Nato a Corpus Christi

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Nato a Corpus Christi
Nato a Corpus Christi
1.
“Sono nato a Corpus Christi, in Texas, 26 anni fa.”
Il giovane iniziò a raccontare con voce piatta, distaccata, quasi distante. Il suo viso era
indistinto tra le ombre mentre sedeva sulla sedia a dondolo, nella stanza illuminata solo dalle
fiamme basse nel caminetto.
La donna seduta sul letto si ranicchiò, abbracciandosi le ginocchia: i lunghi lisci capelli neri
drappeggiati su una spalla. La pelle color cioccolata assorbiva la scarsa luce ed i grandi
occhi da gazzella, dal particolare taglio a mandorla, la riflettevano.
Il sergente Janice Clayburg guardò con aria perplessa il giovane davanti a lei:
“E io che ci faccio adesso con te?” chiese
“Non lo so Signora, mi è stato detto di presentarmi a lei”
Il giovane alto e bruno, dai chiari occhi grigio verdi, aveva un fisico asciutto e atletico, un bel
visto magro e regolare, con una piccola cicatrice che gli segnava il sopracciglio sinistro. Un
ragazzo normale, molto giovane, strano che glielo avessero mandato con una qualifica di
tiratore scelto, in genere per ottenerla ci volevano anni...
Continuò a guardarlo e di colpo si sorprese a chiedersi cosa avesse di particolare, perchè,
nonostante l’apparenza assolutamente normale, non riuscisse a smettere di studiarlo.
Il sergente Clayburg aveva alle spalle venti anni di esperienza sulle strade di Seattle, due
mariti, due figli e un’infanzia dura trascorsa in un ghetto nero, eppure qualcosa in quel
ragazzo le dava i brividi.
“Ok, trovati un posto, siediti tranquillo, ascolta e non rompere!”
“Sì Signora!” Il giovane andò a sedersi verso il fondo della sala briefing in mezzo ai colleghi
che lo osservavano di sottecchi, alcuni con curiosità, altri un po’ sprezzanti, mentre il
sergente alzava gli occhi al cielo.
Alla fine del briefing sull’operazione della mattina dopo, il sergente Clayburg disse secca:
“Gray: tu ti piazzi su questo tetto e stai fuori dai piedi, chiaro? Non combinarmi casini, questa
operazione è troppo importante. E porterai una delle telecamere sul casco!”
Gli altri poliziotti della squadra si scambiarono occhiate e sorrisi sotto i baffi: ai pivelli toccava
sempre la telecamera. Così poi il sergente gli strizzava le palle facendo rivedere a tutta la
squadra le cazzate che facevano!
Il comandante O’Brien entrò ponderosamente nella sala guardando come al solito in
cagnesco i suoi uomini, di cui era molto orgoglioso.
Nonostante i suoi antenati fossero emigrati negli Stati Uniti ormai da più di cento anni, lui
manteneva inalterate le sue caratteristiche di irlandese: capelli rossi, spesso accento e quel
carattere, sanguigno ed esplosivo, che i suoi uomini conoscevano bene.
Dopo aver fatto l’atteso pistolotto sull’importanza dell’operazione del giorno seguente contro
il traffico di droga, mentre lasciava la stanza, si rivolse sottovoce al sergente Clayburg
chiedendole:
“Chi cavolo è quel ragazzino?”
“Il nuovo tiratore scelto capo, ce l’hanno mandato oggi dall’accademia - rispose il sergente l’ho piazzato su un tetto da dove non potrà combinare casini”
O’Brien si fermò, si voltò e le piantò in faccia i pallidi occhi azzurri iniettati di sangue,
masticando con ferocia il sigaro:
“Janice, se quello stronzetto fa casino e mi fotte l’operazione, avrò il tuo maledetto culo nero.
Sono stato chiaro?”
“Sì capo, è stato chiarissimo!” il sergente Clayburg sospirò e desiderò di credere ad un Dio a
cui potersi raccomandare.
2.
La pioggia sottile, ma fitta ed insistente, insinuava dita umide e gelide sotto i vestiti.
Janice Clayburg, semisdraiata con la schiena appoggiata al muro e il lato sinistro del torace
in fiamme, lottava per respirare..
Il giubbotto antiproiettili aveva fatto il suo dovere, ma l’impatto delle pallottole doveva averle
rotto un paio di costole. Inoltre perdeva sangue per cui doveva essere stata colpita almeno
una volta. Ma tutto quello che riusciva a fare era guardare Tim Robinson disteso sull’asfalto
davanti a lei. Aveva passato anni a battere le strade con lui e adesso i suoi occhi aperti, fissi
e ciechi le dicevano che Tim era morto. La pioggia lavava via lentamente il sangue di Tim
insieme al suo dall’asfalto.
Sollevò lentamente lo sguardo fissando l’uomo che, in piedi davanti a lei, la guardava
sorridendo mentre le puntava addosso un mitra:
“Tiempo que muere, hija de puta!” ridacchiò e Janice guardò ipnotizzata il dito che si
piegava sul grilletto.
Il dito si rilassò all’improvviso e Janice alzò gli occhi stupita a guardare il cadavere
decapitato dell’uomo che crollava al suolo.
“Quando sono nato i miei genitori mi hanno dato un nome che non è quello che porto ora.
- continuò il giovane - Morirono in un incidente stradale quando io avevo tre anni, e venni
affidato a mio nonno, che viveva in una fattoria un po’ fuori città, sulle colline.”
“Qual’è il tuo vero nome?” la voce di Vivien era bassa, lui pensò che vibrasse ed emanasse
un calore quasi fisico.
“La persona che portava quel nome è morta. Morta da tanto tempo ormai. Quel nome non
esiste più: io sono Martin Gray ora.” la sua voce era sempre piana, ma Vivien era abituata
ad ascoltare, a cercare le inflessioni più vaghe nel tono della voce, nel modo di comporre le
frasi. Era questa sua capacità che l’aveva aiutata tante volte nelle sale degli interrogatori,
nelle aule dei tribunali, che aveva contribuito in maniera determinante al suo successo nel
lavoro. Ed ora sentì il dolore, la tristezza, il senso della perdita nelle parole di lui.
“Mio nonno aveva fatto la guerra del Vietnam. Dal Vietnam era tornato con Nguyen Van
Tran, un amico con cui aveva condiviso la prigionia e la fuga dai lager vietnamiti. Diceva
sempre che senza Nguyen lui sarebbe morto lì, e a sua volta lo aveva salvato facendolo
venire in America quando la situazione laggiù era precipitata.
Nguyen è stato il mio maestro: mi ha insegnato tantissimo e io gli devo la vita. Mi ha
addestrato alle arti marziali tradizionali della sua gente, che ho cominciato a praticare all’’età
di tre, quattro anni. Mio nonno e il maestro Nguyen sono state persone meravigliose per me:
un ragazzo non potrebbe aver avuto una famiglia migliore.” La voce dell’uomo non era più
indifferente adesso, era piena di calore e Vivien sorrise di riflesso.
L’uomo puntava il mitra contro il sergente Clayburg che era già a terra. Martin lasciò che i
riflessi acquisiti durante il suo addestramento facessero il loro lavoro: imbracciò il fucile ed
inquadrò la testa dell’uomo nel reticolo del mirino telescopico con un unico fluido movimento.
Il suo dito premette dolcemente il grilletto del fucile.
Il tiro fu perfetto: meno di mezzo secondo più tardi la pallottola centrò in pieno il cranio
dell’uomo che esplose all’impatto in una rossa nuvola di sangue, frammenti ossei e materia
cerebrale.
Il sergente era al sicuro ora. Martin corse lungo il tetto, verso l’angolo ovest per avere
migliore visibilità sulle banchine del porto, dove la battaglia era all’ apice.
Il suo fucile Barrett sparò di nuovo, e ancora, e ancora...
Gli occhi di Martin erano invisibili nella semioscurità della stanza ma Vivien poteva
immaginarli benissimo: distanti, persi nei ricordi.
“Ho vissuto felicemente fino ai miei 17 anni. Ero all’ultimo anno di liceo quando conobbi
una ragazza, la chiameremo Audrey. Era bellissima - Martin fece una pausa - Bellissima. Ci
innamorammo, e non era solo un flirt tra adolescenti, ci amavamo davvero.
Ma io ero un orfano spiantato e lei la figlia di un petroliere ricchissimo. Questa fu la nostra
fine: qualcuno parlò di noi al padre di lei.“
3.
Vivien Cullen incedeva con un portamento che poteva essere definito soltanto regale:
l’impermeabile ripiegato su un braccio, fasciata in un semplicissimo abito bianco che
esaltava le sue forme, entrò nell’ufficio del Sindaco Mc Cormick, seguita a ruota dal suo
assistente Kyle Laughlin, e si fermò in piedi accanto al tavolo delle riunioni considerando con
lo sguardo gli uomini seduti lì intorno.
Mc Cormick balzò in piedi salutandola con calore, ma la sua faccia rimase scura e
preoccupata:
“Ciao Vivien, benvenuta! grazie per averci raggiunto. Conosci il capo O’Brien ed il tenente
Jamieson, il capo della SWAT, vero?”
La donna rivolse un cenno di saluto ai due e rispose al Sindaco, mentre prendeva posto con
il suo assistente al suo fianco:
“Ciao John. Sì ci siamo già incontrati diverse volte.”
O’Brien la guardò come avrebbe guardato un serpente a sonagli nel salotto di casa sua.
Per una volta il suo sguardo non andò automaticamente a percorrere le curve del corpo di
lei come faceva sempre. Il suo assistente poi, Laughlin, quella specie di checca affettata e
impomatata, non lo considerò proprio.
Prima che Mc Cormick potesse continuare O’Brien intervenne:
“Cosa c’entra l’ufficio del Procuratore? Perchè lei è qui?” McCormick protese le mani in
avanti quasi a tentare di fermare fisicamente l’esplosione che sentiva addensarsi intorno al
tavolo.
“Cristo Sandy, dopo quello che è successo ieri, dobbiamo assolutamente avere una
posizione comune e chiarire tutti i dettagli, altrimenti la stampa ci sbranerà!”
La Cullen non diede tempo a O’Brien di rispondere ed intervenne con tono gelido:
“Dopo la guerra che i suoi uomini hanno scatenato ieri per le vie della città, lei mi chiede
che cosa c’entra il mio ufficio? Glielo dico subito: io sono stata incaricata dal Procuratore
di chiarire in modo completo le circostanze ed identificare le responsabilità. Chiunque sia
responsabile di quanto è successo ieri, sarà perseguito con il massimo rigore!”
La mascella di O’Brien si contrasse come quella di un bulldog mentre guardava con odio la
Cullen che sostenne il suo sguardo senza fare una piega:
“C’è già la Commissione Affari Interni della Polizia che sta valutando quello che è successo
ed appurerà la verità, non abbiamo bisogno di voi politicanti dell’ufficio del Procuratore!”
Jamieson, seduto accanto ad O’Brien, emise una sorta di grugnito che era quasi un ringhio e
la guardò con pari animosità.
Lo splendido volto di Vivien Cullen si aprì in un lento bellissimo sorriso mentre tendeva una
mano verso Kyle che depositò un foglio ripiegato tra le sue dita snelle ed eleganti:
“Mi dispiace signori, ma le Autorità dello Stato hanno deciso che 20 morti ed almeno 11
feriti per le strade di Seattle sono una cosa troppo grossa per essere gestita internamente
dalla polizia. Soprattutto perchè dobbiamo essere certi che non ci sia alcun rischio di
insabbiamenti e coperture.”
La mascella di O’Brien si contrasse furiosamente e anche Jamieson, a quelle parole,
sembrò sul punto di esplodere.
Vivien lasciò cadere il foglio al centro del tavolo:
“Questa è l’ordinanza emessa dal Gran Giurì che assegna alla Procura dello Stato pieni
poteri per indagare su quanto successo ieri. Il giudice Maertens presiederà la Commissione
di inchiesta”
Mc Cormick la guardò stupito e sempre più preoccupato:
“Non sapevo nulla di tutto questo, Vivien!”
O’ Brien guardò il foglio sul tavolo come se fosse qualcosa di rivoltante. Jamieson si chinò
in avanti, raccolse con cautela il foglio, lo spiegò e lo lesse lentamente.
Poi alzò gli occhi, e guardò O’Brien annuendo senza dire nulla, ma con un’espressione
decisamente preoccupata.
O’Brien guardò la Cullen e le ringhiò contro:
“Non se ne parla neanche. Lei non è imparziale, ci dà sempre addosso. I miei ragazzi si
dannano l’anima per ripulire le strade di questa fottuta città, e voi “liberal” del cazzo non fate
altro che darci degli assassini. Io non permetterò mai che i miei ragazzi vengano sacrificati
alle ambizioni politiche sue e del suo capo! Non le permetterò mai di gettarli in pasto ai suoi
amichetti della stampa!”
La Cullen lo considerò con qualcosa di molto simile alla commiserazione:
“Temo che lei non abbia scelta O’Brien: quello - accennando al foglio che Jamieson
aveva posato di nuovo sul tavolo - non è un invito o una richiesta”. La sua voce si indurì
spietatamente:
“Quello è un ordine del tribunale e lei deve obbedire. Del resto visto che, a quanto sembra,
un solo poliziotto ha ucciso 14 persone, lei non può aspettarsi che questo passi sotto
silenzio e i media non vogliano sapere la verità”
Jamieson esplose:
“Che cosa? quel ragazzo ha salvato la pelle ad almeno 6 agenti di polizia, gente onesta con
mogli e figli! Toccatelo e avrete fra le mani una rivolta!”
“Mi sta minacciando? La polizia sta minacciando le autorità statali perchè non accetta di
sottoporsi all’inchiesta su quello che è successo? Stia molto attento a quello che dice,
Jamieson!” La voce della Cullen era gelida
Mc Cormick intervenne di nuovo cercando di evitare che si arrivasse allo scontro totale:
“Cerchiamo di stare calmi, qui siamo tutti dalla stessa parte...”
“Questo lo dici tu! Io non ne sono affatto convinto” Lo interruppe O’Brien
La Cullen sorrise freddamente:
“Si rivolga al tribunale e richieda la mia sostituzione, sempre che riesca a provare che io non
sono imparziale! Ma finchè il tribunale non mi rimuove dall’incarico, sono io la responsabile
dell’inchiesta e mi aspetto piena collaborazione da lei e da tutte le forze di polizia. Voglio
cominciare ad interrogare i suoi uomini prima possibile.”
“Sicuro! - rispose acido Jamieson - perchè non comincia da Sean Thornton? Certo lui è in
coma all’ospedale: sa, gli hanno ficcato un paio di pallottole in testa, ma sono sicuro che i
suoi due figli di 5 e 7 anni risponderanno a tutte le sue domande, Signora”
“No grazie - rispose lei tranquilla - penso che invece comincerò proprio dal tiratore scelto
che è così bravo con il suo fucile e lascerò riposare il povero Thornton. Vi aspetto alle 14
al palazzo della Procura. Confido che non sarà necessaria una convocazione del giudice.
In ogni caso notificate ai vostri uomini che hanno partecipato all’operazione di ieri che non
possono lasciare la città”.
Con queste parole Vivien Cullen e Kyle Laughlin si alzarono, raccolsero soprabiti e borse e
lasciarono l’ufficio del Sindaco.
O’Brien si alzò, si appoggiò sui pugni chiusi come un gorilla sul tavolo, che scricchiolò sotto
il peso, e a denti stretti si rivolse al Sindaco:
“Cristo John, io ti giuro che se quella puttana crocifigge anche uno solo dei miei uomini, ti
ritroverai senza un solo poliziotto in giro per le strade! Poi fattelo coprire da lei il culo!”
“Dai Sandy, lo so un paio di volte in passato ci è andata pesante con i tuoi ragazzi, ma
devi ammettere che avevano combinato dei bei casini! Io penso che la Cullen sia dura ma
giusta.”
Mc Cormick parlò con tono ragionevole, cercando di riportare la calma.
Non gli piaceva per niente l’atmosfera che si era creata: i poliziotti si sentivano
ingiustamente perseguitati e un eventuale sciopero delle forze di polizia sarebbe stato un
disastro per lui che aveva condotto tutta la campagna per la sua rielezione battendo sul
tasto della sicurezza e vantando i risultati raggiunti.
O’Brien rispose secco:
“Ricordati quello che ti ho detto John.” quindi lui e Jamieson lasciarono l’ufficio del Sindaco e
si avviarono in fretta per rientrare in Centrale.
“Manca solo un’ora o poco più all’appuntamento con la puttana. Dobbiamo mettere in
guardia il ragazzo: quella troia se lo mangerà vivo!” disse O’Brien a bassa voce a Jamieson
mentre salivano in macchina.
4.
“Me lo ricorderò sempre quel maledetto venerdì pomeriggio...” la voce di Martin si fece più
spessa, Vivien poteva quasi vedere le sue spalle piegarsi sotto il peso dei ricordi. Ricordi
che erano stati sepolti in profondità e che ora, dopo tanto tempo, risalivano in superficie.
“Era primavera, una bella giornata di sole, mentre scendevo con il mio vecchio pickup
scassato giù dalle colline. Avevo appuntamento con Audrey ed ero felice.”
La pausa si prolungò al punto che Vivien pensò che non avrebbe più detto nulla, ma rimase
immobile, in silenzio, per dargli il suo tempo, per non forzarlo in alcun modo.
“Quando lo sceriffo mi fermò, pensai che forse andavo troppo veloce e che volesse farmi
una multa. Mi fecero scendere dalla macchina, e appoggiare con le mani sul cofano.
Mi ricordo che guardai stupito l’aiutante dello sceriffo: era il fratello di un mio compagno di
scuola ed ero andato più volte a casa sua, un ragazzone simpatico e gioviale. Gli chiesi
cosa stesse succedendo e perchè mi avessero fermato. Per tutta risposta lo sceriffo mi colpì
alla testa con il manganello e mentre ero a terra mi prese a calci. Poi mi ammanettarono e
mi portarono direttamente nella prigione della contea.”
L’aria sembrava più densa, Martin respirava con difficoltà. Vivien si alzò dal letto e gli andò
vicina, appoggiando la mano sulla sua spalla nuda, accarezzandolo lievemente.
Martin si piegò lentamente in avanti, fino ad appoggiare la fronte sul morbido ventre di lei
che lo abbracciò, seppellendo le dita tra i suoi capelli corti ma morbidi.
“Quella sera cominciò la mia discesa all’inferno, quando lo sceriffo e due dei suoi aiutanti
vennero in cella, mi ammanettarono alle sbarre e mi pestarono. Orinai sangue per due
giorni, e quando una settimana dopo andai in tribunale, avevo ancora tali segni che mio
nonno diede in escandescenze e venne subito condannato per oltraggio alla corte ed
espulso dall’aula.”
“Mio Dio!” mormorò Vivien
“Mi processarono per direttissima per spaccio di stupefacenti: lo sceriffo affermò di aver
trovato dell’eroina nel mio pickup. Il mio avvocato d’ufficio si limitò ad appellarsi alla
clemenza della corte. Quando provai ad affermare la mia innocenza, venni immediatamente
condannato a 6 mesi di carcere per oltraggio alla corte.
Ero minorenne ed incensurato, ma il giudice mi condannò ugualmente a dieci anni di
reclusione in un carcere statale di massima sicurezza per adulti. Disse che gli spacciatori
come me andavano tolti dalle strade subito e una volta per tutte. Il tutto fu così rapido che
non ebbi neppure il tempo di rendermi ben conto di cosa stesse accadendo.”
“Cosa? - Vivien lo guardò sconvolta - ma è illegale! non poteva farlo!”
Martin rise sommessamente senza allegria:
“L’ha fatto invece. Era un vecchio amico del padre di Audrey, ma io questo l’ho scoperto solo
dopo...”
Martin entrò nella sala interrogatori della Procura e si fermò in piedi davanti al tavolo. Non
c’erano sedie per lui, il suo corpo si rilassò automaticamente nella posizione del riposo che
aveva appreso durante l’addestramento militare.
Dietro il tavolo spoglio Vivien Cullen era seduta e leggeva una cartellina, che lui pensò
contenesse il suo fascicolo o comunque informazioni che lo riguardavano. Accanto a lei
sedeva un giovane pallido, con i capelli neri pettinati all’indietro lucidi di gel, che lo guardava
con aria annoiata. Dall’altro lato erano seduti un uomo più anziano, che lo scrutava
interessato, il comandante O’Brien con la faccia scura, ed il Tenente Jamieson, che gli fece
un cenno di incoraggiamento.
Dietro di loro la parete a specchio che, come Martin sapeva, celava una telecamera che
avrebbe ripreso tutto quello che fosse accaduto e registrato ogni parola.
Martin rimase immobile, in silenzio, in attesa, mentre i minuti passavano e O’Brien diventava
sempre più nervoso.
