Anno V – Numero 2 Supplemento / 2010 pdf
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Anno V – Numero 2 Supplemento / 2010 pdf
00-cop. Pediatria suppl.:00-cop. Pediatria suppl. 1-2009 20-05-2010 17:06 Pagina 3 2/2010 ANNO V - SUPPL.2/2010 SUPPLEMENTO M at t i ol i 1 8 8 5 pediatria &preventiva sociale pediatria preventiva &sociale O R G A N O D E L L A S O C I E T À I TA L I A N A D I P E D I AT R I A P R E V E N T I V A E S O C I A L E - 29 Maggio 2010 POSTE ITALIANE S.P.A - .SPED. IN A. P. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB PARMA ATTI DEL XXII CONGRESSO SIPPS - Taormina, 27 ATTI DEL XXII CONGRESSO SIPPS Hotel Villa Diodoro Taormina, 27 - 29 Maggio 2010 IL PEDIATRA “ADVOCATE” DEL BAMBINO E DELL’ADOLESCENTE: UN RUOLO IRRINUNCIABILE 01-indice 2-2010:01-indice 2-2010 21-05-2010 14:29 Pagina 1 pediatria preventiva & sociale 2/2010 SUPPLEMENTO ORGANO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI PEDIATRIA PREVENTIVA E SOCIALE ATTI XXII CONGRESSO NAZIONALE SIPPS Il pediatra “advocate”del bambino e dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile S OC I E T À I T A L I A N A D I P EDI AT R I A P R EV EN T I V A E S O C I AL E P R E S I D E N TE Giuseppe Di Mauro V I C E P R E S I D E N TI Sergio Bernasconi Alessandro Fiocchi C O N S I GL I E R I Chiara Azzari Giuseppe Banderali Giacomo Biasucci Alessandra Graziottin 7 11 S E G R E T AR I O Susanna Esposito T E SOR IE R E 13 Nico Sciolla 18 R E V I S O R I D E I C O N TI 19 22 Lorenzo Mariniello Leo Venturelli 26 P EDI AT R I A P R EV EN T I V A & SO CIAL E O RGAN O UFFICIA LE DELLA S OCIE TÀ D I R E TT O R E R E S P O N S A B I L E Guido Brusoni D I R E TT O R E Giuseppe Di Mauro C O M I T AT O E D I T O R I AL E Chiara Azzari Giuseppe Di Mauro Sergio Bernasconi Giuseppe Banderali Giacomo Biasucci Susanna Esposito Luigi Falco Alessandro Fiocchi Alessandra Graziottin Nico Sciolla Lorenzo Mariniello Leo Venturelli Registrazione Tribunale di Parma - N. 7/2005 Finito di stampare Maggio 2010 34 36 38 42 44 46 48 53 55 63 65 INTRODUZIONE Di Mauro G - Il pediatra “advocate”del bambino e dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile RELAZIONI Giovannini M, Verduci E - Alimentazione del bambino e salute futura: la responsabilità del programming Burgio GR - Il pediatra “advocate”del bambino e dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile Esposito S, Bosis SA, Gualtieri L, Cesati L, Baggi E, Principi N - L’influenza stagionale e l’influenza pandemica: una, due o nessuna vaccinazione? Zuccotti GV, Mameli C - Vaccini attuali e futuri Le Metre L, Bernardo L - Le spie del disagio giovanile: la parola al pediatra e all’insegnante. Il disagio e la scuola Guarino A, D’Elia F, Ruberto E, Caiazzo MA - Prevenzione e terapia della tubercolosi in età pediatrica Chiappini E, De Martino M - Il trattamento della febbre in età pediatrica Esposito S, Tagliaferro L, Peia F, Prunotto G, Picciolli I, Principi N Farmaci antivirali Nobili B, Lo Mastro M, Matarese SMR - Novità in tema del metabolismo del ferro: aspetti clinici Chiozza ML, Graziottin A - Comorbilità future nelle bambine con disturbi menzionali ed evacuativi Affinita A - Vecchi e nuovi Media. Family friendly Leocata A - Una proposta operativa attuale-bioetica con l’infanzia Bernasconi S, Brambilla P, Brusoni G, De Simone M, Di Mauro G, Di Pietro M, Giussani M, Iughetti L - Progetto prevenzione obesità infantile “Mi voglio bene” Banderali G, Giulini Neri I, ParamiThiotti C - Allattamento al seno: quali evidenze scientifiche? Faldella G, Aceti A, Spinelli M - Alimentazione e stato di salute a lungo termine ABSTRACTS E COMUNICAZIONI Bechis D, Gandione M, Tocchet A - I disturbi del comportamento alimentare in età pre-adolescenziale, parte prima: età pre-scolare (risultati di una ricerca clinica) Bechis D, Gandione M, Tocchet A - I disturbi del comportamento alimentare in età pre-adolescenziale, parte seconda: età scolare (6-11 anni) (risultati di una ricerca clinica) 01-indice 2-2010:01-indice 2-2010 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 88 92 93 94 95 21-05-2010 14:30 Pagina 2 Bonvini G, Dahdah L, Calcinai E - Controindicazioni vere e false alla vaccinazione anti morbillo-parotite-rosolia Buscema L, Morselli I, Saporito M, Olivastro E, Praticò AD, Pignataro R, De Pasquale R, Barone P, Garozzo R - LES ed orticaria vasculitica: descrizione di un caso Caramia G - Lo yogurt, antico alimento funzionale, e la nutrigenomica Caramia G - Nurrienti, qualità del cibo e salute Ciaraldi M - Differenze nei valori dell’apgar tra nati da TC con anestesia spinale e nati da parto spontaneo Conti I, Politi MR, Pulvirenti RM, Romeo MA, Scuderi MR, Bernardini R Disturbo del visus in paziente affetto da talassemia major in terapia con Deferasirox Conti I, Politi MR, Pignataro R, Barone P, Buscema L, Scalia G - Efficacia e sicurezza del trattamento della toxoplasmosi in gravidanza Iaccarino Idelson P, Zito E, Buongiovanni C, Sticco M, Francese A Crescere Felix: prevenire l’obesità in Campania Iaccarino Idelson P, Mobilia S, Montagnese C, Salerno F, Sticco M, Vaino N, Zuppali C, Scalfi L, Valerio G, Francese A - DICAev: un progetto contro i disturbi del comportamento alimentare (DCA) in età evolutiva Iaccarino Idelson P, Zito E, Buongiovanni C, Sticco M, Francese A Un approccio integrato alla grave obesità in età pediatrica Le Pira A, Politi MR, Conti I, Pulvirenti RM, Bruno F, Lionetti E, Smilari P, Greco F - La sindrome Miller Fisher-Birkerstaff come causa di coma in età pediatrica Liguori R, Ferrara A, Tartaglione A, Golino L, Quaresima M, Di Benedetto AC, Palmiero L - Esperienza locale di 3 anni di ecografia dell’anca neonatale Liguori R, Tartaglione A, Boccagna F, Di Benedetto AC, Tartaglione M, Di Mauro G - Manifestazione pubblica di promozione dell’allattamento al seno Liguori R, Boccagna F, Di Benedetto AC, Perrone A, Vollaro F, Tigra M, Ciaraldi M, Palmiero L - Prevenzione dell’abbandono del latte materno mediante ambulatorio dedicato Liguori R, Pinto L, Spagnolo MI, Carbone MT, Di Lorenzo R, Pullano F, Raimondi R - Primi risultati di una indagine sulla conoscenza delle linee guida dell’igiene delle mani in pediatria Mariniello L, Di Mauro G, Di Mauro F - La prevenzione dentale oggi Mariniello L, Di Mauro G, Di Mauro D - Le figure mediche di supporto alla famiglia per educare i ragazzi ad una sessualità matura Marrapodi L, Cannone A, Barni S, Agostiniani R - Edema emorragico acuto dell’infanzia (AHEI) Olivastro E, Saporito M, Morselli I, Buscema L, Praticò AD, Pignataro R, Belfiore G, Barone P, Garozzo R - Calcolosi renale in un lattante con Toxoplasmosi congenita in trattamento con Pirimetamina e Sulfadiazina Pignataro R, Buscema L, Barone P, Garozzo R - La sindrome linfoproliferativa autoimmune (ALPS) Pinto L, Liguori R, Di Mauro G - Segui l’esempio del tuo pediatra! Igienizza le mani 01-indice 2-2010:01-indice 2-2010 21-05-2010 14:30 96 97 98 99 Pagina 3 Politi MR, Conti I, Buscema L, Barone P, Pignataro R, Garozzo R Micofenolato Mofetile (MFM) nel trattamento delle nefropatie autoimmuni pediatriche: nostra esperienza Politi MR, Conti I, Pulvirenti RM, Smilari P, Franco M, Greco F - Neurite ottica retrobulbare bilaterale in età pediatrica: caso clinico Sabbi T, Palombo M - Anemia sideroplastica in età pediatrica: malattia celiaca ed infezione da helicobacter pylori Saporito M, Morselli I, Olivastro E, Praticò AD, Buscema L, Pignataro R, Barone P, Garozzo R - Un caso di vasculite da Chlamydia pneumoniae Mattioli 1885 spa - Strada di Lodesana 649/sx, Loc. Vaio - 43036 Fidenza (Parma) tel 0524/892111 fax 0524/892006 www.mattioli1885.com DIREZIONE GENERALE Direttore Generale Paolo Cioni DIREZIONE EDITORIALE Editing Manager Anna Scotti MARKETING E PUBBLICITÀ Vicepresidente e Direttore Scientifico Federico Cioni Editing Valeria Ceci Project Manager Natalie Cerioli Foreign Rights Nausicaa Cerioli Responsabile Distribuzione Massimiliano Franzoni Segreteria Manuela Piccinnu Responsabile Area ECM Simone Agnello Vicepresidente e Direttore Sviluppo Massimo Radaelli Marketing Manager Luca Ranzato pagina pubblicitaria:Layout 1 26-02-2010 11:18 Pagina 1 XXII Congresso Nazionale Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale Il pediat ra “adv ocate” del bambino e dell’adole scente: un r uolo ir rinunciabile Segreteria Scientifica IL CONSIGLIO DIRETTIVO SIPPS Revisore dei conti Lorenzo Mariniello, Leo Venturelli Presidente Giuseppe Di Mauro Comitato Scientifico Locale Ignazio Barberi, Maurizio Costa, Giovanni Corsello, Giuseppe Di Stefano, Luigi Iudicello, Filippo De Luca, Mario La Rosa, Giuseppe Magazzù, Angelo Milazzo, Giuseppe Mazzola, Lorenzo Pavone, Adolfo Porto, Carmelo Salpietro Vice Presidenti Sergio Bernasconi, Alessandro Fiocchi Consiglieri Chiara Azzari, Alessandra Graziottin, Giuseppe Banderali, Giacomo Biasucci Segretario Susanna Esposito Tesoriere Nico Maria Sciolla Segreteria Organizzativa iDea congress Via della Farnesina, 224 - 00194 Roma Tel. 06 36381573 - Fax 06 36307682 E-mail: [email protected] www.ideacpa.com 27 - 29 Maggio 2010 Hotel Villa Diodoro - Taormina XXII Congresso Nazionale Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale Il pediatra “advocate” del bambino e dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile 27 Maggio • 29 Maggio 2010, Hotel Villa Diodoro - Taormina PROGRAMMA Giovedì 27 Maggio 18.00 Cerimonia Inaugurale Mario La Rosa, Adolfo F. Por to, Alber to G. Ugazio, Giuseppe Di Mauro L’influenza stagionale e l’influenza pandemica: una, due o nessuna vaccinazione? Susanna Esposito Vaccini attuali e futuri Gianvincenzo Zuccotti Discussant: Nico M. Sciolla Saluto delle Autorità 12.00 Discussione 18.30 Letture Magistrali Presidente: Armido Rubino 12.30 Lettura Presidente: Luigi Falco Alimentazione del bambino e salute futura: la responsabilità del programming Marcello Giovannini Le linee guida sull’allergia alle proteine del latte vaccino Alessandro Fiocchi Il pediatra “advocate” del bambino e dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile Roberto Giuseppe Burgio 20.00 Cocktail di benvenuto Venerdì 27 Maggio 08.30 Comunicazioni orali Presidente: Carmelo Mamì Moderatori: Giuseppe Caramia, Roberto Liguori, Matteo Noto 09.30 Vaccini e vaccinazioni Presidente: Giuseppe Nicoletti Moderatori: Ignazio Barberi, Michele Conversano La memoria immunologica antimeningococcica e la necessità di booster Chiara Azzari Le infezioni pneumococciche: conoscerle e prevenirle Nicola Principi 13.00 Pausa 14.30 Tavola Rotonda Mamma sto perdendo il pediatra! Per un bambino in più, un