, p. es., IG II2 4223, 6; IG V 1, 456, 1; IG VII 94, 2; 96, 4; IG XII 5, 328, 5; SEG 13, 277, 20; 30, 143, 7; Corinth VIII 1, 88, 8; ved. commento a Corinth VIII 3, 129 = 101 34 Ameling. L’integrazione di Meritt viene invece scartata da Bousquet 1964, 610: «le latin pro dans [π]ρw τεµ νι est bien étonnant, et il est facile de proposer à la place [)ν λαµπ]ρ2 τεµ νι». Questa proposta di Bousquet incontra anche l’approvazione di Robert 1966, 369 e Oliver 1970, 26, il quale considera anche la possibilità di integrare con [ε ν \ε]ρ2. Invece Κent 1966, 59, difende l’integrazione di Scranton ε κ/να e vede in πρ un errore per il corretto π]ρ<'ς> da attribuire a suo giudizio non al poeta che sta cercando di riprodurre la dizione omerica (p. es. l’aoristo στOσατο), ma al lapicida «who has carved omega in place of omicron sigma» (Kent 1966, 59). Invece Ameling 1983, II, 120, integra la lacuna e.g. con )ν καθα? ]ρ2. 35 3 = 101 Ameling Corinth VIII 3,129; inv. 1752 + 2264. Corinto. Presso la Stoa meridionale. Su un blocco di pietra. Precedente al 160-161 d. C. Ved. Kent 1966, 60; Robert 1966, 742-3; Ameling 1983, II, 121, nr. 101; Tobin 1997, 72; Galli 2002, 102-4. L’iscrizione fu ritrovata nel maggio 1936 nell’area centrale della Stoà meridionale a Corinto. La pietra che, come osserva Kent 1966, 60, presenta i segni di una rasura, contiene gli ultimi tre versi di un componimento in distici elegiaci, di cui i primi sono andati perduti poiché «der Text begann vermutlich auf einem darüberliegenden Block» (Ameling 1983, II, 121). [— — — — — — — — — — — — — — — — — —] νθυπ του ψOφ7 καC [˘ ˘ Š ˘] σιουν Μυσα ν θερ ποντος )ν ¤µ[ηττ2 ˘ ˘ Š Š] ε κ/να λαϊν ην στOσατο π[ρ'ς τεµ νι] 2 π/λεως ? Ameling e.g. 3 )ν ¤µ[ηττ2 µελιηδε*] Kent, )ν jµ[νο*ς Robert 4 π[ρ'ς τεµ νι] Kent, π[… Robert. Per decisione del proconsole e … pose presso il recinto sull’Imetto (?) … un’immagine di pietra del ministro delle Muse. La somiglianza di questo testo con quello precedente convince Kent 1966, 60, a ritenere quest’ultimi versi parte di un’iscrizione contenente una dedica ad Erode Attico, definito ministro delle Muse (Μυσα ν θερ ποντος), su decreto del proconsole della città di Corinto. 36 Il testo presenta alcuni problemi nella lettura e nell’integrazione delle lacune: il primo verso non è più leggibile e la lacuna che precede le lettere finali del secondo verso (σιουν) non è stata finora integrata. Ameling stampa e.g. π/λεως . v. 3. Μυσα ν θερ ποντος. ποντος L’espressione ministro delle Muse riecheggia la definizione esiodea del poeta offerta in Es. Th. 99-101 α,τ9ρ οιδ'ς / Μουσ ων θερ πων κλε*α προτ ρων νθρ πων / jµνOσει µ καρ ς τε θεοMς οf ¥λυµπον =χουσιν; cfr. anche H. Hom. Sel. 19-20 οιδοC / Μουσ ων θερ ποντες e Ps- Hom. Margites 1, 1-2 Iλθ τις )ς Κολοφ να γ ρων καC θε*ος οιδ/ς, / Μουσ ων θερ πων. L’epressione ministro delle Muse connota, come afferma Galli 2002, 102, uno stile specifico del modo di rappresentarsi nell’età degli Antonini. «Das Bild des Repräsentationsmodus als “Sophist-Dichter” setzt sich zusammen aus zahlreichen Belegen vom sophistischen “Diener der Musen” im 2. Jh. n. Chr. […] Mit der Wahl der Formulierungen markierte der Auftraggeber nicht nur seine gesellschaftliche Stellung, sondern auch seinen kulturellen Hintergrund und seine intellektuelle Bildung». A sostegno della sua affermazione lo studioso cita come esempio SEG 20, 682, 7-8 [τ]α3τα Φ λερνος =γραψε ποητ$ς ^δ( σοφισ[τ$ς] / [ ξ] α καC Μουσ ν, ξ α καC Χαρ των, dove un certo Falerno mediante dei distici rivendica a sè l’immagine di sofista-poeta; su questo tema ved. anche Bowie 1989a, 1989b e 1990. Galli mette poi in risalto i ritrovamenti archeologici nell’area del tempio di Tyche a Corinto che evidenziano il ruolo di Erode Attico come ministro delle Muse. Si tratta di un piccolo gruppo statuario raffigurante Apollo citaredo e la Musa Melpomene seduta accanto al dio. «Weitere Fragmente von Musen in gleichen kleinformatigen Dimensionen legen die Vermutung nahe, dass das Areal des Thycheion einen statuarischen Zyklus von Apollo und den Musen beherbergte» (Galli 2002, 102). )ν ¤µ[ηττ2 ]. La parte finale del verso è lacunosa poiché sulla pietra µ[ηττ2 ˘ ˘ Š Š]. sono leggibili solo le lettere ΕΝΥΜ. Kent 1966, 60, propone l’integrazione )ν ¤µ[ηττ2 µελιηδε*], leggendovi in questo modo un riferimento al monte Imetto che si innalza a sud-ovest della città di Atene. L’aggettivo µελιηδOς richiamerebbe qui il fatto che il miele profumato dell’Imetto era molto noto nell’antichità; cfr., p. es., Hor. Carm. 2, 6, 14-5 ubi non Hymetto / mella decedunt. L’integrazione di 37 Kent tuttavia è troppo lunga rispetto allo spazio da colmare e Robert 1966, 742, è dell’avviso che al posto di ¤µηττ2 si possa anche proporre l’integrazione Dµνοις. v. 4. ε κ/να λαϊν ην στO στOσατο π[ρ' π[ρ'ς τεµ νι]. νι] Il verso finale presenta lo stesso sintagma di Corinth VIII 3, 128, 8 = 100, 8 Ameling; ved. commento ad loc. Tuttavia diverso è l’ordo verborum. Kent 1966, 60, propone di integrare la lacuna finale con π[ρ'ς τεµ νι]. In tutti e due gli epigrammi πρ'ς τεµ νι descriverebbe il luogo presso il quale la statua è stata collocata. 38 4 = 102 Ameling IG IV 1599; Gärtringen 1926, nr. 124; Corinth VIII 1, 86. Corinto. Presso la fonte Pirene. Sulla base di una statua rappresentante Regilla. Precedente al 161 d. C. Ved. Powell 1903, 43-5, nr. 21; Hill 1964, 102-3; Ameling 1983, II, 122, nr. 102; Tobin 1997, 78; Galli 2002, 87-8. Un’altra statua di Regilla doveva essere stata collocata a Corinto presso la fonte Pirene. Qui venne ritrovata su una base di marmo bianco un’iscrizione che contiene un provvedimento della bulé, reso nella forma poetica del distico elegiaco, con il quale Regilla viene celebrata come immagine di σωφροσ νη. Bousquet 1964, 613, nota che «l’écriture est fort semblable à celle de la base de Regilla-Tyché». Non ci sono tuttavia elementi determinanti che permettano di datare con precisione l’iscrizione, che potrebbe essere precedente al 160-161 d. C. perché i versi conservati non fanno cenno alla morte di Regilla. Il testo è composto da un solo distico elegiaco ed è importante per la storia della fonte Pirene perché dimostra che «the so-called “second marble period” is to be connected with Herodes Atticus» (Meritt 1931, 64). Erode Attico infatti fu benefattore della città di Corinto come testimonia la realizzazione dell’Odeon e il ritrovamento nel 1919 dell’iscrizione Corinth VIII 1, 85 = 194 Ameling ρ δης )νθ δε περιεπ τει, databile al II sec. d. C., con la quale gli abitanti della città esprimevano al loro benefattore la propria riconoscenza; ved. Stevens 1934, Neugebauer 1934, 105 e Ameling 1983, II, 122. La base della statua era stata adoperata in precedenza per qualche altro scopo e poi successivamente capovolta per accogliere la presente iscrizione. Meritt 1931, 64, evidenzia la presenza di disegni di strumenti musicali sul lato opposto. 39 [ν]ε µατι Σισυφ ης βουλ4ς παρ9 χε µατι πηγ ν !ηγ λλαν µ0 )σορ5ς, ε κ/να σωφροσ νης ψ(ηφ σµατι) β(ουλ4ς) Su permesso della bulé di Sisifo, presso la corrente delle sorgenti vedi me, Regilla, immagine di temperanza. Per decreto della bulé. v. 1. [ν]ε µατι Σισυφ ης βουλ4 βουλ4ς. La città di Corinto è designata mediante il suo mitico fondatore Sisifo; sulla sua figura ved. Münzer 1927, 371-6. «The poetical use of Σισ φιος to Corinthian things is matched by examples in Anthol. VII, 745 and IX, 151, Paus. V, 2, 5, and Theoc. Id. XXII, 158» (Powell 1903, 44). La grafia Σισυφ α invece di Σισυφε α è attestata in un epigramma citato da Paus. 5, 2, 5 Σισυφ αν δ( µολε*ν χθ/ν0 )κ λυεν ν ρα νε κη / µφC Μολιονιδ;ν ο,λοµ ν7 θαν τ7 e in uno di Antip. Thess. A. P. 7, 81, 2 φ τι δ( Σισυφ α χθwν Περ ανδρον =χειν. La fonte Pirene, presso la quale era stata collocata la statua di Regilla, era vicina al Σισ φειον, forse originariamente un heroon, citato da Str. 8, 379 jπ' δ( τo ΠειρOνp τ' Σισ φει/ν )στιν, \ερο3 τινος < βασιλε ου λευκ ν λ θων πεποιηµ νου διασ ζον )ρε πια ο,κ dλ γα, e la sua nascita è messa in stretto collegamento con la figura di Sisifo. Egli se la fece donare dal dio Asopo per avergli comunicato che Zeus aveva rapito sua figlia Egina; cfr. Paus. 2, 5, 1 e schol. in Eur. Med. 69. Sulla fonte Pirene ved. De Waele 1937, 108-13. παρ9 παρ9 χε µατι πηγ ν: Il presente sintagma è un indizio, secondo Hill 1964, 103, del fatto che la statua di Regilla era posta presso una fontana. Gärtringen 1926, 53, segnala la scelta dei due termini νε µατι … χε µατι, definendola tipica dello stile di Erode; ved. anche commento a SEG 26, 290, 5 = 140, 5 Ameling. v. 2. !ηγ λλαν µ0 µ0 )σορ )σορ5 σορ5ς, ε κ/να σωφροσ νης. νης L’epigramma dà voce a Regilla che esplicita la sua identità e stabilisce un diretto contatto con il lettore del testo, presentandosi come immagine di temperanza. Il nesso ε κ/να σωφροσ νης compare anche nell’iscrizione funebre MAMA 7, 258, 5. Per σωφροσ νη come caratteristica femminile menzionata nei testi epigrafici ved. commento a Corinth VIII 3, 128, 2 = 100, 2 Ameling. 40 Galli 2002, 87, afferma, riguardo a questo epigramma, che «diese poetische Verkleidung einer üblichen Ehreninschrift gilt als exemplarisch für den engen Zusammenhang zwischen sophistischer Rhetorik und klassischer Dichtung. Durch die öffentliche Aufstellung dieser gelehrten Dedikation drückte der EuergetSophist ein Zeichen seiner Paideia aus». 41 5 = 146 Ameling CIG 6280; Kaibel 1878, 1046; App. Anth. III 263-4; IG XIV 1389; IGR I 194; IGUR III 1155. Descrizione della pietra: Peek 1979, 77. Roma. Al terzo miglio della via Appia. Posteriore alla prima metà del 161 d. C. Ved. Salmasius 1619; Visconti 1794; Fiorillo 1801; Franzius 1853, 916-26, nr. 6280; Froehener 1865, 9-24; Wilamowitz 1928, 3-21; Oliver 1970, 34; Kammerer-Grothaus 1974, 240-5; Pisani Sartorio-Calza 1976, 133-4; Peek 1979, 76-84; Ameling 1983, II, 153-9, nr. 146; Hornum 1993, 238-40, nr. 153; Skenteri 2005, 29-65. Nel 1607 venne riportata alla luce un’iscrizione di 39 esametri su marmo pentelico presso la chiesa di San Sebastiano a Roma, al terzo miglio sulla via Appia, nel territorio appartenuto nel II sec. d. C. a Erode Attico e noto con il nome di Triopio. Nello stesso luogo, a dieci anni di distanza, fu ritrovata un’altra iscrizione di 59 versi, la quale reca il nome del suo autore al genitivo (Μαρκ λλου). Dal luogo del loro ritrovamento esse prendono il nome di iscrizioni triopee. Sebbene si tratti di due testi distinti, tutti i corpora epigrafici pubblicano le due iscrizioni sotto un medesimo numero, distinguendo rispettivamente il testo di 59 esametri da quello di 39 con le lettere A e B, poiché esse hanno in comune la struttura, l’uso del mito come paradigma, il luogo del ritrovamento e probabilmente l’autore stesso. Le due iscrizioni vennero acquistate dal Cardinale Scipione Borghese per ornare la sua villa sul Pincio, e «incastrate in due are di fronte al finto tempietto dell’Asprucci dedicato ad Annia Regilla, nel 1793» (Pisani Sartorio-Calza 1976, 134). Oggi le iscrizioni sono conservate presso il museo parigino del Louvre. Di 42 IG XIV 1389 A, 31-46 esiste anche una copia conservata a S. Ambrogio a Milano; ved. Pisani Sartorio-Calza 1976, 134. Il primo studio dedicato alle iscrizioni triopee è opera del Salmasius che nel 1619 collegò le due iscrizioni con la figura di Erode Attico, mentre nel 1794 Quinto Ennio Visconti identificò l’autore dell’iscrizione (Μαρκ λλου) con Marcello di Side, vissuto nel II sec. d. C. L’alto valore poetico delle due iscrizioni venne riconosciuto da Leopardi il quale nel 1816 ne offrì una traduzione poetica in terzine, preceduta da una prefazione in cui dichiarava: «una e due e tre volte lessi queste inscrizioni, ed alla terza deliberai di tradurle. Un’andatura Omerica, un sapor pretto Greco ed Attico v’avea trovato, che m’avean mosso a giudicarle componimenti classici, ed accontarle tra le reliquie della vera incorrotta poesia Greca care a me troppo più che l’oro e qual altra cosa di questa fatta si tien preziosissima» (ap. Flora 1940, 544). Per quanto riguarda la datazione delle due iscrizioni, poiché IG XIV 1389 A, 20 cita l’imperatore Antonino Pio divinizzato (καC βασιλεMς ∆ιC πατρC φυ$ν καC µ4τιν )οικ ς) e il v. 56 lascia dedurre che l’imperatore in carica sia Marco Aurelio (Κα σαρος φθ µοιο παρ/ψεται vµπνια µOτηρ), la stesura di IG XIV 1389 A deve essere posteriore alla prima metà del 161 d. C. Per quanto riguarda invece IG XIV 1389B la mancanza di riferimenti alla morte di Regilla potrebbe rappresentare un indizio per datare il testo prima del 160-161 d. C. Tuttavia non dovrebbe essere neanche esclusa la possibilità che la stesura di IG XIV 1389B sia successiva alla morte della donna e che non si faccia cenno a questo avvenimento in un testo scritto per assicurare al terreno del Triopio la protezione divina e l’inviolabilità nel tempo. Attraverso il matrimonio con Regilla, una discendente della famiglia degli Annii Regoli (143 d. C.), Erode Attico entrò in possesso dei territori romani della donna situtati sulla via Appia. Alla morte della moglie Erode Attico dedicò alle divinità dell’oltretomba i praedia di Regilla (cfr. IG XIV 1390 = 143 Ameling) e conferì loro il nome di Triopio dal Triopeion di Demetra a Cnido. Il nome Triopio, come sottolinea Graindor 1930, 98-99, ricorda il re della Tessaglia Triope, la cui punizione per aver violato il maggese della dea Demetra (cfr. IG XIV 1389, 95-8 = 146 43 Ameling, 95-8) doveva valere per Erode Attico come ammonimento per chiunque avesse voluto imitarne l’impresa sacrilega. Lo studioso francese formula la tesi, accolta poi da Neugebauer 1934, 112 e Tobin 1997, 356, secondo la quale la scelta del nome Triopio testimonierebbe la familiarità di Erode con il santuario di Demetra a Cnido durante la sua carica di Corrector delle città libere d’Asia Minore. Come lì sorgeva un bosco, descritto da Call. Cer., 25-9 con le caratteristiche proprie di un locus amoenus, dedicato dai Pelasgi alla dea che lo amava alla stregua di quello presente ad Eleusi (vv. 29-30 θε9 δ0 )πεµα νετο χ ρ7 / Rσσον hλευσ*νι), così anche nel territorio del Triopio sulla via Appia prosperava una vegetazione rigogliosa (cfr. infra). Secondo un’altra ipotesi, sostenuta da Visconti 1794, 56-7 e ripresa da Lugli 1924, 95-6, il nome del territorio romano di Erode potrebbe essere collegato con un altro Triope, re di Argo e padre di Pelasgo, che introdusse per primo il culto della dea nella sua città. «Ecco dunque perché da Erode Attico si credè conveniente il nome di Triopio a indicare un campo ed un tempio consacrati a Cerere, come Triopio era detto quel suo sacrario antichissimo in Argo: tanto più che le iscrizioni Farnesine, scritte in vetusti caratteri attici, mostrano che voleva Erode conciliare a questo sacro luogo un aspetto di remotissima antichità» (Visconti 1794, 57). Pisani Sartorio-Calza 1976, 138, n. 29, come già aveva fatto Quilici 1968, 333, n. 5, respingono categoricamente, sulla base del testo delle iscrizioni triopee, la tesi avanzata da Nibby nel 1848-9 e ripetuta da Tommassetti nel 1910, secondo cui la denominazione di Triopio deriverebbe dal fatto che i praedia di Regilla si trovavano ad un trivio. La possibilità che Erode abbia voluto chiamare questo territorio come il Triopeion di Cnido richiamerebbe alla mente l’atteggiamento dell’imperatore Adriano, modello costante dell’attività evergetica di Erode. Questi infatti aveva chiamato parti della sua villa a Tivoli con il nome di alcune regioni della Grecia; ved. Clementi 1973, 22, Pisani Sartorio-Calza 1976, 138-41 e Tobin 1997, 356. L’imitatio Adriani è evidente anche nella scelta di collocare una statua di Regilla, onorata come eroina, in un’area sacra sottoposta da Erode a un processo di arricchimento architettonico, con il fine di accrescerne la sacralità mediante la realizzazione di uno o più ingressi monumentali, di un tempio per la nuova e 44 vecchia Demetra, di un campo sepolcrale sacro ad Atena e a Nemesi e di un edificio con cariatidi, verso il quale, secondo un ipotesi di Graindor 1930, 218, potrebbero recarsi le donne di Roma invocate ad apertura del poemetto A. Insieme agli altri edifici sparsi nel verde dei boschi e delle coltivazioni e al ninfeo detto della ninfa Egeria, il Triopio era diventato un vero e proprio pagus agricolo ospitale, abitato da servi e coloni, con un agglomerato di edifici rustici da identificare archeologicamente con i resti presenti sull’estremità della collina tra la via Appia Pignatelli e la via Militare. Qui Erode aveva fatto costruire la propria villa patronale trasformando il nucleo architettonico risalente al I sec. d. C., portatagli in dote dalla moglie Regilla, «come usavano imperatori e uomini illustri, in una superba costruzione alle porte della città» (Clementi 1973, 25). Della villa di Erode restano tracce archeologiche sotto il palazzo di Massenzio, il quale, secondo la tesi sostenuta da Lanciani, «deve essersi impossessato della villa di Erode Attico e Annia Regilla, già cadente in rovina, risarcendola come appendice al suo circo ed all’eròo di suo figlio» (ap. Pisani Santorio-Calza 1976, 8). Il Triopio, situato lungo la via romana più antica, è quindi la zona del territorio romano che più di ogni altra beneficiò della munificenza di Erode Attico, altrimenti riservata alla Grecia, soprattutto ad Atene. Egli era convinto che la sua fama sarebbe sopravvissuta nei secoli solo se l’avesse affidata ai monumenti e non alle parole, come ricorda Filostrato (V. S. 2, 552) a proposito della sua volontà di tagliare l’Istmo di Corinto. Le iscrizioni triopee hanno offerto la possibilità agli archeologi di raccogliere una serie di informazioni utili sugli edifici e sulla vegetazione del Triopio al tempo di Erode Attico. Attraverso i termini poetici viene infatti alla luce che i terreni del Triopio erano ricchi di coltivazioni di grano, di vigneti, di oliveti e di prati verdi. Qui dovevano essere impiegati diversi contadini per la coltivazione delle terre, cui il poeta rivolge al v. 79 l’ammonimento a non rimuovere nulla dal territorio del Triopio. Oltre al santuario, dove si recano le donne di Roma, apostrofate nei primi versi, per compiere dei sacrifici in onore di Regilla, il testo informa della presenza di un tempio per le due Demetre (vv. 5-8) trasformato nel IX-X sec. nella chiesa di S. Urbano, dove era stata collocata una 45 statua di Regilla, oggi andata perduta, e di un heroon della donna; ved. Tobin 1997, 357. Quest’ultimo permette di escludere la vecchia identificazione del tempio del dio Redicolo con la tomba di Regilla, la quale invece si trova ad Atene; per questa informazione sul sepolcro di Regilla cfr. v. 46 e IG XIV 1392 = 145 Ameling. Il terreno del Triopio, circondato da un muro, era stato consacrato da Erode ad Atena e a Nemesi di Ramnunte come campo sepolcrale, per garantirne l’inviolabilità: qui infatti era vietata la sepoltura a chiunque non fosse un discendente di Erode; cfr. vv. 71-4. A Μαρκ λλου. δε3ρ0 gτε, Θυβρι δες, νη'ν ποτC τ/νδε, γυνα*κες, !ηγ λλης ¨δος µφC θυοσκ/α \ρ9 φ ρουσαι. i δ( πολυκτε νων µ(ν =ην )ξ Α νεαδ ων, Sγχ σεω κλυτ'ν αKµα καC |δα ης Sφροδ της, γOµατο δ0 )ς Μαραθ να· θεαC δ µιν ο,ρανι ναι 5 τ ουσιν, ∆η τε ν η ∆η τε παλαιO. τoσ περ \ερ'ν εeδος )υζ νοιο γυναικ'ς γκε*ται· α,τ$ δ( µεθ0 -ρsνpσι ν νασται )ν µακ ρων νOσοισιν, rνα Κρ/νος )νβασιλε ει. το3το γ9ρ ντ0 γαθο*ο ν/ου εgληχεν mποινον, 10 Uς ο\ ΖεMς kκτειρεν dδυρ/µενον παρακο την γOρ] )ν ζαλ 7 χOρp περικε µενον ε,νo, οDνεκ ο\ πα*δας µ(ν µ µονος )κ µεγ ροιο ªρπυιαι Κλωθ ες νηρε ψαντο µ λαιναι -µισ ας πλε/νων· δοιw δ0 =τι πα*δε λιπ σθην 15 νηπιαχ , γν τε κακ ν, =τι π µπαν π στω οrην σφι νηλ$ς κατ9 µητ ρα π/τµος =µαρψε πρ ν περ γηραιoσι µιγOµεναι ^λακ τpσι. τ2 δ( ΖεMς )π ηρον dδυροµ ν7 κ/ρητον καC βασιλεMς ∆ιC πατρC φυ$ν καC µ4τιν )οικ ς, 20 ΖεMς µ(ν )ς qκεαν'ν θαλερ$ν =στειλε γυνα*κ[α] 46 α}ρpσι Ζεφ ροιο κοµ ζεµεν ^λυσ pσιν. α,τ9ρ στερ/εντα περC σφυρ9 παιδC π διλα δ κεν =χειν, τ9 λ γουσι καC Tρµα να φορ4ναι, Iµος Rτ0 Α νε αν πολ µου )ξ4γεν Sχαι ν 25 ν κτα δι9 δνοφερOν· δ ο\ περC ποσσC σαωτ$ρ παµφαν/ων )ν κειτο σελ[Oνη]ς κ κλο[ς R]µο[ιος]· τ'ν δ( καC Α νε δαι πο[τ0] )νερρ ψαντο πεδ λ7 [=µµεναι] Α,σʖοʖν[ʖ οις ε],ʖηγεν εσσι γ ραα. ο} µιν dν/σσηται καC Κεκροπ δην περ )/ντα 30 Τυρσην ν ρχα*ον )πισφ ριον <γ> ρας νδρ ν nρσης )κγεγα τα καC Tρµ ω, ε )τε'ν δ$ Κ4ρυ<ξ> ρ δεω πρ/γονος Θησηι δαο. το}νεκα τειµOεις καC )π νυµος, I µ(ν mνασσα[ν] )ς βουλ$ν γ ρεσθαι, rνα πρωτ/θρονες ¨δραι, 35 Tλλ δι δ0 ο}τε γ νος βασιλε τερος ο}τε τι φων$ν ρ δεω· γλ σσ ν δ τ µιν καλ ουσιν Sθην ων. i δ( καC α,τO περ καλλ σφυρος Α νει νη καC Γανυµηδε η καC ∆αρδ νιον γ νος Yην Τρω'ς hριχθον δαο· σ δ0, φ λον, \ερ9 N ξαι καC θ3σαι· θυ ων τ9ρ ο,κ 40 κοντος ν γκη, ε<E> δ τοι ε,σεβ εσσι καC -ρ ων λεγ ζειν. ο, µ(γ γ9ρ θνητO, τ9ρ ο,δ( θ αινα τ τυκται· το}νεκεν ο}τε νεwν \ερ'ν λ χεν ο}τε τι τ µβον, ο,δ( γ ρα θνητο*ς, τ9ρ ο,δ( θεο*σιν Rµοια. 45 σ4µα µ ν ο\ νη2 gκελον δOµ7 )ν SθOνης, ψυχ$ δ( σκ4πτρον !αδαµ νθυος µφιπολε ει. το3το δ( Φαυστε νp κεχαρισµ νον tσται mγαλµαʖ δOµ7 )νC Τρι/πεω, rνα ο\ π ρος ε,ρ ες γροC καC χορ'ς -µερ δων καC )λαιOεντες mρουραι. 50 ο} µ<ι>ν τιµOσειε θεO, βασ λεια γυναικ ν, µφ πολον γερ ων =µεναι καC dπ ονα ν µφην· ο,δ( γ9ρ |φιγ νειαν ) θρονος |οχ αιρα 47 ο,δ0 nρσην γοργ πις πητ µησεν SθOνη, ο,δ µιν -ρsνpσι παλαιoσιν µεδ ουσα 55 Κα σαρος φθ µοιο παρ/ψεται vµπνια µOτηρ )ς χορ'ν )ρχοµ νην προτερ ων -µιθε ων. i λ χεν ^λυσ pσι χοροστασ pσιν ν σσειν α,τb τ0 Sλκµ<O>νη τε µ καιρ τε Καδµει νη. B π/τνι0 Sθην ων )πιOρανε Τριτογ νεια 60 ` τ0 )πC =ργα βροτ ν ρ ]ς !αµνο σιας ΟEπι, γε τονες γχ θυροι ! µης Xκατοντοπ λοιο, πε ονα δ$ καC τ/νδε, θε , τειµOσατε χ ρον, δ4µον ∆η7ο*ο φιλ/ξεινον Τρι/παο, τ/φρα κε καC Τρι/πειαι )ν θαν τοις λ γησθονʖ. 65 Uς Rτε καC !αµνο3ντα καC ε,ρυχ/ρους )ς SθOνας Yλθετε δ µατα πατρ'ς )ριγδο ποιο λιπο3σαι, ¬ς τOνδε N εσθε πολυστ φυλον κατ0 λω$ν λOι τε σταχ ων καC δ νδρεα βοτρυ/εντα λειµ νων τε κ/µας xπαλοτρεφ ων )φ πουσαι. }µµι γ9ρ 70 ρ δης \ερ$ν ν9 γα*αν ¨ηκε τ$ν, Rσσην περC τε*χος ) τροχον )στεφ νωται, νδρ σιν dψιγ/νοισιν κινOτην καC mσυλον =µµεναι. i δ0 )π ο\ )ξ θαν τοιο καρOνου σµερδαλ ον σ σασα λ/φον κατ νευσεν SθOνη. 75 µO τ7 νηποιν'ν β λον µ αν < ¨να λ;αν dχλ σσαι, )πεC ο, Μοιρ ων τρε*<ε>ς ν γκαι, Rς κε θε ν Xδ <ε>σσιν λιτροσ νην ναθOp. κλ3τε περικτ ονες καC γε τονες γροι ται. \ερ'ς ο8τος χ ρος, κ νητοι δ( θ αιναι 80 καC πολυτ µητοι καC jποσχε*ν οEας ¨τοιµαι· µηδ τις -µερ δων vρχους < )<π>0 mλσεα δενδρ ων < πο ην χιλ2 ε,αλδ ι χλ ρα θ ουσαν 48 δµω$ν κυαν ου ‰ιδος [π]Oξειε µ κελλαν σ4µα ν ον τε χων ^( πρ/τερον κερα ζων. 85 ο, θ µις µφC ν κυσσι βαλε*ν \ρ/χθονα β λ<ον>, πλ$ν R κεν αrµατος ¡σι καC )κ γ νος Xσσαµ νο<ιο>. κε νοις δ0 ο,κ θ µιστον, )πεC τιµ ορος ¨στωρ. καC γ9ρ Sθηνα η περ hριχθ/νιον βασιλ4α νη2 )νκατ θηκε συν στιον =µµεναι \ρ ν. 90 ε δ τ7 mκλυτα τα3τα καC ο,κ )πιπε σεται α,το*<ς>, λλ0 ποτιµOσ<ε>ι, µO ο\ νOτιτα γ νηται. λλ µιν πρ/φατος Ν µεσις καC N/µβος λ στω<ρ> τ σονται, στυγερ$ν δ( κυλινδOσει κακ/τηταʖ· ο,δ( γ9ρ gφθιµον Τρι/πεω µ νος Α ολ δαο 95 ‹ναθ0, Rτε νει'ν ∆ηµOτερος )ξαλ παξεν. τ2 Yτοι ποιν$ν καC )πωνυµ ην λ ʖασθα<ι> χ ρου, µO τοι ¨πηται =πι Τρ<ι>/πειος hριν ς. 11 Uς Salmasius, Qς Wilamowitz 16 γν τε κακ ν Wilamowitz, γν τε κακ ν Kaibel σελ[Oνη]ς Peek, σελ[ηνα η]ς Salmasius R]µο[ιος] Peek, probb. Ameling, Skenteri, αgγλης] Salmasius, α,γ4ς] Visconti, probb. Froehner, Kaibel, ε,]ρ[ ς] Sirdmond ap. Wilamowitz Peek, πο[τ0] Salmasius 31 <γ> ρας Froehner, τ ρας lapis, prob. Peek forma X pro graeca Ξ 28 πεʖρʖ 29 [=µµεναι] Α,σʖοʖνʖ[ οις Franzius, prob. Peek, σ µβολον Α,σον οισιν Salmasius, υ\ σιν Α,σων ων Visconti, =µµεναι dψιγ/νοισιν Froehner Wilamowitz 27 30 µιν edd., µ$ 33 Κ4ρυ<ξ> edd., ΚΗΡΥX latina 42 ε<E> δ τοι Kaibel, probb. Peek, Ameling, Skenteri, ΕΙ∆ΕΤΟΙ lapis, ` δ τοι Wilamowitz, <δ>ε* δ τοι Wilhelm 51 ΜΕΝ lapis, µ<ι>ν edd. 59 Sλκµ<O>νη edd., ΑΛΚΜΝΗ lapis. 77 τρε*<ε>ς edd., ΑΤΡΕΙΣ lapis 78 Xδ <ε>σσιν edd., Ε∆ΕΣΣΙΝ lapis ΕΝ lapis, )ς Salmasius edd., ΒΩΛ lapis 87 Xσσαµ νο<ιο> edd., ΕΣΣΑΜΕΝ lapis Wilamowitz, Ameling, Skenteri, εrστωρ Froehner, prob. Kaibel lapis, prob. Visconti 82 )<π>0 Franzius, 84 [π]Oξειε edd., PΗΞΕΙΕ latina forma P pro graeca Π 92 88 ΕΣΤΩΡ lapis, probb. 91 α,το*<ς> edd., ΑΥΤΟΙ ποτιµOσ<ε>ι Salmasius, ΑΠΟΤΙΜΗΣΙ lapis, Visconti, probb. Moretti, Ameling, Skenteri λ ʖασθα<ι> edd., ΑΛΕΑΣΘΑ lapis 93 86 β λ<ον> ποτιµOσ<o>ι λ στω<ρ> edd., ΑΛΑΣΤΩ lapis 97 98 Τρ<ι>/πειος edd., ΤΡΟΠΕΙΟΣ lapis. 49 A Di Marcello. Venite qui a questo tempio, donne tiberine, a portare offerte sacrificali intorno alla statua di Regilla. Ella discende dagli Eneidi molto ricchi, inclito sangue di Anchise e di Afrodite dell’Ida, si sposò tuttavia a Maratona. La onorano le dee celesti, la nuova Demetra e la vecchia Demetra. A loro è dedicata l’effigie sacra della donna dalla bella cintura. Ella dimora con le eroine sulle isole dei beati, dove Cronos regna. Questa ricompensa infatti ha ricevuto in sorte per il suo buon cuore, poiché Zeus ebbe compassione del marito che si addolorava per lei giacendo, nella dura vecchiaia, nel letto vedovo, perché a lui le Moire, nere arpie, strapparono via la metà dei figli. Due figli rimasero ancora piccoli, inconsapevoli dei mali, ancora del tutto ignari di quale madre la morte crudele li avesse privati, prima che si occupasse dei fusi della vecchiaia. A lui che si affliggeva insaziabilmente Zeus e l’imperatore, che è simile a Zeus padre per natura e per saggezza, diedero una consolazione. Zeus ordinò alle brezze elisie di Zefiro di trasportare la fiorente donna verso l’oceano. Poi questi concesse al figlio di portare ai piedi gli splendidi calzari che si dice indossasse Ermes quando trasse fuori dalla guerra contro gli Achei Enea nel cuore della notte buia. Intorno ai suoi piedi c’era, salvatore, il cerchio splendente, identico a quello della luna. Questo incisero anche sul sandalo gli Eneadi, perché fosse segno d’onore per gli Italici di nobile discendenza. Sebbene (Erode) sia un Cecropide, non gli si rimprovererà l’antica lunula, segno d’onore degli uomini tirreni, discendente di Erse ed Ermes, se è vero che Cerice è un antenato di Erode, discendente di Teseo. Per questo motivo è onorato ed è console eponimo, così da essere ammesso nel Senato sovrano, dove ha il seggio in prima fila, e in Grecia nessuno è più regale di Erode per stirpe e per eloquenza; lo chiamano la lingua di Atene. Ella poi (Regilla), Eneide dalle belle caviglie, era discendente di Ganimede e stirpe dardanide di Troo, figlio di Erittonio. Tu, se ti è gradito, porta offerte e fa’ sacrifici. Tuttavia non c’è bisogno di sacrifici compiuti contro voglia; è bene certamente per gli uomini pii avere cura anche degli eroi. Infatti non è mortale ma neppure dea. Per questo motivo non ebbe un tempio sacro né un monumento sepolcrale, né offerte come quelle per i mortali ma neppure come quelle per gli 50 dei. Ella ha una tomba simile a un tempio presso il popolo di Atena, ma la sua anima si prende cura dello scettro di Radamante. Questa statua, gradita a Faustina, è stata posta nel borgo del Triopio, dove ella aveva prima campi ben irrigati, filari di viti e terreni coltivati ad ulivi. La dea, regina delle donne, non la riterrebbe indegna di essere ancella delle offerte e ninfa servente; infatti né la Saettatrice dal bel trono disprezzò Ifigenia né Atena dalla sguardo tremendo Erse, né l’alma madre del valente imperatore, la quale regna tra le antiche eroine, si mostrerà sdegnosa verso di lei che giunge nel coro delle eroine di un tempo. Ella che ottenne di dirigere i cori degli Elisi insieme ad Alcmena e alla beata figlia di Cadmo. B O augusta Tritogenia, signora di Atene, e Opi Ramnusia che volgi lo sguardo sulle opere dei mortali, vicine immediate di Roma dalle cento torri, onorate, o dee, anche questo luogo fertile, terra ospitale del Triopio caro a Demetra, finché siete tenute in conto come triopee tra gli immortali. Come quando giungeste a Ramnunte e ad Atene dalle larghe contrade, dopo aver lasciato le case del padre altisonante, così accorrete presso questo campo ricco di vigneti, per prendervi cura dei raccolti di spighe e delle viti cariche di uva e della vegetazione dei prati rigogliosi. A voi infatti Erode consacrò una terra, così che essa, quanta ne circonda un muro ben rotondo come una corona, fosse intoccabile e inviolabile per i posteri. Atena annuì facendo sibilare dalla sua testa immortale il terribile cimiero. A nessuno sia concesso portare via impunemente una sola zolla di terra o una sola pietra, poiché sono da temersi le punizioni delle Moire da parte di colui che commetta un sacrilegio nei confronti delle statue degli dei. Ascoltate vicini e contadini confinanti: questo luogo è sacro, le divinità sono inamovibili e molto onorate e pronte a porgere ascolto. Nessuno infigga la zappa, ancella del nero Ade, nei filari di vite o nei boschi di alberi o nell’erba verdeggiante della pastura rigogliosa, per costruire una nuova tomba o per distruggere quella precedente. È vietato per chiunque gettare sui cadaveri il terreno della terra sacra, a meno che questi non sia del sangue e discendente del 51 fondatore. A loro poi è lecito, perché loro soccorritore è il fondatore. Infatti anche Atena pose il sovrano Erittonio nel tempio perché ne condividesse le offerte. Se uno non presterà ascolto a questi divieti e non obbedirà loro, ma al contrario li diprezzerà, non resti impunito. Ma Nemesi terribile e la ruota vendicatrice lo puniranno, faranno rotolare sfortuna abominevole. Neppure la forza altera di Triope, discendente di Eolo, fu utile, quando egli devastò il maggese di Demetra. Per questo evitate la punizione e la denominazione del luogo perché l’Erinni triopea non vi segua. IG XIV 1389 A è un lungo epigramma che coniuga insieme elementi propri del discorso funebre e dell’elogio. L’elogio riguarda non solo Regilla, che viene celebrata per la sua condizione di eroina dopo la morte, ma anche Erode Attico stesso, celebrato per i suoi meriti politici e retorici. Il testo presenta sia la genealogia romana di Regilla e le sue virtù, sia quella greca di Erode e i suoi meriti; ne scaturisce un confronto tra Regilla ed Erode secondo il modello plutarcheo delle Vite parallele. Infine IG XIV 1389 A contiene anche un elogio della famiglia regnante degli Antonini attraverso la figura di Faustina maggiore deificata, la quale viene presentata come protettrice di Regilla al pari di altre dee nei confronti di eroine mitiche. Μαρκ λλου. λλου Il poeta ha posto il suo nome al genitivo per garantire l’attribuzione del testo alla sua persona. Questo era un sistema comune per indicare l’autore di un testo nei manoscritti; numerosi esempi vengono offerti dall’Antologia Palatina e dal Florilegio di Giovanni Stobeo. Skenteri 2005, 34, ricorda che questo sistema non era particolarmente usato nelle iscrizioni, soprattutto in quelle di questo periodo e cita esempi di componimenti dove l’attribuzione del testo al poeta viene garantita mediante il suo nome al nominativo seguito da un verbo come )πο ησεν e =γραψεν; cfr. Powell 1925, 138 = IG II/III2 4473 Μακε[δ/νιος] )πο η[σεν], Powell 1925, 149 = IDelph 3, 2, 1 [πα]ιʖ9ν δ( καC π[ροσ/]δʖιον ε ς τ['ν θε'ν )π/]ηʖσε[ν καC προσεκιθ ρισε]ν ΛιµOνι[ος Θ]οʖ νο[υ] e Powell 1925, 164 Sριστον/[ο]υ Tστ α[ι]. Bowie 1990, 58 cita anche un’elegia di 18 versi, databile al II sec. d. C. (Kaibel 1878, 218 = IG XII 5, 318), per una giovane donna di nome Socratea, morta di emorragia all’età 52 di ventisei anni, durante la nascita del terzo figlio, scritta da un certo Dionisio di Magnesia che nell’ultimo verso rivendica esplicitamente a sé la stesura del componimento (∆ιον σιος Μ γνης ποιητ$ς =γραψεν). A Visconti 1789, 74, si deve l’identificazione di questo poeta con Marcello di Side «one of the best of the period» (Bowie 1990, 66). Egli è dell’avviso che la presenza del solo nome, senza l’aggiunta di Sideta, dimostri che non c’erano a quel tempo altri poeti di nome Marcello, a cui poter ascrivere il poemetto e che quindi Marcello di Side fosse l’unico ad avere la fama «di colto e fecondo scrittore di greci versi» (Visconti 1789, 74). A questi quindi Erode avrebbe commissionato il poemetto per celebrare la memoria di Regilla, cui egli andava dedicando una statua. Suda µ 205 Adler tramanda una breve biografia di questo poeta, definito medico vissuto nel II sec. d. C., autore di un’opera in esametri in quarantadue libri intitolata ατρικ , la quale includeva anche una sezione sulla licantropia. Sotto il nome di Marcello di Side restano ancora tre frammenti, per un totale di 101 esametri di un poemetto didascalico intitolato περC χθ ων (Heitsch 1964, 18)34, e un epigramma funebre tramandato da A. P. 7, 15835. Qui viene decantato il fatto che i versi di Marcello di Side incontrarono l’approvazione degli imperatori Adriano e Antonino Pio, i quali ne collocarono i libri nella biblioteca pubblica sul Palatino. L’epigramma arrotonda il numero dei libri scritti da Marcello a quaranta, chiamandoli Χειρ νεια, forse un’allusione al titolo completo dell’opera. Wellmann 1934, 3, sottolinea che Hier. Adv. Iovin., 2, 6, considerava al suo tempo Marcello di Side ancora un’autorità nell’ambito dell’insegnamento della medicina. v. 1. δε3 δε3ρ0 gτε, gτε, Θυβρι δες, νη' νη'ν ποτC ποτC τ/νδε, γυνα* γυνα*κες. κες L’apertura del componimento mediante l’esortazione alle donne di Roma a compiere sacrifici intorno alla statua di Regilla suggerisce un inno; ved. a proposito Bowie 1989b 201; Bowie 1990, 68. A questo genere fa anche pensare l’incipit sia di IG XIV 34 Sulla natura di questi frammenti ved. KROLL 1930, 1497. Μαρκ λλου τ/δε σ4µα περικλυτο3 ητ4ρος, / φωτ'ς κυδ στοιο τετιµ νου θαν τοισιν, / ο8 β βλους ν θηκεν )υκτιµ νp )νC ! µp / Sδριαν/ς, προτ ρων προφερ στερος -γεµονOων, / καC π ις Sδριανο*ο, µ γ0 =ξοχος Sντων*νος, / vφρα καC )σσοµ νοισι µετ0 νδρ σι κ3δος mροιτο / εrνεκεν ε,επ ης, τOν ο\ π/ρε Φο*βος Sπ/λλων, / -ρs7 µ λψαντι µ τρ7 θεραπOια νο σων / β βλοις )ν πινυτα*ς Χειρων σι τεσσαρ κοντα. Su Marcello di Side ved. KROLL 1930, 56, WELLMANN, 1934, BOWIE 1989b, 201-2, BOWIE 1990, 66-70, SPAWFORTH 1996, 922. 35 53 1389 B = 146 B Ameling, per la dedica del Triopio ad Atena e a Nemesi, sia di IG II2 3606 = 190 Ameling, con cui è salutato il ritorno di Erode Attico ad Atene dopo un lungo periodo di assenza; cfr. infra. Un altro epigramma con caratteristiche tipiche dell’inno è IPergamon 3, 145, contenente un inno ad Asclepio composto da Aristide di Smirne [κληθεCς )ν νυξ ν τε καC Yµασι πολλ] κι [πα3σας] / [τειρ/µενον νο σ7 καρφαλ] ʖp κραδ ην; per questo componimento ved. Habicht 1969, 144-5, nr. 145. L’incipit con imperativo esortativo è tipico dell’inno cultuale; cfr. Isyll. 37, 1 Powell Ι( Παι;να θε'ν ε σατε λαο , Maced. Paean, 1-2 Powell ∆Oλιον ε,φαρ τρα[ν Xκατηβ/λον] ε}φρονι θυµ2 / ε,φηµ[ε*τε, φ ροντες, $ , { ( Παι ν,] e Anon., Paean 1-2 Powell ¤µνε*τε )πC σπονδα*ς Sπ/λλωνος κυανοπλοκ µου / πα*δα Σ λευκον, ν α,τ'ς γε νατο χρυ[σ]ολ ρας. Per Bowie 1990, 60, le due iscrizioni triopee e IG II2 3606 potrebbero valere come documenti fondamentali testimonianti l’evoluzione dell’iscrizione nella direzione di altri generi, quali appunto l’inno. Egli avanza anche l’ipotesi che alcuni poemi tramandati su pietra fossero concepiti perhaps primarily per la recitazione. L’espressione δε3ρο gτε, imperativo plurale del verbo εeµι, per chiamare a raccolta un gruppo di persone ha diverse attestazioni. La prima compare in Dionys. fr. 4, 1 Gentili-Prato γγελ ας γαθ4ς δε3ρ0 gτε πευσ/µενοι: qui il poeta rivolge ai commensali del simposio l’invito ad apprendere la buona notizia, che egli si appresta a rivelare, e a mettere fine alle contese provocate dai calici. In Aesch. Eu. 1041 l’imperativo δε3ρ0 gτε è rivolto alle Erinni, trasformate in dee auguste mentre in Ar. Av. 252 δε3ρ0 gτε πευσ/µενοι τ9 νε τερα, l’upupa chiama a raccolta con il nesso δε3ρ0 gτε tutti i presenti per annunciare la notizia dell’arrivo di un vecchio arguto di nuove idee ed imprenditore di nuove gesta. Che δε3ρ0 gτε sia usato per radunare un numero di persone, senza alcuna distinzione, è dimostrato dalla testimonianza offerta da Plu. Thes. 25, 1, 2, il quale narra che Teseo usava l’espressione δε3ρ0 gτε π ντες λεs quando voleva fondere le diverse genti in un solo popolo. Θυβρι δες … γυνα* γυνα*κες. Con un invito rivolto alle donne si aprono anche due inni di Callimaco; cfr. Lav. Pall. 1-2, 4 ±σσαι λωτροχ/οι τ;ς Παλλ δος =ξιτε π;σαι, / =ξιτε· τ;ν rππων mρτι φρυασσοµεν;ν / … σο3σθ νυν, B ξανθαC σο3σθε Πελασγι δες e Cer. 1 Τ καλ θω κατι/ντος )πιφθ γξασθε, γυνα*κες. 54 Peek 1979, 79 confronta A. P. 9, 189, 1-2 ²λθετε πρ'ς τ µενος ταυρ πιδος γλα'ν ³Ηρης, / Λεσβ δες, xβρ9 ποδ ν βOµαθ0 Xλισσ/µεναι, in cui l’anonimo autore dell’epigramma invita le donne dell’isola di Lesbo a recarsi presso il santuario di Era. Per designare le donne di Roma, Marcello sceglie l’inusuale ma più ricercato aggettivo Θυβρι δες con il significato di tiberine, cioè latine, al posto del più comune !ωµα*αι, perché quest’ultimo appariva, come riferisce Wilamowitz 1928, 12, troppo moderno e più adatto a una stesura in prosa e non a un testo poetico. Θυβρι δες corrisponde alla forma latina Tyberinides che in Ov. Fast. 2, 597 designa le ninfe del fiume Tevere. Come aggettivo Θυβρι ς è usato al singolare anche dal poeta bizantino Christod. A. P. 2, 416. Il sostantivo Θ βρις o Θ µβρις designa il fiume Tevere in Diod. A. P. 9, 219, 4 )π0 qκυρ/ην Θ βριν µειψ µενος e Leon. A. P. 9, 352, 1 Νε*λος Xορτ ζει παρ9 Θ βριδος \ερ'ν Dδωρ mentre in Theocr. 1, 118 καC ποταµοC τοC χε*τε καλ'ν κατ9 Θ βριδος Dδωρ indica un fiume che scorreva in Sicilia. Gli scolia ad loc. testimoniano che già per l’antichità vi era l’oscillazione tra le grafie Θ βρις, Θ µβρις e ∆ βρις36. L’aggettivo dimostrativo τ/νδε indica la presenza concreta del tempio presso il quale le donne di Roma sono invitate a recarsi. v. 2. !ηγ λλης ¨δος µφC µφC θυοσκ/ θυοσκ/α \ρ9 φ ρουσαι. ρουσαι Il termine ¨δος indica propriamente la sede o il seggio della divinità; ved. LSJ, s. v. ¨δος. In Omero viene impiegato per designare l’Olimpo dove risiedono gli dei immortali; cfr. Il. 5, 360, 367, 868; 8, 456; 24, 144; Od. 6, 42. «In un sol tratto si fondono il significato concreto e quello traslato, l’immagine degli dei seduti a banchetto e quello della dimora» (Bettinetti 2001, 52). Il termine passa poi a indicare l’immagine della statua divina fissa in un luogo e dello spazio da essa organizzato secondo la spiegazione data da Tim. Lex., s. v. ¨δος. τ' mγαλµα. καC τ/πος, )ν ´ rδρυται; ved. anche Philipp 1974, 601. Il sostantivo ¨δος non è solo tipico di un dio, come, p. es, in Soph. OT 866, El. 1374 e IG XIV 1389 B, 78 = 146 B, 78 36 Cfr. Schol. in Theocr. 1, 118a. Wendel Θ βριδος: <...> δ βρις κατ9 γλ σσαν - θ λασσα. τιν(ς δ( Σικελ ας =φησαν ποταµ'ν Θ µβριδα; b. Θ βρις ποταµ'ς Σικελ ας, )φ0 ´ µυθε ονται ρακλ4ν <... Rτε> τ9ς )κ τ4ς hρυθε ας βο3ς )λα νων )ντα3θα φ κετο· γενοµ νου δ( χειµ νος νυπερβλOτου χ σαι τ'ν ποταµ'ν καC )π πεδον ποι4σαι, )φ0 ο8 ο\ Κεφαλο διοι δε κνυνται κατοικο3ντες; c Θεα τητος δ φησι Συρακοσ ους π' τ4ς Dβρεως <dνοµ σαι προσθ σει το3 Θ>. Sσκληπι δης δ( Μυρλεαν'ς δι9 το3 δ γρ φει κα φησι "δ βρις κατ9 γλ σσαν - θ λασσα." γρ φουσι δ τινες κατ9 Θ µβριδος· =στι δ( καC ο8τος ποταµ'ς Σικελ ας. 55 Ameling, ma anche di un uomo «worshipped as a hero», come in questo poemetto per Regilla e in IG XIV 2133. La statua di Regilla è offerta al tempio della nuova e vecchia Demetra da Erode che si era recato a Roma per difendersi dall’accusa di aver provocato la morte della moglie, mossagli dal fratello della donna Bradua. Traducendo ¨δος µφ intorno alla statua bisogna ammettere, come fa Skenteri 2005, 35, che le donne romane siano invitate a portare i loro sacrifici intorno a un altare nelle vicinanze della statua di Regilla che in realtà doveva essere stata collocata all’interno del tempio della nuova e vecchia Demetra. I sacrifici sono indicati con l’espressione θυοσκ/α \ρ . Θυοσκ/α, come aggettivo neutro plurale, è attestato solo qui, dal momento che nelle altre occorrenze θυοσκ/ος è un sostantivo maschile, usato soprattutto da Omero per indicare l’aruspice, distinto dal sacerdote come in Il. 24, 221 οf µ ντι ς ε σι θυοσκ/οι < \ερ4ες37. Il significato di augure, esaminatore di vittime, viene conferito al sostantivo dal secondo elemento *-σκο̥ος, variante con σ mobile del tema del più tardo κο ω «osservo»; ved. Galiano-Heubeck 1986, 252. L’uso aggettivale di θυοσκ/α è dovuto, secondo Wilamowitz 1928, 12, proprio a un’errata interpretazione di Il. 24, 221 da parte dell’autore del componimento, il quale fa di θυοσκ/α un rafforzativo del sostantivo \ρ , forma ionica di \ερ/ς, che di per sé indica già le offerte; ved. LSJ, s. v. \ερ/ς. v. 3. i δ( πολυκτε νων µ( µ(ν =ην )ξ Α νεαδ ων. ων Marcello descrive Regilla come donna romana, rivendicandole la discendenza mitica dagli Eneidi, ai quali associa l’epiteto πολυκτ ανος «opulentus» (TLG, s. v.), usato da Pind. O. 10, 36 gδε πατρ δα πολυκτ ανον e Call. Ap. 35 dove Pfeiffer 1953, 6, restaura la forma πουλυκτ ανος sulla base di P.Oxy. 2258 πολ χρυσος γ9ρ Sπ/λλων / καC πουλυκτ ανος. In IG XIV 801 l’epiteto πολυκτ ανος è riferito invece ai Romani: si tratta di un’iscrizione funebre in distici elegiaci del II sec. d. C. dedicata a un uomo di origine romana; ?δε Π φου γ ννηµα, σοφο*ς )π<ι>ε κελος ν$ρ / κε*µαι, !