sfondo di moto tacca

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sfondo di moto tacca
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNOLOGIE PER L'AMBIENTE.
Laboratorio di Fisica.
Verifica della legge di Stokes con viscosimetro a caduta
Scopo dell’esperimento
L'esperienza si propone di
a) verificare l'esistenza di una velocità limite per una particella che cade in un fluido;
b) verificare che, per una sfera in regime laminare, la velocità limite è proporzionale al quadrato
del raggio;
c) ricavare la viscosità del fluido;
d) evidenziare alcuni problemi connessi alla misura di una grandezza fisica.
Il punto b) rappresenta una parziale verifica della legge di Stokes, in quanto equivale a dimostrare che
la forza viscosa è proporzionale al raggio e alla velocità.
Teoria
Un corpo immerso in un fluido in condizioni ordinarie è soggetto, oltre alla forza gravitazionale, anche
alla spinta di Archimede diretta verso l'alto e ad una forza detta resistenza del mezzo, che si oppone al
movimento del corpo relativamente al fluido.
F Gravit. + F Archimede + F Resistenza = F TOT
Considerando l'asse delle ordinate orientato verso il basso, la prima di queste forze, detta anche forza
peso, per un corpo omogeneo di densità ρ e volume V vale:
FGrav . = mg = ρ Vg
La spinta di Archimede è diretta verso l'alto (avrà segno negativo nella nostra convenzione) ed è pari in
modulo al peso del fluido spostato. Detta ρF la densità del fluido e V il volume della sfera immersa,
essa vale
FArchimede = −mF g = − ρ F Vg
La resistenza del mezzo è una forza molto complessa: in generale essa dipende dalla forma del corpo e,
in maniera non semplice dalla velocità del corpo (relativa al fluido). Per una sfera di raggio r in un
fluido di viscosità η in condizioni di flusso laminare vale la legge di Stokes:
FResistenza = −6πη rv
(1)
Il segno meno indica che la forza ha verso opposto alla velocità: poiché nel nostro caso la velocità è
diretta verso il basso, ovvero positiva, la forza sarà effettivamente negativa (diretta verso l'alto). In
queste condizioni la resistenza del mezzo si chiama anche forza di attrito viscoso.
E' importante verificare che siano soddisfatte tutte le condizioni per l'applicazione della (1): la
discussione è posticipata alla fine del paragrafo.
La seconda legge di Newton, applicata al moto della sferetta immersa in un fluido diviene allora:
1
m
dv
= ( ρ − ρ F )Vg − 6πηrv
dt
(2)
Questa è una equazione differenziale per la cui soluzione dettagliata si rimanda all'Appendice A,
tuttavia alcuni risultati interessanti si possono ottenere senza risolvere l'equazione.
Si supponga di abbandonare la sferetta nel fluido con velocità iniziale nulla: la resistenza del mezzo (1)
è nulla e poiché la densità della sfera è maggiore di quella del fluido ( ρ > ρ F ), essa accelera verso il
basso. In tal modo la velocità aumenta e continuerà a farlo finché la resistenza del mezzo (1) sarà
inferiore alla somma delle altre due forze, ovvero finché il secondo membro della (2) sarà positivo.
Quando la velocità è tale che la resistenza del mezzo equilibra le altre forze (il secondo membro della
(2) è zero) l'accelerazione è nulla: a partire da quel momento il moto è uniforme. Si dice che la sfera ha
raggiunto la sua velocità limite o velocità di sedimentazione.
Il valore della velocità limite si ricava dalla (2) imponendo che il secondo termine sia nullo:
2 (ρ − ρ F )gr 2
(3)
6πη r
9
η
4
dove si è usato il fatto che il volume di una sfera è V = π r 3 .