pediatra in meno? Lo scenario presente e futuro Guido Brusoni, Desideria Cavina, Pasquale Di Pietro, Onorevole Ferruccio Fazio, Onorevole Maria Stella Gelmini, Paolo Giliberti, Giovanni Leonardi, Antonello Masia, Giuseppe Mele, Onorevole Giuseppe Pizza, Armido Rubino, Giuseppe Saggese, Alberto G. Ugazio 16.00 Adolescentologia Presidente: Domenico Mazzone Moderatori: Teresa Arrigo, Laura Perrone Affettività e sessualità Alessandra Graziottin Le spie del disagio giovanile: la parola al pediatra e all’insegnante Luca Bernardo, Laura Le Metre Nuove sostanze d’abuso Leandra Silvestro Il bambino e l’adolescente depresso Luca Rollè Discussant: Leonello Venturelli 2/2010 5 17.15 Discussione 17.30 Prevenzione e terapia nelle malattie respiratorie Presidente: Carmelo Salpietro Moderatori: Luciana Indinnimeo, Domenico Minasi Aerosolterapia: miti e realtà Alessandro Fiocchi Le infezioni respiratorie ricorrenti: quale prevenzione? Gian Luigi Marseglia La gestione dell’asma in età pre-scolare Mario La Rosa La tubercolosi Alfredo Guarino Uso responabile dei media: un’alleanza GenitoriPediatri Antonio Affinita Discussant: Milena Lo Giudice 12.00 Discussione 12.30 Lettura Presidente: Filippo De Luca Novità diagnostiche e terapeutiche nella bassa statura Sergio Bernasconi 13.00 Pausa Discussant: Giuseppe Mazzola 18.30 Discussione 18.45 Assemblea dei Soci SIPPS 20.30 Cena sociale Sabato 29 Maggio 09.00 Aggiornamenti in tema di... I Sessione Presidente: Alberto Villani Moderatori: Maurizio Costa, Angelo Milazzo Trattamento della febbre Elena Chiappini Antivirali Susanna Esposito Diabete Adriana Franzese Maxiemergenze Antonio Masetti Discussant: Luigi Iudicello 10.20 Discussione II Sessione Presidente: Francesco Tancredi Moderatore: Gianni Bona, Roberto Del Gado Ematologia Bruno Nobili Comorbilità future nelle bambine con disturbi minzionali ed evacuativi Maria Laura Chiozza, Alessandra Graziottin 6 Dermatologia/Cosmetologia Carlo Gelmetti pediatria preventiva & sociale 14.00 Comunicazioni orali Presidente: Giuseppe Distefano Moderatori: Francesco De Luca, Antonino Leocata, Lorenzo Mariniello 15.00 Presentazione del Progetto Prevenzione Obesità Infantile: “Mi voglio bene” Introduce: Guido Brusoni Relatore: Paolo Brambilla 15.30 Nutrizione e prevenzione Presidente: Giovanni Corsello Moderatori: Francesco De Luca, Gian Paolo Salvioli Allattamento al seno: quali evidenze scientifiche Giuseppe Banderali Proteine e crescita Giacomo Biasucci Gli alimenti funzionali Andrea Vania Si fa presto a dire… reflusso gastro-esofageo Vito L. Miniello Alimentazione e stato di salute a lungo termine Giacomo Faldella Discussant: Angelo Tummarello 17.30 Discussione 18.00 Conclusione e compilazione quiz di valutazione E.C.M. 04-Editoriale:03-introduzione 21-05-2010 14:34 Pagina 7 Il Pediatra “advocate” del bambino e dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile Giuseppe Di Mauro Presidente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale Siete d’accordo nell’affermare che i bambini di oggi sono diversi da quelli di 15/20 anni fa ? Così come gli adolescenti ? Così come l’intera società ? Ma il Pediatra è cambiato? Per molti versi il Pediatra è cambiato e non vi è dubbio che qualcuno sia più avanti di altri in questo processo di rinnovamento. Ma è altrettanto vero che molti cambiamenti non coincidono con un radicale, indispensabile e indifferibile cambiamento del ruolo del Pediatra. Occorre definire un vero e proprio “riposizionamento” del Pediatra, un “nuovo ruolo” che non sia esclusivamente caratterizzato dalla prevenzione e dalla cura delle malattie (ruolo finora svolto con il massimo impegno e competenza) ma che sia rivolto alla volontà e alla capacità di intercettare i segni e i sintomi di quel disagio psicosociale che può evolvere verso forme di devianza, sofferenza e inadeguatezza sociale. Oggi la preparazione, la cultura professionale del pediatra è ancora orientata verso gli aspetti della patologia fisica (malattie fisiche) dei bambini, quando ormai il traguardo del miglioramento della salute fisica nel nostro Paese è stato raggiunto. Ma oggi le stesse condizioni economico-sociali che hanno agito positivamente per la salute fisica, possono incrementare i pericoli per la salute psichica, intellettuale e morale dei bambini. Il principale “cliente” del pediatra moderno è diventato il bambino “fisicamente sano”, ma in potenziale pericolo per gli altri tipi di patologie. Oggi non è sufficiente parlare di buona salute del bambino solo perché c’è assenza di malattia fisica. La buona salute è la somma di molte componenti. C’è infatti una salute psichica, una salute morale, una salute intellettuale, una salute ambientale, una salute familiare, una salute scolastica, una salute sportiva ecc. Oggi si deve parlare di Benessere del bambino, o meglio ancora di Qualità della vita del bambino. Ma il Pediatra di oggi è preparato ad affrontare questo nuovo modo di intendere la salute del bambino? Vi sono dubbi concreti al proposito in quanto al Pediatra non è stata e ancora non è insegnata la cultura del benessere e della qualità di vita. L’obiettivo, invece, dovrebbe essere di creare una figura professionale in grado di prevenire quelle situazioni che, se trascurate, possono sfociare nel disagio adolescenziale e di comunicare in modo efficace con tutti gli operatori sociali coinvolti nella tutela della qualità della vita dei bambini. La realtà dell’infanzia oggi è rappresentata principalmente da bambini sani, per i quali il benessere eccessivo e incontrollato può diventare causa di squilibrio psichico, intellettuale e morale e da un numero fortunatamente limitato di bambini con malattie croniche o disabilità che hanno bisogni specifici. Con questo non voglio sminuire l’enorme importanza professionale che il Pediatra esprime ogni giorno negli ambulatori dei pediatri del territorio, negli ospedali e nelle università, nella gestione delle emergenze urgenze, delle malattie croniche e nella ricerca. Ma voglio sottolineare l’esigenza di un’evoluzione culturale » che tenga conto anche di questi nuovi e importanti aspetti. Nella pratica pediatrica quotidiana ci si accorge sempre più di quanto siano divenuti importanti i problemi scolari, le difficoltà di apprendimento, i disturbi dell’attenzione con iperattività, i disturbi d’ansia e dell’umore. Allarmante è l’aumento di suicidi e omicidi in età adolescenziale, le violenze in ambito familiare e nella società, la diffusione del consumo di fumo, alcool e droghe e dell’AIDS tra gli adolescenti. Sempre più spesso bambini o adolescenti hanno bisogno di aiuto per disturbi di adattamento o per uno stress postraumatico, conseguente ad abuso fisico, emotivo o sessuale. Sovente sono vittime della povertà delle proprie famiglie o dell’incapacità dei loro genitori di salvaguardare la loro salute psicofisica. I genitori vedono nel pediatra la prima figura professionale in grado di rilevare e affrontare i problemi del bambino, 2/2010 7 04-Editoriale:03-introduzione 21-05-2010 incluso quelli relativi allo sviluppo ed al comportamento. Il pediatra ad ogni visita dovrebbe valutare le tappe dello sviluppo raggiunte, studiare le dinamiche intra-familiari, indagare le preoccupazioni dei genitori. L’ambulatorio del pediatra dovrebbe divenire il luogo ideale per una valutazione e una sorveglianza dello sviluppo neuro-psicomotorio, affettivo e comportamentale e per una precoce identificazione delle eventuali varianti patologiche. Il pediatra dovrebbe così svolgere un ruolo di “normalizzatore” “analizzatore” dei sintomi, essere in grado di ridimensionare i falsi problemi e, nei casi dubbi, proporre un’ulteriore consulenza specialistica. Il Pediatra, e in particolare il Pediatra di famiglia, per almeno 14 anni, che possono divenire anche 20 o più se vi sono più bambini, si trova a frequentare una famiglia. È quindi il medico che più di ogni altro ha l’opportunità di vedere, ascoltare, capire, individuare i comportamenti di una famiglia, sia positivi sia negativi, comportamenti che in ogni caso incidono sulle condizioni psichiche, morali, intellettuali, comportamentali e caratteriali dei bambini. Per cui è È nelle condizioni di cogliere i primi eventuali segnali di allarme. L’importante è che li sappia cogliere! Molti ci riescono, specialmente quelli con maggiore esperienza pratica, in sostanza i più vecchi, o con una sensibilità individuale particolarmente attenta, ma sarebbe meglio, per il bene dei bambini, che tutti i Pediatri ci riuscissero, anche quelli all’inizio della loro attività. Questo accadrà se coloro che sono deputati alla formazione del Pediatra daranno una maggiore importanza alla conoscenza dello sviluppo cognitivo, del rapporto genitore-bambino, della comunicazione, della psicologia, della bioetica, della medicina sportiva ecc. Il Pediatra così formato, può efficacemente fare prevenzione! E quella prevenzione che ha 8 14:34 Pagina 8 fatto e fa per le malattie fisiche, oggi la potrebbe fare anche per le problematiche psicologiche che stanno alla base delle manifestazioni del disagio giovanile nelle età successive. Perché il “Pediatra Advocate del bambino” ? vrebbero caratterizzare il Pediatra Advocate del bambino. Questo “nuovo” Pediatra dovrebbe ampliare la visione della sua professione, in riferimento ad alcuni punti qualificanti, per esempio: Il Pediatra è forse l’unica figura professionale che si trova in un punto di osservazione privilegiato per cogliere segnali di allarme individuali e collettivi sia sul piano emotivo sia sul piano ambientale. In questo nuovo ruolo potrebbe, più di altre figure professionali che si occupano dell’infanzia, integrare e verificare le informazioni ottenute dall’osservazione diretta del bambino “a rischio” con quelle ottenute da altre persone che si occupano del bambino, (genitori, insegnanti, assistenti sociali, religiosi, etc...) e discutere con queste ultime le proprie conclusioni e le eventuali strategie di intervento. Inoltre, il Pediatra avrebbe molteplici possibilità di intervento, su base multidisciplinare, per migliorare il corso della vita dei bambini. È quindi necessario “costruire” un Pediatra più motivato, più conscio delle molteplici valenze etiche della sua professionalità, capace di usare strumenti moderni di organizzazione e comunicazione in modo da diventare un nodo fondamentale nella rete di collaboratori/consulenti che si occupano dell’infanzia. Occorre formare un Pediatra moderno che sappia affrontare meglio tutti gli aspetti sociali, psicologici, morali, caratteriali dell’infanzia nei quali si possono