ωµα ων σπ ρµα πολυκτε νων, / κλp<ζ>/µενος ∆ κµος Σερου λιος, ε ς 37 Qui µ ντιες e θυοσκ/οι devono essere collegati insieme in quanto θυοσκ/ος indica un indovino cui spetta esaminare un sacrificio per predire le cose future; cfr. Apollon. Lex. 88, 33-4, θυοσκ/ος εeδος µ ντεως, δι9 τ ν θυµ των < θυµιαµ των κ/ων, R )στι συνιεCς τ9 µ λλοντα. Il sostantivo θυοσκ/ος ricorre altre tre volte in Od. 21, 145; 22, 318 e 321. 56 =τη )λθʖwν / )νν α που δεκ δων καC τρ α, Uς =λεγον. Sebbene l’aggettivo πολυκτ ανος non sia attestato in Omero, rientra tuttavia nello stile epico perché fonde insieme φιλοκτ ανος di Il. 1, 122 e πολυκτOµων di Il. 5, 613, entrambi epiteti di mortali; ved. Williams 1978, 41. Per quanto riguarda la forma non contratta Α νεαδ ων cfr. Opp. C. 1, 2 φ γγος )νυαλ ων πολυOρατον Α νεαδ ων mentre per quella contratta Α νεαδ ν cfr. Dio Cass. 62, 18, 4 =σχατος Α νεαδ ν µητροκτ/νος -γεµονε σει e Agath. A. P. 9, 155 σκOπτροις Α νεαδ ν π;σα ν νευκε π/λις. Cfr. anche epigramma ap. Plu. Flam. 12, 12 (= ep. 92, 3 Preger) ν π/ρεν, Α νεαδ;ν ταγ'ς µ γας, per la forma Α νεαδ;ν. v. 4. Sγχ σεω κλυτ' κλυτ'ν αK αKµα καC καC |δα |δα ης Sφροδ της. της In quanto appartenente agli Eneadi Regilla vanta anche una discendenza divina dalla dea Afrodite, capostipite dei discendenti di Enea insieme al troiano Anchise. L’unione mitica tra Anchise e Afrodite è narrata da H. Hom. Ven., secondo il quale Zeus aveva infuso nel cuore della dea il desiderio di unirsi a un uomo mortale perché anche lei, al pari delle altre divinità, non potesse definirsi immune da un letto mortale e dire con orgoglio di avere indotto gli altri dei e le altre dee a congiungersi con i mortali. L’allusione a questa vicenda amorosa, che dà inizio alla discendenza degli Eneadi, è racchiusa nell’epiteto |δα ης con cui Marcello di Side qualifica la dea, perché l’Ida, il monte dove Anchise soleva pascolare i suoi armenti, fu il luogo della loro unione; cfr. H. Hom. Ven. 53-7. L’origine da Venere veniva rivendicata dagli imperatori, soprattutto da quelli della famiglia Giulio-Claudia, quasi fosse lasciata in eredità con il titolo di Cesare. Perciò secondo Wilamowitz 1928, 12, l’intero v. 4 si riferisce, in prima istanza, all’imperatrice Faustina e solo indirettamente a Regilla, e sottolinea in questo modo un legame di parentela tra le due donne, entrambe appartenenti alla famiglia degli Annii. Ameling 1983, II, 157, respinge invece la tesi dello studioso tedesco perché il v. 4 sarebbe piuttosto, a suo giudizio, un’indicazione generale della nobiltà di Regilla e non un accenno alla sua parentela con Faustina Maggiore. A sostegno di questa interpretazione egli cita la testimonianza di Hdn. 2, 3, 4, il quale racconta come un certo M. Acilio Glabro (cfr. PIR2 A 69) rivendicasse a sé la discendenza da Enea; Iν δ( )κε*νος ε,γεν στατος µ(ν π ντων 57 τ ν ε,πατριδ ν ν φερε γο3ν )ς Α νε αν τ'ν Sφροδ της καC Sγχ σου τ$ν το3 γ νους διαδοχOν. L’espressione Sγχ σεω κλυτ'ν αKµα καC |δα ης Sφροδ της è poi confrontabile, quasi ne fosse un calco, con Hor. Carm. Saec. 50, dove Augusto viene definito clarus Anchisae Venerisque sanguis. Questo confronto dimostra come Marcello di Side riecheggi qui un modulo tipico della magniloquenza epica per fare riferimento alla gloriosa discendenza della donna. L’uso del sostantivo αKµα nell’accezione di discendente ha diverse attestazioni come in Pind. N. 6, 35-6 κρ τησεν π' τα τας / αKµα π τρας / χρυσαλακ του ποτ( Καλλ ας; 11, 33-4 συµβαλε*ν µ9ν ε,µαρ(ς Iν τ/ τε Πεισ νδρου π λαι αKµ0 π' Σπ ρτας; Theocr. 24, 73 ΠερσOιον αKµα; Nic. Ther. 344 Κρ/νου πρεσβ στατον αKµα e Kaibel 1878, 831, 1 = IG XIV 1003, 1 ¶ ∆ι'ς SλκµOνης τε µεγασθεν(ς vβριµον αKµα. Per il nesso κλυτ'ν αKµα cfr. Peek 1955, 1511, 7 ƒΑγ4νος κλυτ'ν αKµα, un epigramma funebre del II sec. a. C. proveniente dall’isola di Corcira per un certo Filistione; su questo epigramma ved. Kaibel 1879, 182-3. v. 5. γOµατο δ0 δ0 )ς )ς Μαραθ να. να La presentazione di Regilla si conclude con il riferimento al suo matrimonio. L’espressione γOµατο δ0 )ς Μαραθ να si presenta volutamente ambivalente perché Μαραθ να da una parte indica il nome del demo ateniese, dall’altra è un’allusione a Erode Attico che nelle iscrizioni viene designato attraverso il demotico µαραθ νιος; cfr. IG II2 1088, 2090, 3191, 3594/5, 3600, 3603, 3733, 4072, 4780, 6791, 12568, 12569, SEG 21, 745, IOlympia 611, 622. Visconti 1794, 43, traduceva l’espressione «fu sposa in Maratone»; così anche Leopardi: «E ’n Maraton gli sponzalizi suoi» (ap. Flora 1940, 552); invece LSJ s. v. γαµ ω, «she married Herodes of Marathon». Peek 1979, 79, giudica l’espressione γOµατο δ0 )ς Μαραθ να alquanto prosaica in quanto significherebbe letteralmente «sie heiratete nach Marathon». La costruzione del verbo γαµ ω con )ς e l’accusativo è attestata per la prima volta in Hdt. 4, 78 γυνα*κα =γηµε )ς α,τ9 [ο κ α] )πιχωρ ην, il quale usa la forma attiva del verbo per riferire del matrimonio di Scile con una donna di Boriatene, dove egli aveva fatto costruire il suo palazzo. L’unico confronto possibile con questo passo di Marcello è quello con Eur. Tr. 474 I µ(ν τ ραννος κ ς τ ρανν0 58 )γηµ µην, dove Ecuba dice di essere stata regina e sposata in una casa reale; ved. Biehl 1989, 214. Μαραθ να è quindi, come conclude già Wilamowitz 1928, 12, il coronamento della presentazione di Regilla che a Roma aveva ricevuto i nobili natali. vv. 5- 6. θεαC θεαC δ µιν Ο, Ο,ρανι ναι / τ ουσιν, ∆η τε ν η ∆η τε παλαιO παλαιO. Al v. 6 compaiono i nomi delle due divinità che fanno onore a Regilla: la nuova e vecchia Demetra, cui era dedicato il tempio che sorgeva nel podere di Erode a Roma. La nuova Demetra è Faustina Maggiore, moglie dell’imperatore Antonino Pio, così denominata dopo la sua morte avvenuta nel 141 d. C. L’identificazione di Faustina con la dea è documentata dalla vasta monetazione commemorativa in suo onore (ved. Strack 1937, 106), la quale presenta anche l’iscrizione Aeternitas, sicchè la trasformazioni di Faustina nella nuova Demetra si spiega da una parte con l’affetto di Antonino Pio per la consorte, dall’altra con il disegno politico dell’imperatore di rafforzare, nella coscienza dei suoi contemporanei, l’idea dell’eternità dell’Impero romano attraverso le persone degli Augusti e delle Auguste, regnanti da vivi e divinizzati da morti. La coniazione di monete con l’immagine di Faustina deificata inizia nel 141 d. C. e dura fino alla morte del marito Antonino Pio nel marzo del 161 d. C. Le monete offrono anche informazioni sulle città di culto della nuova dea, «der aedes Divae Faustinae, ein Motiv, das bisher auf den Prägungen der Divi selbst noch nicht dargestellt worden war» Strack 1937, 92. Il riferimento alla nuova Demetra offre a Erode l’opportunità di enfatizzare il suo legame personale con il santuario della dea ad Eleusi in qualità di discendente di Cerice, fondatore della famiglia sacerdotale dei Cerici; ved. commento al v. 33. La nuova e la vecchia Demetra sono qualificate come θεαC … Ο,ρανι ναι (v. 5). Quest’espressione riecheggia la formula omerica θεοC Ο,ραν ωνες, con cui Omero indica tutti i sommi dei senza alcuna distinzione come in Il. 1, 570; 17, 195; 24, 612; Od. 7, 242; 9, 15; 13, 41. Il femminile Ο,ρανι ναι è attestato solo in questo epigramma. vv. 7-8. \ερ' ερ'ν εe εeδος … / γκε* γκε*ται. ται Il sostantivo εeδος indica la statua di Regilla, cui viene riferito l’aggettivo \ερ/ν, perché la statua viene dedicata ( γκε*ται) alle due dee. Invece secondo Wilamowitz 1928, 12, «\ερ/ν gehört nicht zu εeδος sondern ist φιερωθ ν γκε*ται». Questa ipotesi viene respinta da 59 Peek 1979, 79, il quale sottolinea che « γκε*ται heisst doch für sich allein schon “ist geweiht”». )υζ νοιο γυναικ' γυναικ'ς. Regilla non viene qui chiamata per nome ma viene designata attraverso la perifrasi )υζ νοιο γυναικ'ς, la quale vale come espressione di bellezza della donna, attestata già in Hes. Sc. 31 e fr. 195, 31 Merkelbach-West; cfr. anche Il. 1, 429 = 23, 760 γυναικ'ς )ϋζ νοιο e 9, 366 = 23, 261 γυνα*κας )ϋζ νους. v. 8. µεθ µεθ0 εθ0 -ρ -ρsνpσι. σι Marcello specifica che Regilla si trova ora in compagnia delle eroine sulle isole dei beati. Il sostantivo -ρsνη, forma contratta di -ρω να, è attestato per la prima volta in Ar. Nu. 315. Nell’età di Aristofane gli eroi erano propriamente i grandi personaggi della guerra troiana e tebana secondo il racconto di Hes. Op. 156-73, che qui Marcello aveva presente come modello. Pertanto le eroine, insieme alle quali Regilla si trova sulle isole dei beati, sono secondo l’immaginazione del poeta personaggi mitici come Penelope, Ecuba ed Elena. Il sostantivo ritorna anche al v. 55 -ρsνpσι παλαιoσιν. ν νασται. Questa forma verbale in clausola è documentata solo in poesia tarda in Theocr. 9, 9 =στι δ µοι παρ0 Dδωρ ψυχρ'ν στιβ ς, )ν δ( ν νασται e D. P. 381 π/ντον )ς γχ πορον SκυλOϊον =νθα ν νασται. v. 9. )ν µακ ρων νO νOσοισιν rνα Κρ/ Κρ/νος )νβασιλε ει. ει Il luogo in cui ora Regilla dimora è presentato attraverso la ripresa di Hes. Op. 171; 173a. Esiodo al v. 171 )ν µακ ρων νOσοισι παρ0 ·κεαν'ν βαθυδ νην, aveva indicato nelle isole dei beati la naturale dimora degli eroi. A questo passo di Esiodo fa riferimento anche Arist. Pol. 1334a, il quale definisce l’espressione )ν µακ ρων νOσοισιν tipica dei poeti; πολλ4ς οEν δε* δικαιοσ νης καC πολλ4ς σωφροσ νης <µετ χειν> τοMς mριστα δοκο3ντας πρ ττειν καC π ντων τ ν µακαριζοµ νων πολα οντας, οKον εg τιν ς ε σιν, Qσπερ ο\ ποιητα φασιν, )ν µακ ρων νOσοις. Riguardo all’allusione a Esiodo Wilamowitz 1928, 12 puntualizza: «rνα Κρ/νος )νβασιλε ει in dem Verse, den man als 169 in Hesiods Erga zählte, erhalten nur in dem Proklosscholion zu 158 (aus dem ihn ganz späte Handschriften eingeführt haben). Buttmann hat erkannt, daß Marcellus ihn in seinem Hesiod hatte, also auch die Interpolation des Genfes Papirus». Ved. Solmsen 1970, 56. 60 v. 10. ντ0 ντ0 γαθο* γαθο*ο ν/ ν/ου. ου L’onore speciale concesso a Regilla viene presentato come una ricompensa (mποινον) per le sue doti morali, espresse dal complemento ντ0 γαθο*ο ν/ου, dove la preposizione ντ ha una funzione casuale e sostituisce il più comune πρ/ς. Kühner-Gerth 1904, II, 429, citano l’esempio di Soph. OC 1326 οr σ0 ντC πα δων τ νδε καC ψυχ4ς. Il termine ν/ος ha qui il significato metaforico di heart «as employed in feeling and deciding» (LSJ, s. v. ν/ος, 3), tipico della lingua omerica; ved. Führer 2000, s. v. Questo significato di ν/ος è sottolineato dall’aggettivo γαθ/ς, come in Hdt. 1, 60, 23 ¶ Sθηνα*οι, δ κεσθε γαθ2 ν/7 Πεισ στρατον, dove γαθ/ς ν/ος descrive la predisposizione d’animo con cui gli Ateniesi sono esortati ad accogliere Pisistrato. L’aggettivo γαθ/ς precisa che qui non si stanno lodando le capacità intellettuali di Regilla, ma le sue straordinarie qualità di buona moglie. Sγαθ/ς era uno degli aggettivi più ricorrenti nelle epigrafi sepolcrali che lodano le doti morali di un defunto38e rappresenta piuttosto una virtù astratta dell’animo umano; ved. Tod 1951, 186. Wilamowitz 1928, 13, annota che γαθ/ς ν/ος è una perifrasi per ρετO. Alle qualità morali di Regilla fanno riferimento anche le iscrizioni Corinth VIII 3, 128 = 100 Ameling e VIII 1, 86 = 102 Ameling dove viene lodata la sua σωφροσ νη. mποινον. ποινον. Si tratta di un termine omerico attestato sempre al plurale con il significato di «ransom or price paid» (LSJ, s. v. mποινα); per un esame delle attestazioni di mποινα nei poemi omerici ved. Rüter 1973, s. v. mποινον. Wilamowitz 1928, 12, definisce il singolare mποινον nell’accezione di «Entgelt, Lohn» un azzardo di Marcello di Side che a questo termine conferisce il significato qui desiderato. Quest’accezione di mποινον evidenzia che, sebbene mποινα sia un termine omerico, il poeta è sensibile all’uso che ne fa Pind. in P. 2, 14; O. 7, 14; I. 3, 7; 8, 4; N. 7, 16, dove mποινα acquista l’accezione di «reward» (Slater 1969, s. v) e «this word sinks nearly to the status of χ ριν with the genitive» (Hewitt 1927, 153). v. 11. Uς ο\ ο\ ΖεM ΖεMς kκτειρεν dδυρ/ δυρ/µενον παρακο την. την L’onore straordinario concesso a Regilla è in realtà un dono di Zeus in virtù della sua compassione per 38 GUARDUCCI 1974, III, 151, elenca gli epiteti che qualificano i defunti, dividendoli in cinque categorie, a seconda che l’epiteto esprima doti morali, virtù religiose, familiari, sociali o il rimpianto dei superstiti. 61 le sofferenze del marito Erode Attico, rimasto vedovo. Le manifestazioni di dolore per la morte della moglie sono descritte da Philostr. V. S. 2, 556-7; ved. commento a SEG 23, 121 = 99 Ameling. Παρακο της è un sostantivo di tradizione omerica (Il. 6, 430, 8, 156, Hes. Th. 928) e designa qui Erode come marito. Omerico è anche il participio attributivo dδυρ/µενον per la sua posizione all’interno dell’esametro a partire dalla cesura trocaica; cfr. Il. 2, 315; 9, 612; 24, 128; Od. 1, 55, 243; 2, 23; 4, 100; 4, 800; 828; 9, 13; 11, 214; 13, 379; 14, 40; 16, 195; 18, 203; 19, 513, 517. ¹δυρ/µενον descrive la condizione di dolore di Erode e regge il pronome ο\, riferito a Regilla. L’intera proposizione è preceduta dalla congiunzione temporale Uς. Wilamowitz 1928, 9, stampa invece l’avverbio Qς corrispondente a οDτως. v. 12. γO γOραι )ν ζαλ 7 χOρp περικε µενον ε, ε,νo. Un secondo participio attributivo (περικε µενον) contribuisce a illustrare la condizione di Erode, qui ritratto come un uomo ormai vecchio e provato dal dolore della morte della moglie. Il participio regge il dativo χOρp … ε,νo come in Il. 19, 4 ε8ρε δ( Πατρ/κλ7 περικε µενον ν φ λον υ\'ν, in cui viene raccontato come la dea Teti trovi il figlio Achille che giace abbracciando il corpo di Patroclo morto. Il nesso ζ λεον γOρας è, a giudizio di Wilamowitz 1928, 13, un nesso non conservato, formulato da un poeta antico, perché compare anche in una citazione di Plu. Mor. 51, 789c = fr. 1149 SH ζαλ 7 γOρ] †κατανθιδ ν κOδp†, il quale sicuramente alludeva in questo modo a un uso piuttosto noto. Dire che Erode si trovava già nella vecchiaia avvizzita è in realtà un’esagerazione di Marcello, perché egli, al momento della morte di Regilla, doveva avere circa cinquantasei anni. A un’indicazione di luogo astratta (γOρ] )ν ζαλ 7) ne segue in clausola una concreta, quale quella del letto matrimoniale (ε,ν4), caratterizzata dal forte iperbato (χOρp … ε,νo). Il letto matrimoniale viene definito per ipallage vedovo (χOρη) e diventa simbolo del lutto di Erode, secondo un’immagine che richiama alla mente Ap. Rh. 3, 662 σ*γα µ λα κλα ει χ4ρον λ χος ε σορ/ωσα, in cui il pianto di Medea viene paragonato a quello di una giovane sposa che fissa gli occhi sul letto vuoto. L’uso metaforico dell’aggettivo χ4ρος è attestaτo per la prima volta, come riporta LSJ, s. v. χ4ρος, in Eur. Alc. 861-2 χOρων µελ θρων, in cui Admeto esprime la sua disperazione nel vedere la casa vedova di Alcesti. In 62 Omero infatti, ad eccezione di Il. 6, 408 τ χα χOρη σε3 =σοµαι, viene impiegato solo il sostantivo χOρη che designa la vedova «Widow» (ved. LSJ, s. v.). Per l’uso metaforico di χ4ρος cfr. Call. Epigr. 15,4 Pfeiffer = A. P. 7, 522, 4 χ4ρον νι;σθαι σ'ν π/σιν Ε,θυµ νη e 20, 6 Pfeiffer = A. P. 7, 517, 6 π;σα τ'ν ε}τεκνον χ4ρον δο3σα δ/µον. v. 13. µ µονος )κ µεγ ροιο. Anche qui il lessico è prettamente omerico; tuttavia nuovo è il contesto in quanto µ µων in Omero è un epiteto riferito a esseri umani, mentre qui qualifica µ γαρον; cfr. Mette 1965, s. v. µ µων. Un’ulteriore innovazione è lo stesso singolare µ γαρον con il significato di casa, dato che la lingua omerica distingueva il singolare, impiegato per designare «the chief room in the Homeric Palace», dal plurale con il significato di «house, palace» LSJ, s. v. µ γαρον; ved. anche Beck 1993, s. v. L’espressione µ µων µ γαρος indica tanto la casa di Erode, quanto per metonimia la sua famiglia, cui fa cenno anche l’epigramma SEG 23, 121, 4 = 99, 4 Ameling ν ην π/λιν, ο κ α τα3τα, δ/µος -µιτελOς; ved. commento ad loc. Qui µ µων esprime quell’idea di perfezione della casa-famiglia che sull’arco posto tra Vrana e Maratona era stata sottolineata dall’espressione µονο ας θαν του π λη delle due iscrizioni IG II2 5189 = 97 Ameling e IG II2 5189a = 98 Ameling, che distinguevano il territorio di Erode da quello di Regilla; ved. commento ad loc. v. 14. ªρπυιαι Κλωθ ες νηρε ψαντο µ λαιναι. λαιναι Questo verso offre un esempio di come Marcello fonda insieme in un’unica immagine due reminiscenze omeriche, precisamente quella di Od. 7, 197 Κλ θ ς τε βαρε*αι / γεινοµ ν7 νOσαντο λ ν7, in cui Alcinoo dice che Odisseo, suo ospite, potrà subire quello che le Filatrici implacabili hanno tessuto per lui, dopo che sarà partito dalla terra dei Feaci, e quella di Od. 1, 241 = 14, 371 = 20, 77 »ρπυιαι νηρ ψαντο, in cui la morte viene descritta come un rapimento ad opera delle Arpie. Od. 7, 197 è l’unico testo poetico in cui compare il plurale Κλ θες, come sinonimo di Μο*ραι; cfr. schol. ad loc. ed Hesych. κ 3065 s. v. «Während Μο*ραι, Αeσα, δα µων usw. Schicksal auch auf andere Weise zuteilen […], ist die Funktion der K. durch ihren durchsichtigen N. beschränkt» (Mader 1991, s. v. Κλ θες). La forma Κλωθ ες di questo poemetto è un’innovazione morfologica di Marcello, qualificata da 63 Wilamowitz 1928, 13, semplicemente come «Mißbildung von Κλ θες». A questo primo aspetto del destino, rappresentato dalle Moire, Marcello somma quello simboleggiato dalle Arpie, che strappano la vita degli uomini (ªρπυιαι … νηρ ψαντο), e riferisce loro l’epiteto µ λαιναι, che nell’elegia arcaica è qualifica tradizionale delle Chere, anch’esse divinità infernali che decidono la fine della vita; cfr. Tyrt. fr. 8, 5-6 Gentili-Prato θαν του δ( µελα νας / κ4ρας e Mimn. fr. 8, 5 Gentili-Prato Κ4ρες δ( παρεστOκασι µ λαιναι, di cui Marcello rispetta anche la collocazione dell’aggettivo µ λας in clausola di esametro. Al medesimo nesso elegiaco allude anche Quint. Smyrn. 10, 428 Κ4ρες νηρε ψαντο µ λαιναι, il quale descrive l’azione delle nere Chere, come già Marcello, attraverso il verbo omerico νηρε ψαντο. v. 15. -µισ ας πλε/ πλε/νων. νων Il complemento πα*δας (v. 13)… -µισ ας πλε/νων è caratterizzato dal forte iperbato, dato che tra il sostantivo πα*δας e l’aggettivo -µισ ας intercorrono due versi. Peek 1979, 80, sottolinea come attraverso questa espressione Marcello lasci indeterminato il numero dei figli di Erode Attico e dia l’illusione che qui si debba intendere un numero maggiore di figli rispetto a quello reale. Inoltre i figli sopravvissuti, Bradua ed Elpinice, non erano così piccoli da non soffrire per la perdita della madre, come Marcello vuol far credere qui; ved. Wilamowitz 1928, 13. Dalla documentazione epigrafica e dalle informazioni fornite da Flavio Filostrato risulta che Erode aveva avuto da Regilla cinque figli e che al momento della morte della donna, Erode ne aveva già persi tre; sui figli che Erode ebbe da Regilla ved. commento a SEG 26, 290 = 146 Ameling. L’espressione πα*δας … -µισ ας πλε/νων risponde all’esigenze di accrescere il pathos del testo piuttosto che a quella di aderire alla realtà che Marcello mostra di non tenere in considerazione. 15-16. δοιw δοιw δ0 =τι =τι πα* πα*δε λιπ σθην / νηπι χω. χω L’uso del duale νηπι χω, attestato solo qui, rientra nel rispetto della lingua omerica che rappresenta il principale modello di Marcello. L’aggettivo νηπ αχος è epico, diminutivo di νOπιoς e in Omero qualifica il sostantivo πα*ς; cfr. Führer 1996, s. v. νηπ αχος. Al singolare νηπ αχος è usato in Il. 6, 408, per il figlio di Ettore quando Andromaca cerca di commuovere l’eroe scegliendo termini che chiamino in causa la sua funzione di padre e di marito. La stessa funzione patetica ha il nesso πα*ς 64 νηπ αχος in Ap. Rh. 4, 136-7, dove le madri, svegliatesi per lo spavento provocato dal soffio del dragone, custode del vello, abbracciano piene d’angoscia i figli piccoli che dormano sul loro seno, anch’essi scossi dal sibilo. Cfr. anche IGUR III 1235, 1 πα*ς =τι νηπ αχος „ερ νυµος )νθ δε κε ται e 1376, 6-7 λλ0 =τι νηπ αχ/ν µε Τ χη / κατεθOκατο µOτηρ. γν τε κακ ν, =τι π µπαν π στω. στω La lettura γν τε κακ ν è offerta da Wilamowitz 1928, 13. Kaibel invece (ap. IG XIV 1389, A) leggeva xγν τε come duale di xγν/ς e collegava il genitivo κακ ν a νηπι χω. Questa interpretazione viene anche riportata da LSJ, s. v. mπυστος. Skenteri 2005, 36, nota invece come la lettura di Wilamowitz restituisca una struttura sintattica della frase accettabile, poiché l’aggettivo γν ς è qui costruito con il genitivo κακ ν39, cui segue al v. 17 οrην dipendente dall’aggettivo π στω. Quest’ultimo è composto da e dalla stessa radice del verbo πυνθ νοµαι e significa propriamente «wer nichts erfährt, unkundig» (Bartelink 1973, s. v. mπυστος). L’impiego di due o più aggettivi formati con prefisso negativo, come al v. 17 ( γν τε … π στω), è tipico della lingua omerica, dove però essi sono coordinati per asindeto (cfr., p. es., Il. 9, 63 φρOτωρ θ µιστος ν στι/ς )στιν )κε*νος e Od. 1, 242, mϊστος mπυστος) mentre qui i due aggettivi sono accompagnati da altri termini miranti a enfatizzare la disgrazia abbattutasi sui figli di Erode Attico con la morte della madre; per questo uso ved. Shipp 19722, 11-2. v. 17. οrην σφι νηλ$ νηλ$ς κατ9 κατ9 µητ ρα π/ π/τµος =µαρψε. µαρψε La frase ha una funzione di interrogativa indiretta, introdotta dal pronome οrην che accentua la natura straordinaria di Regilla. La morte che strappa ai figli la loro madre viene qualificata come νηλOς «unbarmherzig, mitleidslos» (Mader 1996, s. v. νηλεOς), aggettivo che nei poemi omerici si accompagna al sostantivo Iµαρ. In questo poemetto il nesso νηλ$ς Iµαρ diventa una metafora di morte; ved. Mader 1996, s. v. νηλεOς, 2, a β. Non solo dal punto di vista lessicale ma anche dal punto di vista stilistico l’intero verso riecheggia la lingua omerica attraverso il ricorso all’artificio della tmesi κατ9 … =µαρψε; cfr. Od. 24, 390 )νδυκ ως κοµ εσκεν, )πεC κατ9 γ4ρας =µαρψεν con cui viene presentato il vecchio Dolio. 39 Per esempi di γν ς costruito con il genitivo ved. LSJ, s. v., III. 65 18. πρ ν περ γηραιo γηραιoσι µιγO µιγOµεναι ^λακ τpσι. σι In questo verso sono ancora riconoscibili le tracce di quattro lettere erase che secondo Peek 1979, 77, sono ΜΙΓΗ, cioè una dittografia delle prime quattro lettere di µιγOµεναι. Il verso è caratterizzato, dal punto di vista linguistico, dal dativo plurale γηραιoσι … ^λακ τpσι e dall’infinito µιγOµεναι, tipici della lingua omerica, dal punto di vista stilistico dall’ipallage γηραιoσι … ^λακ τpσι, la quale, secondo Peek 1979, 80, indica metaforicamente i lavori femminile concordemente a una definizione data da Et. M. 424, 44-5 ¼λακ τη: Τ' γυναικε*ον )ργαλε*ον, vργανον περC ε λο3σιν α\ γυνα*κες τ' ν4µα. hκ το3 ^λ σκω, ^λακτ$, Uς διδ σκω, διδακτO. Poiché i lavori della tessitura rappresentavano l’unica occupazione della donna nell’età della vecchiaia, con questa metafora il poeta riferisce in modo ricercato che Regilla è morta giovane e non ha potuto raggiungere l’età avanzata. Per questo Peek 1979, 80, spiega ^λακ ται γηραια* come ^λακ ται γOραος, come già aveva interpretato Leopardi (ap. Flora 1940, 552-3); ved. anche Ameling 1983, II, 157. Peek esclude in questo modo la possibilità di leggere nell’espressione γηραιoσι … ^λακ τpσι un’allusione al fuso di cui una delle Moire era munita, secondo un’interpretazione che risale a Salmasius 1619, 147-8, il quale aveva citato a conforto di questo verso Marz. 9, 17, 2 Parcarum exoras pensa brevesque colos. La spiegazione di Salmasius ha goduto del consenso di Visconti 1794, 82, LSJ, s. v. ^λακ τη, Wilamowitz 1928, 13, il quale definisce questo verso «ein schlimmes κακ/ζηλον», e Skenteri 2005, 37. Peek 1979, 80, osserva ancora come vengano adoperati termini, quali mκρακτος, κλωστOρ, λ νον, µ τος e ν4µα, ogni qualvolta si parli del lavoro delle Moire che tessono il destino dell’uomo, e non manchi mai l’aggiunta del genitivo Μο*ρων. µιγO µιγOµεναι. µεναι Leopardi (ap. Flora 1940, 552-3) criticava la proposta di Visconti 1794, 82, di leggere il verbo µιγOµεναι come sinonimo di πελ σαι, cioè approssimarsi. Pertanto parafrasava l’intera espressione γηραιoσι µιγOµεναι ^λακ τpσι come «starsi tra le conocchie senili, usare le conocchie senili, passarsela da vecchia, filando», e concludeva che il verbo µε γνυµι «nella consueta significazione tanto è lungi che qui abbia dello strano, che viene anzi nel greco linguaggio naturalissimo». Peek 1979, 80, si chiede se queste espressioni e 66 immagini non dimostrino che Marcello avesse presente per questo passo un modello poetico antico non conservato. vv. 19-20. τ2 δ( ΖεM ΖεMς )π ηρον dδυροµ ν7 κ/ρητον / καC καC βασιλεM βασιλεMς ∆ιC ∆ιC πατρC πατρC φυ$ φυ$ν καC καC µ4τιν )οικ ς. Zeus e l’imperatore Antonino Pio deificato, come si comprende dai due accusativi di relazione φυ$ν καC µ4τιν, dipendenti da ∆ιC πατρC … )οικ ς, sono caratterizzati dalla compassione per il dolore di Erode Attico. Riguardo a questi versi Peek 1979, 81, afferma: «mit der nachträglichen Aufgliederung zweier durch καC verbundener Glieder einer Reihe lässt sich die Partie a 109-111 gut vergleichen, und Marcellus wird diese Verse ja sicherlich gut gekannt haben: κOρυκες δ0 α,το*σι καC dτρηροC θερ ποντες / ο\ µ(ν mρ0 οeνον =µισγον )νC κρητ4ρσι καC Dδωρ, / ο\ δ0 αEτε σπ/γγοισι πολυτρOτοισι τραπ ζας / ν ζον καC πρ/τιθεν». )π ηρον. L’aggettivo, che significa «pleasant, grateful» (LSJ, s. v.), viene usato al plurale nell’espressione )π ηρα φ ρειν «bring one acceptable gifts, render service» (LSJ, s. v.); cfr. anche Il. 1, 572, 578 )πC Iρα φ ρων. Marcello come già aveva fatto per mποινα (ved. supra) usa l’aggettivo al singolare attestato prima di lui solo in Emp. fr. 96, 17 Diels-Kranz come epiteto di terra (χθ ν) e in Simm. fr. 6, 3 Powell come epiteto della vecchiaia (γ ρας). Wilamowitz 1928, 13, spiega )π ηρον come sinonimo di χ ριν, sostenendo che «)π ηρα φ ρειν hat der Dichter als χαρ ζεσται befaßt, wie er durfte» e giustifica la mancanza del verbo con il fatto che i due benefattori, qui nominati l’uno accanto all’altro, nei versi successivi sono ritratti singolarmente nella loro benevolenza verso Erode. «Man denke sich statt )π ηρον ein χαριζ/µενος o Iρα φ ρων, und alles wäre einfach» (Wilamowitz 1928, 13). κ/ρητον. ρητον Si tratta di una forma poetica omerica dell’aggettivo κ/ρεστος, «unersättlich» (Busch 1959, s. v. κ/ρητος,) che ricorre solo nell’Iliade e mai nell’Odissea. Sκ/ρητος è usato da Omero come epiteto di uomini ed è accompagnato da genitivi, quali µ/θου (Il. 7, 117), πολ µου (Il. 12, 335), δειν4ς […] ϋτ4ς (Il. 13, 621), µ χης (Il. 13, 639, 20, 2). Qui invece κ/ρητον è usato come avverbio, riferito al participio dδυροµ ν7, per enfatizzare il dolore inconsolabile di Erode, e non ha altri paralleli. 67 vv. 21-22. ΖεM ΖεMς µ( µ(ν )ς qκεαν' κεαν'ν θαλερ$ θαλερ$ν =στειλε γυνα* γυνα*κ[α] / α} α}ρpσι Ζεφ ροιο κοµ ζεµεν ^λυσ pσιν pσιν. σιν L’aggettivo θαλερ/ς significa «blühend, kraftstrotzend, im Vollbesitz der Vitalität» (Führer 1987, s. v. θαλερ/ς, 963, III). Usato qui come epiteto di Regilla, indicata dal sostantivo γυνO, θαλερ/ς è un aggettivo di tradizione omerica40, dove qualifica o il sostantivo α ζηγ/ς, usato al plurale (Il. 3, 26; 10, 259; 11, 414; 14, 4; 17, 282) per indicare i giovani dotati di forza, oppure i sostantivi maschili π/σις (Il. 8, 190) e παρακο της (Il. 6, 430, 8, 156), e il sostantivo femminile παρ κοιτις (Il. 3, 53; cfr. anche H. Hom. Cer. 79), i quali indicano rispettivamente il ruolo di marito e di moglie, di cui l’epiteto mette in evidenza il fatto che essi sono ancora nel fiore della loro età. Qui θαλερ/ς accentua il pathos della narrazione con l’allusione alla giovane età di Regilla defunta. α}ρpσι Ζεφ ροιο … ^λυσ pσιν. pσιν. Le brezze di Zefiro vengono definite elisie (^λυσ pσιν) perché Zefiro non è più inteso come vento dell’ovest, dato che nel II sec. d. C. non si credeva più che le isole dei beati fossero in oriente (cfr. Aesch. Pr. 132 κραιπνοφ/ροι δ µ0 =πεµψαν αEραι), ma semplicemente come immagine di un vento mite, le cui brezze si lasciano qualificare come ^λ σιαι, sebbene non provengano dall’Oriente ma si dirigano verso di esso; ved. Wilamowitz, 1928, 13. Per l’espressione α}ρpσι Ζεφ ροιο cfr. anche Orph. H. 81, 1 ΑEραι παντογενε*ς Ζεφυρ τιδες. v. 23. α,τ9ρ στερ/ στερ/εντα περC περC σφυρ9 σφυρ9 παιδC παιδC π διλα. διλα Il v. 23 fa riferimento al conferimento del patriziato a Bradua, figlio di Erode, il quale in IG II2 3978 viene ricordato con il titolo di ε,πατρ δης. Il conferimento del patriziato, su iniziativa dell’imperatore Antonino Pio, viene confermato da IG XIV 1392 = 145 Ameling; ved. Pisani Sartorio-Calza 1976, 135. A questo titolo Marcello allude attraverso i calzari splendenti στερ/εντα … π διλα che Philostr. V. S. 2, 555, 19, chiama )πισφ ριον )λεφ ντινον µηνοειδ ς perché erano ornati di una mezzaluna, la quale serviva come chiusura della fibbia e come segno di distinzione dei patrizi all’interno dell’ordine senatorio; cfr. Juv. 7, 192 adpositam nigrae lunam subtexit alutae, ved. LSJ, s. v. στερ/εις. Erode in Philostr. S. V. 2, 555, 23-4 deride il 40 Per una trattazione generale dell’aggettivo θαλερ/ς in Omero ved. VIVANTE 1982, 117-8, il quale però passa in rassegna solo i casi in cui l’aggettivo è riferito a cose e non a esseri umani. 68 cognato Bradua che dinanzi al senato non era stato capace di esporre nulla di persuasivo a sostegno della sua accusa contro Erode, e gli rimprovera di avere la nobiltà solo nel simbolo della mezzaluna legata alle caviglie. L’aggettivo στερ/εις è un epiteto omerico che qualifica il sostantivo ο,ραν/ς; ved. Alpers 1976, s. v. Qui è riferito ai calzari che splendono come stelle. Quest’accezione è attestata in Il. 16, 134 ποικ λον στερ/εντα e 18, 379 mφθιτον στερ/εντα; ved. Alpers 1976, s. v., 2. Secondo la tesi di Graindor 1930, 91, attraverso tale carica l’imperatore Antonino Pio voleva consolare Erode Attico della morte della moglie. L’avvenimento deve essere datato pertanto tra la morte di Regilla e la prima metà del 161 d. C., quando Antonino Pio muore e gli succede Marco Aurelio. v. 24. τ9 τ9 λ γουσι καC καC Tρµα Tρµα να φορ4 φορ4ναι. Attraverso il verbo λ γουσι Marcello introduce, a partire dal v. 24, una narrazione mitologica che si protrae fino al v. 29. Si tratta di una parentesi epica all’interno di questo lungo epigramma, la quale da una parte è funzionale a un nuovo cenno di Enea e degli Eneadi (v. 2), dall’altra vuole avere una finalità eziologica che spieghi l’origine dei calzari dei patrizi, ornati di mezzaluna. Il poeta racconta che il dio Ermes indossò i calzari con la mezzaluna nella notte dell’incendio di Troia, quando salvò Enea dalla distruzione della città. Fiorillo 1801, 146, ricorda che secondo Quint. Smyrn. 13, 315-29, fu invece la dea Afrodite in persona a salvare il figlio Enea come racconta brevemente anche Tryph. Il. 651-3 Α νε αν δ0 =κλεψε καC Sγχ σην Sφροδ τη / ο κτε ρουσα γ ροντα καC υ\ α, τ4λε δ( π τρης / Α,σον ην π νασσε. Tuttavia nella Tabula Iliaca Capitoliana, databile al I sec. d. C., la quale rappresenta in rilievo la presa di Troia, viene rappresentato Ermes nell’atto di trarre fuori dalla città in fiamme Enea insieme al padre e al figlio41. Forillo 1801, 147 annota come «viri docti vero qui tabulam illustravêre […] non nostri poëtae locum adtulerunt. […] In gemmâ, ap. Augustin. Gemm. T. II. N. 3. fuga repraesentata est Aeneae, ibique Mercurius dux, stellam, in fronte gerit, lunari forma, radiosam». Sulla Tabula Iliaca Capitolina compare anche l’iscrizione |λιου Π ρσις κατ9 Στησ κορος: Τρωικ/ς, la quale lascia intendere che l’autore della Tabula avesse scolpito delle scene tratte dal poemetto di Stesicoro |λιου 41 Sulla Tabula Italica Capitolina ved. SADURSKA 1963 e SADURSKA 1964. 69 Π ρσις andato perduto; ved. Horsfall 1979, Lloyd-Jones 1980. Lo stesso intervento divino è presente poi nell’affresco della casa del Criptoportico a Pompei. Horsfall 1979, 42-3, nega la dipendenza delle due rappresentazioni da un comune modello precedente in quanto il pittore dell’affresco della casa del Criptoportico dipinge in modo classico Enea che porta sulle spalle il padre Anchise. Invece ritiene probabile che l’autore della Tabula Italica Capitolina abbia avuto a disposizione una statua, un dipinto o un bassorilievo di età precedente, ispirato da quelle fonti letterarie cui Marcello allude in modo generico tramite il verbo λ γουσι ed etichetta le parole κατ9 Στησ κορος come «an ostentatious but confused display of Gelehrsamkeit». Marcello darebbe quindi prova di erudizione poiché, attingendo probabilmente a fonti letterarie a noi ignote, predilige una versione del mito della fuga di Enea che ben si coniuga con i fini celebrativi del poemetto, dato che Ermes, già presentato al v. 32 come antenato divino di Erode, appare ora come il dio che ha posto Enea sulla via della fondazione di Roma. Per la forma estesa Tρµ ων cfr. Hes. fr. 64, 14; 137, 1; 150, 31 Merkelbach–West; Bion fr. 10, 8 Gow; Max. 12, 610; Agath. A. P. 4, 3, 110. L’infinito epico φορ4ναι «most commonly of clothes, armour, and the like, bear constantly, wear» (LSJ, s. v. φορ ω) ha funzione finale-consecutiva; per la sua posizione in clausola di esametro cfr. Il. 2, 107 α,τ9ρ αEτε Θυ στ0 Sγαµ µνονι λε*πε φορ4ναι; 7, 149 δ κε δ0 hρευθαλ ωνι φ λ7 θερ ποντι φορ4ναι; 10, 270 α,τ9ρ Μηρι/νp δ κεν ´ παιδC φορ4ναι e Od. 17, 224 σηκοκ/ρον τ0 =µεναι θαλλ/ν τ0 )ρ φοισι φορ4ναι. v. 25. Iµος Rτ(ε). L’impiego delle due congiunzioni temporali non è omerico ma tipico dell’epica ellenistica di Ap. Rh. 4, 267, 452, 1310, dove la seconda congiunzione Rτε presenta l’elisione della vocale finale come qui al v. 25; cfr. ancora Arat. Phaen. 584; Nik. Ther. 936, in cui compare anche il nesso Iµος Rταν al v. 75. πολ µου )ξ4γεν Sχαι ν. La narrazione mitologica dell’intervento divino di Ermers a favore di Enea è impreziosita dalla ripresa e dalla fusione di nessi omerici attestati nell’Iliade. L’espressione πολ µου )ξ4γεν deriva da Il. 13, 535 )ξ4γεν πολ µοιο δυσηχ ος, là dove si racconta che Polite trasse fuori dalla 70 battaglia il fratello Deifobo. Espressioni simili sono adoperate in Il. 5, 35 µ χης )ξOγαγε θο3ρον ‰ρηα e 5, 353 τ$ν µ(ν mρ0 ½ρις Xλο3σα ποδOνεµος =ξαγ0 µ λου; cfr. anche Il. 11, 487. Il nesso πολ µου )ξ4γεν è attestato anche in Quint. Smyrn. 13, 322. Per quanto riguarda invece la presentazione della guerra troiana come πολ µου … Sχαι ν cfr. Il. 3, 165 οr µοι )φ ρµησαν π/λεµον πολ δακρυν Sχαι ν; 7, 331 τ σε χρ$ π/λεµον µ(ν ªµ0 ^ο* πα3σαι Sχαι ν e 22, 487 Yν περ γ9ρ π/λεµ/ν γε φ γp πολ δακρυν Sχαι ν. v. 26. ν κτα δι9 δι9 δνοφερO δνοφερOν. L’indicazione temporale della caduta di Troia viene formulata mediante un’eco di Od. 15, 50 ν κτα δι9 δνοφερ$ν )λ αν, di cui Marcello conserva la medesima posizione metrica in apertura di esametro; cfr. anche Theogn. v. 672 West2 Μηλ ου )κ π/ντου ν κτα δι9 δνοφερOν. L’aggettivo δνοφερ/ς è usato come epiteto di ν ξ anche in Od. 13, 269 νMξ δ( µ λα δνοφερ$ κ τεχ0 ο,ραν/ν ed in Hes. Th. 106-7 οf Γ4ς )ξεγ νοντο καC Ο,ρανο3 στερ/εντος, / Νυκτ/ς τε δνοφερ4ς. v. 27. παµφαν/ ʖ[ιος] L’aggettivo παµφαν/ων )ν κειτο σελ[ σελ[Oνη] νη]ς κ κλο[ κλο[ς R]µʖο[ιος]. [ιος] παµφαν/ων «bright-shining, radiant» (LSJ, s. v.) appartiene al linguaggio omerico, dove è attestato 18 volte. In Od. 13, 29 è un epiteto di ^ λιος e sottolinea la luce raggiante del sole del giorno che contrasta con il desiderio nascosto di Odisseo il quale si augura che presto giunga il tramonto. In Emp. fr. 98, 2 DielsKranz παµφαν/ων viene riferito invece all’etere ( ιθOρ). Qui παµφαν/ων descrive il chiarore dello stemma presente sui calzari indossati dal dio. Le ultime parole del v. 27 σελ[Oνη]ς κ κλο[ς R]µʖοʖ[ιος] sono state restituite da Peek 1979, 77, il quale, sulla base dell’esame della pietra, da lui personalmente condotto, propone un’integrazione in maggiore accordo con le tracce delle lettere e dello spazio tra le stesse. Per la costruzione di Rµοιος con il genitivo (σελOνης), cfr. Hippocr. Art. 11, 37 το*σι το των µο οισιν e Dion. Hal. Pomp. 4, 3 λεκτικ'ς πo µ(ν Rµοιος δ( ροδ/του, πo δ( )νδε στερος. Skenteri 2005, 37, ricorda a proposito che questo è «a usage that becomes increasingly frequent in postclassical Greek» e rimanda a Blass-Debrunner-Rehkopf 1976, 182, 4. Salmasius 1619, 128, invece aveva proposto σελ[ηνα η]ς κ κλο[ς αgγλης]. Questa integrazione ricorda Od. 4, 45 = 7, 84 Qς τε γ9ρ ^ελ ου αgγλη π λεν ^( σελOνης ma soprattutto Ap. Rh. 4, 167 Uς δ( σεληνα ης διχοµOνιδα παρθ νος 71 αgγλην. Visconti 1794, 86, accettava l’integrazione σελ[ηνα η]ς di Salmasius, forma poetica di σελOνη, però proponeva il sostantivo α,γ4ς che propriamente indica la luce del sole ma in generale «any bright light» (LSJ, s. v. α,γO); cfr. Max. Tyr. 37, 8, 5 καC σελOνης α,γα e Hld. Aeth. 1, 17, 3 πρ'ς µικρ9ν τ4ς σεληνα ας α,γ$ν. Wilamowitz 1928, 14, invece integra la parte finale dell’esametro con l’aggettivo ε,]ρ[ ς] proposto da Sirdmond (ap. Wilamowitz 1928, 14) e confronta il v. 27 con Emp. fr. 43 Diels-Kranz ¬ς α,γ$ τ ψασα σεληνα ης κ κλον ε,ρ ν; ved. anche Peek 1979, 77. Su questo frammento di Empedocle in generale ved. Diels 1880, 175-6. vv. 28-9. τ'ν δ( δ( καC καC Α νε δαι πο[τ0] πο[τ0] )νερρ )νερρ ψαντο πεδ λ7 / [=µµεναι] µµεναι] Α,σʖονʖ [ʖ οις ε] ηγεν εσσι γ ραα. La corretta lettura e integrazione del v. 29 è ε],ʖηγεν garantita da Peek 1979, 77. Con questi due versi Marcello di Side conclude la sua narrazione mitologica definendo il simbolo della mezzaluna γ ραα «gift of honour» (LSJ, s. v. γ ρας). Il poeta riafferma la discendenza degli Italici dai Troiani e riferisce loro l’epiteto ε,ηγενOς (Α,σʖοʖνʖ[ οις ε],ʖηγεν εσσι). Questo elogio degli Italici si trasforma anche in quello di Erode che come italico (α}σονα) viene celebrato in Corinth VIII 3, 128, 6 = 100, 6 Ameling; ved. commento ad loc. v. 30. ο} µιν dν/σσηται. A partire da questo verso Marcello descrive la discendenza di Erode Attico. Wilamowitz 1928, 14, spiega dν/σσηται come perfetto senza raddoppiamento del verbo vνοµαι, attestato solo qui. Sebbene avverta la necessità di un forma verbale al futuro, egli si astiene dal congetturare perché «müsste man dν/σσε*ται verbessern und eine unepische neue Form einführen». Secondo Peek 1979, 81, dν/σσηται è invece congiuntivo di vνοµαι, preceduto dalla negazione ο,, con il valore di futuro in proposizione indipendente, caratteristico della lingua omerica, come, p. es., in Il. 1, 262 ο, γ ρ πω το ους gδον ν ρας ο,δ( gδωµαι e 7, 197 ο, γ ρ τ ς µε β p γε Xκwν κοντα δ ηται; ved. Chantraine 1953, II, 330, §482. Per quanto riguarda il pronome µιν, secondo Wilamowitz 1928, 30, è necessario congetturare al suo posto la negazione µO. Questo intervento testuale viene criticato da Peek che formula la seguente riflessione: «und welcher 72 Schreiber würde gewöhnliches µO in die ihm doch fremde Form µιν verwandeln?» (Peek 1979, 81). Κεκροπ δην. δην La genealogia di Erode si apre con la sua presentazione come discendente di Cecrope, primo re autoctono di Atene; sulla figura di Cecrope in generale ved. Immisch 1890-4, 1014-24. Chiamare Erode Attico Κεκροπ δης è un preziosismo linguistico, che mette in risalto l’appartenenza del retore alla città di Atene, poiché il sostantivo Κεκροπ δης veniva usato come sinonimo di Sθηνα*ος già a partire da Hdt. 8, 44, 12, dove lo storico racconta che gli Ateniesi presero il nome di Cecropidi sotto il regno di Cecrope, Sθηνα*οι δ( )πC µ(ν Πελασγ ν )χ/ντων τ$ν ν3ν Tλλ δα καλεοµ νην Iσαν Πελασγο , dνοµαζ/µενοι Κραναο , )πC δ( Κ κροπος βασιλ ος )πεκλOθησαν Κεκροπ δαι, )κδεξαµ νου δ( hρεχθ ος τ$ν ρχ$ν Sθηνα*οι µετωνοµ σθησαν, cωνος δ( το3 Ξο θου στρατ ρχεω γενοµ νου Sθηνα οισι )κλOθησαν π' το του cωνες; cfr. anche Ar. Eq. 1055 Κεκροπ δη κακ/βουλε e Call. Del. 315 =νθεν ειζ οντα θεωρ δος \ερ9 Φο β7 / Κεκροπ δαι π µπουσι τοπOια νη'ς )κε νης; ved. anche commento a IG II2 3606, 24 = 190, 24 Ameling per l’uso della forma Κ κροπες = Κεκροπ δαι. v. 31. Τυρσην ν ρχα* ρχα*ον )πισφ ριον <γ> ρας νδρ ν. La fibbia con la mezzaluna ()πισφ ριον), qualificata come antica ( ρχα*ον) in collegamento alla narrazione mitologica dei vv. 24-9, è presentata ora come segno d’onore dei Tirreni (Τυρσην ν … νδρ ν) attraverso il sostantivo <γ> ρας, correzione di Salmasius 1619, 128, di τ ρας della stele, accolto all’unanimità da tutti gli studiosi, ad eccezione di Peek 1979, 77, il quale si chiede se qui Marcello di Side non abbia voluto realmente intendere Wunderzeichen. L’origine etrusca dei sandali, qui indicati per sineddoche dalla fibbia con la mezzaluna ()πισφ ριον), viene menzionata per la prima volta da Verg. Aen. 8, 458 Tyrrhena pedum circumdat uincula plantis, in cui Evandro viene ritratto nell’atto di allacciarsi ai piedi i sandali tirreni, designati mediante il ricorso alla sineddoche uincula, che il commentatore Serv. Ad Aen. 8, 458, intendeva come calcei senatorii, ricordandone l’origine dagli Etruschi. Il fatto che Erode indossi anche il sandalo dei patrizi è un’allusione al possesso della cittadinanza romana. In qualità di cittadino romano Erode Attico entrò a fare parte dell’ordine senatorio e ricoprì 73 cariche politiche importanti all’interno delle gerarchie di potere dell’Impero romano. v. 32. nρσης )κγεγα τα καC καC Tρµ Tρµ ω. Erode rivendicava anche una discendenza da Erse ed Ermes, genitori di Cerice (v. 33 Κ4ρυξ), fondatore della famiglia dei Cerici, sacerdoti ateniesi di Demetra, cui spettavano le funzioni sacre, quale quella di ierofante, portafiaccole, araldo sacro e sacerdote presso l’altare; ved. Beschi-Musti, 1982, 411. Riguardo al personaggio di Cerice ved. Oehler 1921, Simon 1992 e Beck 1999. Le fonti antiche tramandano notizie divergenti sull’identità dei genitori di Cerice. Per quanto riguarda il padre, secondo l’attidografo Androt. FgrHist 324, F 1, il giovane era figlio di Ermes mentre secondo Andron FgrHist 10, F 13 di Eumolpo. Quest’ultima informazione viene accolta da Paus. 1, 38, 3 τελευτOσαντος δ( Ε,µ/λπου ΚOρυξ νε τερος λε πεται τ ν πα δων, il quale tuttavia riporta anche la tesi sostenuta dalla stessa famiglia religiosa dei Cerici, secondo cui Cerice era in realtà il figlio di Ermes, [ΚOρυξ] ν α,τοC ΚOρυκες θυγατρ'ς Κ κροπος Sγλα ρου καC Tρµο3 πα*δα εeναι λ γουσιν, λλ0 ο,κ Ε,µ/λπου. La discendenza dal dio viene anche citata da Hesych. κ 2560, s. v. ΚOρυκες. Ancora più divergenti sono le informazioni relative al nome della madre del giovane, perché, come sostiene Jacoby III 1954, 109, gli stessi membri della famiglia sacerdotale dei Cerici nominano in tempi diversi le varie figlie di Cecrope. Androzione (ved. supra) riporta Pandroso come madre di Cerice. Secondo Jacoby l’attidografo, che è la fonte più antica sul tema, rispecchia la tradizione ufficiale del clan dei Cerici del IV sec. a. C. La stessa informazione è registrata da Pollux 8, 103, schol. in Hom. Il. 1, 334, schol. in Aeschin. 