PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA La
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA La
Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA La seduta comincia alle 14,30. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Sulla pubblicità dei lavori. PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l’attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso. (Cosı̀ rimane stabilito). Audizione di rappresentanti del Réseau des organisations paysannes et de producteurs de l’Afrique de l’Ouest (ROPPA). PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle istituzioni e i processi di governo della globalizzazione, l’audizione di rappresentanti del Réseau des organisations paysannes et de producteurs de l’Afrique de l’Ouest (ROPPA), cui do il benvenuto. Sono presenti Saliou Sarr, rappresentante della Piattaforma senegalese e del ROPPA, Nora Mckeon e Paola de Meo, rappresentanti di Terra Nuova, Antonio Onorati, rappresentante del centro internazionale Crocevia e Marco Foschini della Coldiretti. Vi chiederei di non superare i dieci minuti per ciascun intervento. Do la parola a monsieur Sarr. SALIOU SARR, Rappresentante della Piattaforma senegalese e del ROPPA. Signor 3 Indagine conoscitiva – 24 — — SEDUTA DEL 27 SETTEMBRE 2007 presidente, mi scuso perché il testo che presenterò in francese è ancora in corso di traduzione in italiano, ma sarà pronto quanto prima e potrà esservi trasmesso. A nome dei produttori agricoli dell’Africa occidentale, ho il piacere e l’onore di prendere la parola dinanzi a questo consesso e di ringraziare gli organizzatori di questa audizione per l’occasione offerta agli agricoltori africani di essere auditi in questa sede. Per noi produttori africani della Rete delle organizzazioni contadine e degli agricoltori dell’Africa occidentale, la globalizzazione si sta costruendo su profonde ingiustizie per le popolazioni e i Paesi dell’Africa occidentale, che figurano fra i più poveri del mondo. Il liberalismo, come modello economico della globalizzazione che considera i prodotti agricoli una merce come le altre, sta infatti rovinando le agricolture familiari e contadine nel nord come nel sud del mondo. Vi fornisco alcune cifre illustrative. Oggi nel mondo della globalizzazione esistono più di 850 milioni di persone affamate e molte aziende agricole falliscono ogni giorno in Europa, nonostante le numerose sovvenzioni interne ed esterne. Secondo la Confederazione degli agricoltori europei (CPE) ogni giorno falliscono decine di aziende, mentre nel sud la globalizzazione causa guerre, fame, abbandono delle campagne e anche suicidi. Non si tratta dunque di una contrapposizione tra nord e sud, ma di un mondo che si è sviluppato in modo errato. Nell’Africa occidentale la frattura è ancor più grande perché l’agricoltura stenta a farsi carico dei suoi compiti fondamentali, ovvero garantire la sicurezza alimentare, mantenere gli equilibri sociali attraverso la creazione Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE di posti di lavoro e contribuire alla crescita economica preservando l’ambiente. Per questo, noi produttori africani ci chiediamo come si possano raggiungere gli obiettivi del Millennio se i produttori di cibo sono i primi a patire fame e povertà, in che modo l’agricoltore africano possa uscire dal circolo vizioso dell’indigenza monetaria, dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione se non riesce a vendere i suoi prodotti sul proprio mercato nazionale. L’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) gli impone infatti di competere con un produttore del nord che ha usufruito di più di cinquant’anni di sovvenzioni, di aiuti tecnici e di una protezione nei confronti delle importazioni ancor oggi da tre a sei volte superiore a quella dell’Africa occidentale per le derrate alimentari di base. La risposta a queste domande esige di intraprendere profonde riforme su scala planetaria in uno spirito di solidarietà, di equità e di giustizia, affinché si affermi un commercio mondiale solidale e complementare, meno speculativo e fondato sulla concorrenza. Ciò implica che le imperfezioni oggi constatate nell’autoregolamentazione dei mercati devono essere subito corrette attraverso meccanismi di controllo e di regolamentazione dell’offerta per tutti, in particolare per i Paesi poveri dell’Africa occidentale, per i quali l’agricoltura è assolutamente vitale giacché occupa ancora i due terzi della popolazione. Ritengo che per maggior chiarezza sia opportuno descrivere lo stato di cose nell’Africa occidentale, della Communauté économique des états de l’Afrique de l’Ouest (CEDEAO) più la Mauritania. Si tratta di sedici Paesi con una popolazione totale di quasi 250 milioni di abitanti e con un prodotto interno lordo annuale pro capite di 500 dollari, contro i 1.170 dollari dei Paesi in via di sviluppo. Tredici di questi Paesi sono tra quelli meno avanzati. Si può quindi affermare che oggi l’Africa occidentale è un grande Paese meno avanzato, con un deficit strutturale sul piano commerciale e in termini di sussistenza e dipendenza alimentare. 