cogliere i prodromi del disagio che si proietta e si slatentizza nell’adolescenza. • Le necessità mediche dei bambini in situazioni di povertà e/o di disagio sono superiori rispetto a quelle dei coetanei in migliori condizioni socio-economiche. Il Pediatra dovrebbe essere culturalmente attrezzato a valutare non solo il bambino, ma anche la famiglia, il contesto e l’ambiente. • Dovrebbe trovare spazio per comunicare adeguatamente con i genitori durante l’orario di attività ambulatoriale, in modo stabile e continuativo, per conoscere ed affrontare situazioni di difficoltà familiare. • Dovrebbe istituzionalizzare il contatto con i colleghi medici di altre specialità e con figure professionali che operano nella comunità (scuola, servizi sociali, amministrazione locale, chiesa, polizia ecc). A questo proposito sarà basilare l’uniformità ed accessibilità delle informazioni ed un miglioramento delle possibilità di comunicazione utilizzando le possibilità date dall’informatica. • Dovrebbe acquisire la conoscenza delle responsabilità e delle norme che regolano l’attività dei singoli soggetti coinvolti a livelli differenti nell’assistenza/difesa dei bambini. • Dovrebbe organizzare incontri di educazione sanitaria rivolta ai problemi pediatrici con la popolazione della zona. • Ecc. ecc. Durante questi nostri incontri spero di poter capitalizzare il contributo di qualificati colleghi e di voi tutti nel definire i punti fondamentali che do- Buona parte del futuro del mondo è nelle mani dei bambini di oggi. Gran parte del futuro di questi bambini è nelle nostre mani. pediatria preventiva & sociale Relazioni 06-Giovanni:Giovanni 19-05-2010 14:32 Pagina 11 Alimentazione del bambino e salute futura: la responsabilità del programming M. Giovannini, E. Verduci Clinica Pediatrica Ospedale San Paolo Università degli Studi di Milano Evidenze scientifiche dimostrano che la nutrizione delle prime epoche della vita può programmare il rischio di sviluppo di malattie cronico degenerative (teoria del programming). Recentemente, revisioni sistematiche hanno riportato l’associazione tra rapido tasso di crescita ponderale nei primi anni di vita e successivo sviluppo di obesità e diabete. Il tasso di crescita ponderale sarebbe quindi un marker precoce antropometrico dello sviluppo di patologie cronico degenerative, con maggiore predettività rispetto anche al peso alla nascita. Questa sarebbe la plausibilità biologica suggerita per spiegare l’effetto protettivo dell’allattamento al seno nei confronti dell’obesità. Infatti l’allattato al seno cresce più rapidamente nei primi 2-3 mesi di vita, per poi a partire dai 6 ai 12 mesi avere un peso ed una lunghezza inferiori a quelli del bambino alimentato con formula. Tale differente tasso di crescita ponderale tra bambini alimentati con formula e allattati al seno potrebbe essere spiegato dall’assunzione diversa di substrati metabolizzabili, in particolare delle proteine: nei lattanti alimentati con formula l’intake proteico per unità di peso è del 55-80% più elevato rispetto agli allattati al seno. L’ipotesi è che un elevato e precoce intake di proteine che ecceda le richieste metaboliche possa aumentare il tasso di crescita ponderale nell’infanzia e il rischio di sviluppo di obesità negli anni successivi (“the early protein hypothesis”). Il progetto finanziato dalla Comunità Europea, Ch ildhood O besity P roject (CHOP, progetto n: QLK1-CT-2001-00389) sta verificando l’ipotesi proteica in uno studio di intervento in doppio cieco in più di 1.000 lattanti in 5 Paesi Europei (Italia, Germania, Spagna, Polonia e Belgio). Il progetto è caratterizzato dallo studio di neonati allattati al seno, gruppo di riferimento, e neonati che, per mancanza di latte materno e/o impossibilità ad allattare al seno, sono stati randomizzati in doppio cieco a ricevere una delle due formula a differente intake proteico, formule a più alta (HP, 2.9 g/100 Kcal, 1.9 g/dl) od a più bassa concentrazione (LP, 1.77g7100 Kcal, 1.2 g/dl) di proteine, rappresentanti rispettivamente il limite massimo e minimo delle raccomandazioni di composizione proteica degli alimenti per lattanti della Comunità Europea. I primi dati, ottenuti a 2 anni, in questo studio indicano che la formula LP con un apporto di proteine pari al limite minimo delle raccomandazioni CE, è in grado di determinare una curva di crescita simile a quella degli allattati al seno, gruppo di riferimento. Il follow up ulteriore dello studio di tali bambini fino 8 anni e mezzo di età ha l’obiettivo di verificare l’impatto a lungo termine del tipo di allattamento nelle prime epoche di vita sullo sviluppo di obesità. Inoltre le indagini nutrizionali dimostrano che, al divezzamento o all’introduzione del latte vaccino nell’alimentazione del lattante, l’intake di proteine subisce un incremento molto elevato fino a 3-5 g/kg nonostante con il passare dei mesi il fabbisogno proteico tenda a diminuire (1.87 g/kg a 12 mesi). In conseguenza di questo, un corretto divezzamento risulta essere fondamentale per evitare alcune conseguenze nutrizionali, tra cui l’eccesso di proteine, bassi livelli di acidi grassi polinsaturi e deficit di ferro e di zinco. In particolare per il bambino alimentato con formula, che quindi assume un alimento meno ricco in termini qualitativi ma (in confronto al latte materno) iperproteico e modestamente iperenergetico, la funzione degli alimenti introdotti col divezzamento dovrebbe essere quindi quella di un recupero dell’equilibrio metabolico. Va sottolineata quindi la necessità assoluta di posporre al termine del primo anno o addirittura dopo il 2° anno l’utilizzo del latte vaccino, per l’estremo squilibrio dei nutrienti al suo interno che portano a diete iperproteiche e a basso tenore di grassi polinsaturi e ferro. L’attenzione dimostrata all’ambito 2/2010 11 06-Giovanni:Giovanni 19-05-2010 14:32 Pagina 12 nutrizionale nel primo anno di vita deve essere mantenuta anche nelle epoche successive, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione dello sviluppo di sovrappeso ed obesità che rappresentano noti fattori di rischio di malattie croniche, tipiche della popolazione occidentale. Infatti dopo i primi anni di vita, nei Paesi industrializzati la maggioranza dei bambini è esposta a fattori ambientali che favoriscono lo sviluppo dell’obesità. In questa fase la prevenzione si basa sulla riduzione delle sedentarietà, la promozione di una vita attiva e di abitudini nutrizionali che, pur non sottovalutando la componente di piacere legata al cibo, privilegino la qualità nutrizionale della dieta. Alimentazione in senso preventivo significa il raggiungimento di un buon equilibrio nutrizionale con alimenti naturali. In particolare il ruolo della prima colazione nell’ambito di un’a- 12 limentazione sana ed equilibrata è confermato da numerose osservazioni scientifiche, essenzialmente di natura epidemiologica, ma integrate anche da una significativa quota di studi di intervento, che suggeriscono benefici in parte diretti ed in parte mediati dai macro e micro nutrienti che essa apporta. Il consumo regolare di una prima colazione, che apporti il 15-20% delle calorie giornaliere, è infatti associato ad una maggiore probabilità di raggiungere i livelli raccomandati di consumo di alcuni micronutrienti e ad una riduzione del rischio di sviluppare obesità, eventi cardiovascolari e diabete, probabilmente grazie al controllo di alcuni importanti fattori di rischio di queste condizioni. L’assunzione della prima colazione da parte dei bambini e degli adolescenti sembra inoltre esercitare effetti favorevoli a breve termine sulla performance scolastica. pediatria preventiva & sociale In conclusione dai dati a disposizione emerge che la dieta dei bambini non è correttamente bilanciata. È opportuno quindi programmare un intervento educazionale continuo a partire dai primi anni di vita e programmare interventi nutrizionali precoci con effetto a lungo termine sulla salute, anche sulla base dei risultati di trials europei in corso. Bibliografia 1. Agostoni C, Braegger C, Decsi T et al. Breastfeeding: A Commentary by the ESPGHAN Committee on Nutrition J Pediatr Gastroenterol Nutr 2009; 3: S1536-4801 2. Koletzko B, von Kries R, Closa R et al. Lower protein in infant formula is associated with lower weight up to age 2 y: a randomized clinical trial. Am J Clin Nutr 2009;89:1836-45 3. Agostoni C, Decsi T, Fewtrell M et al. Complementary feeding: A Commentary by the ESPGHAN Committee on Nutrition J Pediatr Gastroenterol Nutr 2008; 46: 99-110. Il pediatra “advocate” del bambino e dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile G. R. Burgio Prof. Emerito di Pediatria, Dipartimento di Scienze Pediatriche, Pavia A) Come si è potenziato, nella società che cambia, il ruolo sociale del pediatra Una volta il pediatra era il curante del bambino con le sue malattie; oggi - in una Società che negli ultimi 4-5 decenni è pervenuta a profondi cambiamenti (Tabella 1), il pediatra (ci riferiamo, in particolare, al pediatra di famiglia) prende in carico il bambino a 360°, cura, educa, corregge le carenze della famiglia, consiglia, sostiene, difende, fin dove possibile. Diversamente da come il medico cura un adulto, il pediatra-curante non perde mai di vista che il suo paziente è un organismo in crescita: in puero homo. L’aforisma latino nella sua estrema sinteticità richiama l’attenzione sulla responsabilità dell’assistenza: necessità di diagnosi precoci per malattie invalidanti suscettibili di terapie efficaci solo se al più presto attuate. Dovremmo riflettere che anche il concetto di “urgenza” si è venuto allargando. Mi è particolarmente congeniale fare l’esempio del trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE) nel contrastare i danni che l’osteopetrosi determina, oculari soprattutto, precoci ed irreversibili; l’intervento trapiantologico va eseguito entro il 2° (3°) mese di vita. Un altro esempio del medesimo tipo (trapianto di CSE) è pertinente a molte forme di immunodeficienza combinata grave (SCID). Non meno importante della diagnosi precoce è l’etica della prescrizione; evitare ogni patologia iatrogena è fondamentale proprio per gli organismi in crescita, anche se non si tratta dell’unico requisito etico che “la prescrizione” richiede... Alla figura del pediatra educatore vorrei anzitutto riferirmi con una citazione: da Cassidy RC. Tell all the truth? Shepherds, Liberators, or Educators. In: Cassidy RC, Fleischman AR (eds). Pedaitric Ethics. From Principles to Practice. Amsterdam, Harwood Academic Publishers, 1996. Dal mio libro, con LD Notarangelo, “La Comunicazione in Pediatria, Un Pediatra per la Società”. UTET 1999 pagg 34-36, riporto un brevissimo brano: “...