Il nome e l`origine di Padova

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Il nome e l`origine di Padova
Il nome e l’origine di Padova
Patavium è il nome latino, che appare nelle iscrizioni e nelle fonti
letterarie romane. Padova è il nome moderno, formatosi attraverso
una forma Padua - testimoniata in documenti medioevali della
seconda metà del X sec. e posteriori - e via via affermatosi fino al
pieno prevalere. Questo medioevale Padua richiamerebbe il Padua di
un epigramma di Catullo contro un poetastro del suo tempo,
Volusius. Patavis è detta invece la città nell’“Itinerario di Antonino” e
nella “Tabula Peutingeriana” ed è pure appunto questo il nome che si
trova nei più antichi documenti medioevali. Nel comune dialetto
locale, specie nel rustico, reso letterario nel XVI sec. dal teatro del
Ruzzante, si trovano generalmente le forme Pava e Pavano, derivate,
per le caratteristiche fonetiche locali, o da Patavis, popolarizzata in
Patava, o dal supposto Padua.
Questa la storia del nome nei suoi vari aspetti storici, ma resta
sempre un problema oscuro, e non ancora a sufficienza spiegato: il
rapporto di origine e di trasformazione tra Patavium e Padova o
Padua. Qualche studioso pensa ad un rifiorire popolare del vecchio
nome gallico della città, nome che sarebbe stato comune nella Valle
Padana e che si dovrebbe ritenere legato con Padus, Po, pure di
supposta origine gallica. Tale nome, attraverso la forma Padusia, si
sarebbe esteso da un braccio del delta del Po a tutta la zona
litoranea, paludosa, adriatico-veneta.
Tuttavia è nozione sicura che nella regione veneta-euganea mancano
nei nomi propri, nei toponimi e nelle comuni forme fonetiche,
infiltrazioni galliche e che, invece, si riscontrano sopravvivenze prevenete. Credo pertanto più probabile che da un tema preindoeuropeo pat o pad o path, comune a Padus e a Padusia,
significante luogo paludoso, sia derivato il medioevale Padua. Il tema
pat o pad, nell’età anteriore allo stanziamento veneto, avrebbe
originato un nome affine a quello medioevale indicante la regione
acquitrinosa, pre-lagunare, tra gli Euganei e il mare, al cui centro
sorse poi la città di Tito Livio.
Da questo antichissimo nome topico, con l’aggiunta del caratteristico
suffisso veneto-illirico vi e con le abituali variazioni dei suoni, sarebbe
derivata in età veneta una forma affine al Patavis della bassa latinità
ad indicare la città, o meglio l’insieme dei vici, della palude. Ed è
appunto la forma di genitivo plurale di Patavium che spiega in modo
semplice il passaggio dal nome veneto al romano: la città dei Pataves,
ossia degli abitanti della paludosa piana euganea.
Nell’alto medioevo, per il fenomeno generale della decentrazione
linguistica, più accentuato in questa regione a causa dell’esodo nelle
isole venete dell’elemento urbano più colto e quindi più latinizzato, i
toponimi e le altre caratteristiche fonetiche relative tornano a
rifiorire e così rivivrà il nome più antico della città. Analogamente
avverrà per il Medoacus, che assumerà il nome di Brenta, “Brinta”,
cioè quello più in uso tra le popolazioni pre-venete, euganee,
rifugiatesi in Canal di Brenta. Padova infatti, dopo la completa
distruzione longobarda del 602 d. C., nell’alto medioevo deve essere
stata riabitata specialmente da elementi rustici, formati dalla fusione
di Veneti ed Euganei, più conservatori, specie nella fonetica e nella
toponomastica.
La leggenda e l'origine di Patavium
Per la leggenda e l’origine dei Veneti e di Patavium, Livio e Virgilio
sono le fonti principali e più antiche.
Livio, all'inizio della storia di Roma, narra: “Antenore, dopo varie
peripezie, giunse nel più remoto seno del mare Adriatico assieme a
una moltitudine di Eneti, che, scacciati dalla Paflagonia a causa di una
guerra intestina, cercavano una sede e un duce, avendo perduto
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davanti a Troia il loro re, Pilemene. Ivi, scacciati gli Euganei, che
abitavano tra il mare e le Alpi, Eneti e Troiani tennero quelle terre
con il nome comune di Veneti. E il luogo, ove primamente
sbarcarono, si chiamò Troia, donde il nome di Troiano al villaggio”.