4 Indagine conoscitiva – 24 — — SEDUTA DEL 27 SETTEMBRE 2007 A titolo illustrativo, tra il 1995 e il 2003 il deficit per i prodotti di sussistenza si è moltiplicato per tre, passando da 1 miliardo e 600 milioni di dollari a 4 miliardi e 300 milioni. Oltre al deficit alimentare, l’Africa occidentale sta vivendo un’integrazione regionale faticosa, con scambi intraregionali che, rispetto al totale delle importazioni, continuano a calare. La parte degli scambi intraregionali sul totale delle importazioni alimentari ammontava all’11 per cento nel 1993, percentuale già scarsa, da cui si è scesi al 5 per cento nel 2004. Si nota invece come la parte degli scambi intraregionali interni all’UE costituisca più dell’80 per cento delle importazioni alimentari. Vorrei chiedere se in queste condizioni sia ragionevole spingere l’Africa occidentale a firmare accordi di partenariato economico (APE) entro il 31 dicembre del 2007. Se le preferenze tariffarie non reciproche, elemento motore delle Convenzioni di Yaoundé e di Lomé, in cui l’Unione Europea aveva permesso ai Paesi ACP di esportare nella zona UE a dazio zero mentre, in contropartita, l’UE avrebbe dovuto pagar dazio allorché esportava verso di loro, dovessero essere abolite e si affermasse l’applicazione della reciprocità tra Europa e Africa occidentale, ciò rappresenterebbe la morte programmata dell’agricoltura africana, che occupa il 65 per cento della popolazione africana. I divari di sviluppo sono infatti enormi e, secondo un professore dell’Università di Parigi I, il differenziale di produttività agricola tra Europa ed Africa occidentale è oggi di mille a uno, mentre era di dieci a uno all’inizio del XX secolo. Nell’ambito di questi accordi di partenariato economico, come agricoltori africani chiediamo una proroga di almeno 25 anni, conformemente agli articoli 34 e 35 dell’Accordo di Cotonou, che privilegiano un vero partenariato che tenga conto delle differenze del livello di sviluppo, e promuovono altresı̀ l’integrazione regionale nell’ambito delle varie regioni. Per l’Africa occidentale la priorità attribuita all’integrazione regionale implica un incremento degli scambi intraregionali, Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE un miglioramento delle infrastrutture e delle capacità produttive, una priorità alla sovranità alimentare e al diritto alla protezione. Queste scelte permetteranno all’Africa occidentale e soprattutto alla sua agricoltura di produrre l’essenziale dei propri alimenti e di garantire una crescita anche come cittadini. Questo porterà a ripristinare la centralità degli aspetti legati allo sviluppo nello spirito degli Accordi di Doha, anziché privilegiare l’accesso al mercato. Per noi produttori africani, collocare l’agricoltura nell’ambito del libero scambio e degli attuali negoziati commerciali significa correre il rischio di radicare irreversibilmente la povertà e la fame nei Paesi in via di sviluppo e, in particolare, in quelli dell’Africa occidentale, per i quali le attività agricole sono considerate il motore dell’economia e la principale fonte di occupazione. Per questo dunque cogliamo l’occasione per chiedervi, onorevoli parlamentari, di essere i nostri interpreti presso il Parlamento italiano e i Parlamenti d’Europa spiegando come gli agricoltori africani non siano contrari ad accordi di partenariato economico con l’Europa, ma chiedano di avere il tempo di prepararsi grazie a un’integrazione regionale africana più forte, che permetta loro di produrre i propri alimenti e, in partenariato con l’Unione europea, di contribuire a un’umanità autentica. Vi ringrazio per l’attenzione e per averci concesso l’opportunità di esprimere il punto di vista dei piccoli agricoltori africani. PRESIDENTE. Grazie per la presentazione estremamente lucida e completa. Vorrei proporre ai colleghi di ascoltare anche gli accompagnatori di monsieur Sarr. Do pertanto la parola al rappresentante