è necessario che l’operatore terapeutico sia un educatore; dobbiamo cercare di capire il bambino nella sua Tabella 1 – Scenari innovativi della società … che cambia A Per la rivoluzione biomedica, ma anche per le continue innovazioni tecnologiche (in generale, “per il progresso”) B Per l’evoluzione del concetto di salute e del ruolo del pediatra C Per la progressiva multietnicità D Per la progressiva iponatalità E Per l’incremento della povertà F Per il dilagare di ogni criminalità (minorile compresa) G Per il dilagare degli inquinamenti ambientali H Per l’enorme diffusione dei media (elettronici) I Per nuovi ideali di vita dei giovani e nuovi concetti dei valori (Weltanschauung) J Per “labilità-fragilità della famiglia” (e insufficienze pedagogico-affettive e sociali) K Per perdita di autorevolezza della scuola L Per nuovi stili di vita degli adolescenti M Per violazioni somatiche e psicologiche esercitate sui minori in grave antitesi ai loro codificati diritti 2/2010 13 individualità personale; cercare di promuovere l’autocomprensione del bambino; e dobbiamo rispettare la sua persona. Come disse Soren Kierkegaard “l’educazione è il percorso lungo il quale corri per restare al passo con te stesso”. Il ruolo dell’educatore è aiutare ciascuno “studente”, compresi i giovani malati, a trovare la propria strada per diventare pienamente se stesso”. Vorrei soggiugnere che la pediatria è la disciplina medica più sociale rispetto ad ogni altra. Nessun medico più del pediatra è vicino alle famiglie, quindi ai bambini e agli adolescenti. Nessun medico, quindi, ha ruolo privilegiato come quello del pediatra nel comunicare con i genitori, i bambini e gli adolescenti anche “educandoli” fig 1. Non meno “sociale” di quella del “pediatra educatore” è la figura del pediatra quando avverte che il suo paziente è a “rischio ambientale”, psichico (psico-ambientale, psicosomatico) ora per tristi e sempre assai deprecabili motivazioni familiari (che sarebbe superfluo e persino banale esemplificare, avendo in parte trovato richiami nella tabella 1) ora extra-familiari (si pensi anche soltanto al bullismo, drammatico sempre, talvolta disperante – esiziale in bambini indifesi, timidi, già depressi (inconsapevolmente depressi) e, comunque “soli”; ma non si trascurino le negligenze e/o gli abusi che molti bambini subiscono nel loro vivere del giorno dopo giorno. Come non evocare, a questo proposito, Giovenale (Satira 14, verso 47): maxima debetur puero reverentia”, concetto di supremo valore pediatrico-sociale che motiva l’esigenza del pieno rispetto per la dignità di ogni bambino, e alla cui eventuale negligenza il Fig. 1 - Flusso della comunicazione pediatra-paziente nell’infanzia e nell’adolescenza. Il dialogo tra pediatra e bambino (a) è abitualmente limitato, prevalendo quello con i genitori (c), mentre il dialogo tra pediatra e adolescente (b) sarà molto più diretto, pur potendo essere coinvolti i genitori (d). Comunque (b) potrà risultare tanto più facile quanto più sarà stato cercato e curato (a) negli anni precedenti (lungo l’età della scuola primaria). 14 pediatria preventiva & sociale pediatra, come antenna sociale, ha il dovere di dimostrarsi sensibile e di coinvolgersi operativamente (spesso, a sua volta, coinvolgendo solidali figure dei servizi sociali). Ma, come non evocare, ancora, l’esigenza (secondo natura) di tenerezze e di coccole propria del lattante... In ogni caso, poi, proprio in piena affinità alla figura di antenna sociale, il pediatra sarà l’avvocato del bambino i cui diritti fisici e psichici sono stati trascurati (o, in prospettiva, possono esserlo). L’avvocato del bambino interverrà, nello specifico, contro ogni abuso (carenze affettive comprese; ma interverrà anche per la difesa dei diritti del bambino, nel modo più essenziale identificabili programmaticamente in: protezione ed educazione. Nella nostra Gazzetta Ufficiale 11 giugno 1991, n. 135, SO) XVI Legge 27 maggio 1991, n. 176 si trova la “Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo”, fatta a New York il 20 novembre 1989 e che pone come fondamentali, per il bambino, proprio la protezione e l’educazione. Sarebbe assai facile dire che se tutte le società del mondo in cui i bambini vivono adempissero all’appagamento dei loro diritti, via via ufficialmente sanciti (“Déclaration de Genève”, 1924; “Résolution de l’Assemblée Générale de l’ONU”, 1959; “Déclaration d’Helsinki, 1964, poi revisionata a Tokyo,1975 ; Testo ufficiale dell’ONU, 20 novembre 1989, New York), potremmo farci, dei bambini e della loro vita, un immagine ideale. Fra immagine ideale e realtà che, molto spesso l’infanzia, invece, diffu- samente vive, vi sono – anche in un medesimo contesto etnico-territoriale (vogliamo dire, anche prescindendo dalle tristissime povertà estreme in cui vivono molti bambini nei paesi cosiddetti in via di sviluppo) - distanze incolmabili e se, in un clima professionale al massimo partecipe e solidale con “i problemi dell’infanzia” nella società di oggi il pediatra volesse/potesse ulteriormente cimentarsi non potrebbe che intervenire negli ambienti (negli ambiti) in cui il bambino, e poi l’adolescente, vivono (Fig 2). Sostanzialmente, si tratterebbe di aprire al pediatra gli ambienti della scuola. Al riguardo, non abbiamo certamente da proporre un pediatra nella scuola sul modello del “medico scolastico”, di estrazione e operatività prevalentemente igienistica, di (in)felice memoria, attivo, in Italia, lungo vari decenni del XX secolo: essenzialmente burocrate e orientato al controllo delle “convalescenze” (sufficiente durata degli “isolamenti” in caso di malattie diffusibili). Abbiamo da proporre, piuttosto, una figura di medico-educatore che intenda spendersi (con competenza pediatrica e umana disponibilità), nel mondo della scuola, per fare: Educazione alla salute, in altri termini: “cultura della crescita e della maturazione, dedicata a bambini e genitori”. Naturalmente, lungi dal proporre, in via programmatica, una elencazione degli argomenti da sviluppare in questa comunicatività didattica (e, altrettanto lungi dal poterne/saperne indicare metodologie pragmatiche di erogazione), ho formulato una ipotetica “carta pediatrica per la scuola” che potrebbe servire per qualche eventuale orientamento. B) Verso una “carta pediatrica per la scuola”? Suggestioni di un’ipotesi Fig. 1 - Ambiti in cui si svolge la vita del bambino. Occuplazioni. Cura del suo benessere. “In punta di piedi” vengo a prospettare l’ipotesi di una carta pediatrica per la scuola (tabelle 2 e 3), ispirandomi alla figura 3 congiuntamente Tabella 2 - Argomenti pediatrici di «cultura della crescita» di fondamentale interesse per gli scolari (classi elementari) • Ravvisare nel pediatra un difensore della salute • Valorizzare gli screening diagnostici precoci • Valorizzare i bilanci di salute • Valorizzare le vaccinazioni • Non disattendere le indicazioni di una alimentazione corretta, completa, oltre che igienicamente curata • Temere la magrezza eccessiva (e la anoressia mentale) • Temere l’obesità e la sindrome metabolica • Aiutare il bambino a conoscersi, non trascurando di chiedergli, ogni tanto, negli anni: “Che cosa vorrai fare da grande?” • Valorizzare lo sport, anche come antidoto all’eccesso di TV, e mediatico-elettronico • Valorizzare, più in generale: - Il tempo libero - La salubrità ambientale (grande, subdolo nemico il fumo passivo) - Deprecare motivatamente: pericolosi stili di vita (droga, alcool, fumo …, ma anche bullismo) 2/2010 15 Tabella 3 - Per una consapevole maturazione sociale, in prospettiva dei «ruoli adulti» • Attendere lo spirito e le indicazioni della carta ONU sui diritti dei bambini (protezione educazione, promozione dei diritti) • Sapersi prodigare affettivamente verso i bambini piccoli (ai lattanti con coccole) e sapere applicare verso tutta l’infanzia, una pedagogia ispirata affettivamente, ma anche sufficientemente decisa. “Si” o “NO” dei genitori devono essere motivati, non ondivaghi, coerenti e, quindi rispettati. • Aiutare il preadolescente e l’adolescente nell’autostima e nel diritto al proprio rispetto (al rispetto della propria persona), sollecitandolo coerentemente a sentire la “dignità della vita” e della sua qualità, ad applicare l’etica di: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso» e, al contempo, stimolare l’integrazione interetnica, il rispetto per il “diverso”, la protezione-difesa della propria e altrui salute (deprecando, anche, in prospettiva, ogni rischio in questo senso: l’ebbrezza della velocità al volante, compresa) • Conoscere le esigenze dei bambini, anche in rapporto con le differenze generazionali: esaltare la difesa dell’ambiente non sottovalutando i rischi di qualsivoglia inquinamento né - per l’educazione alla salute delle giovani donne di domani quelli di qualsivoglia negligenza igienica lungo la gravidanza (Fig 4) con un concetto ripetutamente espresso dal prof. Guido Fanconi (celebre e storico Pediatra di Zurigo fra gli anni 40 e 70 del XX secolo), sintetizzabile nel binomio “età e educazione” (Figura 3) Fig. 3 - “… quello che Pierino non ha imparato, Piero non lo imparerà mai” Fig. 4 - Noxae endogene ed esogene al feto 16 pediatria preventiva & sociale Che cosa il bambino e l’adolescente dovrebbero imparare a scuola, per potersi interessare alla cultura della propria crescita e, in prospettiva, a quella della propria maturazione civica? Secondo la tabella 3, segnatamente per i preadolescenti-adolescenti potrebbero trovare spazio gli argomenti più pertinenti alla loro maturazione psico-comportamentale e socialeadulta, (sobriamente anche in previsione del ruolo genitoriale). Qui basterebbe che gli insegnanti condividessero il valore (pedagogico) di questi argomenti e della utilità di diffonderne la conoscenza ai disccenti, magari in solidale collaborazione con un pediatra L’adolescentologia va vissuta, infatti, dal pediatra come un campo di sua pretta competenza. Non meno di quanto debba viversi come difensore (come “avvocato”) del bambino, il pediatra deve sapersi, prospettare – oggi più che mai – come figura di riferimeto e di sostegno, mai complice ma sempre disponibile nei confronti dell’adolescente In un Paese come il nostro, con la sua Pediatria di Famiglia operante su tutto il territorio, istituire-organizzare una “didattica pediatrica scolastica” incentrata sulla profilassi contro ogni nocumento alla salute non dovrebbe