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LA FURIA DEI CERVELLI – Vuoi fare l’apprendista (stregone)?
Piuttosto che fare l’impiegato un italiano su due tra i 18 e i 34 anni preferirebbe lavorare la terra e fare il contrario
di suo padre. Zappare i campi è duro, ma è più sano del lavoro e della vita virtuale condotta dai laureati, dice la Coldiretti. La
Confederazione nazionale degli artigiani (Cna) sostiene che il 37% dei piccoli imprenditori considera i laureati schizzinosi e
un po’ viziatelli, incapaci di adattarsi alle esigenze della piccola impresa. Lamentano il poco tempo dedicato alla formazione
pratica (39,7%) e la carenza di occasioni di tirocinio (27,7%). La scuola non è in grado di trasmettere i valori materiali del
mondo del lavoro. Non si dice quali, forse sono quelli della massima flessibilizzazione, dei salari ridotti e della sottomissione
ai mille caporali e capetti.
Per rimediare alla fuga dall’università di 58 mila studenti dal 2003, Tito Boeri suggerisce una maggiore professionalizzazione
dei corsi, distinguendo la specializzazione tra nord e sud del paese: nel Mezzogiorno ci potrebbe essere una specializzazione
nell’industria turistica mentre in alcune regioni settentrionali vi sarebbero corsi di apprendistato universitario in meccanica e
scienze biomedicali. Cioè operai e infermieri a Nord. Al sud camerieri.
Nello spot sull’apprendistato, in onda a reti unificate Fiorello raccomanda il contratto di apprendistato e, alla domanda, “ma
tu quale laurea hai” dice con incredulità: “Filosofia? Giurisprudenza?”. Non dev’essere stato un grande studente, Fiorello. Fa
di tutto per dimostrarlo. E ci crediamo, non serve una laurea per fare i suoi splendidi show. Fare l’apprendista è più sano del
lavoro e della vita virtuale. Ritorno ai valori semplici della terra, della fatica, niente grilli per la testa come la generazione dei
baby boomers.
La battaglia è contro la “licealizzazione” della società. Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato sostiene che la colpa è
della “licealizzazione” della società. Nel 2011 45 mila posti tra i mestieri artigiani “ad alta intensità manuale” sono rimasti
scoperti per mancanza di candidati. Stesso discorso quando si è scoperto che i profili più ricercati tra i “giovani” nel 2011
sono i cuochi, camerieri e altre professioni dei servizi turistici (+23,4%). Per rimediare alla fuga dall’università occorre
professionalizzare i corsi di studio.
Cosa effettivamente accaduta dalla riforma Berlinguer-Zecchino del 2000 con corsi e master per accompagnatori turistici, e
non in lettere con specializzazione in storia dell’arte, marketing e non economia aziendale, cresciuti a tal punto che, come ha
spiegato la settimana scorsa il Cun, sono stati tagliati oltre 300 corsi di laurea. Non bastano, evidentemente. E si continuerà a
tagliare e, nel frattempo, a trasformare i corsi di laurea in apprendistato. La “riforma Fornero” intende, senza grandi speranze
di successo in realtà, trasformare il dottorato in un contratto di apprendistato.
È in corso una grande offensiva per addebitare la crisi dell’istruzione pubblica sulle spalle di chi ha speso anni a studiare.
Cioè di 1 milione e 800 mila studenti e di tutti coloro che hanno preso una laurea negli ultimi 5 anni. I “nostri” ragazzi
continuano a studiare, non accettano i “lavori umili” (sempre che si tratti di “lavori umili”). Duplice risultato: si delegittima
così un sistema della formazione fallito per incapacità dei governi e si sposta la responsabilità sui soggetti che non accettano
le possibilità offerte dalla società. Ma, come ogni campagna ideologica, anche questa sull’apprendistato nasconde un baco.
Anzi, due.
Il primo è stato reso noto dall’Isfol: tra il 2009 e il 2011 l’uso del vecchio contratto di apprendistato è crollato del 17%,
soprattutto tra i minorenni nelle aziende artigiane. Gli apprendisti in alto apprendistato sono solo qualche centinaio, il grosso
riguarda persone nella fascia d’età tra i 19 e i 24 anni inquadrati con questo contratto. Uno sguardo più onesto sui dati rivela
che la disoccupazione, o la vera e propria inoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni (oltre il 37%), coinvolge tanto i laureati
che i diplomati. Entrambi hanno perso la speranza in una retribuzione dignitosa, ed è in corso un disperato – ma concreto –
tentativo di riconversione.
Anche perché, e arriviamo al secondo baco della campagna, le aziende non confermano i contratti in essere. La Cna
conferma che il 33% delle aziende ha assunto nuovo personale in sostituzione di altre figure e molte hanno fatto ricorso alla
cassa integrazione. Non è detto che il contratto di apprendistato così tanto sponsorizzato non serva a spingere le imprese in
questa turnazione. Anzi, la favorirà senz’altro.
La campagna non colpisce dunque solo la “presunzione” che un laureato possa trovare un lavoro confacente alla sua
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preparazione e mira a qualcosa di più strutturale: che un lavoro specializzato, in particolare quello che si fa con la
conoscenza, il linguaggio, le relazioni complesse deve essere pagato. Cosa spinge professori, show men, governi e
organizzazioni imprenditoriali a credere che l’apprendistato sia la soluzione alla crisi? Che la vita sociale e culturale sia solo
un instabile amalgama di filantropia e volontariato, soprattutto se viene condotta da laureati e ultra-specializzati (in filosofia,
giurisprudenza e, chissà, anche nel campo dello spettacolo di Fiorello dove di precari ce ne sono a migliaia).