della Coldiretti, Marco Foschini. MARCO FOSCHINI, Rappresentante della Coldiretti. Desidero sottolineare come la Coldiretti realizzi una collaborazione con il ROPPA – avviata diversi anni fa e che speriamo di implementare – che de- 5 Indagine conoscitiva – 24 — — SEDUTA DEL 27 SETTEMBRE 2007 riva dalla condivisione della comune missione delle due organizzazioni, ovvero quella, da me sottolineata questa mattina in conferenza stampa, di far partecipare ai processi di trasformazione dell’agricoltura le proprie basi sociali, ovvero soprattutto le aziende agricole familiari, pur con le differenze attuali che intercorrono tra l’Italia e l’Africa occidentale. Nello specifico è necessario considerare la situazione dell’Italia nell’immediato dopoguerra, quando è stata avviata l’esperienza della Coldiretti nel Paese. Quello che sta accadendo tuttavia non va in questa direzione. Siamo entrati in un’Europa unita ed esistono quindi un mercato protetto e una politica agricola comunitaria. Come molti ormai affermano, per lo sviluppo umano dei Paesi africani – ben al di là, quindi, della loro crescita economica – consideriamo necessarie l’integrazione regionale o subregionale, in base alle aggregazioni, e una politica agricola come la nostra del passato, sebbene aggiornata, esente dai nostri errori e differente sotto alcuni aspetti. Loro hanno infatti bisogno di un “tasso di protezionismo” per i prodotti sensibili diverso da quello dell’Europa, che, invece, almeno fino a poco tempo fa aveva problemi di eccedenza. Volevamo sottolineare tale impostazione, condividendo la loro apprensione per gli accordi che stanno per essere stipulati, in quanto, come rilevato questa mattina, essi indugiano in una concezione esclusivamente commerciale delle relazioni internazionali, a dimostrazione dell’attuale incapacità dell’Unione europea di realizzare una politica estera. Gli accordi, tra l’altro, dovrebbero essere di partenariato economico, mentre invece appaiono come accordi di liberalizzazione, in cui le misure di accompagnamento si rivelano troppo deboli ed insufficienti a coprire quanto sta accadendo, quasi fossero una foglia di fico. Mi preme inoltre sottolineare come troppo spesso si evochino modelli di sviluppo ormai superati, in particolare per quanto concerne Paesi con questa situazione sociale. Il modello dell’agricoltura sviluppatasi in Giappone o ancora nel Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE secolo scorso in Italia e nei Paesi occidentali, con il forte deflusso di forza lavoro dall’agricoltura ad altri settori dell’industrializzazione, oggi si rivela assolutamente irripetibile. È necessario quindi evitare di evocare vecchi stereotipi sullo sviluppo, che rischiano di produrre guasti. La duplicità dei prodotti italiani era sanabile, perché essi venivano assorbiti e si generava ricchezza. Ora, invece, i guasti rischiano di essere deflagranti rientrando in un modello di esasperazione dell’industrializzazione e dell’agricoltura che si rivela dannoso anche per l’agricoltura europea. Da qui scaturisce la solidarietà verso di loro, che nasce non soltanto da un’affinità ideale o da una condivisione di situazioni, ma anche da interessi concreti. Entrambi perseguiamo infatti un modello di sviluppo legato al territorio e alle sue risorse endogene, basato sulla possibilità dell’impresa familiare di creare reti e di garantire un arricchimento, che diversifichi quanto abbiamo, al contrario delle estremizzazioni dell’agricoltura industrializzata. Senza questa pluralità non esiste democrazia economica e si generano guasti, perché il modello che si è affermato spontaneamente e che ha avuto un’impennata con la globalizzazione in realtà non fornisce risposte dal punto di vista sociale, della salubrità o dell’ambiente. Insomma, crea più problemi di quelli che risolve, nonostante la concentrazione di ricchezza possa sembrare un volano per altri aspetti. Su questo vorrei focalizzare l’attenzione anche dal punto di vista culturale. Grazie. ANTONIO ONORATI, Rappresentante del Centro internazionale Crocevia. Se fosse possibile, come italiani preferiamo rispondere alle domande. Desidero aggiungere soltanto un’informazione che Sarr non ha fornito probabilmente per la sua consueta modestia. Il ROPPA rappresenta una Confederazione di organizzazioni nazionali di dodici Paesi per un totale di almeno 25 milioni di agricoltori. I numeri hanno valore in questa sede perché il dialogo con organizzazioni sociali cosı̀ radicate delinea uno spaccato diverso delle società locali. 