sembrare una proposta peregrina né utopica. In altri termini, non si dovrebbe pensare che un (una) bambino/a e un (una) adolescente che crescono con una congrua “educazione alla salute” siano più preparati, da adulti (genitori compresi) a vivere (e a far vivere i loro bambini) in un modo più sano rispetto a quelli cresciuti in piena carenza di questi elementi culturali? E dove, se non nella scuola, questa educazione potrebbe venire collettivamente (e, quindi, estesamente) e proficuamente prodotta? Una scuola che voglia (e debba) preparare i ragazzi alla vita adulta, deve saper insegnare le materie di programma in un background di sostegno e di stimolo dei ragazzi stessi, allargato verso gli orizzonti comprensivi di “ben pensare”, “ben sentire” e “sapere ben programmare” nel quotidiano. Se, a questo scopo, è formativa la conoscenza delle tradizionali materie di insegnamento scolastico, si ritiene davvero, ancora oggi (nella società che cambia: vedi anche tabella 1), che un’organica educazione alla salute sia di secondaria importanza? Che possa essere, tutt’al più, un “optional”? E, come tale, facoltativatrascurabile? Ricordiamoci che è dei più autorevoli Enti sociali internazionali (UNICEF, UNESCO, Banca Mondiale) l’affermazione che investire nei bambini vuol dire investire sul futuro della Società. Una contrazione numerica dei pediatri operanti sul territorio (una diminuzione, in particolare, dei pediatri di Famiglia, che, di fatto, nella realtà, purtroppo incombe nel nostro Paese) vanificherebbe questa saggia e lungimirante affermazione, che invece non può venire – se non irresponsabilmente – disattesa. Una maggiore sinergia fra Pediatria e Scuola, da noi oggi (e non solo da oggi) auspicata, presuppone ovviamente che non manchino i pediatri disponibili a dedicarsi anche alla scuola (Fig 2), spendendosi in essa nella loro mansione di “educatori”. Verrebbe facile coniare il sinlogismo: “Più Pediatri, più Educazione alla Salute”, in sintesi, più benessere sociale. Soggiungiamo, per concludere. Corpo e mente sono una unità; il pediatra curante del corpo può facilmente far capire che comportamenti psicosociali aberranti, ma anche diete sballate (ed eventualmente doping) nuocciono, prima o poi, al corpo, per non parlare dei più rischiosi nuovi stili di vita (alcol, fumo, droghe), che, se nascono per indifferenza, incuria–negligenza, inefficienza pedagogica degli adulti, dei genitori, trovano nelle “discoteche per minorenni” la culla e il pabulum per fare proseliti (in prospettiva “dipendenti”) incapaci, poi, di rispettare-coltivare la gerarchia dei valori che, nel reale e nel trascendente, impreziosiscono la vita. Bibliografia 1. Bernasconi S, Bertelloni S, Jankovic M, Lo Giudice M, Burgio GR. La Convenzione sui diritti per l’infanzia, 20 anni dopo. “Il Pediatra” 2010; XIV (2): 13-142. Burgio GR, Bertelloni S. Una Pediatria per la Società che cambia. Tecniche Nuove, Milano, 2007. 2/2010 17 L’influenza stagionale e l’influenza pandemica: una, due o nessuna vaccinazione? S. Esposito, S.A. Bosis, L. Gualtieri, L. Cesati, E. Baggi, N. Principi Dipartimento di Scienze Materno-Infantili, Università degli Studi di Milano Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena - Milano Da alcuni anni gli esperti epidemiologi, soprattutto sulla base della ciclica comparsa di epidemie influenzali sostenute da virus di derivazione animale, avevano previsto che in tempi brevi una pandemia di influenza potenzialmente sovrapponibile a quelle occorse negli anni 1918-1919, 1957-1963 e 1968-1970 si sarebbe nuovamente manifestata, coinvolgendo tutti Paesi, in ogni continente. I principali candidati alla determinazione della nuova pandemia sono stati alcuni virus aviari, particolarmente l’A/H5N1 capace di causare forme gravi nell’uomo sia pure in condizioni assolutamente particolari. Sul piano biologico si è temuto che questo o altri virus aviari fossero in grado di andare incontro a mutazioni o a ricombinazioni con altri virus influenzali sufficienti a consentire un loro più facile attecchimento e una diretta trasmissione da uomo a uomo, condizionando così la rapida diffusione del virus e il coinvolgimento di tutta la specie umana in ogni luogo. In realtà, la tanto temuta pandemia influenzale da virus aviari non si è ancora verificata ma, al suo posto, si è sviluppata una nuova pandemia, dovuta a un virus proveniente dai maiali, il virus A/H1N1. I primi casi sono comparsi in Messico verso la metà di marzo 2009 e il controllo successivo della circolazione del virus ha dimostrato 18 che questo si è immediatamente diffuso a tutte le Americhe, ovviamente coinvolgendo subito i Paesi, come gli U.S.A. e il Canada, che hanno ampie relazioni con il Messico. La rapidità della diffusione dell’infezione è bene dimostrata dai dati rilevati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che indicano che tutti i Paesi del mondo sono stati interessati con la sola eccezione di alcuni stati del centro Africa e dell’Asia centrale. L’importanza della pandemia e delle sue possibili conseguenze è stata subito avvertita dalle autorità sanitarie di tutto il mondo che, oltre a suggerire misure per il contenimento della circolazione del virus e a impostare possibili trattamenti terapeutici con gli antivirali disponibili per i soggetti a maggior rischio, hanno immediatamente sollecitato l’industria a preparare uno specifico vaccino. In Italia, il Ministero del Lavoro, della Salute e della Politiche Sociali ha redatto un documento che ha definito la strategia preventiva nazionale, in base al quale il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio ha previsto l'acquisto di strumenti di prevenzione (vaccini, antivirali e dispositivi di protezione disinfettanti) in conformità alla valutazione tecnica dei bisogni. La vaccinazione pandemica è stata offerta prioritariamente al personale sanitario, che pediatria preventiva & sociale assisteva i malati, e ai soggetti a rischio di complicanze per patologie. Poiché i bambini e i giovani sono maggiormente suscettibili di tale infezione, e quindi sono serbatoi di diffusione della stessa, si è deciso di vaccinare dal gennaio 2010 anche tale fascia di popolazione, che va dai 2 ai 27 anni. Questo tipo di atteggiamento appare, soprattutto per la fascia pediatrica, radicalmente diverso da quello che lo stesso Ministero ha fino ad oggi tenuto per l’influenza stagionale. Per quest’ultima, infatti, le raccomandazioni più recenti non prevedono la vaccinazione del bambino, tranne nei casi nei quali esista una sottostante patologia cronica grave che possa condizionare negativamente il decorso dell’influenza. Perché queste differenze? Una prima valutazione della gravità clinica della nuova influenza rispetto a quella stagionale sembra non giustificare completamente una logica comportamentale così diversa. La stragrande maggioranza dei casi di influenza suina da A/H1N1 ha, infatti, un decorso sostanzialmente benigno, con un quadro di banale forma respiratoria tendente a guarire spontaneamente nel giro di pochi giorni e non si differenzia, di fatto, da quanto si vede con l’influenza stagionale. D’altra parte, la relativa importanza clinica della nuova influenza pande- mica è confermata dai dati relativi alla mortalità che, sui casi segnalati all’OMS, è intorno al 6 per mille, un valore pressoché identico a quello che si verifica ogni inverno per i casi di influenza stagionale. In realtà, anche a parità di gravità l’A/H1N1 può fare molti più danni dell’influenza che siamo abituati a fronteggiare ogni inverno perché il numero assoluto di soggetti che possono andare incontro alla malattia è innegabilmente più elevato. Contrariamente a quanto vale per l’influenza stagionale per la quale esiste una fetta non trascurabile della popolazione che ha una protezione, almeno parziale, contro i virus circolanti, nel caso dell’influenza suina tutti i soggetti sono suscettibili, non essendovi stata in precedenza alcuna possibilità di acquisire una qualche forma di immunità per infezione da virus selvaggio e per esecuzione della vaccinazione. Ciò significa che, pur rimanendo invariato il tasso di ospedalizzazione e quello di mortalità, il numero assoluto di soggetti che saranno coinvolti risulterà inevitabilmente più alto con ovvie maggiori conseguenze sia sul piano medico che su quello socioeconomico. Ma se l’influenza pandemica deve essere affrontata con una certa aggressività, l’influenza stagionale deve essere lasciata, come avvenuto in passato, ancora priva di qualsiasi ini- ziativa specifica per i bambini sani? Su questo punto si potrebbe discutere perché l’influenza stagionale del bambino è, probabilmente, di per sé sufficiente a giustificare qualche intervento, almeno in termini di prevenzione vaccinale. Dati raccolti un po’ dovunque hanno, infatti, dimostrato che l’influenza stagionale può essere potenzialmente pericolosa per i soggetti più piccoli per i quali può rappresentare una causa importante di ospedalizzazione, di incremento dell’uso di farmaci e, sia pure eccezionalmente, di morte. Inoltre, e questo è, forse, il dato più significativo, l’influenza del bambino causa importanti effetti indiretti perché viene facilmente trasmessa a coloro che vivono nello steso ambiente, causando profondo disagio nella comunità e nella famiglia, per nuovi casi di malattia, aumento delle visite mediche e perdita di giorni di scuola e di lavoro. Non per nulla le autorità sanitarie degli U.S.A hanno dallo scorso anno raccomandato una sistematica vaccinazione antinfluenzale per tutti i soggetti, anche sani, tra i 6 mesi e i 18 anni. Cosa può succedere se un bambino si infetta contemporaneamente con i due virus, il nuovo pandemico e quello stagionale? E, poi, che effetto può avere una infezione da virus stagionale in un bambino che ha superato da poco l’influenza suina? Si sa che le forme virali lasciano qualche traccia per alcune settimane rendendo la risposta immune ad infezioni successive meno valida. Non è possibile che l’influenza stagionale abbia in questo modo conseguenze anche più gravi di quelle note? Tutti questi dubbi sembrano indicare che una doppia vaccinazione sia la raccomandazione migliore e che, in questo modo, molti problemi possano essere affrontati con sicurezza di un buon risultato. Ci si augura che, qualsiasi siano le raccomandazioni ministeriali, i pediatri di famiglia, che già da tempo hanno sposato la logica della vaccinazione dei loro assistiti, mantengano questo atteggiamento e che i nostri piccoli siano così protetti al meglio della possibilità che la moderna scienza loro offre. Inoltre, speriamo che già dalla prossima stagione possa essere disponibile un unico vaccino influenzale che permetta di proteggere contro l’influenza stagionale e contro l’influenza pandemica. Bibliografia 1. Chang LY, Shih SR, Shao PL, et al. Novel swine-origin influenza virus A(H1N1)the first pandemico f the 21st century. J Formos Med Assoc 2009; 108: 526-532. 