1, 20 mentre Pausania (ved. supra) riporta che i Cerici stessi consideravano madre del giovane eleusino Aglauro42. Questa iscrizione invece rivendica come madre di Cerice Erse e acquista maggiore credibilità rispetto alle altre testimonianze coeve, «da es von einem hervorrangenden Mitgliede des Geschlechtes und gelehrten Kenner des Attischen Alterthums ausgeht» (Dittenberger 1885, 2, n. 2); ved. anche Simon 1992, 36. L’unione tra Ermes ed Erse è anche confermata da 42 Invece secondo Hellanic. FgrHist 323a F 1 Aglauro aveva generato ad Ares la figlia Alcippe mentre secondo Philoch. FgrHist 328 F 105 la fanciulla sacrificò se stessa per il bene della città di Atene. 74 Apollod. 3, 14, 3, dal quale si apprende che Erse generò a Ermes il figlio Cefalo. In Ov. Met. 2, 726-47, 809-13 Erse è descritta come la donna amata dal dio. Jacoby III, 1954, 109, ritiene che l’oscillazione dell’attribuzione della maternità a una delle figlie di Cecrope sia dovuta anche al fatto che le fonti antiche relative al racconto dell’affidamento di Erittonio bambino alle cure delle tre figlie di Cecrope da parte della dea Atena, presentano a volte Pandroso, a volte Erse, come l’unica fanciulla che rimase fedele al divieto della dea di non aprire il cesto contenente il bambino; ved. commento al v. 54. v. 33. ε )τε )τε' τε'ν δ$. δ$. Si tratta di un nesso omerico che, ad eccezione di Od. 23, 107, dove ricorre in clausola di esametro, è adoperato nei poemi omerici sempre ad apertura di verso; cfr. Il. 7, 359; 12, 233; 13,375; Od. 19, 216; 23, 36. Ε )τε'ν δ$ viene adoperato anche dall’epica successiva come clausola di esametro in Ap. Rh. 2, 209; 4, 292 e in Arat. Phaen. 1, 30. Θησηι δαο. La genealogia di Erode si conclude con la figura di Teseo, il sovrano che unificò l’Attica. Wilamowitz 1928, 15, definisce Θησηι δης «Neubildung nach Πηλι δης», usato con il significato di «Athener». Tanto questo genitivo in -αο quanto il precedente in -εω ( ρ δεω) sono tipici della lingua omerica. v. 34. το} το}νεκα τειµO τειµOεις καC καC )π )π νυµος. νυµος La genealogia divina e mitica di Erode Attico viene presentata al v. 34 come il motivo degli onori a lui consessi; vedi a riguardo Galli 2002, 116. Secondo Franzius 1853, 924, «τιµOεις ad dignitatem senatoriam pertinet; )π νυµος ad consulatum». La forma τειµOεις della pietra corrisponde a τιµOεις. vv. 34-35. I µ( µ(ν mνασσα[ν] / )ς βουλ$ βουλ$ν γ ρεσθαι. In questi versi il poeta ricorda l’ammissione di Erode Attico al Senato romano. Wilamowitz 1928, 15, così parafrasa il testo greco: «τιµ;ται καC )π νυµ/ς )στιν, Qστε τ' µ(ν ε ς τ$ν σ γκλητον κληθ4ναι ε ς προεδρ αν». Peek 1979, 81, osserva che in base a Il. 18, 245 )ς δ0 γορ$ν γ ροντο, modello di Marcello per questa espressione, il verbo γ ρεσθαι «kann eigentlich nur einen Plural bei sich haben» e pertanto corregge l’interpretazione di Wilamowitz in «er versammelte sich zu den Vätern, wurde zu d. V. versammelt» (Peek 1979, 81). 75 La proposizione finale-consecutiva, espressa dall’infinito γ ρεσθαι, descrive la partecipazione di Erode alle sedute del Senato romano come il massimo onore politico conferitogli. Essa è introdotta dalla congiunzione epica I µ(ν, in correlazione con δ del v. 36, dove Marcello celebra Erode Attico come il più grande retore della Grecia. «I µ(ν zeigt, daß eigentlich das Entsprechende für Athen folgen sollte, dafür tritt das stärkere ein, daß ihm in ganz Hellas der erste, königliche Rang zusteht durch Adel der Zukunft und Ruhm als Redner» (Wilamowitz 1928, 15). La correlazione I µ ν = ^µ ν… δ è piuttosto rara ed è attestata solo in Il. 12, 428 e corrisponde a ^µ ν… ^δ , ^µ ν…κα , ^µ ν…τ ; per le attestazioni di queste congiunzioni ved. Denniston 19542, 287. Essa ha il significato di «“verily on the one hand”, “verily on the other”» (Denniston 19542, 287). Singolare è l’uso del sostantivo mνασσα come aggettivo, per il quale Peek 1979, 81, ricorda che Kaibel aveva citato a confronto Mart. 14, 1 Jakob dominusque senatus43. rνα πρωτ/ πρωτ/θρονες ¨δραι. L’aggettivo πρωτ/θρονος è un epiteto di Artemide in Call. Dian. 228. Paus. 10, 38, 6 τ4ς Πρωτοθρον ης καλουµ νης Sρτ µιδος, conosceva a Efeso l’esistenza di un’altare dedicato alla dea Artemide che ha il primo trono. Al plurale πρωτ/θρονες è attestato solo qui come aggettivo di ¨δραι e precisa che nel Senato romano il posto di Erode è in prima fila. Cfr. anche Nonn. Paraphr. Jo. 11, 189-90 •χι γερ/ντων / ε ς ¿ν γειροµ νων πρωτ/θρονος ¨ζετο βουλO. vv. 36-37. Tλλ δι δ0 δ0 ο}τε γ νος βασιλε τερος ο} ο}τε τι φων$ φων$ν / ρ δεω, γλ σσ ν δ τ µιν καλ ουσιν Sθην ων. ων In Grecia Erode si distingue per l’appartenenza a una famiglia che vanta antenati mitici e per la sua abilità retorica, che gli ha assicurato l’onore di essere battezzato lingua della Grecia. L’elogio della superiorità di Erode è formulata in toni solenni anche in Corinth VIII 3, 128 = 100 Ameling, dove egli viene definito µ γας …=ξοχος mλλων (v. 3), [i π]/ʖσιν TλλOνων περ βωτον xπ ντων (v. 5), mνθος Sχαιι δος (v. 6); cfr. commento ad loc. Il superlativo βασιλε τερος è attestato nella lingua omerica in Il. 9, 160, 392; 43 Jakob aveva accolto nel testo di Marziale la lezione senatus di β γ mentre BAILEY 1990 stampa senator di T. 76 10, 239; Od. 15, 533, dove designa la potenza di un sovrano; ved. Schmidt 1982a, s. v. Esso viene ripreso da Tyrt. fr. 9, 7 Gentili-Prato ο,δ0 ε Τανταλ δεω Π λοπος βασιλε τερος εgη; Ap. Rh. 4, 1102 ο, γ ρ τις βασιλε τερος Α Oταο e Orph. Arg. 851 κρ ναντες τιν0 mριστον, < ς βασιλε τερ/ς )στιν44. Qui βασιλε τερος è accompagnato dai due accusativi di relazione γ νος e φωνOν. I vv. 36-7 richiamano degli appellativi con cui gli allievi di Erode Attico solevano chiamare il loro maestro. Flavio Filostrato, p. es., racconta nella vita di Adriano di Tiro (V. S. 2, 586, 15) che questi chiamava Erode il re dell’eloquenza (τ'ν βασιλ α τ ν λ/γων). Anche Rufo di Perinto (V. S. 2, 598, 11-13) era solito denominare il maestro signore (δεσπ/την), lingua dei Greci (TλλOνων γλ τταν), re dei discorsi (λ/γων βασιλ α) e attraverso altri appellativi del genere. Per quanto riguarda la successione delle due particelle δ τε Wilamowitz 1928, 15, annota che queste possono essere spiegate solo come un antico uso epico; ved. Denniston 19542, 528-9. vv. 38-40. Con questi versi Marcello riporta l’attenzione su Regilla, completandone la discendenza da personaggi mitici, quali Enea (v. 38 Α νει νη), Ganimede (v. 39 Γανυµηδε η) e l’intera stirpe troiana (v. 39 ∆αρδ νιον γ νος) fino al fondatore della città di troia Troo, figlio di Erittonio (v. 40 Τρω'ς hριχθον δαο). La citazione degli antenati mitici di Regilla richiama alla mente Il. 20, 215-242, dove Enea illustra ad Achille la sua stirpe. In questo modo il poeta accresce il grado di dignità della donna. v. 38. i δ( καC καC α,τO περ καλλ σφυρος Α νει νη. Il sostantivo Α νει νη è attestato solo in questo epigramma di Marcello che attraverso l’epiteto omerico καλλ σφυρος «mit schönen Fesseln» (Führer 1989b, s. v.) descrive la bellezza di Regilla alla stregua di quella di mitiche figure femminili: Marpessa in Il. 9, 557, 560, Danae in Il. 14, 319, Ino in Od. 5, 333 ed Ebe in Od. 11, 603. In H. Hom. Cer. 453 καλλ σφυρος qualifica la bellezza della dea Demetra mentre in H. Hom. Diosc. 2 è un epiteto di Leda. Sulla funzione dell’epiteto καλλ σφυρος cfr. Apoll. 44 DE MARTINO-VOX 1996, 574, precisano che «da un sostantivo è possibile formare comparativi e superlativi» e ricordano i parodici κ ντατος e Dστατος di Timo Fliasius fr. 51, 2 Di Marco, χαρι στερος di Tyrt. fr. 9, 5 Gentili-Prato e λιοδωρ/τερον dal nome proprio λι/δωρος di Lucil., A. P. 11, 134, 4. 77 Lex. Hom. 94, 21 καλλ σφυρος. π' Xν'ς µ ρους τ$ν Rλην καλ$ν βο λεται δηλο3ν. Per quanto riguarda la particella enclitica περ, essa viene impiegata qui dal poeta semplicemente per sottolineare il termine cui si riferisce secondo un uso omerico registrato, p. es., in Il. 21, 308 φ λε κασ γνητε σθ νος ν ρος µφ/τερο περ; per altri esempi ved. Denniston 19542, 482, il quale spiega che «the particle denotes, not that something is increased in measure, but that the speaker concentrates on it to the exclusion of some other particular thing thus excluded or contrasted». v. 39. Γανυµηδε η. Il sostantivo è attestato solo qui e presenta Regilla come discendente di Ganimede, figlio di Troo, il quale in Il. 20, 231-2 viene definito pari agli dei nonché il più bello di tutti quanti i mortali; ved. Drexler 1886-90 e Friedländer 1910. «Being famous for his good looks, Ganymedes may well have been mentioned in this context also in order to further enhance Regilla’s own beauty» (Skenteri 2005, 42). vv. 40-1. Con il v. 40 il poeta conclude la prima parte del poemetto dedicata alla descrizione della discendenza di Erode e di Regilla e inizia a illustrare la condizione della donna dopo la morte. Il passaggio a questa nuova sezione è segnato dall’invito a compiere sacrifici, rivolto direttamente al lettore. In questo modo Marcello ritorna al tema con cui egli aveva aperto il componimento; cfr. vv. 1-2. \ερ9 ερ9 N ξαι. ξαι Questo sintagma è presente in Il. 1, 147 vφρ0 `µιν Xκ εργον \λ σσεαι \ερ9 N ξας; Od. 1, 61 Sργε ων παρ9 νηυσC χαρ ζετο \ερ9 N ζων e 3, 5 τοC δ0 )πC θινC θαλ σσης \ερ9 N ζον. θ3σαι. Il verbo è qui usato in senso assoluto con il significato di «offer sacrifice» (LSJ, s. v. θ3ω, 3). Dal momento che tutti e due gli imperativi fanno riferimento al sacrificio, Wilamowitz 1928, 15, puntualizza che «\ερ9 N ξαι muss weniger sein als θ3σαι, da nur dies als nicht gefordert hingestellt wird». v. 41. θυ ων τ9ρ ο, ο,κ κοντος ν γκη. L’uso di θ ος al plurale è caratteristico di Omero; ved. Führer 1989a, s. v. Il sostantivo indica «Brandopfer im Ggs. zu Trank- (λοιβO, σπονδO) u. Schlachtopfer» (Führer 1989a, s. v.). Wilamowitz 1928, 15, pone la sua attenzione sull’insolita sequenza delle parole: 78 « τ ρ nachgestellt ganz ungewöhnlich, Dindorf belegt es im Thesaurus aus den Sibyllinen XI 229, wo es nicht entbehrt werden kann. Auch ο, ist kühn von ν γκη getrennt, und κοντος steht für den bequemen Dativ nur um den Hiat zu meiden; bei normaler Stellung würde der Genitiv für )9ν δ( µ$ θ ληι leichter verstanden». Il genitivo κοντος in Omero è usato come genitivo assoluto nel significato di «gegen das Wollen einer Person»; ved. Philipp 1956, s. v. κων IV, 1-2. v. 42. ε<E> ε<E> δ τοι ε, ε,σεβ εσσι καC καC -ρ -ρ ων λεγ ζειν. La pietra presenta ad apertura di questo verso ΕΙ∆ΕΤΟΙ che Kaibel 1878, 465, corregge in ε<E> δ τοι con approvazione degli studiosi successivi. Qui l’avverbio εE ha il significato di καλ/ν. Si tratta di una proposizione ellittica da cui dipende l’infinito λεγ ζειν. Con il valore di predicato εE è attestato in Aesch. Ag. 216, Ch. 166, 338, Eur. Alc. 627, SIG3 953, 9. Wilamowitz 1928, 15, benché stampi nel testo la congettura di Kaibel, rivela i suoi dubbi: «Ich habe Kaibels εE δ τοι ε,σεβ εσσι λεγ ζειν nicht ohne Bedenken aufgenommen, denn sei auch εE für καλ/ν gesagt, was schon nicht bequem ist, so liegt darin nicht die Pflicht, und sie erwartet man. Daher lag der Einfall ε,σεβ ς )στι (Jacobs) nahe, aber dann ist λεγ ζειν zu schwach, denn das tut auch der, welcher nicht θ ει. Treffend ist nur ο,κ ν γκη θ ειν, ν γκη δ( το*ς γε ε,σεβ σιν τ ν -ρ ων )πιστρ φεσθαι. Vielleicht ist also i δ τοι (d. h. ν γκη) vorzuziehen». Sulla base di questa osservazione Wilhelm 1939, 208, congettura la forma verbale <δ>ε*, da cui dipendono l’infinito λεγ ζειν e il dativo della persona ε,σεβ εσσι al posto del più comune accusativo. Per questa costruzione di δε* con il dativo, Wilhelm 1939, 208, cita da Kühner-Gerth 1898 I, 297 degli esempi, cioè Soph. OC 721 ν3ν σοι (così LA, Nauck: σ'ν) τ9 λαµπρ9 τα3τα δε* (così A, δ$ L e Nauck: δ$) φα νειν =πη; Eur. Hipp. 940-1 θεο*σι προσβαλε*ν χθονC / mλλην δεOσει γα*αν; Xen. An. 3, 4, 35 δε* )πισ ξαι τ'ν rππον Π ρσp νδρι; Mem. 3, 3, 10 εg σοι δ οι διδ σκειν ed Oec. 8, 9 διαλ γειν δ οι α,τ2. vv. 43-45. In questi versi la nuova condizione di Regilla viene espressa attraverso una serie di espressioni caratterizzate dalla litote e dall’anafora delle negazioni ο}τε (v. 44) e ο,δ (v. 45). 79 v. 43. ο, µ(γ γ9 γ9ρ θνητO, θνητO, τ9ρ ο, ο,δ( θ αινα τ τυκται. «Sensus loci est, si quis volet rem divinam Regillae facere, faciat. Nemo vero ad hoc cogitur» (Fiorillo 1801, 164-5). Peek 1979, 82, vi legge una possibile eco di Il. 5, 402 ο, µ(ν γ ρ τι καταθνητ/ς γε τ τυκτο. Caratteristici della lingua omerizzante sono qui sia l’uso della congiunzione avversativa τ ρ, per rafforzare l’opposizione al predicato precedente (cfr. supra), sia la collocazione della forma verbale τ τυκται in clausola, presente anche nell’epigramma SEG 23, 121, 3 = 99, 3 Ameling τ/ µοι ο κ α τα3τα τ τυκται in onore di Regilla defunta; cfr. commento ad loc. Per Galli 2002, 116 «im Vers 43 ist eine bewusste semantische Ambivalenz festzustellen: „nicht sterblich - kein Göttin“; dieser rhetorische Chiasmus wird auf den Charakter der in der Inschrift erwähnten Baulichkeiten übertragen». L’ambivalenza semantica è determinata, secondo lo studioso, dalla particolarità della costruzione dedicata a Regilla nel Triopio. «Der Text weist den Betrachter sehr deutlich darauf hin, daß das, was er beobachtet, kein Grabbau für eine wirkliche Bestattung ist, sondern ein Denkmal, das auf sakrale sowie sepulkrale Gestaltungsformen anspielt (Galli 2002, 116). v. 44. το} το}νεκεν ο}τε νεw νεwν \ερ' ερ'ν λ χεν ο}τε τι τ µβον. µβον. Anche in Corinth VIII, 3, 128, 5 = 100, 5 Ameling [i π]/ʖσιν TλλOνων =λαχεν περ βωτον xπ ντων, la sorte privilegiata assegnata a Regilla viene espressa dal verbo λαγχ νω. v. 45. ο,δ( γ ρα θνητο* θνητο*ς, τ9ρ ο, ο,δ( θεο* θεο*σιν Rµοια. Wilamowitz 1928, 16, osserva che «43 und 45 ist mit Absicht der vierte Fuß zerrissen». In tutti e due i versi il poeta fa uso della litote, della congiunzione avversativa τ ρ per rafforzare il significato della disgiuntiva ο,δ , dell’aggettivo θνητ/ς e rispettivamente dei sostantivi θ αινα e θε/ς. Le offerte da portare a Regilla sono diverse tanto da quelle per i mortali quanto da quelle dovute agli dei perché devono essere proprie di un’eroina. 46. σ4 σ4µα µ ν ο\ ο\ νη2 νη2 gκελον gκελον δO δOµ7 )ν )ν SθOνης. A questo punto del lungo epigramma Marcello specifica che la tomba di Regilla si trova in Attica e che è simile a un tempio. Peek 1979, 82, cita come parallelo per l’espressione σ4µα µ ν ο\ νη2 gκελον SEG XIV 666, 1 µν4µ0 gκελον ναο*σι θε[ ν πρ πον )στι θαν/ντι] mentre Ameling 1983, 159 Stat. Silv. 5, 3, 48 par templis opus come già aveva osservato Fiorillo 1801, 166. Questa stessa informazione relativa alla tomba di 80 Regilla viene anche offerta da IG XIV 1392 = 145 Ameling ρ δης µνηµε*ον καC το3το εeναι τ4ς αjτο3 συµφορ;ς καC τ4ς ρετ4ς τ4ς γυναικ/ς. =στιν δ( ο, τ φος· τ' γ9ρ σ µα )ν τo Tλλ δι καC ν3ν παρ9 τ2 νδρ )στιν. Per Galli 2002, 117, questo verso è una prova del fatto che Erode Attico volesse instaurare dei collegamenti tra le varie costruzioni fatte edificare in diversi luoghi per la memoria della moglie. L’uso del termine σ4µα come tomba è già omerico; ved. Langholf 2006, s. v. σ4µα, 2. Per σ4µα in apertura di esametro accompagnato dal dativo della persona cfr. Od. 2, 222 e 11, 75, in cui sostantivo e pronome sono separati dalla particella enclitica δ . L’espressione δOµ7 )ν SθOνης è una perifrasi per indicare la città di Atene, così come nel verso successivo σκ4πτρον !αδαµ νθυος descrive le isole dei beati. 47. ψυχ$ ψυχ$ δ( σκ4 σκ4πτρον !αδαµ νθυος µφιπολε ει. Il v. 47 si apre con il sostantivo ψυχO, contrapposto a σ4µα del verso precedente. Qui Marcello sottolinea il fatto che, sebbene il corpo di Regilla sia custoditο in Attica, l’anima serve lo scettro di Radamante. Sulla figura mitica di Radamante ved. Jessen 190915, Malten 1914 e Schlapbach 2001. Σκ4πτρον !αδαµ νθυος è una sineddoche e indica le isole dei beati. Già ai vv. 8-9 il poeta aveva indicato in questa sede la dimora di Regilla dopo la morte. La contrapposizione tra il destino riservato al corpo (σ4µα) e quello riservato all’anima (ψυχO) è tipica degli epitaffi, dove è anche attestata la presentazione delle isole dei beati come luogo riservato alle anime degli uomini divenuti semidei dopo la morte; ved. Lattimore 1942, 31-6. L’associazione di Radamante con le isole dei beati risale già ad Od. 4, 563-4 che stabilisce in questo luogo la dimora del figlio di Zeus ed Europa. Dai vv. 8-9 e 47 è deducibile che Marcello di Side rappresenti le isole dei beati secondo una tradizione mitica che aveva fatto di Radamante il regnante di questo luogo in qualità di paredro di Crono; cfr. Pind. O. 2, 75-7 βουλα*ς )ν dρθα*σι !αδαµ νθυος, / ν πατ$ρ =χει µ γας Xτο*µον α,τ2 π ρεδρον, / π/σις 81 π ντων ! ας / jπ ρτατον )χο σας θρ/νον45. La presentazione di Regilla come ancella dello scettro di Radamante è anche un elogio della sua σωφροσ νη, ricordata in Corinth VIII 3, 128, 2 = 100, 2 Ameling e presentata al v. 10 di questo componimento come il motivo del privilegio ottenuto dopo la sua morte. La poesia arcaica aveva fatto di Radamante un esempio di giustizia (cfr. Hes. fr. 141 Merkelbach-West; Ibyc. fr. 309 Page) e di saggezza (Theogn. v. 701 West2; Pind. P. 2, 73-4). «wollte man einen gerechten Mann loben, so sagte man, er zeige Ραδ µανθυς τοMς τρ/πους (Bekker, Anecd. Graec. 1, 61, 23) [= fr. adesp. 656 Kassel-Austin], oder er sei noch gerechter als Rh. (Euripid. Kyklops 273)» (Jessen 1909-15, 78). Per queste qualità Radamante era stato chiamato a giudicare le anime dei defunti insieme ai fratelli Eaco e Minosse. Come legislatore dei defunti Radamante compare in Plat. Ap. 41a 3, Gorg. 523e 6-524a 4, Dem. 18, 127, Aristot. EN 1132b 25, Apollod. 2, 4, 9 e 3, 1, 2. v. 48. το3 το3το δ( δ( Φαυστε νp κεχαρισµ νον tσται mγαλµαʖ. Alla precisazione della collocazione del corpo e dell’anima di Regilla in due luoghi distinti (vv. 467) segue ora l’indicazione della presenza della statua della donna nel territorio del Triopio romano (το3το … mγαλµαʖ), cui viene riferita l’espressione Φαυστε νp κεχαρισµ νον, attraverso la quale Marcello indica per la prima volta per nome l’imperatrice Faustina deificata. vv. 49-50. δOµ7 )ν )νC Τρι/ Τρι/πεω, rνα ο\ ο\ π ρος ε, ε,ρ ες γροC γροC / καC καC χορ' χορ'ς -µερ δων καC καC )λαι )λαιO λαιOεντες mρουραι. Questi versi descrivono il Triopio come un locus amoenus, ricco di coltivazioni di uliveti e vigneti appartenuti a Regilla come si legge in IG XIV 1391 = 144 Ameling Sνν α !ηγ λλα ρsδου γυνO, τ' φ ς τ4ς ο κ ας, τ νος τα3τα τ9 χωρ α γ γοναν· Annia Regilla Herodis uxor lumen domus cuius haec praedia fuerunt. δOµ7 )ν )νC Τρι/ Τρι/πεω. Il sostantivo δ4µος nell’accezione di «district, country, land» (LSJ, s. v.), seguito dal genitivo singolare del nome di un paese, rientra tra le caratteristiche della lingua omerizzante; cfr. Il. 3, 201 = Od. 13, 97 = 15, 534 = 16, 419 )ν δOµ7 |θ κης; Od. 1, 136 Ιθ κης )νC δOµ7; 1, 237 Τρ ων )νC δOµ7; 45 In merito JESSEN 1909-15, 81, sostiene che «Pindar vereinigt offenbar zwei verschiedenen ältere Sagen: nach der einen war Kronos der eigentliche Herrscher auf den Inseln der Seligen, nach der anderen, die spät Lukian, ver. hist. 2, 6 ff. so weit ausgeschmückt wiedergibt, war Rh. dort der oberste Gebieter». 82 13, 266 δOµ7 =νι Τρ ων; Il. 16, 437 = 514 Λυκ ης )ν π ονι δOµ7; ved. Schmidt 1982c, s. v. δ4µος. Al v. 64 il poeta riprende il nesso δ4µον … Τρι/παο. -µερ δων. Per la chiusura dell’hemiepes maschile con -µερ δων cfr. v. 82 µηδ τις -µερ δων vρχους, < )ς mλσεα δ νδρων, dove il sostantivo χορ/ς è sostituito dal sinonimo vρχος, e Maced. A. P. 11, 63, 2 )λπ σιν -µερ δων N ψατε τ$ν πεν ην e Opp. C. 1, 127 καC β/τρυς -µερ δων θλ βων )πιλOνια χα ρει. )λαιO λαιOεντες mρουραι. Fiorillo 1801, 167, annota «)λαιOεντες pro )λαι εσσαι dixit. Sic Homerus Od. α´, 246. jλOεντι Ζακ νθ7, pro a jλη σση». L’aggettivo )λαιOεις è attestato per la prima volta in Soph. fr. 457 Radt νηδMς ... )λαι εσσα, dove significa «oily» (LSJ, s. v.), ed è ripreso in età ellenistica da Nic. Ther. 676 Ασαι δ0 =γχλοα φλοι'ν )λαιOεντα κρ/τωνος, con il significato di «of the olivetree» (LSJ, s. v.). Qui )λαιOεις qualifica il sostantivo mρουρα al plurale e assume l’accezione di «planted with olives» (LSJ, s. v.). Per la collocazione di mρουραι in clausola di esametro cfr. Il. 14, 122; 23, 599; Hes. Op. 461; Ap. Rh. 1, 451; 4, 271, Arat. 1, 150, 868, 902, 1050; Opp. C. 1, 464; 2, 150; D. P. 950. v. 51. ο} ο} µ<ι>ν τιµO τιµOσειε θεO, θεO, βασ λεια γυναικ γυναικ ν. La stele presenta la lezione µOν corretta in µιν per ovvi motivi metrici. Per l’uso dell’ottativo senza mν Kühner-Gerth 1904, II, 225, annotano: «Demnach ist der Optativ (ohne mν) in Hauptsätzen zunächst als optativus potentialis der Ausdruck des bloss Vorgestellten, der subjektiven Annahme, wobei das Verhältnis dieser Annahme zur Wirklichkeit außer Betracht bleibt». Wilamowitz 1928, 16, precisa: «mν beim Optativ fortgelassen, seit Arat in der Poesie unbestreitbar». L’intero verso fa riferimento alla nuova Demetra, cioè a Faustina, qui indicata come θεO, forma ionica non attestata nell’epica omerica, bensì in quella ellenistica di Ap. Rh. 3, 252 )πε Nα θε4ς α,τ$ π λεν ρOτειρα; 549 ε )τε'ν Φινε ς γε θεo )νC Κ πριδι ν/στον / π φραδεν =σσεσθαι; 4, 241 Ο\ δ0, ν µου λαιψηρ9 θε4ς βουλoσιν ντος ³Ηρης; cfr. anche Rhian. fr. 67, 5 Powell e Nic. Ther. 16 e 487. Al sostantivo θεO si accompagna, a fine di esametro, l’epiteto βασ λεια γυναικ ν, come in Od. 11, 258, dove qualifica Tiro. v. 52. µφ πολον γερ ων =µεναι καC καC dπ dπ ονα ν µφην. µφην In modo simile Ecate viene presentata come ministra di Persefone in H. Hom. Cer. 440 )κ το3 ο\ πρ/πολος καC dπ ων =πλετ0 mνασσα; ved. Fiorillo 1801, 168. Per µφ πολος 83 nell’accezione di «prist, sacrist» (LSJ., s. v., 3) cfr. Eur. IT 1114; fr. 992 Kannicht µφ πολος ‰ρεος νι ρου; Antip. Sid. A. P. 7, 425, γλα3ξ ªδε γλαυκ;ς Παλλ δος µφ πολον e IGUR III 1356, 1 τ$ν ∆ι'ς µφ πολ/ν µε Χελιδ/να; ved. anche Fiorillo 1801, 168-9. Per quanto riguarda dπ ων, in Omero e nei tragici è un sostantivo che designa il compagno o lo scudiero. Qui invece dπ ων è usato come aggettivo nel significato di «following» (LSJ, s. v.). Si tratta di un uso tardo attestato per la prima volta in Opp. H. 5, 489 το p γ9ρ dπ ονι νOχετο Nιπp. 53. ο, ο,δ( γ9ρ |φιγ φιγ νειαν ) θρονος |οχ αιρα. αιρα Nei versi 53-4 il poeta offre due esempi di ancelle che dopo la morte ottennero il privilegio di diventare sacerdotesse delle loro dee protettrici. L’anafora della negazione ο,δ (vv. 53-5) stabilisce un parallelo tra il comportamento delle dee e quello che verrà assunto da Faustina nei confronti di Regilla. Il primo esempio mitico riguarda Ifigenia, salvata dalla dea Artemide in Aulide, prima che si compisse il sacrificio della vergine per placare l’ira della dea; su Ifigenia e i culti religiosi connessi ved. Krauskopf 1990, Larson 1995 e Johnston 1998. Franzius 1853, 925, è del parere che qui Marcello non si riferisca al sacerdozio di Ifigenia in Tauro, poiché in quel periodo la fanciulla era ancora una mortale, ma a quello in Brauro, dove Ifigenia aveva un culto accanto a quello di Artemide. La dea non viene qui chiamata per nome. La sua identità viene invece rivelata dagli epiteti ) θρονος e |οχ αιρα. Il primo è insolito per Artemide, visto che in Omero è sempre riferito ad Aurora, mentre in Pind. I. 2, 5 qualifica la dea Afrodite e in P. 9, 60 e Bacch. 15, 3 le Ore. La seconda qualifica invece è un epiteto poetico di Artemide che illustra l’amore della dea per la caccia, ed è attestato sin dai poemi epici in clausola di esametro; ved. Wernicke 1895, 1345. 54. ο,δ0 nρσην nρσην γοργ πις πητ µησεν SθOνη. La seconda eroina che dopo la morte venne onorata con un sacerdozio divino è Erse; ved. Sittig 1912, Kron 1981 e Waldner 1998. Franzius 1853, 925, ricorda che nessun’altra fonte menziona Erse come sacerdotessa di Atena «sed hanc quoque pro eroina cultam esse suspicari licet inde, quod eius soror Aglaurus fanum habebat». Seeliger 188690, 2590, aggiunge che Erse, insieme alle sorelle Aglauro e Pandroso, veniva 84 venerata ad Atene come ninfa della fertilità; ved. Baudy 1992. Larson 1995, 39, cita una processione in suo onore, chiamata Erseforia, confusa con l’Arreforia; ved. Nilsson 1955 I2, 441-2 e Burkert 1966, 6. La figura di Erse è legata al mito delle tre figlie di Cecrope che violarono il divieto della dea Atena di non aprire la cesta in cui giaceva Erittonio neonato, affidato alle loro cure. Secondo Apollod. 3, 14, 6, tutte e tre le fanciulle vennero uccise dai serpenti che avvolgevano il bambino, mentre secondo Eur. Ion 24-6, 273-5 e Paus. 1, 18, 2, esse, rese folli dalla dea adirata, si diedero la morte gettandosi dall’alto dell’acropoli. Il mito conosceva anche altre versioni secondo le quali soltanto una delle figlie di Cecrope, o Pandroso (Paus. 1, 18, 2 e Apollod. 3, 14, 6) o Erse (Antig. Caryst. 12, 2) sarebbe rimasta fedele alla promessa fatta alla dea. Il poeta, che al v. 33 aveva già presentato Erse come madre di Cerice, facendosi portavoce di Erode Attico, esponente della famiglia dei Cerici, privilegia la versione del mito che libera Erse dalla hybris nei confronti di Atena e rivendica in questo modo alla fanciulla l’onore divino dopo la morte come premio per la sua fedeltà. In questo modo Marcello contribuisce a conferire maggiore prestigio alla discendenza mitica del ricco ateniese; cfr. anche commento al v. 32. Il nome della dea Atena viene accompagnato dall’epiteto γοργ πις «terribilis aspectu» (TLG, s. v.); così viene qualificata anche in Soph. Aj. 450 e fr. 760, 2 Radt. 55-6. ο, ο, δ µιν -ρsνpσι παλαιo παλαιoσιν µεδ ουσα / Κα σαρος φθ µοιο παρ/ παρ/ψεται vµπνια µO µOτηρ. τηρ Per la forma -ρsνpσι ved. commento a v. 8. A Wilamowitz 1928, 17, si deve l’identificazione della madre dell’imperatore (Κα σαρος … µOτηρ) con Faustina e non con Domizia Calvilla, come avevano voluto i suoi predecessori. Faustina maggiore viene presentata attraverso gli epiteti µεδ ουσα e vµπνια. In Omero la forma maschile µεδ ων viene impiegata come epiteto di Zeus nella formula Ζε3 π τερ cδηθεν µεδ ων κ διστε µ γιστε, attestata, p. es., in Il. 3, 276; ved. Führer 1993a, s. v. Il femminile µεδ ουσα è una qualifica di molte divinità, quali Afrodite in H. Hom. Ven. 10, 4, Mnemosyne in Hes. Th. 54, e Atena in Ar. Eq. 585, 763 e Plu. Them. 10. La costruzione con il dativo (-ρsνpσι παλαιoσιν) è già attestata in Pind. O. 7, 87-8 Ζε3 π τερ, 85 ν τοισιν Sταβυρ ου / µεδ ων e in Maced. A. P. 6, 30, 7 µεδ ων καC χθονC καC πελ γει. Per quanto riguarda la definizione di Faustina come vµπνια, questo epiteto ne mette in risalto il ruolo di nuova Demetra perché vµπνια è un epiteto di Demetra in Call. Aet. fr. 1, 10 Pfeiffer, ripreso anche da Nonn. 11, 213. Hesych ο 828, glossa vµπνια come καρποφ/ρος e s. v. vµπνιος λειµ ν (ο 831) aggiunge: τ ν πυρ νων καC ∆ηµητρ ων καρπ ν· )πεC ¥µπνια - ∆ηµOτηρ. Il v. 56 si caratterizza per il riferimento all’imperatore in carica Marco Aurelio, cui viene riferito l’epiteto omerico gφθιµος «strong, mighty» (Beck 1989, s. v.), che Marcello riprende al v. 98 per caratterizzare la forza con cui Triope devastò il maggese di Demetra a Cnido (ved. infra). 57. )ς χορ' χορ'ν )ρχοµ νην προτερ ων -µιθε ων. ων Il v. 57 è una metafora della trasformazione in eroina di Regilla, che viene ritratta mentre giunge nel coro delle antiche semidee. Per l’espressione προτερ ων -µιθε ων cfr. Orph. Lith. 70 ‹λετο δ( προτ ροις πεπονηµ νον -µιθ οισιν / =ργον e 619-20. 58. i λ χεν ^λυσ pσι pσι χοροστασ pσιν pσιν ν σσειν. Mentre Leopardi (ap. Flora 1940, 554) riferiva la frase relativa a vµπνια µOτηρ del v. 55, Wilamowitz 1928, 17, esclude tale interpretazione «denn in dem Spiele mit den Götternamen wird keine Konsequenz verlangt […]. Regilla als Chorführerin der seligen Frauen soll in unserer Phantasie haften und ihre Apotheose krönen». Più prudentemente Skenteri 2005, 43, definisce la sorte assegnata a Regilla non un’apoteosi ma «something in between the fate of ordinary mortals and the trasformation into an actual god». La studiosa è dell’opinione che questi versi siano un chiaro esempio dell’abilità di Marcello nel creare ambiguità. «It is probable that the poet intentionally introduces an ambiguity here, so that the readers can believe what they want, and the same time both Herodes and the Emperor can be satisfied with the result» (Skenteri 2005, 38). χοροστασ pσιν pσιν. σιν Il termine viene definito da Bulloch 1985, 174 «a rare noun, apparently a Hellenistic coinage formed from the common expression χορ'ν \στανναι». Si tratta infatti di un termine poetico attestato, p. es., in Hermesian. 7, 58 Powell, Call. Lav. Pall. 66, Antip. Sid. A. P. 9, 603, 2, D. P. 482, Nonn. D. 46, 165 e Leont. A. P. 16, 284, 2. 86 ν σσειν. σσειν La posizione dell’infinito presente ν σσειν in clausola è tradizionale della lingua omerica; cfr. Il. 1, 288; 2, 108; 6, 478; Od. 11, 491. v. 59. α,τb τ0 Sλκµ< Sλκµ<O> λκµ<O>νη O>νη τε µ καιρ τε Καδµει νη. Con questo verso si conclude IG XIV 1389 A. La collocazione nelle isole dei beati di Alcmena, sposa di Anfitrione e madre di Eracle (Od. 11, 266-8), ricorda una versione del mito presente in Pherecyd. FgrHist F 84, Plu. Rom. 28, 12 e Paus. 9, 16, 7, secondo cui la donna, dopo la morte fu portata da Ermes sulle isole dei beati, dove fu data in sposa a Radamente; per le varianti del mito ved. Wernike 1894b; riguardo alla figura mitica di Alcmena ved. Trendall 1981, Larson 1995, 91-3 e Harder 1996. Nessun precedente ha invece la presentazione di Semele, madre del dio Dioniso (Il. 14, 325), sulle isole dei beati, poiché alla sua morte Semele venne condotta dal figlio sull’Olimpo, dove divenne immortale; ved. Keune 1923, Larson 1995, 93-6 e Heinze 2001. Qui Semele viene indicata attraverso il patronimico Καδµει νη. Tale forma è usata solo da Marcello e deriva dall’omerico Καδµει νες, corrispondente a Καδµε*οι, con cui sono indicati gli abitanti della città di Tebe; cfr. Steiner 1989, s. v. Καδµει νες. Del modello omerico il poeta conserva la posizione del sostantivo in clausola, ottenendo la preziosità metrica di concludere il componimento con un esametro spondaico. Alla figlia di Cadmo è anche riferito l’aggettivo µ καιρα, epiteto comune a molte divinità; ved. Kruse 1928, 615-6, il quale ricorda anche che µ καρ era un epiteto cultuale di Dioniso, cui veniva tributato un culto a Maratona e a Lesbo. *** La seconda iscrizione, a differenza della prima, non contiene il nome del suo autore; tuttavia è molto probabile che sia stata scritta da Marcello stesso, il quale nei due testi dà prova della sua abilità nel creare con un linguaggio poetico tradizionale dei componimenti del tutto nuovi. IG 1389 B si apre con un’invocazione alla dea Atena e alla dea Nemesi di Ramnunte, perché proteggano e frequentino il borgo del Triopio, e si conclude con una richiesta di punizione per chiunque abbia intenzione di apportare delle 87 modifiche al terreno di proprietà di Erode. Skenteri 2005, 51, interpreta i primi versi di IG XIV 1389 B come prova dell’introduzione a Roma dei due culti ateniesi di Atena e di Nemesi di Ramnunte a opera di Erode Attico. v. 60. π/τνι0 τνι0 Sθην Sθην ων )πιO πιOρανε Τριτογ νεια. νεια La dea Atena viene invocata mediante i suoi epiteti tradizionali, quali π/τνια e Τριτογ νεια. Per l’apertura di una preghiera rivolta ad Atena, apostrofata come π/τνια e signora della città cfr. Il. 6, 305 π/τνι0 Sθηνα η )ρυσ πτολι δ*α θε ων. Τριτογ νεια viene già adoperato nei poemi omerici come epiclesi della dea. In Il. 4, 515 e Od. 3, 378 ricorre anche in clausola di esametro come in questo verso. Per le occorrenze poetiche di Τριτογ νεια ved. TLG, s. v.; per la sua interpretazione Kruse 1939. Mediante il nesso Sθην ων )πιOρανε Marcello celebra la signoria della dea sulla città di Atene. L’aggettivo )πιOρανος significa «ruling, governing» (LSJ, s. v.) ed è qui costruito con il genitivo oggettivo Sθην ων. Come epiteto della dea Artemide invece viene impiegato da Nonn. D. 2, 682-3 )πεC Νοτ ην χθ/να ΚηφεMς / ν σσατο ΚηφOνων )πιOρανος Α θιοπOων. Atena viene citata come protettrice della città di Atene anche in un altro componimento in onore di Erode Attico, cioè IG II2 3606, 9 = 190, 9, Ameling (πολιOοχος), in cui la dea apre il corteo che si avvia verso Eleusi per dare il benvenuto a Erode che ritorna in patria dopo un lungo periodo di assenza; cfr. commento ad. loc. v. 61. ` τ0 )π )πC =ργα =ργα βροτ ν ρ ]ς ]ς !αµνο σιας ΟE ΟEπι. πι Su Nemesi ved. Herter 1935, Hornum 1993 e Stenger 2000. Per il collegamento di Erode con i culti della dea Nemesi di Ramnunte cfr. IG II2 3969 = 173 Ameling [ψηφ σµατι τ4ς βουλ4ς] [τ4ς )ξ Sρε ου π γου καC] [τ4ς] βουλ4ς [τ ν πεντακ][ο]σ ων καC το3 δOµ[ου το3 Sθηνα ων] [!]ωµα ων ε,µ[ε]ν4 καC ρ δης Βιβο [λλι][ο]ν Πολυδευκ ωνα \ππ[ α] θρ ψας καC φι[λ]Oσας Uς υ\'ν τo Νεµ [σει], • µετ0 α,το3 =θυεν, µνηστον τ'ν [τρ/]φιµον. La Nemesi di Ramnunte viene qui chiamata con il nome Upi che in Call. Dian. 204 e 240 identifica la dea Artemide. La forma dorica ¶πις invece ricorre in Plat. Ax. 371a e Alex. Aet. fr. 4, 5 Powell. «Questa epiclesi della dea è sicuramente testimoniata soltanto per il culto di Efeso da Macr. Sat. 5, 22, 4» (Bornmann 1968, 116). In Symon. A. P. 13, 20, 1 e Hdt. 4, 35, 1 ¶πις è invece il 88 nome proprio di una donna; ved. Höfer 1897-1902. Secondo Hornum 1993, 7, «the use of Oupis as an epithet of Nemesis probably reflected, at most, the assimilation of two goddesses in the Roman Imperial period, a merging which is found primarily in the arena and can be seen as stemming less from Nemesis’origins than from a logical association in a context where both goddesses are active». La grafia !αµνο σιας è attestata solo in questo componimento di Marcello mentre la forma !αµνουσ α, quale epiclesi della dea Nemesi, derivata dalla collocazione del suo tempio nel demo attico di Ramnunte, è presente in Hesych. ρ 100. Cfr. anche Call. Dian. 232 in cui compare la forma !αµνουσ ς, quale epiteto di Elena, figlia di Nemesi e Zeus, come viene raccontato in Cypr. fr. 10 West. Sul culto della dea Nemesi nel demo attico di Ramnunte ved. Herter 1935, 2346-52. La sfera d’azione di Nemesi è illustrata dalla relativa ` τ0 )πC =ργα βροτ ν ρ ]ς, per la quale Peek 1979, 82, cita a confronto Arch. fr. 177, 2 West2 σM δ0 =ργ0 )π0 νθρ πων ρ;ις. In modo simile viene apostrofata in Orph. H. 61, 2 πανδερκOς, )σορ σα β ον θνητ ν πολυφ λων. v. 62. γε τονες γχ θυροι ! µης Xκατοντοπ λοιο. Il nesso γε τονες γχ θυροι, attestato già in Theogn. fr. 302 West2 γε τοσ τ0 γχιθ ροις, dimostra secondo Peek 1979, 82, «dass eine in nachhomerischer Epik geprägte Wendung hier wie dort übernommen ist». Il poeta definisce Roma con l’epiteto Xκατοντ/πυλος, «ad immensam magnitudinem designandam» (Fiorillo 1801, 55). Tκατοντ/πυλος è attestato solo qui ed è formato sul modello di Il. 9, 383 αr θ0 Xκατ/µπυλο ε σι, dove si dice che Tebe ha cento porte. La variante grafica Xκατοντ πυλος viene invece usata di nuovo per la città di Tebe in un epigramma anonimo di A. P. 7, 7, 2 Ενθ δε θε*ος ±µηρος, ς Tλλ δα π;σαν mεισε, / ΘOβης )κγεγαwς τ4ς Xκατονταπ λου, mentre in Diod. Sic. 17, 75, 1, e Polyb. Hist. 1, 73, 1, è il nome proprio di una città del Nordafrica; per un composto in Xκατοντο- cfr. SEG 28, 741, 10 πυ[γµOν, i]ν ο,χ ε δ/σιν Tκατονταπολ*ται, il quale tramanda un epigramma funebre proveniente da Creta, databile intorno al II-III sec. d. C. v. 63. πε ονα δ$ δ$ καC καC τ/νδε, θε , τειµO τειµOσατε χ ρον. ρον Questo verso contiene la preghiera rivolta alle dee di onorare il territorio del Triopio, di cui il poeta mette in risalto la fertilità attraverso l’aggettivo πε ονα, il quale, insieme all’imperativo 89 τειµOσατε, presenta la trascrizione di iota come ει, dovuta a problemi di iotacismo che determina nel lapicida simile errori come al v. 40; ved. Fiorillo 1801, 55. Per il nesso πε ονα … χ ρον cfr. Hes. Op. 390 π ονα χ ρον. Per quanto riguarda il duale θε , Cougny 1890, III, nr. 263, lo aveva corretto in Θεα[ ]. Invece secondo Wilamowitz 1928, 17, «der Dual archaistisch gesucht, nicht mißverständlich, weil der Singular θεO lautete, 51». v. 64. δ4µον ∆η7 ∆η7ο*ο φιλ/ φιλ/ξεινον Τρι/ Τρι/παο. παο Per l’accezione di δ4µον accompagnato dal genitivo (Τρι/παο) ved. commento al v. 49. Con l’aggettivo ∆η2ος «sacred to Demeter» (LSJ, s. v.) il poeta sottolinea che il borgo del Triopio è dedicato al culto di Demetra. ∆η2ος compare qui per la prima volta e successivamente in Nonn. D. 6, 3 ∆ηsης jµ ναιον )εδν σαντο θεα νης, dove indica la figlia di Demetra. v. 65. τ/ τ/φρα κε καC καC Τρι/ Τρι/πειαι )ν θαν τοις λ γησθονʖ. τ/φρα ha qui il valore di vφρα. Nella lingua omerica τ/φρα è un avverbio di tempo «up to or during that time, so lang» (LSJ, s. v. τ/φρα) ed è correlato alla congiunzione vφρα come, per esempio, in Il. 1, 509 τ/φρα δ0 )πC Τρ εσσι τ θει κρ τος vφρ0 ~ν Sχαιο . La relazione più comune è vφρα … τ/φρα… in responsione ad apertura di esametro (Ebeling 1885, I, s. v. vφρα). Per quest’uso di τ/φρα equivalente a vφρα Peek 1979, 82, cita l’esempio di Antim. fr. 3, 2 Matthews, al quale è possibile aggiungere anche Ap. Rh. 3, 807 e 4, 1487, Antiph. A. P. 9, 242, Phaedim. A. P. 13, 22 e Orph. Arg. 939. Per quanto riguarda l’aggettivo τρι/πειος, che qualifica le due divinità, esso è attestato solo in questo componimento dove viene attribuito anche al v. 98 all’Erinni del territorio; ved. Allen-Halliday-Sikes 1904, 93, a proposito di H. Hom. Ap. 211 < ªµα Φ/ρβαντι Τριοπ 7 γ νος. Il verbo λ γησθον, congiuntivo aoristo duale, è impiegato nel significato di «count among» (LSJ, s. v. λ γω, III). Wilamowitz 1928, 17, lo spiega come sinonimo di καταριθµε*ν. In questo modo viene impiegato nella lirica corale da Alcm. fr. 1, 2 Page ο,κ )γw]ν Λ καισον )ν καµο3σιν λ γω e Pind. O. 2, 78 Πηλε ς τε καC Κ δ΄µος )ν το*σιν λ γονται, «was man geradezu als Vorbild betrachten möchte» (Wilamowitz 1928, 18). 90 vv. 66-7. Uς Rτε καC καC !αµνο !