3
Come si passa dalla velocità iniziale alla velocità limite? In particolare, quanto tempo impiega la sfera
a raggiungere tale velocità e che distanza deve percorrere prima che ciò avvenga? E' una questione
importante perché l'esperienza consiste proprio nella misura delle velocità limite. Per rispondere a
queste domande è necessario conoscere la fase iniziale (transitoria) del moto, ovvero la soluzione
completa della (2) che è riportata in Appendice A. Per la velocità si trova:
vL =
(ρ − ρ F )gV
=
v (t ) = v L + (v 0 − v L )e
−
t
τ
(4)
2ρ r 2
che nel
9η
nostro caso non supera 4ms. Il tempo necessario dipende dalla velocità iniziale e dal grado di
approssimazione richiesto, dipende ad esempio se accettiamo che la velocità differisca dal valore limite
del 5% o dell' 1%.
dove v0 è la velocità iniziale e τ è un tempo caratteristico, dato dall'espressione τ =
La fase iniziale del moto, prima che la velocità si assesti al suo valore terminale vL, non è facile da
valutare, prima di tutto perché non è nota la velocità v0 con cui le sferette entrano nel fluido. Questa
dipende dall'altezza di caduta in aria ed è sicuramente molto maggiore della velocità limite vL. Ad
esempio, le sfere maggiori raggiungono una velocità limite intorno ai 3 cm/s, mentre una caduta di 1
cm in aria basta a raggiungere una velocità v0 ≅ 44cm / s e una caduta di 5 cm in aria produce una
velocità v0 ≅ 100cm / s . La situazione è complicata dal fatto che, specie per i diametri maggiori, il moto
potrebbe non essere laminare nella fase iniziale e pertanto non si può applicare la legge di Stokes.
Ciononostante, si può stimare che la velocità limite venga raggiunta, con buona approssimazione, entro
una distanza di 1 cm ed un tempo di 0.1 s da quando la sferetta entra nel liquido. Poiché il primo
traguardo si trova a circa 10 cm dalla superficie libera del liquido, la condizione di velocità limite è
senza dubbio verificata nelle nostre misure. La linearità dei grafici tempo-posizione sarà la più chiara
dimostrazione che il moto delle sferette è uniforme.
È lecito applicare la legge di Stokes nella nostra situazione sperimentale? Le condizioni per la validità
della (1) sono soprattutto le seguenti:
2
a) il moto dev'essere laminare;
b) il fluido deve essere infinito.
La prima di queste condizioni significa, in pratica, che il moto della sfera deve essere abbastanza lento.
Il moto di un fluido (o in un fluido) dipende essenzialmente da un unico parametro adimensionale: il
numero di Reynolds R, che per una sfera si può scrivere
R =
2ρ F r
η
v
(5)
essendo r il raggio della sfera, v la sua velocità rispetto al fluido, ρF e η rispettivamente la densità e la
viscosità del fluido. Il moto si può ritenere laminare se R risulta inferiore ad un valore critico che, per
una sfera in un fluido, si può assumere uguale a 1. Per gli scopi di questa esperienza è importante che
sia laminare il moto alla velocità limite, cioè che sia
2ρ F r
R =
vL ≤ 1 .
η
Il fluido usato è sapone liquido, di densità ρF ≈ 1.032 g/cm3 e viscosità (da determinare) fortemente
dipendente dalla temperatura con valore attorno ai 20 Poise (NB: la viscosità equivale,
dimensionalmente, ad una forza moltiplicata per una lunghezza e divisa per un’area ed una velocità; si
misura in kg/ms o in poise, che equivale 10-1 kg/ms); le sferette sono di acciaio (ρ = 7.87 g/cm3) e
hanno raggi variabili.
Nel caso più sfavorevole, che corrisponde a r = rmax (diametro di 5/32", cioè r = 0.397cm), si ottiene
R max ≤ 0.1 , ed il moto si può sicuramente considerare laminare.
La seconda condizione ci ricorda che la legge di Stokes è valida per un mezzo infinitamente esteso; in
un vaso finito le deviazioni rispetto alla (1) sono proporzionali al rapporto fra il diametro delle sfere e
le dimensioni del recipiente. Le dimensioni del nostro recipiente sono tali da rendere trascurabili questi
effetti.