2. Michaelis M, Doerr HW, Cinati J Jr. Novel swine-origin influenza A virus in humans: another pandemic knocking at the door. Med Microbiol Immunol 2009; 198: 175-183. 2/2010 19 Vaccini attuali e futuri Gian Vincenzo Zuccotti, Chiara Mameli Clinica Pediatrica dell’Università di Milano AO Luigi Sacco Le malattie infettive, al giorno d’oggi, sono tra le cause principali di morte in tutto il mondo nonostante gli innegabili progressi in campo terapeutico. Le vaccinazioni rimangono tutt’ora il presidio medico più efficace per la prevenzione di tali malattie in grado di minimizzarne l’impatto sulla popolazione mondiale. La storia delle vaccinazioni inizia circa 2 secoli fa con la scoperta che l’inoculazione di un microrganismo patogeno nell’uomo aveva la capacità di conferire protezione dalla malattia causata. Basandosi su tale osservazione venne poi elaborato il primo vaccino secondo tre step fondamentali: l’isolamento del microrganismo patogeno, la sua inattivazione e la conseguente iniezione nell’organismo umano. Tale processo, in grado di sviluppare nell’organismo umano anticorpi protettivi, ha portato nel corso degli anni allo sviluppo di vaccini inattivati, vivi attenuati e a subunità ed é stato alla base dell’introduzione di un sempre maggior numero di vaccini contro diversi microrganismi patogeni. Questo approccio definito “classico” è risultato efficace nella prevenzione di malattie causate da microrganismi caratterizzati da modesta o assente variabilità antigenica mentre non è risultato ottimale ed adeguato nei confronti di microrganismi non coltivabili in laboratorio, con elevata variabilità antigenica e 20 controllati da immunità mucosale o T-dipendente. Una importante svolta è avvenuta pochi anni fa, nel 1995, con il sequenziamento completo del primo genoma batterico (Haemofilus influenzae). Tale scoperta ha segnato l’inizio dell’era genomica e ha permesso una miglior conoscenza dei microrganismi, soprattutto dei geni implicati nell’interazione con l’ospite e responsabili dell’infettività del patogeno con l’obiettivo di cercare di contrastare gli agenti patogeni che non hanno risposto positivamente all’approccio con la tecnologia tradizionale. La più importante applicazione in campo vaccinale di tale metodica è stata la sintesi di un nuovo vaccino contro il Meningococco B, il maggior responsabile di sepsi e meningiti soprattutto nei paesi industrializzati. Questo vaccino, attualmente nelle fasi finali di sperimentazione, è stato sintetizzato con una tecnica chiamata Reverse Vaccinology che ha permesso di identificare, tramite il sequenziamento dei geni del microrganismo, 5 antigeni in grado di stimolare una risposta immune quando inoculati nell’ospite. Con il medesimo approccio sono in corso di sintesi nuovi vaccini per altri patogeni tra cui il Mycobacterium tubercolosis, Chlamidia pneumoniae ed Helicobacter pylori. Un’altra recente conquista in campo vaccinale è pediatria preventiva & sociale il vaccino 13-valente contro Streptococcus pneumoniae in grado di coprire un maggior numero di sierotipi di pneumococco ed in particolare il sierotipo 19A che negli ultimi anni si è imposto sugli altri sierotipi in età pediatrica. La prossima evoluzione nello sviluppo dei vaccini é rappresenta dalle tecnologie post genomiche (transcriptomics, proteomics, metabolomics, etc) che mirano ad identificare nuovi antigeni e a superare il problema della variabilità antigenica che impedisce tutt’ora di sviluppare vaccini verso malattie ad elevato impatto sulla popolazione mondiale. Un notevole aiuto è fornito da una sempre maggior disponibilità di adiuvanti, molecole in grado di potenziare la risposta immunitaria tramite diversi meccanismi ancora non completamente conosciuti. Il limite degli adiuvanti attualmente disponibili in commercio è la scarsa capacità di potenziare l’immunità cellulo-mediata che risulta fondamentale contro i patogeni intracellulari e mucosali tra cui il virus dell’immunodeficienza acquisita, i micobatteri e i plasmodi. Nuovi adiuvanti sono in corso di sperimentazione cercando di superare tale limite con l’obiettivo futuro di personalizzare i vaccini in relazione alle diverse caratteristiche immunologiche dei soggetti e migliorare il profilo di tollerabilità. Una miglior conoscenza dei meccanismi immunitari apre la prospettiva all’utilizzo di nuove vie di somministrazione dei vaccini, in particolare della via mucosale risultata essere meno dolorosa, potenzialmente utile per le vaccinazioni di massa e di emergenza. Ulteriori studi sono però necessari per valutarne la reale immunogenicità nei confronti di diversi antigeni e la conseguente applicazione clinica. Attualmente le malattie prevenibili tramite la vaccinazione sono 27. L’obiettivo futuro è sicuramente quello che incrementarne il numero alla luce dello sviluppo di tecnologie sempre più precise ed affidabili. 2/2010 21 Le spie del disagio giovanile: la parola al pediatra e all'insegnante. Il disagio e la scuola. Laura Le Metre1, Luca Bernardo 1 Docente scuola in ospedale Quando mi ritrovo fuori, ho l’impressione di camminare scalzo sopra un tappeto di spilli. Mi ballano le palpebre, le mani mi tremano, batto i denti. [...] Il valium mi avvolge il corpo di nuvole, senza cambiare nulla allo stato dei nervi. Visto dall’esterno, sembro in estasi, dentro invece friggo, come una bobina elettrica che non smette di bruciare. (Daniel Pennac, "Il paradiso degli orchi") Il termine “disagio” viene utilizzato per indicare uno stato psicologico di malessere, spesso confuso e/o inespresso, derivato da una molteplicità di situazioni in cui i giovani possono trovarsi, per i motivi più diversi. Il pre-adolescente e l’adolescente vive oggi una fase della vita che si è prolungata, per la dipendenza dalla famiglia, per l’insicurezza economica, per lo stare a lungo in formazione; ma che si è fatta anche più libera, più inquieta, più carica di tensioni e di rischi, di malessere e di incertezze. Ciò provoca sempre di più disagio, che si esprime in molte forme: disturbi del comportamento, auto-lesionismo, disturbi dell’alimentazione, ricerca di esperienze- limite (sfide con i motori, etc.). Tutto ciò delinea uno stato d’animo diffuso di tensione, di rabbia, di insofferenza che si manifesta un po’ ovunque, in 22 famiglia nella società, nella scuola. Nella scuola, si registrano sempre più sovente atteggiamenti di rifiuto delle regole, di indifferenza alla cultura, di ribellismo, di resistenza all’impegno. Tutti questi comportamenti manifestano un disagio profondo di cui la scuola non può ignorare l’esistenza. Anzi: deve saperlo riconoscere e prepararsi un po’ a trattarlo, senza renderlo patologico o demarcarlo come devianza. Deve saperlo capire: cioè diagnosticarlo, interpretarlo e affrontarlo. É sempre più frequente, in ogni ordine di scuola, dalla Primaria agli Istituti Superiori, evidenziare in molti bambini e ragazzi, forti difficoltà a comunicare, a stabilire relazioni affettive, ad esprimere o a comprendere stati emotivi. È come se si vivesse in una sorta di deserto emozionale, seguito spesso da una sostanziale incapacità ad assumersi qualsiasi responsabilità, rispetto alle conseguenze delle proprie azioni, una sorta di deserto etico. Questa propensione all’aggressività, l’incapacità di gestire i propri impulsi, il vuoto esistenziale, l’incapacità a stabilire e mantenere relazioni affettive stabili, rendono povere, poco duttili e integrate, le capacità di questi studenti; i difetti settoriali percettivi, espressivi, linguistici, motori, d’attenzione, di memoria, si traducono ben presto in difficoltà scola- pediatria preventiva & sociale stiche e d’apprendimento con conseguenti fallimenti e smarrimenti più o meno significativi. In questo continuo e parossistico vivere l’attimo e fuggire il futuro, questi giovani non hanno il tempo di ripiegare su se stessi, di indagare nel profondo di sé, di interrogarsi su quello che veramente vorrebbero essere o sono indotti ad essere. La scuola allora, rappresenta uno strumento importante per decodificare e accogliere il disagio e l’inquietudine del mondo giovanile. È necessario essere capaci di interpretare e trattare il disagio dei propri allievi. Senza ignorarlo o delegarlo, dove c’è, allo “sportello” psicologico della scuola. Trattandolo invece in classe, per quanto e come possibile, attraverso la comunicazione, la comprensione, il dialogo. Lo spazio dell’incontro cognitivo, affettivo, relazionale che ogni docente può attivare con i propri allievi, non è determinato infatti dalla quantità di apprendimenti che saranno messi in atto, ma dalla capacità di consegnare ad ogni allievo, gli strumenti che facciano di quello spazio d’incontro, un luogo di formazione umana. Senza avere la pretesa di esaurire la ricchezza semantica della parola “disagio”, si possono individuare nella scuola, alcune fondamentali spie del disagio con le quali i docenti, i genitori e tutti coloro che in modo diretto o indiretto sono coinvolti nelle relazioni educative, sono chiamati a confrontarsi. Una prima tipologia di studenti che esprime un certo tipo di disagio, è costituita da chi registra un rendimento scolastico insoddisfacente. In questa prima tipologia rientrano studenti che fanno progressi limitati a motivo della loro ridotta abilità, studenti con la sindrome da fallimento, che per questo sono rinunciatari, studenti eccessivamente perfezionisti, che sono più impegnati ad evitare errori che ad apprendere, studenti poco impegnati che non cercano di fare il loro meglio ma si accontentano dei risultati minimi per proseguire negli studi. Una seconda tipologia di ragazzi che vivono disagio, è costituita da chi manifesta problemi di ostilità: ci sono gli ostili aggressivi, che sono prepotenti e turbano l’armonia della classe; i passivi aggressivi, che sono ribelli ma si fermano prima di dare sfogo alla loro aggressività; i ribelli provocatori, che sfidano in maniera diretta l’autorità dell’insegnante attraverso la disobbedienza e le provocazioni aperte. C’è poi una tipologia di studenti che non assume in modo positivo il ruolo dello studente, come gli iperattivi, i disattenti, gli immaturi. Infine, per alcuni studenti il disagio