αµνο3 αµνο3ντα καC καC ε,ρυχ/ ρυχ/ρους )ς SθOνας / Yλθετε δ µατα πατρ' πατρ'ς )ριγδο ποιο λιπο3 λιπο3σαι. Per questa preghiera rivolta alle due dee perché presto giungano nella nuova dimora, dopo aver lasciato le case paterne, Fiorillo 1801, 60, cita Sapph. fr. 1, 7-8 Voigt π τρο[ς δ( δ/µον λ ποισα / [χ]ρ σιον Iλθ[ες. Skenteri 2005, 54, aggiunge che è possibile classificare questo componimento come un inno cletico conformemente alla definizione che nel III d. C. ne offre Men. Rh. 333, 8-10 κλητικοC µ(ν οEν πο*ο ε σιν ο\ πολλοC τ ν τε παρ9 τo Σαπφο* < Sνακρ οντι < το*ς mλλοις µελικο*ς, κλ4σιν =χοντες πολλ ν θε ν. Le dee invocate sono infatti due; a loro vengono riferiti gli epiteti più cari, accompagnati dalla menzione dei luoghi di culto più importanti quali Ramnunte e Atene. Nei vv. 68-70 Marcello descrive con cura il territorio del Triopio, nuova sede di culto delle dee. Per la descrizione di una dea che abbandona i luoghi di culto a lei più cari cfr. anche Alc. fr. 55 Page Κ προν \µερτ9ν λιπο*σα καC Π φον περιρρ ταν. ε,ρυχ/ ρυχ/ρους. Si tratta di un epiteto ornamentale che qualifica il nome di continenti come Asia (Pind. O. 7, 33), di nazioni come Grecia (Il. 9, 478, FD III, 1, 51, IG II2 3632, 5) e Libia (Pind. P. 4, 74-5), di regioni quali Iperea (Od. 6, 4) e di città come Micalesso (Il. 2, 498), Sparta (Pind. N. 10, 97; Hdt. 7, 220), Argo (IOympia V 630) e Siracusa (Plat. A. P. 7, 99, 5). Qui Ε,ρ χορος viene riferito ad Atene come anche in IG II2 5220. L’uso della congiunzione temporale Rτε, preceduta da Uς, è caratteristico della lingua omerica per introdurre una similitudine; ved. LSJ, s. v. Rτε, II 1. )ριγδο ποιο. Si tratta di un epiteto tradizionale di Zeus, attestato sin dai poemi omerici; ved. Bruchmann, 1893 s. v., Schwabl 1972 s. v. e Nordheider 1987, s. v. Per la posizione di )ριγδο ποιο cfr. Il. 5, 672 < προτ ρω ∆ι'ς υ\'ν )ριγδο ποιο δι κοι e 12, 235 ς κ λεαι Ζην'ς µ(ν )ριγδο ποιο λαθ σθαι. 68. ¬ς τO τOνδε N εσθε πολυστ φυλον κατ0 κατ0 λω$ λω$ν. L’avverbio ¬ς «pro οDτως» (Fiorillo 1801, 59) introduce, come nei poemi omerici, la proposizione principale che completa la similitudine. Il verbo N οµαι significa letteralmente «move with speed» (LSJ, s. v.); cfr. Il. 18, 411 = 20, 37 jπ' δ( κν4µαι N οντο ραιαι, 417-8 jπ' δ0 µφ πολοι N οντο mνακτι χρ σειαι ζωoσι νεOνισιν ε οικυ*αι, 23, 367 χα*ται δ0 )ρρ οντο µετ9 πνοιoς ν µοιο. Franzius 1853, 920, 91 ricorda Hesych. ρ 560 N εσθαι· σπε δειν. ρµ;ν. Wilamowitz 1928, 18, aggiunge che «Σ 417 gibt der Paraphrast N οντο mit )ξ ρµουν wieder. Marcellus meint σπε δετε». Il sintagma πολυστ φυλον κατ0 λωOν descrive il terreno del Triopio come un rigoglioso vigneto. Per κατ0 λωOν in clausola esametrica cfr. Il. 13, 588 e Od. 24, 336. Πολυστ φυλος è un epiteto omerico riferito a città; Fiorillo 1801, 61, ricorda Il. 2, 507 πολυστ φυλον ‰ρνην, cui va aggiunto v. 537 πολυστ φυλ/ν θ0 „στ αιαν, dove l’epiteto πολυστ φυλος occupa la stessa posizione metrica che ha in questo componimento. vv. 69-70. λOι τε σταχ ων καC καC δ νδρεα βοτρυ/ βοτρυ/εντα / λειµ νων τε κ/ κ/µας xπαλοτρεφ ων )φ πουσαι. πουσαι Il borgo del Triopio assume in questi versi le caratteristiche di un locus amoenus come già in IG XIV 1389 A, 49-50. Cfr. anche vv. 82-4. λOι τε σταχ ων. Wilamowitz 1928, 18, annota: «λOια σταχ ων befremdet auf den ersten Blick; man erwartet eher στ χυας λOιων. Aber der Genitiv ist nicht partitiv, sondern entspricht genau unserem Ährenfelde, das zum Kompositum geworden ist». δ νδρεα βοτρυ/ βοτρυ/εντα. L’espressione indica le viti cariche d’uva. «Possible δ. may have been stretched to include mµπελοι (cf. η 120 ff., ω 340 f.), if they were large (Richter 131) or grown up trees (Fellner 71, on η 120)» (Beck 1982, s. v. δ νδρεον). Per quanto riguarda l’aggettivo βοτρυ/εις «full of grapes» (LSJ, s. v.), esso è attestato per la prima volta nell’elegia in Ion fr. 26, 4 West2 )ξ ο8 βοτρυ/εσσ0 ο ν9ς jπ' χθον ων ed è ripreso in età ellenistica in senso metaforico da Ap. Rh. 2, 677 πλοχµοC βοτρυ/εντες )περρ οντο κι/ντι, per descrivere i riccioli dei capelli del dio Apollo, e da Mel. A. P. 9, 363, 12 mνθεϊ βοτρυ/εντος )ρεψ µενοι τρ χα κισσο3. λειµ νων τε κ/ κ/µας xπαλοτρεφ ων. Κ/µη ha per la prima volta un significato metaforico connesso con la vegetazione in Od. 23, 195 κ/µην τανυφ λλου )λα ης, in cui indica il fogliame dell’ulivo; ved. O’ Sullivan 1991, s. v. κ/µη. Per l’espressione λειµ νων κ/µη Fiorillo 181, 63, ricorda Eust. Comm. ad Il. 1, 478 κ/µας δ( λ γειν δ νδρων τ9 φ λλα, [Rθεν καC κοµOτης λειµ ν παρ9 τo τραγ7δ ]], καC κοµ;ν τ' )ν το τοις θ λλειν, e cita come esempi Eur. Hipp. 92 210-1 κοµOτp λειµ νι e Call. Dian. 41 vρος κεκοµηµ νον Dλp mentre Peek 1979, 82, porta a confronto Babr. 88, 3 λη ου κ/µp e 3, 4 κ/µην … α γ λου, in cui il sostantivo, come qui, è accompagnato da genitivi che designano la vegetazione dei campi. Al genitivo λειµ νων il poeta riferisce l’aggettivo xπαλοτρεφ ων per descrivere come rigogliosi i campi del Triopio. Prima di Marcello, l’aggettivo è usato in Il. 21, 363 µελδ/µενος xπαλοτρεφ ος σι λοιο, dove designa un porco grasso, ben nutrito; ved. Bornitz 1969, s. v. xπαλοτρεφOς. Peek 1979, 82 esclude però la possibilità che Marcello derivi xπαλοτρεφOς da questo passo dell’Odissea, poiché i due contesti sono molto diversi. «Mag es für uns auch anderswo nicht eher nachweisbar sein» (Peek 1979, 82). v. 71. }µµι γ9ρ ρ δης \ερ$ ερ$ν ν9 γα* γα*αν ¨ηκε. ηκε. La dedica del terreno alle due dee spiega l’apostrofe iniziale ad Atena e a Nemesi perché si rechino presso il territorio del Triopio. L’esametro si apre con il dativo eolico-epico }µµι in posizione enfatica, retto dall’aoristo ionico con tmesi ν9 … ¨ηκε. Il verbo ν ηµι significa qui «“überlassen” in Sinne von “weihen”» (Peek 1979, 83). Questo significato è stato dedotto da Kaibel 1878, 470, dal confronto con Call. Cer. 46 θεο*σιν νειµ να δ νδρεα. Cfr. anche Soph. Aj. 1214 ν3ν δ0 ο8τος στυγερ2 δα µονι e Plat. Leg. 761c 3-4 mλσος … νε*ται πειµ νον. Questi esempi testimoniano come il verbo ν ηµι venga impiegato con il significato di dedicare solo nella forma passiva, così che l’uso fattone da Marcello rappresenta un unicum; ved. Peek 1979, 83. Non esistono inoltre esempi di tmesi di questo verbo. v. 72. τ$ τ$ν, Rσσην περC περC τε* τε*χος ) τροχον )στεφ νωται. Il v. 72 è modellato su Od. 10, 195 ν4σον, τ$ν π ρι π/ντος πε ριτος )στεφ νωται e presenta due pronomi relativi contigui, a proposito dei quali Peek 1979, 83, annota: «dem merwürdigen τ$ν Rσσην entspricht im medizinischen Lehrgedicht des Marcellus (E. Heitsch, Dichterfragmente d. röm. Kaiserzeit II Seite 18) der Versanfang τ ν Uποσων» e Skenteri 2005, 50: «τ$ν Rσσην exemplifies a usage that becomes more frequent in Greek of the Roman period, the placing of the definite article before a relative pronoun. Rσσην refers to the antecedent γα*αν and τ$ν is seemingly superfluous». Peek 1979 e Skenteri 2005 cercano di spiegare τ$ν Rσσην come un unico nesso. Se invece si pone una virgola tra i due pronomi, τOν diventa soggetto 93 in accusativo dell’infinito =µµεναι del verso successivo mentre Rσσην dipende dall’indicativo )στεφ νωται e introduce una proposizione relativa che serve a specificare l’entità del terreno offerto alle dee. Del Triopio romano il poeta non enfatizza tanto la grandezza, come farebbe pensare il modello odissiaco, quanto la sua delimitazione ad opera di un muro circolare che ne protegga l’inviolabilità. La forma del muro è messa in evidenza dall’aggettivo ) τροχος che ha il significato di rotondo come in Eur. Ion. 19 ε,τρ/χ7 κ κλ7, in cui il dio Ermes menziona la cesta in cui Ione fu esposto dalla madre con il proposito di farlo morire. In Omero ) τροχος è invece usato come epiteto di ªρµα (Il. 8, 438 e 12, 58) e mµαξα (Il. 24, 150, 179, 189, 266, 711 e Od. 6, 72) nel significato di «well wheeled, with good wheels» (O’ Sullivan 1987, s. v. ) τροχον). vv. 73-4. νδρ σιν dψιγ/ ψιγ/νοισιν κινO κινOτην καC καC mσυλον mσυλον / =µµεναι. La dedica del territorio romano ad Atena e a Nemesi è finalizzata a salvaguardarne l’inviolabilità nel tempo. L’infinito =µµεναι non è mai attestato in clausola di esametro nella lingua omerica. Per l’espressione νδρ σιν dψιγ/νοισιν, che indica i posteri, cfr. Il. 3, 353 e 7, 87 dψιγ/νων νθρ πων. Il sostantivo νOρ nel significato generale di uomo è già largamente adoperato da Omero; ved. Latacz 1967, s. v. νOρ II 1, d. Gli aggettivi κινOτην e mσυλον si riferiscono, attraverso il relativo τOν (v. 72), a \ερ$ν … γα*αν del v. 71. Il femminile di κ νητος «unmoved, not moving, motionless» (LSJ; s. v.) occorre per la prima volta in Pind. O. 9, 33 ο,δ0 SÅδας κινOταν =χε N βδον, in cui viene adoperata la forma dorica in -αν; ved. Wilamowitz 1928, 18. Sκ νητος è poi epiteto di Atena e Nemesi al v. 80 κ νητοι δ( θ αιναι, dove è usato come aggettivo a due uscite. Per la definizione di un territorio come mσυλος cfr. Eur. Med. 387 τ ς γ4ν mσυλον καC δ/µους )χεγγ ους. vv. 74-5. i δ0 )π )π ο\ )ξ )ξ θαν τοιο καρO καρOνου / σµερδαλ ον σ σασα λ/ λ/φον κατ νευσεν SθOνη. νη La pietra presenta la forma )πε al posto di )π , restaurata da tutti gli editori ad eccezione di Visconti che «legendum existimat )πεC, adtulitque similes locos ex Homero, in quibus )πεC repetitum est. Sic Iliad αɓ 112 […] et v. 153» (Fiorillo 1801, 64). Per Skenteri 2005, 50 «)π is not a preposition governing ο\ but a vebal prefix, separated by tmesis from the main verb κατ νευσεν on the 94 next line. This is slightly abnormal, since the main verb contains another prefix and no )πικατανε ω is recorded in lexica». Il pronome ο\ è un dativo indipendente con valore di dativus commode; ved. Smyth 1956, 1481, b. Questi versi, come già nota Peek 1979, 83, sono un’imitazione della scena omerica di Il. 1, 528-30 Ç καC κυαν pσιν )π0 dφρ σι νε3σε Κρον ων· / µβρ/σιαι δ0 mρα χα*ται )περρ σαντο mνακτος / κρατ'ς π0 θαν τοιο· µ γαν δ0 )λ λιξεν ¥λυµπον. Qui Marcello descrive i movimenti del cimiero della dea Atena nell’atto di accettare il dono del Triopio. Questa narrazione, dal tono epico, racchiusa tra la preghiera iniziale ad Atena e a Nemesi (vv. 60-73), e gli ammonimenti rivolti ai vicini del Triopio (76-98) risulta secondo Peek 1979, 83, sorprendente perché esula dal contesto generale dell’epigramma e «durchbricht die Illusion» (Peek 1979, 83). Il participio σ σασα = σε σασα regge l’accusativo λ/φον, che indica il cimiero. Questo nesso è attestato in Aesch. Sept. 385 λ/φους σε ει e Ar. Pax 1178 τοMς λ/φους σε ων. Il cimiero della dea Atena viene definito σµερδαλ ον «gräßlich, grausig, schrecklich, furchterregend» (ved. Führer 2006, s. v. σµερδαλ ος), epiteto tradizionale delle diverse parti dell’armatura in Omero, quali il bronzo che riveste Ettore in Il. 12, 463-4; 13, 191-2 χαλκ2 σµερδαλ 7, lo scudo in Il. 20, 259-60 )ν δειν2 σ κει … σµερδαλ 7 e l’egida in Il. 21, 400-1 κατ0 α γ δα … σµερδαλ ην. 76-7. µO µO τ7 νηποιν' νηποιν'ν β λον µ αν < ¨να ¨να λ; λ;αν / dχλ σσαι, )πεC πεC ο, Μοιρ ων τρε*< τρε*<ε>ς *<ε>ς ν γκαι. γκαι A partire dal v. 76 il testo assume le caratteristiche di una vera e propria maledizione in versi. La pratica di collocare simili formule presso le tombe di cari defunti era molto comune, soprattutto in Anatolia; ved. Lattimore 1942, 106-18 e Tobin 1997, 147. Robert 1978, 253, sottolinea come la Frigia fosse «la domain par excellence des imprécations funéraires». Tobin 1997, 148, ricorda che poche iscrizioni funebri di maledizione sono state ritrovate in Grecia, come a Creta, Lesbo, Tebe e Atene, e che il gruppo maggiore di simili documenti su territorio greco è collegato con la figura di Erode Attico, il quale coniuga questa tradizione anatolica con quella ateniese delle erme poiché fa incidere formule di maledizione in prosa sulle erme e le basi delle statue dei suoi familiari defunti per preservarle da ogni atto di vandalismo; ved. Peek 1942, 141-5, nrr. 95 310-20; Ameling 1983, II, 149, nrr. 143, 160-6, nrr. 147-170; Tobin 1997, 11359. L’espressione µO τ7 νηποιν/ν è ellittica di verbo. Per quanto riguarda il dativo τ7, forma tragica e attica del pronome indefinito τινι, ma già attestata in Omero (ved. LSJ, s. v. τις), Wilamowitz 1928, 18, osserva che Marcello «hat die Schwierigere vorgezogen, wo es ganz einfach war, wenn er µO τινα sagte». Qui l’espressione µO τ7 νηποιν/ν (scil. εeναι) regge l’infinito aoristo dχλ σσαι. ¹χλ ζειν è un verbo omerico «von der Stelle bewegen, u. zwar m. Mühe» (De Leeuw 2000, s. v. dχλ σσαι) ed è impiegato per la prima volta in Il. 12, 448 π0 ο}δεος dχλ σσειαν, dove ha come oggetto sottinteso λ;αν (v. 445), lo stesso di questo epigramma, e in Od. 9, 241 in riferimento al carico di legna sollevato dal Ciclope. ¹χλ ζω viene poi recuperato da Call. Del. 4, 33 ν ρθε δ( π σας / )κ νε των ‹χλισσε καC ε σεκ λισε θαλ σσp; cfr. anche Ap. Rh. 1, 402; 4, 962, 1678. Fiorillo 1801, 65, nota che «β λος et λ;ας aut λ θος coniunguntur nonnunquam». ο, µοιρ ων τρε*< τρε*<ε>ς *<ε>ς ν γκαι. L’espressione µοιρ ων … ν γκαι indica le punizione delle Moire, cui saranno esposti i violatori del luogo sacro; cfr. IG VII, 447, 10 ¶ Μο ρας mτρυτοι νανκαστ4ρες mτρακτοι. Questi provvedimenti delle Moire sono poi presentati mediante litote e catacresi come ο, τρε*<ε>ς, cioè da temersi. L’aggettivo τρε*ες è integrazione di Salmasius 1619, 10, il quale lo faceva derivare da τρε ς. Invece Visconti 1794, 61, lo spiega come un nominativo plurale di τρεOς così contratto per motivi poetici come )ϋκλε*ας di Il. 10, 281 e Od. 21, 331 al posto di ε,κλεε*ς. «Il nostro τρεOς è un verbale formato da τρ ω come p. e. α δεOς da δ ω inusitato: qui significa ciò che non incute terrore nello stesso senso che mφοβος è usato alcuna volta da buoni scrittori per denotare chi non ha paura» (Visconti 1794, 61). Wilamowitz 1928, 18, mette in evidenza la peculiare licenza morfologica del plurale τρε*ες al posto del più regolare τρ4ες e ricorda che l’accusativo τρ α è già attestato in Euphor. fr. 125 Powell τρ α δ4µον Sθην ν, dove ha il significato di mτρεστον e mφοβον come precisa Hermog. Id. 2, 5, 54-5. A riguardo Magnelli 2002, 113, afferma che è alquanto difficile sostenere la derivazione dell’aggettivo τρεOς da Euphor. 125 in Marcello. Tuttavia in tutti e due i testi l’aggettivo appare al lettore dotto «come 96 una rivisitazione di un calembour risalente almeno a Eur. IA 321 τρ σας … Sτρ ως γεγ ς e Soph. fr. 887 Radt ΖεMς ν/στον mγοι τ'ν νικ/µαχον καC παυσαν αν καC τρε δαν» (Magnelli 2002, 47). v. 78. Rς κε θε ν Xδ <ε>σσιν <ε>σσιν λιτροσ νην ναθOp. ναθOp. Cfr. Il. 22, 100 Πουλυδ µας µοι πρ τος )λεγχε ην ναθOσει. Peek 1979, 83, definisce questo verso rispetto a quello dell’Iliade una catacresi, poiché «“Schimpf aufladen” ist von “Frevel zufügen” doch so verschieden». Il dativo Xδ <ε>σσιν compare solo in questo componimento. Per ¨δος ved. commento a IG XIV 1389 A, 2 = 146 A, 2 Ameling. Per il nesso θε ν Xδ <ε>σσιν cfr. Aesch. Pers. 404 θε ν τε πατρsων ¨δη e Soph. OT 886 δαιµ/νων ¨δη σ βων. Il termine scelto da Marcello per indicare gli oltraggi da non commettere nei confronti delle dee è λιτροσ νην, sinonimo di λιτρ α (ved. LSJ, s. v. λιτροσ νη), attestato per la prima volta in età ellenistica in Ap. Rh. 4, 699 e successivamente ripreso da Orph. Arg. 1231 e Lith. 62, Tryph. 491 e Quint. Smyrn. 10, 407. Il sostantivo λιτροσ νη ricorre ancora in Agath. A. P. 5, 302, 5 e 7, 574, 10. v. 79. κλ3 κλ3τε περικτ ονες καC καC γε τονες γροι ται. Per la posizione dell’imperativo aoristo κλ3τε in apertura di esametro «in profaner vertrauter Anrede als Einl. und best. Wollens od. Befehls» (Markwald 1991, s. v. κλ ειν, κλ ω, 2) cfr. Il. 2, 56; 18, 52; Od. 4, 722; 6, 236; 14, 495; 15, 172. Il v. 79 è un’apostrofe rivolta a coloro che abitano e lavorano nei pressi del borgo del Triopio. Il lessico scelto per indicare questa categoria di persone è di derivazione omerica. Περικτ ονες è usato da Omero solo al plurale in Il. 18, 212; 19, 104, 109; ved. Markwald 2001, s. v. Hesych. π 1741, 1, annota che περικτ ονες è un sinonimo di γε τονες che qui è attributo di γροι ται, sostantivo attestato da Omero solo al nominativo plurale e, ad eccezione di Od. 21, 85, sempre in clausola. Secondo Peek 1979, 83, l’espressione γε τονες γροι ται imita Il. 11, 549 = 15, 272 ν ρες γροι ται e Od. 11, 293 βο λικοι γροι ται. v. 80. \ερ' ερ'ς ο8 ο8τος χ ρος. Marcello sottolinea la sacralità del Triopio. Lo stesso incipit è presente nell’epigramma funebre di Peek 1955, 2061 = IGUR III 1226, databile tra il III e il IV sec. d. C. Peek esclude la possibilità di vedere una dipendenza tra i due testi e ritiene che «beide Male ist eine Formel aufgegriffen, 97 die auch in Prosa vorkommt» (Peek 1979, 83), come, p. es., in Xen. Anab. 5, 3, 13, 1-2 καC στOλη ¨στηκε παρ9 τ'ν να'ν γρ µµατα =χουσα· ΙΕΡΟΣ Ο ΧΩΡΟΣ ΤΗΣ ΑΡΤΕΜΙ∆ΟΣ; cfr. anche Call. Jov. 11-2 =νθεν χ ρος / \ερ/ς. vv. 80-1. κ νητοι δ( δ( θ αιναι / καC καC πολυτ µητοι καC καC jποσχε jποσχε* ποσχε*ν οE οEας ¨τοιµαι. Per quanto riguarda la qualifica divina κ νητοι ved. commento al v. 73. Il secondo epiteto con cui Atena e Nemesi vengono presentate è πολυτ µητοι, «a common epithet of all deities» (Starkie 1897, 306), usato da Ar. Vesp. 1001 B πολυτ µητοι θεο , il quale fa pronunciare a Filocleone una richiesta di perdono rivolta agli dei per aver assolto un imputato. In Thes. 594 B πολυτιµOτω θεω e in Men. Dysc. 381, 479, Aspis 408; Mis. 165; Fab. Inc. 56 fr. 97, 2 e 718, 5 Körte B πολυτ µητοι θεο diventa una semplice esclamazione46. La terza qualità di Atena e Nemesi, che qui Marcello ricorda, è la prontezza delle dee a prestare ascolto (jποσχε*ν οEας ¨τοιµαι). vv. 82-4. Il poeta indica ora per nome quali parti del Triopio non bisogna danneggiare per non incorrere nella punizione delle dee. Da questi versi il lettore riceve l’immagine di un appezzamento di terra rigoglioso, con boschi e coltivazioni. Il divieto, espresso dall’ottativo preceduto dalla negazione µηδ , riguarda ogni possibile modifica dei filari di vite (-µερ δων vρχους), dei boschi di alberi (mλσεα δενδρ ων) e dell’erba verde dei pascoli (πο ην χιλ2 ε,αλδ ι χλ ρα θ ουσαν). I filari di vite sono già citati al v. 50, dove il genitivo -µερ δων occupa la medesima posizione all’interno dell’esametro. v. 82. -µερ δων vρχους. ρχους Ved. commento al v. 50 χορ'ς -µερ δων. mλσεα δενδρ ων. ων ‰λσος è un termine omerico ed indica sempre un «boschetto sacro, non allo stato incolto; sacro e caro a divinità» (Di Luzio 1965, s. v.); cfr. Eust. Comm. ad Od. 1, 391 ‰λσεα δ( καC ν3ν χωρ α φασCν \ερ9 σ νδενδρα; Hesych. α 3268 mλσεα· τεµ νη. ο\ κ θυδροι καC σ µφυτοι λιµ νες, καC τ/ποι κατ δ νδροι, πρ'ς mλσιν καC α}ξησιν τ ν φυτ ν vντες )πιτOδειοι. Così annotano anche schol. in Hom. Od. 10, 509 e schol. in Theocr. 5, 32b. Accompagnato dal genitivo ionico δενδρ ων, il nesso mλσεα δενδρ ων varia l’omerico mλσεα δενδρOεντα di H. Hom. Ap. 76, 143, 221, 245, ripreso poi da 46 Fa eccezione Men. Dysc. 202 B πολυτ µητοι θεο , / τ ς ~ν )µ( σ σαι δʖ[αιµ/]νων, dove Sostrato, nelle vesti dell’amante infelice, invoca gli dei πολυτ µητοι; ved. HANDLEY 1965, 167-8. 98 Nonn. D. 14, 211 mλσεα δενδρOεντα καC γρι δος N χιν Dλης; cfr. anche 13, 399 mλσεα Φησι δαο κατ σκια δενδρ δι λ/χµp. v. 83. πο ην χιλ2 χιλ2 ε,αλδ ι χλωρ9 χλωρ9 θ ουσαν. ουσαν Per quanto riguarda invece il termine χιλ/ς «green fodder for cattle» (LSJ, s. v.), Wilamowitz 1928, 18, è del parere che «χιλ/ς hat er achtlos aus der gewöhnlichen Sprache aufgenommen; das Wort ist nicht poetisch. ε}χιλον hat Lykophron 95». Ε}χιλον viene anche citato da Pollux 7, 184, 1, come uno degli aggettivi adoperati dai poeti per designare la terra lasciata come pascolo per gli animali. La relativa χλωρ9 θ ουσαν aveva convinto Meineke a emendare Theocr. 25, 158 )ν Dλp χλωρ9 θ ουσαν al posto di )ν Dλp χλωρ$ ο,σp, che invece viene difeso da Gow 1950, 458. Per l’espressione πο ην χιλ2 ε,αλδ ι χλωρ9 θ ουσαν, in cui un participio di un verbo di movimento è preceduto da un avverbio, cfr. Call. fr. 228, 40 Pfeiffer πυρ;ς … [ω ν / … οEλα κυλινδοµ ναν; Ap. Rh. 3, 532 καC ποταµοMς … κελαδειν9 N οντας; Quint. Smyrn. 8, 465 ποταµ ν … µακρ9 Nε/ντων e Orph. Arg. ποταµο*ο … πρηÈ N οντος. Per l’uso dell’aggettivo χλωρ/ς per indicare il colore verde dell’erba (πο η) cfr. Sapph. fr. 31, 14 Voigt χλωροτ ρα δ( πο ας e Longus 1, 17, 4 χλωρ/τερον τ' πρ/σωπον Iν π/ας θεριν4ς. Moretti (ap. IGUR III 1155), stampa la forma χλ ρα con baritonesi. Si tratta forse di un refuso, accolto anche da Ameling 1983 II, 154. Questa forma eolica dell’aggettivo χλωρ/ς è documentata solo in Alc. fr. 115 a 9 Lobel-Page κ λαµος χλ ρ[ο···] e in Theocr. 28, 4 vππα Κ πριδος eρον καλ µω χλ ρον ,π0 π λω, uno dei carmi eolici insieme al 29 e al 30. v. 84. δµω$ δµω$ν κυαν ου ‰ιδος [π]O [π]Oξειε µ κελλαν. κελλαν La zappa (µ κελλαν), viene definita allegoricamente δµω$ν κυαν ου … ‰ιδος (vv. 83-4). Come mezzo di distruzione di un dio, essa compare nella tragedia in Aesch. Ag. 526 ∆ι'ς µακ λλp, che attribuisce la caduta della città di Troia alla zappa di Zeus giustiziere, e in Soph. fr. 727 Radt µακ λλp Ζην'ς )ξαναστραφo. Visconti 1794, 64, sostiene che questa δµωO fosse l’attrezzo dei Fossori, cioè di coloro che scavavano le tombe. Questo attrezzo aveva da un lato l’aspetto di una zappa, dall’altro di una scure; ved. anche Wilamowitz 1928, 18. L’epiteto di Ade κυ νεος non deve essere confrontato con H. Hom. Cer. 347 »ιδη 99 κυανοχα*τα ma con Hes. Sc. 249, in cui le Moire (Κ4ρες) sono definite κυ νεαι. Sia le Moire che Ade sono collegati con la morte e «er [Hades] ist dem Dichter nur ein Todesdämon und trägt dieselbe Farbe wie dieser in der etruskischen Malerei. Pluto heißt bei den Römern auch ferreus, adamentinus, und die Farbe des Spatens ist dieselbe» (Wilamowitz 1928, 18). [π]O [π]Oξειε. «Casaubonus dedit, monuitque Viscontus ita legi posse, lapidario latinam litteram P pro Π insculpente» (Franzius 1853, 920). Salmasius 1619, 10, invece aveva letto la forma ρOξειε e per questo motivo aveva emendato il dativo δµωo κυαν ου … µ κελλ]. Per il significato di πOγνυµι in questo epigramma cfr. Theocr. 7, 156 αEτις )γw π ξαιµι µ γα πτ ον, 6 δ( γελ σσαι e Call. Cer. 53 "χ ζευ", =φα, "µO τοι π λεκυν µ γαν )ν χροÉ π ξω. v. 85. σ4 σ4µα ν ον τε χων ^( πρ/ πρ/τερον κερα ζων. ζων Con il v. 85 diventa chiaro che le dee puniranno ogni lavoro compiuto all’interno del borgo del Triopio finalizzato alla costruzione di una nuova tomba o all’abbattimmento di una precedente; per l’accezione di σ4µα ved. commento al v. 46. I due verbi τε χω e κερα ζω sono di derivazione omerica. Per il verbo τε χω «produce by work or art, make, build» (LSJ, s. v., 1) cfr. H. Hom. Ap. 76, 221, 245 τε ξασθαι νη/ν; 258 τε3ξαι περικαλλ α νη/ν e 287 τε ξειν περικαλλ α νη/ν, mentre per il verbo κερα ζω «zerstöre» (Wakker 1991a, s. v.) cfr. Il. 5, 557 σταθµοMς νθρ πων κεραÅζετον; 16, 752 Rς τε σταθµοMς κεραÅζων; 16, 830 Π τροκλ0 I που =φησθα π/λιν κεραϊξ µεν xµOν, 22, 63 καC θαλ µους κεραϊζοµ νους; 24, 244 πρCν λαπαζοµ νην τε π/λιν κεραϊζοµ νην τε e Od. 8, 516 mλλον δ0 mλλp mειδε π/λιν κεραϊζ µεν α πOν. 86-7. ο, θ µις µφC µφC ν κυσσι βαλε* βαλε*ν \ρ/χθονα β λ<ον>, / πλ$ πλ$ν R κεν αrµατος ¡σι καC καC )κ )κ γ νος Xσσαµ νο<ιο>. νο<ιο> La relativa del v. 87 designa nei discendenti di Erode gli unici a poter godere del diritto di essere seppelliti dopo la morte nel territorio del Triopio definito con un neologismo \ρ/χθονα, attestato solo qui. Il verbo µφιβ λλω è separato per tmesi come nella lingua omerica (ved. Schmidt 1982b, s. v. β λλω) ed è costruito con l’accusativo β λον e il dativo locativo ν κυσσι. Il nesso βαλε*ν … β λον è caratterizzato dall’allitterazione delle 100 lettere β e λ ed è attestato solo qui47. Il relativo epico R ha attratto il pronome dimostrativo al genitivo, suo antecedente, retto dalla preposizione πλOν. )κ γ νος Xσσαµ νο<ιο>. Nella pietra si leggono le lettere ΕΚΓΕΝΟΣ. Visconti 1794, 64, emendava =κγονος. Fiorillo 1801, 82, a sostegno di questo intervento testuale citava gli esempi di Il. 5, 813; 20, 206; Od. 3, 123; 11, 236, Critias fr. B 2, 12 West2 e Alex. Aet. 3, 5 Powell. Kaibel (ap. IG XIV 1890 B) invece conserva il testo tradito )κ γ νος Xσσαµ νο<ιο> che spiega come imitazione di Il. 5, 896 )κ γ9ρ )µε3 γ νος )σσ , con approvazione degli studiosi successivi. Xσσαµ νο<ιο> corrisponde ad ε\σαµενοιο. Si tratta di un participio aoristo poetico del verbo rζω «set up and dedicate temples, statues etc.» (LSJ, s. v., 2). Questa grafia si trova già in Th. 3, 58, 5 \ερ τε θε ν οKς ε,ξ µενοι ΜOδων )κρ τησαν )ρηµο3τε καC θυσ ας τ9ς πατρ ους τ ν Xσσαµ νων καC κτισ ντων φαιρOσεσθε; cfr. anche IG IV 840, 7 βω[µ]'ν Xσσαµ νους παρ9 τ9ν ε κ/να το3 νδρ'ς α,τ;ς Σωφ νεος, e 841, 23 βωµ'ν Xσσ µενοι πρ' τ;ν κ/νων α,τ ν τ;ν ποC [τ]2 βʖουλευτηρ 7, due iscrizioni databili intorno al III sec. a. C. Qui il participio Xσσαµ νοιο indica Erode come colui che ha fatto erigere nel Triopio la costruzione commemorativa di Regilla. Per il verbo ε µC seguito da )κ e il genitivo e accompagnato dall’accusativo di relazione γ νος cfr. Il. 14, 113 πατρ'ς δ0 )ξ γαθο3 καC )γw γ νος ε}χοµαι εeναι; 23, 347 ς )κ θε/φιν γ νος Iεν; Od. 14, 199 = 16, 62 )κ µ(ν Κρητ ων γ νος ε}χοµαι ε,ρει ων e 15, 267 )ξ |θ κης γ νος ε µ . v. 88. κε νοις δ0 δ0 ο,κ θ µιστον, )πεC πεC τιµ ορος ¨στωρ. θ µιστον è forma poetica di θ µιτον e in unione al verbo )στιν, qui sottinteso, ha il significato di «unlawful» (LSJ, s. v. θ µιστος). L’uso di θ µιστον (scil. )στιν), costruito con il dativo della persona e l’infinito del verbo è di età tarda ed è attestato per la prima volta in Act. Ap. 10, 28, 2-3 )π στασθε Uς θ µιτ/ν )στιν νδρC |ουδα 7 κολλ;σθαι < προσ ρχεσθαι λλοφ λ7. A questo costrutto ricorrono anche Plu. Sept. Sapient. Conv. 150f )κε νοις δ( καC σ λπιγγος κο ειν θ µιτον ed Hld. Aeth. 5, 20, 2 λλ0 )µο τε σιωπ4σαι θ µιτον. 47 Sulla presenza dell’allitterazione nella produzione letteraria greca ved. ERCOLANI 2003, 173-80. 101 Per quanto riguarda ¨στωρ, il termine compare qui con un significato diverso da quello attestato in Il. 24, 272 «a peg at the end of the pole» e in altri autori contemporanei di Marcello come Plu. Alex. 18, 4, 3, Arr. An. 2, 3, 7 e Paus. Attic. ε 77, s. v. ¨στωρ. Si tratta di un neologismo il cui significato viene dedotto da Wilamowitz 1928, 19, secondo il quale «Xστ ρ greift auf Xσσαµ νοιο züruck, so dass die Neubildung gerechtfertigt und verständlich ist». Moretti (ap. IGUR III 1155) gli attribuisce il significato di conditor. A ¨στωρ viene poi riferito l’epiteto τιµ ορος, forma dorica di τιµωρ/ς, che è già attestata in Pind. O. 9, 83, Aesch. Ag. 514, 1280, 1324, 1578, Ch. 143 ed Eur. fr. 318, 4 Kannicht. Qui τιµ ορος viene usato in modo assoluto con il significato di «avenger», cioè «helping one to vengeance for a thing» (LSJ, s. v. τιµ ορος). vv. 89-90. καC καC γ9ρ Sθηνα η περ hριχθ/ ριχθ/νιον βασιλ4 βασιλ4α / νη2 νη2 )νκατ )νκατ θηκε συν στιον =µµεναι \ρ ν. «Erichthonios mit Erechtheus verwechselt» (Wilamowitz 1928, 19). Eretteo, mitico re di Atene, era stato allevato dalla dea Atena che lo collocò nel suo tempio, dove annualmente i giovani Ateniesi offrivano alla dea tori e arieti propiziatori (cfr. Il. 2, 248-51). Peek 1979, 84, riconosce che «der Vers [90] geht wohl direkt auf B 549 δ0 )ν SθOνpς εKσεν X2 )ν π ονι νη2 zurück». Il ricorso all’esempio mitico per illustrare e soprattutto legittimare la funzione di Erode, come collaboratore delle dee nel punire i trasgressori, è un espediente già sfruttato dal poeta in IG XIV 1389 A, 53-4 = 146, A, 53-4 Ameling, dove Marcello descrive l’onore che la nuova Demetra riserverà a Regilla attraverso gli esempi mitici di Ifigenia ed Erse. Per hριχθ/νιον βασιλ4α in clausola cfr. Il. 20, 219. Περ è una correzione di Jacobs (ap. Kaibel 1878, 470) al posto del tradito τε, che non può essere attribuito al poeta, «nicht wegen des Hiatus, der in der Zäsur zulässig ist, sondern weil τε hinter καC γ9ρ rein parapleromatisch sein würde» (Wilamowitz 1928, 19). Per quanto riguarda )νκατ θηκε, si tratta di un verbo omerico che Marcello usa in un contesto nuovo poiché nei poemi omerici )γκατατ θηµι è impiegato solo in senso medico (ved. LSJ, s. v.), ad eccezione di Od. 23, 223 τ$ν δ0 mτην ο, πρ/σθεν X2 )γκ τθετο θυµ2, dove ha il significato metaforico di «non se lo pose nell’animo, non ebbe chiaro, non si rese conto» (Galiano-Heubeck 1986, 312). 102 L’accezione di )γκατατ θηµι colloco in un posto è già presente in Arat. 34 mντρ7 )γκατ θεντο e Opp. C. 3, 11 κλεψιτ/κος !ε η κ/λποις )νικ τθετο ΚρOτης. Erittonio-Eretteo viene presentato come συν στιος. Qui l’aggettivo è costruito con il genitivo (\ρ ν = \ερ ν) come in Eur. El. 784-5 Ν3ν µ(ν παρ0 -µ*ν χρ$ συνεστ ους µο3 / θο νης γεν σθαι e Argent. A. P. 6, 248, 3 συν στιε δαιτ'ς ) σης, e ha il significato di associato alla dea nelle offerte. v. 91. ε δ τ7 mκλυτα mκλυτα τα3 τα3τα καC καC ο,κ )πιπε σεται α, α,το*< το*<ς>. *<ς>. Peek 1979, 84, individua in questo verso una variazione della formula omerica οf δ0 mρα το3 µ λα µ(ν κλ ον ^δ0 )π θοντο, la quale ricorre sette volte nell’Iliade (7, 397; 9, 79; 14, 133, 378; 15, 300; 23, 54, 738) e quattro nell’Odissea (3, 477; 15, 220; 22, 178; 23, 141). A partire dal v. 91 il poeta introduce le disgrazie che attendono i trasgressori. L’aggettivo mκλυτος «unheard» (LSJ, s. v.) non è documentato prima di questo componimento di Marcellο, poiché mκλυτον di Plu. 722e è corretto in mκλυστον;ved. Frazier-Sirinelli 1996, 236, n. 73. v. 92. λλ0 λλ0 ποτιµO ποτιµOσ<ε>ι, µO µO ο\ νOτιτα γ νηται. ποτιµOσ<ε>ι è lettura di Salmasius 1619, 10. Il futuro ποτιµOσ<ε>ι corrisponde a )πιπε σεται del verso precedente. I due verbi sono protasi dell’apodosi µO ο\ νOτιτα γ νηται. L’aggettivo νOτιτα è un hapax legomenon ed è formato dalla fusione di due aggettivi omerici, cioè νOποινος e mντιτος . Per la negazione µO seguita dal conguntivo (coniuctivus prohibitivus), ved. Kühner-Gerth I, 1898, 220. v. 93. λλ µιν πρ/ πρ/φατος Ν µεσις καC καC N/µβος N/µβος λ στω<ρ>. La punizione del trasgressore (v. 94 τ σονται) viene affidata a Nemesi, cui il poeta si rivolge in apertura dell’epigramma, e al N/µβος, che agisce come un demone vendicatore. La dea Nemesi viene presentata come πρ/φατος «unforetold, unexpected» (LSJ, s. v.). L’aggettivo è attestato per la prima volta in Arat. Phaen. 424, 768, Ap. Rh. 1, 645; 2, 268 e Nic. Al. 598. Qui λ στωρ, riferito come predicativo a N/µβος, indicherebbe quasi il demone vendicatore della famiglia di Erode come in Aesch. Ag. 1501, 1508 λ στωρ è il demone della famiglia di Atreo cui Clitemestra attribuisce la responsabilità del delitto commesso. Su λ στωρ come personificazione della maledizione ved. Wernike 1894a, Dodds 1951, 39-41 e Graf 1996. Il termine 103 N/µβος designa uno strumento magico, simile a una trottola, usato nelle formule magiche contro colui che doveva essere stregato; ved. Froehner 1865, 20. Del N/µβος come strumento magico parla anche Archyt. B 1, 260, 12-3 Diels-Kranz [N/µβοι] -συχ;ι µ(ν κινο µενοι βαρMν φι ντι Ëχον, σχυρ ς δ , dξ ν. Il suo funzionamento è descritto da Eur. Hel. 1362-3 N/µβου θ0 ε\λισσοµ να / κ κλιος =νοσις α θερ α. Come strumento impiegato nei misteri dionisiaci è citato da Phal. A. P. 6, 165, mentre come attrezzo di attrazione magica ne parla Luc. Meretr. 4, 5, 4-6 N/µβον )πιστρ φει )π7δOν τινα λ γουσα )πιτρ/χ7 τo γλ ττp, βαρβαρικ9 καC φρικ δη dν/µατα. Il N/µβος era uno degli attributi di Nemesi dell’arte tarda; ved. Edwards 1990. Esso è una metafora dei cambiamenti senza fine nella vita umana, del passaggio dalla prosperità al disastro, e compare nella produzione letteraria per la prima volta innanzitutto come strumento della Fortuna e non di Nemesi, come per es. in Cic. Pis. 22. Questo N/µβος doveva essere uno strumento di punizione cui allude anche Mesomede, un contemporaneo di Marcello di Side, nell’Inno a Nemesi 3, 7-8 Heitsch jπ' σ'ν τροχ'ν mστατον στιβ4 / χαροπ9 µερ/πων στρ φεται τ χα. Sul N/µβος come strumento della dea Nemesi ved. commento a Corinth VIII 3, 128 = 100 Ameling; su Mesomede ved. Whitmarsch 2004. Qui l’azione del N/µβος di rovesciare sciagure su chiunque osi violare questi divieti divini viene descritta dal verbo successivo κυλινδOσει, come già notava Kaibel 1878, 470, «Rombi nomen explicat verbum κυλινδOσει v. seq». LSJ, s. v. N/µβος, dopo aver indicato N/µβος λ στωρ di questo epigramma come espressione metaforica, annotano tra parentesi la possibilità di leggere nel sostantivo N/µβος piuttosto una variante grafica dell’aggettivo Nεµβ/ς, perché entrambi derivano dalla medesima radice del verbo N µβω «turn round and round» (LSJ, s. v.). v. 94. στυγερ$ στυγερ$ν δ( δ( κυλινδO κυλινδOσει κακ/ κακ/τηταʖ. Il verbo al singolare è concordato a senso con il soggetto più vicino N/µβος λ στωρ (cfr. supra). Il verbo κυλινδ ω è già usato da Omero in collegamento alla sventura che un dio fa rotolare sugli uomini in Il. 17, 688 π4µα θε'ς ∆αναο*σι κυλ νδει; cfr. anche Il. 11, 347 ν ϊν δ$ τ/δε π4µα κυλ νδεται vβριµος nκτωρ ed Od. 2, 163 το*σιν γ9ρ µ γα π4µα κυλ νδεται. 104 vv. 95-6. ο, ο,δ( γ9ρ gφθιµον Τρι/ Τρι/πεω µ νος Α ολ δαο / ‹ναθ0, ναθ0, Rτε Rτε νει' νει'ν ∆ηµO ∆ηµOτερος )ξαλ παξεν. Ancora una volta il poeta ricorre a un esempio mitico: questa volta si tratta di quello del re della Tessaglia Triope, da cui il promontorio di Cnido aveva derivato il nome di Triopio. Triope era stato punito dalla dea Demetra con una fame insaziabile perché aveva distrutto il bosco sacro, che era stato donato a Demetra dai Pelasgi. Questa versione del mito è documentata anche da Diod. 5, 61 e Hygin. Astr. 2, 14, 3, mentre secondo Call. H. Cer. e schol. in Lycophr. 1393 l’oltraggio del bosco sacro di Demetra non fu solo opera di Triope ma anche di Erisittone; sui rapporti di parentela tra Erisittone e Triope ved. Mayer 1916-24 e Robertson 1984, 369-71. Successivamente Triope, morto dopo aver combattuto contro un serpente, fu trasformato da Demetra nella costellazione del Serpentario e collocato in cielo; ved. Wilamowitz 1924, II, 38. La sofferenza della fame doveva essere per Marcello un ammonimento adatto contro chiunque avesse voluto imitare l’atteggiamento sacrilego di Triope; ved. Robertson 1984, 375. Mc Kay 1962, 17, ricorda a proposito di νει/ν del v. 97 che, benché la lettura della pietra sia chiara, gli editori antichi avevano generalmente preferito emendare il testo in νη/ν, motivando l’intervento testuale con la confuzione tra i suoni ει ed η presente, per es., al v. 63 (πε ονα, τειµOσατε). Boeckh (ap. MC Kay 1962, 17) aveva anche individuato in Diodoro e Igino i paralleli letterari a favore di questo intervento testuale sostenendo che «de templo diruto loquuntur Diodorus (v. 61) et Hyginus (Poet. Astr. 2, 14)». Questa osservazione di Boeckh si collegava al fatto che proprio Diodoro, Igino e Marcello sono coloro che presentano Triope come l’unico responsabile dell’oltraggio nei confronti della dea Demetra. In realtà Diod. 5, 61 parla non della distruzione di un tempio ma di quella di un temenos (τα3θα δ( τ' τ µενος τ4ς ∆Oµητρος )κκ/ψαντα τo [µ(ν] Dλp καταχρ4σθαι πρ'ς βασιλε ων κατασκευOν) mentre Hygin. Astr. 2, 14 usa il termine templum come «a faulty translation of temenos which he found in some Greek handbook» (MC Kay 1962, 17). Tutti è due gli scrittori poi collegano questo atto di Triope con il suo proposito di costruire un palazzo reale con il legname ricavato dagli alberi del bosco della dea. Quindi νει/ν del v. 96, piuttosto che costituire un errore grossolano, è una variante meditata di Marcello, che piega 105 il racconto mitico ai propri fini, facendo di Triope colui che fu punito per aver saccheggiato il maggese sacro alla dea. Il nesso Τρι/πεω µ νος enfatizza la violenza esercitata dal re della Tessaglia contro il campo di Demetra. Peek 1979, 84, cita come modelli di Τρι/πεω µ νος Il. 7, 38 nκτορος … κρατερ'ν µ νος e 11, 268 µ νος SτρεÅδαο; ved. anche Führer 1993b, s. v. µ νος. Il sostantivo µ νος è qualificato per enallage da gφθιµον «strong, mighty» (Beck 1989, s. v.), aggettivo che Omero adopera come epiteto riferito a uomini e donne; ved. commento al v. 56. Per quanto riguarda il patronimico Α ολ δαο Marcello mostra di seguire la tradizione mitica testimoniata da Diod. 5, 61, 3 ο\ µ(ν γ9ρ ναγρ φουσιν α,τ'ν υ\'ν εeναι Καν χης τ4ς Α /λου καC Ποσειδ νος, ο\ δ( Λαπ θου το3 Sπ/λλωνος καC Στ λβης τ4ς Πηνειο3 e Call. Cer. 98-9 εgπερ )γw µ ν / σε3 τε καC Α ολ δος Καν κας γ νος, secondo cui Triope discenderebbe per via materna dal dio Eolo. Il genitivo eolico Α ολ δαο è sempre attestato in clausola di esametro; cfr. Od. 11, 237; Call. fr. 618, 1 Pfeiffer, Ap. Rh. 2, 849; 3, 361. v. 97. τ2 τ2 Yτοι Yτοι ποιν$ ποιν$ν καC καC )πωνυµ )πωνυµ ην λ ασθα<ι> ʖασθα<ι> χ ρου. Per quanto riguarda il sostantivo )πωνυµ η cfr. Ap. Rh. 2, 910 ^δ( καC Α}λιον mντρον )πωνυµ ην καλ ουσιν; 3, 245 κα µιν Κ/λχων υKες )πωνυµ ην Φα θοντα / =κλεον; 4, 658 =νθα λιµ$ν Sργ2ος )πωνυµ ην πεφ τισται; Opp. Hal. 1, 127 νδρ'ς )πωνυµ ην θηλ φρονος η,δ ξαντο; 2, 429 τ$ν κν δα κικλOσκουσιν, )πωνυµ ην dδυν ων; Nonn. D. 8, 12, vψιµον γχιτ/κοισιν )πωνυµ ην π/ρε κισσο3; 9, 19-20 πατρsην )π θηκεν )πωνυµ ην τοκετο*ο / κικλOσκων ∆ι/νυσον; 13, 97 ξεινοδ/κου µεθ πουσαν )πωνυµ ην ¤ρι4ος; 28, 307 )πωνυµ ην δ( φυλ σσων; 44, 213 vφρα γερα ρpς / ρχεγ/νου Ζαγρ4ος )πωνυµ ην ∆ιον σου; Paraphr. Joan. 1, 165 )πωνυµ ην δ( καλ ψει / πρεσβυτ ρην Σ µωνος jπ ρτερον ο}νοµα Π τρου. L’infinito come forma di imperativo alla seconda persona è molto comune nella poesia epica; ved. Kühner-Gerth 1904, II, 19-23. Il dativo neutro τ2 «therefore» (LSJ, s. v. VIII, 2), tipico dello stile omerico e tragico, si ricollega all’esempio mitico di Triope dei versi precedenti. Esso permette di ammonire chiunque abbia in mente di apportare delle modifiche al territorio romano di 106 Erode Attico, che nella sua denominazione Triopio reca il ricordo della punizione divina di Triope. v. 98. µO τοι ¨πηται =πι Τρ<ι>/ Τρ<ι>/πειος hριν ς. Riguardo a ¨πηται =πι Fiorillo 1801, 89 afferma: « ¨πηται =πι, poëta dixit pro )φ πηται». Per il collegamento di Nemesi con l’Erinni ved. Eur. fr. 1022 Kannicht e Dion. Hal. Ant. 2, 75, 2. Nel verso finale la vendetta viene garantita dall’Erinni, qui qualificata come triopea attraverso l’aggettivo Τρι/πειος; ved. Wilamowitz 1928, 19 «die Verwendung der maskulinen Form Τρι/πειος für das Femininum ist besonders auffallend, aber nur Steigerung einer geltenden Freiheit». Per la posizione di hριν ς in clausola di esametro cfr. Il. 9. 454, 571; 19, 87; Od. 2, 135; 15, 234. 107 6 = 99 Ameling Geagan 1964, 149-56; SEG 23, 121; Peek 1980, 37, nr. 39; Ameling 1983, 117-8, nr. 99. Maratona. Campagna. Sul pilastro di una porta. Dopo il 160-161 d. C. Ved. Geagan 1964, 149-56; Oliver 1970, 25; Peek 1980, 37, nr. 39; Ameling 1983, 117-21, nr. 99; Bowie 1989a, 231-2; Tobin 1997, 247-9; Galli 2002, 134-8; Vox 2003, 211-8; Skenteri 2005, 66-72. Tra Vrana e Maratona, nella valle nota con il nome di Μ ντρα τ4ς Γρα*ας, si estende un terreno appartenuto ad Erode Attico e a sua moglie Regilla, sul quale era stato costruito un arco, che reca due iscrizioni: IG II2 5189 = 97 Ameling e IG II2 5189a = 98 Ameling; ved. Mallwitz 1964, 157-64; Ameling 1983, 117, nrr. 97-8; Tobin 1997, 242-6; Galli 2002, 135; Vox 2003, 21; Skenteri 2005, 66-7. µονο ας θαν τ[ου] π λη ρ δου χ ρος µονο ας θαν τ[ου] π λη. !ηγ λλης χ ρος ε ς ν ε σ ρχει. ε ς ν ε σ ρχε[ι]. La Porta della Concordia immortale. Il territorio in cui entri appartiene a Erode. La Porta della Concordia immortale. Il territorio in cui entri appartiene a Regilla. L’iscrizione IG II2 5189 venne registrata per la prima volta da Fauvel nel 1792. Come già notava Philippe Le Bas, che visitò Maratona tra il 1843 e il 1844, 108 l’iscrizione è incisa sulla chiave di volta di un arco che segnava l’ingresso nel terreno; tuttavia essa rimase ignorata fino a quando nel 1964 Mallwitz non ne pubblicò uno studio. La sola lettura di IG II2 5189 aveva convinto Grandoir 1914, 75, a vedere nell’arco di Maratona un segno della riconciliazione tra Erode e gli abitanti di Atene dopo gli avvenimenti di Sirmio e a interpretare la Concordia dell’iscrizione come la personificazione del nuovo clima cittadino; ved. commento a IG II2 3606 = 190 Ameling. Nel 1926 Soteriades analizzò il blocco di pietra dell’arco e sul lato opposto a quello di IG II2 5189 trovò la nuova iscrizione IG II2 5189a, identica alla precedente tranne nel genitivo di appartenenza !ηγ λλης. Da questa scoperta Soteriades trasse la conclusione che l’arco doveva appartenere a un campo di proprietà di Erode Attico da un versante e di Regilla dall’altro, donato alla donna in occasione delle loro nozze. Poiché queste, secondo Ameling 1983, I, 78, vennero celebrate intorno al 142 d. C. quando Regilla aveva circa 15-17 anni ed Erode 40, questo è anche l’anno di costruzione dell’arco e di composizione delle due iscrizioni, le quali, battezzando l’arco con il nome di Porta della Concordia immortale, enfatizzano pubblicamente la perfetta felicità della coppia di coniugi. Difficile è stabilire il concreto valore di una simile donazione poiché in ogni caso, per un uomo benestante come Erode, il terreno era di dimensioni piuttosto modeste e non rappresentava certo un grande possedimento di cui egli si privava per farne dono alla moglie. Gli scarsi resti archeologici non portano nemmeno a concludere che su questo terreno sorgesse una grandissima villa, la quale ne accrescesse il valore. Mallwitz 1962, 163, ritiene che il valore del dono risieda piuttosto nella natura stessa del terreno, un locus amoenous, che, a suo giudizio, doveva includere una villa o qualcosa del genere, poiché è poco credibile che «Herodes habe seiner Gemahlin ein Stück Macchia verehrt». Per quanto riguarda il nome Μ ντρα τ4ς Γρα*ας «the Old Woman’s Scheepfold», secondo Vanderpool 1970, 44, si tratterebbe di un riferimento a Regilla e non di una denominazione moderna derivata dal moderno folclore greco che narra la trasformazione in pietra di una donna e delle su greggi per aver schernito Martis, la personificazione del mese di marzo; ved. Frazer 1898, II, 438. «The local peasantry may well have referred to it from the start als the Old 109 Woman’s Mandra, the old woman being Regilla herself. Only after Regilla had been long forgotten did the Old Woman become identified with one of the seated statues, and even this, as now seems probable, was a statue of Regilla» (Vanderpool 1970, 45). La Porta della Concordia immortale assurge a simbolo dell’unione matrimoniale tra Erode e Regilla, a custodia della quale presiede la personificazione divina della Concordia cui, tramite l’epiteto θ νατος, Erode rivendica la qualifica dell’immortalità, tipica di ogni divinità. La Concordia veniva venerata sin dal IV sec. a. C., come testimoniano le monete provenienti da Metaponto e le iscrizioni; per le epigrafi contenenti riferimenti alla personificazione della Concordia ved. Zwicker 1913, 2266-7; su Concordia Austin 1900. Ap. Rh. 2, 717, racconta che già gli argonauti avevano edificato alla Concordia, nel Ponto Eusino, un altare ancora visibile ai suoi giorni mentre Paus. 5, 14, 9, testimonia l’esistenza ad Olimpia di un altare della Concordia, accanto a quello di Atena e della madre degli dei. Dio Chrys. 39, 8, 7-10, rivolge una preghiera alla Concordia insieme ad altre divinità, ε}χοµαι δ$ τ2 τε ∆ιον σ7 τ2 προπ τορι τ4σδε τ4ς π/λεως καC ρακλε* τ2 κτ σαντι τOνδε τ$ν π/λιν καC ∆ιC Πολιε* καC Sθην5 καC Sφροδ τp Φιλ ] καC θεο*ς. La prima testimonianza letteraria di µονο ] καC Νεµ σει καC το*ς mλλοις µ/νοια intesa come Concordia matrimoniale è di Charito 3, 2, 16, che cita un tempio della Concordia presso il quale era tradizione per gli sposi ricevere le loro spose, περC τ' \ερ'ν τ4ς µονο ας ^θρο σθη τ' πλ4θος, Rπου π τριον Iν το*ς γαµο3σι τ9ς ν µφας παραλαµβ νειν48. Pertanto la Concordia immortale dell’iscrizione di Erode è la personificazione della virtù indispensabile per un’unione felice, secondo una convinzione diffusa che trova riscontro in numerose testimonianze letterarie ed 48 Per la discussa datazione di Caritone ved. WEINREICH 1962, 13-4 e SCHMELING 1974, 17-9. WEINREICH 1962 ritiene che Perseo I, 134, his mane edictum, post prandia Callirhoen do, alluda al romanzo di Calliroe e afferma: «galt das Werk im Rom Neros als Typus einer leichten literarischen Kost für die Siesta nach dem Pranzo». A questa testimonianza letteraria, che lega Caritone all’età neroniana SCHMELING 1974 contrappone quella di Philostr. Ep. 1, 66 il quale invia l’epistola a un certo Caritone (Χαρ τωνι. ΜεµνOσεσθαι τ ν σ ν λ/γων οgει τοMς nλληνας, )πειδ9ν τελευτOσpς· ο\ δ( µηδ(ν vντες, π/τε ε σ ν, τ νες ~ν εeεν, π/τε ο,κ ε σ ν) e annota: Though Philostratus’s statements do not single out our Chariton from other possible writers of the same name, we are inclined to believe that Philostratus is here denigrating our Chariton and his novel». 