Anche Virgilio, all'inizio del racconto delle imprese di Enea fa dire a
Venere: “Antenore, sfuggito di mezzo agli Achei, già poté penetrare
sicuro nel Golfo Illirico e nei più remoti regni dei Liburni e superare la
fonte del Timavo, là ove si getta in mare con vasto muggito per le
nove bocche del monte e fremono i campi al risuonare dell’onda. Qui
pure egli pose la città di Patavium e le sedi dei Teucri, appese le armi
di Troia e, dato il nome alla gente, ora riposa tranquillamente in
serena pace”.
Concordi essenzialmente tra loro, i due scrittori augustei differiscono
tuttavia in alcuni punti fondamentali: la via d’arrivo nella Venezia
Euganea, marittima e diretta in Livio, terrestre e attraverso la Venezia
Giulia in Virgilio, e l’origine direttamente antenorea di Patavium che
Livio, tacendo, nega. Più consona ai dati di scavo archeologici la
versione liviana, dipendente o da fonti scritte o da tradizioni locali.
Non è certo il caso di discutere sulla genesi e sul valore storico della
leggenda antenorea, giacché, per dirla con Livio, "è impossibile
discernere in tali questioni il vero dal falso, mescolati come sono tra
loro dalla stessa antichità".
Tuttavia tale leggenda era riferita già da Catone Censore e Polibio
parla dei Veneti come di un popolo assai antico e sul quale si
raccontavano cose meravigliose, raccolte anche dai tragediografi:
Accio infatti aveva scritto una tragedia Antenoridae. La leggenda
antenorea deve pertanto essere sorta non oltre il III sec. a.C. ed essa
fu accolta nell’ambiente romano con singolare benevolenza quale
poetica spiegazione della lunga fratellanza d’armi dei Romani e dei
Veneti contro i Galli e poi della ferrea fedeltà del Veneto a Roma,
anche nelle ore più grigie della guerra annibalica. L’importanza
assunta da Patavium nella Roma di Augusto e del I sec. a.C. spiega
insieme e l’entusiasmo, con cui tale leggenda venne accolta dagli
scrittori latini, e l’attribuzione a Patavium di una diretta fondazione
antenorea.
Patavium invece è molto più recente dell’arrivo dei Veneti nella
regione Euganea, che si ritiene avvenuto circa alla metà dell’VIII sec.
a.C. e ha un’origine più umile.
I Veneti, infatti, venendo nella Venezia dalle terre illirico-adriatiche,
per mare, risalirono il corso dell’Athesis e si stanziarono nei luoghi più
ubertosi dei colli Euganei; ivi fondarono la città più antica e
principale: Ateste. In questi stessi colli, già da secoli, vivevano nuclei
umani non numerosi, dotati di una facies culturale affatto simile alle
altre popolazioni neo-eneolitiche della penisola italica. Tali primitivi
abitatori erano scesi ad abitare anche i pochi dossi emergenti della
vasta piana paludosa, che circondava i colli Euganei. Questi “indigeni”
rimasero indisturbati nelle loro sedi euganee con una facies di civiltà
pressoché stazionaria, pur ricevendo influssi dai popoli vicini, fino alla
venuta dei Veneti, che in parte li scacciarono dalla regione euganea
verso la cerchia alpina, ove erano ancora, col nome di Euganei,
nell’età romana, e Verona, da essi fondata assieme ai Reti, e in parte
li asservirono politicamente, pure benignamente lasciandoli vivere in
pace.
Questi “indigeni” o Euganei, che dir si voglia, rimasero a lungo,
pressoché indisturbati, nella pianura patavina, tanto paludosa per le
infinite diramazioni dei corsi d’acqua disarginati, dove i Veneti non
appare siano scesi prima del così detto III periodo atestino e cioè non
prima della fine del VI sec. a.C. o inizio del V, quando la fitta
vegetazione boschiva aveva favorito il processo di contenimento
delle acque fluviali negli alvei.