scaturisce in modo diretto da difficoltà di tipo relazionali, è questo il caso di chi è rifiutato dai compagni (desidera avere amicizie ma non è accettato) e di chi, timido e introverso, non è rifiutato in maniera diretta ma è socialmente isolato, per la sua ritrosia a coinvolgersi nelle relazioni con gli altri compagni. Rispetto alla complessità del problema delineato, la scuola e gli insegnanti si trovano spesso disarmati di fronte alle diverse manifestazioni di disagio agite dagli studenti, in quan- to in parecchi casi mancano le specifiche competenze psicopedagogiche, metodologiche, didattiche e relazionali, indispensabili per impostare un’azione efficace, sia a livello di prevenzione che di gestione dei casi difficili. Non si tratta di “fare lo psicologo”, ma di attuare una relazione didattica positiva, che rispetti gli studenti e tenga conto delle caratteristiche psicologiche e cognitive di ciascuno, facendo leva sui punti forti, per far emergere le capacità e indirizzarli verso un progetto di vita autonomo e consapevole. È il “Conosci te stesso” di Socratica memoria, l’obiettivo a cui attualmente la scuola deve mirare, focalizzando la sua programmazione prioritariamente sull’alfabetizzazione emotiva. Ciò richiede da parte degli insegnanti la capacità di leggere le emozioni dei loro giovani allievi, riuscendo ad incanalarle in interessi e progetti, ove essi si sentano pienamente riconosciuti per quello che realmente sono con i loro limiti e possibilità. Solo dopo il riconoscimento da parte dell’altro, può sorgere negli adolescenti l’autoaccettazione e la fiducia in sé, che portano alla costruzione della propria identità. La consapevolezza di essere riconosciuti ed accettati è come un seme che rende fertile il terreno della buona volontà ad impegnarsi e ad apprendere i contenuti disciplinari. «Se non si dà apprendimento senza gratificazione emotiva, l’incuria dell’emotività è il massimo rischio che ogni studente, andando a scuola, corre. E non è un rischio da poco perché se è vero che la scuola è l’esperienza più alta in cui si offrono modelli di secoli di cultura, se questi modelli restano contenuti della mente, senza diventare spunti formativi del cuore, il cuore comincerà a vagare senza orizzonte, in quel nulla inquieto e depresso che nemmeno il baccano della musica giovanile riesce a mascherare…Il sapere trasmesso a scuola non deve comprimere questa forza, ma porsi al suo servizio (U. Galimberti, L’ospite inquietante) Ma c’è anche un’altro tipo di disagio a cui mi piacerebbe accennare... Quando un ragazzo va in ospedale, è come se fosse portato nel bosco lontano da casa. Ci sono ragazzi che si riempiono le tasche di sassolini bianchi, e li buttano per terra, in modo da saper ritrovare la strada di casa anche di notte, alla luce della luna. Ma ce ne sono altri che non riescono a fare provvista di sassolini, e lasciano delle briciole di pane secco come traccia per tornare a casa. È una traccia molto fragile e bastano le formiche a cancellarla: i ragazzi si perdono nel bosco e non sanno più tornare a casa. L’ospedale è come un bosco in cui alcuni sanno ritrovare la propria strada, sanno leggerla e sanno orientarsi: passano la giornata nel bosco e si divertono a scoprirlo a conoscerlo nelle sue bestiole e nei suoi alberi e riescono a collegare tutto questo alla traccia e alla memoria che li riporta a casa. Sono padroni di un territorio perchè sono padroni dei segni per riconoscerlo e per collegarlo; la loro casa non è un posto remoto e divenuto inaccessibile, ma una possibilità e quindi una presenza da cui ci si può allontanare sicuri di ritornare. Altri ragazzi passano la giornata nel bosco e anche loro imparano tante cose: conoscono alberi e piante, animali e insetti ma alla fine della giornata conoscono anche la paura di non sapersi orientare, di non sapere la strada di casa. Hanno imparato tanto, forse e lo hanno dimenticato perchè non riescono a collegarlo alla traccia e alla memoria della strada di 2/2010 23 casa: il bosco diventa il posto pauroso in cui si perdono, senza riconoscere le proprie tracce, sempre estranei e sempre respinti. I ragazzi che sanno tornare a casa, sono capaci anche di andare avanti nel bosco ed oltre il bosco. I ragazzi che si sono persi non sanno tornare a casa e non sanno neppure andare avanti, perchè ogni passo che fanno è sempre per perdersi un po’ di più, per non saper riconoscere niente di sé e delle cose che stanno loro attorno: se si incontrano fra loro non si riconoscono e non sanno neppure diventare compagni di strada. Non hanno strada, perchè non sanno leggere i segni che possono costituire una strada o un sentiero: sono condannati a vagabondare senza spazio e senza tempo. (Andrea Canevaro, La metafora del bosco ) È la sofferenza che può manifestarsi nell’esperienza di ospedalizzazione. Per un bambino o un ragazzo sopra i 6 anni, la scuola rappresenta l’ambiente di vita e di relazione più importante, un valore simbolico affettivo e reale che va ben oltre il semplice apprendimento di nozioni e concetti. Quando un ragazzo si ammala gravemente, al suo ricovero si trova improvvisamente separato dal mondo in cui viveva, costretto a vivere in spazi, tempi e ritmi, assolutamente nuovi, diversi rispetto alla sua quotidianità. Egli deve fare i conti con una immobilità forzata, con una serie di divieti, con i propri dubbi e le proprie paure, con il “fantasma della sua malattia”. Il giovane ricoverato e la famiglia, scoprono che la quotidiana routine scolastica, riveste un valore che va oltre il semplice apprendimento di nozioni: essa fornisce motivazione, entusiasmo e gioia di vivere. Diventa allora necessario che una istituzione educativa, anche all’interno del contesto ospedaliero spes- 24 so così spersonalizzante ed incomprensibile agli occhi del ragazzo, continui a fornire occasioni di instaurare legami, creare apprendimenti, accogliere e interpretare il disagio. La scuola in ospedale opera cercando di avvicinare due realtà diverse: da una parte essa è attenta alle necessità del ragazzo che vive una situazione di malattia e ricovero; dall’altra si confronta con l’istituzione ospedaliera e il personale che vi lavora, assumendo di fatto un ruolo di “mediatore culturale”, traducendo le strutture di pensiero di linguaggio e di “cultura”, per ridurre le distanze tra persone ed istituzioni basate su criteri e valori spesso molto dissimili. Ogni ragazzo ha bisogno di muoversi, correre, giocare, incontrarsi, ma in ospedale molte di queste azioni gli sono precluse o vengono relegate ad un ruolo secondario opzionale. Ciò comporta proprio la negazione di quegli aspetti che più caratterizzano la sua identità. Egli si trova solo con le sue insicurezze e le sue paure, ad affrontare la costruzione di un difficile percorso di conoscenza, comprensione e accettazione della nuova realtà. Il disagio del giovane viene affrontato qui, ponendo l’accento sulle funzioni vitali e sane della sua persona, rispetto a quelle “malate” prese in esame dall’equipe medico-sanitaria; sulle capacità d’ascolto, di saper offrire un’atmosfera di calda empatia, rispettando i bisogni profondi, riconoscendo e valorizzando la specificità di ciascuno, ma allo stesso tempo evitando che sprofondi in uno stato di passività ed apatia. Può essere utile a questo punto richiamare la differenza tra il concetto di istruzione ed educazione, sintetizzando il pensiero di Danilo Dolci: “...Se partiamo dal concetto tradizionale di istruzione, come trasferi- pediatria preventiva & sociale mento o trasmissione dall’esterno (…) di una cultura in sé compiuta, da accettare in passività e a cui adeguarsi,(...) l’istruzione ha una mera funzione strumentale, efficientistica, presuntamente emancipatrice.... ...Se però pensiamo che ci si istruisce davvero in base ad una domanda, ad un bisogno profondamente radicato nella nostra personalità (...) che l’apprendimento presuppone la ricerca (…) e dunque esso costituisce una conquista, allora l’istruzione non è solo un sapere (un avere, un "bagaglio", un materiale dato da altri), ma presuppone, soprattutto, la maturazione di tratti personali di conquista, la rielaborazione individuale e inter-individuale della cultura (....) l’istruzione perde così il suo carattere strumentale e risponde ai bisogni più profondi dell’essere, del ben-essere personale, (...) essa ha attinenza con la libertà, (...) nella sua dimensione etica ma anche intellettuale, essenzialmente essa è libertà di pensiero, capacità di scelta critica, responsabile.....” La scuola dunque, ovunque essa si trovi ad operare, ha come prezioso obiettivo la promozione completa dello sviluppo della persona. Solo così essa sarà funzionale a quei ragazzi che rischiano di perdersi nei boschi delle proprie angosce. Sapendo stare loro vicino nella rielaborazione delle esperienze, e sostenendoli nell’ avventura difficile e dura del crescere, per favorirne la restituzione all’armonia della vita, senza avere perduto nulla per la strada, ma anzi con qualche sassolino in più nelle tasche. Il Bullismo “Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni”. (Olweus, 1996) Il concetto di “bullismo” non va quindi usato nel caso di un singolo atto di aggressività e non include occasionali azioni negative fatte per scherzo, ma deve essere usato come una specie di script, cioè come una sequenza, abbastanza stereotipata, caratterizzata da intenzionalità (desiderio di ferire), asimmetria di potere nella relazione, persistenza nel tempo, un uso ingiusto del potere, piacere evidente dell’aggressore e sensazione di oppressione nella vittima. L’aggressione può essere perpetrata con modalità differenti, fisiche o verbali di tipo diretto, o con modalità di tipo psicologico ed indiretto, quali la stigmatizzazione e l’esclusione dal gruppo dei pari. I dati CENSIS del 2008 dimostrano che non si tratta solo di un allarme mediatico, ma di un fenomeno concreto con una diffusione preoccupante. Gli studi riportano che il bullismo è presente nel 49,9% delle classi italiane. Gli studi longitudinali mettono in evidenza che chi rimane a lungo nel ruolo di bullo ha più possibilità di entrare in un circuito di evoluzione della violenza che va da piccoli episodi di vandalismo, furti, piccola criminalità, fino a condanne per comportamenti antisociali. Un dato della Procura di Milano indica che il 45% dei ragazzi che fan- no i bulli a scuola viene condannato per tre diversi crimini entro i 24 anni di età. Allo stesso tempo e’ noto che l’aver subito episodi di bullismo rappresenta un evento di vita stressante che può