110 epigrafiche; cfr. Muson. XIIIB 69 Hense πο*ος µ(ν γ9ρ γ µος χωρCς µονο ας καλ/ς; Dio Chrys. 38, 15 πρ'ς γυνα*κα; καC δ( γ µος γαθ'ς τ mλλο )στCν < µ/νοια νδρ'ς κακ'ς γ µος τ mλλο )στCν < - το των διχ/νοια; Men. Rh. 411, 14-5 τ οEν τ' π' το3 γ µου κ ρδος; µ/νοια οgκου κτλ.; IEph. 5, 2065, 12 Îρµον η θ λαµον πOξατ0 )π0 ε,γαµ p; OGIS 308, 8-9 προσενενην χθαι δ( καC το*ς τ κνοις µετ9 π σης µονο ας γνησ ως. In un epigramma sepolcrale per una coppia di sposi, MAMA 1, 86, la Concordia viene chiamata µοφροσ νη; in modo molto simile in MAMA 4, 133 viene detta µ/φρονας )γ νε/τητος. In SEG 26, 1145, che conserva un epigramma funebre proveniente da Roccagione, è detto al rigo 5: concordes animae duo vix[imus anno]s cas[tos]. Pl. ep. 4, 19, 5, in riferimento al suo matrimonio, scrive: his ex causis im spem ceertissimam adducor, perpetuam nobis maioremque in dies futuram esse concordiam. Un interessante parallelo per la presentazione di µ/νοια che presiede a una relazione matrimoniale è presente su un conio dell’imperatore Antonino Pio, emesso tra il 140 e il 144 d. C., il quale presenta la scritta concordiae e raffigura l’imperatore Antonino e la deificata Faustina nell’atto di stringere le mani su una coppia più piccola la quale, a sua volta, stringe le mani su un altare; per questo conio ved. Strack 1937, 97-8. Anche le monete alessandrine emesse tra il 141 e il 142 d. C. celebrano la concordia della coppia imperiale; ved. Vogt 1924, 125. Una conferma di questo sacrificio religioso compiuto da una giovane coppia di sposi a favore della coppia imperiale per la sua esemplare concordia è offerta da un’iscrizione proveniente da Ostia CIL XIV 5326, 1-2 imp. Caesari T. Aelio Hadriano Antonino Aug. Pio PP et divae Faustinae ob insignem eorum concordiam; cfr. anche IG II2 1077, 18 θ νατον µ/νοιαν τ ν dσ ων βασιλ ων, databile al periodo in cui Erode sposò Regilla. Dio 71, 31, 1-2, riferisce che gli stessi sacrifici compiuti presso un altare da parte di giovani coppie erano stati riservati a Faustina minore divinizzata dopo la morte; τ2 δ( Μ ρκ7 καC τo Φαυστ νp )ψηφ σατο - βουλ$ =ν τε τ2 Sφροδισ 7 τ2 <τε> !ωµα 7 ε κ/νας ργυρ;ς νατεθ4ναι καC βωµ'ν \δρυθ4ναι, καC )π0 α,το3 π σας τ9ς κ/ρας τ9ς )ν τ2 mστει γαµουµ νας µετ9 τ ν νυµφ ων θ ειν, καC )ς τ' θ ατρον χρυσ4ν ε κ/να τ4ς Φαυστ νης )πC δ φρου ε , σ κις γ0 ~ν )κε*νος θεωρo, )σφ ρεσθα τε καC )ν τo προεδρ ] )ξ tς ζ σα )θε;το τ θεσθαι, καC περC α,τ$ν τ9ς γυνα*κας τ9ς δυν µει προεχο σας συγκαθ ζεσθαι. 111 Le iscrizione IG II2 5189 e IG II2 5189a permettono di parlare non solo di una imitatio Antonini, ma anche di una a) imitatio Adriani e b) imitatio Thesei. a) L’imitatio Adriani è relativa al fatto che la Porta della Concordia immortale si richiama all’arco che Adriano aveva fatto erigere ad Atene, collocando sugli stipiti le due iscrizioni IG II2 5185 (a) αrδƒ ε σƒ Sθ4ναι Θησ ως πρ ν π/λις e (b) αrδƒ ε σƒ Îδριανο3 κα* ο,χC Θησ ως π/λις49. In merito Geagan afferma: «Just as Hadrian, who was a new citizen to Athens in contrast to Theseus, was eponymous for the Ν αι Sθ4ναι […], so Regilla, a new citizen in Marathon (IG XIV 1389, 5 γOµατο δƒ )ς Μαραθ να) was eponymous for the ν ην π/λιν in Marathon»; Arafat 1996, 200, commenta: «Hadrian was intended to been seen as complementing, rather than replacing, Theseus, as Herodes complements Regilla». b) L’arco rivela anche una imitatio Thesei perché il testo di Erode, per la divisione del terreno, presuppone le due iscrizioni in trimetro giambico, già citate da Strab. 3, 55, e 8, 1, 6, le quali, secondo il racconto di Plu. Thes. 25, 3, Teseo avrebbe fatto incidere su un arco all’Istmo di Corinto, per distinguere i territori della Ionia e del Peloponneso, Τ δƒ ο,χC Πελοπ/ννησος, λλƒ |ων α […] Τ δƒ )στC Πελοπ/ννησος, ο,κ |ων α. La realizzazione dell’arco e la citazione della Concordia immortale conferiscono a questa zona tra Vrana e Maratona un significato quasi sacrale. Erode mutua l’idea di una città caratterizzata «dalla progressiva sacralizzazione degli spazi» (Calandra 2006, 279) dall’imperatore Adriano, la cui imitatio è un punto costante nella sua vita e attività evergetica ad Atene. A questo processo di sacralizzazione degli spazi appartiene anche il desiderio di perpetuare la memoria dei cari. Per questo motivo alla morte di Regilla (161 d. C.) Erode fece incidere sul pilastro della porta che guarda a oriente una nuova epigrafe, la quale venne ritrovata nel 1960 da Geagan e pubblicata nel 196450. Egli descrive in questi termini lo stato di conservazione del testo: «the text is intact with the following exceptions: the first two letters each of lines 1, 4 and 6 and the first letter each of lines 3, 5 and 7 are preserved on the sliver now in the office of the Ephor. The 49 Discusso è il significato dell’arco di Adriano e della sua iscrizione per la topografia di Atene; ved. TOBIN 1997, 244, n. 10. 50 Geagan riferisce che è stato un pastore, residente nella zona di Μ ντρα τ4ς Γρα*ας, a fargli notare la pietra contenente l’iscrizione. 112 concluding letters of lines 6 and 7 are missing and seem to be irrecoverable due to chipping along the right hand edge of the face of the stone; a few letters a short distance from the left hand edge of the text have been obscured by a crack now developing. The preserved letters range in height from 0.013 to 0.015» (Geagan 1964, 150). Il fatto che l’epigrafe sia stata aggiunta in un secondo momento sul pilastro della porta e che la superficie sia stata poi adattata al testo, riducendo ogni rigo di circa venti millimetri per una profondità di due o tre millimetri, dimostra che il pilastro non era stato originariamente concepito per contenere un’iscrizione. L’epigramma si articola in tre coppie di distici elegiaci, all’interno delle quali il secondo verso è spostato di alcune lettere verso l’interno rispetto al primo. Inoltre il primo esametro è diviso su due righe. L’epigramma è articolato nella forma di un dialogo: alle parole di un osservatore esterno che formula un elogio di Erode, si contrappongono nel secondo e terzo distico quelle di Erode in persona, che smentisce l’opinione dell’interlocutore e afferma la compresenza di gioia e dolore nella vita umana, «con una combinazione dunque di comunicazione privata e riflessione consolatoria collettiva» (Vox 2003, 217). Per questo motivo tutti i commentatori attribuiscono la stesura dell’epigramma tradizionalmente ad Erode Attico in persona. Omero è il modello seguito da Erode che gioca con allusioni verbali e concettuali e crea «nessi originali che richiamano fraseologia funeraria» (Vox 2003, 217). ʽË µ καρ, Rστις =δειµε ν ην π/λιν, ο}ν[ο]µα δ0 α,τ$ν !ηγ λλʖηʖς καλ ων ζ ει γαλλ/µενος.ʼ ʽζ ω δ0 χʖ[ν] µενος τ/ µοι ο κ α τα3τα τ τυκται ν/σφ[ι] φ λης λ/χου καC δ/µος -µιτελOς· Qς mρα τοι θνητο*σι θεοC βιοτ$ν {)}κερασ ντ[ο] 5 χ [ρ]µατ τ0 Yδ0 ν ας γε τονας µφCς =χωʖ.ʼ 5 {)}κερασ ντ[ο] Ameling, κερ σαντ[ες] Geagan 6 =χωʖ Ameling, =χεʖ[ιν] Vox, =χοʖ[υν] Geagan. 113 «Felice colui che edificò una città nuova, dandole il nome di Regilla, vive gioiosamente». «Vivo invece afflitto per il fatto che da me è stata costruita questa città ma è senza l’amata moglie e la casa è incompleta. Così davvero gli dei mescolarono per i mortali la vita, sì che io abbia gioie e dolori per vicini, da una parte e dall’altra». v. 1. Ë µ καρ, Rστις. L’epigramma si apre con una formula di makarismos, «predicazione di beatitudine che si applica alle occasioni e ai contenuti più disparati» (Rossi 1971, 20). Ved. anche Gladigow 1967, 405: «Die Gründe, aus denen man seit Homer jemand selig pries, werden aus allen Lebensbereichen genommen: Schönheit, Ruhm, Reichtum erschienen den Griechen nicht weniger preiswürdig als der Besitz trefflicher Kinder oder einer schönen Braut». Per esempi di makarismos in autori greci e latini ved. Norden, 19233, 100-1, n. 1. Lo schema del makarismos si presenta piuttosto rigido; all’interiezione Ë si accompagnano gli aggettivi più usuali, quali µ καρ, µακ ριος, vλβιος, ε,δα µων51, seguiti da un’apostrofe espressa da una relativa introdotta dal pronome Rς ο Rστις, la quale presenta i parametri che qualificano il soggetto come beato agli occhi di un osservatore esterno. Tale relativa è tipica soprattutto della predicazione innica, come già dimostra l’esempio omerico di Il. 1, 37-8 κλ3θ µευ ργυρ/τοξ0, ς Χρ σην µφιβ βηκας / Κ λλ ν τε ζαθ ην Τεν δοι/ τε eφι ν σσεις, in cui all’epiteto del dio ( ργυρ/τοξε) segue la proposizione relativa contenente i luoghi di culto della divinità; ved. Norden 19233, 168-76. Bowie 1989a, 231, sottolinea che la formula incipitaria Ë µ καρ, Rστις è di derivazione elegiaca e rinvia a Theogn. vv. 1013-4 West2 Ë µ καρ ε,δα µων τε καC vλβιος, Rστις mπειρος / mθλων ε ς S δου δ µα µ λαν κατ βη. Nelle brevi elegie gnomiche di Teognide l’intervento a makarismos è uno dei moduli incipitari più ricorrenti che «determinano e segnalano l’organizzazione dell’intero intervento breve» (Vetta 1980, 143); cfr. anche Theogn. vv. 933-8, 1171-6, 12534, 1335-6, 1375-6 West2. A questo esempio Vox 2003, 212, aggiunge anche quello di Choeril. 317, 1-2 SH Ë µ καρ, Rστις =ην κε*νον χρ/νον gδρις οιδ4ς, / 51 I tre aggettivi designavano originariamente tre tipi diversi di felicità: µ καρ indicava una felicità di natura divina, vλβιος una di origini non indagabili mentre ε,δα µων descriveva la felicità come dono offerto da una divinità non individuabile; ved. Rossi 1971, 20, n. 32. 114 Μουσ ων θερ πων, Rτ0 κOρατος Iν =τι λειµ ν, dimostrando in questo modo che la formula Ë µ καρ, Rστις è la variazione di un makarismos già attestato in Il. 3, 182-3, benché in forma di vocativo, B µ καρ SτρεÅδη µοιρηγεν(ς dλβι/δαιµον, / I N ν τοι πολλοC δεδµOατο κο3ροι Sχαι ν. Il testo omerico testimonia pertanto l’uso della formula di beatitudine nella sfera secolare. Un’altra variazione di questo makarismos è offerta da Bacch. 3, 10-4 Maehler Ë τρισευδα µ[ων ν$ρ, / ς παρ9 Ζην'ς λαχwν / πλε σταρχον Tλλ νων γ ρας / οeδε πυργωθ ντα πλο3τον µ$ µελαµ- / φαρ ϊ κρ πτειν σκ/τ7: Bacchilide fa consistere la beatitudine di Ierone di Siracusa, vincitore nella quadriga a Olimpia, nell’avere ottenuto da Zeus il privilegio di dominare sul più grande numero di Greci. Nel modello omerico si nota, però, come la beatitudine di Agamennone non sia spiegata tramite una relativa, come nella predicazione innica, bensì attraverso una proposizione principale introdotta dalla congiunzione asseverativa I; lo stesso avviene per gli altri casi di makarismos in Od. 11, 450-1 vλβιος· I γ9ρ τ/ν γε πατ$ρ φ λος vψεται )λθ ν / καC κε*νος πατ ρα προσπτ ξεται, i θ µις )στ ν e Od. 24, 192-3 vλβιε Λα ρταο π ϊ, πολυµOχαν0 ¹δυσσε3, / I mρα σMν µεγ λp ρετo )κτOσω mκοιτιν. Tuttavia, nell’Odissea, quando gli uomini, cui è rivolta la formula di beatitudine, sono sentiti dal parlante come vicini o simili agli dei, il makarismos è espresso tramite una relativa secondo il canone tipico delle invocazioni agli dei: cfr. Od. 24, 36-7, in cui Agamennone giustifica la lode per Achille mediante la relativa ς θ νες )ν Τρο p Xκ9ς ‰ργεος, la quale precede l’invocazione vλβιε Πηλ ος υ\ , θεο*σ0 )πιε κελ0 Sχιλλε3, che mette in risalto, tramite l’epiteto θεο*σ0 )πιε κελε, la natura divina di Achille, e Od. 5, 306-7 τρCς µ καρες ∆αναοC καC τετρ κις, οf τ/τ0 vλοντο / Τρο p )ν ε,ρε p, χ ριν SτρεÅδpσι φ ροντες, a proposito del quale Heer 1969, 11, scrive: «They are happy because they have ceased to be insecure; it is not their death, but the moment of their dying and their present condition that to Odysseus make them happy. It should be observed that the link with the divine sense appears to be very tenuous». In Omero µ καρ viene associato all’interiezione B mentre Ë è molto frequente negli stereotipi Ë δε λ, Ë δειλο , Ë δειλ ; ved. Radici Colaci 1979, 16. 115 Il relativo Rστις, oltre a dare alla frase il carattere di una massima generale e a delineare una situazione quasi paradigmatica52, conferisce solennità all’enunciato del makarismos, poiché, come osservava già Dirichlet 1914, 26, la lingua colloquiale disponeva di altri mezzi per esprimere il medesimo concetto come, ad es., del genitivo di causa (cfr. Ar. Pac. 715 ¶ µακαρ α βουλ$ σM τ4ς Θεωρ ας) o della proposizione causale (cfr. Ar. Ach. 400-1 ¶ τρισµακ ρι0 Ε,ριπ δη, Rθ0 δο3λος οjτωσC σοφ ς jποκρ νεται). Il topos del makarismos, che si lega fortemente alla concezione greca, secondo cui la felicità umana deve esprimersi all’esterno dell’uomo, viene adattato da Erode alla struttura dialogica dell’epigramma. =δειµε ν ην π/ π/λιν. λιν Vox 2003, 212, scarta, come aveva già fatto Geagan 1964, 151, la possibile lettura ¨ην al posto di ν ην poiché, «vista la precisazione immediatamente successiva che la “città” porta il nome di Regilla, dunque è semmai π/λις !ηγ λλης, non polis dell’ecista (Erode)». Il verbo δ µω è poi attestato come termine tecnico per indicare la costruzione materiale di una città e non la sua fondazione per mezzo dell’ecista, per la quale è usato il verbo κτ ζω; ved. LSJ, s. v.53. Pertanto il nesso =δειµε π/λιν non va tanto confrontato con il dubbio Call. fr. 43, 80-2 Pfeiffer = 50, 80-2 Massimilla r]λʖαοʖςʖ -µετ ρην Rστις =δειµε [π/λ]ιʖν (Hunt; [δ/µ]οʖν Massimilla; [τροφ]οʖν D’Alessio) / )ρ]χ σθω µετ9 δʖαʖ*ʖτα, π ρεστι δ( καC δ 0 mγεσθαι κ]αC πλ ας· ο,κ dλʖ[ ]γʖωʖςʖ αʖ[K]µα βο'ς κ ʖχʖυʖ[τ]αι, in cui si parla della fondazione di Zancle e dei suoi ecisti, quanto con Nonn. D. 41, 67-8 καC Βερ/ης ν σσαντο π/λιν πρωτ/σπορον ¨δρην, / iν Κρ/νος α,τ'ς =δειµε; Christ. A. P. 7, 697, 6 Λυχνιδ/ν, iν Φο*νιξ Κ δµος =δειµε π/λιν; P. Sil. S. Soph. 241 ε καC π;σαν =δειµας )µοC π/λιν… e IGUR III 1151, 4-6 Ιβηρ cβηρος )νθαδC τετ ρχυται. / π/λιν παρ0 \ρOν, iν =δειµε Νικ τωρ / )λαι/θηλον µφC Μυγδ/νος ν;µα; ved. Vox 2003, 212. Nella forma media il nesso è usato da Ath. Deipn. 11, 5, 16-7 α,τ/θι π/λιν )δε µατο ρ κλειαν τ$ν Τρηχιν αν 52 Ved. SCHWYZER 1950, II, 336: «einleitende Rστις, ποτε gegenüber Rς, Rτε haben an sich nur den Begriff der Allgemeinheit, nicht der Wiederhölung». Per una discussione del significato e dell’uso dei relativi Rς e Rστις ved. anche TZAMALI 1996, 138-140, nel commento a Sapph. 16, 3 Voigt e 170-1, nel commento a Sapph. 31, 2 Voigt. 53 Cfr. anche Il. 20, 215-6 ∆ ρδανον αE πρ τον τ κετο νεφεληγερ τα Ζε ς, / κτ σσε δ( ∆αρδαν ην, Od. 11, 262-3 κα N0 =τεκεν δ ο πα*δ0, Sµφ ον τε Ζ4θ/ν τε, οf πρ τοι ΘOβης ¨δος =κτισαν Xπταπ λοιο e Pi. P. 1, 61-2 τ2 π/λιν κε ναν θεοδ΄µ τ7 σMν )λευθερ ] / ¤λλ δος στ θ΄µας „ ρων / )ν ν/µοις =κτισσε, in cui =κτισσε riprende ο κιστOρ del v. 31. 116 καλεοµ νην; da Philo Judaeus, Spec. 2, 119, 6 ο κ ας )ν τα,τ2 καC π/λεις )δε µαντο e da Ios. Fl. AJ 1, 62, 2 καC π/λιν )δε µατο. Nell’epigramma di Erode il sostantivo π/λις ha una particolare enfasi perché per sineddoche «equivale a χ ρος di IG II/III2 3, 1, 5189a […] più modestamente a οeκος» (Vox 2003, 212), dove tra i due coniugi regna uno stato di concordia esemplare ( µονο ας θαν του). Non a caso infatti ai vv. 3-4 compaiono i termini ο κ α e δ/µος, che descrivono il campo semantico dell’epigramma. La corrispondenza di =δειµε π/λιν a =δειµε οeκον permette un confronto anche con Od. 6, 9 )δε µατο οgκους, in cui Nausitoo, detto simile a un dio, viene presentato come benefattore dei Feaci, per averli fatti trasferire dall’ampia Iperea, vicino ai Ciclopi, a Scheria, per aver cinto loro la città di mura e costruito le dimore. Il fatto che Erode venga caratterizzato nel makarismos dell’osservatore per la costruzione della π/λις / ο κ α concorda con l’immagine di benefattore di Erode che si trae dalla testimonianza filostratea relativa al ripopolamento delle città di Orico nell’Epiro e di Canosa; cfr. V. S. 2, 551,14-7 kκισε δ( καC τ' )ν τo ¼πε ρ7 ·ρικ'ν jποδεδωκ'ς Yδη καC τ' )ν τo |ταλ ] Καν σιον -µερ σας Dδατι µ λα το του δε/µενον. Sull’attività di Erode a Orico ved. Graindor 1930, 226, mentre per il suo interesse per la città di Canosa ved. Graindor 1930, 68-9 e Ameling 1983, I, 87-8. vv. 1-2. ο} ο}ν[ο]µα δ0 δ0 α,τ$ν / !ηγ λλʖηςʖ καλ ων. Questa espressione è, a parere di Tobin 1997, 248, con approvazione di Vox 2003, 213, un indizio del fatto che sicuramente il parlante vedeva sullo stipite che guarda verso l’esterno del terreno l’iscrizione recante il nome di Regilla; riguardo alla posizione di IG II2 5189a ved. Mallwitz 1964, 162, Vanderpool 1970, 44 e Tobin 1997, 248. Il nesso ο}νοµα / vνοµα καλε*ν, usato per indicare il nome con cui una persona o una città viene chiamata, è attestato in Od. 8, 550 εgπ0 vνοµ0, Rττι σε κε*θι κ λεον µOτηρ τε πατOρ τε, nella domanda che Alcinoo rivolge ad Odisseo per conoscerne il nome; in Eur. Ion 259 vνοµα τ σε καλε*ν -µ;ς χρε ν; nel dialogo tra Ione e Creusa; in Bacchae 275-6 ∆ηµOτηρ θε — / Γ4 δ0 )στ ν, vνοµα δ0 π/τερον βο λp κ λει; nel discorso di Tiresia sugli elementi essenziali per gli uomini e in Plat. Crat. 383b, 5-6 Rπερ καλο3µεν vνοµα ¨καστον, το3τ/ )στιν Xκ στ7 vνοµα; nelle parole di Ermogene sulla correttezza dei nomi. 117 v. 2. ζ ει γαλλ/ γαλλ/µενος. µενος Mette 1955, s. v. γ λλοµαι, annota che il verbo si costruisce sempre con il dativo. In questo caso però l’epigramma di Erode per Regilla ne documenta un uso piuttosto raro senza complemento, benché si possa intendere che qui γαλλ/µενος venga completato dal participio precedente καλ ων sul modello di Il. 17, 473 τε χεα δ0 nκτωρ α,τ'ς =χων ‹µοισιν γ λλεται Α ακ δαο (cfr. anche 18, 132) e Arch. fr. 128, 4 West2 καC µOτε νικ ων µφ δην γ λλεο. Vox 2003, 213, cita, come unico confronto possibile, Hes. Sc. 86 ζ ε δ0 γαλλ/µενος σMν )υσφ ρ7 ¼λεκτρυ νp e ricorda che «il precedente epico suggerisce di supplire qui a ζ ει γαλλ/µενος il complemento σ ν !ηγ λλp (φ λp λ/χ7: vd. v. 4)». Il nesso ζ ει γαλλ/µενος chiarisce che l’elogio espresso dal passante è un makarismos privato per lodare la felicità coniugale di Erode, piuttosto che un makarismos pubblico per celebrare l’ecista che ha edificato una nuova città. L’osservatore immaginario tace il nome di Erode ma dà risalto alla sua scelta di conferire alla città il nome della moglie. Erode sfrutta l’espediente dell’elogio di un osservatore fittizio, ignaro della tragedia che lo ha colpito, per dare risalto al suo sfogo di dolore nel distico successivo. v. 3. ζ ω δ0 δ0 χʖ[ν] µενος. µενος. A partire da questo verso la voce di Erode si contrappone a quella dell’osservatore e si configura, sin dall’inizio, come una vera e propria smentita dell’elogio precedente. Il terzo verso, che si presta a due possibili letture, poiché una lettera sulla pietra non è più leggibile (ζ ω δ0 χʖ[ν] µενος oppure ζ ω δακ[ρ] µενος), si apre infatti con la ripresa del verbo ζ ω il quale, indipendentemente dall’integrazione scelta, è accompagnato da un participio che gli conferisce una sfumatura di significato opposta a quella posseduta nel verso precedente. Già Geagan 1964, 151, preferisce la prima lettura ζ ω δ0 χʖ[ν] µενος, dal momento che «the particle δ emphasizes the logical structure of the epigram». A favore di questa tesi si aggiunge l’evidente richiamo a Il. 24, 525-6, Uς γ9ρ )πεκλ σαντο θεοC δειλο*σι βροτο*σι / ζ ειν χνυµ νοις· α,τοC δ τ0 κηδ ες ε σ , in cui Achille esprime una legge di dolore valida per tutti gli uomini, secondo la quale gli dei danno agli uomini afflitti beni e mali mescolati insieme; cfr. vv. 527-30 δοιοC γ ρ τε π θοι κατακε αται )ν ∆ι'ς ο}δει / δ ρων οKα δ δωσι κακ ν, ¨τερος δ( X ων· / ´ µ ν κ0 µµ ξας δ p ΖεMς 118 τερπικ ραυνος, / mλλοτε µ ν τε κακ2 R γε κ ρεται, mλλοτε δ0 )σθλ2. Per Vox 2003, 213: «l’eco omerica vale ad escludere l’altra possibile lettura». Le parole pronunciate dall’eroe rispecchiano, dunque, anche il destino di Erode: come Peleo e Priamo, cui Achille allude nel suo discorso, avevano avuto una vita felice ed erano stati modelli di prosperità e ricchezza fra gli uomini fino a quando non avevano ricevuto dagli dei il dolore (v. 538 λλ0 )πC καC τ2 θ4κε θε'ς κακ/ν, v. 547 α,τ9ρ )πε τοι π4µα τ/δ0 Yγαγον Ο,ραν ωνες), così anche Erode ha sperimentato la sofferenza per la morte di Regilla e non è più l’uomo dalla vita felice (ζ ει γαλλ/µενος), come invece commenta erroneamente l’osservatore. τ/ µοι. La causa del dolore di Erode viene introdotta dal pronome relativo neutro τ/, il quale corrisponde qui al latino quod, accompagnato dal pronome personale µοι. Quest’uso è stato rintracciato da Oliver, come ricorda Geagan 1964, 151, in Od. 11, 540 γηθοσ νη, R ο\. Vox 2003, 214, aggiunge gli esempi di Il. 9, 534 χωσαµ νη R ο\… e 20, 283 ταρβOσας R ο\…, ricordando che in Ebeling 1885, s. v. Rς, II 87, ne sono registrati altri. ο κ α τα3 τα3τα τ τυκται. Il nesso è caratterizzato dal prevalere del suono gutturale e dentale e trova confronto solo in Od. 21, 215 ο κ α τ0 )γγMς )µε*ο τετυγµ να; ved. commento a IG XIV 1389 B, 86 = 146 B, 86 Ameling. Il verbo τε χω è impiegato solo in poesia e indica la costruzione materiale di δ µατα, θ λαµον, νη/ν. In Omero è adoperato al passivo (ved. LSJ, s. v. τε χω) e la forma τ τυκται ricorre, salvo rare eccezioni, in clausola finale. La voce verbale τ τυκται può essere collegata per zeugma anche al successivo sintagma ν/σφ[ι] φ λης λ/χου e in questo caso il significato del verbo equivarrebbe a quello del verbo ε µ , conformemente a quanto viene annotato da LSJ, s. v. τε χω «hence in pf. and plpf. pass. simply for γ γνεσθαι or εeναι»; ved. anche Vox 2003, 214. v. 4. ν/ ν/σφ[ι] φ λης λ/χου. χου Il nesso φ λης λ/χου è già ben attestato in Il. 4, 238; 6, 482, 495; 24, 495; Od. 9, 207; 22, 324 mentre nuova è la sua combinazione con la preposizione ν/σφι. δ/µος -µιτελO µιτελOς. L’aggettivo è presentato come -µιτ λης, forse per un refuso, da SEG, Ameling e Bowie, mentre viene corretto in -µιτελOς da Peek e Vox. 119 Il secondo distico si conclude con un esplicito richiamo a Il. 2, 700-1 το3 δ( καC µφιδρυφ$ς mλοχος Φυλ κp )λ λειπτο / καC δ/µος -µιτελOς, dove viene descritto il dolore straziante di Laodamia per la morte del marito Protesilao. Questo verso, «indimenticabile commento sul destino delle tante mogli rimaste in patria a rimpiangere coloro che se ne sono andati» (Mirto 1997, 869), era molto noto nell’antichità e aveva influenzato la produzione poetica successiva, sia greca che latina, la quale sviluppò per questa coppia mitica di sposi il tema dell’amore eterno oltre la morte. Per le allusioni al mito di Laodamia e Protesilao nella letteratura greca e latina ved. Radke 1957, 935-6. Il nesso δ/µος -µιτελOς di questo epigramma, quindi, stabilisce subito un confronto tra la sorte di Erode e quella di Laodamia, entrambi colpiti da un lutto straziante, in virtù del quale la loro casa è detta -µιτελOς. Letteralmente l’aggettivo significa «halb-finish» (LSJ, s. v. -µιτελOς) e indica una «casa non completata». Tuttavia sin dall’antichità l’aggettivo viene spiegato in modo diverso e Vox 2003, 214, ricorda che l’espressione omerica δ/µος -µιτελOς «veniva interpretata […] metaforicamente come casa senza figli, oppure casa di chi non ha (più) sposo/sposa, ovvero casa di vedovo/vedova». Cfr. schol. ad loc.: ∆/µος. οeκος. µιτελOς. ÔΗτοι mτεκνος, < φpρηµ νος το3 Xτ ρου τ ν δεσποτ ν. ÕΗ τελε ωτος. ²θος γ9ρ Iν το*ς γOµασι, θ λαµον ο κοδοµε*σθαι. ∆ι' ο\ πολλο φασιν, ο κοδοµ ν θ λαµον Xαυτ2 Πρωτεσ λαος π πλευσεν )πC τ'ν π/λεµον. Β λτιον δ(, ε ρ4σθαι, -µιτελ4, δι9 τ' µ$ γεγενηκ/τα πα*δας πλε3σαι. Ο\ δ( Rτι νεωστC καC ο,δ πω τελε ως τ9 κατ9 τ'ν γεγαµηκ/τα οgκοι διεπρ ξατο, λλ9 πρ/τερον )στρ τευσε; Apoll. Soph. 84 -µιτελOς Yτοι καθ0 ν δ/µον ο,δ πω π ντα τ9 νοµιζ/µενα καC συγκυρο3ντα τ2 γ µ7 συνετελ σθη, < καθ0 ν ο,κ =φθη πατ$ρ κληθ4ναι· τ λειος γ9ρ οeκος Hesych. δ 2184 δ/µος -µιτελOς· )στι τελ$ς οeκος. γ νεσιν τ κνων jποδεξ µενος; µιτελOς· -µ γαµος. Τ λος γ ρ γ µος, καC ³Ηρα τελε α καC ΖεMς τ λειος, Rτι γαµOλιο ε σιν54; Eust. Comm. ad Il. 1, 506, 18-29 Τ' δ ")λ λειπτο δ/µος -µιτελOς" εgδους )στC συµβολικο3. ο, γ9ρ =λλειψιν στ γης xπλ ς < τοιο του τιν'ς δηλο* λλ9 τ'ν το3 ο κοδεσποτο3ντος φανισµ/ν, Uς τ2 µ(ν -µ σει, τo λ/χ7 δηλαδO, συνεστ τος 54 Anche Poll. 3, 38 ricorda che τ λος era detto il matrimonio: τ λος γ µος )καλε*το, καC τ λειοι ο\ γεγαµηκ/τες. 120 το3 δ/µου, τ2 δ( λοιπ2 µ$ vντος, Yτοι τ2 Πρωτεσιλ 7 τ2 µηκ τ0 vντι. δι' καC Γεωγρ φος Sβ ους παρ0 µOρ7 ε πwν ντC το3 χωρCς γυναικ ν )π γει· -µιτελ$ς γ9ρ χ4ρος β ος, Uς καC οeκος το3 Πρωτεσιλ ου δι/τι χ4ρος. κατ9 δ( τοMς παλαιοMς κα , δι/τι µ$ διαταξ µενος εE τ9 κατ9 οeκον π πλευσεν < µ$ παιδοποιησ µενος Uς τελ ως Öκ4σθαι τ'ν α,το3 δ/µον, Uς εeναι οDτω -µιτελ4 δ/µον τ'ν mτεκνον. ²νιοι δ( καC xπλ ς οDτω, δι/τι, φασ ν, ο κοδοµ ν θ λαµον π πλευσεν. ¨τεροι δ φασιν, Rτι δ/µος -µιτελ$ς ο κο ντων )στερηµ νος. τ λος γ9ρ -µ γαµος, Uς το3 Xτ ρου τ ν γ µος, Rθεν τελε ους τοMς γεγαµηκ/τας =λεγον. Strab. Geog. 7, 3, 3, 11-2, cita questo nesso dell’Iliade, interpretando -µιτελOς metaforicamente nel senso di «casa di vedovo», quando parla del popolo tracio dei Ctisti, chiamati da Omero Ippemolgi, i quali vivono senza donne, conducendo una vita β ους; -γο µενον -µιτελ4 τινα β ον τ'ν χ4ρον, καθ περ καC τ'ν οeκον -µιτελ4 τ'ν Πρωτεσιλ ου δι/τι χ4ρος. Invece lo schol. in Soph. OT. 930 )κε νου γ0 οEσα παντελ$ς δ µαρ, interpreta il nesso omerico metaforicamente come «casa senza figli» (το3το πρ'ς τ' γυν$ δ( µOτηρ `δε τ ν κε νου τ κνων· το3το γ9ρ τ λειον )ν γ µ7· Rθεν καC )κ το3 )ναντ ου ±µηρ/ς φησι καC δ/µος -µιτελOς) quando commenta l’aggettivo παντελOς, riferito a Giocasta, madre dei figli di Edipo, affermando che la fecondazione è il fine del matrimonio. In questo modo interpreta anche nel II-III sec. d. C. Clem. Alex. Strom. 2, 23, 140, 1 )πεC καC γ µον τιν9 ο κτε ρουσιν ο\ ποιηταC "-µιτελ4" καC mπαιδα. Proprio sull’ambiguità dell’espressione omerica giocano le parole che Luciano fa pronunciare a Protesilao, il quale, a Eaco che gli chiede come mai vuole scagliarsi addosso a Elena e soffocarla, risponde in DMort 27, 1 ±τι δι9 τα την, B Α ακ , π θανον -µιτελ4 µ(ν τ'ν δ/µον καταλιπ ν, χOραν τε νε/γαµον γυνα*κα. Tuttavia Luciano stesso offre anche un’interpretazione letterale di δ/µος -µιτελOς in Cat. 8, 8-9 Τ$ν ο κ αν )κτελ σαι µοι πρ/τερον )π τρεψον· -µιτελ$ς γ9ρ δ/µος καταλ λειπται. Qui il sintagma omerico sortisce l’effetto comico di un uomo, il tiranno Megapente, il quale, morto, vuole ritornare per poco tempo sulla terra solo per portare a termine la costruzione materiale della sua casa. Con il suo significato letterale l’aggettivo viene ripreso anche da Philostr. Her. 12, 3. In questo passo il viticoltore del dialogo riferisce che Protesilao non conferma tutto 121 quello che Omero ha detto sul suo conto, smentendo così che la sua casa non era stata portata a termine; καC τ9 =πη τ9 )ς α,τ'ν ε ρηµ να π ντα )παιν ν τ9 µOρ7 )παινε* κα τοι µ$ µOρου, Uς µφ δρυφον µ(ν α,τ2 τ$ν γυνα*κα εeπεν, -µιτελ4 δ( τ$ν ο κ αν, περιµ χητον δ( τ$ν να3ν, )φ0 tς =πλευσε, πολεµικ/ν τε α,τ'ν καλε*. Anche nella produzione letteraria latina δ/µος -µιτελOς ha avuto dei riecheggiamenti ed è stato interpretato variamente. Cat. 68, 74, ne offre un’interpretazione letterale. Parlando del suo amore con Lesbia e del suo incontro con la donna nella casa dell’amico Allio, Catullo paragona l’ardore sensuale di Lesbia a quello amoroso di Laodamia che entra nella casa di Protesilao, detta inceptam frustra. Commentando Catullo 68, Lyne 1998, 201, difende l’interpretazione letterale del sintagma omerico: «Protesilaus was still in the process of building his wedding-chambre when he sailed away to war». A sostegno della sua tesi Lyne cita Od. 23, 192 τ2 δ0 )γw µφιβαλwν θ λαµον δ µον, vφρ0 )τ λεσσα, in cui Odisseo racconta a Penelope, quale prova della sua identità, come ha costruito il letto nuziale. Diversamente da Catullo, Val. Fl. Arg. 6, 688, interpreta δ/µος -µιτελOς in senso metaforico, come mancata realizzazione di un matrimonio mediante il concepimento dei figli e traduce l’aggettivo -µιτελOς con imperfecta, concordato con domus, usato in senso figurato per famiglia; coniux miseranda Caico linquitur et primo domus imperfetta cubili. Per un’interpretazione di questo passo delle Argonautiche di Valerio Flacco ved. Spaltestein 2005, 197. Il nesso è presente anche nell’iscrizione registrata in MAMA 1, 301. Per quanto riguarda δ/µος -µιτελOς dell’epigramma di Erode, l’oscillazione di significato del nesso è ben attestata anche per l’età di Erode: Ierocle, «un presumibile contemporaneo di Erode» (Vox 2003, 215) intende il nesso οeκος -µιτελOς come «casa di chi non è sposato»; Sναγκαι/τατ/ς )στιν περC το3 γ µου λ/γος. ªπαν µ(ν γ9ρ -µ ν τ' γ νος =φυ πρ'ς κοινων αν, πρ τη δ( καC στοιχειωδεστ τη τ ν κοινωνι ν - κατ9 τ'ν γ µον. ο}τε γ9ρ π/λεις ~ν Iσαν µ$ vντων οgκων, οeκ/ς τε -µιτελ$ς µ(ν τ2 vντι το3 γ µου, τ λειος δ( καC πλOρης το3 γεγαµηκ/τος, mentre in Attica, in base alla testimonianza di Ael. Herod. (?) Philet. 31, l’espressione vale come «casa senza figli»; Τ λειοι παρ9 το*ς Sττικο*ς 122 ο\ =ντεκνοι· Rθεν παρ9 τ2 ποιητo οDτως κο ουσι τ'ν -µιτελ4 δ/µον παρ/σον mτεκνος Iν Πρωτεσ λεως· καC δ/µον -µιτελ4. Queste constatazioni aiutano a concludere che Erode adopera δ/µος -µιτελOς non tanto nel significato concreto di «casa non conclusa», visto che, come ricorda Vox 2003, 215, il primo distico celebra propriamente un’edificazione completa fino all’intitolazione a Regilla, quanto volutamente nel doppio significato metaforico sia di «casa di vedovo» per la morte di Regilla, sia di «casa senza figli», in riferimento alle morti premature dei figli che già lo avevano addolorato profondamente. Secondo la testimonianza di Philostr. V. S. 2, 255, 10-15, Regilla era anche all’ottavo mese di gravidanza, quando morì; inoltre i due figli, Atenaide e Regillo, erano morti solo alcuni anni prima della moglie. v. 5. Qς mρα τοι θνητο* θνητο*σι θεοC θεοC βιοτ$ βιοτ$ν {)} {)}κερασ )}κερασ ντ[ο]. Sulla funzione delle tre particelle Qς mρα τοι Geagan 1964, 152, 154, annota che «the particle Qς connects this third couplet with the previous two […] the particle mρα stresses “the interest or surprise occasioned by enlightenment or disillusionment”, while τοι serves to alert the listener to the revelation of a fact». Vox 2003, 216, evidenzia la novità sia del nesso βιοτ$ν {)}κερασ ντ[ο] che della voce verbale senza aumento che non ha altre attestazioni. {)}κερασ ντ[ο] è una integrazione di Ameling 1983, 118, il quale individua nei vv. 5-6 due proposizioni coordinate, diversamente da Geagan che integra con il participio κερ σαντ[ες]; ved. infra. Il verbo κερ ννυµι è impiegato per indicare la diluizione del vino con l’acqua; ved. Wakker 1991b, s. v. Qui regge l’accusativo βιοτOν, usato metaforicamente secondo l’immagine del mescolare il cratere, espressa dallo schema etymologucum κρ4τηρα κερ σσαντο; cfr. Od. 3, 393 e 18, 423. ΒιοτOν è il cratere della vita in cui si mescolano insieme sia le esperienze positive che negative. Riconoscendo nella mescolanza di gioie e dolori una volontà degli dei, Erode riecheggia nuovamente Il. 24, 525-30; ved. supra 55. L’avvicendarsi di gioie e dolori è un tema ricorrente della lirica: Arch. fr. 128, 7 West2 γ γνωσκε δƒ οKος Nυσµ'ς νθρ/πους =χει, lo definisce il ritmo che governa gli uomini. La stessa alternanza è confessata da Theogn. vv. 357-8 West2 Uς δ περ )ξ γαθ ν =λαβες κακ/ν, ¬ς δ( καC αEθις / )κδ3ναι πειρ θεο*σιν 55 Pi. P. 3, 81-2, aveva mutuato da questo passo dell’Iliade l’enunciato ¿ν παρ0 )σλ'ν πOµατα σ νδυο δα ονται βροτο*ς / θ νατοι, per adattarlo alla situazione del monarca che sa tollerare il male e ostentare il bene che la sorte gli ha dato. 123 )πευχ/µενος, il quale, nei vv. 1033-6 West2 riconosce anche l’impossibilità dell’uomo di sfuggire a ciò che è stato loro riservato dagli dei in quanto egli può solo accettare il bene e il male avuto in sorte; cfr. anche Theogn. vv. 591-2 West2 Τολµ;ν χρO, τ9 διδο3σι θεοC θνητο*σι βροτο*σιν, / Nηϊδ ως δ( φ ρειν µφοτ ρων τ' λ χος. La mescolanza di gioie e dolori viene anche confessata da Socrate che dialoga con Protarco in Plat. Phil. 50b 1-4 Μην ει δ$ ν3ν λ/γος -µ*ν )ν θρOνοις τε καC )ν τραγ7δ αις <καC κωµ7δ αις>, µ$ το*ς δρ µασι µ/νον λλ9 καC τo το3 β ου συµπ σp τραγ7δ ] καC κωµ7δ ], λ πας -δονα*ς ªµα κερ ννυσθαι, καC )ν mλλοις δ$ µυρ οις. Libanio nel IV sec. d. C. ripropone questa convinzione in Or. 1, 1, 8-10 Uς ε δε*εν ªπαντες, Rτι µοι τ9 τ4ς τ χης )κ ρασαν ο\ θεοC καC ο}τε ε,δαιµον στατος ο}τε θλι τατος )γ . Kock ricavava da questo passo di Libanio Com. adesp. fr. 495, non accolto poi nell’edizione di Kassel-Austin. v. 6. χ [ρ]µατ [ρ]µατ τ0 Yδ Yδ0 ν ας γε τονας. I sostantivi χ ρµατα e ν ας riecheggiano rispettivamente il contenuto dei due distici precedenti. Questa compresenza di gioia e dolore, ammessa da Erode, richiama alla mente le parole che la nutrice pronuncia al riconoscimento di Odisseo in Od. 19, 471 τ$ν δ0 ªµα χ ρµα καC mλγος ¨λε φρ να. Come in Omero, anche in questo epigramma χ [ρ]µατ τ0 Yδ0 ν ας offre un forte ossimoro56, che caratterizza concettualmente la struttura complessiva dell’epigramma. In Eur. Hel. 321 πρ'ς τ9ς τ χας τ' χ ρµα τοMς γ/ους τ0 =χε, gioia e dolore sono presentati come alternative dell’animo, in conformità alle circostanze, dal coro che esorta Elena a reagire come conviene a seconda che Teonoe le riferisca che Menelao è vivo o morto. I due sentimenti sono poi definiti da Erode in modo metaforico γε τονας, cioè «vicini». Geagan 1964, 152, seguito da Ameling 1983, II, 119 e Vox 2003, 216, rinvia per questo uso di γε των, riferito a sostantivi astratti, a Aesch. Ag. 1003-4 ν/σος γ9ρ / γε των µ/τοιχος )ρε δει; invece una certa cautela presenta Bowie 1989, 231, nel chiamare in causa questo passo di Eschilo. Vox 2003, 216, aggiunge anche l’esempio di Critias 6, 21 West2 καC τ$ν Ε,σεβ ης γε τονα Σωφροσ νην e ricorda che l’elegiaco Crizia era uno degli autori prediletti di Erode Attico sulla base della testimonianza di Philostr. V. S. 2, 1, 564 προσ κειτο 56 I vv. 469-72 dell’Odissea sono caratterizzati da una combinazione insolita di ritmo, suono e concetti; ved. RUSSO-GALLIANO-HEUBECK 1992, III 98. 124 µ(ν γ9ρ π;σι το*ς παλαιο*ς, τ2 δ( Κριτ ] καC προσετετOκει καC παρOγαγεν α,τ'ν )ς Yθη TλλOνων τ ως µελο µενον καC περιορ µενον. µφC µφCς =χωʖ. La lettura dell’ultima lettera, con cui l’epigramma si conclude, è piuttosto dubbia. Geagan 1964, 152, riporta che «the third letter may be read as an omicron, a theta, a lunate epsilon or sigma». Egli però, leggendo al v. 5 κερ σαντ[ες], come participio congiunto di θεο , è costretto a integrare con =χοʖ[υν], imperfetto del verbo χ/ω, perché il senso del terzo distico gli impedisce di leggere una forma del verbo =χω e ragioni metriche di integrare con forme del verbo χ ω o con un aoristo di χ/ω. Pertanto traduce nel seguente modo: «for, in truth, the gods, when they have mixed the cup of life for mortals, puor out joys and griefs side by side». Ameling 1983, II, 118, corregge la forma verbale tramandata dalla pietra in {)}κερασ ντ[ο] e integra l’ultimo verso con =χω, intendendo come soggetto di quest’ultimo Erode Attico stesso e interpreta: «So also mischten die Götter das Leben den Sterblichen, Freude und Trauer habe ich als Nachbarn um mich herum». Bowie 1989a, 231, concorda con Ameling e traduce: «so it is, you see, that for mortals gods have blended life / and I have as my neighbours on other side both joys and woes». In tal modo Ameling recupera l’espressione µφCς =χω, attestata con il significato di «1a auf (von) beiden Seiten […] 2 gesondert, auseinander, fern, in zwei Teile» (Busch 1965, s. v. µφCς). Qui µφCς =χω assume il significato di «ho da una parte e dall’altra», «sono stretto in mezzo a» (Vox 2003, 216) e vale come espressione di impotenza di fronte alle alterne vicissitudini della vita. Con questo significato, ma con valore positivo, µφCς =χω è attestato in Robert-Robert 1954, 189-90, nr. 93, un iscrizione in prosa del 172 d. C., di poco posteriore a quella di Erode per Regilla, con cui si rivela l’identità di Eutico che giace nella tomba, il quale viene celebrato per aver visto la città e conosciuto le menti di molti uomini che hanno intorno il cosmo immenso; νθρ πων οf κ/σµον πε ριτον µφC =χουσι. L’espressione µφCς =χω riechieggia poi una fraseologia tipica da epitimbio, come dimostrano gli esempi di Greg. Naz. A. P. 8, 137, 2 τ µβος Rδ0 µφCς =χω; 8, 170, 2 τ µβοι δ( θυηπ/λον µφCς =χουσι; SEG 23, 155 )ξ γαθ ν [προγ/νων „ερ/πτην τ'ν βαρυπεν]θ4 / j'ν Με δ[ωνος τ µβος Rδ0 µφCς =χει]; IG XII 5, 304, 125 6-7 [ν µε Περσεφ/νης] / µφCς =χει θ[ λαµος] e Mil. 459, 1-2 [τ µβος] Rδʖ0 ʖ[µφCς =χει τελ] σʖ[ασαν τρε*ς] σʖε β ο[ιο] / Xβδοµ δας. Pertanto con i vv. 5-6 Erode espone una riflessione personale sulla propria esperienza, fatta di gioie e dolori per volontà degli dei; «The final epigramm adds a third mood to the joy of the first and the sorrow of the second, a mood of understanding and acceptance of joy and sorrow» (Geagan 1964, 153). Vox 2003, 216, pur stampando l’integrazione di Ameling, esprime la sua perplessità nel ritenere la conclusione dell’epigramma troppo scontata. Proprio la difficile lettura dell’ultima parola induce lo studioso a proporre come plausibile integrazione l’infinito consecutivo =χειν, intendendo come soggetto sottinteso i mortali, ricavabile dal v. 5 θνητο*σι. In questo modo l’epigramma si concluderebbe con una verità universale che riguarda non solo Erode ma tutto il genere umano, in armonia al modello dell’Iliade riecheggiato: «Così, in realtà, gli dei hanno mescolato per i mortali la coppa della vita, sì che abbiano gioie e dolori per vicini, da un lato e dall’altro» (trad. Vox). 126 7 = 140 Αmeling Peek 1942, 306; Peek 1955, 1613; Peek 1960, 356; SEG 26, 290. Cefisia. Quasi sotto la chiesa di Agia Paraskevi. Su un blocco di marmo bianco. Intorno al 161 d. C. Cfr. Peek 1942, 136-9, nr. 306; Ameling 1983, II, 143-6, nr. 140; Tobin 1997, 225-8; Galli 2002, 157-62. L’iscrizione fu ritrovata su un blocco di marmo bianco nel 1866 a Cefisia, a nord ovest della pianura di Platea, quasi sotto la chiesa di Agia Paraskevi, durante gli scavi per la costruzione di un edificio. In quell’occasione venne scoperta anche una tomba con quattro sarcofagi. Benndorf 1868, il primo a dare una descrizione dettagliata della tomba, avanzò l’ipotesi che la struttura tombale riportata alla luce appartenesse alla famiglia di Erode Attico sulla base di testimonianze letterarie e archeologiche che documentano la presenza del retore proprio nell’area di ritrovamento della tomba. I sarcofagi sono piuttosto differenti tra loro. Il più grande e forse anche il primo a essere stato posto nella tomba è collocato sul lato opposto a quello d’ingresso; il secondo invece è decorato con amorini e con le figure di Amore e Psiche al centro e ha in comune con il primo motivi sepolcrali molto usuali. Il terzo sarcofago non è decorato mentre il quarto presenta un dipinto piuttosto inusuale come tema sepolcrale: la famiglia reale spartana. Da questa rappresentazione il sarcofago prende il nome di «sarcofago di Leda». Il mito racconta che Leda, moglie del re di Sparta Tindaro, aveva dato alla luce quattro figli di Zeus che si era unito a lei nelle sembianze di un cigno. Leda partorì due uova: da uno uscirono Elena e Polluce, dall’altro Clitemestra e Castore. Il riferimento a questo mito non risulta in nessun modo casuale in un complesso tombale collegato alla figura di Erode, se si ricorda che questi e la sua famiglia avevano stretti legami con la città di Sparta; sul tema ved. Spawforth 1980 e Perry 127 2001, 468-71. Per una descrizione della tomba romana di Erode Attico ved. Tschira 1948-1949, Tobin 1997, 219-24 e Perry 2001, 464-68, 484-90 Peek 1942, 139, avanza l’ipotesi che l’iscrizione in questione potrebbe essere appartenuta alla tomba romana di Erode Attico. Tobin 1997, 225, osserva che il trattamento del blocco di pietra dell’iscrizione è simile a quello della tomba e che la sua grandezza corrisponde a quella dei blocchi di pietra del dromos, cioè del passaggio di ingresso che conduce giù alla tomba. Secondo questa ipotesi i visitatori che scendevano nella tomba potevano leggere l’epigramma relativo alla dedica di una ciocca di capelli di Erode per un figlio morto nei primi mesi di vita. Lo stesso epigramma sembra confermare questa ipotesi perché il v. 3 sottolinea come Erode metta la ciocca sottoterra e non sulla tomba, come era più consueto. Il blocco di marmo bianco rivela che la superficie non era stata preparata inizialmente per accogliere un’iscrizione, perché questa appare lisciata imperfettamente. A questa osservazione si deve aggiungere la constatazione che l’epigramma fu inciso con poca cura poiché le righe del testo non scorrono parallelamente tra di loro ma sono leggermente inclinate a destra. Il blocco di marmo contiene un epigramma funebre in distici elegiaci in stretto rapporto con il complesso architettonico di appartenenza come nel caso delle iscrizioni triopee a Roma (IG XIV 1389 A-B = 146 A-B Ameling) e di SEG 23, 121 = 99 Ameling sulla Porta della Concordia immortale a Maratona. Per Galli 2002, 157 «erweist sich auch bei der Gestaltung des Grabbaus in Kephissia der gezielte Einsatz der Inschrift als bewußt von dem Sophisten verwendetes Kommuniktionsmedium» (Galli 2002, 157). ρ δη, σοC τOνδε κ/µην, ο, π ντα )νιαυτ/ν ο}τε κ/µην θρ ψας ο}τε σ( πα*δα φ λον µηνC τρ τ7 κε ρας, jπ' κε θεσι θOκατο γα ης, ρ δης δε σας mκρα κ/µης δ κρυσι· σ4µ0 =τυµον πα δων ψυχα*ς τρισ ν, Qς ποτε σ µα 5 δ ξεσθ0 )ν θOκαις jµετ ροιο πατρ/ς. v. 1 ρ δη, σοC Skenteri, ρ δης, ο× alii v. 2 κ/µην Peek, probb. alii, κ/ρην Ameling. 