Alla fine Vivien Cullen alzò gli occhi e guardò il giovane davanti a sè. Statura leggermente
superiore alla media, una piccola cicatrice sul viso, ma per il resto nessuna nota
particolare... a parte gli occhi, forse: strani occhi...chiari, limpidi, eppure vuoti. Fermi, fissi nei
suoi, senza esitazioni, quasi inumani nella pazienza e determinazione che esprimevano.
Neanche una volta quegli occhi avevano esitato o deviato verso il basso, per esempio verso
la scollatura della sua giacca che, come lei sapeva bene, offriva una vista interessante.
Non le era mai capitato prima di vedere un uomo ignorare in modo così totale l’allettamento
offerto dal suo seno parzialmente visibile nella scollatura.
Vivien ebbe subito l’impressione che quello non sarebbe stato un “cliente” facile.
Martin continuò a guardare quella donna, riflettendo sugli ammonimenti ricevuti dai suoi
superiori mentre venivano in auto. Era indubbiamente una bella donna, sulla quarantina,
forse meno, bel corpo che sapeva valorizzare, occhi intelligenti in un viso molto bello, molto
particolare.
Era chiaro che stava cercando di innervosirlo, lasciandolo lì in piedi, ma lui si limitò
ad aspettare, accumulando pazienza nell’attesa, come era stato addestrato a fare,
senza preoccuparsi del tempo che passava ma restando concentrato sul suo obiettivo,
mantenendo ferma la “consapevolezza situazionale”, come dicevano i suoi istruttori.
5.
“Lei si rende conto che questa è un’audizione ufficiale nell’ambito della Commissione di
Inchiesta sui fatti accaduti ieri, e che quindi lei sta testimoniando sotto giuramento e che
tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei in tribunale?” esordì Vivien in tono
ufficiale.
“Si Signora” la voce di Martin era tranquilla, bassa ma perfettamente udibile
“Presenti il Vice Procuratore Vivien Cullen, l’assistente Kyle Laughlin, il Capo della Polizia di
Seattle Sandy O’Brien e il Tenente di Polizia Stuart Jamieson in rappresentanza delle forze
di Polizia. Presiede il giudice Alex Maertens. Dichiari il suo nome e la sua qualifica prego”
Vivien pensò che, sebbene giovane, quell’uomo non sarebbe stato facile da manipolare:
troppo calmo, troppo controllato... Doveva trovare un punto di frattura su cui fare leva.
“Martin Gray, tiratore scelto aggiunto al corpo di polizia di Seattle, squadra Swat”
“Signor Gray, lei ha partecipato all’operazione di polizia denominata Caccia al tesoro, che si
è svolta ieri al porto di Seattle?”
“Sì Signora.” Vivien attese, ma lui non aggiunse altro. “Così è questa la tua tattica, - pensò
lei, - rispondi solo sì o no e non aggiungi una sillaba eh? non funzionerà, non con me!”
“Qual’era il suo ruolo nell’operazione?”
“Nella mia qualità di tiratore scelto ero appostato sul tetto del Sears Building che si affaccia
sul terminal ferroviario dei containers al porto, tra Colorado Avenue sud e Utah Street con
l’incarico di fornire appoggio tattico e protezione dall’alto ai miei colleghi..”
“Lei ha preso parte allo scontro a fuoco che ha avuto luogo tra i suoi colleghi e persone per
ora non ben identificate durante l’operazione?”
“Sì Signora, ho aperto il fuoco per proteggere i miei colleghi dall’attacco che stavano
subendo”
“E’ sicuro che i suoi colleghi fossero stati aggrediti? Ne è assolutamente sicuro?”
“Sì Signora.”
“Come fa ad esserne sicuro?”
“Ho visto con i miei occhi, Signora, le persone che stavano scaricando gli stupefacenti dai
container aprire il fuoco con pistole ed armi automatiche, dopo che i miei colleghi si erano
qualificati e avevano intimato loro la resa, e poi ho visto intervenire gli altri. Avevo una
telecamera con me, può verificare le immagini Signora.”
“Lo farò di certo. Lei ha citato degli “altri”: chi sarebbero questi altri?”
“Chi fossero non so, ma di certo sono intervenuti: io ho contato 10 persone che si sono
mosse da vari punti convergendo verso il porto in tre gruppi distinti, attaccando con armi
automatiche i miei compagni. Sicuramente persone che avevano un addestramento militare,
era evidente da come avanzavano, proteggendosi con un fuoco di copertura molto intenso.
La mia ipotesi è che fossero dei mercenari.”
Le sopracciglia di Vivien si alzarono:
“La sua ipotesi...” la voce della donna aveva una decisa nota sarcastica.
“Penso di sì Signora: i trafficanti avevano una squadra di copertura per proteggere il carico.”
Vivien lo interruppe:
“Questa è una sua ipotesi per ora non suffragata da alcuna prova. Torniamo, per favore,
al suo ruolo durante l’operazione... Quindi lei ha aperto il fuoco per proteggere i suoi
compagni.”
“Sì Signora, comunque dalle riprese delle telecamere si può facilmente verificare quello che
ho detto.”
“Questo lo vedremo. Intanto lei ha sparato”
“Si Signora” Tranquillo, indifferente quasi. Nessuna tensione quando viene interrotto o
contraddetto.
La voce di Vivien si fece più tesa:
“Lei sa quanti colpi ha sparato?”
“Sì Signora: ho sparato 15 colpi” rispose Martin, senza pause, esitazioni o dubbi.
Questo sorprese Vivien che fece una breve pausa guardandolo: si sarebbe aspettata che
dicesse che non ne era sicuro o desse un numero approssimato... ma subito dopo un
piccolo sorriso di trionfo iniziò a formarsi sul suo viso. Era suo!
“Lei ha sparato 15 colpi, sì è esatto. E lei sa che ha ucciso 14 persone e ne ha ferita una con
15 colpi? 14 morti con 15 colpi! Si rende conto?”
La risposta pronunciata sempre con la stessa voce calma, gelò tutti i presenti, inclusi i due
incalliti poliziotti:
“Sì Signora, lo so perfettamente. Sono stato addestrato nell’esercito e poi in accademia per
questo: “one shot, one kill”, questo è quello che mi è stato sempre insegnato”
Vivien lo guardò sconvolta:
“Quindi il quindicesimo colpo l’ha sbagliato!” riuscì comunque a mettere un po’ d’ironia nel
tono nonostante si sentisse scossa
“No Signora”
“Come no? non capisco: lei è un killer così perfetto, così ben addestrato e ferisce soltanto un
uomo? oh, mi perdoni, un bersaglio? Un fallimento per lei!” il sarcasmo grondava dalle sue
parole.
“No Signora, ho cercato di ferire soltanto quell’uomo, perchè era quello che dava gli ordini.
Ho pensato che avreste voluto interrogarlo.” Sempre calmo, tranquillo.
Nella stanza scese un silenzio perfetto.
Il giudice Maertens parlò per la prima volta con la voce roca dal tono mite di un vecchio
nonno:
“Lei sa chi è quell’uomo signor Gray?”
“No, Vostro Onore”
“Ahhhhh.... quell’uomo è Ramon Calvano, il fratello di Juan Pablo Calvano, uno dei capi dei
clan colombiani. La DEA penso le sarà molto grata del pensiero... Mmmmmhhhh, il fratello
un po’ meno... - il vecchio sorrise senza allegria - si guardi le spalle giovanotto!”
Vivien riprese con tono secco senza dare il tempo a Martin di rispondere:
“Lei conosce l’entità delle ferite che ha causato al signor Calvano?”
“No Signora”
“Lei quindi non sa che la pallottola l’ha colpito entrando nella parte alta del gluteo, ha
attraversato obliquamente il bacino facendoglielo a pezzi ed è poi uscita dall’inguine? Ha
causato notevoli danni e quell’uomo probabilmente non sarà più in grado di camminare
normalmente né potrà più avere una vita sessuale. Lo sa questo?”
“No Signora, non lo sapevo. Io ho mirato al fianco per colpirlo sotto il giubbotto antiproiettili
e cercando di infliggere una ferita non mortale. Se avessi mirato ad un arto avrei rischiato
un’amputazione traumatica e la morte per dissanguamento, per cui ho preferito mirare al
fianco. Purtroppo quelle pallottole sono decisamente letali, studiate per uccidere, non per
ferire o fermare.”
“Perchè scusi, lei usa pallottole speciali? Chi l’ha autorizzata a farlo?” Adesso Vivien
era davvero sconvolta: le era capitato in passato di interrogare responsabili di delitti
particolarmente efferati, ma non aveva mai incontrato prima un uomo come quello che
aveva davanti ora.
“Io uso un fucile di precisione Barrett Signora: queste armi vengono progettate e fabbricate
praticamente su misura per ogni tiratore e utilizzano pallottole particolari, studiate
appositamente per l’impiego con quell’arma in ambito bellico. Quando mi sono congedato
dall’esercito, poichè sono entrato in polizia con la qualifica di tiratore scelto, mi è stato
consentito di tenere il fucile.”
“Non ho parole: lei ha appena ucciso 14 persone, ne ha ferita gravemente un’altra... mi
spiega che cosa prova?”
“Non provo nulla di particolare Signora, penso di aver fatto il mio dovere, e penso di aver
salvato alcuni miei colleghi. - pausa - Mi dispiace non aver potuto fare di più per gli altri.”
Anche stavolta nessuna esitazione, il tono era piano, calmo, esprimeva solo un lieve
rincrescimento.
La pausa di silenzio che seguì fu particolarmente lunga.
Il giudice Maertens si schiarì la gola:
“Mmmmhhhhh, va bene, penso che sia abbastanza per il momento: grazie Signor Gray. Se
avremo bisogno di altri chiarimenti la convocheremo di nuovo. Grazie ancora giovanotto,
può andare.”
Vivien rimase un attimo immobile come se volesse dire qualcosa, poi tacque.
Martin rispose:
“Grazie a lei Vostro Onore, buona serata”
“Buona serata a lei giovanotto” rispose gioviale il giudice e Martin girò sui tacchi ed usci
dalla stanza.
6.
Le persone intorno al tavolo si guardarono un attimo in silenzio, quindi il giudice Maertens si
schiarì di nuovo la voce:
“Mmmmmmhhhh, un giovanotto interessante, non trovate?”
Vivien esplose:
“Interessante? Un assassino psicopatico, se mai ne ho visto uno! Va sospeso subito dal
servizio, arrestato e sottoposto ad un accertamento psichiatrico. Kyle, - rivolgendosi al suo
assistente - voglio sapere tutto del suo periodo militare, sul suo dossier non c’è quasi nulla.
Voglio conoscere tutta la sua storia e soprattutto vedere le valutazioni psicologiche che gli
hanno fatto sotto le armi!”
“Ehi, un momento! - intervenne O’Brien - io non sono affatto d’accordo! Il ragazzo è
intervenuto al momento giusto ed ha salvato la pelle ai suoi compagni! Per me ha agito
bene, in modo professionale e giustificato. Lo proporrò per un encomio solenne e una
decorazione, altro che sospensione e arresto!”
Vivien sospirò cercando di mantenere la calma:
“Capo, lei ha una notevole esperienza personale, viene dalla gavetta, e ha visto tantissimi
giovani agenti all’inizio della loro carriera quando hanno dovuto uccidere per la prima volta.
Li ha visti affrontare commissioni di inchiesta come questa.
Ne ha visti mai di così calmi, rilassati, come se fossero appena tornati da un picnic? Ci
pensi capo, e pensi che questo giovane di persone ne ha appena ammazzate 14, non una,
e li ha ammazzati sparando a freddo con un fucile di precisione! Mio Dio, a molti ha fatto
praticamente saltare via la testa! E oggi, il giorno dopo, è sconvolto? Si sente male? Prova
qualcosa per aver ucciso 14 volte? No! Noi lo interroghiamo e lui risponde tranquillo come
se stesse parlando del monday night football! Disquisisce delle caratteristiche tecniche delle
sue pallottole, di quanto siano orribilmente efficaci! Questo è uno psicopatico e va tolto di
mezzo subito, prima che ammazzi qualcun altro!” Alla fine quasi gridava.
“Ha fatto bene cazzo! - urlò in risposta O’Brien - Ed è in sé, perfettamente controllato, e non
mi sembra un pericolo per nessuno. Non voglio che sia sospeso, anzi lo rimetto in servizio
subito e conosco parecchia gente che sarà molto più tranquilla sapendo che lui è là fuori, da
qualche parte con il suo dannato fucile!”
Il giudice Maertens alzò una mano per fermare la discussione e si schiarì di nuovo la gola:
“Mmmmhhhhh, non ritengo ci siano gli estremi per una sospensione dal servizio, non
ancora almeno. Indubbiamente è una persona inusuale e sono d’accordo nel richiedere una
valutazione psicologica per saperne di più sulla sua personalità e sull’impatto che può aver
avuto su di lui una simile esperienza, in fondo è davvero giovane... Ma niente atti ufficiali
di sospensione per ora. Non lo rimetteremo in servizio ma non lo sospendiamo. Nei giorni
prossimi sentiremo anche gli altri testimoni, vedremo i filmati e poi decideremo.”
Vivien protestò:
“Ma Vostro Onore.... “
Il giudice si limitò a guardarla e Vivien capì che non sarebbe riuscita a fargli cambiare idea,
poi si protese e le battè piano la mano sulla sua:
“Vivien cara, raccogli tutte le informazioni che puoi su quel ragazzo e poi ne riparliamo, va
bene?”
Lei annuì.
Il giudice si guardò intorno e disse:
“Bene Signori, credo che sia meglio fermarci qui per oggi: abbiamo parecchio su cui riflettere
e verifiche da fare. Continueremo domani alle 9 ad interrogare gli altri. Ha la lista Vivien?”
“Sì certo Vostro Onore”
“Bene grazie cara, me la lasci pure. A domani signori e grazie a tutti”
“Arrivai nel carcere di massima sicurezza nel primo pomeriggio del giorno seguente, e la
sera stessa venni aggredito e violentato nelle docce. Figuriamoci: un ragazzino di 17 anni in
un carcere di massima sicurezza per adulti!”
Vivien boccheggiò senza fiato e lo guardò con orrore:
“Oh mio Dio!”
“Rimasi 10 giorni in infermeria e poi un mese in isolamento perchè rifiutai di denunciare
chi mi aveva aggredito. Quel mese passato in una cella di 2 metri per 3, senza mai uscire
o vedere un volto umano o parlare con nessuno, io lo passai allenandomi. Sapevo che ci
avrebbero riprovato appena uscito di lì e giurai a me stesso che non ci sarebbero più riusciti.
Non avrei più subito. Mi allenai 12, 14 ore al giorno, ricordando tutto quello che Nguyen mi
aveva insegnato.”
Vivien ebbe difficoltà a superare lo shock ed accettare quello che le stava dicendo. Per
lei che aveva sempre creduto nel sistema giudiziario, sentire raccontare di prima mano gli
orrori e le storture di quello stesso sistema che lei serviva, era sconvolgente. Le ci volle
qualche minuto per rendersi conto dello spessore della voce di Martin mentre raccontava, di
quanto pesasse a quell’uomo di ghiaccio ogni istante in cui riviveva quel tempo di orrore e di
disperazione assoluta: ogni parola un macigno.
Si inginocchiò davanti a lui e prese il suo viso tra le mani: anche nella scarsa luce della
stanza i suoi occhi la sconvolsero profondamente: erano di pietra, totalmente vuoti, opachi,
privi di luce, umanità, tutto. Solo qualche ora prima erano così diversi, così gentili, pieni di
calore... Gli occhi di Vivien si riempirono di lacrime, e pianse in silenzio, stringendolo tra le
braccia, pianse per tutto il dolore, l’orrore e la sofferenza che gli erano stati inflitti.
Lui riprese a parlare, la voce semisoffocata nel suo abbraccio, tra i suoi capelli di seta, ma di
cui era possibile sentire con chiarezza il tono monocorde, la desolazione e la distanza:
“Vennero in sei, vennero la sera, dietro la lavanderia dove mi avevano messo a lavorare. Me
ne accorsi quando vidi gli altri che lavoravano con me sparire, darsela a gambe. Mi voltai e li
vidi entrare: ridevano, pensavamo di divertirsi alla grande con me. Ma stavolta io ero pronto,
e andò in modo diverso.”
Vivien singhiozzò irrigidendosi in attesa di altri orrori
“Erano in sei, erano neri. Mentre mi circondavano dissero ridendo che gli altri galeotti bianchi
mi avevano venduto a loro come schiavo sessuale. La loro puttana dissero. Dopo solo
qualche minuto 4 erano morti, un altro morì qualche settimana dopo, senza essere mai
uscito dal coma. Uno solo sopravvisse, ma paralizzato dal collo in giù.” La voce di Martin
avera assunto ora una nota metallica; se non lo avesse tenuto stretto tra le braccia, se non
ne avesse sentito fisicamente il calore, Vivien avrebbe potuto pensare di parlare con una
macchina, con un computer. Contemplò con orrore il pensiero di un ragazzo di 17 anni che
affronta sei criminali incalliti a mani nude e ne uccide cinque in pochi minuti: un ragazzino
trasformato in una macchina per uccidere.
Dopo una breve pausa di silenzio, Martin riprese:
“Mi misero in isolamento e mi ci tennero 6 mesi.”
“Ma è impossibile! - Vivien si raddrizzò di colpo sconvolta - non si può mettere un detenuto
in isolamento per più di un mese, e a maggior ragione un minorenne! Avrebbero dovuto
processarti di nuovo”
La risata di Martin suonò totalmente priva di allegria e la guardò scuotendo la testa:
“Vivien tu sei una donna intelligente, ma vivi fuori dal mondo. In carcere, soprattutto in un
carcere come quello, il direttore è come Dio in terra. Se mi avessero processato, sarebbe
stato per omicidio plurimo, non una cosetta che si può gestire in silenzio in un tribunale di
provincia, senza che nessuno lo venga a sapere. Ci sarebbe stata pubblicità, la stampa,
e potevano emergere molte cose, sulla regolarità del primo processo, sulle modalità di
detenzione. Per cui decisero semplicemente di farmi sparire, io dovevo cessare di esistere,
perchè nessuno si trovasse in imbarazzo o avesse problemi.”
“Ma è inumano!”
“A chi importa di un galeotto? uno spacciatore e pure assassino? Mi buttarono in quel buco
infernale e gettarono via la chiave.
Dopo più di 6 mesi lì dentro ero quasi impazzito, quando arrivò un nuovo cappellano nel
carcere, Mark Burton, un nero di Chicago, un tipo sveglio e duro, e intenzionato a fare
seriamente il suo lavoro.
Non ho mai saputo come venne a conoscenza della mia esistenza, penso che qualche altro
detenuto gli abbia parlato di me, ma scoprì in fretta le irregolarità, le omissioni e le stranezze
del mio caso.”
7.
Le ombre della sera erano scese da un po’ sul cielo grigio e piovigginoso. Il sergente
Clayburg cercava di rilassarsi nonostante il dolore della ferita fosse solo parzialmente lenito
dagli antidolorifici che gocciolavano lenti nella vena del suo braccio dalle flebo. Il marito se
ne era appena andato, cacciato via da infermiere più arcigne di un bulldog, molto sollevato
nel vederla riprendersi rapidamente e dalle rassicurazioni dei medici.
Janice sospirò iniziando già a sentirsi insofferente della permanenza in ospedale, ma il
medico aveva detto solo qualche giorno ancora, e questo le dava almeno una prospettiva.
L’ombra comparsa a fianco del letto la fece sobbalzare di sorpresa:
“Chi c... Diavolo Gray mi hai fatto prendere un colpo”
“Scusi sergente, non volevo. Come sta?”
“Una meraviglia, non lo vedi? Comunque dovresti fare un po’ di rumore quando cammini,
altrimenti prima o poi farai prendere un infarto a qualcuno. Come cavolo hai fatto ad entrare?
Le infermiere sono dei cerberi!”
Il viso del giovane si distese in un sorriso e Janice pensò nell’ordine: che era la prima volta
che lo vedeva sorridere, che era proprio un bel ragazzo quando si lasciava un po’ andare, e
che il sorriso gli aveva portato via dieci anni, sembrava proprio un ragazzino!
“Le rivelerò un segreto sergente: qui la sicurezza lascia un po’ a desiderare!”
“Meraviglioso - rispose acida Janice - proprio quello che avevo bisogno di sapere per stare
più tranquilla!” ma non riuscì ad impedirsi di sorridere in risposta.
“Quelli sono per me?” gli chiese strizzandogli l’occhio e accennando al piccolo mazzo di rose
rosse che lui aveva in mano.
Il sorriso del ragazzo si allargò:
“Sì sergente, sono contento che lei stia meglio. - Posò i fiori sul tavolinetto a fianco del letto
e coprendo il movimento con il corpo ne approfittò per farle scivolare sotto le coperte una
Walther PPK - per la sua tranquillità” sussurrò.
Janice lo guardò con occhi sgranati:
“Tu sei un pazzo scatenato!” Martin alzò la mano per tacitarla
“Me la restituirà quando esce. Erano colombiani quelli giù al porto” le disse a bassa voce
tornando serio.