6 Indagine conoscitiva – 24 — — SEDUTA DEL 27 SETTEMBRE 2007 Non si tratta infatti di uno scambio tra benefattori e beneficiati, ma di un confronto con organizzazioni sociali che possiedono una loro agenda. NORA MCKEON, Rappresentante di Terra Nuova. Desidero svolgere un breve intervento con due introduzioni, la prima delle quali in veste di rappresentate di Terra Nuova e coordinatrice della Campagna EuropAfrica Terre contadine, che riunisce il ROPPA e altre reti di organizzazioni contadine africane con le ONG e la società civile italiana, cui stanno a cuore cibo sano e territorio rurale florido. Questi punti sono stati sollevati da Marco Foschini giacché Coldiretti partecipa a questo gruppo da dieci anni, sin dalla sua fondazione. La consapevolezza del fatto che in Italia l’agricoltura familiare e la piccola e media impresa siano ancora realtà importanti e ben vive diviene un fatto culturale. È in atto una presa di coscienza dei molti interessi comuni ai produttori agricoli dell’Africa e al mondo agricolo e dei consumatori in Italia. Questo rappresenta un motivo profondo di solidarietà culturale da non sottovalutare. La seconda considerazione riguarda l’esperienza da me maturata alla FAO, in cui ho lavorato per trent’anni. Vorrei sottolineare infatti il gap molto spesso esistente tra teoria e pratica. Se la teoria non si confronta con la realtà, rischia di diventare dogma oppure, come evidenziato da Marco Foschini, di fossilizzarsi su schemi ormai sorpassati. Il dipartimento di economia della FAO in questo momento è l’unico a lavorare all’individuazione di modelli di valutazione dell’impatto della globalizzazione sui Paesi del sud del mondo per quanto concerne i piccoli produttori e la sicurezza alimentare, fattori solitamente tralasciati dai modelli esistenti. Spesso, non essendo specialisti, acquisiamo i risultati statistici di studi di cui non possiamo controllare i parametri. In realtà questi modelli non tengono conto della realtà descritta da Saliou Sarr. Esiste un certo gap tra quello che si dice e quello che si riscontra in pratica. Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE Tutti concordano sul fatto che il futuro di queste regioni del sud del mondo risieda nel costruire la loro integrazione regionale, come ha fatto l’Europa, e nell’incentivare il commercio all’interno della regione. La Commissione europea ritiene che gli accordi di partenariato economico siano strumenti di integrazione regionale: in realtà non è cosı̀ e si deve constatare che l’integrazione regionale attualmente non esiste. Saliou Sarr ha fornito le cifre del commercio interregionale in Africa occidentale. Tutte le regioni che negoziano adesso con la Commissione europea sono state indotte ad approvare galoppando documenti che però esistono soltanto sulla carta e sono privi di applicazione sul territorio. In tali regioni mancano politiche agricole comuni. L’Europa è stata costruita intorno alla Politica agricola comune (PAC). A queste regioni non è stato lasciato il tempo di costruire politiche comuni con la partecipazione di tutti gli attori che devono potervi contribuire; tuttavia, si immagina che l’integrazione nel commercio globale possa apportare di per sé benefici senza che esistano i presupposti perché ciò possa avvenire. PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendono porre quesiti o formulare osservazioni. RAFFAELLO DE BRASI. Desidero ringraziare tutti gli intervenuti, in particolare Saliou Sarr, che rappresenta la Piattaforma senegalese e del ROPPA per le considerazioni espresse. Esse rafforzano la convinzione della Commissione esteri di essere impegnata in un lavoro politicoistituzionale sui problemi dell’Africa e sul rapporto dell’Italia e dell’Europa con questo continente. Da non molto, infatti, abbiamo costituito il Comitato per l’Africa e a livello governativo il viceministro Patrizia Sentinelli possiede una specifica responsabilità per l’Africa, oltre a quella per la cooperazione e lo sviluppo. Si è recata già diverse volte in Africa e ha dimostrato una forte sensibilità nello sviluppare nuove relazioni e nuove politiche nei confronti del continente. 