Descrizione dell’esperimento
Si lasciano cadere sfere di acciaio (aventi differenti diametri) in un recipiente cilindrico di plexiglass di
diametro interno 9cm circa e altezza 75 cm contenente una soluzione molto viscosa (detergente liquido
per mani), cercando di mantenere la traiettoria quanto più possibile vicina al suo asse verticale. Le sfere
hanno i diametri espressi in frazioni di pollice (1′′ = 2.54 cm) compresi tra un minimo di 2 ed un
massimo di 5 trentaduesimi di pollice. Per ognuna delle sfere si misurano i tempi di caduta, usando a
tale scopo i riferimenti incisi sulla faccia esterna del recipiente: questi coprono un tratto di lunghezza
complessiva 50 cm a intervalli di 5 cm. Il cronometro viene azionato al passaggio del primo traguardo e
viene momentaneamente messo in pausa ad ogni istante di passaggio per i successivi traguardi in modo
da permettere ad un secondo sperimentatore di registrare la lettura. È opportuno traguardare verso uno
sfondo chiaro, e prendere come tempo di passaggio (alla quota osservata) quello relativo all’estremità
inferiore delle sferette.
Per i quattro diametri delle sfere (D = 2′′/32, 3′′/32, 4′′/32, 5′′/32) è possibile registrare i tempi parziali
ogni 5 cm.
Per ogni diametro, da 2 a 5 trentaduesimi di pollice, si lasciano cadere 8 sferette e si calcolano poi per
ogni distanza le medie aritmetiche dei tempi misurati e la deviazione standard della media, come in
Tabella 1.
3
x(cm)
5
t (s)
10
4,46
4,26
4,17
4,16
4,18
4,13
4,21
4,11
4,16
4,09
media
dev.st
dev.st.media
8,63
8,41
8,38
8,26
8,40
8,35
8,38
8,30
8,32
8,33
15
20
12,82
12,85
12,61
12,64
12,84
12,39
12,54
12,53
12,53
12,41
16,80
17,13
16,85
16,70
17,23
16,84
16,75
16,62
16,60
16,54
25
30
21,43
21,52
20,90
21,04
21,63
21,01
21,00
20,89
20,84
20,85
25,57
25,83
25,25
25,20
25,79
25,18
25,06
24,96
24,97
25,05
35
29,74
30,18
29,51
29,42
29,98
29,42
29,39
29,19
29,19
29,09
40
34,12
34,32
33,71
33,65
34,57
33,51
33,39
33,43
33,33
33,43
45
38,39
38,66
37,81
37,81
38,57
37,83
37,79
37,57
37,57
37,49
50
42,60
42,95
42,14
42,23
42,98
42,08
41,92
41,83
41,76
41,72
4,19
8,38
12,62
16,81
21,11
25,29
29,51
33,75
37,95
0,11
0,10
0,17
0,22
0,30
0,33
0,36
0,44
0,43
42,22
0,47
0,03
0,03
0,05
0,07
0,09
0,10
0,11
0,14
0,14
0,15
Tabella 1. Misure di tempo relative alle sfere di diametro 3/32 di pollice. E' evidenziato il valore
massimo della dev. st. della media.
50
100
y = 1,9044x + 0,0626
R2 = 1,0000
40
60
30
y = 0,8451x - 0,0586
R2 = 1,0000
t(s)
t(s)
80
40
20
20
10
0
0
0
10
20
30
s(cm )
40
50
60
0
10
20
30
s(cm )
40
50
60
30
s(cm )
40
50
60
20
30
y = 0,4675x - 0,0689
R2 = 0,9999
y = 0,2936x + 0,0102
R2 = 1,0000
15
t(s)
t(s)
20
10
10
5
0
0
0
10
20
30
s(cm )
40
50
60
0
10
20
Figura 1. Grafico del tempo in funzione della distanza percorsa per le quattro sfere aventi diametro 2,
3, 4 e 5 trentaduesimi di pollice. Si noti l’ottima linearità dei dati, a dimostrazione che il moto è
uniforme.
4
Riportando in ascissa i valori della posizione e in ordinata i tempi medi (con le loro barre di errore, cioè
le deviazioni standard della media) si ottengono grafici (t,s) come quelli in Figura 1.
L'ottima linearità dei dati che si osserva in figura è la migliore evidenza che le sferette si muovono con
velocità costante, hanno cioè raggiunto la loro velocità limite vL.
Questa velocità limite si ricava interpolando i punti con una retta e prendendo il coefficiente angolare B
(in realtà B = 1 v L che qui usiamo al posto di vL per comodità). L'interpolazione con la retta si può fare
facilmente con Excel (v. figura 1) ma è necessario calcolare anche l'errore sul coefficiente angolare,
N
1
usando la formula (g) in Appendice C, ossia σ B = σ   = σ y
.
∆
v
dove <σy> è il valore medio delle deviazioni standard della media (la media dei valori dell'ultima riga
in Tabella 1).
D(")
D(cm)
2
-2
1/D (cm )
σ(1/v)
1/v
2/32
0,1588
39,6801
1,9044
0,0090
3/32
0,2381
17,6356
0,8451
0,0060
4/32
0,3175
9,9200
0,4675
0,0040
5/32
0,3969
6,3488
0,2938
0,0020
Tabella 2. Diametro delle sfere (D) espresso in trentaduesimi di pollice ed in centimetri;
inverso del quadrato del diametro ed inverso della velocità limite con relativo errore.
2
y = 0,0483x - 0,0108
R2 = 1,0000
1/v (s/cm)
1,5
1
0,5
0
0
10
20
30
40
50
1/D2 (cm -2)
Figura 2. L’inverso della velocità limite in funzione dell’inverso del quadrato dei diametri.
I coefficienti delle rette corrispondenti ai 4 diametri sono raccolti in Tabella 2 con i loro errori
σ B = σ (1 v L ) , i diametri D delle sfere e l'inverso del quadrato degli stessi (1/D2).
5
Riportando in ascissa i valori di 1/D2 e in ordinata i valori di 1/v di Tab. 2 si ottiene la Figura 2. Come
si vede in questa figura i punti sono disposti lungo una retta, di cui si calcolerà la pendenza con il
relativo errore come già visto nei casi precedenti.
In questa esperienza possono intervenire svariate cause di errore sistematico, più esattamente:
1. Le sfere possono trascinare nel liquido delle bolle d’aria, che si staccano quasi subito dalle sfere
più piccole ma possono rimanere a lungo nella scia delle maggiori; per queste ultime la forza
d’attrito risulta quindi sensibilmente maggiore di quanto previsto dalla (1).
2. Nella caduta le sfere possono incontrare bolle lasciate da quelle precedenti; è quindi opportuno
eseguire le misure per valori crescenti dei diametri.
3. La legge di Stokes è valida per il moto attraverso un mezzo infinitamente esteso; per le sfere più
grandi potrebbero manifestarsi deviazioni dalla legge di Stokes. L'ottima linearità mostrata in figura
2 è la miglior garanzia che questi effetti non sono un problema.
4. Il liquido si può essere stratificato, separandosi per densità crescenti con la profondità; in queste
condizioni sia la spinta di Archimede che la viscosità non sono costanti.
Se scriviamo l’equazione della retta che interpola i dati in figura come y = A + Bx, intercetta e
pendenza valgono rispettivamente, nel caso riportato in Tabella 2:
A = −0.0108 s e B = 0.0483 s/cm.
Dalla (3), sostituendo dapprima r = D/2 ed indicando poi con B il rapporto sperimentale D2/vL si trova:
2r 2 g
D2 g
Bg
(6)
(ρ − ρ 0 ) =
(ρ − ρ 0 ) =
(ρ − ρ 0 )
9v L
18v L
18
per l’errore (la deviazione standard di η), invece,
2
2
2
 2 σ ρ2 + σ ρ2 0 
 ∂η 
 ∂η 
 ∂η 
2
2
2
2
2 σB
 σ ρ0 = η  2 +
σ η =   σ B +   σ ρ + 

(ρ − ρ 0 )2 
 ∂B 
 ∂ρ 
 ∂ρ 0 
 B
con
ρ0 = 1.032 ± 0.001 g/cm3 (densità del liquido)
ρ = 7.87± 0.005 g/cm3
(densità dell'acciaio delle sferette)
2
g= 9.80665 m/s = 980.665 cm/s2
da cui si ricava:
(17.99 ± 0.08) Poise
η=
(7)
Si ponga attenzione alle unità di misura: devono essere consistenti. Se si usano sempre g, cm, s si
ottiene il risultato in Poise (unità non S.I. ma di largo impiego). Se si usano sempre kg, m, s si ottiene il
risultato in kg/ms=Pa.s. Ricordare che 1 Poise = 1 g/cms = 0.1 kg/ms.
Il valore finale riportato in grassetto rappresenta: (η ± ση) cioè valore probabile (formula 6) ±
deviaz. standard (formula 7, sotto radice). Notare che la (7) fornisce ση2.
Per quanto riguarda il numero di cifre significative da utilizzare, v. nota alla fine dell'Appendice B.
Riassunto delle diverse operazioni.
1. Utilizzando dapprima le sfere più piccole (2/32 di pollice), farle cadere nel liquido annotando i
tempi di passaggio per i livelli segnati ogni 5 cm, considerando come tempo in cui far partire il
cronometro quello relativo al passaggio al primo segno. Rilevare almeno 5 serie di tempi di caduta
(ossia usare almeno 5 sfere) per ogni diametro da 2 a 5 trentaduesimi di pollice.
6
2. Per ogni diametro, per ogni insieme di dati relativi ad ogni posizione delle sfere, calcolare la e
l’errore della media (formula (b) di "statistica", p. 10).
3. Per ogni diametro riportare in grafico in ascissa la posizione (5 cm, 10 cm, ecc.; l'errore su questo
valore si considera trascurabile) e in ordinata i relativi tempi.
4. Interpolare i dati e ricavare il coefficiente angolare (cioè 1/vL) con relativo errore.
5. Si riportano in una tabella i valori dei diametri delle sfere, di 1/D2 e del relativo coefficiente
angolare (ossia di 1/v).
6. Si riportano in grafico i dati di cui al punto precedente, ponendo in ascissa i valori di 1/D2 (assunti
privi di errore) e in ordinata i valori di 1/v.
7. Si interpolano i dati del grafico del punto precedente ricavando il coefficiente angolare B ed il
relativo errore.
Bg
8. Dal valore di B si ottiene il coefficiente di viscosità η, utilizzando la formula η =
(ρ − ρ0 )
18
 2 σ ρ2 + σ ρ2 0 
2
2 σB
9. Si calcola l’errore (deviazione standard) su η tramite la formula σ η = η  2 +

(ρ − ρ 0 )2 
 B
10. Si riporta il valore di η±ση con le opportune approssimazioni.
Relazione (inWord o simili)
1.
2.
3.
4.
5.
Scopo dell’esperimento (poche righe)
Cenni di teoria (poche righe)
Descrizione dell’apparato sperimentale e dell’esperimento
Dati (tabelle dei dati presi in laboratorio, v. Tabella 1)
Analisi dei dati (con grafici): grafici per le 4 sfere, tabelle riassuntive dei valori ottenuti, grafico
finale per le 4 sfere con valore del coefficiente trovato e relativo errore, valore del coefficiente di
viscosità.
6. Conclusioni sull’esperimento: come sono i grafici (lineari o meno, se hanno dati fuori dalla retta,
etc.), come sono i valori ottenuti ecc. Eventuali errori o problemi riscontrati.
Appendice A. Soluzione dell'equazione del moto.
L'equazione del moto
m
dv
= ( ρ − ρ F )Vg − 6πηrv
dt
si può riscrivere in forma più semplice introducendo la velocità limite vL ed il tempo caratteristico τ:
2ρ r 2
2 (ρ − ρ F )gr 2
τ=
vL =
.
9
η
9η
Si ottiene così l'equazione:
dv
1
(A1)
= − (v − v L )
dt
τ
Essa si può integrare senza fatica con il metodo di separazione delle variabili. Così facendo la (A1)
diviene:
7
dv
dt
=− .
v − vL
τ
Ponendo v0 la velocità iniziale al tempo t = 0 e integrando entrambi i membri si ricava
dv
1 t
=
−
∫v0 v − v L τ ∫0 dt
v
e quindi
ln
v − vL
1
=−
v0 − v L
τ
ossia
v (t ) = v L + (v 0 − v L )e
−
t
τ
(A2)
In questa formula vL (che non dipende da v0) rappresenta la velocità limite; è chiaro infatti che
lim v = v L
t →∞
In questa esperienza il tempo caratteristcio τ è di qualche millesimo di secondo, quindi le sferette
saranno sempre osservate alla velocità limite.
La posizione in funzione del tempo si può ricavare integrando nuovamente i due membri della (A2) da
t=0 a t. Si ottiene

 t 
x(t ) = v L t + (v0 − v L )τ 1 − exp −  
(A3)
 τ 

APPENDICE B. Teoria degli errori e statistica
Misure dirette e misure indirette
- La misura si dice diretta quando si confronta direttamente la grandezza misurata con l’unità di
misura (campione) o suoi multipli o sottomultipli; come esempio, la misura di una lunghezza
mediante un regolo graduato è una misura diretta.
- Misure indirette sono invece quelle in cui non si misura la grandezza che interessa, ma altre che
risultino ad essa legate da una qualche relazione funzionale; così la velocità di un’automobile può
essere valutata sia direttamente (con il tachimetro) sia indirettamente: misurando spazi percorsi e
tempi impiegati, dai quali si risale poi alla velocità (media) con una operazione matematica.
La sensibilità dello strumento
La sensibilità dello strumento si può definire come il reciproco della incertezza di lettura propria dello
strumento, cioè della più piccola variazione della grandezza che può essere letta sulla scala, e che si
assume generalmente corrispondente alla più piccola divisione della scala stessa (o ad una frazione
apprezzabile di questa). La sensibilità può essere diversa in differenti punti della scala, o per diversi
valori della grandezza; è un fattore che limita l’intervallo d’uso dello strumento, potendo divenire
insufficiente al di sotto della soglia od al di sopra della portata.
8
Tipi di errori
Se si esegue una misura di una qualsiasi grandezza fisica si commettono inevitabilmente errori;
conseguentemente il valore ottenuto per la grandezza misurata non è mai esattamente uguale al suo
vero valore, che non ci potrà perciò mai essere noto con precisione arbitrariamente grande.
Quando si ripete la misura della stessa grandezza col medesimo strumento, nelle medesime condizioni
e seguendo la medesima procedura, la presenza delle varie cause di errore (che andremo tra poco ad
esaminare) produce delle differenze casuali tra il valore misurato ed il valore vero; differenze variabili
da una misura all’altra, ed in modo imprevedibile singolarmente.
In conseguenza di ciò, i risultati di queste misure ripetute (se lo strumento è abbastanza sensibile)
fluttueranno apprezzabilmente in maniera casuale in un certo intervallo: la cui ampiezza definirà la
precisione delle misure stesse. Gli errori di questo tipo si dicono errori casuali, e la loro esistenza è
facilmente accertabile con l’uso di un qualsiasi strumento sensibile.
Tuttavia, certe cause di errore possono dar luogo a una discrepanza tra valore misurato e valore vero
che si riproduce inalterata in una serie di misure ripetute: e la inosservabilità delle fluttuazioni non
garantisce affatto che tale discrepanza sia inferiore all’incertezza di lettura dello strumento; né si può
esser certi che essa sia contenuta entro l’intervallo di variabilità degli errori casuali (quando esso sia
maggiore dell’incertezza di lettura).
Gli errori di questo secondo tipo si dicono errori sistematici e sono i più insidiosi, perché non risultano
immediatamente identificabili. Alcune cause di errori sistematici possono essere quelle elencate nel
seguito:
1. Difetti dello strumento, risalenti alla costruzione o conseguenti al suo deterioramento. Ad esempio,
in una bilancia con bracci di lunghezza diversa, l’uguaglianza dei momenti applicati ai due bracci
ed assicurata dall’equilibrio del giogo non implica l’uguaglianza delle masse ad essi sospese: perché
una massa minore sospesa al braccio più lungo produrrà una azione atta ad equilibrare quella
esercitata da una massa maggiore sospesa all’altro (questo errore si potrebbe anche classificare nel
tipo 6, cioè come errore di interpretazione del risultato). Oppure la scala stessa dello strumento può
essere difettosa: così, se il capillare di un termometro non ha sezione costante, anche se le posizioni
corrispondenti a due punti fissi come 0◦C e 100◦C fossero esatte, le temperature lette risulterebbero
in difetto in un tratto della scala ed in eccesso in un altro tratto.
2. Uso dello strumento in condizioni errate, cioè diverse da quelle previste per il suo uso corretto.
Tale è l’uso di regoli, calibri e simili strumenti per misurare le lunghezze, o di recipienti tarati per la
misura dei volumi, a temperature diverse da quella di taratura (generalmente fissata a 20◦C); infatti
la dilatazione termica farà sì che lunghezze e volumi risultino alterati, in difetto o in eccesso a
seconda che si operi a temperatura superiore o inferiore.
3. Errori di stima da parte dello sperimentatore: un esempio di questo tipo di errore si ha quando,
nello stimare una certa frazione di divisione di una scala graduata, lo sperimentatore tende a
valutarla sempre in difetto o sempre in eccesso; oppure quando, nel leggere la posizione di un
indice mobile posto di fronte ad una scala graduata (non sullo stesso piano), lo sperimentatore tenga
il proprio occhio sistematicamente alla sinistra o alla destra del piano passante per l’indice ed
ortogonale alla scala stessa (errore di parallasse). Proprio per evitare questi errori di parallasse,
dietro gli indici mobili degli strumenti più precisi si pone uno specchio che aiuta l’osservatore a
posizionarsi esattamente davanti ad esso.
4. Perturbazioni esterne; un esempio di errori di questo tipo è la presenza di corpi estranei, come la
polvere, interposti tra le ganasce di un calibro e l’oggetto da misurare: questo porta a sovrastimarne
lo spessore.
5. Perturbazione del fenomeno osservato da parte dell’operazione di misura. Tra gli errori di questo
tipo si può citare la misura dello spessore di un oggetto con un calibro.
6. Uso di formule errate o approssimate nelle misure indirette.
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Un modo per rivelare la presenza di errori sistematici insospettati può essere quello di misurare, se
possibile, la stessa grandezza con strumenti e metodi diversi; questi presumibilmente sono affetti da
errori aventi cause diverse e possono fornire perciò risultati differenti. Tuttavia neppure l’assenza di
questo effetto dà la certezza che la misura sia esente da errori sistematici, ed essi sono generalmente
individuati solo da una attenta e minuziosa analisi critica: sia dello strumento usato, sia della procedura
seguita nella misura.
Gli errori casuali possono essere ridotti (ad esempio migliorando le caratteristiche dello strumento) ma
non possono mai essere eliminati.
Statistica
x=
Media:
Varianza:
s2 =
1
N
N
∑x
1 N
( xi − x ) 2
∑
N −1 1
Deviazione standard:
σ = s2
Errore della media:
σx =
Quindi
x=
(a)
i
1
1
N
N
∑x
1
i
σ
N
±
(b)
σ
N
Cifre significative
Nei risultati intermedi si possono tenere per i successivi calcoli tutte le cifre che si vogliono, ma, giunti
al risultato finale, e dopo aver calcolato l'errore, bisogna troncare il risultato stesso al livello dell’errore
stimato. Per l'errore stesso (ση nel nostro caso) utilizzare una o al massimo 2 cifre significative, e
limitare anche il valore calcolato (η) alle stesse cifre decimali.
Ad esempio, supponiamo di aver calcolato η=18.34567... e ση = 0.23146... E' considerato un errore
scrivere
18.34567± 0.23146
si scriverà invece:
18.35 ± 0.23 oppure 18.3 ± 0.2
Se si fosse trovato ση=0.007823... si scriverà
18.3457 ± 0.0078 oppure
18.346± 0.008
Notare l'arrotondamento della cifra finale (si tronca semplicemente se la cifra successiva è minore di 5,
si aumenta di uno se è maggiore o uguale a 5).
Appendice C. Interpolazione lineare con il metodo dei minimi quadrati.
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Supponiamo che le variabili oggetto della misura siano due sole e che la legge che vi sia tra di esse una
relazione di tipo lineare:
y = A+Bx.
Supponiamo inoltre di aver effettuato misure del valore della x e di quello corrispondente assunto dalla
y in diverse condizioni, così che si disponga in definitiva di N coppie di valori tra loro corrispondenti
(xi,yi); una volta riportati sul piano cartesiano {x,y} punti con queste coordinate, essi si dovranno
disporre approssimativamente lungo una linea retta.
Come si determina la retta che meglio approssima i dati? Intuitivamente, si tratta di trovare la retta che
rende minima la "distanza complessiva" dai punti sperimentali. La soluzione qui proposta presuppone
che:
1. le N determinazioni effettuate siano tra loro statisticamente indipendenti;
2. una sola delle variabili coinvolte (ad esempio la y) sia affetta da errore;
3. le deviazioni standard delle diverse misure yi non differiscano molto l'una dall'altra;
si dimostra che per “distanza complessiva” si deve intendere la somma dei quadrati delle lunghezze dei
segmenti di retta parallela all’asse y compresi tra i punti misurati e la retta esaminata.
In queste ipotesi, una misura della "distanza complessiva" è fornita dalla somma dei quadrati degli
2
scarti ∑ [ y i − y ( xi )] dove xi, yi sono i valori sperimentali e y ( xi ) = A + Bxi .
i
La retta che meglio approssima i dati (ossia che minimizza la distanza tra la stessa e i dati) ha
coefficienti dati dalle relazioni:
A=
1 
 


2 
 ∑ xi  ∑ y i  −  ∑ xi  ∑ xi y i 
∆  i
 i
  i
 i

B=
1 
 


 N  ∑ xi y i  −  ∑ xi  ∑ y i 
∆  i
  i
 i

(c)
(d)
con
∆ = N ∑ xi
i
2


−  ∑ xi 
 i

2
(e)
Per quanto riguarda gli errori sui coefficienti A e B, una stima ragionevole è:
σA = σy
∑x
i
∆
2
i
(f)
N
(g)
∆
ove <σy> è il valore medio delle deviazioni standard delle yi.
Queste formule sono note come formule dei minimi quadrati (non pesate).
σB = σy
Nelle interpolazioni dei grafici t-s (v. fig. 1), i valori dell'ascissa, xi, rappresentano le posizioni x1=5cm,
x2=10cm ... (eventualmente espresse in metri), mentre le ordinate yi sono i tempi medi della Tabella 1.
N è il numero di punti da interpolare, nel nostro caso N=10 tranne che per il diametro maggiore, dove
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N=5 se si è misurato ogni 2 tacche. <sy> rappresenta la media delle deviazione standard della media,
cioè la media dell'ultima riga in tabella 1.
Nella interpolazione del grafico (1/v)-(1/D2) le ascisse sono gli inversi dei diametri al quadrato
(x1=1/D12=36.68 cm-2, ...); le ordinate sono i valori di 1/v ricavati dalle interpolazioni precedenti,
riportati nella quarta colonna di Tab. 2. I valori nell'ultima riga di Tab. 2 sono gli errori sui coefficienti
angolari σ B = σ 1 . In questo caso, <σy> rappresenta la media di tali errori, cioè il valor medio
v
dell'ultima colonna in Tab. 2.
( )
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