“Ora devo andare. Si ricordi: 8 colpi e uno è già in canna! Auguri sergente!”
Lei si protese e afferrò la sua mano prima che lui si allontanasse:
“Aspetta Gray! volevo ringraziarti... So che sei stato tu a salvarmi la vita...”
Lui le strinse un attimo la mano tra le sue, e rispose:
“Dovere sergente, ed è stato un piacere. Lei è una brava persona. Stia in guardia.”
L’uomo si voltò ed uscì rapidamente dalla stanza senza fare il minimo rumore e senza
voltarsi indietro.
L’infermiera che entrò qualche minuto più tardi, guardò stupita le rose e poi si voltò a
lanciarle un’occhiataccia:
“E queste chi le ha portate? L’orario delle visite è finito!!!”
Il sergente Clayburg le rivolse per tutta risposta un raggiante sorriso e l’infermiera girò sui
tacchi inviperita.
“Padre Burton non era uno stupido: una volta raccolte le informazioni e le prove, sapeva
che avrebbe potuto mettere con le spalle al muro il direttore e di conseguenza gli altri, ma
sapeva anche che non poteva proteggermi e che se avesse agito in modo troppo scoperto,
quei bastardi mi avrebbero ucciso e fatto sparire. Era in gamba padre Burton... sono riuscito
a parlare con lui una volta sola e non ero completamente in me, ma di sicuro anche a lui
devo la vita” La voce di Martin si affievolì mentre si perdeva nei ricordi e Vivien si sentì un
minimo rinfrancata. La gratitudine che sentiva nella sua voce le diceva che non erano riusciti
a distruggerlo completamente, nonostante tutto.
“Trovò una soluzione: lui che era stato cappellano militare nei marines, contattò alcuni amici
e organizzò una via d’uscita per me da quell’inferno che anche le altre persone coinvolte,
soprattutto il direttore della prigione, potevano accettare.
C’è una compagnia molto speciale dei marines. Una compagnia che ufficialmente non
esiste, formata da ex galeotti ed ergastolani, gente priva di importanti legami familiari che
viene dichiarata morta e a cui viene offerta la possibilità di uscire di galera, servire il paese
per un certo numero di anni e poi essere liberati con la fedina penale pulita.
I soldati di questa compagnia non esistono, non risultano in nessun documento ufficiale,
e vengono usati per missioni più o meno sporche, più o meno suicide. Questa è la via
d’uscita che padre Burton trovò per me. Il direttore si dichiarò d’accordo, perchè convinto
che non sarei sopravvissuto. Venni dichiarato morto e spedito in un campo di addestramento
segreto.”
Vivien lo guardò stupita:
“Come dichiarato morto? e tuo nonno non fece niente? e Audrey?”
La smorfia sul viso di Martin le disse che aveva toccato un altro tasto doloroso. Il giovane
si alzò e andò in cucina da cui tornò portandole un caffè caldo e fragrante. Lei si sedette
di nuovo sul letto e sorbì lentamente il caffè caldo, aspettando con pazienza che lui
continuasse il suo racconto.
8.
Vivien Cullen si rilassò sullo schienale della poltrona, congiungendo le punte delle dita e
riflettendo su quello che avevano appena visto sullo schermo. Il giudice Maertens rimase in
silenzio, in attesa di sentire il suo parere.
Kyle si schiarì la gola e disse:
“Mi sembra che i filmati parlino abbastanza chiaro”
“Tu credi?” chiese Vivien con tono pensieroso
“Sì Vivien. Nonostante la pioggia e la scarsa qualità di alcune immagini, direi che si vede
chiaramente che sono stati i malviventi che trasportavano la droga ad aprire il fuoco per
primi contro i poliziotti, e devono aver chiamato aiuto, perchè poi sono intervenuti gli altri.”
Il giudice Maertens intervenne:
“E il ragazzo aveva ragione: quelli erano militari, o lo erano stati. Il coroner è riuscito ad
identificarne qualcuno?”
“Nessuno finora, Vostro Onore - rispose Vivien - sappiamo solo che sono quasi tutti
sudamericani, o di origine sudamericana”
“E Calvano?”
“Di nuovo sotto i ferri. Non lo potremo interrogare ancora per un po’. Kyle, nessuna notizia
dai militari?”
“No Vivien, mi spiace. Ho provato ad accedere alla documentazione ma mi hanno bloccato.
Non ho una qualifica di sicurezza sufficiente, è tutto Top Secret! Ho mandato una richiesta
ufficiale, ma sono ancora in attesa di una risposta.”
“Come è possibile che non si riesca ad avere una documentazione su quest’uomo? Non
possono negarci le informazioni!”
Il telefono sulla scrivania ronzò brevemente, Vivien rispose, parlando a bassa voce per
qualche secondo poi riappese.
Gaurdò gli altri e sorrise:
“Lupus in fabula! un ufficiale dei Marines ha chiesto di me e sta salendo. Avremo qualche
risposta finalmente!”
Il giovanottone che entrò nell’ufficio pochi secondi più tardi, e che si presentò come capitano
Peter Strauss, era il prototipo dello studente di college che gioca a football ed è l’idolo delle
cheerleaders, ma tutti nella stanza notarono come il suo smagliante ed affascinante sorriso
non raggiungesse mai gli occhi, e presero nota dell’impressionante sfilza di nastrini sulla
giacca dell’uniforme.
“Capitano Strauss, le siamo grati di essersi scomodato a venire fin qui.”
“Nessun incomodo, è un piacere! Sono stato mandato qui dai miei superiori perchè abbiamo
ricevuto una richiesta di informazioni riguardante il sergente Martin Gray”
“Ecco capitano: nell’ambito di una inchiesta in corso, noi avremmo bisogno di vedere lo stato
di servizio del signor Gray. In particolare ci interessano le valutazioni psicologiche che sono
state fatte durante il periodo in cui ha prestato servizio nell’esercito.”
“Capisco Signora, ma purtroppo non siamo in grado di trasmettervi lo stato di servizio del
sergente Gray, si tratta di documentazione riservata. Posso dirvi che il sergente è stato
congedato dal servizio con tutti gli onori, dopo aver servito il paese con grande sacrificio
personale. Siamo stati molto dispiaciuti quando il sergente ha chiesto di lasciare il servizio,
in quanto è sempre stato valutato come un ottimo elemento.”
Il giudice Maertens intervenne con il suo solito fare bonario:
“Mi scusi capitano Strauss, ma è normale che lo stato di servizio di un militare venga
dichiarato riservato al punto che un tribunale statale non può avervi accesso?”
il sorriso del capitano si irrigidì per un attimo:
“Onestamente non so risponderle Signore, ehm, scusi, Vostro Onore. Sono i miei superiori
che decidono il livello di sicurezza che la documentazione deve avere. Io non sono in grado
di dirle perchè abbiano ritenuto necessario attribuire un tale livello di confidenzialità alla
documentazione relativa al sergente Gray”. Il capitano sorrise ancora quasi scusandosi.
Vivien intervenne:
“Ci sta dicendo che non possiamo avere accesso alla documentazione?”
Il sorriso del capitano scomparve e lei si trovò a guardare in occhi di ghiaccio percependo
chiaramente l’acciaio sotto la superficie rappresentata dai modi amabili e un po’ cerimoniosi
del capitano:
“Esatto Signora, mi dispiace ma non potete aver accesso alla documentazione” freddo,
netto, preciso e definitivo. Decisamente ricordò a Vivien l’atteggiamento di Gray durante
l’interrogatorio.
Seccata, si rivolse brusca all’ufficiale:
“Allora che cosa è venuto a dirci capitano? noi dobbiamo sapere chi è Martin Gray,
dobbiamo sapere qual’è il suo stato mentale. Perchè è stato congedato?”
Il sorriso tornò sul volto del capitano che spiegò paziente col tono di chi ripete per
l’ennesima volta una lezione ad un bambino non troppo sveglio:
“Signora, come le ho detto, il sergente Gray è stato congedato su sua richiesta: avendo
servito per 5 anni più 2 nel corpo dei marines degli Stati Uniti, è arrivato alla fine della ferma
per cui si era impegnato, e quindi ha chiesto di tornare alla vita civile come era suo diritto.
Il congedo gli è stato concesso, ripeto, con nostro rincrescimento, e con tutti gli onori.
Per quanto riguarda il suo stato mentale, quello che posso dirle, Signora, è questo: - e la
voce del capitano si fece più secca, dura - se lui ci chiedesse di rientrare nel corpo, non
avrebbe neanche il tempo di finire la frase. Lo riprenderemmo immediatamente. E con gioia.
Abbiamo bisogno di soldati come lui. Io sarei orgoglioso e felice e molto, molto più tranquillo
se lo avessi al mio fianco sul campo di battaglia!”
“Ma lei non ci darà la documentazione.”
“No Signora, non posso darvi alcuna documentazione e non posso dirvi nulla di più di
quanto vi abbia già detto”.
Il giudice intervenne di nuovo:
“Va bene capitano, capiamo la sua posizione. La ringraziamo di essere venuto fin qui e per
la sua collaborazione.”
Il capitano si alzò e si congedò sempre sorridendo:
“Grazie a voi, mi spiace di non aver potuto aiutarvi di più. Signora, signori, buona serata” e
lasciò la stanza.
Vivien esplose:
“E’ assurdo! non possono negarci le informazioni!”
Il giudice si alzò:
“Calma Vivien, quel giovanotto non ci poteva dire niente, e probabilmente non sapeva nulla.
Cerchiamo di scavalcarlo. Dove posso fare una telefonata?”
“Di qua Vostro Onore, usi pure il mio ufficio” Vivien lo guidò nel suo ufficio e lo lasciò solo
tornando nella sala riunione.
9.
“Audrey... mio nonno... - Martin si sdraiò sul letto accanto a lei, incrociando le mani dietro
la testa, fissando il soffitto con uno sguardo cieco - non ebbi mai una lettera o una visita
mentre ero in carcere. Mi convinsi che fosse perchè ero sempre in isolamento e quindi
niente visite. Poi pensai che intercettassero la mia posta. Io provai a scrivere ma le lettere
tornarono indietro.
Durante il primo periodo che passai sotto le armi, era proibito cercare di contattare la propria
famiglia, o amici. La vita precedente doveva essere cancellata, eravamo morti. Del resto
non avevamo diritto neanche alla libera uscita e nella base dove alloggiavamo non c’erano
telefoni, o computer dotati di connessioni internet. Eravamo totalmente isolati.
Fu solo dopo più di tre anni che ci lasciarono uscire per la prima volta. Avevo accumulato
la paga e quindi mi trovai a disporre anche di un po’ di soldi. Con cautela, prendendo molte
precauzioni, iniziai a cercare mio nonno e Audrey.
La sorte di mio nonno fu facile da scoprire: un trafiletto su un giornale locale texano che
trovai in una biblioteca mi disse che lui e Nguyen erano morti pochi giorni dopo la mia
condanna in quello che la polizia aveva archiviato come un incidente d’auto. Più tardi scoprii
che aveva commesso l’errore di minacciare apertamente lo sceriffo di portare il mio caso
alla corte suprema dello stato. La sera stessa era morto, cadendo giù per una scarpata con
Nguyen. Un investigatore privato mi procurò le foto del suo vecchio camioncino: i segni di
tamponamento erano ben visibili ancora dopo tutti quegli anni.” Martin tacque, lo sguardo
perso nei ricordi, pieno di tristezza per quello che sarebbe potuto essere e che gli era stato
sottratto. Vivien si sdraiò accanto a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla e allungando
la mano per accarezzargli dolcemente il viso, solo per fargli sentire che lei era lì, che gli era
vicina.
I giorni passarono lenti mentre Vivien procedeva con gli interrogatori dei poliziotti coinvolti
nella sparatoria.
Nel frattempo arrivavano altre informazioni: dal coroner, man mano che procedevano le
autopsie dei morti, dai riscontri e dalle indagini che procedevano ad identificare le persone
coinvolte, dalla Scientifica che catalogava ed identificava centinaia di reperti e di pallottole
sparate. La DEA si era tuffata con entusiasmo nell’indagine, visto l’ingente quantitativo
di cocaina sequestrata ed il coinvolgimento di uno dei più potenti e finora intoccabili clan
colombiani.
Gli uomini che avevano partecipato alla sparatoria erano effettivamente mercenari in gran
parte sudamericani, ma tra i morti c’erano anche sudafricani ed europei.
Il giudice Maertens aveva invitato a pranzo Vivien e mentre passeggiavano lungo la 5a
Avenue, vicino al tribunale ma lontani da orecchie indiscrete, le aveva confidato la sua
perplessità:
“Sai Vivien, io ho molti amici anche al Pentagono, e pensavo di riuscire facilmente ad
ottenere informazioni sul nostro giovanotto, ma devo ammettere che stavolta ho... ehmm …
sbattuto contro un muro.
Ci deve essere dietro qualcosa di veramente grosso. Uno dei miei contatti mi ha consigliato
di lasciar perdere, perchè tanto non avrei cavato un ragno dal buco. Sembra che per avere
quelle informazioni sia necessario un livello di accesso altissimo, in pratica da Casa Bianca.
Quel ragazzo o la sua unità devono essere stati coinvolti in operazioni veramente oscure.”
“Quindi quella è una strada chiusa, secondo lei?”
“Temo di sì ragazza mia. Accidenti, è la prima volta che mi succede e non mi piace!” Il
giudice Maertens sorprese Vivien mettendosi a ridacchiare:
“Diavolo, mi ero illuso di essere diventato quasi onnipotente! Brutta cosa la vecchiaia
ragazza mia!”
“Cosa possiamo fare ora?” Vivien riprese dopo qualche minuto
“Nulla direi mia cara, - rispose sereno il giudice - aspettiamo il responso dello psichiatra e
poi vedremo.”
“Sì Vostro Onore, dovrebbe arrivare in questi giorni ormai...”
“Ah, un’altra cosa Vivien: un uccellino mi ha sussurrato una cosa oggi. Sembra che Juan
Pablo Calvano sia venuto negli Stati Uniti. La DEA ne è praticamente certa.”
Il giudice si fermò e si girò a guardarla:
“Stai attenta mia cara. Ti consiglio di farti dare una scorta”
“Uuuumppff! - sbuffò Vivien - figuriamoci! Piedipiatti intorno ogni minuto! No grazie!”
10.
Lo psichiatra aveva già lavorato in precedenza con Vivien, che ne aveva avuto una buona
impressione: le sembrava un professionista serio, privo di quell’aria di superiorità e di
presunzione che erano invece tipiche di molti esponenti della categoria.
“Devo dire che mi avete dato un caso davvero interessante stavolta” esordì il dottor Samuels
sedendosi davanti al giudice Maertens, a Vivien, a Kyle e al tenente Jamieson.
“Sono lieta di non averla fatta annoiare dottore, - rispose Vivien con un sorriso, - anche noi
siamo rimasti molto colpiti da quest’uomo e siamo ansiosi di conoscere le sue conclusioni.”
“E’ difficile per me esprimere un giudizio - il dottor Samuels era molto serio - in quanto il
caso è veramente complesso. Da un lato ci sono certi aspetti della personalità del soggetto
che sono decisamente singolari, dall’altro ce ne sono altri che rientrano in quelli che noi
potremmo considerare dei parametri che sono comuni alla media della popolazione, voi
profani direste normali.”
“Noi, dottor Samuels, dobbiamo capire se abbiamo a che fare con uno psicotico pericoloso,
che è meglio non lasciare andare in giro libero e soprattutto armato, visto che è un poliziotto,
oppure no” certe volte Vivien si spazientiva della vaghezza delle risposte che si ricevevano
sempre dagli strizzacervelli.
“Vivien, vi sto dicendo che non è mai facile rispondere a questa domanda, ma in questo
caso è ancora più difficile. Se avete la pazienza di ascoltarmi, io vi illustrerò le mie
conclusioni e risponderò così in modo motivato alla domanda.
Martin Gray è un uomo che è vissuto nell’ambiente militare sin da quando era molto
giovane. Si vede chiaramente in alcuni aspetti che sono poi quelli che potrebbero più
facilmente essere visti come psicotici, prima fra tutti una certa indifferenza nei confronti della
soppressione di vite umane.
Questo è uno degli aspetti su cui insiste di più l’addestramento militare, per superare
quelle che sono le normali resistenze dell’uomo medio di cultura occidentale che viene
educato, direi quasi condizionato, a considerare l’omicidio come eticamente inaccettabile.
Un esempio banale: nell’ambiente militare, non so se l’avete notato, non si usa mai, o quasi
mai, il termine uccidere. Si parla di compiere la missione, eliminare, rimuovere o terminare
una minaccia o un obiettivo, ma non uccidere.
Un tale addestramento, mirato a spezzare questo condizionamento, applicato a persone
molto giovani può, diciamo così, ottenere risultati che vanno al di là delle previsioni.
Il nostro signor Gray è in grado di distinguere il bene dal male? direi sicuramente di sì,
ma il bene e il male non sono per lui concetti assoluti. Direi che per lui la distinzione tra
bene e male dipende, entro certi limiti, dal contesto e dalle circostanze. Possiamo definirlo
eticamente un relativista.
Ammetto che sia abbastanza sconvolgente osservare come un giovane come lui, passi
attraverso l’esperienza che ha vissuto qualche giorno fa senza subire apparentemente
alcuna conseguenza, senza che resti alcuna traccia. Mi piacerebbe molto sapere che
esperienze ha avuto, soprattutto nel suo periodo militare”
“Piacerebbe molto anche a noi dottore, ma a quanto sembra non sarà possibile”
Il dottor Samuels apparve chiaramente deluso:
“Peccato davvero. Di sicuro però ha già ucciso in passato e deve aver vissuto esperienze
veramente molto intense per arrivare a questo punto, per sviluppare difese interiori così
efficaci e profonde.
Mi chiedete se sia una persona pericolosa: la mia conclusione è che in questo momento
non sia pericoloso nè per se nè per gli altri. Eccetto per i criminali che dovessero imbattersi
in lui, ovviamente - il suo viso fu attraversato da un sorriso sottile - Se lo avessi incontrato
senza sapere niente di lui, vi direi che è una persona eccezionalmente posata ed equilibrata,
considerando la sua età.
E’ chiaro che se un giorno dovesse intervenire un qualsiasi elemento a spezzare questo
equilibrio, rischieremmo di trovarci davanti ad una persona veramente pericolosa, ma al
momento non vi è alcun segnale in questo senso.
La mia conclusione è che Martin Gray è idoneo al servizio nelle forze di polizia. Domani vi
farò avere la mia relazione scritta per gli atti.”
“Mi scusi Dottor Samuels - chiese Vivien - io sono rimasta molto colpita dalla sua assenza di
reazione in seguito alla strage che ha fatto. Ci è sembrato del tutto indifferente, come se la
cosa non lo toccasse affatto. Le sembra normale?”
“Come le dicevo Vivien, mi pare chiaro come questo giovane abbia servito nei corpi
speciali dell’esercito. Anche se non abbiamo una conferma ufficiale, tutto in lui, nel suo
addestramento, nelle sue peculiari capacità, indica questo.
Lei deve capire che questi soldati sono organizzati in piccoli gruppi che si trovano ad
operare in ambienti decisamente ostili, tipicamente dietro le linee nemiche.
In queste situazioni, la vita di ognuno di loro dipende moltissimo dai compagni: questi soldati
si coprono e si proteggono ferocemente l’un l’altro, è la loro prima priorità, a volte viene
perfino prima della missione che gli è stata affidata.
Adesso immagini una persona abituata fin da molto giovane a pensare e a reagire in questo
modo in una situazione come quella della sparatoria al porto: i suoi compagni, in questo
caso i suoi colleghi poliziotti, erano sotto il fuoco, minacciati. Il suo solo istinto era quello
di eliminare la minaccia alla vita dei suoi compagni, e quindi alla sua, e alla missione. Ha
fatto quello che era necessario per proteggere la sua squadra. Direi che fosse l’unica linea
di comportamento possibile ed accettabile per lui. Rimorsi? Sensi di colpa? No, io non me li
aspetterei proprio.”
“Grazie dottor Samuels, ritengo la sua esposizione sia stata molto chiara.” Il giudice
Maertens congedò il dottore con un cordiale scambio di saluti.
Quando il dottore ebbe lasciato la stanza, vi fu una breve pausa prima che Jamieson
intervenisse, con malcelata soddisfazione:
“Bene, mi sembra che la relazione del dottore sgomberi il campo da ogni dubbio: il ragazzo
non è uno psicopatico per cui non vi sono ragioni né per sospenderlo dal servizio né
tantomeno per prendere provvedimenti limitativi della sua libertà personale.”
“Io prendo atto dei risultati della perizia ma non sono affatto convinta: mi sembra assurdo
che uno ammazzi 14 persone e poi se vada in giro tranquillo come fa lui.”
“Tuttavia, quali che possano essere le nostre sensazioni, o le nostre perplessità, il dottore
è stato chiaro, per cui a mio parere non esistono i requisiti per un provvedimento di
sospensione” il giudice Maertens chiuse la questione.