7 Indagine conoscitiva – 24 — — SEDUTA DEL 27 SETTEMBRE 2007 Nella Commissione esteri e nel Governo si constata dunque una nuova consapevolezza di come l’Africa venga esclusa dalla globalizzazione, che, ancorché basata sul modello liberista (con conseguenze in termini di squilibri e di disuguaglianze) in diversi continenti ha consentito comunque a milioni di persone di uscire dalla povertà. Dalla nostra indagine sulla globalizzazione questo è emerso in maniera molto evidente. Emerge quindi l’esigenza di una nuova politica europea verso l’Africa di non facile realizzazione, perché l’allargamento ha posto l’Europa dinanzi a nuove problematiche anche in campo agricolo. Inoltre, le divisioni politiche, ma anche le difficoltà di dotarsi di strumenti istituzionali nuovi soprattutto per quanto riguarda la politica estera, inseriti nella proposta di una nuova Costituzione europea, hanno fatto emergere difficoltà di coesione che impediscono una politica complessiva, non esclusivamente legata ad una visione mercantile o frammentata in settori. L’esigenza tuttavia esiste, viene percepita anche in Italia e da questi incontri traiamo non solo la consapevolezza di questo impegno, ma anche suggerimenti sicuramente utili per la definizione di questa nuova politica. Dobbiamo sicuramente impegnarci maggiormente anche come Paese sia per la riduzione del debito – abbiamo raggiunto risultati importanti, ma non sufficienti – che per la cooperazione allo sviluppo, visto che stiamo discutendo anche di una nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale. È necessario aprire una nuova fase, capace anche di dimostrarsi critica rispetto a quanto realizzato fino ad oggi. D’altra parte, mi pare che l’esigenza di riflettere criticamente sugli strumenti, sulle politiche e anche sugli impegni delle risorse finanziarie, sia un dato abbastanza comune. Recentemente è stato predisposto un rapporto molto critico sulla FAO, redatto e pubblicato da poco, che ne fotografa l’organizzazione, la politica e l’utilizzo delle risorse. Anche considerando gli obiettivi del millennio, ci si rende conto di come essi Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE siano irraggiungibili mantenendo l’attuale tendenza in atto, sebbene, nonostante la loro importanza, non possano neppure considerarsi compiuti. Come Commissione esteri siamo quindi impegnati a far sı̀ che il Governo, a partire anche dalla stessa legge finanziaria, compia uno sforzo coerente rispetto al Documento di programmazione economica e finanziaria nei riguardi della politica di cooperazione e della dotazione di risorse, senza le quali le buone intenzioni rimarrebbero tali. È estremamente complicato far sı̀ che gli accordi di partenariato economico e le misure di accompagnamento non abbiano il segno prevalente della liberalizzazione o di un carattere mercantile. Emerge un bisogno di politica e di un rapporto forse diverso. Marco Foschini della Coldiretti sa come sia in atto una discussione che coinvolge la politica e il mondo degli agricoltori in ambito europeo, perché per salvaguardare la nostra agricoltura sono utilizzati troppi sostegni pubblici nonché politiche e barriere protezionistiche. Finalmente le associazioni agricole e gli imprenditori italiani hanno compreso la necessità di cambiare politica agricola europea, andando nella direzione di una maggiore qualificazione, di una maggiore sostenibilità ambientale dell’agricoltura, di innovazione dell’impresa anche nel settore italiano ed europeo, in cui esistono comunque problemi. Occorre dunque perseguire progressivamente maggiore possibilità di accesso dei prodotti agricoli nel nostro territorio e creare un partenariato che garantisca la sicurezza alimentare dei Paesi più poveri, sostenga il processo di integrazione regionale, promuova misure di accompagnamento, che abbiano a cuore non solo i dati dell’emergenza ma anche uno sviluppo autonomo di questi Paesi e un equilibrio sociale, che corre il rischio di essere devastato sia dall’emergenza che da una politica fatta esclusivamente di liberalizzazioni. Siamo favorevoli a una liberalizzazione responsabile, con regole e obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale, che consenta alle popolazioni di governare il proprio sviluppo. Naturalmente questo ri- 8 Indagine conoscitiva – 24 — — SEDUTA DEL 27 SETTEMBRE 2007 chiede una consapevolezza anche da parte del mondo agricolo europeo e della politica europea in grado di traguardare progressivamente questi risultati. Desidero infine sottolineare l’apprezzamento per il fatto che associazioni agricole e imprenditoriali italiane abbiano stretto relazioni di solidarietà e di cooperazione con i Paesi produttori più poveri, perché ritengo che questo possa essere uno stimolo alla politica per arricchire la propria agenda di questi obiettivi e di questo dialogo, che deve essere intensificato. Vorremmo