128 Erode, per te ha posto questa chioma nel profondo della terra Erode, dopo avere bagnato le punte della chioma con le lacrime, poiché egli non ha cresciuto né te, caro figlio, né la chioma in meno di un anno; l’ha tagliata al terzo mese: sia un segno per le tre anime dei figli, che un giorno voi accoglierete nelle vostre tombe il corpo di vostro padre. Il tema dell’epigramma è la dedica di una ciocca di capelli per la morte di una persona cara. Simili offerte sono ben documentate, ricorda Peek 1942, 137, in età classica come rito nel culto dei morti; ved. Sommer 1912, 64-84. Tuttavia gli esempi disponibili per queste offerte fanno riferimento soltanto a un tempo mitico e non dimostrano se l’offerta di una ciocca di capelli fosse in uso nell’Atene del V sec. a C. In Il. 23, 135-53 i cavalieri dell’esercito greco dedicano a Patroclo defunto una ciocca dei loro capelli mentre Achille rasa completamente la sua capigliatura offrendola in onore dell’amico. Il taglio dei capelli viene anche ricordato come offerta funebre per Achille da Agamennone in Il. 24, 45-6. L’offerta di una ciocca di capelli presso la tomba di una persona cara è anche la scena con cui si aprono le Coefore di Eschilo (vv. 6-7). Il mito di Oreste aveva fatto di questa usanza un elemento essenziale del processo di riconoscimento del giovane da parte della sorella Elettra. Questa pratica funebre ricorre anche in Soph. Aj. 1173-5; El. 449, 901; Eur. El. 90, 515; Or. 96, 113; IT 172, 703. Eust. Comm. ad Il. 2, 11 e 23, 141, spiega che gli antichi Greci crescevano i capelli lunghi per dedicare poi la loro chioma ad Apollo o ai fiumi e che la tagliavano anche in segno di dolore. A questa usanza di tagliare i capelli allude anche Plat. Phaed. 89b 5, dove Socrate, scherzando sulla chioma dell’amico Fedone, esorta il giovane a non aspettare il giorno successivo per tagliare i capelli per la morte del maestro, ma ad adempiere questo rito in quello stesso momento. Entrambi infatti dovrebbero ostentare una capigliatura corta in segno di lutto, qualora i loro argomenti dovessero venire meno e non potessero essere più riportati in vita (89b 9 - c 10). Plu. Mor. 267b, informa che in occasione di un lutto le donne erano solite tagliare i capelli e gli uomini invece farli crescere. Per questi motivi Peek 1942, 137, conclude che «Herodes hat jedenfalls eine zu seiner Zeit längst außer Gebrauch gekommene Sitte wiederaufgenommen». 129 v. 1. ρ δη, δη, σο σοC τOνδε κ/µην ο, π ντα )νιαυτ/ νιαυτ/ν. Peek 1942, 136, seguito dagli studiosi successivi, legge la prima parte del verso come ρ δης, ο×. Secondo questa lettura il primo verso riassumerebbe, in uno stile pregnante, gli elementi significativi dell’epigramma e cioè il nome del padre che compie l’offerta funebre ( ρ δης), ripetuto al v. 4; l’espressione di dolore che l’accompagna (ο×), la quale darebbe subito una chiara idea del clima generale del componimento; l’oggetto dell’offerta (τOνδε κ/µην), che viene ripetuto tre volte nel corso dell’epigramma e l’indicazione di un arco di tempo inferiore a un anno (ο, π ντα )νιαυτ/ν), che amplifica il sentimento di dolore di Erode per la perdita del figlio appena nato. Il componimento risulta però privo del nome del defunto che è un elemento caratteristico di un epigramma funebre; ved. Fantuzzi-Hunter 2002, 413, i quali affermano che tacere il nome del defunto era «una forma estrema delle possibilità di deroga alle convenzioni più comuni dell’epigrafe funeraria». Questa constatazione, insieme alla difficile sintassi del testo, che ha messo i traduttori alla prova e ne ha impedito la piena comprensione, induce Skenteri 2005, 75, a distaccarsi dalla lettura tradizionale del testo. A suo giudizio accettare la lettura data da Peek significa ammettere in un testo corto come quello epigrafico, «a waste of space, aesthetically questionable and alien to the genre». Così propone, mediante una diversa divisione delle lettere iniziali, la lettura ρ δη, σοC. Questa correzione permette, da una parte, di conoscere il nome del bambino, dall’altra, di assegnare all’epigramma in esame tutte le caratteristiche tipiche del suo genere, quali: 1) il vocativo del nome del defunto seguito dal dativo σο , che funge da introduzione all’epigramma, 2) il nome del padre che compie l’offerta per il figlio. Questa correzione si basa sul fatto che, mentre le testimonianze di ο× come esclamazione di dolore, rintracciabili nel TLG e confrontabili con questo epigramma, sono Kaibel 1878, 418, 5-8 α α* τ$ν )πC π πλα καC ε ς µ ριστα πεσο3σα[ν / στ µµατα καC β βλου(ς) σε*ο, πρ/µοιρε, [τ ]φρην Ø / ο× θρOνοισι βοητ'ν jµOναον, ο× προκελε θους / λαµπ δας, jστατ ου καC κενεο*[ο] λ χους e IGUR III 1319, 7-8 ο× <U>ς µ(ν θαλ pσι λυρ/κτυπος, Uς δ( κραται'ʖ[ς] µφC π< >λp βι/του mʖ[ν]θος =χων =θανες, quelle del dativo σο , dopo un vocativo a 130 inizio di epigramma o di una struttura sintattica, sono più convincenti; cfr. Gaet. A. P. 5, 17, 1 Sγχι λου Nηγµ*νος )π σκοπε, σοC τ δε π µπω; Rufin. A. P. 5, 21, 5-6 µOτις σοι, µετ ωρε, προσ ρχεται < κολακε ων λ σσεται; 5, 74, 1 Π µπω σοι, !οδ/κλεια, τ/δε στ φος, mνθεσι καλο*ς; Mel. A. P. 5, 140, 3 Ζηνοφ λα, σοC σκ4πτρα Π/θων π νειµαν; 5, 191, 7-8 "Κ πρι, σοC Μελ αγρος, µ στης / σ ν κ µων, στοργ4ς σκ3λα τ δ0 )κρ µασε"; Jul. A. P. 6, 28, 7-8 Εριο νιε, σοC τ δε Βα των / δ ρα φ ρει; Phil. A. P. 6, 101, 7-8 βραδυσκελ$ς ³Ηφαιστε, σοC Τιµασ ων / =θηκεν, κµ4ς γυ*ον qρφανωµ νος, Antiph. A. P. 6, 199, 1-2 Ε νοδ η, σοC τ/νδε φ λης νεθOκατο κ/ρσης / π*λον, δοιπορ ης σ µβολον, Sντ φιλος; Diod. A. P. 6, 245, 3-4 Βοι τιε, σο µε, Κ βειρε / δ σποτα, χειµερ ης mνθεµα ναυτιλ ης; Phaedim. A. P. 6, 271, 1 ‰ρτεµι, σοC τ9 π διλα Κιχησ ου εrσατο υ\'ς; Antiph. A. P. 6, 287, 1 ‰ρτεµι, σοC τα ταν, )υπ ρθενε, π/τνα γυναικ ν; Nicod. A. P. 6, 314, 1 Πηνελ/πη, τ/δε σοC φ;ρος καC χλα*ναν ¹δυσσεMς; Leon. A. P. 6, 325, 2 Ε}πολι, σοC π µπει δ ρα γενεθλ δια; Diod. A. P. 6, 348, 6 ‰ρτεµι, σοC δ( κυν ν θηροφ/νων =µελεν; Diog. Laert. A. P. 7, 88, 1 Φωσφ/ρε, σο , Πολ δευκες, =χω χ ριν, οDνεκεν υ\'ς; Lucill. 11, 258, 3 Ζε3 δ σποτα, σοC τ χα θOσει. La novità di questo epigramma consisterebbe dunque, secondo questa lettura, nella ripetizione del medesimo nome ( ρ δης) riferito a due persone distinte; ved. Skenteri 2005, 76. Il bambino cui Erode dedica la ciocca di capelli non è nominato in altre fonti. Filostrato cita il nome di quattro figli: Elpinice, Atenaide, che lui chiama Panatenaide, Regillo e Bradua. Ved. anche commento a IG XIV 1389 A, 13-7 = 146 A, 13-7 Ameling. τOνδε κ/ κ/µην. L’espressione presuppone una riproduzione visiva della ciocca di capelli sulla pietra; ved. Peek 1942, 139. Il sostantivo κ/µη è ripetuto per ben tre volte in casi differenti ai vv. 1, 2, 4. La stessa ripetizione si registra per πα*ς (v. 2 πα*δα, v. 5 πα δων). Cfr. anche θOκατο del v. 3 e θOκαις del v. 6. π ντα )νιαυτ/ νιαυτ/ν. Il nesso corrisponde a Rλον )νιαυτ/ν, attestato in prosa come, p. es., in Pseudo-Apoll. 2, 81, 5 συνεδ ωξεν Rλον )νιαυτ/ν e Plu. Mor. 207c, 9 καC κατ σχεν α,τ'ν Rλον )νιαυτ/ν. Per quest’accezione dell’aggettivo π;ς ved. Kühner-Gerth 1898, I, 631-2. Il nesso π ντα )νιαυτ/ν indica propriamente un arco di tempo di 12 mesi e, preceduto dalla negazione ο,, 131 esprime l’idea di un ciclo non concluso. Con questo significato )νιαυτ/ς è attestato in Od. 1, 16 λλ0 Rτε δ$ =τος Iλθε περιπλοµ νων )νιαυτ ν, dove è messo in contrapposizione a =τος, altro sostantivo che esprime l’idea di anno; ved. Emlyn-Jones 1967, 157. La medesima contrapposizione si riscontra anche in Ar. Ra. 347 χρον ους τ0 )τ ν παλαι ν )νιαυτοMς; ved. Dover 1997, 129. In tutte le altre occorrenze omeriche i sostantivi =τος ed )νιαυτ/ς sono invece usati senza alcuna distinzione di significato tanto che l’unico criterio discriminante sembra essere quello metrico, dal momento che si registra una forte tendenza a usare il sostantivo )νιαυτ/ς in clausola di esametro. Per i passi dell’Iliade e dell’Odissea in cui sono usati =τος ed )νιαυτ/ς, ved. Beekes 1969, 139, 140-1; cfr. anche Es. Th. 184, 493, 636, 740, 795, 799, Op. 561, Sc. 87, fr. 17 a, 6 Merkelbach-West. vv. 2-3. ο}τε κ/µην θρ ψας ο}τε σ( πα* πα*δα φ λον / µηνC µηνC τρ τ7 κε ρας. ρας. Peek 1942, 137, vede in questi due versi una simmetria di costrutto. Egli crede che κ/µην e σ dipendano rispettivamente dai participi aoristi θρ ψας e κε ρας. Tale simmetria verrebbe sottolineata dall’anafora della congiunzione negativa ο}τε. Pertanto lo studioso traduce: «weder ließ er ein ganzes Jahr sein Haar wachsen, noch an dir, seinem lieben Kinde, im dritten Monat die Schur vollziehen». Egli spiega questi versi con l’usanza ateniese del meion che prevedeva il taglio dei capelli del neonato durante il secondo giorno della festa delle Apaturie. Durante il primo anno di vita poi i capelli del bambino venivano nuovamente tagliati durante la festa delle Apaturie, perché egli fosse inserito in una fratria. Sulla festa delle Apaturie ved. Töppfer 1894; sulla cerimonia del meion Schultheß 1931. Ameling 1983, II, 145, immagina che il figlio di Erode muoia prima dell’adempimento di questo rito e che il padre dapprima tagli i capelli dopo la morte del figlio in segno di lutto e che dopo tre mesi offra la propria ciocca al posto di quella del neonato durante la cerimonia del meion. Questa spiegazione però dà piuttosto adito ad altre obiezioni poiché rimane difficile comprendere «the value this act would have had for a dead infant» (Tobin 1997, 226). Inoltre la ciocca di capelli veniva dedicata nuovamente al compimento del primo anno di vita del bambino e non dopo tre mesi, come invece farebbe pensare questo epigramma secondo l’interpretazione di Peek 1942 e Ameling 1983; ved. Tobin 1997, 226. Mancano, da una parte, esempi paralleli di offerte di una ciocca di capelli di un padre per il 132 figlio defunto durante la festività delle Apaturie, dall’altra, attestazioni del nesso πα*δα κε ρειν; per l’uso di κε ρω nel significato di «crop a person […] in sign of mourning» ved. LSJ, s. v. κε ρω, 2 e cfr. Hdt. 9, 24 σφ ας τε α,τοMς κε ροντες καC τοMς rππους. A distanza di diciotto anni Peek 1960, 356, propone una nuova interpretazione del testo, accolta anche da Bowie 1989a, 232, da Richardson, che traduce l’epigramma per Tobin 1997, 225, e da Skenteri 2005, 75. Egli riconosce nei versi 2-3 uno zeugma e considera i due accusativi κ/µην e σ( πα*δα φ λον retti dal participio θρ ψας. L’anafora della negazione ο}τε enfatizzerebbe ora, secondo Peek, una ricercatezza stilistica: «kein volles Jahr durfte er sein Haar wachsen lassen, noch nicht, sein liebes Kind, heranwachsen sehen» (trad. Peek). Il nesso κ/µην θρ φειν è attestato solo in Plu. Cic. 35, 7, 5 α,το3 το3 Μ λωνος ε,θαρσ ς καC δε ς παρισταµ νου τ2 γ νι καC κ/µην θρ ψαι καC µεταβαλε*ν )σθ4τα φαι9ν παξι σαντος. Per θρ φειν πα*δα cfr. Theogn. v. 275 West2 πα*δας )πεC θρ ψαιο; Pind. P. 9, 18 δ( τ9ν ε, λενον θρ ψατο πα*δα Κυρ ναν; Eur. Med. 562 πα*δας δ( θρ ψαιµ0 ξ ως δ/µων )µ ν; Tr. 702 πα*δα τ/νδε παιδ'ς )κθρ ψειας ~ν. Già in Il. 8, 383; 18, 57 e Od. 2, 131; 19, 368 il verbo θρ φω è usato per indicare tutte le cure necessarie per la crescita di un bambino. Ameling 1983, II, 143, critica invece la proposta di Peek «da sie den Dichter (H.?) vor dem fast unzumutbaren Zeugma bewahrt». Tuttavia egli, tenendo conto della difficile lettura della pietra, si chiede se sia possibile leggere al v. 2 ο}τε κ/ρην θρ ψας al posto di ο}τε κ/µην θρ ψας. Il senso dei tre versi sarebbe il seguente: «Herodes hat, ach, dieses Haar, nachdem er weder die Tochter, noch dich, lieben Sohn, ein Jahr lang aufziehen durfte, im dritten Monat abgeschnitten und in die Tiefe der Erde gelegt» (trad. Ameling). In base a questa lettura, l’epigramma menzionerebbe una figlia e un figlio di Erode, morti a tre mesi di distanza l’uno dall’altro. Lo stesso studioso però si rende conto della difficoltà creata da questa proposta: «will man nicht eine Doppelgeburt annehmen oder noch ein anderes unbekanntes Kind, so muß der Sohn das Kind von ad M. Caes. 1, 6, 8 sein; das gerade geborene und verstorbene Kind wäre dann eine Tochter. 133 Die Umkehrung der zeitlichen Reihenfolgen im Vers mag metrische Gründe haben, weil ο}τε πα*δα… unmöglich ist» (Ameling 1983, II, 145). µηνC µηνC τρ τ7 κε ρας. ρας In questo modo l’epigramma indica l’età in cui il neonato è morto. Peek 1960, 356, collega µηνC τρ τ7 κε ρας alla prima indicazione temporale ο, π ντα )νιαυτ/ν e ritiene che in questo modo l’epigramma lasci intendere che Erode soffre ancora per un lutto piuttosto recente, per il quale ha tagliato già corti i capelli, quando si abbatte su di lui la morte di un figlio che lo getta in uno stato di profondo dolore, per il quale taglia nuovamente i capelli corti. Il risalto conferito all’impossibilità di crescere i capelli a causa dei due lutti fa pensare che Erode avesse l’abitudine di portare i capelli lunghi, nonostante le statue lo ritraggano sempre con i capelli corti. Per l’allontanamento dalla realtà negli epigrammi collegati alla figura di Erode Attico ved. IG XIV 1389 A, 12 = 146 A, 12 Ameling. v. 3. jπ' κε θεσι θO θOκατο γα ης. L’espressione jπ' κε θεσι θOκατο γα ης completa il secondo esametro. Il nesso jπ' κε θεσι γα ης è attestato in Il. 22, 482; Od. 24, 204; H. Hom. Cer. 398; Hes. Th. 300, 483; Theogn. v. 243 West2 e indica propriamente la collocazione geografica dell’Ade; cfr. anche IEgVers 24, 11 = SEG 24, 1216, 10. v. 4. ρ δης δε σας mκρα κ/ κ/µης δ κρυσι. κρυσι Con questo verso si conclude la prima parte dell’epigramma e viene reso noto il nome di colui che dedica una ciocca di capelli per il fanciullo (ved. supra). Per le lacrime di dolore come consolazione per la scomparsa di una persona amata ved. Od. 4, 197-8 dove le due usanze di tagliarsi i capelli e versare lacrime per un defunto vengono presentate come gli unici conforti che gli uomini hanno a disposizione. Il verbo δε ω è qui accompagnato dal dativo δ κρυσι come in Od. 7, 260 εrµατα δ0 α εC / δ κρυσι δε εσκον, in cui Odisseo racconta della sua lunga permanenza presso Calipso, che lo aveva costretto a versare molte lacrime. Come espressione di forte dolore per la morte di un uomo, il nesso è attestato nella forma passiva in Il. 9, 570 δε οντο δ( δ κρυσι κ/λποι e Il. 23, 15 δε οντο ψ µαθοι, δε οντο δ( τε χεα φωτ ν / δ κρυσι, in occasione dei funerali di Patroclo. 134 v. 5-6. σ4µ0 =τυµον =τυµον πα δων ψυχα* ψυχα*ς τρισ ν, Qς ποτε σ µα / δ ξεσθ0 ξεσθ0 )ν )ν θOκαις jµετ ροιο πατρ/ πατρ/ς. A differenza dei primi quattro versi in cui l’epigramma ha un tono narrativo e descrive l’offerta della ciocca di capelli, negli ultimi due invece si rivolge direttamente alle anime dei tre figli defunti, indicati mediante l’enallage πα δων ψυχα*ς τρισ ν, ed esprime l’augurio che la chioma dedicata dal padre Erode sia per i tre figli lì sepolti un segno del fatto che loro un giorno accoglieranno il corpo del padre nella tomba. Indipendentemente dalla volontà di ricollegarsi a una pratica reale o solo mitico-letteraria, la chioma recisa e donata diventa un contatto con i figli nell’oltretomba. L’esametro gioca sulla somiglianza di σ4µα e σ µα; ved. Peek 1942, 137 e commento a Corinth VIII 1, 86 = 102 Ameling. Gli studiosi hanno cercato in modi differenti di identificare il bambino a cui è dedicato l’epigramma e gli altri due figli menzionati al v. 5, e di stabilire la data di stesura del testo. Secondo Peek 1942, 138, il neonato di questo epigramma potrebbe essere il figlio di Erode nato nel 143 d. C. durante il suo consolato a Roma e poi morto subito dopo la nascita, del quale dà notizia Frontone in Ep. 1, 6, indirizzata all’imperatore Marco Aurelio, Herodi filius natus <hodi>e mortuus est; id Herodes non aequo fert animo. Tuttavia Peek stesso esprime la sua perplessità: «so müßten wir freilich annehmen, daß Herodes ihm erst nach dem Verlust der beiden anderen Kinder ein Kenotaph in Kephissia errichtet hat» (Peek 1942, 138). Pertanto egli si chiede se questo bambino defunto non sia piuttosto il figlio di cui Regilla era incinta al momento della sua morte, di cui parla Philostr. V. S. 2, 556, il quale riferisce che Regilla morì di parto prematuro, quando era ancora all’ottavo mese di gravidanza, per i colpi ricevuti al ventre dal liberto Alcimedonte su ordine di Erode. Tuttavia nel testo filostrateo non viene detto se il bambino sia sopravvissuto o meno al parto. Postulare che il figlio anonimo dell’epigramma sia quest’ultimo significa per Peek 1942, 138 «dem Rhetor Herodes die Geschmacklosigkeit schon zutrauen, daß er diese Fiktion durchführte und das Totgeborne ebenso maßlos betrauerte, wie dies im Falle Regillas und der anderen Kinder überliefert wird». Quest’ultima tesi di Peek permetterebbe di datare l’epigramma al 161 d. C. e di riconoscere negli altri due figli morti Atenaide e Regillo. 135 Invece secondo Follet 1977 questo πα*ς non sarebbe un figlio legittimo di Erode, bensì Polluce, un giovane che il retore ebbe a cuore, la cui morte seguì, a pochi mesi di distanza, quella di due altri ragazzi a lui molto cari, cioè Memnone e Achille, da identificare con gli altri due fanciulli del testo; su Polluce ved. Stiglitz 1958. In V. S. 2, 558 Flavio Filostrato designa i tre ragazzi con il termine τρ/φιµοι. Civiletti 2002, 518, n. 93, ne discute il significato e riferisce che secondo Morellus, Westermann, Münscher, Graindor e Giner Soria τρ/φιµοι ha l’accezione di «allievi», mentre secondo Wright, Brussich e Prosdocimi quella di «figli adottivi». Quest’ultima, secondo Civiletti, darebbe risalto al fatto che Filostrato usa τρ/φιµοι in netta contrapposizione a γνOσιοι, per sottolineare l’affetto nutrito da Erode per questi tre ragazzi, «che, pur essendo adottivi, egli pianse come suoi figli legittimi, perché erano belli e virtuosi, nobili, amanti del sapere e degni dell’educazione da lui ricevuta» (trad. Civitelli); per questo affetto paterno di Erode per il giovane Polluce cfr. IG II2 3969 = 173 Ameling [ψηφ σµατι τ4ς βουλ4ς] [τ4ς )ξ Sρε ου π γου καC] [τ4ς] βουλ4ς [τ ν πεντακ][ο]σ ων καC το3 δOµ[ου το3 Sθηνα ων] ρ δης Βιβο [λλι][ο]ν Πολυδευκ ωνα \ππ[ α] [!]ωµα ων θρ ψας καC φι[λ]Oσας Uς υ\'ν τo Νεµ [σει], • µετ0 α,το3 =θυεν, ε,µ[ε]ν4 καC µνηστον τ'ν [τρ/]φιµον e IG II2 3970 = 161 Ameling Πολυδευκ ωνα, ν νθ0 υ[\]ο3 =στε<ρξ>εν καC )νθ δε ρ δης < ν> θηκεν Rτι )νθ δε καC περC θOραν εeχον. L’epigramma dovrebbe essere posteriore alla morte di Polluce che, secondo Follet 1977, 54, avvenne tra il 173174 e 174-175 d. C., sulla base della datazione dell’arcontanto di Dionisio, citato in un’epigrafe in onore del giovane appena defunto, la quale prevede la sua trasformazione in eroe; cfr. IG II2 3968 = 172 Ameling Ùροα Πολυδευκ ωνα )πC γωνοθ του [Ο,]ιβουλλ ου Πολυδε κου ο\ Nαβδοφ/ροι. )πC mρχοντος ∆ιονυσ ου; ved. Follet 1977. Questa datazione viene accolta da Robert 1979, 164 mentre viene respinta da Ameling 1983, II, 168, il quale colloca la morte dei tre τρ/φιµοι tra il 165 e il 170 d. C. e da Meyer 1985, il quale, sulla base della documentazione archeologica ed epigrafica afferma che «Vibullius Polydeukion […] starb in den späteren vierziger Jahren des 2. Jhds., und die Hauptmasse der ihn ehrenden Denkmäler muß bald darauf errichtet worden sein» (Meyer 1985, 403). 136 Tobin 1997, 228, crede che l’epigramma risalga allo stesso periodo di SEG 21, 123 = 99 Ameling inciso sulla Porta della Concordia immortale a Maratona. Quest’ipotesi è confermata, secondo la studiosa, non solo dagli aspetti formali in comune, quali, la forma metrica del distico elegiaco, il secondo verso sempre rientrato di alcune lettere rispetto al primo, l’adattamento della stele a contenere un testo non previsto, ma anche dalla condivisione di uno stile poetico omerizzante, dall’ostentazione del dolore, dalla volontà di conferire una veste letteraria e mitologica alle vicende personali e di rivolgersi a un pubblico dotto che colga le allusioni a vicende, personaggi e usanze mitiche. Il neonato di questo epigramma potrebbe essere, come già sostiene Peek 1942, 138, il figlio di cui Regilla era incinta al momento della morte. Egli avrebbe occupato, secondo Tobin 1997, 228, il terzo sarcofago della tomba romana di Erode a Cefisia, mentre i primi due sarcofagi avrebbero contenuto le spoglie di Regillo e Atenaide, entrambi morti prima della scomparsa della madre e qui apostrofati ai vv. 5-6. Tuttavia Philostr. V. S. 2, 558, informa che la figlia Atenaide venne sepolta in città su iniziativa degli Ateniesi. Secondo Tobin 1997, 228, «it is possible that the Athenians offered to bury Athenais within the city, or perhaps set up a cenotaph for her». La studiosa sostiene anche che nel sarcofago di Leda, l’ultimo a essere stato posto nella tomba romana di Erode Attico, sarebbe stata sepolta Elpinice in base alla testimonianza epigrafica di IG II2 12568/9 = 136 Ameling; ved. commento ad loc. e Perry 2001, 484-9. 137 8 = 186 Ameling Peek 1942, 330; Clinton 1972, 182. Eleusi, presso il santuario. Su un marmo grigio proveniente dall’Imetto. Tra il 162 e il 166 d. C. Ved. Peek 1942, 154-7, nr. 330; Clinton 1972, 182-3; Ameling 1983, II, 177-8, nr. 186; Bowie 1989a, 232-4; Tobin 1997, 205-6; Galli 2002, 209-12. Dalle rovine intorno al santuario di Eleusi che documentano l’attività di Erode in un territorio di grande sacralità per la Grecia romana, proviene una stele contenente un testo poetico. La stele presenta diverse rotture su ogni lato. Soprattutto quello destro è così danneggiato da non permettere di stabilire se il testo sia composto in esametri o in distici elegiaci. Peek 1942, 154, primo editore dell’iscrizione, propone una scansione metrica in distici elegiaci mentre Clinton 1972, 183, crede che si tratti di un poemetto in esametri dattilici. Ameling 1983, II, 178, accoglie l’ipotesi di Peek e, poiché nota sulla stele le tracce di altri due righi non più leggibili, conclude che, qualora il testo sia composto in distici elegiaci, le prime parole identificabili della stele appartengono al secondo esametro. La menzione al v. 11 di ρ δης Β4ρον permette di riconoscere nelle due personalità del testo le figure di Erode Attico e dell’imperatore Lucio Vero. L’identificazione è confortata dal fatto che le lettere incise sulla stele sono databili alla seconda metà del II sec. d. C. Per quanto concerne la data di composizione, un indizio proviene dal verso 8 τ2 δ0 =ργων πρηκτ$ρ, in cui Peek 1942, 155-6, legge un riferimento alla guerra partica. Per questo motivo la stesura del testo è posteriore alla partenza dell’imperatore per la Partia, avvenuta nel 162 d. C., e anteriore al ritorno di Vero a Roma nel 166 d. C. L’autore del testo non è noto e «Herodes’ authorship is only 138 conjectural but receives some support from the poem’s allusions» (Bowie 1989a, 233). L’iscrizione sembra «to honor the friendship between Herodes and Lucius Verus» (Tobin 1997, 205), ritratti durante una piacevole conversazione in un’ambientazione bucolica da identificare con Eleusi. La loro amicizia risale al periodo in cui Erode aveva rivestito la funzione di insegnante di retorica di Lucio Vero e Marco Aurelio su incarico dell’imperatore Antonino Pio, come riferiscono Dio Cass. 71, 35 e H. A. M. Ant. 2, 4, e si era rafforzata quando Erode Attico, dopo aver preso parte al processo intentatogli a Roma da Bradua, fratello di Regilla, che lo aveva accusato di avere provocato la morte della sorella, fece ritorno in patria e accompagnò fino ad Atene Lucio Vero che proprio in quel periodo si recava in Oriente per condurre la guerra contro i Parti. L’imperatore non solo soggiornò per un certo periodo a Canosa presso la villa di Erode Attico a causa delle sue cattive condizioni di salute ma si concesse anche lunghe pause di ozio tra Corinto e Atene, dove dimorò nuovamente in una villa del suo maestro e fu iniziato ai misteri eleusini, come documentano IG II2 3592 e 3620. Con il suo atteggiamento Lucio Vero dimostrava di non avere intenzione di dare subito inizio alle operazioni di guerra; cfr. H. A. Ver. 6, 9 apud Corinthum et Athenas inter symphosias et cantica navigabat. Papalas 1978 crede che il tipo di ospitalità offerta all’imperatore in quell’occasione debba essere considerata l’accusa principale da cui Erode Attico dovette difendersi al processo di Sirmio al cospetto di Marco Aurelio. Secondo Civiletti 2002, 522, n. 110, nelle parole ostili del prefetto del Pretorio Basseo, che prospetta a Erode Attico la condanna capitale, si coglierebbe l’atteggiamento austero romano che vede nell’ateniese la personificazione dei vizi tipici dell’Oriente che avevano spinto l’imperatore Lucio Vero all’ozio e gli avevano provocato una cattiva reputazione. Nella traduzione adotto le integrazioni di Peek e Ameling. [ ] [ ] [)ν συν]/δ7 καC τoδε [φ λης παρ0 ν κτορα ∆ηο3ς] λ σχp τερπ σθην κα[C ] 139 =νθ0 ν µων σκ πας I[ν ] π4ξαν τ0 σπασ ως [ ] 5 λλ0 µ(ν )ν π τρp [µ µνων µ θων µελ τησεν] τ2 δ0 =ργων πρηκτ$ρ [=πλετ0 )πωνυµ η] µφC δ µιν π/λεµ[οιο ν φος δειν/ς τε κυδοιµ/ς] ε ρωτ ν ς ¨τλη π[αρθικ ? ] ρ δης Β4ρον κρ[ατερ/ν ] πολλ ν καC µεγ [λων 10 ντιχαριζ/µενος] 3 [)ν συν]/δ7 Peek, prob. Bowie, vel [καθ]/δ7] vel [τw συν]/δω = συνοδοιπ/ρω Peek παρ0 ν κτορα ∆ηο3ς] Peek, prob. Bowie, vel [φ λ7] Peek; π4ξαν τ Peek, probb. Ameling, Bowie, πOξαντ Clinton πατρ δι Clinton [µ µνων µ θων µελ τησεν] Ameling 10 π[αρθικ Peek 6 7 π τρp Peek, probb. Ameling Bowie, 8 πρηκτ$ρ Peek, probb. Ameing, Bowie πρηκτ4ρι Clinton =πλετ0 )πωνυµ η vel ο}νοµα vel ζ4λος =φυ Peek κυδοιµ/ς Peek, prob. Bowie [φ λης 4 κα[C Peek, κατ9 Ameling 9 πολ µ[οιο ν φος δειν/ς τε 11 κρατερ/ν scripsi 12 µεγ [λων ντιχαριζ/µενος] Peek. Anche in questo [luogo d’incontro presso il santuario della cara Demetra] provavano piacere conversando e … dove c’era un riparo dal vento … e consolidarono lietamente … [la loro amicizia] ma uno [rimanendo] in patria [si occupò dei discorsi] l’altro invece [ricevette il nome] di esecutore di imprese e intorno a lui [la nube terribile] della battaglia [e lo strepito] chiedendo chi ebbe il coraggio … Erode … [il vigoroso] Vero … di molte e grandi cose [ringraziandolo]. v. 3. [ ¯ ˘ ]/ ]/δ7 καC καC τoδε [. [ Peek 1942, 156, sulla base degli altri righi, stabilisce con sicurezza che le lettere non più leggibili ad apertura del verso sono cinque. Poiché le sillabe conservate sulla pietra sono una breve e una lunga (]/δ7) lo studioso ne deduce che quelle mancanti sono due, propriamente una lunga e una breve per completare il primo colon dell’esametro. Egli propone e.g. diverse integrazioni: [)ν καθ]/δ7, [)ν συν]/δ7 oppure τw συν]/δω nell’accezione di τw συνοδοιπ/ρω. La seconda parte dell’esametro dovrebbe essere integrata, a suo avviso, o con φ λ7 παρ0 ν κτορα ∆ηο3ς oppure mediante la variante con il genitivo φ λης. Questa integrazione si basa sugli esempi offerti da IG II2 4218, 3 140 φ[ λης παρ0 ν κτο]ρα ∆ηο3ς; IG II2 3764, 2 παρ0 ν κτορα ∆ηο3ς e IG II2 4077, 1 µετ0 ε,κλ 0 ν κτορα ∆ηο3ς, che concludono l’esametro. Le due parole καC τoδε richiamano alla mente le iscrizioni che Erode dedica al suo amato Polluce, in cui egli ricorda i momenti trascorsi insieme al giovane nei luoghi in cui egli pone le erme: cfr. IG II2 13194 = 158 Ameling `ρως Πολυδευκ ων, τα*σδ ποτ0 )ν τρι/δοις σMν σοC )πεστρεφ/µην; IG II2 13201 = 151 Ameling [κ]αC )νθ δε συνεσιτο[3]µεν καC συνεπισπ νδοµεν e IG II2 3971 = 177 Ameling Πολυδευ[κ ωνα] `ρω πρ][οσ]<ο>µειλO<σ>[αντα] [Xαυτ2 καC το[*σδε] το*ς λουτρο[*ς ρ δης] [ ν θηκεν]. v. 4. λ σχp σχp τερπ σθην κα[C. κα[C. Il sostantivo λ σχη è già usato nella poesia epica arcaica, come, p. es., in Od. 18, 328 ed Hes. Op. 493, con il significato di «lounging place» (LSJ, s. v., 2). Poiché nessuna sala di ritrovo è documentata ad Eleusi, qui λ σχη ha, secondo Peek 1942, 156, l’accezione di «conversation» (LSJ, s. v., II). Questo significato di λ σχη è avvalorato dal fatto che il nesso λ σχp τερπ σθην ricorda Call. Epigr. 2, 3 Pfeiffer = 34 Gow-Page δ0 σσ κις µφ/τεροι / `λιον )ν λ σχp κατεδ σαµεν, scritto per la morte dell’amico Eraclito, imitato da Verg. Ecl. 9, 51-2 saepe ego longos / cantando memini puerum me condere soles. In questa accezione λ σχη è attestato per la prima volta in Hdt. 2, 32, 4 e 9, 71, 11. In poesia occorre soprattutto nella tragedia in Aesch. Eu. 366 ΖεMς δ0 α\µοσταγ(ς ξι/µισον =θνος τ/δε λ σχας; Soph. Ant. 160 προ}θετο λ σχην; OC 167 πρ'ς )µ9ν λ σχαν; Eur. Hipp. 384 µακρα τε λ σχαι καC σχολO, τερπν'ν κακ/ν; IA 1001 λ σχας πονηρ9ς καC κακοστ/µους φιλε*; cfr. anche Phal. A. P. 13, 6, 6 µν;µα το3 χαρ εντος =ν τε λ σχ] e Call. Aet. 178, 16 λλ0 =τι καC λ σχης οeνος =χειν )θ λει. A favore dell’interpretazione di λ σχη secondo l’accezione omerica si pronuncia invece Galli 2002, 211, il quale crede che λ σχη indichi una costruzione concreta ad Eleusi. Per l’imperfetto duale τερπ σθην cfr. Od. 5, 227 e 23, 301. v. 5. =νθ0 νθ0 ν µων σκ πας I[ν. I[ν. Si tratta, come ricorda Peek 1942, 156, di una reminiscenza omerica; cfr. Od. 5, 443 = 7, 282 καC )πC σκ πας Iν ν µοιο; 6, 210 Rθ0 )πC σκ πας =στ0 ν µοιο e 12, 336 Rθ0 )πC σκ πας Iν ν µοιο. Insieme a τoδε del v. 3, =νθ0 ν µων σκ πας dovrebbe indicare un luogo ben preciso all’interno del santuario di Eleusi, dove Erode e Lucio Vero solevano trascorrere 141 piacevolmente il tempo dialogando. Galli 2002, 211, pensa che si alluda a un portico al riparo dal vento. v. 6. π4ξαν τ0 τ0 σπασ ως [. Per il significato dell’aoristo π4ξαν Peek 1942, 156, rinvia a Dem. Phil. 1, 8, µ$ γ9ρ Uς θε2 νοµ ζετ0 )κε ν7 τ9 παρ/ντα πεπηγ ναι πρ γµατ0 θ νατα e traduce «und befestigten freudig», ipotizzando il sostantivo φιλ αν alla fine del verso. v. 7-8. λλ0 λλ0 µ(ν )ν π τρp τρp [ / τ2 δ0 =ργων =ργων πρηκτ$ πρηκτ$ρ [. La contrapposizione µ ν (v. 7) … τ2 δ (v. 8) rende evidente che il testo ora fa riferimento a due persone distinte. Secondo l’integrazione offerta da Ameling 1983, II, 178 µ µνων µ θων µελ τησεν e.g. al v. 7, la prima resterebbe in patria ()ν π τρp) a occuparsi di retorica, la seconda invece partirebbe per la guerra a condurre le operazioni militari (=ργων πρηκτ$ρ). L’integrazione di Ameling sfrutta il riferimento a Il. 9, 443 µ θων τε Nητ4ρ0 =µεναι πρηκτ4ρ τε =ργων, riconoscibile al v. 8 τ2 δ0 =ργων πρηκτ$ρ. Peek 1942, 156, propone come possibile integrazione del v. 8 =πλετ0 )πωνυµ η (o ο}νοµα) oppure ζ4λος =φυ sul modello di Eur. Tr. 1233 τλOµων ατρ/ς, vνοµ0 =χουσα, τmργα δ0 ου; per altri esempi ved. Kühner-Gerth 1904, II, 45. v. 9. µφC µφC δ µιν π/ π/λεµ[ος. La figura di Lucio Vero è messa qui in relazione con la guerra che, come già propone Peek 1942, 156, va identificata con quella combattuta dall’imperatore contro la Partia. Per questo motivo l’iscrizione poetica è databile tra il 162 e il 166 d. C. (ved. supra). Per quanto riguarda la lacuna del v. 9, Peek 1942, 156, con approvazione di Bowie 1989a, 233, propone di leggere µφC δ µιν πολ µ[οιο ν φος δειν/ς τε κυδοιµ/ς. Il nesso πολ µοιο ν φος è omerico e descrive in Il. 17, 443 la figura di Ettore come una nube di guerra che avvolge tutto; )πεC πολ µοιο ν φος περC π ντα καλ πτει / nκτωρ. Essa viene ripresa da Pind. N. 10, 9. Per δειν/ς κυδοιµ/ς invece cfr. IG IX, 2 640, 7 δεινο3 τε κυδοιµου. v. 10. ε ρωτ ν ς ¨τλη π[. ΕΙΡΩΤΩΝ si presta a due diverse interpretazioni: ε ρωτ ν = )ρωτ ν participio presente di )ρωτ ω oppure ε ρ των = ^ρ των imperfetto del medesimo verbo. Secondo Peek 1942, 156, dopo ς ¨τλη potrebbe essere posta una virgola mentre l’ultima lettera π[, con cui inizia la nuova frase, potrebbe nascondere una parola con riferimento alla Partia π[αρθικ-. 142 v. 11. ρ δης Β4 Β4ρον κρ[. κρ[ Il verso rivela l’identità dei due protagonisti del componimento, già caratterizzati ai vv. 7-8. I due nomi devono essere collegati da un verbo transitivo. «Es ist schwer vorzustellen, wie diese Verse syntaktisch mit dem Vorhergehenden zusammenhängen sollen, sie werden also eher als ein selbständiges Distichon aufzufassen sein». Le ultime due lettere κρ potrebbero fare pensare a un’integrazione con κρατερ/ν. v. 12. πολλ ν καC καC µεγ [λων [λων. λων Peek 1942, 157, crede che questo verso possa essere integrato con il participio presente ντιχαριζ/µενος, il quale occorre anche in IG II2 4781, 2 = 191 Ameling, dove è conservata una dedica di Erode al dio Asclepio come ringraziamento per la guarigione da una malattia; ved. commento ad loc. Bowie 1989a, 233, sostiene che, «if Peek’s tentative suggestion for the end of the last pentemeter is correct, the inscription must have been associated in some way with a mark of Herodes’ gratitude to Verus». In questo caso il segno più evidente dovrebbe essere l’erezione di una statua di Lucio Vero «but the stone […] does not seem to have been a statue base, but rather some sort of plaque» (Bowie 1989a, 233). Lo studioso inoltre riconosce ai vv. 4-6 e 9-10 rispettivamente il tema dell’attività letteraria e dei viaggi in altre terre che un secolo più tardi Men. Rhet. 395, 13-26, e 398, 26-30 avrebbe indicato come adatti a un propempticon e che già Stat. nel propempticon di Silv. 3, 2, 136-43 aveva espresso sottolineando il contrasto tra i viaggi di Mezio Celere (tu rapidum Euphraten et regia Bactra sacrasque / antiquae Babylonis opes et Zeuma, Latinae / pacis iter, qua dulce nemus florentis Idymes, / qua pretiosa Tyros rubeat, qua purpura suco / Sidoniis iterata cadis, ubi germine primum / candida felices sudent opobalsama virgae) e la sua attività letteraria (ast ego, devictis dederim quae busta Pelasgis / quaeve laboratas claudat mihi pagina Thebas). 143 9 = 136 Ameling Kaibel 1878, 160; IOlympia 638; IG III 1333; IG II2 12568/9; Peek 1955, 1894. Cefisia, in Attica. Luogo del ritrovamento non registrato. Posteriore al 165 d. C. Ved. Ross 1853, 123, nr. 5; Foucart 1901, 90-1; Oliver 1950, 111, nr. 1; Ameling 1983, II, 140, nr. 136; Tobin 1997, 234-6; Galli 2002, 147. Si tratta di due frammenti indicati con le lettere a e b, incisi su una medesima base. Questa è stata ritrovata da Welcker a Cefisia, dove Erode, oltre a possedere una villa (cfr. Gell. NA 18, 10, 1-2), fece seppellire i suoi figli e costruire un heroon per la moglie Regilla e l’amato Polluce; ved. Tobin 1997, 213. a) [Sππ α Sνν α Sτ]ειλ α [!Oγιλλα Sγρ]ιππε*<ν>α hλπι[νε κη] Sτρ α Π λλα [γυν$] Λ. [Ο,ι]βουλλ ου „ππ ρχου Τιβε[ρ ου] [Κλαυ]δ ου Sττικο3 ρ δου Μαραθων ο[υ] 5 jπ του θυγ τηρ καC Sν[ν] ας [Sππ ας] !ηγ λλης, Sππ ου [jπ ]του [θυγ]ατρ[/ς]. b) ^ λιος καC γα*α καC ο,ραν'ς Y[µατα π ντα] µ ρτυρες, Uς µε τ/ πικ[ρ'ν ªχος δ κεν µφC θυγατρ ,] οDνεκ ο\ καC δ νδρ7 [)φεζ/µενοι τ ττιγες] καC πηγαC προχ[ ουσαι }δωρ κλα ουσιν ˘ Š” Š] σο , ΡOγιλλα [… 5 144 a) 4 Λ. Ameling, [Λουκ ου] Dittenberger. b) 1 Y[µατα π ντα] Peek, prob. Ameling, [ε,ρMς =σονται] Dittenberger, prob. Kaibel, 2 Uς µε τ' πικ[ρ'ν ªχος δ κεν µφC θυγατρ ,] Ameling, Uς µερ/π[ων Dittenberger, Uς µε [τ]' π[ νθος )πƒ )σθo τρ3χε γυναικC Kaibel [)φεζ/µενοι τ ττιγες] suppl. Ameling e.g. 3 δ νδρ[εƒ ¨ως κƒ =τι µακρ9 τεθηλp Kaibel 4 προχ[ ωσιν Dδωρ, µνOµην διασωσω Kaibel, προχ[ ουσαι }δωρ κλα ουσιν ˘ Š Š] suppl. Ameling 5 πατ$ρ Peek, ν$ρ Ameling. b) Il sole, la terra e il cielo testimoni [sempre] di come [l’amaro dolore mi morse a causa di mia figlia], motivo per cui sia le cicale stando su un albero sia le fonti [versando acqua piangono]… a te, Regilla… Il frammento a è un testo in prosa e presenta il nome completo della secondogenita di Erode Appia Annia Atilia Regilla Agrippina Elpinice Atria Polla; così è anche nominata in IOlympia 624 = 126 Ameling Sππ αν Sνν αν Sτʖειλ α[ν] !Oγιλλανʖ hλπινε κην Sγριππε*ναν Sτρ αν Π λλαν, ρ δου καC [!]ηʖγ λλης θυγατ[ ρα, - π/λ]ι[ς - τ ]νʖ [¼λε ων], mentre in SIG3 860 b = 105 Ameling compare anche il nome Claudia [Sνν ]αν Κλαυδ αν [Sτʖειλ] αν !Oγιλλανʖ Sγριππ[ε*]ναν hλπινε κην Sππ αν Π λλαν. Secondo Ameling 1983, II, 20, la data di nascita della fanciulla va collocata tra il 143 e il 144 d. C. Nella scelta del nome Elpinice gioca un ruolo fondamentale il richiamo alla discendenza di Erode Attico da Milziade e al suo ideale collegamento con la battaglia di Maratona, perché Elpinice, nome molto insolito nel II sec. d. C., era anche il nome della figlia di Milziade; ved. commento a IG II2 3606 = 190 Ameling. I righi 3-4 [γυν$] Λ. [Ο,ι]βουλλ ου „ππ ρχου Τιβε[ρ ου] informano che Elpinice era andata in sposa a un uomo di nome Lucio Vibullio Ipparco, lo stesso che aveva riparato il Ninfeo ad Olimpia; ved. Tobin 1997, 321-2. Lucio Vibullio Ipparco era figlio di Publio Elio Vibullio Rufo, il quale era stato arconte nell’anno 143-144 d. C.; ved. Follet 1976, 508. I tre personaggi sono nominati assieme in IG II2 3979a = 142 Ameling [Λ. Βιβο λλιος Üππαρ]χʖος, Πο. Βιβουλλ ου !ο φ[ου υ\/ς], [το3 ρχιερ ως τ ν Σεβασ]τʖ ʖνʖ [Κ]λ. [S]ττικ[ο]3 το[3 κρατ ][στου συγγενOς. Erode Attico adottò l’altro figlio di Vibullio Rufo, il quale ricevette il nome di Lucio Vibullio Claudio Erode; cfr. IG II2 3979 = 141 Ameling; ved. Graindor 1914, 365-8. L’adozione è databile dopo il 165 d. C., anno in cui Elpinice morì a 145 causa della peste che i soldati di Lucio Vero, impegnati nella guerra contro i Parti, avevano portato dall’Oriente. Allora era rimasto in vita soltanto il figlio Bradua. Il testo inciso sulla stele b è molto frammentario e conserva un componimento in esametri il quale ha come tema il lutto, espresso attraverso immagini poetiche. v. 1. ^ λιος καC καC γα* γα*α καC καC ο,ραν' ραν'ς Y[µατα Y[µατα π ντα]. Kaibel 1878, 160, stampava al primo verso l’integrazione [ε,ρMς =σονται] di Dittenberger. Il nesso ο,ραν'ς ε,ρ ς è omerico e indica il luogo in cui dimorano gli dei come, p. es., in Il. 20, 299 τοC ο,ραν'ν ε,ρMν =χουσιν. Invece Y[µατα π ντα] è integrazione di Peek 1955, 1894, accolta anche da Ameling 1983, II, 140. Si tratta di un nesso ampiamente attestato nei poemi omerici in clausola di esametro, come, p. es., in Il. 8, 539 εgην θ νατος καC γOρως Yµατα π ντα. L’appello al sole, alla terra e al cielo come testimoni dello stato di dolore in cui vive Erode conferisce all’epigramma un tono solenne; cfr. Il. 3, 277-80 ¼ λι/ς θ0, ς π ντ0 )φορ5ς καC π ντ0 )πακο εις, / καC ποταµοC καC γα*α, καC οf jπ νερθε καµ/ντας / νθρ πους τ νυσθον Rτις κ0 )π ορκον dµ/σσp, / jµε*ς µ ρτυροι =στε, φυλ σσετε δ0 Rρκια πιστ . v. 2. µ ρτυρες, ρτυρες, Uς µε τ' τ' πικ[ρ' πικ[ρ'ν ªχος δ κεν µφC µφC θυγατρ ,]. ,] Kaibel 1878, 160, proponeva di integrare il secondo verso con Uς µε [τ]' π[ νθος )πƒ )σθo τρ3χε γυναικC e interpretava il testo come una dedica alla moglie Regilla defunta. Invece Ameling 1983, II, 140, crede che il frammento b sia rivolto alla figlia Elpinice morta (ved. infra) e per questo motivo completa il verso con Uς µε τ' πικ[ρ'ν ªχος δ κεν µφC θυγατρ ]; per il nesso πικρ'ν ªχος cfr. Meropis fr. 2, 4 Bernabé πικρ['ν δ0 m]χος =σχεθεν vv. 33-4. οDνεκ ʖρʖαʖκλ[4α]. ο\ καC καC δ νδρ7 νδρ7 [ e. g. )φεζ/ φεζ/µενοι τ ττιγες] ττιγες] / καC καC πηγαC πηγαC προχ[ ]. Secondo Kaibel 1878, 160, Erode fingerebbe προχ[ ουσαι }δωρ κλα ουσιν ˘ Š” Š]. qui che gli alberi e le fonti d’acqua piangano la morte della moglie Regilla come in Gr. Naz. A. P. 8, 97 Εg τινα δ νδρον =θηκε γ/ος καC εg τινα π τρην, / εg τις καC πηγ$ Nε3σεν dδυροµ νη, / π τραι καC ποταµοC καC δ νδρεα λυπρ9 π λοισθε, / π ντες Καισαρ 7 γε τονες ^δ( φ λοι· / Καισ ριος π ντεσσι τετιµ νος, εEχος ν κτων, / α α* τ ν χ ων, Yλυθεν ε ς S δην e 127 Κρ4ναι καC ποταµοC καC mλσεα καC λαλαγε3ντες / vρνιθες λιγυροC καλ'ν )π0 κρεµ/νων / αEρα τε 146 µαλακ'ν συρ γµασι κ µα φ ρουσαι / καC κ4ποι Χαρ των ε ς ¿ν γειροµ νων, / κλα σατε·B χαρ εσσ0 Ε,φηµι ς, Qς σε θαν ν περ / Ε,φOµιος κλειν$ν θOκατ0 )πωνυµ p, oppure che per il dolore le fonti d’acqua si prosciughino e gli alberi secchino come in Antiphil. A. P. 7, 141, il quale compone un epigramma funebre per l’eroe omerico Protesilao, Θεσσαλ( Πρωτεσ λαε, σ( µ(ν πολMς Þσεται α wν / Τρο ] dφειλοµ νου πτ µατος ρξ µενον / σ;µα δ τοι πτελ pσι συνηρεφ(ς µφικοµε3σι / Ν µφαι πεχθοµ νης |λ ου ντιπ ρας / δ νδρεα δυσµOνιτα κα , Yν ποτε τε*χος gδωσι / Τρ ιον, α,αλ αν φυλλοχοε3ντι κ/µην. / Rσσος )ν -ρ εσσι τ/τ0 Iν χ/λος, ο8 µ ρος κµ$ν / )χθρ'ν )ν ψ χοις σsζεται κρεµ/σιν. Kaibel proponeva anche di integrare i versi 3-4 con δ νδρ[εƒ ¨ως κƒ =τι µακρ9 τεθηλp / καC πηγαC προχ[ ωσιν Dδωρ, µνOµην διασωσω, quale eco di Hom. Epigr. 