“Quando potremo interrogare Calvano? Ci sono novità?”
“Non si sa ancora Vostro Onore - Vivien rispose - sto aspettando una conferma
dall’ospedale. Forse nel pomeriggio.”
“Va bene allora aggiorniamoci alle 14. Grazie signori a più tardi” il giudice si accomiatò in
fretta e lasciò la stanza.
“Audrey... Audrey, fu più difficile sapere qualcosa di lei. Ci misi molto tempo ma alla fine
riuscii a trovare Christine, la sorella maggiore di Audrey, che non viveva più in Texas, ma si
era trasferita vicino a Boston. La andai a trovare, un giorno, erano passati più di 5 anni da
quel maledetto venerdì.”
Martin parlava molto lentamente, con voce sommessa, Vivien poteva vedere che i suoi occhi
erano lontani, persi in ricordi troppo dolorosi.
“A Christine venne quasi un colpo quando mi vide - un lieve sorriso stirò gli angoli delle
labbra di Martin - poi mi invitò in casa sua.
Ci sedemmo in soggiorno, e lì Christine mi raccontò che cosa era successo dopo quel
venerdì. Mentre io venivo arrestato e buttato in galera, Audrey era in volo per la Svizzera,
dove il padre la recluse in uno di quegli istituti molto discreti per problematici rampolli di
ottima famiglia.
Nel giro di due mesi, Audrey, anche se priva di documenti e di denaro, tentò tre volte di
fuggire. L’ultima volta la ripresero dopo tre giorni: era riuscita a raggiungere l’aeroporto di
Zurigo e stava per imbarcarsi su un volo per gli Stati Uniti! Come sperasse di superare i
controlli alla frontiera solo Dio lo sa, ma era in gamba la mia Audrey, piena di risorse, e
avrebbe fatto qualsiasi cosa per raggiungermi.
A quel punto il padre intervenne di nuovo: la andò a trovare e le portò una lettera su carta
intestata della prigione, firmata dal direttore, che dichiarava che io ero morto, accoltellato in
una rissa tra detenuti.
Audrey non tentò più di fuggire. Per tre mesi si trasformò in una alunna modello, anche se
i suoi risultati scolastici non erano certo granchè, lei che era sempre stata la prima della
classe. Però divenne una ragazza molto tranquilla, silenziosa e remissiva e la sorveglianza
intorno a lei piano piano si allentò.
Poi una notte scomparve di nuovo e i sorveglianti della scuola diventarono pazzi a cercarla.
La mattina successiva la trovarono: era salita sulla torre dell’orologio, l’edificio più alto
di tutta la scuola. La vide un inserviente che stava andando a rigovernare i cavalli del
maneggio, in piedi sulla balaustra in cima alla torre.
Audrey attese l’alba, poi quando vide che il personale della scuola stava accorrendo e si
rese conto che il sole non ce l’avrebbe fatta a bucare le nuvole, si lasciò andare.
Ho parlato con una donna, che era lì quel giorno: disse che la cosa che più impressionò tutti
fu che lei non gridò mentre cadeva... cadde e si schiantò al suolo in silenzio.”
Martin tacque. Vivien asciugò piano le lacrime che inondavano il volto di Martin che si girò,
seppellì il viso nel suo seno e pianse a lungo, in silenzio. Lei lo tenne stretto a sé, incapace
di trovare parole per poterlo aiutare ad affrontare tutto questo.
11.
Vivien e Kyle entrarono in ospedale e si incontrarono nell’atrio con il giudice Maertens.
Insieme salirono al quarto piano, attraversarono diversi punti di controllo ed entrarono nella
stanza dove Ramon Calvano giaceva nel suo letto, attaccato a numerose flebo e macchine.
L’uomo era pallido e ovviamente sofferente, i lunghi capelli unticci sparsi sul cuscino, gli
occhi pesantemente cerchiati.
Nella stanza erano presenti due uomini della DEA, armati fino ai denti, ed un uomo di mezza
età, in un elegantissimo completo grigio su misura, che si alzò dalla sedia accanto al letto
quando entrarono.
“Avvocato Coulbert! Che piacere incontrarla! - lo salutò Vivien con un calore prossimo allo
zero assoluto. - Vedo che sceglie sempre i suoi clienti con cura”
“Buonasera Signora Cullen, signori - rispose imperturbabile l’avvocato - vi devo avvertire
che ho consigliato al mio cliente di non rispondere ad alcuna domanda in quanto io non
ho potuto ancora avere accesso alla documentazione e alle prove a sostegno delle gravi
accuse rivolte nei suoi confronti, né ho avuto modo di discuterne con lui con la necessaria
riservatezza” e l’avvocato accennò agli uomini della DEA presenti in stanza.
“Certo avvocato, non si preoccupi, avrà modo di avere colloqui adeguatamente riservati con
il suo cliente non appena lo avremo trasferito in un carcere federale di massima sicurezza.
Nel frattempo le guardie rimarranno qui per evitare il rischio di fuga.” il sorriso di Vivien si
allargò.
“Siamo qui per offrire al suo cliente una possibilità: vede avvocato, solo per farle un
esempio delle prove in nostro possesso, noi abbiamo la droga sequestrata, e abbiamo una
pallottola sparata dalla pistola del suo cliente che abbiamo estratto dal cranio di un poliziotto
deceduto.” La voce della Cullen si fece durissima:
“Con le prove che abbiamo, il suo cliente in questo stato si può solo aspettare una bella
iniezione letale dopo aver trascorso un po’ di tempo nel braccio della morte. Se fossi in lei gli
consiglierei di cercare un accordo.” La Cullen si avvicinò fino a sfiorare l’avvocato e gli disse:
“Stavolta avvocato neanche lei ce la può fare!”
L’avvocato sostenne il suo sguardo imperturbabile:
“Non appena avrò a disposizione le informazioni e la documentazione sulle prove raccolte,
sarò in grado di consigliare al mio cliente la strategia difensiva che ritengo più adeguata”
Vivien sorrise tranquilla e replicò:
“Certo avvocato, ma si sbrighi: il tempo a disposizione del suo cliente per decidere è
molto limitato, e il Procuratore non è molto interessato a fare un accordo, a meno che la
contropartita non sia veramente interessante...”
Ramon Calvano la guardò con odio profondo:
“Brutta puttana, ti senti forte vero? Attenta, non è così!”
“Senor Calvano, lei ha già un piede nella fossa, prima se ne rende conto e meglio è per lei!”
L’avvocato intervenne subito:
“Signor Calvano, come le ho detto prima è meglio che lei non dica nulla per ora”
“Vaffanculo stronza! - urlò Calvano dal suo letto protendendosi verso Vivien - Sei morta, hai
capito? Me cago en tu madre! Puta! Negra!”
Vivien si mise a ridere, cosa che fece inferocire ancora di più Calvano. I due agenti della
DEA fecero un passo in avanti convergendo verso il letto e Calvano ansimando si lasciò
ricadere sui cuscini.
“Naturalmente il mio cliente è sconvolto ed è molto malato. Non può essere considerato
responsabile nelle sue condizioni.” L’avvocato in cominciò subito a tessere la sua tela ma
Vivien lo fermò replicando:
“Certo, ed è anche sotto l’effetto di antidolorifici. Dovremo far sospendere la
somministrazione di stupefacenti, non trova?”
L’occhiata che le lanciò Ramon Calvano era talmente piena di odio che perfino Vivien si
sentì a disagio. L’avvocato iniziò subito a protestare richiedendo che il suo cliente fosse
trasferito in un’altra clinica dove avrebbe potuto avere cure più adeguate.
Vivien tagliò corto:
“In questo ospedale ha tutte le cure che gli servono. Provvederemo a farlo trasferire in
carcere il più rapidamente possibile”
“Presenterò un’istanza perchè al mio cliente siano concessi gli arresti domiciliari per potersi
curare in seguito alle gravi ferite inflittegli dalla polizia!” protestò l’avvocato.
“Auguri avvocato! - Sorrise Vivien - ci faccia sapere qualora il suo cliente decidesse di
parlare con noi”
“Non ricordo come ritornai indietro alla base dove eravamo alloggiati quella sera. Christine
non voleva lasciarmi andare via, dopo avermi dato la notizia, ma io dovevo rientrare e
comunque non ce la facevo a restare ancora con lei. E non potevo farmi scoprire dai miei
superiori, avrei messo in pericolo anche lei e la sua famiglia.
E’ proprio una brava ragazza, come lo era la sorella. Ci sono tornato in seguito altre
volte...ma quella sera ero totalmente sconvolto.
Tornai in caserma e nelle settimane successive furono solo i miei compagni che mi tennero
in vita. Soprattutto uno: Jeremy Hunk. Era uno degli anziani, si accorse prima degli altri che
c’era qualcosa che non andava in me e mi rimase vicino.
Mi spinse, mi sostenne, mi prese a calci e mi aiutò in tutti i modi, coprendomi coi superiori e
ricordandomi sempre che le vite di tutti loro, di tutti i miei compagni, dipendevano da me e
che perciò non potevo lasciarmi andare, non potevo farmi uccidere.
Nei successivi sei mesi venni ferito otto volte in azione. In realtà io volevo morire, volevo
solo raggiungere Audrey, se esiste qualcosa dopo la morte”
La mano di Vivien scivolò sul suo torace nudo, esitando sui rilievi delle cicatrici che lo
segnavano; la voce di lui era di nuovo piatta, incolore, parlava di una vita che aveva perso
ogni colore, parlava di una vita che aveva smarrito ogni senso, ogni scopo, di una lotta
terribile che si era consumata invano.
Razionalmente lei capiva come in quel momento Martin avesse perso ogni voglia, ogni
ragione per vivere, ma non riusciva a capacitarsi, non riusciva ad immaginare la desolazione
che doveva essere diventata la sua vita.
“Se non mi piantai una pallottola in testa fu solo per i miei compagni, per il senso del dovere
che provavo nei loro confronti. Non mi era rimasto nient’altro. Jeremy e i miei compagni mi
tennero in vita e io li odiai per questo”
La riunione andò avanti a lungo quella sera, l’ora di cena era passata da un pezzo quando
Vivien e il giudice Maertens lasciarono l’ufficio del Procuratore ed attesero nell’atrio deserto
del palazzo, mentre Kyle andava a prendere l’auto di Vivien nel parcheggio. La serata era
decisamente fredda, Vivien uscì dal portone pensando che l’inverno era ormai in arrivo,
quando vide i fari dell’auto svoltare dalla via laterale dove era situata l’uscita del parcheggio.
L’esplosione fu così violenta da proiettare la carcassa fiammeggiante che era stata la
mercedes una decina di metri più indietro sulla strada.
Vivien fu investita dall’onda d’urto: un muro d’aria rovente che la scaraventò indietro
all’interno dell’atrio insieme ad una nuvola di vetri infranti. Anche il giudice Maertens,
sebbene fosse ancora all’interno dello stabile, venne investito in parte.
In preda allo shock Vivien tentò di alzarsi da terra, guardando stupita le sue mani striate di
sangue, mentre il lontano ululato delle sirene si faceva sempre più vicino.
12.
La facciata del palazzo dove aveva sede la Procura era un caleidoscopio blu e rosso che
rifletteva le luci dei lampeggiatori di numerosi mezzi della polizia, ambulanze e mezzi dei
vigili del fuoco.
Una gru stava caricando la carcassa bruciata della mercedes su un carro attrezzi, mentre il
furgone del coroner già si allontanava con i pochi resti carbonizzati di quello che era stato
Kyle Laughlin.
All’interno del palazzo, in una sala riunioni dei sotterranei, Vivien ancora sconvolta fissava
le mani che un paramedico le aveva appena finito di medicare per il tagli e le abrasioni
soprattutto dovute ai vetri. Era stata fortunata: si trovava appena all’esterno dell’edificio
quando era stata investita dall’esplosione, ma ancora parzialmente protetta dalla struttura
in muratura dell’ingresso. La nuvola di vetri infranti era volata essenzialmente dietro di lei,
altrimenti la sua situazione sarebbe potuta essere peggiore.
Il giudice Maertens era stato portato in ospedale per meglio curare le numerose ferite
riportate.
Il Procuratore, il sindaco Mc Cormick e il capo della polizia O’Brien discutevano a bassa
voce all’altro capo del tavolo. Vivien non riusciva a smettere di pensare a quando aveva
allungato le chiavi a Kyle, pregandolo di andare a prendere l’auto mentre scendevano le
scale e lei finiva di parlare con il giudice. Non lo faceva quasi mai, le piaceva guidare la sua
auto, ma proprio quella sera l’aveva fatto. Che bisogno c’era? quello che si stavano dicendo
con il giudice non era poi così importante, avrebbero potuto discuterne tranquillamente il
giorno dopo. Perchè proprio quella sera?
Di colpo si rese conto che qualcuno le stava parlando e si accorse che il Procuratore era in
piedi davanti a lei:
“Vivien? mi senti?”
“Sì scusa, ero sovrappensiero...” rispose lei con voce ancora debole
“Sei sicura che non vuoi andare in ospedale? Lo shock può farti brutti scherzi”
“No ti ringrazio, ho solo bisogno di tornare a casa e riposare un po’” sospirò lei
“Ci sono i miei uomini su che sono pronti a scortarla in albergo - intervenne il capo O’Brien
che poi proseguì in tono meno brusco - non può tornare a casa finchè non l’avremo
controllata. Potrebbero aver messo una bomba anche a casa sua. I miei uomini e la squadra
artificieri sono già sul posto.”
Per un momento Vivien fu sul punto di protestare: l’idea di un numero imprecisato di estranei
che faceva irruzione a casa sua e la passava al setaccio in cerca di potenziali minacce,
mettendo le mani tra le sue cose e frugando in ogni angolo le era quasi insopportabile. Poi
ripensò ancora a Kyle e tacque chinando la testa.
“Da domattina le assegnerò un uomo che stia sempre con lei e una scorta che la protegga in
tutti i suoi spostamenti” proseguì O’Brien.
Il Procuratore si chinò a guardarla dritta negli occhi:
“Non sentirti in colpa, Vivien, non è colpa tua la morte di Kyle. Avresti solo potuto morire con
lui.”
“No davvero - intervenne burbero O’Brien - la colpa e la responsabilità sono solo di quei
luridi bastardi che hanno messo la bomba, Calvano e soci! La proteggeremo signora Cullen,
quei figli di puttana non riusciranno ad arrivare fino a lei”
“Adesso vai a riposarti un po’ Vivien. e prendi un sonnifero se non riesci a dormire.”
il Procuratore la aiutò ad alzarsi e la accompagnò alla porta, dove un paio di poliziotti
aspettavano. La fecero uscire da un ingresso laterale, nascosta in una macchina di pattuglia.
La portarono in un albergo dove fu fatta salire direttamente in una piccola suite senza
essere registrata.
Una donna poliziotto si sistemò sul divano mentre lei si faceva una doccia come meglio
poteva, cercando di non bagnare troppo i cerotti e andava a letto. Pensava che non sarebbe
riuscita ad addormentarsi, tormentata com’era dal pensiero di Kyle, invece crollò di colpo
appena posata la testa sul cuscino.
“Jeremy divenne il mio osservatore, sempre al mio fianco. Non mi permise di lasciarmi
andare, non mi permise di morire. In missione la sua vita dipendeva da me: non potevo farmi
uccidere e lasciarlo da solo nella merda.
Quando non eravamo in missione, beh lui usò il sistema più semplice: fece crescere in me la
rabbia, l’odio verso coloro che avevano ucciso Audrey e distrutto la mia vita.
Alimentò la mia sete di vendetta, mi coprì e protesse dai miei superiori, evitando che mi
scoprissero mentre li cercavo, e raccoglievo informazioni su di loro, pianificando la loro
distruzione.”
Vivien chiuse gli occhi, e alla fine si costrinse a chiedergli:
“Li hai uccisi tutti?”
Martin sembrò non aver sentito la domanda e continuò:
“E’ stato un grande amico per me Jeremy, un’altra delle persone a cui devo la vita e non
solo quella: a lui devo anche la mia libertà. Questa casa era sua, lo sai? Jeremy è morto
in Afghanistan, ucciso da una fottuta bouncing betty.” La sua voce suonò ancora una volta
lontana, persa nei ricordi e piena di tristezza.
“Una che?” chiese Vivien perplessa
“Una mina antiuomo, una vecchia trappola russa che i talebani avevano piazzato su un
sentiero. Io mi sono salvato per miracolo, porto ancora le cicatrici, ma Jeremy era molto più
vicino quando è saltata. Nessuna speranza per lui. Perdemmo quattro dei nostri per quella
bastarda.”
Martin fece una pausa, e ancora una volta Vivien percepì in modo quasi fisico la sua
tristezza, il senso di perdita che sembrava permeare tutta la sua vita: una sequenza
apparentemente infinita di persone che avevano fatto una comparsa e poi erano svanite,
molte inghiottite dal buio nulla della morte.
“Quando tornammo da quella maledetta missione, scoprii che Jeremy non aveva nessuno,
nessun parente vivente, ed aveva nominato me suo erede. Ho ereditato questa casa, il
rifugio di Jeremy, dove lui veniva a leccarsi le ferite dopo ogni missione, che aveva comprato
con tanti sacrifici. Ho ereditato un po’ di denaro, ma soprattutto il contenuto di una cassetta
di sicurezza.”
“Cosa c’era dentro?”
“La mia libertà!” rispose Martin. La guardò un attimo, come soppesandola, poi si alzò dal
letto per andare a prendere in un cassetto un vecchio foglio gualcito che le porse alzando la
luce della lampada sul comodino.
Vivien spiegò con cautela il foglio, reso fragile dal tempo e dalle troppe letture. La grafia era
spigolosa, ma leggibile. Si mise a leggere la lettera, mentre Martin si sedeva accanto a lei,
guardandola in silenzio.
Vivien si alzò la mattina dopo, subito assalita dal senso di colpa, acuito dal fatto di sentirsi
bene, riposata, dopo 8 ore di sonno di piombo, mentre Kyle era morto e a questo non c’era
rimedio.
Mentre si vestiva, sentì qualcuno parlare nella stanza accanto della piccola suite, le sembrò
di riconoscere la voce soffocata di O’Brien.
Con un sospiro aprì la porta della sua stanza uscendo nel salottino. Qui trovò O’Brien,
che aveva l’aria di aver passato la notte in bianco, una donna poliziotto di colore, dal fisico
massiccio e, appoggiato al muro accanto alla porta, Martin Gray!
In mezzo ai buon giorno a mezza voce, O’Brien si rivolse a lei:
“Buongiorno signora Cullen, spero che abbia riposato bene. Le presento Marion Bacall che
sarà la sua guardia del corpo. Lei già conosce Gray che sarà il suo autista e guardia del
corpo. La sua auto blindata la aspetta in garage, sarà scortata anche da una delle nostre
auto di pattuglia. - si voltò verso i suoi e aggiunse, sporgendo in avanti la mascella - Gray,
Bacall: la signora non dovrà mai essere lasciata sola, sono stato chiaro? Ho detto mai,
neanche al cesso!”
“Sì Capo” risposero i due all’unisono
“Un momento - interruppe Vivien - ritengo che non ci sia bisogno che la scorta arrivi a
questi livelli, inoltre mi sembra veramente inopportuno che una persona sottoposta ad una
inchiesta di cui io sono responsabile, svolga la funzione di mia guardia del corpo!”
O’Brein si voltò e la fronteggiò deciso:
“Mi spiace signora Cullen, ma sono io il responsabile e decido io il livello di protezione a cui
lei deve - e sottolineò con enfasi il deve - essere sottoposta. Lei è nel mirino di uno dei più
potenti clan tra i cartelli colombiani della droga, gente che non difetta né delle risorse né
della spietatezza necessarie a costituire un serio pericolo per lei.
Per quanto riguarda il fatto che il signor Gray sia tuttora sottoposto alla sua inchiesta, anche
se mi sembra che le prove abbiano già dimostrato la correttezza del suo agire in quella
occasione, mi dispiace ma le faccio presente che praticamente tutta la SWAT è oggetto di
quell’inchiesta. Non ho altri uomini da dedicare alla sua protezione e ritengo il signor Gray la
mia migliore risorsa disponibile allo scopo di garantire la sua sicurezza.”
O’Brien serrò la mascella al punto che sembrò azzannare il sigaro spento che teneva in
bocca:
“O se preferisce, in poche parole: se vuole salvarsi il culo e riportare la pelle a casa,
è meglio che lei stia molto vicina al mio ragazzo! Gli stia appiccicata! Questo è il mio
spassionato consiglio.”
Nella stanza scese un silenzio un po’ imbarazzato. La Bacall la guardò con l’aria di chi si
scusa per le cattive maniere di un ragazzino un po’ scapestrato.
Vivien rimase in silenzio cercando di considerare la cosa a mente fredda e non farsi
trascinare dal temperamento che l’avrebbe spinta a dare al Capo O’Brien una risposta
tagliente.
Per quanto considerasse probabile che O’Brien le stesse assegnando proprio Gray come
guardia del corpo con un certo grado di maligna soddisfazione, non poteva ignorare
che, sebbene avesse un caratteraccio, era uno che sapeva fare il suo mestiere e quasi
maniacale nella sua volontà di contrastare il crimine.
Credeva palesemente in quello che le aveva detto, e non avrebbe mai messo a rischio la
sua vita per antagonismo personale, antipatia o rivalsa.
Inoltre era indubbiamente vero che era sua responsabilità la gestione delle sua scorta e lei
poteva al massimo esprimere una preferenza ma non poteva certo imporgli qualcosa.
“Va bene, Capo, se lei è convinto che sia la persona più indicata...” disse Vivien senza però
cancellare l’espressione dubbiosa dal suo viso.
O’Brien la guardò dritta negli occhi e replicò con voce stranamente pacata, come se
cercasse di trasmetterle la sua convinzione:
“Mi creda Signora: se c’è uno che può farla restare viva è lui”
“Ci saranno casi in cui, per ragioni di riservatezza, non potrà restare vicino a me.” replicò
Vivien
“Sì certo, - sbuffò O’Brien - ma per la sua salute, la invito a ridurre questi momenti al minimo
indispensabile e se proprio deve, a tenersi comunque la Bacall molto vicina. Ora la devo
lasciare: mi raccomando sia prudente. Quei figli di buona madre sono dei veri bastardi. E,
per favore, non faccia ammazzare i miei ragazzi!” Poi si rivolse ai suoi e ringhiò:
“Tenetemi informato!”
Salutò con un brusco cenno del capo e lasciò la stanza.
“Hi Martin,
piccolo bastardo, come ti butta?
Se stai leggendo questa lettera significa che qualche figlio di puttana c’è riuscito a farmi
il culo e ci ho rimesso la pelle. Fammi un favore fratello: falli cagare sangue! Vendicami,
capito?
Ma devo dirti una cosa riguardo al contenuto della cassetta. E’ importante.
Ti ricordi di Frank Williamson e Roscoe Tanner? Frank e Roscoe, te la ricordi la loro storia?
tu non li hai conosciuti ma loro sono stati i primi del nostro reparto a riuscire a sopravvivere
e ad arrivare alla fine della ferma. E come sono finiti? Frank investito da una fottuta auto due
giorni dopo il congedo, e Roscoe? Morto d’infarto tre giorni dopo! D’infarto! Lui che era più
sano di me e di te, che correva cinque miglia tutti i giorni appena alzato.
Alcuni di noi non credettero alle storielle che ci raccontarono e decisero di fare qualcosa
perchè questo non deve più succedere. Mai più!
In quella cassetta ci sono gli sforzi di una dozzina di nostri fratelli che hanno rischiato
parecchio per scovare e raccogliere quei documenti. Lì troverai registrazioni bancarie,
documenti top secret, video e registrazioni; roba sufficiente a far saltare almeno quattro
diverse amministrazioni, tutti relativi alle missioni che abbiamo svolto nei peggiori buchi del
culo di questo mondo fottuto.
La gente che abbiamo ammazzato, fratello, e per ordine di chi.
Io sono il quarto custode di questi documenti, e tu da adesso sei il quinto. Usali, quando
sarà il momento, oppure trasmettili a un altro fratello. Voglio la tua parola d’onore: è troppo
importante.
Questi fottuti piccoli pezzi di carta saranno la libertà e la vita per qualcuno di noi. Non
possono andare sprecati. Noi non abbiamo mai avuto altro che noi stessi, abbiamo
attraversato insieme le fogne più schifose, abbiamo solo i nostri compagni e solo loro non ci
tradiranno mai.
Ricordatelo sempre Martin e proteggi quei documenti. Io sono morto, magari tu morirai dopo
di me, ma la catena non deve spezzarsi. Un giorno uno di noi sarà libero per davvero grazie
a quelli.
Ora ti saluto ragazzino, e ricordati: tieni sempre le chiappe strette e il cazzo ritto! non farti
fregare da un fottuto pezzente in qualche schifo di posto, ammazzali tutti! Tu sei Iceman e
sei immortale! Ricordatelo e ammazzali tutti!
E grazie per avermi salvato il culo quella volta in Pakistan, non te l’ho mai detto ma me la
stavo proprio facendo sotto. Come quella volta in Birmania, ricordi? Quanto mi hai preso per
il culo dopo, brutto figlio di puttana!
Goditi la mia casa e qualche volta vai a caccia anche per me. Sì, lo so che a te non piace,
che tu dai la caccia solo agli animali a due gambe, va bene! Mi sta bene anche se ci vai
con quella tua macchina fotografica da frocio invece che con un buon fucile come Cristo
comanda!
Ciao Martin, e buona fortuna! E spero proprio che tu te li possa godere i miei fottutissimi
boschi che ti piacciono tanto!
Dopo l’uscita di O’Brien, Vivien rimase per alcuni secondi sovrappensiero mentre continuava
a guardare Martin e osservava distrattamente che stava bene in nero.
Marion Bacall si schiarì la gola e quando vide riscuotersi Vivien, le disse:
“Signora è sicura che non sia il caso che si riposi un po’? Mi sembra ancora un po’ scossa...”
“No, grazie agente Bacall, comunque devo andare a lavorare - rispose con un sorriso potete portarmi per favore in ufficio?”
“Sì, certo Signora” rispose la donna con un’espressione non troppo convinta. Scambiò uno
sguardo di intesa con Martin che si voltò ed uscì con una pistola in pugno, comparsa come
per magia.
Solo quando giunse il richiamo di Martin, Marion estrasse la sua arma e la scortò fuori dalla
stanza.
Vivien rimase colpita nell’osservare lo strano balletto dei due mentre scendevano le scale:
Martin davanti, le precedeva di qualche passo con l’arma spianata, la Bacall che lo seguiva
trascinandosi lei dietro, cercando di schermarla con il proprio corpo. Sarebbe stata quasi
comica la scenetta, non fosse stato per il suo significato.
Ad un certo punto Vivien si trovò a sperare di non incrociare nessuno debole di cuore! E
neanche uno forte di cuore, a pensarci bene: il rischio che quei due sparassero prima e
facessero poi le domande, le sembrava fin troppo reale!
Fortunatamente non incontrarono nessuno ed arrivarono senza incidenti nel garage
dell’albergo dove trovarono gli altri due poliziotti che li aspettavano vicino alle auto.
Il tragitto fino all’ufficio della Procura fu teso ma privo di eventi di rilievo.
13
Vivien lo guardò inarcando un sopracciglio e chiedendogli con un mezzo sorriso:
“Iceman?”
Martin sorrise tra se:
“Era il mio nome in codice, tutti noi ne avevamo uno, quello che usavamo con la radio. Me
lo diedero durante l’addestramento e non mi ha più lasciato. I miei istruttori apprezzavano
molto quella che chiamavano “la mia capacità di non cadere in preda al panico nelle
situazioni di stress”. A me non sembrava di comportarmi in modo molto diverso dagli altri.
Ma anche i ragazzi dicevano che ero un maledetto pezzo di ghiaccio”.
“Chissà perchè ti dicevano così!” Vivien stemperò con un sorriso la frase ironica
“Tu dici?” replicò lui sorridendo in risposta
Il viso di Vivien tornò serio:
“Quindi hai usato le carte per congedarti”
“La mia ultima missione è stata in Colombia, davamo la caccia a trafficanti di cocaina, tanto
per cambiare... Avevamo fatto saltare due raffinerie di coca al confine con il Brasile, ma
qualcuno al Dipartimento di Stato e il Colonello Mc Kinsley, allora comandante della nostra
compagnia, fecero un accordo con i trafficanti.
Il prezzo eravamo noi. Eravamo in otto nella squadra, e quelli hanno dei veri eserciti laggiù.
Ci abbandonarono lì e diedero ai colombiani.le informazioni necessarie per trovarci ”
Ci fu una pausa di silenzio e Vivien vide la bocca contratta di Martin.
“Ci hanno dato la caccia per giorni. Quando abbiamo capito che gli elicotteri non sarebbero
venuti a prenderci, abbiamo passato un brutto momento.
Poi ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo cercato di fare quello che eravamo stati
addestrati a fare: sopravvivere.”
“Stai dicendo che vi hanno abbandonato laggiù?”
“Esatto. Ci hanno abbandonato, o meglio ci hanno sacrificato. Solo Dio sa per quale
contropartita. Eravamo in otto: abbiamo attraversato la giungla della Colombia a piedi, poi
siamo passati a Panama ed abbiamo attraversato tutto il Centro America, rubando veicoli,
facendo l’autostop, sempre fuggendo dai killer dei colombiani che ci davano la caccia.
Alla fine, ad attraversare il Rio Grande più di un mese dopo, fummo solo in due: io e il mio
compagno Pablo.” Martin sorrise appena senza allegria.
“Non eravamo granché in forma purtroppo: Pablo morì pochi giorni dopo in ospedale, io
sopravvissi ancora una volta, solo per essere una fonte di notevole imbarazzo per i marines
degli Stati Uniti.
Non avevo avuto la decenza di farmi ammazzare, e qualche giorno dopo essere stato
dimesso dall’ospedale, spezzai la schiena al colonnello Mc Kinsley, mettendolo su una sedia
a rotelle per il resto dei suoi giorni, che spero siano molti e molto dolorosi.”
Vivien si passò una mano sulla fronte, chiamata ancora una volta ad affrontare il dilemma tra
un comportamento che lei riteneva inaccettabile da un lato, e le cause all’origine dello stesso
che lo facevano sembrare non solo motivato, ma perfino giusto e quasi inevitabile.
“Mi portarono dritto davanti alla corte marziale: di nuovo sotto processo! - il volto di Martin
era duro e spietato - ma stavolta ero pronto. Portai le prove del coinvolgimento di Mc Kinsley
con i colombiani, ma non solo. Usai i documenti che Jeremy mi aveva lasciato e dissi
chiaramente loro che io ero un detonatore a uomo morto.”
“Un che cosa?” Vivien chiese, confusa
“Un detonatore a uomo morto - spiegò Martin con un lieve sorriso - è un simpatico aggeggio
che fa sì che finchè uno è vivo, la bomba non esploda, ma appena uno muore... booom!”
“Quindi li hai ricattati!”
“Giusto. Li ho ricattati ed ha funzionato. Non potevano certo permettere che quella roba
arrivasse ai media o alla Corte Suprema, o a qualche commissione del Senato. Mi hanno
concesso il congedo con onore, non sono stato perseguito per quello che avevo fatto a Mc
Kinsley, e non mi hanno ammazzato subito dopo il congedo. Mi hanno perfino procurato il
posto in polizia! Anche se quello io non l’avevo chiesto e non l’hanno fatto certo per me.”
Vivien fu sorpresa da questa affermazione e lo guardò perplessa:
“E perchè l’hanno fatto secondo te?”
Martin rimase un attimo pensieroso, prima di rispondere:
“Io so solo uccidere. Ho fatto solo quello tutta la mia vita. Che lavoro potevo trovare da
civile? Ritengo che abbiano pensato che non ci fosse molta scelta: o fare il poliziotto, o il
mercenario o finire a fare il criminale. Credo l’abbiano considerata una scelta obbligata. E
io ne sono stato contento, visto che condividevo i loro stessi dubbi circa la mia capacità di
sopravvivere nella vita e nella società da cui ero stato strappato a 17 anni.”
Nei giorni successivi la vita di Vivien ritornò lentamente nei binari consueti anche se
continuava a non ritornare a casa sua la sera, ed aveva sempre la Bacall e Gray alle
costole. Imparò ad apprezzare la Bacall, una donna seria e concreta, ma anche spiritosa
e capace di un’ironia pungente e osservazioni caustiche, che la faceva ridere durante i
momenti liberi con i suoi aneddoti familiari e di vita nel ghetto.
Gray invece la lasciava perplessa: un uomo insolitamente tranquillo che sembrava amare
la lettura dei classici, soprattutto Steinbeck, molto professionale sul lavoro, ma sempre
con un’aria distaccata, un po’ distante, anche quando timidamente sorrideva per schernirsi
davanti alle allegre ma pungenti provocazioni della Bacall che ogni tanto cercava di indurlo a
parlare di se stesso e soprattutto delle sue preferenze sessuali. Evidentemente questa storia
delle preferenze sessuali di Gray era diventata una specie di tormentone tra i colleghi. Vivien
era quasi sicura che ci fossero fior di scommesse a riguardo nel dipartimento!
Il giudice Maertens venne dimesso dall’ospedale e la Commissione d’Inchiesta riprese il suo
lavoro anche se era chiaro come si stesse andando verso un’archiviazione, cosa che non
mancò di riempire di soddisfazione il Capo O’Brien che iniziò a richiedere menzioni d’onore
per diversi suoi agenti.
Ramon Calvano era stato trasferito con una scorta imponente in un carcere federale di
massima sicurezza, dove subiva le poco gentili attenzioni della DEA che aveva preso a
torchiarlo pesantemente.
Juan Pablo Calvano era invece ancora a piede libero, cosa che aveva spinto O’Brien ad
assegnare un’altra volante alla protezione di Vivien, nonostante le ristrettezze del budget.
Vivien aveva scoperto che questa decisione le aveva instillato un’ansia sotterranea che
emergeva di tanto in tanto, quando vedeva le sue guardie del corpo irrigidirsi e portare le
mani alle armi, alle volte per motivi che le risultavano incomprensibili.
14
Leroy Hammonds apriva e chiudeva la bocca, incapace di pronunciare una parola. Una
cosa era pensare di essere nei guai, un’altra era stata ascoltare le parole del giudice che
pronunciava la sentenza. Dieci anni! In un carcere statale, niente più riformatorio per lui.
I poliziotti, il vecchio grassone e lo smilzo nervoso, si scambiarono un cenno di intesa si
chinarono su di lui e lo alzarono prendendolo sotto le ascelle.
Praticamente lo trascinarono fuori dall’aula. Leroy vide con la coda dell’occhio la madre che
piangeva, il viso tra le mani, e la disperazione semplicemente lo travolse.
Con un urlo inarticolato diede una gomitata in faccia allo smilzo strappandogli dalle mani
lo sfollagente, poi un calcio al basso ventre al grassone e quando quello si piegò in due
abbatté lo sfollagente sulla sua nuca, e cominciò a correre.
Se solo fosse uscito dal tribunale, era l’unica cosa che riusciva a pensare, avrebbe potuto
nascondersi nel suo vecchio quartiere, se la sarebbe cavata... i ragazzi della banda gli
avrebbero dato una mano.
Mentre le grida dietro di lui salivano Leroy si lanciò in una folle corsa lungo i corridoi,
travolgendo chiunque gli si parasse davanti, animato da una folle esaltazione cercando
disperatamente un’uscita.
Il corridoio piegava a destra e lui fece la curva rimbalzando sulla parete e continuò a
correre. Registrò appena la presenza di un uomo vestito di scuro vicino al muro, ma la
sua attenzione si concentrò sulle due donne nere che si trovavano a qualche metro da lui.
Cavolo una era uno sbirro e stava portando la mano alla pistola.
Cazzo non avrebbe fatto in tempo! Leroy accelerò ancora la sua corsa sollevando lo
sfollagente, certo che sarebbe riuscito a colpirla prima che estraesse l’arma.
Il dolore esplose lancinante sul lato destro del torace e il suo corpo venne scagliato contro il
muro. L’impatto gli fece espellere in uno sbuffo tutto il fiato che gli era rimasto e i suoi occhi
si riempirono di lacrime mentre scivolava senza forze al suolo.
Una mano alla gola lo inchiodò contro il muro e Leroy si ritrovò a guardare dentro la canna
di una pistola. Cazzo quel buco era enorme! Leroy ebbe l’impressione di poterci precipitare
dentro, e tra quello, il dolore al fianco e lo shock, ebbe un violento attacco di nausea,
lasciò cadere lo sfollagente e alzò le mani tremanti ancora ammanettate quasi a cercare di
proteggere il viso.
La mano si ritrasse, e il ragazzo si accasciò lentamente ai piedi del muro rantolando in cerca
d’aria.
Il poliziotto smilzo arrivò di corsa, il volto insanguinato, raccolse lo sfollagente e con una
imprecazione lo abbassò con violenza sul ragazzo accasciato al suolo. Una mano di ferro
bloccò il suo braccio, nonostante la forza che aveva messo nel colpo, e lo smilzo si ritrovò a
guardare gli occhi chiari e gelidi del poliziotto che aveva fermato il ragazzo.
“Non è necessario” disse a bassa voce Martin, lasciandolo poi andare.
Per un attimo i due rimasero a guardarsi, poi l’altro poliziotto annuì, si chinò, rimise in piedi a
fatica il ragazzo, portandolo via con se tenendolo ben stretto per un braccio.
La Bacall ripose con un sospiro la pistola e anche Martin rinfoderò la sua rilassandosi
visibilmente.
Vivien rimase immobile nel corridoio, senza rendersi conto che le persone intorno a lei
ricominciavano a muoversi e a tornare ai loro affari commentando con voci alte ed eccitate
quanto era successo. Lei rimase lì a pensare a quello che aveva visto, soprattutto alla
accecante velocità della reazione di Martin che aveva colpito al volo con un calcio al torace
in perfetto stile arti marziali il ragazzo che correva, quando quelli che erano intorno a lui, lei e
la Bacall compresi, non avevano neppure incominciato a reagire.
Poi si riscosse e fece un mezzo sorriso alla Bacall che la guardava:
“Va tutto bene Signora?”
“Sì grazie Marion, sono solo rimasta un po’ sorpresa.”
Martin intervenne, guardandola negli occhi, con voce pacata e tranquilla:
“E’ stato un incidente isolato. Quel ragazzo non ce l’aveva con lei, stava solo cercando di
scappare. I colombiani non c’entrano...”
Vivien gli sorrise, grata del tentativo di rassicurarla.
“Sì lo immagino. Non mi sono spaventata, solo mi ha colto di sorpresa. Non me l’aspettavo.”
Martin annuì, pensando che quando sorrideva era davvero una bella donna.
“Lei ha reagito molto in fretta” proseguì Vivien mentre si avviavano verso gli uffici della
Procura presso il tribunale.
“Non ho fatto nulla di speciale - si schernì lui - l’ho solo colpito mentre passava. Sono stato
fortunato”.
“Sì, certo, un giochetto da ragazzi! Che volete che sia...” bofonchiò Marion Bacall, con un
tono che grondava sarcasmo
“Inoltre ha impedito all’altro poliziotto di colpire ancora il ragazzo...” proseguì Vivien
“Non era necessario - rispose Martin, voltandosi per un attimo verso di lei, per poi tornare
subito a scrutare il corridoio che stavano percorrendo - il ragazzo si era arreso”.
Vivien si fermò, e appoggiò la mano sul braccio di Martin che si voltò verso di lei:
“L’ho apprezzato molto. - disse guardandolo dritto negli occhi - La ringrazio”.
Martin esitò un attimo, poi le rispose col suo solito tono tranquillo:
“Era mio dovere, Signora”
Distesa sul letto, Vivien guardava Martin che si era finalmente addormentato al suo fianco.
Dormiva apparentemente sereno, respirando regolarmente, ma adesso che conosceva
quello che era stata la sua vita, Vivien non poteva fare a meno di chiedersi quali incubi
potessero popolare le sue notti.
Con la mente riandò a quella che era stata la sua vita: nata in una famiglia bene di Boston,
i suoi studi in scuole di alto livello culminati nella prestigiosa facoltà di Legge ad Harvard,
il suo breve matrimonio, finito con un consensuale, molto educato e civile accordo con l’ex
marito. La sua gioventù era stata segnata dai successi, dalle feste con i coetanei, lo sport.
Alla stessa stregua, la sua carriera l’aveva portata lì a Seattle, dove era l’unica candidata a
prendere il posto del Procuratore una volta che lui avesse seguito le sue ambizioni politiche
al Senato o sul seggio di Governatore.
Nonostante il suo lavoro, finora crimine e violenza erano stati per lei solo un qualcosa
di estraneo, con cui aveva a che fare solo in terza persona. Era entrata in contatto con
criminali e vittime, ma sempre rimanendo distaccata, non coinvolta.
Era incredibile pensare che, mentre lei viveva una serena gioventù e iniziava una brillante
carriera, negli stessi anni e negli stessi giorni, solo a pochi chilometri di distanza, al
ragazzo che ora, uomo, dormiva accanto a lei, veniva rubato tutto: la vita che conosceva,
la famiglia, l’amore. Veniva portato a conoscere il carcere, la violenza, imparava a uccidere
e a sopravvivere in un mondo fatto di sangue, odio e crudeltà, un mondo che lei credeva
scomparso forse da secoli.
Un mondo in cui le pochissime persone che si erano comportate con quella che lei avrebbe
considerato normale comprensione ed umanità, erano così inusuali e sorprendenti da
essere rimaste nella sua memoria come pochi, luminosi fari che lui ricordava con profonda
gratitudine.
E nonostante tutto, quell’uomo che era lì con lei, aveva mantenuto la sua sanità mentale,
le aveva salvato la vita anche se lei poteva essere stata considerata, almeno all’inizio, una
sua nemica, aveva rischiato tutto per lei. L’aveva tenuta stretta tra le braccia, aveva sopito
la sua paura facendola sentire protetta e non abbandonata quando il suo mondo era stato
contaminato all’improvviso da quella stessa terrificante spietata violenza.
Se c’era una cosa che non mancava nel mondo di Vivien era l’ipocrisia, ma quando lei gli
aveva chiesto di raccontarle la sua storia, lui l’aveva fatto, sinceramente, senza nasconderle
nulla, raccontandole cose che, lei era certa, non aveva mai detto a nessuno.
Uno come lui, che aveva tutte le ragioni del mondo per essere un paranoico, si era invece
fidato di lei.
Non le aveva chiesto nulla, si era semplicemente fidato di lei. E lei sentiva che le aveva
detto tutta la verità, senza nasconderle nulla.
Protese una mano a sfiorargli il viso, ma prima ancora che la sua mano lo raggiungesse,
lui aprì gli occhi e la guardò. Non si mosse e non cambiò il ritmo del respiro, e lei ci mise un
paio di secondi prima di rendersi conto che era sveglio e la stava guardando.
“Scusa! non volevo svegliarti.” gli sussurrò
“Va tutto bene?” le chiese lui con quel tono gentile che la sorprendeva sempre un po’.
“Sì sto bene, grazie”
Lui le sorrise.
15
La mattina dopo il giudice Maertens chiamò Vivien nel suo ufficio. Quando lei entrò si rese
immediatamente conto che qualcosa non andava.
La smorfia sul viso del giudice e l’aria tetra erano molto lontani dalla sua normale, gioviale
espressione da nonno felice.
“Siediti Vivien” le disse il giudice accennando alla sedia. Poi fece ponderosamente il giro
della scrivania e si sedette al suo solito posto, rimanendo in silenzio.
“C’è qualcosa che non va Vostro Onore?” chiese Vivien preoccupata
“Ascolta Vivien, - cominciò il giudice con aria cupa - ci sono delle novità e non sono
buone. Quanto ti dirò è assolutamente confidenziale, la notizia non deve uscire da qui, per
quanto...” Il giudice fece una pausa, scuotendo il capo con aria sconfortata. Vivien rimase
in silenzio, aspettando che il giudice si prendesse il suo tempo. Era la prima volta che si
rendeva pienamente conto di un fatto: il giudice Maertens era un uomo anziano, e quel
giorno mostrava tutti i suoi anni.
Il giudice sospirò e continuò con voce priva di emozione:
“Ramon Calvano è morto”
“Cosa? - Vivien era sconvolta - ma era in un carcere federale, in isolamento, sotto costante
sorveglianza...” la voce di lei si spense
“E’ stato avvelenato. Aveva cominciato a collaborare con i federali nella speranza di evitare
la condanna a morte. Riteniamo che il fratello lo sia venuto a sapere, probabilmente
attraverso quel loro avvocato dalle parcelle a sei zeri. In qualche modo sono riusciti ad
aggirare tutte le misure di sicurezza e a mettergli una bella dose di veleno nel cibo.
Vivien stai molto attenta: il fratello cercherà di vendicarsi. Nella loro mente contorta siete tu e
i poliziotti i responsabili della sua morte”
Il giudice la guardò in modo grave e preoccupato.
Vivien sorrise al giudice, si protese attraverso la scrivania e strinse la mano dell’uomo con la
sua.
“Non si preoccupi Vostro Onore starò attenta. E poi ho Gray e la Bacall che mi proteggono”.
“Neanche loro possono fare miracoli”
Vivien lasciò l’ufficio del giudice, e dovette ammettere con se stessa che era scossa. Ancora
una volta ebbe la percezione del reale rischio che correva, e nonostante la richiesta che
le aveva fatto il giudice, decise che avrebbe dovuto dire a Gray e alla Bacall che cosa era
successo. Glielo doveva: quei due rischiavano la vita per proteggerla.
Marion Bacall contrasse la mascella e l’espressione del viso si indurì, quando lei li riunì nel
suo ufficio e disse loro che cosa era successo. Gray rimase impassibile, quasi indifferente.
Vivien fu colpita dalla scarsa reazione dei due: sembravano non indifferenti, ma accettavano
con grande facilità quello che lei percepiva come un incremento significativo del livello di
rischio per tutti loro.
La luce era grigia e incerta anche se il mattino ormai era avanzato. Vivien guardava dalla
finestra i grandi fiocchi di neve che cadevano fitti dalle nubi che incombevano grigie e
pesanti. Ebbe un brivido di freddo, stringendo le mani attorno alla tazza piena di caffè
bollente per riscaldarsele.
Sussultò lievemente sentendo le braccia di Martin che la circondavano, avvolgendo intorno
ad entrambi la coperta imbottita; un sorriso le distese il viso mentre appoggiava la schiena e
la nuca contro il torace nudo di lui.
Si sentiva bene, rilassata. La tensione e la paura degli ultimi due giorni erano
completamente svanite. Si sentiva al caldo e al sicuro tra le sue braccia.
Guardò di nuovo fuori e sorrise ancora: finchè continuava a nevicare in quel modo, erano
completamente al sicuro. Le strade erano bloccate e gli elicotteri costretti a terra. Non
potevano essere raggiunti lassù. Bevve un sorso di caffè e si rilassò ancora socchiudendo
gli occhi.
Martin continuava a tenerla stretta a sè, e depose un bacio leggero sui suoi capelli.
“Nevica ancora”
“Sì, ancora oggi nevicherà. Domani smetterà”
“Domani...”
16
Era passato qualche giorno dal suo colloquio con il giudice Maertens, e Vivien iniziava a
sentir recedere la tensione, l’ansia sotterranea che l’aveva suo malgrado agitata. Con il
diminuire della tensione ritornava prepotente l’insofferenza che la vita sotto scorta stava
iniziando a procurarle.
La vita d’albergo le era sempre meno tollerabile: la sequenza di stanze tutte ugualmente
anonime, prive di qualsiasi elemento che la facesse sentire a casa, una mera serie di non
luoghi dove dormire, cominciava a logorarla.
Non ne poteva più della mancanza dei suoi spazi e della sua privacy. Per carità la Bacall era
simpatica, e Gray era Gray, era fatto così. Per un attimo lasciò che i suoi pensieri vagassero
sul giovane: non poteva dire di conoscerlo molto di più rispetto alla prima volta che si erano
incontrati, era un uomo molto chiuso e riservato. Non era però affatto sgradevole ed aveva
dei sorprendenti momenti in cui manifestava una natura che poteva essere definita solo
come gentile ed empatica, che lei non si sarebbe mai aspettata in uno che faceva il suo
mestiere. Ed era anche un bel ragazzo, il che non guastava certo, e qui Vivien fece una
smorfia considerando il tracollo subito dalla sua vita sociale che aveva portato i suoi pensieri
ad indirizzarsi sul quel sentiero. Entrambi, Gray e la Bacall, cercavano di essere il più
discreti possibile, ma semplicemente non le era possibile cancellare dalla sua coscienza la
loro costante presenza.
Mentre l’ascensore scendeva rapidamente verso il basement del Distretto di Polizia
Ovest, dove l’aspettavano le auto, Vivien pensò che parte della propria insofferenza era
sicuramente dovuta alla frustrazione per gli scarsi, se non nulli, progressi che stavano
registrando le indagini, tanto le sue che quelle condotte dalla Polizia.
Erano passate ormai tre settimane dall’operazione Caccia al Tesoro e dal massacro che
ne era scaturito: ormai la sua inchiesta sulla sparatoria era praticamente conclusa e le
conclusioni andavano verso un’archiviazione avendo dimostrato la correttezza dell’azione
della polizia, ma l’intera operazione, nonostante tutto, si era rivelata un vicolo cieco.
L’identificazione di coloro che avevano preso parte alla sparatoria non aveva portato a
nessun nuovo sviluppo: erano solo manovalanza criminale di basso livello e mercenari. La
morte di Ramon Calvano aveva sigillato l’evento, privandoli della possibilità di approfondire
le indagini e assestare nuovi colpi alla struttura del clan.
La riunione che si era svolta quel pomeriggio nel Distretto Ovest, competente sul porto,
era stata decisamente frustrante e inconcludente e Vivien sospirò, sentendosi stanca e
scoraggiata.
Sentendola la Bacall la guardò con coda dell’occhio e lei abbozzò un mezzo sorriso
rassicurante in risposta. Poi le porte dell’ascensore si aprirono con un fruscio e i tre
uscirono.
Vivien rabbrividì stringendosi nel suo cappotto di alpaca candido: faceva freddo e le
previsioni parlavano di pioggia mista a neve in città; decisamente aveva bisogno di andare
a prendersi alcuni vestiti più pesanti, il tailleur che indossava era decisamente troppo
leggero.
I poliziotti delle volanti di scorta, che li aspettavano con le armi in pugno, la salutarono a
mezza voce. Tutti si affrettarono a salire in auto e si avviarono verso l’uscita del garage:
l’auto blindata preceduta e seguita dalle auto di pattuglia.
Come al solito Gray guidava e Marion Bacall sedeva sul sedile posteriore con lei.
Le auto sbucarono su Virginia Street dirigendosi verso gli uffici della Procura sulla 5th
Avenue; l’auto di pattuglia che precedeva azionò la sirena per chiedere strada alle auto che
occupavano la strada nel traffico del tardo pomeriggio, anche se i poliziotti non erano molto
preoccupati visto che il tragitto sarebbe durato al massimo un quarto d’ora.
Vivien guardò la fine pioggia gelata oscurare il cielo del crepuscolo rendendolo già buio in
silenzio. Anche la Bacall che di solito amava scambiare due chiacchiere con lei, qualche
volta anche troppo per i gusti di Vivien, si rese conto che lei non era dell’umore e rimase in
silenzio.
Le auto svoltarono a destra su Stewart Street e poi a sinistra imboccando la 5a Avenue.
Le tre auto procedettero regolarmente, superando in pochi minuti Pine Street e Pike Street,
poi avvicinandosi e superando l’incrocio con University Street.
L’occhio di Gray venne attirato da un sottile filo di fumo grigio che scendeva obliquamente
verso la strada passando appena sopra la loro auto.
“RPG!” gridò schiacciando a fondo l’acceleratore. La macchina balzò in avanti, il ruggito del
motore otto cilindri che riempiva all’improvviso l’abitacolo.
Il razzo mancò la loro auto e colpì invece con precisione il cofano dell’auto della polizia che
li seguiva. L’esplosione fiorì arancione nell’oscurità, distruggendo l’auto, uccidendo i due
poliziotti della scorta e ferendo numerosi passanti.
Martin lanciò l’auto che sbandava a causa dell’onda d’urto dell’esplosione, in una folle
curva a destra imboccando in piena velocità, con le sirene urlanti, Seneca Street. I poliziotti
nell’auto di pattuglia davanti a loro, colti completamente di sorpresa, frenarono di colpo
facendo fare all’auto un testacoda per cercare seguire l’auto blindata ma era troppo tardi.
Dai piani alti dell’edificio della YWCA all’angolo tra la 5a e Seneca, un secondo razzo
partì. Mancò di pochi centimetri il paraurti posteriore della volante ed esplose sull’asfalto
proiettando in aria l’auto della polizia e facendone esplodere il serbatoio.
Due grossi Hummer neri, usciti dal parcheggio del Crowne Plaza Hotel, si lanciarono
all’inseguimento dell’auto blindata con un grande stridio di gomme sull’asfalto bagnato.
La luce a mezzogiorno era scarsa, sotto il cielo basso di nuvole grigie, la nevicata
continuava ancora anche se l’intensità era molto scemata.
Vivien scoprì di essere affamata mentre lo guardava preparare il pranzo, che si dimostrò
essere semplice ma decisamente appetitoso: sapeva anche cucinare più che discretamente
il giovane Martin! Un partito da non lasciarsi sfuggire, pensò Vivien sorridendo tra sè.
Quando si accorse che lui la osservava con un lieve sorriso e alzando un sopracciglio con
aria interrogativa, lei si strinse lievemente nelle spalle. Avevano parlato poco quella mattina,
ciascuno perso nei propri pensieri, cercando di metabolizzare quanto era accaduto tra loro la
notte precedente.
Qualcosa era decisamente cambiato nella vita di Martin e lui cercava di afferrare le
dimensioni di questo cambiamento, dimensioni e conseguenze che sentiva di lunga portata.
Sapeva di aver affrontato un’altra svolta, di dover, adesso, fare i conti con un altro Martin,
con un’altra vita davanti, ancora diversa.
Vivien guardava in se stessa e si chiedeva cosa le fosse accaduto, quanto l’aver affrontato il
giorno precedente, l’idea della morte prima e la notte con Martin poi, l’avessero cambiata, le
avessero dato una nuova prospettiva.
Guardava Martin con occhi diversi pensando a quante volte nel giro di pochi giorni avesse
dovuto rivedere le sue convinzioni su di lui: da assassino psicopatico a poliziotto di scorta,
discreto ma sempre presente. Poi di nuovo gelido assassino, poi compagno di fuga, amante
appassionato e ragazzo ferito profondamente che aveva messo nelle sua mani tutta la sua
vita, senza remore, affrontando il suo giudizio con coraggio ma nello stesso tempo con
grande semplicità, come se per lui fosse ovvio e logico farlo, inevitabile.
Riandò con la mente a tutto quello che le aveva raccontato della sua vita, e ad un tratto
corrugò la fronte ricordando una parte rimasta incompiuta nel suo racconto.
Alzo lo sguardo, e trasalì incontrando i suoi occhi limpidi che la guardavano:
“Cosa c’è? - gli chiese - ho fatto qualcosa?” leggermente confusa
“No scusa, immagino di averti fissato un po’ troppo... scusa”
Lei gli sorrise:
“E che cosa vedi?” gli domandò con aria un po’ maliziosa
“Sei bellissima!”
Il sorriso di lei si allargò mentre allungava la mano ad intrecciare le dita con quelle di lui sulla
tavola. Poi il viso di lei si fece di nuovo serio, lo guardò dritto negli occhi e gli chiese:
“Martin che cosa hai fatto a quelle persone? quelle che hanno rovinato la tua vita”
Il sorriso svanì dal viso di lui che la guardò negli occhi per un attimo, serio. Poi si rilassò
indietro sulla sedia e riprese a raccontare:
“Fu facile trovare le prove della corruzione dello sceriffo. Ne aveva fatti di favori in giro ai
potenti locali, in cambio aveva avuta garantita la rielezione per più di 15 anni, una bella casa
che non avrebbe mai potuto permettersi con lo stipendio da sceriffo e parecchi soldi in vari
conti in banca.
La denuncia anonima che fece indagare su di lui lo portò dritto in tribunale davanti allo
stesso giudice che aveva condannato me. Era tranquillo lo sceriffo, sicuro che il giudice lo
avrebbe assolto, visto quello che sapeva di lui.
Non poteva sapere che io ero andato a trovare il giudice. Non si ricordava di me ovviamente,
ma quando capì chi ero gli venne quasi un infarto. Del resto quando guardi nella canna di
una pistola con il silenziatore impugnata da un morto, può succedere di avere questo tipo di
reazioni! - Martin sorrise e Vivien pensò che sperava di non vedere mai quel tipo di sorriso
indirizzato a lei - Gli dissi che lo avevo condannato a morte e gli feci credere che avrei
ucciso lui e tutta la sua famiglia, inclusa la nipotina che adorava. Gli dissi che la sentenza
era solo sospesa, ma che se non avesse condannato il suo vecchio amico almeno alla
stessa pena che aveva inflitto a me, l’avrei eseguita subito. Gli dissi che dipendeva solo da
lui comprare un po’ di tempo per se e il resto della sua famiglia.
Feci attenzione a farmi vedere da lui, nel suo tribunale, il giorno in cui doveva emettere la
sentenza. Era terrorizzato e condannò lo sceriffo. Dovevi vedere la faccia di quel figlio di
puttana quando si rese conto che il giudice lo aveva condannato a finire proprio nel carcere
dove avevano mandato me! figurati un poliziotto in un posto del genere... E’ sopravvissuto
circa una settimana in quell’inferno e non è stata una passeggiata.”
Vivien lo guardò sconvolta, e Martin le restituì lo sguardo senza fare una piega, il viso freddo
e spietato che sorrideva appena. Lei si rese conto che lui non provava nessuna pietà,
lo sceriffo era morto e lui ne era non contento, ma soddisfatto sì, come può esserlo una
persona di un lavoro ben fatto, una persona convinta di aver fatto la cosa giusta.
Quell’uomo gli aveva distrutto la vita, questo era indubbiamente vero, ma Vivien fu colpita
dalla raffinata ferocia della vendetta di Martin. Non si era sporcato le mani direttamente,
ma l’aveva distrutto e ucciso con assoluta spietatezza e una buona dose di crudeltà: aveva
fatto in modo che soffrisse e venisse ucciso senza che nulla potesse essere direttamente
addebitato a lui. A parte le minacce al giudice ovviamente.
“Lo sceriffo si vendicò confessando svariati affari non proprio legali in cui il giudice aveva
avuto la sua parte, e fornendone le prove: il giudice venne incriminato ma si suicidò prima
del processo” il sorriso di Martin era chiaramente soddisfatto: un altro aveva pagato!
“Il direttore del carcere... per lui fu più difficile trovare le prove, ma troppi uomini erano
morti in quell’inferno. Piano piano, accumulando prove e testimonianze, alla fine riuscii
ad incastrarlo. Corruzione e concorso in omicidio: tentò di fuggire ma morì in un incidente
d’auto mentre era inseguito dalla polizia.”
Pacato, indifferente. Poi si tese e Vivien seppe che stava arrivando al punto:
“Da ultimo andai dal padre di Audrey: lui era il vero colpevole di tutto. Quando mi vide non
fu neanche sorpreso. Solo molto tempo dopo ho capito la sua espressione quando mi vide
comparire davanti a lui, pistola puntata e soprattutto quando gli dissi chi ero: era sollievo. Si
convinse in quel momento che ero andato lì per ucciderlo, e ne era contento.
Christine mi aveva raccontato che cosa era successo ma io non ne avevo valutato bene
l’impatto che aveva avuto su di lui.
Dopo la morte di Audrey, la madre era quasi impazzita per il dolore, per non essere stata
capace di fermare il marito, e si era data ad alcool e droga. Il marito aveva provato a
costringerla a disintossicarsi, ma lei era morta di overdose meno di un anno dopo la morte
della figlia. Christine ha assistito la madre come ha potuto, ma dopo la sua morte ha
pianificato con cura la sua fuga.
Il padre era diventato ossessivo con lei, l’ultimo membro della sua famiglia rimasto, ma lei
era troppo furba e considerava il padre responsabile della distruzione delle famiglia. Con
cura, poco alla volta, ha raccolto una cospicua cifra in contanti, e un giorno è uscita di
casa dicendo al padre che andava a fare shopping, invece ha lasciato tutto, è andata alla
stazione degli autobus ed è partita.
Ha cambiato più volte direzione, si è tagliata e tinta i capelli, e quando ha pensato di essere
riuscita a far perdere le sue tracce si è diretta a Chicago, dove ha trovato lavoro come
insegnante e ha cominciato a ricostruirsi una vita.
Dopo qualche anno si è trasferita a Boston, dove ha conosciuto il suo attuale marito, si
sono sposati e ora vivono felici lì con tre marmocchi. Lei insegna, lui è un bravo falegname,
lavorano molto e sono felici. Vado spesso da loro, ogni volta che posso, mi piace l’atmosfera
di quella casa.”
L’espressione di Martin era facile da decifrare stavolta, come la piccola ma evidente nota
di rimpianto nella sua voce: per Vivien era chiaro che Martin guardava loro con il rimpianto
di quella che sarebbe potuta essere la sua vita e ancora una volta si sentì profondamente
rattristata per lui, per tutto quello che aveva perso.
Dopo una breve pausa, Martin continuò, la voce nuovamente monocorde e spenta:
“L’abbandono dell’ultima figlia fu il colpo di grazia per quel bastardo: si diede all’alcool e si
disinteressò dei suoi affari, in breve tempo perse la sua compagnia e anche il suo ranch,
che apparteneva alla sua famiglia da generazioni. Quando lo trovai, viveva in un piccolo
appartamento sudicio, un ubriacone che mi accolse con sollievo convinto che lo avrei
ucciso, mettendo fine ad una vita che non aveva più senso per lui.”
Martin tacque.
“L’hai ucciso?” chiese Vivien, stupita dal tono tremante della sua stessa voce.
Martin la guardò:
“Naturalmente no! Gli avrei fatto un favore, era quello che lui voleva, ma non quello che
volevo io. - sembrò esitare un attimo ma quando riprese a parlare la sua voce era ferma,
bassa e feroce - Io non avrei mai potuto trovare un modo per farlo soffrire di più di quanto
stesse già soffrendo, ancora di più adesso che aveva la certezza che io ero sopravvissuto
e lui aveva perso tutto. L’ho lasciato lì, a contemplare il fondo del suo bicchiere pieno di
pessimo whisky: era tutto quello che gli rimaneva.”
Vivien fu percorsa da un brivido.
17
Martin schiacciò a fondo il pedale dell’acceleratore, gli occhi che saettavano allo specchietto
retrovisore ogni due secondi. Sul sedile posteriore, Marion aveva afferrato Vivien e la teneva
schiacciata tra i sedili.
Il furgone bianco li intercettò all’incrocio con la 3a Avenue: l’uomo che si sporgeva dal
finestrino impugnando una mitraglietta aveva i riflessi pronti e una buona mira: investì l’auto
con una lunga raffica.
La blindatura fece egregiamente il suo dovere: non uno dei proiettili riuscì a penetrare
all’interno. I tre sentirono una serie di impatti, come se qualcuno stesse prendendo a
martellate l’auto, i due finestrini laterali si riempirono di crepe, ma non cedettero.
Martin sentì l’auto beccheggiare all’improvviso e si rese conto che qualcuna delle pallottole
doveva aver colpito uno dei pneumatici. Senza pensarci sfruttò lo scarto laterale per
infilare l’auto in un vicolo alla sua sinistra. L’auto si andò ad incastrare tra il muro e i grossi
contenitori metallici per l’immondizia, ostruendo completamente il vicolo.
Vivien era sconvolta: Gesù quanto era forte Marion! la teneva schiacciata giù sul sedile
posteriore. L’auto beccheggiò sballottandola brutalmente per poi fermarsi dopo pochi
secondi in un acuto stridore di gomme.
Vivien si sentì sollevare di peso e si ritrovò seduta sull’asfalto gelido e umido, la schiena
appoggiata all’auto. Si guardò intorno scossa cercando di capire che cosa stesse
succedendo. Marion e Martin erano accovacciati accanto a lei, uno per lato, dietro il riparo
fornito dall’auto blindata e sembravano attendere qualcosa. Da dove avevano tirato fuori
quelle armi? era quasi certa di non averle mai viste nell’auto eppure Marion impugnava un
fucile a pompa e Martin aveva quello che sembrava un fucile mitragliatore militare.
Il primo Hummer imboccò il vicolo a forte velocità. Martin reagì immediatamente: la raffica
che partì dal suo fucile disegnò una perfetta diagonale di fori sul parabrezza dell’auto,
inchiodando i due uomini ai sedili anteriori, i corpi che sussultavano sotto l’impatto delle
pallottole.
L’auto sbandò andando ad impattare contro il muro del vicolo. Martin svuotò il resto del
caricatore sulla macchina. Più tardi tutti i 32 proiettili contenuti nel caricatore furono estratti
dall’auto e dai corpi dei 4 uomini a bordo.
Vivien guardò affascinata la mano sinistra di Martin fare una specie di gioco di prestigio,
estraendo il caricatore vuoto dal mitra e inserendone uno nuovo con un unico fluido gesto.
“Cristo!” esclamò Marion mentre il secondo Hummer, seguito dal furgone bianco,
imboccavano insieme il vicolo. Il guidatore dell’auto non ebbe nessuna possibilità di evitare
l’urto con l’altra auto e i tre mezzi si incastrarono tra le strette pareti del vicolo. Questo li
fermò, ma salvò la vita degli uomini a bordo, proteggendoli parzialmente dal fuoco dei due
agenti: appena le auto si fermarono, gli uomini si gettarono fuori dai mezzi e aprirono il fuoco
contro l’auto blidata ferma a poco più di una decina di metri di distanza.
Due uomini cercarono di superare il groviglio di auto e avanzare: Martin ne inchiodò uno al
muro con un preciso colpo alla testa, Marion si alzò in piedi e centrò l’altro con due colpi. I
pallettoni fecero scempio del torace dell’uomo facendolo volare indietro a sbattere contro il
muso del furgono bianco, su cui lasciò una strisciata di sangue accasciandosi al suolo.
“Marion stai giù” urlò Martin ma era già troppo tardi. Altri due uomini si affacciarono sull’altro
lato del groviglio di auto sparando a raffica con le mitragliette. Martin li abbattè entrambi ma
Marion venne colpita: il primo colpo la centrò sul giubbotto facendola piroettare su se stessa,
la seconda la colpì sotto l’angolo della mascella penetrando nel cervello. Marion era morta
ancora prima di crollare al suolo.
Vivien gridò, incapace di distogliere gli occhi da quelli fissi e vuoti della donna che solo pochi
secondi prima chiacchierava con lei.
Martin scaricò il fucile contro le auto in una lunga raffica costringendo tutti gli uomini a
gettarsi al coperto, poi prese per mano Vivien, la tirò in piedi e cominciò a correre con lei
verso l’altra estremità del vicolo, abbandonando il fucile scarico e tenendosi al riparo dei
contenitori dell’immondizia.
Sbucarono sempre correndo dal vicolo su Spring Street, e si mescolarono ai passanti
che fuggivano mentre due macchine cariche di agenti federali si fermavano stridendo in
mezzo alla strada e un’altra auto, proveniente dalla direzione opposta, faceva lo stesso. Gli
uomini a bordo e i federali balzarono fuori dalle auto e iniziarono un intenso scontro a fuoco,
causando la fuga disordinata dei passanti in preda al panico.
Martin si confuse abilmente tra la folla in fuga trascinando con se Vivien per un isolato, poi
girò bruscamente a sinistra sulla 1a Avenue e si infilò immediatamente nel negozio della
North Face all’angolo.
Lui e Vivien erano bagnati e intirizziti dal freddo, avendo lasciato giacconi e cappotto in auto,
e Martin sapeva che, a parte il freddo e la pioggia gelida, così davano troppo nell’occhio.
Acquistò in contanti due giacconi imbottiti, uno per se e uno per Vivien e poi la trascinò di
nuovo fuori. Non gli piaceva molto lo sguardo fisso negli occhi di lei, era chiaramente sotto
shock e doveva trovare il modo di farla riposare almeno qualche minuto in un posto sicuro.
Se fosse crollata sarebbero stati nei guai.
Si diressero camminando veloci ma senza correre verso ovest, passando sotto il viadotto
della Alaskan Highway e poi svoltando verso sud.
Meno di mezz’ora dopo erano seduti sul traghetto che si staccava dalle banchine del porto
diretto a Bainbridge Island.
18
“Si cambi - le disse Martin lasciando degli abiti asciutti sul letto su cui era seduta - non
accenda la luce e non faccia rumore”.
“Dove va?” chiese lei con una voce che era poco più di un tremante sussurro.
“A prendere l’auto. Non possiamo fermarci qui. E’ pericoloso”
“Dove siamo?” chiese lei.
“Questa è casa mia” rispose lui, poi si voltò e lasciò la stanza chiudendo la porta nel più
assoluto silenzio.
Vivien si spogliò, togliendosi gli abiti bagnati e indossò quelli che le aveva lasciato lui.
Dovevano essere suoi: i pantaloni caldi e imbottiti le stavano un po’ grandi, come il maglione
di lana morbida. Si sedette di nuovo, ancora tremante, aspettando che lui tornasse nella
semioscurità della stanza, illuminata solo dalla luce dei lampioni della strada che entrava
dalle finestre schermate dalle tende.
Si sorprese ad osservare la stanza, colpita dal suo anonimato. Un letto, un armadio e poco
più ma nulla di personale, nulla che differenziasse quella camera da una stanza d’albergo.
Il lieve scricchiolio che sentì provenire dall’esterno le mozzò il respiro. in silenzio si alzò e a
piedi nudi si diresse verso la porta, senza staccare gli occhi dalla finestra.
Una mano d’acciaio si serrò sulla sua bocca e per un attimo Vivien fu travolta dal panico.
“Sono io, non gridi!” Il sussurro era teso e urgente ma la voce era indubbiamente quella di
Martin.
Per un momento il sollievo fu tale che Vivien avrebbe potuto piangere, e si abbandonò
contro di lui mentre la mano si allontanava dalla sua bocca. Ma immediatamente dopo la
paura ritornò mentre Martin la faceva accovacciare parzialmente al riparo dietro l’armadio e
lui si acquattava davanti a lei, puntando una pistola verso la porta della stanza e una verso
la finestra.
Rimasero così immobili per un tempo che a Vivien sembrò infinito. Il cuore le martellava
nel petto, benchè cercasse di controllarsi, il respiro usciva dalla sua bocca in brevi ansiti.
Un’ombra passò davanti alla finestra, poi dopo breve tempo un’altra. Ogni volta il respiro le
si bloccava e vide Martin tendersi. Il tempo fluì lentissimo ma nulla accadde.
Poi all’improvviso Martin si alzò, infilò le pistole nella cintura dei pantaloni, e la aiutò ad
alzarsi. Lei si aggrappò a lui, le gambe bloccate dai crampi per la posizione e la tensione.
“Cos’è stato?” sussurrò lei
“Dobbiamo andare” disse lui senza rispondere
“Sì” rispose lei senza riuscire a staccare le mani dalle sue spalle.
Lui rimase lì a guardarla per un attimo, la sentì tremare contro di sè, e si rese conto che il
terrore doveva averla quasi travolta. Le sue mani salirono a circondare la schiena di lei e la
strinsero. Lei sospirò abbandonandosi al suo abbraccio, appoggiando per un attimo la fronte
sulla spalla di lui. Lentamente respirò calmandosi, lasciando che il calore del corpo di lui
contro il suo scacciasse il gelo e la paura di quel folle pomeriggio. Per un attimo l’immagine
degli occhi senza vita di Marion Bacall le riapparve davanti agli occhi, strappandole un
singulto. Le braccia di lui la stinsero più forte, e lei si abbandonò scacciando con un atto
di pura volontà l’orrore per rilassarsi solo nel suo calore, nel suo abbraccio, facendolo
diventare il suo universo.
Non sapeva da quanto tempo lui la tenesse tra le braccia quando rialzò il viso a guardarlo
negli occhi che erano solo una pozza di oscurità nella penombra della stanza.
“Dobbiamo andare” ripetè lui, ma senza muoversi, senza lasciarla, e con una voce
totalmente diversa da quella fredda e distaccata di pochi secondi prima.
“Sì” rispose ancora lei, e si protese in punta di piedi deponendo un bacio leggero sulle
labbra di lui. Non sapeva bene perchè lo avesse fatto, aveva agito d’istinto.
Lui rimase un attimo impietrito, poi si chinò e la baciò con divorante passione. Quando
sciolsero riluttanti il loro abbraccio, lei non sapeva quanto tempo fosse passato. Si infilò
le scarpe e scesero tenendosi per mano nella cantina della casa; Martin aprì una porta
nascosta dietro un armadio di metallo, e passarono in uno stretto passaggio sbucando nel
garage di una villetta accanto alla sua.
Un grosso fuoristrada dai vetri oscurati aspettava parcheggiato nel box. I due salirono
rapidamente a bordo, Martin aprì con il telecomando la porta del box e partirono,
mantenendo una velocità moderata.
Vivien osservò attentamente Martin mentre guidava. Sembrava che si fosse dimenticato di
lei mentre divideva la sua attenzione tra la strada e gli specchietti retrovisori ma lei sentiva
che non era così.
La pioggia che era caduta incessantemente tutto il giorno si stava trasformando in neve
sempre più fitta.
19
“Che cosa sappiamo?” O’Brien guardò gli uomini seduti intorno al tavolo.
“La Cullen era senza dubbio l’obiettivo” replicò Jamieson
Wilson, l’uomo dell’FBI, annuì e continuò:
“Quei bastardi li hanno attaccati ad un paio di isolati dal nostro comando! Luridi figli di
puttana! abbiamo intercettato 2 delle loro auto, una a Spring Street e una sulla 5a Avenue.”
Il responsabile della DEA di Seattle, Sammy Lowe intervenne:
“Abbiamo identificato almeno 23 uomini di Calvano che sono arrivati in città negli ultimi
5 giorni. Sono quasi tutti mercenari, ma c’è anche Luis Figueroa il suo braccio destro: è
arrivato 2 giorni fa.”
“Nel vicolo tra Seneca e Spring, ne sono morti 7, altri 4 a Spring Street intercettati dall’FBI. 6
sulla 5a, intercettati dai nostri e dall’FBI.”
“Ok va tutto bene, ma dove sono la Cullen e Gray?” O’Brien richiamò tutti al punto.
“Hanno abbandonato l’auto nel vicolo, dove hanno colpito la Bacall - ripetè ancora Jamieson
- dopo sappiamo che sono fuggiti a piedi e un testimone afferma di averli visti nel negozio
della North Face dopo l’inizio della sparatoria sulla Spring Street, per cui in quella non
sembrano essere stati coinvolti”
“Cavolo, sono andati a fare shopping?” esplose O’Brien
Jamieson scosse la testa:
“La testimone li ha notati perchè erano bagnati come pulcini e senza soprabito. Abbiamo
interrogato i commessi e forse una cassiera ricorda Gray che ha pagato in contanti per 2
giacconi. Direi che hanno cercato di confondersi tra la folla, di non dare nell’occhio.”
“E’ in gamba il ragazzo - proruppe Wilson incapace di contenersi - cazzo li ha inchiodati
come insetti quei bastardi sugli Hummer!” L’occhiataccia di O’Brien lo fece tacere di colpo.
“Poi sono spariti” continuò Jamieson.
“Il ragazzo sembra abbia casa su a Bainbridge Island, ho mandato una squadra. Sono
ancora fuori ma sembra che la casa sia deserta.”
“Se fosse andato a casa sua mi rimangerei tutto quello che ho detto in passato su quel
ragazzo: sarebbe un vero idiota! - ruggì O’Brien - perchè cavolo non ci chiama? perchè non
lo abbiamo ancora rintracciato?”
“Il suo cellulare e quello della Cullen li abbiamo ritrovati entrambi nell’auto che hanno
abbandonato” rispose Jamieson.
Lowe intervenne con i suoi soliti modi spicci e concreti:
“Insomma la Cullen e il ragazzo sono alla macchia, e sappiamo che ci sono ancora 5 o
6 uomini di Calvano, più Calvano stesso e Figueroa, alla loro caccia. Come possiamo
aiutarli?”
“Trovate quei bastardi. Trovateli e prendeteli tutti. Setacciate la città ma trovateli. E’ l’unico
modo per salvare quei due. Jamieson sarà meglio che il suo ragazzo ci contatti alla svelta”
O’ Brien si alzò e uscì a passo deciso dalla stanza, mentre gli altri tre si chinavano su una
mappa della città per coordinarsi e suddividersi il lavoro.
Lasciarono Bainbridge Island attraverso l’Agathe Pass Bridge sulla interstatale 305, poi
presero la 307 fino a imboccare la State Route 104 attraversando i 2 chilometri del lungo
Hood Canal Floating Bridge.
Vivien non si sentiva proprio tranquilla ad attraversarlo al buio e sotto la neve, in fondo
quel maledetto ponte era già affondato una volta accidenti, ma doveva ammettere che
Martin guidava con tranquilla sicurezza anche a velocità sostenuta, e la neve non sembrava
causare il minimo problema al grosso e potente fuoristrada equipaggiato con pneumatici
invernali.
“Dove pensi di fermarti? Con questa neve presto non potremo proseguire” Vivien ruppe per
prima il silenzio che aveva regnato nell’abitacolo fin da quando erano partiti.
“La neve lavora per noi, nasconde le nostre tracce - Martin sorrise appena - e ce ne vuole
perchè quest’auto venga fermata da un po’ di neve!”
“Direi! mi sembra un carro armato!” ridacchiò Vivien
Il sorriso di Martin si ampliò nell’oscurità della cabina, e anche se non poteva vederlo lei
sentì che lui stava sorridendo e allungò la mano toccandolo appena sul braccio, in una
fuggevole carezza.
Percorsero la 104 e poi la 101 per più di un’ora finchè, dopo aver superato Blyn, Martin girò
lasciando la statale e dirigendosi a sud, inoltrandosi tra le montagne all’interno dell’Olympic
National Park.
La nevicata diventava sempre più fitta, la visibilità era scesa e Vivien iniziò a preoccuparsi
sul serio e a chiedersi come facesse Martin a distinguere ancora dove fosse la strada, ma
non disse niente e si limitò a stringersi nel giaccone.
Martin continuò a guidare con sicurezza per più di mezz’ora poi svoltò a destra in un
invisibile sentiero nascosto sotto la neve mentre Vivien si aggrappava al sedile sicura che da
un momento all’altro si sarebbero schiantati su uno degli enormi abeti silka coperti di neve
che li circondavano. Invece nel giro di pochi minuti raggiunsero un cancello che Martin scese
ad aprire e poi richiuse dietro di loro, poi corse ad aprire la porta di una rimessa in legno che
apparve davanti dopo pochi metri. Infilò l’auto nella rimessa e richiuse il portone prima di
accendere la luce all’interno.
Vivien scese dall’auto e si guardò intorno con curiosità, mentre respirava a fondo il ricco
profumo di resina che riempiva l’aria.
“Dove siamo?”
“Quasi a casa mia. - rispose Martin intanto che spostava una valigia oblunga di alluminio e
un’altra sacca dall’auto al rimorchio attaccato ad una motoslitta. - non possiamo arrivare fino
a casa con l’auto in questa stagione. Dovremo fare un tratto in motoslitta. Chiuditi bene il
giaccone e indossa questi” le porse un passamontagna, una lunga sciarpa, dei guanti e un
casco.
“Lo sai che io soffro molto il freddo?” gli disse lei sorridendo intanto che si intabarrava
“Mi dispiace, - rispose lui serio - non ci vorrà molto vedrai e a casa ho il camino!”
“Scherzavo non ti preoccupare, resisterò!” rise lei
Salì dietro di lui sulla motoslitta, lo abbracciò strettamente alla vita, e partirono a velocità che
lei trovò decisamente eccessiva su per un sentiero angusto e piuttosto ripido.
Il tragitto durò una mezz’ora, e ad un certo punto effettivamente Vivien pensò che se
non fosse morta assiderata, era solo perchè uno degli scossoni prima o poi l’avrebbe
disarcionata facendola cadere in un dirupo dove si sarebbe schiantata su un albero o sulle
rocce.
Quando finalmente arrivarono lei non se ne accorse perchè ormai la neve cadeva così fitta
che la visibilità era ridotta praticamente a zero. Solo quando Martin si fermò e scese per
aprire la porta di un altro magazzino, in cui poi fece entrare la motoslitta, lei si rese conto
che forse erano finalmente arrivati.
20
Dal l magazzino entrarono direttamente in casa, passando per una porticina nascosta
dietro alcune casse. Vivien tremava incontrollabilmente ormai e l’effetto della fatica e degli
avvenimenti della giornata l’aveva portata sull’orlo dello sfinimento.
Martin la fece sedere ad un tavolo, quindi si liberò del giaccone e cominciò a darsi da fare:
nel giro di pochi minuti aveva acceso diverse lampade a petrolio, un fuoco scoppiettava
allegramente nel camino, cominciando a diffondere il suo calore e ad allontanare il freddo
paralizzante.
Anche la cucina economica a legna iniziò presto a sibilare e a contribuire a riscaldare
l’ambiente.
Vivien si guardò in giro incuriosita: la casetta in legno che profumava di resina e di fumo di
legna era piccola ma decisamente confortevole ed arredata in stile rustico. Nessuna traccia
di tv, ma tanti libri sparsi un po’ dappertutto. Un vecchio fucile da caccia appeso sopra al
camino. Una porta aperta dava su una camera da letto anch’essa rustica e un’altra porta
chiusa suppose dovesse essere il bagno. Rabbrividì ancora e Martin si materializzò al suo
fianco e la aiutò ad alzarsi:
“Coraggio Vivien levati questo giaccone e riscaldati davanti al camino: ti sentirai meglio. Qui
siamo al sicuro, nessuno può raggiungerci, non con questo tempo!”
Lei gli rivolse un sorriso un po’ esitante e lasciò che lui le togliesse il giaccone. Lo guardò
ancora mentre metteva qualcosa in una pentola sulla cucina economica le cui vecchie
piastre in ghisa avevano raggiunto un allegro colore ciliegia, e poi tornava da lei. La fece di
nuovo sedere davanti al camino, dove il calore del fuoco iniziò a combattere finalmente il
gelo che le era penetrato fino alle ossa.
“Così questa è casa tua?” gli chiese
“Questa è casa mia - rispose lui mentre continuava a darsi da fare tra cucina e tavola siamo all’interno dell’Olympic National Park. Là fuori ci sono solo boschi e montagne.” e lei
vide un sorriso di puro piacere aprirsi sul viso di lui.
“Mi dispiace ma per stasera posso offrirti solo una zuppa di riso e fagioli e un po’ di
formaggio - disse con l’aria di scusarsi, - ma almeno è calda. Ti prometto che domani ti
cucinerò qualcosa di più appetitoso!”