quindi coltivare questo rapporto, man mano che il Comitato per l’Africa produrrà audizioni e iniziative, affinché finalmente la politica cambi le sorti dei Paesi più poveri. SABINA SINISCALCHI. Signor presidente, mi associo anch’io ai ringraziamenti dei colleghi per la vostra presenza, che ritengo molto utile. Mentre ascoltavo il rappresentante di ROPPA, che illustrava le riserve e le preoccupazioni dei contadini africani nei confronti dei nuovi accordi di partenariato dell’Unione europea, consideravo quanto siano distanti le ragioni dei gruppi sociali da quelle dei Governi. Ritengo quindi molto utile questa audizione, perché ci consente di apprezzare l’importanza delle ragioni dei gruppi sociali, che rappresentano ampi strati della popolazione dei Paesi a livello mondiale. Effettivamente l’Unione Europea sembra voler cambiare approccio. Con le Convenzioni di Yaoundé e di Lomé e con l’Accordo di Cotonou l’Europa considerava la partnership economica, globalmente intesa, come uno strumento di relazione con i Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) – quasi tutti ex colonie – perseguendone l’integrazione in un rapporto economico globale che comprendesse il commercio, la cooperazione e anche gli investimenti. Si trattava di un approccio molto equilibrato e centrato sui diritti delle popolazioni. Tuttavia, oggi l’Unione europea sembra voler cambiare e dare la preminenza ai rapporti commerciali. Questo giustamente preoccupa, perché, come evidenziato da Saliou Sarr, Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — III COMMISSIONE mette in concorrenza partner molto diversi per forza economica quali i Paesi dell’Unione e i Paesi africani. Questi ultimi non si sono potuti sviluppare come le vecchie convenzioni avevano previsto anche a causa di un environment economico internazionale loro sfavorevole, visto che l’Unione europea ha mantenuto i sussidi all’agricoltura e modalità di investimento estero che non favorivano i Paesi più poveri. Comprendo profondamente le vostre ragioni, perché effettivamente questi nuovi accordi di partenariato comporteranno costi per i Paesi ACP, che la stessa Unione Europa ammette, tanto che istituirà fondi di compensazione. Ci saranno ad esempio minori entrate da dazi e barriere doganali. Mi viene spontaneo chiedere quale sia il ruolo dei vostri Governi. Cosa stanno facendo non le popolazioni, ma i Governi ACP per contrattare con l’Unione europea contenuti e condizioni più favorevoli degli accordi, che prendano in considerazione anche i diritti delle proprie popolazioni, prima di tutto quello al cibo, all’alimentazione e alla sicurezza alimentare ? Desidero rivolgere questa domanda al rappresentante di ROPPA. Grazie. PRESIDENTE. Suggerisco al dottor Sarr di rispondere. Purtroppo a breve dovremo sospendere i lavori della Commissione a seguito della riconvocazione dell’aula. Tuttavia, possiamo sicuramente ascoltare le vostre risposte che ci saranno molto utili. Do la parola a monsieur Sarr. SALIOU SARR, Rappresentante della piattaforma senegalese e del ROPPA. Grazie, presidente, per avermi dato l’opportunità di parlare qui ed anche per la comprensione nei confronti dei produttori africani di cui avete dato prova. Per quanto riguarda l’ultima domanda concernente il ruolo dei Governi africani in questi negoziati, innanzitutto vorrei precisare che questi accordi sono stati firmati nel 2000, ma poi ci sono stati tre anni di pausa, tre anni perduti prima che iniziassero le discussioni tra la CEDEAO, 9 Indagine conoscitiva – 24 — — SEDUTA DEL 27 SETTEMBRE 2007 che rappresenta la nostra sottoregione, e l’Unione europea. Quando poi i Governi hanno avviato un confronto attraverso la CEDEAO con l’Unione europea, la discussione è stata chiusa e non trasparente, perché noi che come società civile, come agricoltori rappresentiamo il 65 per cento della popolazione, non siamo stati informati degli obiettivi da raggiungere. È a partire dall’anno scorso, quindi, che abbiamo iniziato a ricevere alcune informazioni sui contenuti degli accordi APE, cosı̀ da poter avviare una campagna informativa presso gran parte degli agricoltori. Finora però la Commissione europea ha avanzato alcune proposte da più di sei mesi e i nostri rappresentanti della CEDEAO non sono riusciti a dare una risposta. Ignoriamo quindi cosa stiano facendo rispetto a queste proposte della Commissione europea. Si è anche sentito ribadire spesso che i nostri Governi non avrebbero diritto di parola in questo, in quanto i negoziati sugli APE