7, 153, Χαλκ4 παρθ νος ε µ , Μ δα δ0 )πC σOµατι κε*µαι. / vφρ0 ~ν Dδωρ τε ν p καC δ νδρεα µακρ9 τεθOλp, / α,το3 τoδε µ νουσα πολυκλα του )πC τ µβου, / γγελ ω παριο3σι Μ δας Rτι τoδε τ θαπται. Invece Ameling 1983, II, 140 propone e.g. )φεζ/µενοι τ ττιγες; per questa immagine delle cicale che siedono su un albero cfr. Il. 3, 151, Hes. Op. 582-3; cfr. anche Sc. 393. v. 5. σο , ΡOγιλλα. γιλλα. Poiché il testo a presenta il nome Elpinice e il testo b conserva al v. 5 il nome Regilla, sorge il problema se i due testi siano stati dedicati a due donne o a una sola. Secondo Kaibel 1878, 160, «sunt versus Herodis Attici in Regillae sepulcro vel circa tumulum positi». Per Preuner 1924, 114, i due testi sono dedicati a Elpinice. Erode dedica alla figlia una statua quando questa era ancora in vita. Alla sua morte la base della statua viene capovolta per accogliere l’epigramma in suo onore; ved. anche PIR2 C 802, 41. Con questa tesi concorda anche Peek 1955, 1894, che integra il v. 5 con il sostantivo πατOρ. Invece Ameling 1983 II, 140, ritiene soprendente il fatto che al v. 5 Elpinice venga apostrofata con il nome Regilla che nelle iscrizioni indica sempre la moglie di Erode e mai la figlia; ved. anche Tobin 1997, 76-83. Pertanto Ameling identifica in σο , ΡOγιλλα del v. 5 la moglie di Erode e si chiede quindi se non sia preferibile integrare il testo con il sostantivo νOρ. Tobin 1997, 236, accoglie la riflessione di Ameling e conclude che il testo b è rivolto sia ad Elpinice che a Regilla. La pietra delle due iscrizioni, secondo la studiosa, potrebbe essere interpretata come base di due statue rappresentanti madre e figlia. Questa interpretazione rafforzerebbe l’ipotesi 147 secondo la quale Elpinice, come gli altri fratelli, sarebbe stata sepolta a Cefisia in un complesso sepolcrale nel quale sono stati ritrovati quattro sarcofagi; ved. commento a SEG 26, 290 = 146 Ameling. 148 10 = 190 Ameling IG II2 3606. Maratona. A Beh, a ovest del demo ateniese, in una stalla. Su un marmo bianco. Intorno al 175 d. C. Ved. Graindor 1912, 69-90; Svensson 1926, 529-35; Wilamowitz 1928, 2730; Wilamowitz 1929, 489-90; Powell 1933, 190-195; Ameling 1983, II, 205-11, nr. 190; Tobin 1997, 272-5; Galli 2002, 29-30; Skenteri 2005, 84-110. L’iscrizione, proveniente da Beh, venne riportata alla luce in una stalla, dove fungeva da soglia. Insieme ad essa furono scoperti alcuni pezzi architettonici e una statua che riproduce una figura femminile. La stele è di marmo bianco, alta ottantotto centimetri e larga sessantuno centimetri e presenta in alto un piccolo frontone con un disco in rilievo. Nella stele sono leggibili ventisei versi, cui fanno seguito altri dodici incompleti a causa di una rottura sul lato destro e in basso, che ha provocato la perdita della parte finale del testo. A differenza del lato sinistro che si presenta abbastanza stretto, quello destro, riferisce Tobin 1997, 272, doveva essere piuttosto largo, a giudicare dall’angolo del timpano in alto. Quest’area non iscritta conteneva o una pittura o un rilievo relativo all’evento narrato. Poiché il tema dell’iscrizione è il ritorno ad Atene di Erode, accolto con gioia dai suoi concittadini, la data di stesura del testo deve essere posteriore alle vicende processuali che videro coinvolto Erode Attico a Sirmio al cospetto dell’imperatore Marco Aurelio intorno al 174 d. C. Questi era allora accampato lì con il suo esercito e conduceva la guerra contro le popolazioni germano- sarmatiche. Qui Erode si era recato con il suo seguito per difendersi personalmente dalle accuse che gli erano state rivolte. Il processo vide riuniti tutti i principali nemici del ricco ateniese: oltre ai fratelli Quintili, i quali erano ostili a Erode Attico a causa del suo potere politico, erano suoi rivali Claudio Demostrato e gli altri Claudi della famiglia dei Meliti, perché competevano con Erode e la sua 149 famiglia nel rivestire compiti sacri ad Atene. A questi si erano aggiunti gli Ateniesi che non avevano mai dimenticato il modo in cui Erode aveva aggirato le disposizioni espresse dal padre Attico nel testamento a favore dei cittadini. Essi riconoscevano nel ricco ateniese un atteggiamento sempre più simile a quello di un tiranno. Queste tensioni esplosero nel 174 d. C. quando i fratelli Quintili sfruttarono l’accusa di tirannide contro Erode, comunicata loro dal popolo Ateniese, per informare l’imperatore dei disordini che la figura di Erode Attico provocava ad Atene, e Demostrato, Prassagora e Mamertino, esponenti del partito politico avversario, si proposero come portavoci e sostenitori dell’accusa. Sebbene, come sappiamo da Philostr. V. S. 2, 563, il processo non si concluse con una condanna di Erode, questi preferì non fare ritorno nella città natale, ma recarsi ad Orico. Questa scelta alimentò già nel passato, riferisce il suo biografo (V. S. 2, 562), la voce di un possibile esilio del retore. SEG 29, 127 II = 189 Ameling conserva un testo noto come lettera agli Ateniesi, in cui l’imperatore Marco Aurelio ai righi 87-94 fa riferimento allo scontro tra la città di Atene ed Erode Attico ed esorta vivamente gli Ateniesi a riconciliarsi con il loro antico benefattore. IG II2 3606 = 190 Ameling tramanda un componimento poetico in distici elegiaci che testimonia questo cambiamento di stato d’animo degli Ateniesi nei confronti di Erode Attico, conformemente al desiderio espresso dall’imperatore. Di questa accoglienza festosa Filostrato non fa alcun cenno. Anderson 1986, 114, giustifica tale omissione come una volontà di Filostrato di non ritornare su argomenti piuttosto scottanti per la reputazione del suo sofista prediletto e conclude che «the flamboyant procession certainly reflected Philostratus’ own view of the master’s grandeur, and […] the matter of the exile is much more surreptitiously passed over». vλβιος, B Μαραθ ν, ν3ν =πλεο, καC µελεδαντ/ς νδρ σιν ^( π ρος, φα διµον SλκαÅδην νοστOσαντ0 )σορ ν β ων π' Σαυροµατ ων γα ης )κ νε της, =νθα φιλοπτολ µ7 Α,σον ων βασιλo συν σπετο τ4λ0 )λ οντι. 5 τ'ν µ(ν κισσοφ/ρος πα*ς ∆ι'ς \ρ α ν 150 α,τ'ς mγεν π τρην )ς ο διµον Ε ραφι της, )ξ/πιθεν δ( θεw δωσιβ ω πρ/εσαν. το*σι δ0 Sθηνα η πολιOοχος ντεβ/λησε )ρχοµ νοις !ειτ , Χαλκιδικw ποταµ , 10 Θρει ζ0, =νθ0 xλ ω συµβ λλετον οeδµα N/ος τε, λα'ν mγουσα =τας π ντας µηγερ ας, \ρ4ας µ(ν πρ τα θε ν κοµ/ωντας )θε ραις κ/σµ7 τ2 σφετ ρ7, π ντας ριπρεπ ας, \ρε ας δ( µετα3θι σα/φρονα Κ πριν )χο σας, 15 τoς δ0 =πι κυδαλ µους πα*δας οιδοπ/λους ΖηνC θεηκολ οντας ¹λυµπ 7 rµασι κυδρο ς, το*σι δ0 =π0 ^ϊθ ους rστορας ^νορ ης, πα*δας Sθηνα ων χαλκ2 γαν οντας )φOβους, τοMς α,τ/ς, λOθην πατρ'ς κει/µενος 20 Α γε δεω, λ βης δ<ν>οφοε µονος =σχεθε κο ρο[υς] ργυφ αις χλα ναις οgκοθεν µφι σας, δωρηθεCς <τ>0 )νετoσι κατωµαδ'ν ^λ κτροιο. τ ν δ0 vπιθεν βουλ$ κεκριµ νη Κεκρ/πων =ξαιτος προτ ρω κ ον θρ/οι, - µ(ν ρε ω[ν], 25 - δ0 Xτ ρη µε ων ¨σπετο τo κατ/πιν. π ντες δ0 )στολ δαντο νε/πλυτα φ ρ[εα λευκ ]· τ ν δ0 νχο3 προβ δην =στιχ[εν mλλος vχλος] )νδOµων ξε νων τε καC αι[ ο,δ τις ο κοφ λαξ λε π[ετ0 )νC µεγ ροις] 30 ο, πα*ς, ο, κο ρη λευ[κ λενος, λλ0 γ ροντο] δ γµενοι ρ δην [ Uς δ0 Rτε πα*δα γεʖ µφιπ σp µO[τηρ τηλ/θεν )[ξ π ης γα ης 35 χαιροσ [νp πλOν [ B[ρ]σ[ε 151 17 rµασι κυδρο ς Wilamowitz, <ε>rµασι κυδρο ς Powell, µασικ δρους Graindor, prob. Svensson 20 κει/µενος Graindor, κει/µενο<υ>ς Roussel, probb. Oliver, Ameling 21 δ<ν>οφοε µονος Svensson, ∆ΜΟΦΟΕΙΜΟΝΟΣ lapis, δυ[σδα] µονος con. Graindor Wilamowitz, γ0 lapis 27 φ ρ[εα λευκ ] Graindor, probb. alii 23 τ0 28 =στιχ[εν mλλος vχλος] Ameling, =στιχ[εν vχλος mλλος] Svensson, =στιχƒ [Rµιλος ªπας], Wilamowitz, prob. Powell αι[ lapis, α [δεσ µων γυνα κων Svensson e.g. Svensson 30 λε π[ετ0 )νC µεγ ροις] Ameling, λε π[ετο 31 λευ[κ λενος Svensson, λευ[κ χρως Graindor 1930, 236, Wilamowitz, probb. alii, στε ντο δ( π ντες Graindor 1930, 127 π ης γα ης Ameling, )ρχ/µεν Svensson 29 λλ0 34 µO[τηρ Svensson γ ροντο] 35 )[ξ 36 χαιροσ [νp Svensson, χαιροσ [νοι prop. Ameling 38 B[ρ]σ[ε Ameling, Uς Svensson, probb. Wilamowitz, Powell. Felice sei ora, Maratona, e stai a cuore degli uomini più di prima, perché vedi che l’illustre Alcide ritorna dai Sarmati nomadi, dall’estremità della terra, dove accompagnò il bellicoso imperatore degli Ausoni, spintosi lontano. L’Irafiote medesimo, il figlio coronato d’edera di Zeus, conduceva lui, suo sacerdote, verso la patria degna d’esser cantata. Dietro procedevano le due dee datrici di vita. Atena protettrice della città li incontrò mentre giungevano presso i Rhetoi, i due fiumi Calcidici, a Tria, dove le onde del mare e la corrente dei fiumi si mescolano. Lei conduceva il popolo, tutti i cittadini radunati, prima i sacerdoti degli dei dalla lunga chioma, tutti splendidi nel loro ornamento, poi le sacerdotesse con Afrodite temperante. Dopo di loro i ragazzi gloriosi, cantori addetti al culto di Zeus Olimpio, orgogliosi delle vesti; dietro a loro i giovinetti abili con le armi, figli degli Ateniesi, efebi vestiti di bronzo splendente, giovani che egli in persona, facendo ammenda della dimenticanza del padre da parte di Teseo, aveva liberato dalla disgrazia dal nero manto, vestendo i ragazzi a proprie spese con mantelli lucenti come l’argento, facendo loro il dono di una fibula di ambra sulla spalla. Dietro di loro il consesso scelto dei Cecropi, distinto: insieme marciava avanti, il migliore, l’altro invece, di rango inferiore, lo seguiva di dietro. Tutti avevano addosso mantelli bianchi lavati di fresco. Vicino a loro avanzò il resto della folla formata da cittadini e stranieri e… Nessuna sentinella era lasciata nei palazzi, nessun ragazzo, nessuna fanciulla dalle bianche braccia, ma si radunavano per dare il benvenuto a Erode… come quando una madre abbraccia suo figlio… da lontano da remota terra … con gioia … eccetto … si levò. 152 v. 1 vλβιος, B Μαραθ ν, ν3 ν3ν =πλεο, καC καC µελεδαντ/ µελεδαντ/ς. Il poemetto si apre con un’apostrofe rivolta a Maratona, cui è riferito l’aggettivo vλβιος, che designa la felicità come frutto di un dono divino; ved. Nordheider 1999, s. v. Il motivo della felicità è il ritorno in patria di Erode Attico dopo una lunga assenza (vv. 35). Skenteri 2005, 95, ricorda che in modo simile viene apostrofata la città egiziana Tebe nei poemetti 42, 4, 1 Heitsch aδ χνυσο π/τνια ΘOβη e 9, 10, 11 ΘOβη π;σα χ/ρευσον. Il makarismos è un modulo incipitario non estraneo ai testi poetici connessi alla figura di Erode Attico, poiché esso viene ampiamente sfruttato in SEG 23, 121 = 99 Ameling; ved. commento ad loc. L’incipit mediante makarismos conferisce a questo poemetto le caratteristiche proprie di un inno già osservate in IG XIV 1389 A-B = 146 A-B Ameling. L’espressione vλβιος, B Μαραθ ν «ist ein erster Hinweis auf Herodes» (Ameling 1983, II, 207) perché Erode si faceva indicare nelle iscrizioni attraverso il demotico Μαραθ νιος come in IG II2 1088, 2090, 3191, 3594/5, 3600, 3603, 3733, 4072, 4780, 6791, 12568, 12569, SEG 21, 745, IOlympia 611, 622. In questo modo egli voleva sottolineare il suo stretto legame con il demo di nascita, che nel 490 a. C. era stato teatro della vittoria greca contro il nemico persiano; ved. Jung 2006, 210. Il ricorso a Maratona offriva al ricco ateniese l’opportunità di affermare la propria identità come greco all’interno del mondo romano di età imperiale. In questo demo Erode fece erigere molte costruzioni, per corredare soprattutto la tomba degli Ateniesi caduti in battaglia, e collocare molte statue dei suoi cari con lo scopo di stabilire un legame tra la sua famiglia e i Maratonomachoi, simbolo della paideia del passato, come già sono presentati da Ar. Ach. 180-1 στιπτοC γ ροντες, πρ νινοι, / τερ µονες, Μαραθωνοµ χαι, σφενδ µνινοι; ved. Jung 2006, 220. Statue di componenti della famiglia di Erode vennero poste anche nel tempio della dea Nemesi di Ramnunte, poiché il ruolo svolto dalla dea durante le guerre persiane era molto noto nell’età della Seconda Sofistica e rappresentava uno dei temi più trattati nelle declamazioni dei sofisti; ved. Perry 2001, 482 e Jung 2006, 220. Ancora più chiari diventano questi collegamenti di Erode Attico con la battaglia di Maratona attraverso i resti archeologici provenienti dalla villa del retore a Cinuria, dove sono state ritrovate non solo riproduzioni delle stele dei caduti a Maratona ma anche una copia del trofeo degli Ateniesi; ved. SEG 1999, 370. Inoltre Erode si dichiarava discendente 153 di Milziade e Cimone (cfr. Philostr. V. S. 2, 546) e aveva chiamato sua figlia Elpinice come la figlia di Milziade, effettuando fino in fondo «die Identifikation führender Persönlichkeiten mit den Protagonisten der Marathonschlacht» (Jung 2006, 220). Maratona viene anche citata in IG XIV 1389 A, 5 = 146, 5 Ameling, dove conclude la presentazione di Regilla. Il verbo =πλεο, aoristo terzo di π λοµαι, è qui usato «as copula» (LSJ, s. v. π λοµαι, B, 3) e ha la funzione di presente. Il primo verso si chiude con µελεδαντ/ς, aggettivo verbale attestato solo qui, derivato dal verbo µελεδα νω «care for» (LSJ, s. v.), sul modello di altri aggettivi verbali come φαντ/ς, )υφραντ/ς, θερµαντ/ς, σηµαντ/ς, costruito con il dativo plurale νδρ σιν (v. 2); ved. Svensson 1926, 530. v. 2 ^( π ρος. ρος Il comparativo ^( π ρος si riferisce all’avverbio di tempo ν3ν (v. 1) e sottolinea l’eccezionalità dell’evento che produce in Maratona una felicità e un’attenzione senza precedenti, superiori a quelle sperimentate in occasione della vittoria ateniese durante le guerre persiane; ved. Ameling 1983, II, 207 e Anderson 1993, 114. L’uso di ^ al posto di Y deve essere ascritto all’autore del poemetto. Svensson 1926, 530, osserva che qui ^ corrisponde a µ λλον Y come in Il. 1, 117 βο λοµ0 )γw λα'ν σ ν =µµεναι < πολ σθαι; Od. 17, 81 α,τ'ν =χοντα σ( βο λοµ0 )παυρ µεν Y τινα τ νδε; Diog. Laert. 6, 57 " λλ9 βο λοµαι," =φη, ")ν SθOναις ªλα λε χειν < παρ9 Κρατ ρ7 τ4ς πολυτελο3ς τραπ ζης πολα ειν."; Dio Chrys. 2, 14, 5-15, 1 Αλλ9 σ , B Sλ ξανδρε, π/τερον ¨λοιο ~ν Sγαµ µνων < SχιλλεMς < )κε νων τις γεγον ναι τ ν -ρ ων < ±µηρος; ved. anche Kühner- Gerth, II, 1904, 303. Tuttavia, poiché in questi esempi Y è accompagnato da un verbo ed è preceduto da espressioni che significano volere, scegliere, Svensson 1926, 530, giudica più significativo il confronto con Soph. Aj. 966 hµοC πικρ'ς τ θνηκεν < κε νοις γλυκ ς (cfr. schol ad loc. Papageorgius 1888, 79, il quale aggiunge µ;λλον a )µοC πικρ'ς τ θνηκεν); Aristot. Prob. 950b, 28-9 ∆ι9 τ παρακαταθOκην α σχρ'ν ποστερ4σαι µικρ9ν < πολM δανεισ µενον; ed Eust. Comm. ad Od. 19, 264 καC γ ρ τ ς τ0 λλο*ον dδ ρεται mνδρ0 dλ σασα κουρ διον, τ2 τ κνα τ κpσι φιλ/τητι µιγε*σα, Y περ ¹δυσσ4α. 154 φα διµον SλκαÅ λκαÅδην. Attraverso SλκαÅδην, in clausola esametrica, il poeta fa riferimento ad Erode Attico, personaggio principale del poemetto, il quale viene esplicitamente chiamato per nome soltanto al v. 32. Wilamowitz 1928, 27, riconosce nel sostantivo SλκαÅδην una chiara indicazione della madre di Erode, Vibullia Alcia Agrippina. Questo farebbe pensare a un errore di incisione da parte del lapicida al posto di Sλκι δην. Tuttavia Wilamowitz conserva la forma SλκαÅδην ipotizzando che qui l’autore del poemetto si stia collegando a una saga familiare, «die auf irgendeinen Alkaios der Sage zurückgriff» (Wilamowitz 1928, 27). SλκαÅδης è il patronimico del dio Eracle ed è attestato per la prima volta in Pind. O. 6, 68, quale variante grafica di SλκεÅδης; cfr. anche Skenteri 2005, 96. Ad SλκαÅδης viene riferito l’epiteto omerico φα διµος «illustris» (Ebeling 1898, s. v. φα διµος), il quale accompagna i nomi di eroi come Ettore, Aiace e Achille nell’Iliade e di Odisseo nell’Odissea. Qui φα διµος mira a mettere in primo piano la nobiltà delle origini di Erode che con il suo ritorno in patria è causa di gioia per la città di Atene. vv. 3-5. La visita di Erode Attico a Marco Aurelio, impegnato nelle guerre contro le popolazioni barbare che premevano lungo i limites dell’Impero romano, viene presentata come il motivo che ha tenuto il ricco ateniese per molto tempo lontano dalla sua patria. Come afferma Skenteri 2005, 96, «the real reason for Herodes’ absence is glossed over» e manca in questo componimento qualsiasi indizio che colleghi la presenza di Erode Attico presso l’accampamento di Marco Aurelio a Sirmio con la necessità di difendersi dalle accuse mossegli dai suoi nemici. v. 3. νοστO νοστOσαντα )σορ ν. Il participio appositivo )σορ ν spiega il makarismos iniziale rivolto a Maratona. Il demo ateniese, e per sineddoche dunque l’intera Atene, viene ritratto nell’atto di osservare il ritorno in patria del suo illustre cittadino. Per la posizione di )σορ ν in cesura pentemimere maschile cfr. Il. 13, 478; Sol. fr. 4a, 2 West2; Theogn. vv. 1018, 1318 West2; Theocr. 8, 56. Il participio è costruito con il participio predicativo (νοστOσαντα) dell’oggetto (v. 2 φα διµον SλκαÅδην). β ων π' Σαυροµατ ων. ων Kretschmer 1920, 2543, spiega che i Sarmati erano una popolazione appartenente al gruppo degli Sciti, di origine iraniana e 155 quindi indoeuropea; cfr. Diod. 2, 43 e Plin. 4, 19. Il primo storico a dare informazioni su questo popolo è Erodoto, il quale narra che al suo tempo i Sarmati abitavano a est del Tanai; cfr. Hdt. 4, 21, 1. Nel 69 d. C. essi attraversarono il Danubio ma furono ricacciati dai Romani (cfr. Tac. Hist. 1, 79). Contro i Sarmati, alleati con gli Svevi, fu impegnato l’imperatore Domiziano (cfr. CIL 3 suppl. 1, 6818 e CIL 10, 135) mentre l’imperatore Adriano riuscì a stipulare una pace con il loro sovrano (cfr. H. A. Hadr. 6). Nuovi tentativi di invasione da parte di questo popolo dovette affrontare anche Marco Aurelio, come testimonia questo componimento (cfr. H. A. M. Anton. Phil. 22). Il nome di questo popolo è accompagnato da β ων. La parola mβιος occorre per la prima volta in Il. 13, 6 Sβ ων τε δικαιοτ των νθρ πων. Già i commentatori antichi avevano cercato di stabilire se mβιος fosse impiegato da Omero come etnonimo oppure come epiteto nel significato di «nomad» (LSJ, s. v. mβιος, III). Come etnonimo gli scholia ad loc. identificano gli Abi con diverse popolazioni tra cui i Sarmati (τιν(ς το τους Σαρµ τας φασ ν, Erbse 1974, III, 303). A favore di un’interpretazione di Sβ ων come etnonimo si pronuncia Seiler 1955, s. v. mβιος: «Da Hom. offenbar etymologisiert, wie Σχ b a, hat er wohl ‰. als Ethnikon genommen». Negli scrittori greci del II sec. d. C. mβιος è attestato tanto come etnonimo con la funzione di precisarne meglio un altro, come in Arr. An. 4, 1, 1 Ο, πολλα*ς δ( -µ ραις Dστερον φικνο3νται παρ0 Sλ ξανδρον πρ σβεις παρ τε Σκυθ ν τ ν Sβ ων καλουµ νων e Hdn. De prosodia Catholica 3, 1, 118 ‰βιος =θνος Σκυθικ/ν, quanto come aggettivo; cfr. Luc. DMort. 26, 3 εg τις α,τοMς ναπ µψειε θητε σοντας κλOροις καC β οις νδρ σιν; Vett. Val. 9, 46, 12 ο,κ β ους δ( λλ0 )ξ δοκOτων καC µειζ/νων qφελουµ νους e CIG 3915, 16 mτεκνος καC mβιος καC προ λης. Graindor 1912, 70, Svensson 1926, 529, Ameling 1983, II, 205 e Tobin 1997, 272, stampano la grafia minuscola senza offrire alcuna spiegazione. Wilamowitz 1928, 27, con approvazione di Powell 1933, 190, adopera la grafia maiuscola e sostiene che «das fabelhafte Volk ist mit den Sarmaten-Skythen gleichgesetzt, gemeint sind die Feinde, welche der Kaiser bekriegt». Skenteri 2005, 86, adotta invece la grafia minuscola e giustifica la sua scelta sostenendo che qui β ων non deve essere interpretato come etnonimo che precisa l’identità dei Sarmati perché «that is not wholly compatible with a poetic 156 style» ma come epiteto perché, «although their mode of residence was, at that time, more permanent than before, they could still be denoted by a traditional epithet meaning “nomad” or “having no fixed adobe”» (Skenteri 2005, 88-9). v. 4. γα ης )κ νε της, της, =νθα φιλοπτολ µ7. L’idea dell’estrema lontananza di Erode dalla patria è espressa dal complemento γα ης )κ νε της. Per questo nesso Ameling 1983, II, 207, cita come parallelo Il. 8, 478 τ9 νε ατα πε ρατα … γα ης καC π/ντοιο. A Marco Aurelio, designato con l’espressione Α,σον ων βασιλo (v. 5) viene attribuito poi l’epiteto φιλοπτολ µος, forma omerica di φιλοπ/λεµος «fond of war» (LSJ, s. v.), posto in clausola di esametro. Sebbene φιλοπτ/λεµος sembri alquanto insolito come epiteto di Marco Aurelio, in realtà, come sottolinea Powell 1933, 192, esso è usato in riferimento alle numerose guerre in cui Marco Aurelio fu impegnato fino al 175 d. C. I primi anni di regno infatti erano stati caratterizzati dalle guerre in Oriente contro l’Armenia. Nonostante la conduzione delle operazioni militari fosse stata affidata a Lucio Vero, Marco Aurelio dovette dedicarsi all’effettiva progettazione della spedizione a causa dell’atteggiamento assunto da Lucio Vero che con molto ritardo aveva raggiunto Antiochia nel 163 d. C.; ved. commento a Peek 1942, 330 = 186 Ameling. Con la guerra contro la Partia si conclusero nel 166 d. C. le operazioni romane in Oriente. A queste seguirono poi le campagne militari in Italia e in Illiria e la spedizione germanica e sarmatica. Al di là del Reno e del Danubio, dal Mare del Nord al Mar Nero, si estendeva una fascia di stati in rapporto di più o meno stretta clientela con i Romani. Questi facevano da cuscinetto contro gli attacchi di altri popoli. Ma questa situazione si era alterata proprio negli anni di regno di Marco Aurelio a causa del sovraffollamento che aveva portato a problemi di approvvigionamento e causato lo spostamento di grandi masse di barbari verso i territori dell’Impero. v. 5. Α,σον ων βασιλo βασιλo. Il sostantivo βασιλε ς designa durante l’età imperiale l’imperatore romano; ved. LSJ, s. v. L’aggettivo sostantivato Α,σον ων indica propriamente gli Italici, come in IG XIV 1389 A, 29 = 146, A, 29 Ameling, ma per estensione corrisponde qui a ßΡωµα ων; cfr. A. P. 7, 343, 4 =µπλεον Α,σον ων θεσµ ν; 7, 589, 4 θεσµ ν τ0 Α,σον ων )λπ δα µαψιδ ην; 7, 591, 2 τ/σσου τ/σσος )wν Α,σον ων προµ χου; 9, 280, 1 Λα λιος, Α,σον ων Dπατον κλ ος; 9, 660, 2 mφθονος Α,σον ων )κκ χυται νοµ µων. La descrizione di Marco 157 Aurelio come Α,σον ων βασιλε ς, al cui seguito si era posto Erode (συν σπετο), richiama alla mente la presentazione del ricco ateniese come α}σονα in Corinth VIII 3, 128, 6 = 100, 6 Ameling. τ4λ0 )λ )λ οντι. Attraverso la relativa τ4λ0 )λ οντι l’autore del componimento conclude la caratterizzazione di Marco Aurelio che, a causa delle guerre contro i barbari, ha raggiunto insieme ai suoi uomini regioni molto remote dell’Impero. v. 6. τ'ν µ( µ(ν κισσοφ/ κισσοφ/ρος πα* πα*ς ∆ι' ∆ι'ς \ρ α ν. A partire da questo verso il poemetto descrive il corteo che accompagna ad Atene Erode, qui indicato con il pronome dimostrativo omerico τ'ν. Egli è scortato in primo luogo dal dio Dioniso, chiamato Ε ραφι της al v. 7, la cui identità viene tratteggiata tramite la perifrasi κισσοφ/ρος πα*ς ∆ι'ς, la quale da una parte, attraverso πα*ς ∆ι'ς, mette in risalto il legame del dio con Zeus, che lo aveva generato unendosi a Semele, dall’altro, mediante l’epiteto κισσοφ/ρος «ivy-wreathed» (LSJ, s. v. ), menziona l’edera come una delle piante sacre al dio. L’epiteto κισσοφ/ρος è «elevated poetic vocabulary» (Austin-Olson 2004, 305), attestato per la prima volta in Pind. O. 2, 27 e presente in Ar. Thes. 988a e Opp. C. 1, 365; cfr. anche Nonn. D. 12, 109. Il verso si conclude con l’espressione \ρ α ν, la quale presenta Erode Attico come sacerdote del dio. v. 7. α,τ/ς … Ε ραφι της. L’apertura del verso mediante α,τ/ς, riferito a Ε ραφι της in clausola, esprime la presenza concreta del dio nel corteo che scorta Erode Attico in città. Ε ραφι της è «ein in der Poesie nicht seltnes Beiwort des Dionysos» (Jessen 1903, 2119). L’epiteto compare per la prima volta in H. Hom. Bacch. 2, 17, 20, mentre in Alc. fr. 349a Voigt è impiegata la forma eolica hρραφε τας. L’inno a Dioniso di A. P. 9, 524, contenente gli epiteti del dio in ordine alfabetico, cita due volte Ε ραφι της a inizio e a chiusura del componimento (vv. 1, 26). Cfr. anche D. P. 576; CIG 3538, 17; Orph. H. 48, 2, Nonn. D. 9, 23; 14, 118, 229; 21, 81; 42, 315. Nell’antichità Ε ραφι της veniva spiegato in modi differenti; p. es., Hesych. ε 1000, s. v. Ε ραφι της· ∆ι/νυσος παρ9 τ' )‡N φθαι )ν τ2 µηρ2 το3 ∆ι/ς, mette l’epiteto in relazione agli eventi mitici precedenti alla nascita del dio, secondo cui Zeus cucì il figlio nella sua coscia dopo la morte della madre Semele, folgorata dal fulmine del dio. Sulle diverse interpretazioni antiche di Ε ραφι της ved. Jessen 1903, 2119-20. Frisk 158 1960, s. v., spiega Ε ραφι της come composto dal suffisso -ι της e dal sostantivo *εgραφος, collegabile con l’antico indiano rsabhàh «toro» e conclude che l’epiteto descrive il dio nelle sembianze di un toro; ved. anche Chantraine 1968, I, s. v., 323 e Mader 1984, s. v. Su Dioniso nelle sembianze di un toro e le festività connesse ved. Voigt 1884-6, 1055-9. mγεν π τρην )ς ο διµον. La funzione di guida del dio è espressa dall’imperfetto poetico del verbo mγω; cfr. anche v. 12 dove il participio mγουσα descrive il ruolo della dea Atena nel corteo che si prepara ad accogliere Erode Attico. La città di Atene è indicata come patria in relazione ad Erode ed è qualificata dall’epiteto ο διµος «wert, besungen zu werden, Gegenstand eines Liedes zu sein, je nach Situation in malam oder in bonam partem» (Busch 1969, s. v.). In Omero ο διµος è attestato solo una volta come predicativo in Il. 6, 358 νθρ ποισι πελ µεθ0 ο διµοι )σσοµ νοισι. Come epiteto di Atene ο διµος è usato per la prima volta da Pind. fr. 76 Maehler ¶ ταC λιπαραC καC οστ φανοι καC ο διµοι, Tλλ δος =ρει-/ σµα, κλειναC Sθ;ναι, δαιµ/νιον πτολ εθρον, cui allude Ps.-Luc. Dem. Enc. 10, 6-7 "α\ λιπαραC καC ο διµοι καC τ4ς Tλλ δος =ρεισµα"; e compare in prosa in Plu. Th. 1, 5, 1-3 )φα νετο τ'ν τ ν καλ ν καC οιδ µων ο κιστ$ν Sθην ν ντιστ4σαι καC παραβαλε*ν τ2 πατρC τ4ς νικOτου καC µεγαλοδ/ξου ! µης. v. 8. )ξ/πιθεν δ( δ( θεw θεw δωσιβ ω πρ/ πρ/εσαν. L’avverbio epico )ξ/πιθεν sottolinea l’ordine in cui procedono nel corteo le altre due divinità (θεw … πρ/εσαν) che scortano Erode in città. Per la posizione di )ξ/πιθεν in apertura di hemiepes cfr. Ap. Rh. 3, 1321; Theocr. 25, 267 e Arat. Phaen. 1, 91. Le due dee sono Demetra e Core, qualificate dall’epiteto al duale δωσιβ ω, attestato solo qui e sinonimo di βι/δωρος «che dà vita», usato da Aesch. fr. 168, 17 Radt; Pind. Pae. 4, 26 Maehler e Soph. Phil. 1160. Rari sono infatti i composti con δωσι- come primo elemento. Un esempio ne è offerto da Hdt. 6, 42 che usa l’aggettivo δωσ δικος, ripreso poi da Polyb. 4, 4, 3 e citato da Suid. δ 1480 Adler. Questa triade di divinità che da Eleusi scorta Erode verso Atene è una scelta consapevole del poeta poiché ognuna ha una connessione particolare con il ricco ateniese e con la località verso cui la processione si dirige (cfr. vv. 10-1). La 159 presenza del dio Dioniso è spiegata dal testo stesso con la precisazione che Erode era un sacerdote del dio, mentre quella di Demetra e Core si giustifica con il fatto che il corteo, attraverso la piana di Tria, percorre una parte del territorio eleusino in cui le due dee avevano i loro culti. Skenteri 2005, 98, aggiunge che «in the celebrations of the Mysteries, the Athenian people were the ones who went out to visit the three divinities in their temple. The inscription, on the other hand, describes an occasion on which the gods themselves left their shrines in order to escort one important individual back to his home in Athens». Per il collegamento di Erode con i misteri eleusini ved. commento a IG XIV A 31-2 = 146 A, 31-2 Ameling. Per quanto concerne il verbo πρ/εσαν al plurale, anziché al duale come il soggetto, ved. Kühner-Gerth 1898, I, 70. v. 9. το* το*σι δ0 δ0 Sθηνα Sθηνα η πολιO πολιOοχος ντεβ/ ντεβ/λησε. λησε A partire da questo verso il poeta descrive un secondo corteo, scortato dalla dea Atena, che va incontro a Erode Attico per accoglierlo in città. A differenza di Dioniso, Demetra e Core, che vengono descritti mediante degli epiteti, la dea Atena è chiamata per nome accompagnato dall’epiteto πολιOοχος, che la qualifica nella sua funzione di protettrice della città di Atene, e giustifica la sua presenza a capo del corteo di benvenuto per Erode. Il legame di Erode Attico con la dea Atena è evidenziato anche nelle iscrizioni triopee: a lei egli dedica il territorio romano al terzo miglio sulla via Appia insieme alla dea Nemesi; ved. commento a IG XIV B, 71 = 146 B, 71 Ameling. ΠολιOοχος, forma epica di πολιο3χος, è un epiteto convenzionale per le divinità poliadi ed è regolarmente impiegato quale sinonimo poetico di Πολ ας e Πολι;τις per Atena, alla quale erano dedicati templi non solo ad Atene ma in tutta la Grecia; ved. Roscher 1884-6, 684-7. In poesia l’epiteto qualifica per la prima volta la dea in Pind. O. 5, 10, dove compare la forma dorica πολι οχος; cfr. anche Ar. Eq. 581; Nu. 602; Av. 827; Lys. 354. In Th. 317-9, 1139-40 sono presenti invocazioni ad Atena in qualità di divinità poliade. L’epiteto occorre anche in molte iscrizioni metriche dedicate alla dea, rinvenute sull’Acropoli; cfr. IG I3 544, 683, 718, 775. Per quanto riguarda l’aoristo ντεβ/λησε in clausola di esametro cfr. Il. 11, 806; 13, 210, 246; 16, 790; Od. 10, 277; H. Hom. Herm. 143; Hes. Sc. 439; Ap. Rh. 3, 68, 1213; 4, 1551, 1592. 160 v. 10. )ρχοµ νοις !ειτ , Χαλκιδικw Χαλκιδικw ποταµ . Nei vv. 10-1 viene precisato il luogo presso il quale avviene l’incontro tra i due cortei provenienti da due direzioni diverse. Gli accusativi di moto !ειτ , Χαλκιδικw ποταµ sono retti dal participio )ρχοµ νοις. !ειτ «Salzbäche» (Bürchner 1914, 556), è il nome dei due ruscelli sacri di acqua salmastra presso la via sacra che da Atene conduceva ad Eleusi, dove sorgeva il tempio delle dee Demetra e Core. Paus. 1, 38, 1, riporta che i due ruscelli erano sacri alle due dee e che solo ai loro sacerdoti era concesso estrarne i pesci; λ γονται δ( ο\ !ειτοC Κ/ρης \εροC καC ∆O µητρος εeναι, καC τοMς χθ3ς )ξ α,τ ν το*ς \ερε3σιν =στιν α\ρε*ν µ/νοις. Hesych. ρ 202 precisa che il ruscello sul lato del mare era sacro a Demetra, mentre quello vicino alla città a Core; !ειτο · )ν τo Sττικo δ ο ε σCν ο\ πρ'ς τo hλευσ*νι !ειτοC Nωγµο . καC µ(ν πρ'ς τo θαλ ττp τ4ς πρεσβυτ ρας θεο3 νοµ ζεται, δ( πρ'ς τ' mστυ τ4ς νεωτ ρας, Rθεν τοMς λουτροMς xγν ζεσθαι τοMς θι σους. Questi due ruscelli erano alimentati da varie sorgenti di acqua salata e poiché si trovavano al di sopra del livello marino, le loro correnti fluivano velocemente verso il mare. Nel 421-420 a. C. venne costruito un ponte (cfr. IG I2 81) «coronato da un rilievo con Atena e le divinità di Eleusi» (Beschi-Musti 1982, 411). Il duale !ειτ è attestato solo qui mentre in Soph. fr. 1089 Radt occorre il neutro plurale !ειτ . Il sostantivo !ειτ è poi accompagnato dall’apposizione, Χαλκιδικw ποταµ . L’epiteto Χαλκιδικ riflette un’opinione comune, ricordata anche da Paus. 1, 38, 1, secondo cui i due ruscelli erano il riemergere di una corrente marina sotterranea che attingeva all’Euripo di Calcide. v. 11. Θρει ζ0, =νθ =νθ0 νθ0 xλ xλ ω συµβ λλετον οe οeδµα N/ος N/ος τε. τε Il luogo dell’incontro tra i due cortei è la piana di Tria. Θρει ζε = Θρι ζε; per questa forma Graindor 1912, 85, n. 2, rinvia a Thuc. 1, 114, 2, cui va aggiunto anche 2, 21, 1 e IG II2 1672 fr. b, 109. Il verso descrive questa piana come il punto in cui le onde marine e le correnti dei Rheitoi si incontrano. Il duale xλ ω è epiteto sia di οeδµα sia di N/ος perché l’acqua del mare e l’acqua dei due Rheitoi sono salate; ved. Skenteri 2005, 89. L’aggettivo ªλιος è un epiteto tradizionale di οeδµα, come in H. Hom. Ap. 417; Pind. fr. 221, 4 Maehler; Eur. Hec. 634; Hel. 520. Il nesso doveva essere così comune che in Eur. 161 Hel. 1501 ªλιος glossa l’espressione piuttosto inconsueta γλαυκ'ν )π0 οeδµα; ved. Kannicht 1969, II, 396. Wilamowitz 1928, 28, rinvia per la forma verbale συµβ λλετον a Il. 4, 453 )ς µισγ γκειαν συµβ λλετον vβριµον Dδωρ, dove però il verbo, diversamente da qui, è usato in modo transitivo. La forma verbale συµβ λλετον viene ancora usata in Il. 5, 774 tχι Nο9ς Σιµ/εις συµβ λλετον ^δ( Σκ µανδρος, in cui viene descritto l’arrivo di Era su un carro trascinato da cavalli a Troia nel tratto in cui il Simoente e lo Scamandro mescolano le loro acque. v. 12. λα' λα'ν mγουσα =τας π ντας µηγερ ας. ας Atena viene rappresentata come guida del suo popolo attraverso il nesso λα'ν mγουσα. In Il. 10, 79 λα'ν mγων descrive colui che guida un esercito di uomini; cfr. anche Il. 2, 580 mγε λαο ς. Qui λα'ν mγουσα perde la connotazione bellica dell’uso omerico all’interno del nuovo contesto della processione giubilante che si fa incontro a Erode. Il sostantivo λα/ς al singolare rappresenta il popolo di Atene in processione «als kollektive Einheit» (Schmidt 1991, s. v.), come è esplicitato dall’apposizione =τας π ντας µηγερ ας. Il sostantivo =της ha il significato di «citizen» (LSJ, s. v.) come in Pind. Pae. 6, 10-1 Maehler =ταις µαχαν αν ʖ[λ] ξων / τεο*σιν. Per l’espressione π ντας µηγερ ας cfr. Il. 2, 789 e 7, 415. Un’espressione simile a =τας π ντας µηγερ ας è adoperata poi da Nonn. D. 14, 285-6 µηγερ ες δ( πολ*ται / π ντες. v. 13. \ρ4ας µ( µ(ν πρ τα θε ν κοµ/ κοµ/ωντας )θε ραις. ραις A partire da questo verso il poeta distingue i vari gruppi che formano il corteo guidato dalla dea. Skenteri 2005, 98, ricorda che ogni anno, nel mese di Boedromione, gli Ateniesi andavano in processione dalla città ad Eleusi per celebrare i misteri. «The welcoming procession for Herodes described in this inscription followed the same route as the Eleusinian procession. It is quite possible that the poet had the Eleusinian procession in mind when he described the welcoming of Herodes and that he inserted in his narrative the groups of participants that took part in the authentic procession». Il primo gruppo è rappresentato dai sacerdoti degli dei (\ρ4ας … θε ν). Al v. 6 compare l’accusativo singolare \ρ α; qui la grafia \ρ4ας è metri causa. 162 Κοµ/ωντας )θε ραις è un’espressione omerica che ricorre in Il. 8, 41-2 = 13, 24-5 jπ0 vχεσφι τιτ σκετο χαλκ/ποδ0 rππω / qκυπ τα χρυσ pσιν )θε ρpσιν κοµ/ωντε, per qualificare i cavalli, e che l’autore del componimento adatta a un nuovo contesto. Eust. Comm. ad Il. 2, 522, 22-523, 1, notava come fosse insolita la frase omerica per qualificare la criniera dei cavalli e concludeva che solo l’autorità del mito permetteva di riferire agli animali parole che descrivono propriamente i capelli umani. v. 14. κ/σµ7 σµ7 τ2 σφετ ρ7, π ντας ριπρεπ ας. La descrizione dei sacerdoti è completata dall’apposizione π ντας ριπρεπ ας. Κ/σµ7 τ2 σφετ ρ7 viene tradotto da Oliver 1970, 34, «in full regalia». Egli vi scorge un riferimento agli ornamenti indossati dai sacerdoti durante la processione. Questo significato di κ/σµος è già attestato in Il. 14, 187, dove si narra come Era si prepari a ingannare Zeus mettendosi addosso ogni ornamento. Skenteri 2005, 89, sebbene traduca i vv. 13-4 «first the priests of the gods, with their flowing hait, all resplendent in their own ornaments», giudica difficile determinare se «κ/σµ7 τ2 σφετ ρ7 is used as an apposition to )θε ραις or if it is attached to ριπρεπ ας» e conclude «however we think that the former interpretation is more probable». v. 15. \ρε ας δ( µετα3 µετα3θι σα/ σα/φρονα Κ πριν )χο σας. σας Il secondo gruppo è costituito dalle sacerdotesse (\ρε ας) che conducono in processione un’immagine di Afrodite (σα/φρονα Κ πριν). Secondo Graindor 1912, 85-6, si tratta di una statua della dea dedicata da Erode. Di questa dà notizia Dam. Isid. fr. 87, 1 Zintzen = Phot. Bibl. 242, 342a, 7-8 ±τι φησCν Sφροδ της δε*ν \δρυµ νον συγγραφεMς mγαλµα τ4ς ρ δου το3 σοφιστο3 ν θηµα. Skenteri 2005, 90, avanza diverse interpretazioni sulla presenza di Afrodite nel corteo: «a statue of Aphrodite may have been carried in the procession, a picture of some other kind may have been meant, or a woman may have been dressed up like Aphrodite». Riguardo all’ultima proposta di interpretazione Skenteri cita Arist. Ath. 14, 4, 413, dove si racconta che Pisistrato fece indossare a una donna i panni della dea Atena, affinché lo accompagnasse in città durante il suo rientro dall’esilio. Afrodite è qualificata come σα/φρονα, emendamento di Wilamowitz 1928, 29, che corregge la lettura di Graindor 1912, 86, mφρονα. Sulla pietra la vocale α è omessa mentre ο è aggiunta al di sopra della linea del verso. L’aggettivo σ φρων 163 viene impiegato solo qui come epiteto di Afrodite. La dea viene citata anche in IG XIV 1389 A 4 = 146 A, 4 Ameling da Marcello come progenitrice di Regilla. vv. 16-7. Il terzo gruppo guidato dalla dea Atena è composto da giovani cantori di Zeus Olimpio (κυδαλ µους πα*δας οιδοπ/λους ΖηνC θεηκολ οντας ¹λυµπ ωϊ), con il quale era stato assimilato l’imperatore Adriano (ved. infra). Per l’espressione κυδαλ µους πα*δας cfr. Od. 14, 206 = 17, 113 υ\ σι κυδαλ µοισιν e 19, 118 υ\ο*σιν )κ κλετο κυδαλ µοισι. Κυδ λιµος «wacker» (Führer 1991, s. v. κυδ λιµος) è un aggettivo adoperato in Omero come epiteto di uomini; qui specifica che i giovani appartenevano alle migliori famiglie ateniesi, com’è anche sottolineato da Graindor 1912, 87, il quale cita CIG 2715a 1, 7-9 α[\ρε*σθαι] ν3ν )κ τ ν εE γεγον/των πα*δας τρι κοντα, … οrτινες … Þσονται Dµνον, dove si parla della scelta di trenta giovani discendenti da buone famiglie, perché cantino un inno. οιδοπ/ οιδοπ/λους. λους Il sostantivo οιδοπ/λος precisa che la funzione di questi giovani è quella di essere cantori. Si tratta di un sinonimo di οιδ/ς, come si deduce da A. P. 8, 122, 1, dove Eufemio viene presentato come !Oτωρ )ν Nητ4ρσιν, οιδοπ/λος δ0 )ν οιδο*ς. Il sostantivo non è mai attestato nell’età classica ma solo a partire dall’età ellenistica nella produzione epigrammatica; ved. LSJ, s. v. οιδοπ/λος. Secondo Graindor 1912, 87, il termine οιδοπ/λος è usato dall’autore di questo componimento come sinonimo poetico di ,µν7δο , poiché con quest’ultimo vengono indicati i cantori dell’imperatore Adriano nelle vesti di Zeus Olimpio come, p. es., in IEph. 5, 1745 [jµ]νωδ'ν ναο3 θεο[3 Îδριανο3; cfr. anche le iscrizioni provenienti dalla città di Smirne, come CIG 3170, 3148, 3160, le quali documentano questa nuova istituzione di cantori in onore dell’imperatore Adriano. Secondo questo poemetto tali cantori erano presenti anche ad Atene; ved. Graindor 1912, 87. ΖηνC ΖηνC θεηκολ οντας ¹λυµπ 7. 7 La spiegazione di questa perifrasi è opera di Graindor 1912, 86. Il participio θεηκολ οντας ha il significato di «être θεηκ/λος». I θεηκ/λοι erano dei sacerdoti istituiti dall’imperatore Adriano per il culto di Zeus Olimpio, che durante il suo regno conobbe una nuova rinascita; cfr. IG II2 3313 Α,τοκρ τορα Îδριαν'ν ¹λ µπιον ο\ πρ τοι θεηκ/λοι. Questi θεηκ/λοι però non venivano scelti tra i ragazzi di Atene, come fa credere il v. 17, 164 ma tra i vecchi della città. Per questo motivo risulta difficile identificare i πα*δας οιδοπ/λους con i θεηκ/λοι. La presenza di questo gruppo di giovani per Zeus Olimpio si spiega da una parte con l’identificazione dell’imperatore Adriano con Zeus Olimpio (ved. Raubitschek 1945, 130) dall’altra con la carica di ρχιερεMς τ ν σεβαστ ν ricoperta da Erode (ved. Dittenberger 1878, 72-6), la quale designa un sacerdozio per il culto dell’imperatore regnante e degli altri assimilati alle divinità; ved. Brandis 1895, 480-2. Che la carica di ρχιερεMς τ ν σεβαστ ν riguardasse anche gli imperatori defunti è ricavabile da iscrizioni della città di Sparta, quali CIG 1363, 1364 b, 1405, che presentano la formula ρχιερεMς τ ν σεβαστ ν καC τ ν θε ων προγ/νων α,το3. rµασι κυδρο ς. Graindor 1912, 70, e Svensson 1926, 529, stampavano ¹λυµπ ωϊ µασικ δρους. Il termine µασικ δρους è però senza attestazioni e i due studiosi non offrivano alcuna spiegazione. Skenteri 2005, 90, annota che «rµασι stands for εrµασι». La grafia rµασι occorre anche in IEgVers 127, 9 rµασι δ0 νθ0 Rπλων κοσµο µεθα. Dubbia è la presenza della dieresi sulla prima iota; Threatte 1980, I, 98, ricorda: «I could see no trace of it on the stone when I examinated it». vv. 18-23. Questi versi presentano il quarto gruppo del corteo. Si tratta degli efebi, sui quali l’autore si sofferma maggiormente, perché la loro partecipazione offre la possibilità di sottolineare una delle tante munificenze compiute da Erode Attico per una classe degli abitanti di Atene, prima che la città gli movesse l’accusa di tirannide. v. 18. I giovani sono descritti come ^ϊθ ους rστορας ^νορ ης. Il sostantivo ^Åθεος designa il giovane intorno ai 18 anni; ved. Beck 1987, s. v. Gehrke 1997, 1073, ricorda che «im Alter von 18 Jahren wurden die jungen Athener in ihren jeweiligen Demen nach Prüfung ihres personenrechtlichen Status in die Bürgerlisten eingeschrieben und dann phylenweise in die Ephebeia aufgenommen». Gli efebi avevano come modello la figura di Teseo, l’efebo per eccellenza che con il suo coraggio aveva liberato Atene dal tributo annuale di giovani che la città doveva al re di Creta Minosse; cfr. Plu. Thes. 17. Sull’efebia in generale ved. Thalheim 1903, Pélékidis 1962, Guarducci 1969, II, 380-410 e Gehrke 1997. 165 ¼Åθεος è un termine omerico. In Il. 18, 567, 593; 22, 127-8 e Od. 11, 38 è in correlazione con παρθ νος e designa il ragazzo distinto dalla ragazza, mentre in Od. 3, 401 e 6, 63 il sostantivo mette in risalto la condizione dei ragazzi che per la loro giovane età vivono ancora a casa dei genitori; ved. Beck 1987, s. v. ^Åθεος. La definizione degli efebi come ^Åθεοι non è isolata perché compare anche in IG III, 1151 ^ιθ οισιν )φOβοισιν; cfr. anche IG II2 3754 \ππ α !ωµα ων τ'ν )ν ^ιθ οισιν =φηβον. Wilamowitz 1928, 30, definisce Geschmacklosigkeit la tautologia ^ϊθ ους rστορας ^νορ ης (v. 18), πα*δας Sθηνα ων (v. 19) e )φOβους (v. 20). Egli spiega poi ^νορ ης con νδρε ας, «weil sie hier mit irgendwelcher Waffe paradieren». Powell 1933, 194, ricollegandosi a questo giudizio, definisce l’intera espressione ^ϊθ ους rστορας ^νορ ης «a showy phrase for )ν Rπλοις». Per quanto riguarda l’aggettivo rστωρ «knowing, learned» (LSJ, s. v., II) costruito con il genitivo, cfr. H. Hom. Sel. 2 -δυεπε*ς κο3ραι Κρον δεω ∆ι'ς rστορες Öδ4ς; Bacch. 