“Andrà benissimo non ti preoccupare - gli rispose - basta che sia calda!”
In pochi secondi Martin sistemò la tavola e servì due ciotole di densa e fumante zuppa,
accompagnandola con pane fresco (ma da dove l’aveva tirato fuori?) e un formaggio
dall’odore penetrante ma decisamente attraente, e versando caffè bollente nelle tazze.
Vivien si scoprì affamata, quasi famelica: il cibo caldo e sorprendentemente buono finì di
scacciare via il freddo e le trasmise una sensazione di benessere, per la prima volta da
molte ore. La cena fu silenziosa, ma entrambi sembravano a loro agio intenti a recuperare
dopo una giornata pesante.
Mentre Martin rimetteva a posto Vivien si avvicinò ad una finestra: fuori non si vedeva nulla,
solo un muro di buio e fiocchi di neve vorticanti. Lei rimase a lungo lì lo sguardo perso nel
nulla e piano iniziò a piangere in silenzio.
Quando si girò Martin era lì ma lei lo sapeva e non fu sorpresa. La prese tra le braccia,
piano e la strinse a se senza parlare, offrendole conforto, ma senza pressarla, lasciandole il
suo tempo.
“Marion...” disse lei con voce soffocata.
“E’ morta. Andata. Non potevamo fare più nulla per lei.“ rispose lui accarezzandole
dolcemente i capelli. Per un attimo lei sentì un moto di ribellione davanti al tono distante,
quasi indifferente della voce di lui, ma si rese subito conto che quello era il suo modo di
distaccarsi, di accettare la morte di una compagna senza esserne travolto.
Alzò il viso a guardarlo, e riconobbe la tristezza, il senso di perdita nei suoi occhi. Appoggiò
di nuovo il viso sul suo petto e lo strinse anche lei, desiderosa di offrirgli almeno lo stesso
conforto che lui stava dando a lei.
Sospirò quando sentì le labbra di lui posarsi sui suoi capelli e alzò il viso, lo guardò e si
protese a baciarlo. In quel bacio lei mise tutto il suo rifiuto per le cose terribili che erano
successe quel giorno, tutto il suo desiderio di affermare che era ancora viva e lui era vivo
con lei.
Il bacio divenne sempre più profondo, sempre più intenso. Senza staccare le labbra dalle
sue, Martin la trascinò quasi in camera da letto, mentre le sue mani percorrevano il corpo di
lei, e le unghie di lei si conficcavano nella sua schiena.
Nessuno dei due avrebbe saputo dire come avevano fatto a sbarazzarsi dei vestiti mentre
la passione li travolgeva. Vivien Cullen e Martin Gray fecero l’amore più volte, consumati dal
desiderio, ciascuno disperatamente alla ricerca del calore, dell’umanità dell’altro, ciascuno
intento a donare all’altro un piacere senza limiti o confini.
21
Mentre abbracciati aspettavano che i loro cuori rallentassero e i loro respiri superassero
l’affanno, Vivien passava la mano sul torace e sulle braccia di Martin accarezzandolo. Le
loro labbra non smettevano di cercarsi, per sfiorarsi, per scambiarsi un breve bacio, per
posarsi sulla pelle dell’altro.
Poi Vivien si sollevò sul gomito la fronte aggrottata, e passò ancora una volta la mano sul
torace di Martin seguendo con gli occhi e con le dita le numerose cicatrici che lo segnavano.
Lo guardò perplessa e lui si limitò a fissarla con un lieve sorriso ma non disse nulla.
“Chi sei?” gli chiese piano con voce sgomenta.
Lui la guardò per un attimo, poi si alzò e si diresse, nudo, in cucina.
Lei imprecò tra se, maledicendosi per aver rovinato tutto. Perchè non era capace di tenere
la bocca chiusa? Doveva proprio fare sempre domande? Che diritto aveva di chiedergli
alcunché? Si ranicchiò seduta sul letto abbracciandosi le ginocchia.
Ma dopo pochi minuti lui tornò, dopo aver spento quasi tutte le lampade, lasciando solo
quella che avevano nella stanza accesa su un comodino a fianco del letto e portandole una
tazza di caffè caldo e forte.
Nella penombra lui si sedette sulla sedia a dondolo che era in fondo al letto e la guardò in
silenzio per un attimo, poi il suo sguardo si perse oltre a lei.
“Chi sono io?” chiese con voce bassa, atona e stranamente distante. Lei esitò e poi annuì
anche se era certa che lui non avrebbe visto il suo cenno.
I suoi occhi si misero di nuovo a fuoco su di lei, per poi scomparire nella semioscurità
inghiottiti con il resto del suo viso quando lui si appoggiò sullo schienale ed iniziò a
dondolarsi sulla sedia con un lieve scricchiolio.
“Sono nato a Corpus Christi, in Texas, 26 anni fa...”
22
Luis Figueroa si soffiò sulle dita intirizzite, lasciate scoperte dai mezzi guanti e si voltò
a guardare: quel maldido loco hijo de puta di Juan Pablo li guardava, in piedi a fianco
dell’elicottero le cui pale che ancora giravano pigramente.
Luis odiava quel freddo paralizzante, quella neve gelida e tenace che li costingeva ad
arrancare. Guardandosi intorno non vedeva la bellezza dei boschi, le cime che venivano
investite della luce del sole che sorgeva, il cielo limpidissimo. No, lui vedeva solo freddo
e neve. E Juan Pablo li aveva spediti lassù solo per ammazzare un fottuto sbirro e la sua
puttana!
Dopo il disastro dell’attacco in città lui glielo aveva detto che dovevano tornarsene in
Colombia, a casa, ma Juan Pablo lo aveva solo guardato, con quell’espressione folle negli
occhi, l’espressione che lui conosceva bene, quella che aveva sempre accompagnato le
peggiori efferatezze commesse da Juan Pablo.
Si avviò seguendo i suoi uomini, i sei superstiti di quella follia, arrancando nella neve verso
la casetta sperduta in mezzo ai boschi, con la mitraglietta che gli dondolava sul petto
imprecando contro il freddo, maledicendo la neve e Juan Pablo.
Ci misero quasi mezz’ora, inciampando, sprofondando nella neve fresca, perdendo e
ritrovando il sentiero, per arrivare alla casa. Si allargarono in silenzio a ventaglio, cercando
di circondarla. Figueroa si piazzò contro la parete del magazzino e, quando fu soddisfatto
del piazzamento degli uomini, diede il via all’operazione.
Gli uomini aprirono il fuoco e il silenzio della montagna venne squarciato da raffiche di armi
automatiche. Le finestre della casa esplosero investite dai proiettili, nuvole di schegge di
legno si sollevarono dalle pareti di tronchi quando le pallottole le colpirono.
Uno degli uomini superò con un balzo i tre gradini dell’ingresso, sferrò un calcio alla porta
che si spalancò e vuotò il caricatore all’interno in una sola lunga raffica. Poi fece un passo in
avanti superando la soglia... e crollò in avanti portato dalla sua stessa inerzia privo di testa,
esplosa in una fontana di sangue.
Figueroa imprecò: qualcuno da dentro doveva avergli sparato con un fucile a pallettoni! Fece
un gesto perentorio agli altri uomini, due dei quali si avvicinarono alle finestre correndo,
inciampando e sprofondando nella neve. Riuscirono a sparare meno di una decina di
colpi verso l’interno prima di essere abbattuti entrambi, uno da un colpo che lo prese al
collo quasi decapitandolo, l’altro centrato in mezzo alla schiena da un colpo che lo uccise
nonostante il giubbotto antiproiettili e lo scaraventò in avanti con tale forza da farlo crollare
all’interno della casa.
Figueroa e gli altri 3 superstiti rimasero per un attimo impietriti, poi si girarono all’unisono,
avendo capito tutti che il nemico non era in casa ma alle loro spalle. Era già troppo tardi:
davanti a loro c’era solo il bosco, oscuro e impenetrabile. Luis Figueroa si diede una spinta
sul muro di tronchi del magazzino cercando di mettersi al riparo ma una terribile mazzata sul
torace lo scagliò indietro, inchiodandolo di nuovo alla parete.
Mentre scivolava accasciandosi lentamente sulla neve, guardò in basso e vide sul proprio
petto un buco enorme, esattamente al centro del torace, che aveva attraversato il giubbotto
come fosse carta. Morì chiedendosi con che cosa gli avessero sparato.
Gli altri tre uomini cercarono di correre e mettersi al riparo, sparando a casaccio lunghe
raffiche all’indirizzo delle ombre del bosco, ma uno solo riuscì a tuffarsi ancora vivo dietro un
masso.
L’uomo rimase lì acquattato nella neve, rabbrividendo man mano che i minuti passavano, il
sudore che gli si gelava sulla pelle mentre il suo organismo smaltiva il massiccio eccesso di
adrenalina.
Molto presto si rese conto che se fosse rimasto lì sarebbe morto assiderato. Si guardò
disperatamente intorno, cercando tutto quello che potesse servirgli da riparo. La casa era
lontana una ventina di metri, ma nella neve alta era chiaramente un suicidio provare ad
avvicinarsi, senza contare che poteva esserci qualcuno anche dentro ad aspettarlo.
Il margine del bosco era ancora più lontano... l’uomo iniziò ad imprecare sottovoce
stringendosi al petto il Kalashnikov, e iniziando a tremare quasi incontrollabilmente.
Attese ancora qualche minuto, poi raccogliendo tutto il coraggio che gli restava, si sporse
per un istante oltre il masso.
Non accadde nulla... nessuno sparo, nessun impatto di proiettile contro il suo corpo. La
speranza si gonfiò come un fiume in piena dentro di lui. Correndo piegato in due si lanciò in
direzione del bosco, verso il sentiero da cui erano arrivati.
Raggiunto il limitare del bosco, senza fiato con i polmoni in fiamme per la corsa disperata in
mezzo alla neve fresca, si tuffò al riparo lasciandosi cadere ai piedi di un immenso abete,
cercando di riprendere fiato. Quando il battito impazzito del suo cuore si fu un po’ calmato,
l’uomo si alzò faticosamente, la sua mano si allungò per raccogliere il fucile, ma il gesto
si bloccò a metà: lo stupore e il terrore lo travolsero quando si rese conto che il fantasma
vestito di bianco, praticamente invisibile contro lo sfondo di neve, era a meno di tre metri da
lui e gli puntava contro una pistola. Per una paio di secondi i due si fronteggiarono immobili,
poi l’uomo aprì la bocca ma la pistola sparò e il proiettile entrò esattamente nella bocca
dell’uomo, portandogli via buona parte della nuca e uccidendolo all’istante.
Vivien si svegliò di colpo e vide Martin chino su di lei. Gli sorrise socchiudendo gli occhi
ancora pieni di sonno e mugolò “Dai, torna a letto! perchè ti sei già alzato?”
“Vivien devi alzarti, fai presto!” rispose lui mettendole sotto il naso una tazza di caffè appena
fatto.
Vivien si ritrovò di colpo completamente sveglia e con un’ occhiata si rese conto che lui era
già completamente vestito di bianco, solo gli occhiali dalle lenti gialle facevano una macchia
di colore appesi ad una delle tasche del giaccone.
Il suo sguardo spazzò la casa e vide sul tavolo della cucina un fucile, anch’esso tutto
rivestito di tessuto bianco, che le sembrò enorme.
“Che succede Martin?” gli chiese piena di paura.
“Ha smesso di nevicare” rispose lui volgendo lo sguardo verso la finestra. Lei seguì il suo
sguardo e vide fuori le prime luci dell’alba che sfioravano appena le cime delle montagne.
“Vestiti, sbrigati!” la pressò lui.
Nel giro di pochi minuti lei era completamente vestita, sicuramente ben sveglia e
decisamente spaventata.
Martin la portò in soggiorno, spostò il tavolo e le mostrò una botola sotto il tappeto. Era fatta
con cura, le giunture con il pavimento praticamente invisibili. La aprì e la fece scendere
da una ripida scaletta in legno; si ritrovarono in un angusto corridoio in cemento, stretto e
perfettamente liscio.
Camminarono per una decina di metri, uno dietro l’altro finchè non arrivarono ad una specie
di stanzetta. Un altro muro di cemento armato, alto quasi quanto lei e dotato di alcune
feritoie consentiva di stare al riparo e di tenere sotto tiro tutto il corridoio.
“Ascolta - le disse Martin - adesso tu ti nascondi qui. E’ difficile che riescano a trovare la
botola, ma se ci riuscissero questo è un fucile calibro 12 caricato a pallettoni - e le porse
l’arma - Appena vedi che iniziano a scendere la scaletta tu sparagli alle gambe: non ci sono
giubbotti antiproiettili per le gambe e da questa distanza con i pallettoni è impossibile che li
manchi.”
Lei lo guardò pallida: “Dovrei ucciderli?”
“Loro uccideranno te se solo gli darai un’occasione. Nascosta dietro questo muro anche se
lanciassero qui dentro una granata rimarrai illesa. Non esitare Vivien, non farti uccidere. Qui
ci sono le munizioni di riserva, c’è anche dell’acqua e del cibo. Tu resta qui sotto finchè non
ti vengo a prendere io.”
“Tu dove vai?”
“Io vado a caccia. Sarò là fuori ad aspettarli, quando arriveranno.”
“E’ pericoloso. Perchè non resti qui con me?”
“Perchè là fuori io sono sul mio terreno. Conosco questi boschi come le mie tasche mentre
loro saranno perduti qui. Li ucciderò tutti.” Quieto: il tono finale con cui lo disse le diede i
brividi.
“Guarda, in questo armadietto c’è un telefono satellitare” le mostrò un armadietto metallico
posto alla base del muro.
“Aspetta il tempo necessario per essere sicura che fuori non ci sia più nessuno poi, se
non dovessi essere ancora tornato, prendi il telefono e vai nel magazzino, lì il segnale è
sufficientemente forte senza bisogno che tu esca all’aperto. Premi il numero uno, chiamerà
direttamente il numero di Jamieson. In un foglietto lì dentro troverai anche le coordinate GPS
di questo posto. Chiama Jamieson e ti verranno a prendere di corsa.”
“Ma tu tornerai a prendermi?” la voce di lei suonò strozzata anche nell’angusta stanzetta.
Lui le sorrise:
“Tornerò da te piccola!” si chinò le diede un bacio leggero sulle labbra, poi si voltò e se ne
andò senza guardarsi indietro.
Vivien sentì la botola chiudersi e il rumore del tavolo che veniva di nuovo posizionato su di
essa, e si ritrovò sola, con la sua paura.
23
Con le ciaspole, Martin ci mise pochi minuti a ripercorrere il sentiero fatto dagli uomini
di Calvano. Si inerpicò brevemente sulla montagna a fianco del sentiero e piazzò il suo
fucile, inquadrando prima l’elicottero nel mirino telescopico, poi l’uomo che camminava
nervosamente avanti e indietro a pochi metri cercando ripetutamente di chiamare qualcuno
con il cellulare.
Sul viso di Martin apparve un breve sorriso:
“Non c’è più nessuno che possa risponderti, brutto figlio di puttana!” sussurrò
L’uomo fece un gesto al pilota che iniziò le procedure per l’avviamento dei motori. Il sibilo
delle turbine arrivò chiaro anche a Martin che stava già inserendo una pallottola Raufoss nel
suo fucile Barret.
“Eh no caro, tu non vai da nessuna parte!” disse tra sé Martin mentre inquadrava nel mirino
la turbina sinistra dell’elicottero.
Mentre il rotore iniziava pigramente a girare Martin sparò.
La pallottola, disegnata per fermare un blindato leggero, centrò in pieno il suo bersaglio:
mentre il nucleo perforante penetrava nella turbina fracassando le alette, attraversando i
condotti del carburante, la struttura esterna del motore per poi perdersi nella neve, la carica
esplosiva ed incendiaria contenuta nella cartuccia detonò puntualmente.
L’elicottero svanì in una palla di fuoco scaraventando Juan Pablo Calvano a vari metri di
distanza.
Quando l’oscurità cominciò a dileguarsi davanti ai suoi occhi, Calvano tentò di rialzarsi
ma ricadde indietro, seduto sulla neve, tossì e sputò una boccata di sangue e di nuovo
cercò di rialzarsi, nonostante il forte ronzio nelle orecchie e le vertigini che minacciavano di
sopraffarlo.
Si guardò stupito il lato destro del corpo, che appariva ustionato attraverso i brandelli di abiti
che ancora rimanevano. Si chiese vagamente come mai non gli facesse male.
Cercò di guardarsi intorno, muovendo la testa con cautela per evitare che le ondate di
nausea gli facessero di nuovo perdere i sensi.
Vide i rottami dell’elicottero sparsi tutto intorno e ricordò l’esplosione, il muro igneo che
l’aveva colpito con la forza di un uragano. Il suo sguardo vagò nel paesaggio innevato tutto
intorno a lui, ma solo la seconda volta che scandagliò l’orizzonte lo vide: un fantasma vestito
di bianco, a pochi metri da lui. Gli occhiali gialli lo facevano sembrare una specie di insetto
troppo cresciuto e l’enorme fucile che gli puntava contro non lasciava alcun dubbio.
Tossì e sputò di nuovo, schiarendosi la gola, poi apostrofò l’uomo di fronte a se:
“Que pasa hijo de puta?” cercò di raddrizzarsi più che poteva per affrontare il suo nemico,
mentre la sua mano sinistra scivolava dietro la schiena per afferrare la pistola.
“Non farlo” disse l’uomo con voce calma
Calvano gli rise in faccia: “Estàs muerto, cabron!” ed estrasse la pistola.
Il fucile abbaiò una volta ancora e Calvano urlò, guardando sconvolto il suo braccio sinistro
caduto in mezzo alla neve che ancora sussultava e si contraeva stringendo la pistola.
Crollando in ginocchio, completamente sotto shock, si girò a guardare il moncherino da cui il
sangue usciva a ritmici fiotti dalle arterie lacerate, pompato dal cuore.
L’uomo lo guardò senza fare una mossa e Calvano lo fissò in viso, ma non vide nessuna
espressione, niente in quel viso di pietra. Fu l’ultima cosa che vide.
Epilogo
Il neo nominato Giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Vivien Cullen prese possesso
del suo ufficio a Washington in una fredda mattina di inverno. La sua assistente la guidò a
fare un giro dell’edificio presentandola alle diverse persone che lavoravano lì, e poi si ritirò
lasciandole qualche minuto da sola nel suo nuovo ufficio.
Vivien si guardò intorno, i mobili antichi in legno scuro, il profumo di cera, poltrone e divani
in pelle, gli scaffali lungo le pareti con allineati severi testi di giurisprudenza, tutto parlava
di prestigio e potere antichi. Il computer sulla sua scrivania era l’unica traccia che facesse
supporre che il 21mo secolo aveva fatto il suo ingresso nel mondo.
Con passo lento andò ad una delle grandi finestre che si aprivano sulla città, sui suoi palazzi
del potere. Per un attimo considerò la sua immagine riflessa sullo spesso vetro: i capelli
erano grigi ormai, il taglio corto e l’acconciatura severa. La figura si era appesantita, ma
il viso era ancora giovanile, con pochissime rughe d’espressione e gli occhi erano ancora
vivi, con quel taglio a mandorla così particolare. Vivien sospirò e concentrò lo sguardo
sull’esterno.
La neve aveva preso a cadere a grandi fiocchi pesanti, e i suoi occhi si sfocarono mentre si
perdeva nei ricordi. Dopo qualche secondo si voltò, si diresse velocemente alla scrivania e
dalla sua capace borsa estrasse un oggetto che posò sul tavolo, scegliendone con cura la
posizione: l’unico oggetto personale che l’avesse sempre seguita in quegli anni di carriera,
ricca di successi e di cambiamenti.
Molti le avevano dato della egocentica narcisista per quell’oggetto, ovviamente dietro le
spalle, ma lei non si preoccupava, continuava a portarlo con sè, quasi come un talismano, e
non lo avrebbe lasciato per niente al mondo.
Anche oggi si sedette alla sua comoda poltoncina, e guardò la foto incorniciata che
aveva posato sul tavolo: la ritraeva davanti al leggìo, mentre teneva la sua affollatissima
conferenza stampa dopo la conclusione della vicenda che aveva portato alla morte dei
fratelli Calvano a Seattle.
Quello era stato il vero punto di svolta della sua carriera politica, una brillante carriera che
l’aveva portata fino alla Corte Suprema, in assoluto il più prestigioso e ambito traguardo
nella carriera giuridica degli Stati Uniti.
Ma lei quando guardava quella foto non ci pensava mai: lei guardava solo l’uomo bruno, alto
e snello, con gli occhiali da sole e l’auricolare che era stato inquadrato in piedi, immobile
dietro di lei.
Come spesso faceva quando era sola, allungò una mano e con la punta del dito sfiorò la
superficie dell’immagine, in una ideale piccola carezza a quel volto:
“Ciao Martin, dove sei? ...come stai?” sussurrò.