sono legati ai fondi di sviluppo europei, al FED. Solo pochi Governi osano dunque contraddire e imporsi affermando coraggiosamente di non essere pronti a firmare questi accordi nel dicembre 2007. Contiamo quindi sulla vostra comprensione e sul vostro sostegno, affinché questi Governi possano dar voce al desiderio della maggioranza della popolazione che è costituita, appunto, dagli agricoltori africani. Rileviamo pertanto innanzitutto l’incidenza dell’aggiustamento strutturale, perché i nostri Paesi sono soggetti all’aggiustamento strutturale – FMI e Banca mondiale – e fanno molto assegnamento sugli aiuti del FED e, se questi sono legati alla firma degli APE, i Governi sono chiaramente costretti a firmare questi accordi di partenariato. Per questo chiediamo la vostra solidarietà europea, perché, se si instaurasse la reciprocità, tutta la solidarietà europea contenuta nelle Convenzioni di Yaoundé e di Lomé scomparirebbe. È stato sostenuto che non si è tratto un grande beneficio da queste convenzioni ed è vero, perché di pari passo con le varie Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 10 III COMMISSIONE Convenzioni di Lomé, dal 1975 al 2000, eravamo sottoposti all’aggiustamento strutturale. Rispetto all’OMC, ad esempio, Paesi come il Senegal arrivavano ad imporre dazi doganali dell’80 per cento, ma, avendo firmato con il Fondo monetario e con la Banca mondiale, oggi come tariffa esterna comune africana non possiamo superare il 20 per cento. In tali condizioni, se non si favorisce l’integrazione regionale, cosı̀ da avere delle vere e proprie politiche agricole che rendano possibili sovvenzioni ai piccoli agricoltori africani creando capacità di produzione e di accesso ai fattori produttivi come l’acqua, la terra, i fertilizzanti, il credito, l’Africa non potrà mai svilupparsi nonostante i privilegi e i sostegni elargiti. Ecco perché tutte le nostre rivendicazioni s’imperniano sulla promozione dell’integrazione regionale africana per poter investire nell’agricoltura, potenziare gli investimenti infrastrutturali e creare le condizioni perché gli agricoltori possano produrre, nutrirsi, risparmiare e investire. Grazie. ANTONIO ONORATI, Rappresentante del Centro internazionale Crocevia. Presidente, onorevoli, vorrei riprendere due argomenti citati. Il primo riguarda i responsabili delle decisioni. Possiamo provare, grazie a uno scambio di e-mail interne alla Commissione, che la direzione generale per lo sviluppo della Commissione, malgrado le discussioni sugli EPA, ha dato disposizione di legare strettamente le concessioni (i soldi a disposizione secondo i vari parametri del fondo sociale di sviluppo) alla chiusura del negoziato sugli Accordi di partenariato economico (APE) e in particolare su alcuni loro aspetti, quali la liberalizzazione degli investimenti, di parti dei servizi e del settore agricolo. Da questo punto di vista, quindi, rivolgo a voi la domanda relativa a quello che possono fare i Governi. Cosa farebbe il Governo italiano nella stessa situazione, ovvero nel caso in cui stesse negoziando un accordo internazionale in cui vengono Indagine conoscitiva – 24 — — SEDUTA DEL 27 SETTEMBRE 2007 definiti i meccanismi di finanziamento, quindi l’aiuto per il commercio che cancella quello per lo sviluppo ? Al di là della mancanza di abitudine democratica alla trasparenza verso le organizzazioni sociali, già ricordata da Sarr, si rileva una fortissima responsabilità nella governance globale di questi processi. Desidero ricordare solo un altro dato. L’Unione europea è la più grande potenza agroalimentare del pianeta. Rispetto a noi, gli Stati Uniti sono di un terzo inferiori e a seguire arrivano tutti gli altri. Qualsiasi intervento l’Unione operi in questo comparto si ripercuote in maniera gigantesca nel resto del pianeta. Un secondo elemento, che testimonia quanto detto e che per certi aspetti ci riguarda, riguarda la valutazione esterna della FAO. La mia organizzazione ormai da dieci anni ha la responsabilità di essere un punto focale internazionale di un meccanismo unico nel sistema ONU di rapporto tra un’agenzia delle Nazioni Unite e i movimenti e le organizzazioni sociali. In quella relazione sono riportate accuse gravissime prima di tutto per gli organi di governo della FAO, quindi per i Governi. Un’affermazione in particolare deve essere citata per la sua gravità. Questa è contenuta sia nella sintesi, sia diffusamente all’interno delle 480 pagine del rapporto, laddove si dichiara che il problema che impedisce alla