I “fannulloni”, gli “sfigati”, i “choosy”, i “proletaroidi” con la laurea in tasca, i figli di papà che possono studiare e non
lavorare come apprendisti, sono gli inconsapevoli protagonisti di una lotta di classe contro gli “umili” rappresentati dei lavori
esecutivi, gli apprendisti tornitori e operai. Chi si laurea, ed è precario, è un cittadino fallito. Chi fa l’apprendista, ed è
precario, è una brava persona che si dà da fare.
Dietro la falsità di questa tesi si nasconde una dura realtà che i sostenitori dell’apprendistato come soluzione al lavoro
precario non hanno ancora calcolato. L’occupazione stabile, presentata come un imperativo per risolvere la crisi e rilanciare
la crescita, esiste sempre di meno e anche quando c’è non garantisce una vita dignitosa. Non è moltiplicando le forme
contrattuali, o umiliando la scuola o l’università distrutte da vent’anni di riforme professionalizzanti, che si risolverà il
problema.
Il lavoro va pagato, in tutte le sue forme. E chi lavora dev’essere tutelato anche se quel lavoro l’ha perso e fatica a
recuperarlo, ammesso che mai ci riuscirà. Perché gli apprendisti (stregoni) hanno una fantasia che non riescono ancora a
mettere in parola: un giorno riusciranno a non pagare i loro lavoratori che troveranno un modo misterioso per pagarsi
l’affitto, il cibo, i vestiti, l’asilo per i bambini.
L’hanno fatto fino a oggi. Perché non dovrebbero continuare a farlo domani?
Roberto Ciccarelli – Giuseppe Allegri
(04 Febbraio 2013)
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Scritto lunedì, 4 febbraio, 2013 alle 17:52 nella categoria La Furia dei cervelli. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi
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4 commenti a “LA FURIA DEI CERVELLI – Vuoi fare l’apprendista (stregone)?”
heinz scrive:
4 febbraio 2013 alle 20:34
Stai a vedere che i marxisti altro non sono che piccolo borghesi: che vuol dire che il lavoro va pagato in tutte le sue forme?
Ciò che stiamo vivendo non è la realizzazione delle previsioni marxiane? La proletarizzazione generale dovrebbe farvi fare
salti di gioia, perché è la prova decisiva che il capitalismo si sta suicidando e subito dopo sarà “da ciascuno etc a ciascuno
secondo etc”.
Come sarebbe “il lavoro va pagato in tutte le sue forme”? Scusate ma sembra di leggere un articolo di Blair, che dico,
potrebbe averlo scritto perfino Veltroni.
Alice scrive:
5 febbraio 2013 alle 09:27
Chiedete a chiunque tenti di farsi assumere come apprendista da un artigiano, quante risposte positive ha ricevuto. 45 mila
posti scoperti perchè la gente preferisce studiare? No, sono scoperti perchè nessuno vuole pagare un solo euro di tasse o di
tutela (come previsto per legge) per formare un giovane, figuriamoci per assumerlo. E sono scoperti perchè lavorare gratis
non può essere un’aspirazione nella vita.
sebastiano scrive:
5 febbraio 2013 alle 10:04
Mah, è vero che un laureato proveniente da un ceto medio basso, non ha voglia di fare il lavoro del proprio nonno che magari
era un contadino semianalfabeta, ma vorrebbe qualcosa di meglio. Sarà pure l’illusione/ambizione di volersi elevare, ma
credo che se qualcuno volesse scannare maiali di mestiere, ne troverebbe di lavoro. E quando si ha esperienza si possono
pure guadagnare 200 euri al giorno in nero. Si incomincia a lavorare alle 5.30, si finisce 12 ore dopo, e si lavora soprattutto i
w.e. ovvero quando il borghese decide di giocare al proletario aiutando il norcino nella sua opera. Bene se è questo che si
auspica per la gioventù di oggi, io faccio le valige e non userò il mio dottorato per scannare maiali. Addio Italia, addio monti.
Speriamo.
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Dario scrive:
5 febbraio 2013 alle 21:38
A mio avviso è che, a parte persone veramente capaci con lauree specialistiche, è che spesso i corsi universitari sono slegati
rispetto al mondo del lavoro, quindi i laureati finiscono per svolgere attività lavorative slegate rispetto al corso di studi
intrapresi.
Negli anni ‘60-70 la laurea era un ascensore sociale proprio perchè non alla portata di tutti, il famoso “pezzo di carta” dava
concretamente la possibilità di svolgere lavori molto remunerativi distinguendosi così rispetto alla massa, e diciamola tutta, i
giovani oggi non hanno imparato molto dalle precedenti generazioni, il senso che senza un autentico sacrificio nella vita non
si ottiene nulla, molto comodo fare il bancario ben remunerato, andare a casa alle 17 e il sabato a casa, chiedete ad un
ragazzo di 25-30 anni di lavorare il sabato tutto il giorno o fare turni notturni o fare trasferte all’estero, ascoltate
attentamente le risposte (in generale le domande sono: Stipendio, ferie, orari), da quelle risposte traete le conclusioni che
preferite.
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