Infatti nell’area della futura Patavium, dopo miseri e scarsi
stanziamenti Euganei di età enea o della prima età del ferro, le
stazioni venete-preromane risalgono tutte non prima del III periodo
atestino inoltrato e precisamente al V-IV sec. a.C. Di esse
indubbiamente le due più importanti sono le necropoli Ognissanti e
Loredan: la prima del pieno V sec. a.C. e ricca di 66 tombe a
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incinerazione con oggetti di corredo funerario bronzei e con vasi fittili
anche ornati con figure zoomorfe incise. La seconda, in gran parte
manomessa nel medioevo, è datata tra la fine del V sec. e tutto il IV
sec. a.C. ed è importante soprattutto per avere messo alla luce il più
interessante pezzo di scultura veneta preromana. Si tratta di una
stele quadrata in pietra di Costoza, che porta scolpito a rilievo, sulla
faccia anteriore lavorata a sgancio, un cavaliere veneto nell’atto di
uccidere un gigantesco e ignudo Gallo. Quest’opera d’arte locale,
della fine del IV sec. a.C., è veramente notevole per la vivacità del
movimento, per la bontà del modellato e per la sicura presenza di
diretti influssi di sculture greche del IV sec. a.C., specie del fregio di
Alicarnasso. La forma quadrata della stele è, invece, tipicamente
patavina, come appare dal confronto con altre due più piccole e più
tarde dello stesso Museo Civico di Padova e con quella di Camin, che
per i caratteri dell’iscrizione si tratta ancora al V sec. a.C. Se nella
stele Loredan il costume del cavaliere veneto è di foggia ellenica, a
causa dell’influsso artistico, in quella di Camin l’uomo e la donna, ivi
rappresentati, vestono il tipico costume veneto, noto anche dalle
raffigurazioni delle situle e dalle statuine bronzee votive della stipe
atestina Baratella: ampio cappello e grosso, ruvido manto l’uomo;
scialle in capo e avvolgente la persona, la donna. Le vesti corte e i
grossi calzari parlano di terreno paludoso difficilmente accedibile.
Altra necropoli, assai manomessa ancora in età antica, fu trovata in
via Carlo Leoni e anch’essa è del pieno III periodo atestino. Una
tomba intatta, pure appartenente allo stesso periodo, si trovò
incastrata fra posteriori fondamenta romane, che avevano distrutto
il resto della necropoli, in piazza Cavour. Egualmente una necropoli,
devastata da posteriori inondazioni, era nella zona “Santa Lucia piazza Insurrezione” e deve collocarsi alla II metà del IV sec. a.C. In
area ad essa vicina era un
misero stanziamento umano,
forse databile all’inizio del III
periodo atestino, o di un primo
nucleo di Veneti colonizzatori o,
meglio, di Euganei. Sopra questa
necropoli e sopra i resti
dell’abitato, era uno spesso
strato alluvionale, sul quale
posavano tombe dell’ultimo
periodo
premunicipale
e
precisamente dell’età sillana
(80-70 a.C.). Spessi depositi
alluvionali ricoprivano anche
queste tombe.
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a.C. La disposizione topografica di questi ritrovamenti paleoveneti
(TAV. I), la loro quasi assoluta contemporaneità e la relativa povertà
delle necropoli, hanno fatto concordemente accettare l’ipotesi di un
primitivo insieme di pagi rurali, di limitata estensione ognuno, sorti
dove il suolo più emergeva tra i corsi d’acqua e appariva sicuro da
inondazioni.
Votivi invece - e ancor essi databili tra il V e il IV sec. a.C. - i
ritrovamenti avvenuti presso la chiesa di San Daniele, in via Umberto
I, e nell’area della basilica di Sant’Antonio, dove particolarmente
interessante fu la scoperta di una bella paletta bronzea, votiva con
rappresentazione zoomorfa e un’iscrizione. Essa fa gruppo con altre
palette votive bronzee, trovate nella regione e che attestano, insieme
alle situle, la perizia degli antichi toreuti veneti. Questi i ritrovamenti
urbani del periodo veneto premunicipale topograficamente e
cronologicamente più importanti.
È certo quindi, anche per gli spessi strati alluvionali vergini su cui
posano i vari reperti archeologici, che l’uomo non prese stabile
dimora nell’area urbana di Patavium prima dello scorcio del VI sec.
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Anche il nome Patavium si è visto come possa essere giustificato da
questo primitivo sinecismo di pagi.
Questi piccoli villaggi rurali, al centro di una fertile pianura e
favorevolmente siti sulle rive del Medoacus e dell’Edrone, facilmente
navigabili fino alle lagune e al mare, in breve prosperarono assai,
anche per effetto dello stanziamento gallico nella Valle Padana, che
rendeva malsicura l’antica Ateste, troppo vicina al nemico e, ancor
più, faceva precaria la navigazione sul basso Athesis, mentre venivano
conseguentemente a mancare gli antichi sbocchi commerciali grecoetruschi di Atria, Spina, e Felsina. Ateste pertanto inizia, nel IV sec.
a.C., quella fatale decadenza che neppure Augusto riuscirà ad arginare
conducendovi una colonia di Veterani.
Solo quindi nel corso del IV sec. a.C., per questi fattori storicogeografico-economici, i primitivi pagi patavini si trasformeranno in
una vera Civitas, che Livio attesta già esistente nel 302 a.C.
Da “Padova Romana” di C. Gasparotto
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