FAO di avere una strategia e di adempiere alla sua missione di nutrire i popoli è dovuto soprattutto al meccanismo di finanziamento. Il meccanismo di finanziamento è legato al fatto che il programma istituzionale della FAO diventa sempre più piccolo, mentre i fondi fiduciari diventano sempre più grandi. Da italiani, dunque, diciamo che i fondi fiduciari funzionano come liste di nozze: ti do i soldi se realizzi questo progetto. Il risultato è una FAO priva di direzione. Il taglio dei fondi alla FAO si traduce nell’impossibilità di chiedere a chiunque, in particolare al suo direttore generale, di rispondere a un core programme che non ha finanziato. La valutazione esterna afferma inoltre che sarebbe meglio chiudere la FAO, pro- Camera dei Deputati XV LEGISLATURA — — 11 III COMMISSIONE blema notevole per gli italiani, perché è necessario adottare alcune misure. Come ribadito in tutto il rapporto, esse riguardano il management interno, ma soprattutto gli organi di governo della FAO. È un’affermazione fortissima che rimanda alle responsabilità dei Governi che governano la FAO. Ciò risponde anche in parte alla domanda attinente ai responsabili delle decisioni. È stato citato il meccanismo di sostegno. L’agricoltura europea è sostenuta, ma sostiene solo la metà delle sue aziende e nel nostro Paese l’1,1 per cento delle aziende italiane da solo assorbe il 28 per cento del sostegno. Il problema non è quindi il sostegno all’agricoltura, bensı̀ l’ingiusta ripartizione di questo sostegno. Proprio perché in questa Commissione si discute del governo della globalizzazione, ritengo che queste politiche debbano essere valutate in base al divario esistente tra ciò che rappresentano i Governi e ciò che le società hanno prodotto in questi anni, dimostrando anche capacità di indicare vie d’uscita. Ritengo che il contributo maggiore apportato dai movimenti contadini africani in modo particolare, ma non solo, si sia espresso nella capacità di confrontarsi con l’Unione europea su un terreno tecnico come non sono stati capaci di fare i Governi di questi Paesi. Questo appare come un fenomeno assolutamente grandioso da esporre in Parlamento, giacché si constata come in alcuni luoghi della terra la società organizzata sia in grado di contrastare, di corrispondere e di formulare proposte e progetti che vanno al di là delle capacità dei propri Governi. Questo rappresenta anche il ruolo di tramite svolto da queste organizzazioni sociali che, pur chiedendo solidarietà, ritengono opportuno indicare vie d’uscita valide anche per noi. RAFFAELLO DE BRASI. Intervengo brevemente con una proposta. Per quanto riguarda la considerazione sulla FAO a testimonianza dei paradossi della governance, siamo consapevoli di come il diret- Indagine conoscitiva – 24 — — SEDUTA DEL 27 SETTEMBRE 2007 tore generale della FAO non provenga dall’Europa, nonché dei rapporti di forza al suo interno: parlo di numeri, non di soldi. Ciò evidenzia la complessità dell’argomento, perché evidentemente si è verificato un compromesso che ha portato ai risultati davanti agli occhi di tutti. Si rileva quindi una responsabilità non solo dell’Europa, ma anche dei Governi dei Paesi che dovrebbero beneficiare di questi aiuti. Da qui scaturisce la complessità della situazione. Concordo comunque sull’esigenza di cambiarla radicalmente. In merito alla questione del partenariato, propongo che sia la Commissione e non solo il Comitato per l’Africa ad audire il Governo. PRESIDENTE. Grazie. Stavo per avanzare la stessa proposta. Nel quadro di una riflessione sulla cooperazione, poiché il tempo stringe, sarebbe opportuno ipotizzare un percorso che conduca a un atto di indirizzo da parte della Commissione su questo tema. A tal fine, sarebbe utile acquisire la vostra documentazione scritta contenente anche alcune indicazioni da voi suggerite. Ad esempio, nonostante i difetti della FAO di cui si è parlato oggi, la valutazione dell’impatto della globalizzazione sulle popolazioni locali è un documento utile per questa Commissione. Ringrazio di nuovo in particolare monsieur Sarr, cui faccio i miei migliori auguri per la sua visita in Europa. Dichiaro conclusa l’audizione. La seduta termina alle 15,30. IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO RESOCONTI ESTENSORE DEL PROCESSO VERBALE DOTT. COSTANTINO RIZZUTO Licenziato per la stampa il 25 ottobre 2007. Gli interventi in lingua straniera sono tradotti a cura degli interpreti della Camera dei deputati STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO