MARCO PALLADINI, romano, è scrittore e poeta

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MARCO PALLADINI, romano, è scrittore e poeta
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Testi in scena - 1
“DOLL IS MINE”
Un felice progetto letterario-drammaturgico, frutto della collaborazione tra la
scrittrice Katia Ippaso e l’attrice Cinzia Villari, presentato al “Di Vino Jazz Club” di
Roma, in forma di lettura-concerto con le musiche ‘live’ di Michele Villari e Roberto
Palermo. Il testo è liberamente ispirato a due romanzi giapponesi: “La casa delle belle
addormentate” (1960) di Yasunari Kawabata e “Sonno profondo” (1989) di Banana
Yoshimoto.
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(Doll is mine è un testo che nasce come un progetto a due, tra la scrittrice Katia Ippaso e l’attrice
Cinzia Villari. La prima ha provveduto alla stesura letterario-drammaturgica del copione, la
seconda ne è stata la appassionata esecutrice. Ho visto-ascoltato la lettura-concerto presentata lo
scorso novembre al “Di Vino Jazz Club” di Roma, apprezzando l’abile tessitura del monologo
confezionato da Ippaso, prendendo le mosse con assoluta libertà da due romanzi giapponesi: La
casa delle belle addormentate (1960) di Yasunari Kawabata e Sonno profondo (1989) di Banana
Yoshimoto. Quello che mi è parso convincente è che la autonoma reinvenzione del tracciato dei due
libri ha, insieme, nel profondo, conservato certe atmosfere tra sospese e ossessive, tra allusive e
psicomasochiste, tra enigmatiche e fortemente esplicite contenute nelle scritture di partenza.
Alla base vi è, certo, l’evidente fascinazione di Ippaso per un mondo orientale (e femminile)
segreto e morboso, in cui l’eros è, quasi sempre, sottilmente crudele, nonché matrice di un
cammino di autoconoscenza, via via meno opaca. Come emerge dalla vicenda narrata di cui è
protagonista una sorta di geisha moderna, che accoglie in una severa ‘casa chiusa’ i clienti e li
intrattiene platonicamente e li affianca nel sonno, mentre ascolta gli alti e i bassi, le insorgenze
umorali o le bizzarrie o le malinconie dei loro racconti esistenziali. Ippaso si dimostra, altresì,
abile nel districarsi, idealmente, tra le visioni più rarefatte ed implicite di Kawabata legato alla
tradizione nipponica e gli accenti diretti, metropolitani, spavaldi di Yoshimoto, interprete di un
Giappone postmoderno in cui la scena giovanile riassume tutti i conflitti tra l’eredità del passato e
le nuove forme socio-culturali del presente.
In ogni caso, Cinzia Villari è stata un’interprete esemplare di questo lavoro, modulando con
bravura e vibratile adesione i passaggi più intensi e commotivi di questa fiaba per adulti, leggera e
perversa, seducente e claustrofobica, ma poi anche, con sobri gesti, dislocando il filo diegetico del
testo come una partitura verbale che interagiva felicemente con le musiche di Michele Villari (al
sax e al clarinetto) e di Roberto Palermo, con la sua fisarmonica midi, da cui scaturivano ogni
genere di suoni e rumorismi ed elettropercussività. Qui di seguito, pubblichiamo tre brani di Doll is
mine.)
m. p.
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di Katia Ippaso
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6 dicembre
Quando l’ho visto entrare, ho sentito una ferita, da dentro. L’ultima volta che me l’ero fatta non ero
più riuscita a guarire. La signora l’ha accompagnato sulla porta ed è scivolata via senza fare rumore,
lasciando dentro di sé un’ombra di rosso che nasceva dal vestito e da una fascia nuova che le avevo
intravisto tra i capelli.
Lui è rimasto sulla porta, indeciso, forse non si aspettava un tipo come me. O forse lo metteva a
disagio la stanza, così priva di tutto. Tranne che del letto: un letto gigantesco, morbido, con le
lenzuola bianche che la signora fa cambiare ogni giorno. Non aiutava neanche la musica che saliva
così dolcemente da soffocarti. Non so quanto tempo è passato prima che lui si avvicinasse alla
finestra.
“Non smette di nevicare”. La sua voce: quella voce era fatta apposta per recidere l’aorta in un colpo
solo.
“Non esco da giorni”, ho risposto, ma con un suono che non riconoscevo, quello che viene fuori
tutte le volte che mi taglio da sola senza produrre una sola goccia di sangue.
“Ci siamo già visti?”
“Non credo”
“Infatti non ci siamo mai visti”.
“È vero che non posso toccarti?”
“La signora ti avrà parlato delle regole”.
“In fondo sono venuto qui per dormire”
“Tutti vengono qui per dormire”
“Mi chiamo Andrew. Mio padre è newyorchese, mia madre di Tokyo. Vivo tra due mondi, non dico
solo tra l’America e il Giappone, piuttosto direi che vivo tra la veglia e il sonno. Non sono mai
completamente sveglio né completamente addormentato”.
Nel frigorifero c’era una bottiglia di vino. Gli ho versato un po’ di vino nel bicchiere, per me l’ho
versato nella tazza.
Quando abbiamo finito di bere, Andrew si è spogliato. Era la prima volta che vedevo un uomo così
alto e grasso completamente nudo. Si è steso a pancia all’aria e ha chiuso gli occhi. “Sei bella” mi
ha detto senza guardarmi.
Sono state le ultime parole coscienti, prima che venisse afferrato dalla marea.
Il suo corpo ha cominciato a dondolare come una nave che avverte la tempesta all’orizzonte e
percuote i passeggeri con scosse all’inizio impercettibili poi sempre più forti. Ogni tanto dice una
frase di senso compiuto, tipo “Non dovevi aspettarmi”, subito risucchiata dal vento.
Da quando si è disteso Andrew ha fatto sedici piccoli sonni. Li ho contati. Ho anche provato a
parlargli, e ho la sensazione che mi senta. Di sicuro, mi sente. Se io per esempio gli dico: “Andrew,
dove sei adesso?” lui interrompe la musica che ha dentro e resta fermo, senza aprire gli occhi.
Ascolta, nella più assoluta immobilità… sa che c’è qualcuno accanto a lui. Dopo un po’ ricomincia
a parlare ma è difficile capire quello che dice. “Frida, incidente, scrivere” sono le uniche parole che
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ho capito. Il resto non l’ho capito, parla con un volume troppo basso. Di notte, Andrew è un
medium che si mette a parlare con i morti per trasmettere segnali ai vivi, a quelli che non sono
ancora morti.
Stesa accanto ad Andrei ho sfiorato i suoi capelli neri e il naso piccolo. Mi sono avvicinata per
sentire il profumo della sua pelle. Ho sfiorato le sue labbra grandi. E ho guardato l’armonia del suo
corpo, che è bellissimo anche se può sembrare sbagliato.
In qualche lontana parte di se stesso lui poteva vedere che io lo stavo guardando. Ma non poteva
reagire.
Ho pianto. Questo, però, lui l’ha sentito e mi ha accarezzato i capelli, dolcemente. Il gesto della sua
mano mi ha fatto cadere in trance.
Adesso sono infelice, perché lui se ne è andato e mi ha lasciato dormire.
9 dicembre
È tornato il vecchio. Anche stavolta aveva la boccetta di sonnifero. L’ha messa sul comodino e si è
messo a guardarla. Poi mi ha chiesto di versargliela tutta in un bicchiere d'acqua. Io ho detto che qui
si viene per dormire. Il vecchio ha detto che se volevo dormire anch’io lo potevo fare, l’altra volta
si era accorto che stavo morendo dal sonno. Non l’avrebbe detto alla signora. Io gli ho detto che non
avevo sonno stanotte e che non è nelle regole che le ragazze si mettano a dormire, che solo i clienti
possono dormire, e che poi l’avevo capito che lui voleva che io dormissi solo perché così si poteva
prendere tutta la boccetta.
Il vecchio ha una faccia terribile. Ha un occhio diverso dall’altro, la bocca invisibile, le rughe sono
di un colore violaceo. Non ha il mento. Forse se lo sono mangiati i cani neri che vede nel sogno.
12 dicembre
Stanotte ho avuto due clienti.
La signora dice che sono molto gettonata perché sono dolce. Me l’ha detto solo per farsi perdonare
dei due ragazzi del liceo.
Il primo cliente è arrivato alle tre del pomeriggio. La signora dice che era un pezzo grosso di una
società di moda. Poi la filiale di Tokyo ha chiuso e lui è stato licenziato, anche se era il capo. Sua
moglie l’ha lasciato.
Anche mia madre ha lasciato mio padre quando lui ha perso il lavoro. Mia madre diceva sempre a
mio padre che era un inetto, che non riusciva a badare alla famiglia, che era senza spina dorsale. Lo
diceva sottovoce, quando loro due erano a letto, ma io li sentivo.
Mio padre io l’ho sempre odiato perché se ne è andato nella foresta dei suicidi e non ha fatto sapere
più niente. Il suo corpo non è mai stato trovato. Forse lui non si è suicidato. Forse lui aveva solo
vergogna ed è sparito. Magari adesso vive in Europa ed ha una nuova famiglia.
Ogni tanto lo vedo in sogno, mio padre. Cammina in senso contrario alla folla per una strada di
Parigi, almeno io credo che sia Parigi, e viene verso di me. Credo che sia felice. Questo è un sogno
che faccio da due anni, da quando un suo vecchio amico è venuto a trovarci. Sosteneva di averlo
visto a Parigi a chiedere l’elemosina.
Comunque, il cliente che ha perso il lavoro e ha dormito con me non è tipo che va nella foresta dei
suicidi, e neanche a chiedere l’elemosina. Ma quando hai vergogna di te stesso non sai mai quello
che puoi finire a fare. Mi dispiace per lui. Avrei voluto dirgli qualcosa, ma si è addormentato subito,
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senza neanche spogliarsi e senza bisogno di sonnifero. Per tutto il tempo che ha dormito, io sono
stata davanti alla finestra. Aveva appena smesso di nevicare e per strada c’erano gli spazzini che
toglievano il ghiaccio.
Il cliente che aveva perso il lavoro non se ne voleva andare. Ho dovuto chiamare la signora, che l’ha
portato fuori dalla mia stanza. Il secondo cliente aveva venticinque anni. Si vedeva che era la prima
volta che veniva nel palazzo. Non è voluto venire nel letto, anche se il letto è morbido. Il letto è
l’unica cosa bella che c’è nella stanza, Si è seduto sul tappeto e mi ha chiesto se volevo prendere
dell’eroina con lui. Io gli ho detto che ci sono delle regole, io non potevo spogliarmi, non potevo
dormire, non potevo essere toccata e non potevo uscire fuori di me. Lui però poteva spogliarsi,
poteva dormire, poteva toccarsi e poteva uscire fuori di sé, se di quello aveva bisogno.
Il ragazzo ha preso l’eroina per il naso e dopo aver preso l'eroina ha cominciato a respirare forte
forte. Io ho aspettato che gli passasse. Non è la prima volta che io vedo qualcuno respirare forte
forte che sembra quasi che stia lasciandoci la vita e invece ha solo bisogno di fare quella scena per
sentire che è ancora vivo.
Però questo ragazzo era carino, così mi sono avvicinata e gli ho fatto una carezza sulla testa. Poi gli
ho detto che se voleva dormire sul tappeto, io potevo stendermi accanto a lui, anche se io non
dormivo perché nel palazzo le ragazze non possono dormire. Il ragazzo mi ha voluto abbracciare
mentre eravamo sul tappeto e io ho sentito che si eccitava. Per fortuna non mi dovevo spogliare,
altrimenti avrebbe visto il mio seno. La ferita mi faceva ancora male. “La conosci questa canzone?”
il ragazzo prima di addormentarsi me l’ha cantata.
Mine is an act of love
Mine is a wish to solve
And mine is to sink by your side
You are to be amused
And you are never to be confused
In your first love
Your first time
Why a doll so they tell me
Cause she is mine
Faith and fully mine
I must say
This love hasn’t changed me
Cause I feel fine
Faith and fully fine
I must have seen too much skin
Much more than I needed to win
And much more than I wanted to dream
I must have felt so much pain
It’s funny how some things do remain
It isn’t true that things do change
Isn’t it strange how pain remains
But don’t look sad cause it isn’t sad
Now that I have you to myself