9, 43-4 )]γχ ων / rστορες κο3ραι διωξ πποι0 ‰ρηος; Soph. El. 850 Κ γw το3δ0 gστωρ, jπερ στωρ; Eur. IT 1431 jµ;ς δ( τ9ς τ νδ0 gστορας βουλευµ των e Plat. Crat. 406b, 3 ρετ4ς rστορα. v. 19. πα* πα*δας Sθηνα ων. ων Nel V sec. a. C. l’accesso all’efebia era riservato a chi vantava di «“essere nato secondo la legge”, cioè da padre e madre ateniesi» (Guarducci, 1969, II, 384). In età ellenistica ed imperiale l’efebia conosce una grande estensione nel mondo greco, tanto da diventare un’istituzione per la formazione fisica e spirituale dell’élite e un elemento essenziale nella rivendicazione dell’identità greca. Per questo motivo a partire dalla fine del I sec. a. C. gli stranieri vennero accettati all’interno dell’efebia e Atene si trasformò in un centro di educazione; ved. Gehrke 1997, 105. χαλκ2 χαλκ2 γαν οντας )φOβους. βους «The Homeric influence is obvious, for the verb belongs to the Homeric vocabulary. However, in Homer the word γαν οντες (γαν/ωντες) is always used about objects and never about human beings» (Skenteri 2005, 105). In Il. 13, 264-5 τ µοι δο ρατ τ0 =στι καC σπ δες dµφαλ/εσσαι / καC κ/ρυθες καC θ ρηκες λαµπρ'ν γαν/ωντες e 19, 359 ¬ς τ/τε ταρφειαC κ/ρυθες λαµπρ'ν γαν/ωσαι il participio del verbo γαν ω descrive lo splendore delle armi mentre in Od. 7, 127-8 =νθα δ( κοσµηταC πρασιαC παρ9 νε ατον vρχον / παντο*αι πεφ ασιν, )πηεταν'ν γαν/ωσαι e H. Hom. Cer. 9 166 [ν ρκισσ/ν] θαυµαστ'ν γαν/ωντα quello dei fiori in pieno germoglio; ved. Mader 1982, s. v. γαν ω. v. 20. α, α,τ/ς. Il pronome designa Erode Attico. La sua identità viene lentamente svelandosi nel corso del poemetto attraverso indizi quali l’apostrofe al demo di nascita, l’allusione al legame con l’imperatore Marco Aurelio, di cui era stato maestro, la presenza di Dioniso, di cui era sacerdote, e di Demetra e Core, nei cui misteri egli svolgeva un ruolo importante in qualità di componente della famiglia sacerdotale dei Cerici (cfr. IG XIV 1389 A 32-3 = 146 A, 32-3 Ameling), infine la citazione di uno dei suoi benefici nei confronti della città natale. v. 20-1 λOθην πατρ' πατρ'ς … Α γε δεω. Graindor 1912, 88, seguito da Wilamowitz 1928, 30, aveva interpretato il genitivo Α γε δεω come un patronimico di πατρ/ς, e vi aveva letto un riferimento al padre Attico. Egli fondava la sua tesi su IG XIV 1389 A, 33 = 146 A, 33 Ameling, dove Erode viene esplicitamente definito discendente di Teseo. L’interpretazione corretta del patronimico è stata data per la prima volta da Roussel 1941, 164, il quale vi riconosce invece il riferimento mitologico a Teseo. L’intero nesso λOθην πατρ'ς … Α γε δεω allude alla leggenda secondo cui il giovane Teseo, navigando verso Atene, dopo aver ucciso a Creta il Minotauro, dimenticò di fare issare le vele bianche al posto di quelle nere, come aveva promesso al padre Egeo nel caso fosse ritornato a casa vivo. Il mito narra che a quella vista il padre, credendo il figlio morto, si tolse la vita gettandosi in mare; cfr. Plu. Thes. 22. L’abbigliamento degli efebi con mantelli neri era stato fissato dalla tradizione come sopravvivenza del ricordo di Teseo vestito di nero per espiare il suicidio del padre. κει/ κει/µενος. Roussel, 1941, 164, propone la correzione del participio κει/µενος nell’accusativo plurale κει/µενους accordato con κο ρους del v. 21. Secondo questa correzione sono gli efebi a fare ammenda della dimenticanza di Teseo, indossando abiti neri. Così traduce Ameling 1983, II, 208: «wodurch sie sühnen wollten, dass der Aigeussohn (Theseus) nicht an seinen Vater gedacht hatte». Il participio inciso sulla stele viene difeso invece da Skenteri 2005, 91, che traduce: «by making amends himself for Aigeus’ son’s forgetfulness of his vater». Questo passo va spiegato, da una parte, come volontà dell’autore di ricordare agli Ateniesi una munificenza di Erode, dall’altra, come allusione alla discendenza di 167 Erode da mitici personaggi. Erode come cittadino privato, sottolinea Skenteri 2005, 92, non aveva il diritto di mutare un simile costume, ma come discendente di Teseo poteva prendere su di sé l’onere di espiare il suicidio di Egeo e garantire la continuità della tradizione. «Thus, the word α,τ/ς acquires a logical function, since it enhances Herodes’ prominet role as mourner and sets him in opposition to the ephebes» (Skenteri 2005, 92). 21. δ<ν>οφοε µονος. µονος L’aggettivo è correzione di Svensson 1926, 532, di ∆ΜΟΦΟΕΙΜΟΝΟΣ della stele; egli osserva: «Mais c’est à coup sûr une erreur du lapicide, déconcerté, par un mot qu’il ignorait, et il faut écrire δνοφοε µων que l’on rapprochera du substantif δν/φος, écrit parfois γν/φος, d’où viennent les adjectifs δνοφ/εις, δνοφοOς, δνοφ δης et δνοφερ/ς – oscure, triste». ∆νοφοε µων è un hapax legomenon e significa «clothed in dark robes» (LSJ, suppl., s. v. δνοφοε µων). Svensson 1926, 532, n. 1, confronta il neologismo con τοMς µελανε µονας di Polyb. 2, 16, 13, dove lo storico, a proposito del fiume Bodenco, ricorda le storie raccontate dai Greci relative a Fedonte e alla sua caduta e cita gli abiti neri indossati dagli abitanti vicino al fiume in segno di lutto; cfr. anche CIG 2715a 1, 8 λ[ε]υχειµονο3ντας. Secondo Wilamowitz 1929, 490, «der Poet hat mit seiner Neubildung wenig Glück gehabt, denn δν/φος ist kein Wort für Farbe». Il sostantivo λ βη «despiteful treatment, outrage, dishonour» (LSJ, s. v.) è attestato già nei poemi omerici in Il. 3, 42; 7, 97; 9, 387; 11, 142; 13, 622; 18, 180; 19, 208; Od. 18, 225, 347; 19, 373; 20, 169, 285; 24, 326, 433; Per quanto concerne =σχεθε, indicativo aoristo poetico di =χω, costruito con l’accusativo κο ρους e il genitivo λ βης δνοφοε µονος cfr. Il. 2, 275; Od. 4, 758; Soph. El. 375 ed Eur. Herc. Fur. 1005. v. 22. ργυφ αις χλα ναις µφι σας. σας I mantelli che Erode dona a proprie spese (οgκοθεν) agli efebi sono qualificati come ργ φεαι «silver-shining, silverwhite» (LSJ, s. v). L’aggettivo compare per la prima volta in Il. 18, 50 ργ φεον … σπ ος ma è in Od. 5, 230 = 10, 543 ργ φεον φ;ρος che ργ φεος viene impiegato per indicare il colore bianco e lucente di un tessuto. Quest’accezione è riscontrabile anche in Hes. Th. 574 ργυφ p )σθ4τι; Ap. Rh. 3, 835 = 4, 474 καλ πτρην / ργυφ ην e Nonn. D. 48, 108 ργυφ 7 … εrµατι. La donazione di 168 mantelli bianchi è documentata anche da IG II2 209057; quest’iscrizione, grazie alla citazione dell’arconte Sesto di Falero, permette di datare l’avvenimento al 165-166 d. C.; ved. Ameling 1983, ΙΙ, 111-2. Sul dono dei mantelli bianchi cfr. anche Philostr. V. S. 2, 550, 16-8 µετεκ/σµησε δ( καC τοMς Sθηνα ων )φOβους )ς τ' ν3ν σχ4µα χλαµ δας πρ τος µφι σας λευκ ς. Il biografo però (V. S. 2, 550, 18-22) offre un altro aition delle vesti nere. Esse sono presentate come segno del lutto ateniese per Copreo, messaggero del re di Micene Euristeo, che gli Ateniesi avevano ucciso mentre questi cercava di strappare gli Eraclidi dall’altare; sulla vicenda cfr. Il. 15, 639-40 ed Eur. Heracl. 1-72. Secondo Powell 1933, 193, l’aition filostrateo si collega al fatto che il luogo dell’uccisione di Euristeo è il tempio a Maratona. Sia l’aition di Filostrato che quello dell’autore di questo poemetto dovevano in realtà coesistere se Plu. Th. 22, dopo aver descritto i riti compiuti da Teseo per commemorare la morte del padre, avverte l’esigenza di avvisare il lettore che altri scrittori potranno attribuire questi riti alla memoria degli Eraclidi. Per quanto riguarda il participio aoristo µφι σας del verbo µφι ννυµι «to clothe» (LSJ, s. v.), costruito con il dativo, cfr. Plat. Prot. 321a e Dion. Hal. 6, 16. v. 23. δωρηθε δωρηθεCς. Il participio aoristo passivo ha qui il significato del participio aoristo medio δωρησ µενος ed è un solecismo «nach Analogie von )νεθυµOθην, )φιλοτιµηθην» (Wilamowitz 1928, 30); per questo uso cfr. anche Hesych. H. Homilia ii in S. Longinum centurionem 26, 13-16 hγ ε µι Λογγ*νος, δι9 τ4ς µητρ/ς σου δωρηθεCς τ$ν κεφαλOν, λλ0 Qσπερ α,τ$ )κ/µισ ν µου τ$ν κεφαλOν, οDτως κ γw βο λοµα σε τ2 θε2 προσκοµ σαι; ved. anche Lampe 1961, s. v. δωρ οµαι. τƒ )νετ )νετo νετoσι κατωµαδ' κατωµαδ'ν ^λ κτροιο. «Wieder τ zu γ verlesen» (Wilamowitz 1928, 29). Le fibule di ambra sono citate solo qui. Graindor 1912, 89, vede il modello del v. 23 in Il. 14, 180 χρυσε pς δ0 )νετoσι κατ9 στ4θος περον;το e Call. Hec. fr. 42, 5 Hollis mλ[λ]ικα χρυσε ηισινʖ )εργοµ[ νην )νετ4ισιν. 57 γαθo [τ χp] )πC ν κp τ ν θειοτ των α,το[κρατ/ρων Μ Α,ρηλ ου καC Λ ΒOρου] Σεβαστ ν Sρµενιακ ν Παρθικ[ ν µεγ στων, )πC mρχοντος Σ ξτου] Φαληρ ως κοσµητ$ς τ ν )φO[βων Λ Tρ ννιος ΚορνOλιος καC] Sττικ'ς SζηνιεMς ν γραψεν το[Mς jπ0 α,τ2 )φηβε σαντας, τοMς] πρ τους λευκοφορOσαντας δι9 τ[4ς λαµπροτ της ε,εργεσ ας] το3 κρατ στου ρχιερ ως· Τιβ· Κλ· ρ [δου Μαραθων ου. ^ρ τη]σεν πρ/εδρος, Rτ7 δοκε* λευκο[φορ4σαι τοMς )φOβους τ4ς] -µ ρας )ν • πρ'ς τ$ν hλευσ*να - σ[τρατι9 πορε εται, Rτ7 δ(] µ$. ο,δεCς )π4ρεν ρ δης εeπεν· B [=φηβοι, )µο3 παρ/ντος χλαµ ]δων λευκ ν ο,κ πορOσετε). 169 v. 24-26. Il quinto gruppo che prende parte al corteo è composto dalle due βουλα di Atene. v. 24 τ ν δ0 δ0 vπιθεν. vπιθεν. Per questa espressione in apertura di hemiepes cfr. Choeril. fr. 320, 1 SH τ ν δ0 vπιθεν δι βαινε γ νος θαυµαστ'ν δ σθαι, dove il poeta elenca i popoli partecipanti alla spedizione contro l’Ellade. Κεκρ/ Κεκρ/πων. LSJ, s. v. Κ κροψ, annotano che il plurale Κ κροπες corrisponde alla forma Κεκροπ δαι, sostantivo derivato dal nome del mitico sovrano ateniese, e indica gli abitanti della città di Atene; cfr. commento a IG XIV 1389 A, 30 = 146 A, 30 Ameling. La forma Κ κροπες compare anche in IG II2 2139; 7447; 8395; 13150; SEG 28, 350; 30, 294. v. 25. =ξαιτος. ξαιτος L’aggettivo qualifica βουλO del verso precedente ed è pleonastico in quanto ha lo stesso significato del participio κεκριµ νη del v. 24; ved. Wilamowitz 1928, 30. L’aggettivo compare già in Il. 12, 320 e in Od. 2, 307; 5, 102; 19, 366. προτ ρω κ ον. Al soggetto al singolare (v. 24 βυλO) segue ora il verbo al plurale (κ ον). Per questa espressione cfr. Od. 9, 64 ο,δ0 mρα µοι προτ ρω ν4ες κ ον µφι λισσαι. Προτ ρω ha funzione avverbiale; il suo significato corrisponde a ε ς το}µπροσθεν, come annota Hesych. π 3983. θρ/ θρ/οι. οι L’unità con cui i membri della bulé marciano sotto la guida di Atena è espressa dall’aggettivo θρ/οι, che, associato al verbo κ ον, riprende l’espressione omerica di Il. 14, 38 = Od. 16, 361 = 24, 420 κ ον θρ/οι, di cui conserva la posizione metrica all’interno dell’esametro dopo la cesura pentemimere; per l’espressione κ ον θρ/οι cfr. anche Ap. Rh. 4, 674. - µ(ν ρε ω[ν]. ω[ν] Si tratta di un vero e proprio calembour che il poeta dispiega per sottolineare che il consiglio, cui egli sta facendo riferimento, è quello degli uomini di Marte (Sρε ων), cioè dell’Areopago, l’assemblea superiore ( ρε ων). Oliver 1970, 34, traduce - µ(ν ρε ω[ν] «named for Ares». v. 26. - δ0 Xτ Xτ ρη µε ων ¨σπετο τo τo κατ/ κατ/πιν. Il secondo consiglio è quello dei Cinquecento, la cui contrapposizione a quello dell’Areopago è espressa dal comparativo µε ων. Il poeta ricorre così all’espediente della paronomasia «qui se rencontre très souvent chez les écrivains de l’époque imperiale et surtout chez les représentants de la deuxième sophistique. Notre poète a essayé de choisir les 170 expressions qu’aimait et employait peut-être Hérode Atticus lui-même» (Svensson 1926, 532). µε ων. ων Ameling 1983, II, 209, spiega il comparativo µε ων in riferimento al fatto che nei decreti la bulé dei Cinquecento viene sempre citata dopo quella dell’Areopago. v. 27. π ντες. ντες L’aggettivo annulla la distinzione dei due consigli dei versi precedenti e fa riferimento a tutti i membri che indistintamente indossano vesti bianche lavate di fresco. )στολ δαντο. δαντο Si tratta di una neoformazione dal verbo στολ ζοµαι «array oneself in» (LSJ, s. v.). Per Wilamowitz 1928, 30 «)στολ δαντο ist belustigend, aber die Verderbnis einer nicht mehr verstandenen Perfektform kann in einem schlechten Texte für )στ λατο bei Herodot VII 90 gestanden haben, denn so steht es bei Hesych., vielleicht sogar )στολ., denn die ältere Handschriftenklasse hat bei Herodot )στελ, was eine weitere Entstellung zu sein scheint». νε/ νε/πλυτα φ ρ[εα λευκ ]. ] La pietra presenta a partire da questo verso una frattura che ha provocato la perdita delle lettere finali dell’esametro. Φ ρ[εα λευκ ] è integrazione di Graindor 1912, 70, accettata da tutti gli altri studiosi. Il nesso φ ρεα λευκ occorre già in Il. 24, 231. Anche l’epiteto νε/πλυτα è un termine che proviene dall’epica omerica; in Od. 6, 64 qualifica le vesti (εrµατα); cfr. anche Hdt. 2, 37, 4 Εrµατα δ( λ νεα φορ ουσι α εC νε/πλυτα. Come epiteto di φ ρεα è adoperato in Orph. Lith. 708. vv. 28. τ ν δ0 δ0 νχο3. νχο3. La preposizione νχο3 = γχο3 regge qui il genitivo come già in Il. 24, 709; Od. 6, 5 e 23, 130. Negli altri casi invece γχο3 è un avverbio nell’espressione formulare γχο3 δ0 \σταµ νη; ved. Laser-Lloyd-Jones 1955, s. v. γχο3, V. Con questo nesso il poeta passa a descrivere il resto della popolazione che prende parte al corteo cittadino senza esclusione di alcuna categoria. προβ δην =στιχ[εν mλλος vχλος]. χλος] La pietra permette di leggere ΕΣΤΙ e la parte superiore di un sigma prima della frattura. Poiché l’avverbio προβ δην significa «as one walks» (LSJ, s. v.), Svensson 1926, 532, integra con =στιχ[εν, aoristo secondo del verbo στε χω, ben attestato in poesia, come in Il. 16, 258; 171 Soph. Ant. 1129; Call. Del. 153; Theocr. 25, 154. Per l’avverbio προβ δην cfr. Hes. Op. 729 e Ar. Ra. 352. L’integrazione finale del verso mλλος vχλος è un miglioramento di Ameling 1983, II, 206, della proposta di Svensson 1926, 533, di dare come soggetto al verbo =στιχεν l’espressione vχλος mλλος, attestata in Ptol. Megalop. FGrHist 160, F 1. v. 29. )νδO νδOµων ξε νων τε καC καC αι[. αι[ I due sostantivi ancora leggibili indicano due categorie di persone e cioè i residenti in città e gli stranieri ospiti ad Atene. Svensson 1926, 533, constatando che nel frammento dello storico Tolomeo di Megalopoli sono citate anche le donne nel corteo di accoglienza di Attalo III, pensa a una integrazione della parte finale del verso con α [δεσ µων γυνα κων exempli gratia; tuttavia non difende questa proposta perché tale nesso «a le défaut de nous donner un iambe au cinquième pied; ce qui rendrait le vers faux». v. 30. ο, ο,δ τις ο κοφ λαξ λε π[ετ0 π[ετ0 )ν )νC µεγ ροις]. ροις] Il poeta ricorda che anche gli schiavi, sentinelle dei palazzi, partecipano al corteo di accoglienza di Erode che in questo modo risulta popolare in ogni strato della popolazione. Il sostantivo ο κοφ λαξ è attestato per la prima volta in Aesch. Supp. 26 come epiteto di Zeus. Svensson 1926, 533, integra la prima parte della lacuna con l’imperfetto epico senza aumento λε πετο. Il verso è completato poi da Ameling 1983, II, 206 con )νC µεγ ροις. v. 31. ο, πα* πα*ς, ο, ο, κο ρη λευ[κ λενος, λλ0 λλ0 γ ροντο]. ροντο] Ogni cittadino, compresi i fanciulli e le fanciulle, accorre ad accogliere Erode, lasciando la città deserta. Λευ[κ λενος è integrazione di Svensson 1926, 529. É un epiteto omerico, qui riferito a κο ρη, e significa «white-armed» (LSJ, s. v); ved. Vlachodimitris 1991, s. v. λευκ λενος. L’integrazione λλ0 γ ροντο è invece merito di Wilamowitz 1929, 490. v. 32. δ γµενοι ρ δην. Per la prima volta Erode viene menzionato con il suo nome. Per δ γµενοι cfr. Il. 18, 524 δ γµενοι ππ/τε µ4λα δο ατο καC ¨λικας βο3ς; Quint. Srmirn. 2, 99 δ γµενοι Sργε ους ^δ0 Α ακ δην Sχιλ4α; 12, 348-9 α,τοC δ( παρ0 α,τ/θι µ µνον ¨κηλοι / δ γµενοι, ππ/τε πυρσ'ς )ελδοµ νοισι φανε η e Nonn. D. 38, 244 δ γµενοι µφοτ ρωθεν )µ$ν Xτερ/σσυτον αgγλην. 172 vv. 33-36. Gli ultimi versi superstiti sono molto lacunosi e il loro contenuto può essere soltanto ipotizzato. v. 33. Il nesso Uς δ0 Rτε introduce, sul modello dei poemi omerici, una similitudine in cui Erode è paragonato a un bambino (πα*δα). v. 34. µ[Oτηρ è integrazione di Svensson 1926, 529. Qui la città di Atene, rappresentata dalla sua protettrice Atena e dalle diverse classi, è raffigurata nelle vesti di una madre che riabbraccia suo figlio ( µφιπ σp) al rientro da una terra lontana (v. 35 τηλ/θεν )[ξ π ης γα ης) con gioia (v. 36 χαιροσ [νp). Quest’immagine è presente anche nel poemetto 28, 25-8 Heitsch, dove il testo, intitolato dal suo editore Λ/γος )πιβατOριος, si rivolge a un generale ritornato in patria dopo una campagna di successo. Per il congiuntivo aoristo µφιπ σp cfr. Quint. Smirn. 9, 348 Rτε ζηλOµονι νο σ7 / µφιπ σp. v. 35. τηλ/ τηλ/θεν )[ξ )[ξ π ης γα ης. Accettare l’integrazione τηλ/θεν )[ξ π ης γα ης del v. 35 significa ammettere che qui l’autore stia echeggiando le parole che Odisseo in Od. 7, 25 rivolge alla dea Atena nelle sembianze di una fanciulla, per comunicarle che a causa del suo arrivo nel paese dei Feaci da una terra lontana non conosce il regnante della città. In merito a questa allusione omerica Skenteri 2005, 106, osserva che «this is the only Homeric reminiscence of comparable length in the poem. Normally, the direct loans from Homer seem to have acquired new meanings or different uses. This throws some doubt on the correctness of the restoration». v. 36. χαιροσ [ν [νp. Il termine, restaurato da Svensson 1926, 29, compare anche in Hesych. χ 22 χαιροσ νη· χαρ . Skenteri 2005, 106, avanza l’ipotesi che si tratti di una parola coniata dal poeta di questo poemetto. v. 37. πλO πλOν. L’unica parola leggibile di questo verso non permette di congetturarne il contenuto. v. 38. B[ρ]σ[ε. B[ρ]σ[ε. Questa è un’integrazione di Ameling 1983, II, 206, mentre Svensson 1926, 529, con approvazione di Wilamowitz 1929, 490 e Powell 1933, 191, legge la congiunzione Uς. Poiché qui l’autore sta imitando lo stile omerico nel costruire una similitudine, probabilmente si tratta dell’avverbio ¬ς che introduce il secondo membro della similitudine in cui doveva essere narrato l’incontro festoso delle due processioni. 173 Il tema del corteo cittadino che accoglie un uomo illustre di ritorno in patria è sfruttato da scrittori greci e latini in prosa. Plutarco riferisce che un simile corteo accolse Alcibiade che ritornava ad Atene in Alc. 32, 3-4, Demostene in Dem. 27, 5 e Catone il giovane che arrivava ad Antiochia in Cat. Min. 13, 1-3. Ameling 1983, II, 210, ricorda che questi cortei erano tipici dei regnanti ellenistici e cita gli esempi di Liv. 31, 14, 12, Polyb. 16, 25, 5-8, IPergamon 246 e Ptol. Megalop. FGrHist 160, F, i quali descrivono l’arrivo ad Atene di Attalo III. I cortei di accoglienza vennero poi riservati agli imperatori romani; cfr. Dio. Chrys. 63, 20, 4-5, in cui si racconta che Nerone fu accolto da un corteo festoso al suo ritorno in patria dalla Grecia, come narra anche Svet. Nero 25, 2. Nell’età di Adriano e Marco Aurelio i cortei per l’Adventus Augusti nelle province dell’Impero divennero una vera e propria usanza, combinando insieme da una parte la cerimonia di ricevimento di natura religiosa, dall’altra lo sfarzo del corteo festoso che la Res publica riconosceva come onore ai suoi uomini più illustri; ved. Alföldi 1970, 88-92. L’analoga struttura di queste descrizioni negli esempi sopracitati documenta la circolazione negli ambienti dotti di precetti retorici che regolavano la stesura dei discorsi di benvenuto. Nel III sec. d. C. questi precetti retorici vennero messi per iscritto da Menandro Retore. Egli vi dedica una sezione del suo trattato di retorica come guida alla preparazione di un discorso di saluto rivolto a importanti personalità che fanno ritorno in patria dopo un periodo di assenza dalla città; cfr. Men. Rh. Epideik. 378-388, 15. 1) Il discorso dovrebbe iniziare con un’espressione di gioia e 2) descrivere l’entusiasmo della città nel ricevere il suo governatore, 3) il quale viene rappresentato nel suo viaggio di ritorno in patria dopo aver fatto visita all’imperatore. 4) Il suo arrivo deve essere accompagnato da buoni auguri. 5) Una sezione molto importante è quella encomiastica in cui vengono elogiate la famiglia e le beneficenze del governatore per la sua città. 6) Menandro avverte che un simile discorso deve anche raccontare la partecipazione al corteo di benvenuto di tutta la cittadinanza distinta nelle sue classi rappresentative. 7) Il retore che pronuncia il discorso dovrebbe poi, aggiunge Men. Rh. Epideik. 381, 174 13-5, immaginare quello che la città direbbe al suo governatore se potesse assumere le sembianze di una donna come in una rappresentazione teatrale. La corrispondenza tra i precetti messi per iscritto da Menandro Retore e i temi presenti in questo poemetto per il ritorno di Erode Attico ad Atene non può essere semplicemente casuale; al contrario dimostra che l’autore del testo aveva familiarità con i precetti relativi alla composizione dei discorsi epidittici. Egli dà prova della sua abilità e originalità poetica offrendone un esempio in versi, attraverso i quali egli sottolinea l’onore speciale concesso ad Erode Attico al pari degli imperatori del suo tempo. 175 11 = 191 Ameling IG II2 4781; Ephem. Arch. 1894, 171, nr. 13; SEG 1, 55. Ad Eleusi. 175 d. C. Ved. Graindor 1922; Ameling 1983, II, 211, nr. 191; Tobin 1997, 202, µ στην ρ δ[η]ς Sσκληπι'[ν ε]rσατο ∆ηο* νο3σον λεξO[σ]αντ0 ντιχα[ρι]ζ/µενος. Erode dedicò a Demetra l’iniziato Asclepio, mostrandogli riconoscenza per aver allontanato la malattia. Si tratta di un distico elegiaco che Graindor 1922, 94, attribuisce a Erode Attico stesso. Il testo va datato intorno al 175 d. C. dopo il ritorno ad Atene di Erode che durante il suo soggiorno a Orico aveva contratto una malattia, da cui Asclepio lo aveva guarito. IG II2 3606 = 190 Ameling ricorda che Erode fece ritorno nella città natale passando per Eleusi. v. 1. µ στην. στην Per la posizione di µ στην in apertura di esametro cfr. IG II2 4218, 1 e IGRR I 5, 1331, 5. Il sostantivo µ στης indica colui che è iniziato ai misteri (ved. LSJ, s. v.) ed è accompagnato dal genitivo del nome del dio al quale sono dedicati i riti; cfr. Eur. fr. 472, 10 Kannicht ∆ι'ς |δα ου µ στης; Mel. A. P. 5, 191, 7-8 Κ πρι, σοC Μελ αγρος, µ στης / σ ν κ µων; 6, 162, 1-2 ‰νθεµ σοι Μελ αγρος X'ν συµπα στορα λ χνον, / Κ πρι φ λη, µ στην σ ν θ το παννυχ δων e Antiphil. A. P. 9, 298, 3 µ στην δ0 µφοτ ρων µε ΘεαC θ σαν. ε]r ε]rσατο. σατο LSJ, s. v. rζω, I, 2. «set up and dedicate temples, statues, etc. in honour of gods»; cfr. Pind. P. 4, 204 =νθ0 xγ΄ν'ν Ποσειδ ωνος ¨σσαντ0 )νναλ ου τ µενος e Theogn. fr. 12 West2 ‰ρτεµι θηροφ/νη, θ γατερ ∆ι/ς, iν Sγαµ µνων εrσαθʼ, dove il verbo rζω è usato in merito alla fondazione di un tempio rispettivamente per Poseidone e per Artemide. Cfr. anche Call. Del. 308-9, 176 Κ πριδος ρχα ης Uγαµ µνων, Uς ριOκοον, `ν ποτε Θησε ς εrσατο; Iamb. 200b 1 τ$ν µ3θος, εrσατο e A. P. 6, 347, 1 ‰ρτεµι, τCν τ/δ0 mγαλµα ΦιληρατCς εrσατο τoδε. ∆ηο* ∆ηο*. Si tratta della dea Demetra, cui Erode dedica una statua di Asclepio nei panni di un iniziato della dea. Sul legame tra le due divinità ved. infra. Per la posizione di ∆ηο* in clausola esametrica cfr. Call. Cer. 17 e Maced. A. P. 6, 40, 1. v. 2. νο3 νο3σον λεξO[ λεξO[σ]αντ O[σ]αντ0 σ]αντ0 ντιχα[ρι]ζ/ ντιχα[ρι]ζ/µενος. µενος Secondo Tobin 1997, 202, la statua era stata collocata da Erode nel tempio del dio Asclepio a circa un chilometro di distanza dal santuario della dea Demetra. Il tempio del dio, edificato ad Atene nel 420 a. C. (cfr. SEG 25, 226), sorgeva sul pendio meridionale dell’Acropoli, come riferisce Paus. 1, 21, 4, che in 2, 26, 8 ricorda che la città di Atene aveva riservato ad Asclepio un giorno di festa denominata epidauria durante la celebrazione dei misteri eleusini; cfr. anche Philostr. V. A. 4, 18 ãΗν µ(ν δ$ hπιδαυρ ων -µ ρα. τ9 δ( hπιδα ρια µετ9 πρ/ρρησ ν τε καC \ερε*α δε3ρο µυε*ν Sθηνα οις π τριον )πC θυσ ] δευτ ρ], τουτC δ( )ν/µισαν Sσκληπιο3 ¨νεκα, Rτι δ$ )µ ησαν α,τ'ν `κοντα hπιδαυρ/θεν dψ( µυστηρ ων e CIA II 453b. Luc. Pisc. 42 παρ9 δ( τ' Πελασγικ'ν mλλοι καC κατ9 τ' Sσκληπιε*ον ¨τεροι καC παρ9 τ'ν ‰ρειον π γον =τι πλε ους, fa brevemente riferimento al tempio ateniese del dio come a un luogo di incontro ben noto. Il legame di Asclepio con Eleusi è documentato ancora da IG II2 3220, fr. a 4 - βουλ$ δ4µος κανηφορOσασαν Sσκληπι2. L’importanza di Asclepio in età imperiale è testimoniata anche dal fatto che egli era l’unica divinità a essere coniata sulle monete in bronzo oltre ad Atena. Inoltre verso la fine del II sec. d. C. Tert. Ad Nat. 2, 14 et tamen Athenienses sciunt eiusmodi deis sacrificare; nam Aesculapio et matri inter mortuos parentant, commenta che gli Ateniesi compivano ancora sacrifici per Asclepio e sua madre. Chi riceveva la guarigione da parte di Asclepio dava prova della sua gratitudine verso il dio tramite offerte accompagnate da brevi informazioni relative alla cura; ved. Thraemer 1884-6, 627 ed Edelstein-Edelstein 1945, II, 520-31. Questo distico però non fa cenno al processo di guarigione al quale Erode era stato sottoposto. Quello più noto e praticato era l’incubazione, mediante la quale il dio Asclepio offriva la guarigione miracolosa a chiunque, affetto da una 177 malattia, avesse trascorso una notte in uno dei suoi templi; cfr. Ar. Vesp. 122; Plut. 421. Il malato riceveva durante il sonno la rivelazione medica divina attraverso un’indicazione diretta del medicamento da usare oppure mediante un’allusione al medesimo; cfr. Artemid. 1, 2; 4, 22. L’interpretazione dei sogni era un compito dei sacerdoti e aveva luogo nel momento più importante del culto. Il collegamento di Erode con il tempio ateniese del dio Asclepio è ben documentato da statue del sofista e di sua figlia Atenaide e da IG II2 3553 = 139 Ameling, IG II2 3599+4523 e IG II2 4073 = 137 Ameling. Aleshire 1989, 17, avanza la tesi secondo cui Erode avrebbe rimosso da questo tempio alcune delle offerte dedicate al dio in età classica ed ellenistica per porle nella sua villa a Cinuria. 178 12 = 192 Ameling Philostr. V. S. 2, 266, 5-6; Preger 1891, 15; Gärtringen 1926, 125; Peek 1955, 391; Peek 1960, 247. Atene. 177 d. C. Ved. Kaibel 1880, 459; Wilamowitz 1928, 26; Ameling 1983, II, 211-2, nr. 192; Bowie 1989a, 235. Philostr. V. S. 2, 565, narra che Erode morì a Maratona all’età di settantasei anni per consunzione. La data della sua morte va collocata nel 177 d. C. Sebbene egli avesse dato disposizione di essere seppellito nel demo di origine, gli Ateniesi fecero trasportare il suo corpo in città da alcuni efebi, scortato da cittadini di ogni età, e lo seppellirono nello stadio Panatenaico, la più grande costruzione da lui donata alla città natale; su questa costruzione ved. Tobin 1993; Tobin 1997, 165-73 e Welch 1998, 133-45. Quest’onore lascia intendere, come sostiene Tobin 1997, 177, che gli Ateniesi avevano dimenticato il vecchio rancore nei confronti del loro benefattore. Lo stesso Filostrato, alla fine della biografia dedicata a Erode, sottolinea questa riconciliazione delle due parti paragonando l’atteggiamento di dolore degli Ateniesi a quello di figli rimasti orfani del padre. Il discorso funebre venne tenuto dal sofista Adriano di Tiro (Philostr. V. S. 2, 586) mentre gli Ateniesi fecero incidere successivamente sulla tomba di Erode Attico il seguente epigramma: Sττικο3 ρ δης Μαραθ νιος, ο8 τ δε π ντα κε*ται τ2δε τ φ7, π ντοθεν ε,δ/κιµος. In questo sepolcro giace tutto ciò che rimane di Erode, figlio di Attico, da Maratona, ma la sua fama è diffusa dappertutto. 179 v. 1. Sττικο3 ττικο3 ρ δης Μαραθ νιος. νιος L’epigramma rivela l’identità di Erode Attico secondo la consuetudine che si riscontra nelle iscrizioni a lui dedicate; ved. commento a IG II2 3606, 1 = 190, 1 Ameling. vv. 1-2. ο8 ο8 τ δε / π ντα. Kaibel 1880, 459, riconosceva il modello di questo nesso in Antim. fr. 131, 1 Matthews =στι δ τις Ν µεσις µεγ λη θε/ς, i τ δε π ντα / πρ'ς µακ ρων =λαχεν, di cui l’epigramma muta il senso. Matthews 1996, 319, ipotizza che τ δε π ντα, in riferimento alla Nemesi di Ramnunte, significhi «everything here on earth». Kaibel 1880, 459, con approvazione di Ameling 1983, II, 212, ritiene che il componimento di Antimaco di Colofone per la Nemesi di Ramnunte fosse stato scelto intenzionalmente come modello per questo epigramma e ricorda che alla dea Nemesi, insieme ad Atena, è rivolta l’apostrofe con cui si apre IG XIV 1389 B, 601 = 146 B 60-1 Ameling ` τ0 )πC =ργα βροτ ν ρ ]ς !αµνο σιας ΟEπι; (ved. supra). Wilamowitz 1928, 26, afferma che questo epigramma è così breve come le iscrizioni funebri arcaiche e «will also dasselbe, was er mit den altattischen Buchstaben seiner Rροι des Triopion wollte». Il nesso ο8 τ δε π ντα compare in Attica anche in SEG 30, 306 [)νθ δε κε*ται ]ηʖτOρ, ο8 τ δε π ντα; ved. Ameling 1983, II, 212. v. 2. π ντοθεν ντοθεν ε, ε,δ/κιµος. L’epigramma si conclude con un riferimento alla fama del ricco ateniese presente dovunque. L’avverbio π ντοθεν potrebbe essere interpretato sia in senso metaforico in relazione alla notorietà di Erode, sia in senso concreto in quanto egli era stato seppellito in un’area dove aveva fatto erigere numerosi monumenti di grande importanza per la città di Atene. Nel 1904 durante i lavori per la realizzazione di una strada in corrispondenza della sommità dello stadio Panatenaico ad Atene venne riportato alla luce un sarcofago del III sec. d. C. con un cippo che reca un iscrizione (IG II2 6791 = 193 Ameling) scavata su una base o un altare di marmo bianco: Tʖ[ρ δει] ¨ρωι τ ι Μαραθων ωι [ δ µος ν θεκεν] 180 A Erode, l’eroe di Maratona, il popolo lo dedicò. Tobin 1997, 181, definisce quest’iscrizione «a simplified version of the epigramm quoted by Philostratos». Le lettere sono arcaizzanti e preeuclidee e la vocale epsilon è usata al posto di eta. L’esame della pietra rivela che la prima e l’ultima riga erano state erase. Skias, primo editore del testo, era ancora in grado di leggere la lettera iniziale della prima riga; ved. Tobin 1997, 181. Per Graindor 1930, 135, si tratta di una rasura tarda, sebbene nessun altro nome fosse stato scritto successivamente nello spazio eraso, invece per Tobin 1997, 181, di una sorta di damnatio memoriae di Erode ad opera di nemici del ricco ateniese. La studiosa chiama in causa, a sostegno di questa ipotesi, le iscrizioni di maledizione che Erode Attico aveva fatto collocare sulle erme a protezione delle statue e dei monumenti da lui fatti edificare per dimostrare che egli aveva reali motivi per temere atti di vandalismo da parte di nemici nei confronti delle sue costruzioni; ved. commento a IG XIV 1389 B, 76-7 = 146 B, 76-7 Ameling. 181 Zusammenfassung Die vorliegende Doktorarbeit ist ein philologischer Kommentar zu allen poetischen Inschriften, die sich auf Herodes Atticus (101-177 n. Chr.) beziehen. Er ist einer der höchsten Vertreter der Zweiten Sophistik, einer kulturellen Bewegung (50-250 n. Chr.), in welcher Philosophen und Rethoren die höchsten Ämter des römischen Reiches bekleideten und das kulturelle Feld dominierten. Da sie die Prosa, welche durch eine geschickte und ungezwungene Verwendung des Wortes charakterisiert ist, als Kommunikationsmittel nutzten, kann es schnell der Fall sein, das die Rolle der Dichtung in der griechischen Gesellschaft der Zweiten Sophistik unterschätzt wird. Das bedeutet aber nicht, dass die Sophisten die Dichtung verachteten, denn einige dichterische Texte sind unter ihrem Namen überliefert worden. Sie gehören unterschiedlichen Gattungen, wie der epischen, tragischen, lyrischen oder epigrammatischen an. Letztere ist die Gattung, welche die Sophisten am meistens bevorzugten. Es bleiben Spuren der sophistischen Dichtung auf den Steinen, welche die unterschiedlichen Stufen der Kultur und der Verskunst beweisen. Bowie 1990 erklärt dies mit der Tatsache, dass jeder gebildete Mensch (pepaideumenos) Hexameter und elegische Modelle kannte und man kein Poet sein musste, um ein paar metrische Zeilen zu schreiben. In dieser Form konnte das Epigramm innerhalb freundschaftlicher Beziehungen gelesen werden und hatte so eine Funktion im öffentlichen Leben. Mein Kommentar möchte erklären, wie der Sophist Herodes Atticus die klassische Kultur, und vor allem die mythische und literarische Tradition benutzte und verarbeitete, um seiner eigenen Figur eine literarische Gestalt zu geben und seine griechische Identität (Paideia) in der römischen Welt zu betonen. Die rein philologische Betrachtungsweise der Texte ist das Neue an dieser Arbeit, weil die bis jetzt über Herodes Atticus geführten Recherchen vor allem einen geschichtlichen und archäologischen Charakter haben. Die Archäologen sind an den Gebäuden interessiert, die Herodes Atticus bauen oder umstrukturieren ließ, um deren charakteristischen Stil festzustellen. Die Historiker hingegen versuchen, einige Zusammenhänge, wie z. B. die Beziehung zwischen dem Wohltäter 182 Herodes und den Stadtbewohnern der Städte, die von ihm unterstützt wurden, zu erklären. Herodes betont immer wieder eine berühmte und göttliche Abstammung seiner Familie, weil sie die Voraussetzung war, um auch in der römischen Welt eine wichtige Rolle zu spielen. Seine Beharrlichkeit hängt von der Tatsache ab, dass die Römer und in erster Linie die Kaiserfamilie stolz darauf waren, eine sehr berühmte und göttliche Abstammung zu haben, nämlich von Anchises und der Göttin Aphrodite. Deshalb musste Herodes sich auch in dieser Hinsicht nicht unterordnen. Herodes Atticus Vater hatte ihm schon die anderen Voraussetzungen für die zukünftige politische Karriere in seiner Jugend geliefert, und zwar Geld und eine ausführliche Ausbildung, zuerst in Rom, später auch in seiner Heimat durch die besten Lehrer und Rhetoren der Zeit. In Rom hatte er die Möglichkeit, Latein zu lernen, was damals für einen Griechen ungewöhnlich war. So kam es auch, dass er die ganzen römischen Institutionen wie den Senat oder die Figur des Kaisers als nicht fremd empfand. Um seine Position in Rom zu verstärken, ging Herodes eine Ehe mit einem römischen Mädchen aus einer reichen Familie ein. Sie hieß Regilla und kam aus der Familie der Annii Reguli. Mit dieser Ehe konnte Herodes sein Vermögen vergrößern und die Kontrolle über die Grundstücke seiner Frau an sich nehmen: eines auf dem dritten Meilenstein der Via Appia und eines in Canusium in Apulien. Als seine Frau Regilla ungefähr im Jahr 160 n. Chr. starb, wurde Herodes von ihrem Bruder Brauda angeklagt. In diesem Prozess wurde er freigesprochen. Da jedoch Zweifel an seiner Unschuld bestehen blieben, widmete Herodes seiner Ehefrau Gebäude und Statuen wie auch viele Inschriften, von denen einige Gedichte waren. Herodes Atticus ist eine der wenigen Persönlichkeiten des Altertums, über die so viele Informationen überliefert worden sind. Mehr als 150 Inschriften, welche W. Ameling in seiner Herausgabe Herodes Atticus: II. Inschriftenkatalog, Hildesheim 1983 gesammelt hat, beziehen sich auf ihn, darunter 14 poetische Texte. Diese sind Gegenstand dieser Dissertation. Da es sich um auf Stein gravierte poetische Texte handelt, wird das Wort „Epigramm“ in dieser 183 Dissertation in seinem ursprünglichen Sinn „Text, der auf einem Stein geschrieben ist“ verwendet, und nicht in der gewöhnlichen Bedeutung der „kurzen Dichtungsgattung“, weil diese Texte wegen ihrer Charakteristika verschiedenen Gattungen wie z. B. Hymnus, Enkomion zugeschrieben werden können. Da die Texte auf Teile von Gebäuden graviert worden sind, ergibt es sich, dass die Botschaft von jedem Text nur dann vollständig erfasst werden kann, wenn der Text mit der entsprechenden architektonischen Gesamtheit in Zusammenhang gebracht wird. Ein Beispiel dafür sind die drei Inschriften auf dem Tor der ewigen Eintracht. Die Lesung von IG III 403 = IG II2 5189 µονο ας θαν τ[ου] π λη ρ δου χ ρος ε ς ν ε σ ρχε[ι], die einzige der drei Inschriften, die im Jahr 1794 entdeckt wurde, hatte Graindor 1914, 75, überzeugt, einerseits dieses Monument als Beweis der Versöhnung zwischen Herodes und der Stadt Athen nach den gerichtlichen Ereignissen in Sirmium zu interpretieren, andererseits erkannte er in der in der Inschrift des Tores genannten Eintracht die Personifizierung dieser neuen bürgerlichen Stimmung. Die Entdeckung der Inschrift IG II2 5189a µονο ας θαν τ[ου] π λη !ηγ λλης χ ρος ε ς ν ε σ ρχει im Jahr 1926 erlaubte, zu der richtigen Interpretation der architektonischen Gesamtheit und der Inschriften zu kommen. Das Tor der ewigen Eintracht ist das Symbol des glücklichen Ehebundes zwischen Herodes und Regilla, welcher er ein Grundstück in Marathon schenkte. Die Eintracht der Inschriften ist die Gottheit, die jede eheliche Verbindung schützt. Ihre Erwähnung verleiht diesem Gebiet zwischen Vrana und Marathon eine fast heilige Bedeutung. Herodes übernimmt die Idee einer Stadt, die durch die progressive „Sakralisierung“ des Raumes charakterisiert wird, von dem Kaiser Hadrian, dessen Imitatio eine feste Konstante in seinem Leben und seiner Wohltätigkeit in Athen ist. Zu diesem Prozess gehört auch der Wunsch, die Erinnerung der Liebe zu den Familieangehörigen zu verewigen. Aus diesem Grund lässt Herodes auf dem Tor ein neues Epigramm (SEG 21, 123 = 99 Ameling) eingravieren, als die Ehefrau Regilla stirbt (160-161 n. Chr.). Hiermit wird seine Trauer ausgedrückt, und sein offizielles Bild als glücklicher Mann wird mit dem privaten des betrübten Witwers verglichen. So scheint das Tor mit seinen drei Inschriften auf 184 ein Gebiet einer Nekropole oder mindestens ein Gebiet mit vielen Denkmälern hinzuweisen. Was die Identität des Verfassers der Epigramme betrifft, fehlen entscheidende Hinweise, die erlauben, diese Texte mit Sicherheit Herodes zuzuschreiben. Einige Epigramme wurden im Auftrag von Herodes Atticus verfasst. Ein Beispiel dafür sind zwei lange Gedichte von dem römischen Grundstück des Herodes auf der Via Appia (IG XIV 1389 A, B = 146 Ameling A, B). Hier wird die Identität des Verfassers durch den Genitiv seines Namens vor dem Anfang des ersten Gedichtes garantiert. Auf jeden Fall wecken all diese poetischen Inschriften Interesse, weil sie Träger von Herodes’ Botschaften sind, der dabei auf jedes kleine Detail achtet, unabhängig davon, ob er der Verfasser oder der Auftraggeber war. Alle Gedichte entstehen aus einem konkreten Anlass heraus, wie die Widmung einer Statue von Regilla, der Tod eines Familienangehörigen, ein politisches Ereignis oder die Danksagung für die Genesung von einer Krankheit. Fast alle Texte haben das Thema der Liebe und/oder der Trauer von Herodes über den Tod der Ehefrau Regilla, sowie der leiblichen oder adoptierten Kinder gemeinsam. Diese Ereignisse werden in den Bereich des Mythos übertragen, der sich als das Instrument zeigt, durch welches Herodes seine Ziele unterstützt oder unterstützen lässt. Dies wird durch einen ausgesuchten poetischen Wortschatz realisiert, welcher von genauen metrischen Notwendigkeiten bestimmt wird. Wiederkehrend sind die klassischen (vor allem homerischen) Anspielungen, die Aufnahme von einem Wort oder einem Begriff, die von der hellenistischen Dichtung, insbesondere von Kallimachos verwendet wurden und die Bezüge auf mythische Situationen und Figuren. So wird die Trauer für Regillas Tod (SEG 21, 123, = 99 Ameling) durch das Bild des halbfertigen Hauses von Laodamia, Witwe von Protesilaos, dargestellt; das Leiden für den Tod eines Kindes nach den ersten Monaten seines Lebens, für welches Herodes seine Haare als Zeichen der Trauer schneidet, erinnert an die ähnliche Geste des Achilleus hinsichtlich des Todes des geliebten Patroklos (SEG 26, 290 = 140 Ameling). Ein fragmentarisches Gedicht betont das Freundschaftsbündnis zwischen Herodes und dem Kaiser Lucius Verus (Peek 1942, 330 = 186 185 Ameling), ein anderes (IG II2 3606, 1-5 = 190 Ameling 1, 5) schildert die Rückkehr des Herodes nach Athen und seine Versöhnung mit den Bewohnern der Stadt, die ihn mit einem prächtigen Umzug nach dem damals für den Kaiser reservierten Zeremoniell empfangen. Schließlich ist ein wiederkehrendes Thema dieser Epigramme die Abstammung der Familie von Herodes aus Marathon, dem athenischen Gebiet, welches 490 v. Chr. den Sieg gegen die persischen Feinde unter der Führung von Miltiades, einem Vorfahren von Herodes sah. Die Anspielung auf bekannte mythische Ereignisse bezeugt Herodes’ Wille, einerseits seine eigenen biografischen Ereignisse mit jenen der mythischen Vergangenheit zu assimilieren und sich andererseits an ein gelehrtes Publikum zu wenden, welches in der Lage war, solch eine Assimilierung, die Herodes in die poetische Tradition seiner Heimat einfügt, zu begreifen. Diese Dissertation beginnt mit Herodes’ Biographie, die dazu dient, die historischen Ereignisse in Bezug auf die Verfassung der Epigramme zu rekonstruieren. Daraufhin folgt der Kommentar zu den 14 poetischen Inschriften, die entsprechend ihrer chronologischen Ordnung vorgestellt werden. Dies erlaubt, jeden Text mit den historischen Ereignissen, welche seine Verfassung bestimmt haben, zu verbinden und so die allgemeine Stimmung, von welcher die Texte Träger sind, nachzuvollziehen und mögliche Verbindungen unter den verschiedenen Texten zu bestimmen. In diesem Licht scheinen die Epigramme eine poetische Biographie von Herodes Atticus darzustellen. Sie belegen die wichtigsten Episoden, welche sein Leben charakterisiert haben, als ob Herodes Atticus selbst so den Nachkommen eine offizielle Version seiner Existenz hinterlassen wollte. Eine Bibliografie der Studien, die bis jetzt den hier kommentierten Inschriften gewidmet wurden, schließt die Dissertation ab. 186 Bibliografia ALESHIRE 1989 = S. B. Aleshire, The Athenian Asklepieion: the people, their dedications, and the inventories, Amsterdam 1989. ALFÖLDI 1970 = A. Alföldi, Die monarchische Repräsentation im römischen Kaiserreiche, Darmstadt 1970. ALLEN-HALLIDAY-SIKES 1936 = The Homeric Hymnes, ed. T. W. Allen, W. R. 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