influenzare significativamente lo sviluppo nell’infanzia e nell’adolescenza e condizionare negativamente la salute mentale anche in età adulta. Le ricerche hanno infatti dimostrato che le conseguenze del bullismo sulla vittima non sono solo quelle immediate, derivanti dalle aggressioni fisiche subite, ma comprendono anche alterazioni dell’equilibrio psicofisico che possono diventare croniche ed irreversibili, anche al venir meno della condotta persecutoria che le ha determinate e che sono potenzialmente di estrema gravità e di significativo impatto non solo a livello individuale, ma anche sociale e sul sistema sanitario per l’aggravio di costi che ne derivano. Le vittime del bullismo possono presentare conseguenze sul piano sociale (insicurezza, scarsa autostima, scarsa motivazione all’autonomia, dipendenza dall’adulto, ritiro sociale), una significativa compromissione del funzionamento scolastico (disturbi di apprendimento e cali di rendimento, determinati da difficoltà di concentrazione, ridotta motivazione e disinvestimento nei processi di apprendimento) ed anche disturbi psichiatrici (disturbi d’ansia, disturbi dell’umore con aumentato rischio di suicidio). Risulta, quindi, di fondamentale importanza attuare programmi di prevenzione e di intervento sulle vittime e le loro famiglie, specifici e mirati, finalizzati alla promozione dell’autostima e delle competenze relazionali e sociali. Domande 1) Il Bullismo è un fenomeno presente : a) nel 29,9% delle classi italiane b) nel 39,9% delle classi italiane c) nel 49,9% delle classi italiane 2) Le conseguenze del bullismo sulla vittima : a) comprendono alterazioni dell’equilibrio psicofisico della vittima b) sono solo quelle immediate, derivate dall’aggressione c) scompaiono con il venir meno delle condotte persecutorie che le hanno determinate 3) Il Bullo: a) da adulto non presenterà alcuna problematica particolare b) ha più possibilità di entrare in un circuito di evoluzione della violenza che va da piccoli episodi di vandalismo, furti, piccola criminalità, fino a condanne per comportamenti antisociali c) non è aggressivo intenzionalmente. 2/2010 25 Prevenzione e terapia della tubercolosi in età pediatrica A. Guarino, F. D’Elia, E. Ruberto, M.A. Caiazzo ???? La Tubercolosi (TBC) è una delle 10 cause più frequenti di morte nel mondo. Le morti sono prevalentemente confinate in paesi a basso standard socio-economico, nei soli anni novanta sono stati stimati 30 milioni di morti. I fattori associati alla elevata diffusione della tubercolosi sono: 1.l’epidemia di infezione da HIV 2.l’aumento dell’immigrazione da paesi endemici 3.l’abolizione delle infrastrutture e delle procedure specificamente deputate al controllo della tubercolosi 4.l’aumento dei ceppi di M. tuberculosis resistenti alla terapia. L’attuale situazione epidemiologica della tubercolosi in Italia è caratterizzata da una bassa incidenza nella popolazione generale (7:100.000), il che colloca l’Italia nei paesi a bassa endemia. Secondo quanto riportato dal “Rapporto sulla Tubercolosi in Italia dell’anno 2008” in occasione della giornata mondiale della tubercolosi (24/03/2010) nel 2008, sono stati notificati 4418 casi di tubercolosi (TBC) con una diminuzione del 2,4% dei casi rispetto al 2007. Il trend non è uniforme sul territorio nazionale; infatti, nel Nord si è riscontrato un incremento del numero delle notifiche di casi di TBC, al contrario delle Regioni del Centromeridionali e delle Isole in cui il trend sembra in diminuzione. 26 L’epidemiologia della TB in Italia è caratterizzata da: 1) Cambiamento dell’incidenza per classi d’età. Una progressiva diminuzione dell’incidenza negli ultrasessantacinquenni, un lieve e progressivo incremento nelle classi di età dai 15 ai 24 anni e un aumento nella classe di età 0-14 anni nell’ultimo anno. La classe di età 0-14 anni è l’unica in cui l’incidenza nelle femmine risulta essere maggiore rispetto a quella nei maschi. 2) Variabilità dell’incidenza per sede anatomica. L’incidenza di tubercolosi polmonare sembra stabile e intorno ai 5-6 casi per 100.000 residenti. L’incidenza delle forme extrapolmonari, dopo un progressivo aumento nelle decadi precedenti, sembra essersi stabilizzata intorno ai 2 casi per 100.000 abitanti. 3) Eterogeneità per paese d’origine. La particolare condizione di “immigrato” predispone a un rischio aumentato di sviluppare la tubercolosi sia per i maggiori tassi di incidenza nei Paesi di origine, sia per le particolari condizioni di fragilità sociale e di complessità legate al processo migratorio ed alla multiculturalità che influiscono decisamente sui percorsi di prevenzione, diagnosi e cura. Nella decade 1998-2008, il numero di casi di tubercolosi in persone nate all’estero è più che raddoppiato e la percentuale sui casi totali è vicina al pediatria preventiva & sociale 50%. In generale, nonostante l’incidenza si sia ridotta negli ultimi anni, la popolazione immigrata ha ancora un rischio relativo di tubercolosi 10-15 volte superiore rispetto alla popolazione italiana. Fino al 2007, oltre il 50% dei casi di tubercolosi in persone nate all’estero insorgeva entro i primi 2 anni dall’arrivo in Italia, mentre nel 2008 questa proporzione è diminuita fino al 43% ed è aumentata la proporzione di casi insorti dopo almeno 5 anni dall’arrivo (da circa il 29% a circa il 38%). In particolare sembrano diminuire i casi di tubercolosi in persone provenienti dall’Africa, mentre aumentano i casi provenienti dall’Est europeo;in particolar modo, la popolazione proveniente dalla Romania ha il maggior numero assoluto di casi di tubercolosi notificati nel 2008.I dati di incidenza grezza per Paese d’origine, individuano 9 nazionalità a particolare rischio (con tassi maggiori o vicini a 100 casi per 100.000 residenti): Etiopia, Pakistan, Senegal, Perù, India, Costa d’Avorio, Eritrea, Nigeria e Bangladesh. 4) Farmacoresistenza. La percentuale di TBC multiresistente (MDR) nel 2008 è lievemente aumentata rispetto al 2007 attestandosi al 3,7% del totale dei ceppi analizzati, con una percentuale più rappresentata nella classe 15-34 anni. Definizione di caso e stadiazione della tubercolosi La definizione di infezione e/o malattia tubercolare, a prescindere dall’età del soggetto, è problematica ed è sostanzialmente condizionata dalla presenza di fattori di rischio sociodemografico, e manifestazioni cliniche estremamente polimorfe. Tutto ciò porta ad un approccio stocastico basato, cioè sulla probabilità di iden- tificare in modo appropriato lo status del paziente-bambino e di instaurare le opportune strategie assistenziali. La differenziazione tra infetto e malato è più difficile nel bambino rispetto all’adulto. Esistono 3 diverse definizioni dello stato di infezione/ malattia tubercolare (tabella 1) In tutti i casi si tratta di definizioni operative, inevitabilmente generiche, ma utili per stabilire strategie diagnostiche e terapeutiche. Le im- plicazioni di queste definizioni sono importanti, perché si riconosce la concreta possibilità che la diagnosi non sia sempre certa e si consiglia di trattare i casi dubbi. Quando sospettare la tubercolosi Sospetto demografico socio-economico Le condizioni socio-igienico-sanitarie rappresentano, ancora oggi, una Tabella 1 – Definizione di caso di tubercolosi (WHO) Caso definito Caso non definito Positività della cultura Segni e/o sintomi clinico-radiologici compatibili Positività dell’ esame batterioscopico Decisione di effettuare un trattamento (se coltura non disponibile) antitubercolare Classificazione di tubercolosi in età pediatrica (AAP) Esposto - Bambino ad alto rischio di tubercolosi - esposto ad adulti con tubercolosi attiva e/o HIV proveniente da aree a rischio in condizioni socioeconomiche disagiate immunodepresso o HIV+ con malattie croniche Infezione latente Bambino con test alla tubercolina positivo senza segni o sintomi di malattia Malato Bambino con test alla tubercolina positivo e segni radiologici e/o clinici di malattia Linee guida per la diagnosi di tubercolosi nel bambino (WHO) Tubercolosi sospetta Bambino malato con storia di contatto con un caso confermato di tubercolosi polmonare Ogni bambino con - incompleta guarigione dopo morbillo o pertosse - perdita di peso, tosse e wheeze che non risponde alla terapia antibiotica - un pacchetto linfonodale superficiale non dolente Tubercolosi probabile Caso sospetto con una delle seguenti condizioni: - intradermoreazione positiva (>10 mm) - quadro radiografico suggestivo - quadro istologico suggestivo su materiale bioptico - risposta favorevole alla terapia antitubercolare Tubercolosi confermata Ritrovamento di bacilli tubercolari tramite microscopia o coltura da secrezioni o tessuti Identificazione del Mycobatterio tubercolare dalle caratteristiche della coltura 2/2010 27 delle più importanti cause di diffusione dell’ infezione tubercolare. In particolare i fattori che influenzano maggiormente il rischio di infezione sono rappresentati da: - contatto con pazienti affetti da tubercolosi contagiosa - provenienza da aree geografiche ad alta endemia (Asia, Africa, America Latina e Est Europa, soprattutto Romania) - storia di viaggi in paesi ad alta endemia - infezione da HIV - istituzionalizzazione del bambino - malnutrizione - uso di droghe I pazienti esposti ad uno di questi fattori di rischio devono essere sottoposto ad un primo screening attraverso l’esecuzione della Mantoux. Sospetto clinico Le situazioni cliniche più frequentemente legate alla tubercolosi nella pratica pediatrica sono le seguenti: 1) il bambino che nel corso di uno screening, effettuato per qualsiasi motivo, sia risultato positivo all’intradermoreazione. In questa situazione spesso non vi sono segni clinici evidenti di malattia e il dilemma risiede nella classificazione del bambino come infetto o malato, al fine di iniziare un trattamento appropriato 2) il bambino con malattia polmonare ed evidenza di infezione tubercolare (Mantoux positiva o presenza di fattori di rischio, ad esempio genitori infetti). È necessario sottolineare che anche dal punto di vista prettamente radiografico esiste un ampio spettro di presentazione che va dai quadri più tipici di polmonite lobare, a quadri del tutto atipici o addirittura ad un reperto radiografico negativo (falsa negatività) che può raggiungere il 10% dei casi. Le forme cavitarie o cosiddette “aperte” sono sicuramente più rare rispetto a quanto descritto nell’adulto. 28 3) il bambino Mantoux-positivo con linfoadenomegalia laterocervicale. In questa situazione la positività della Mantoux può essere falsa e la linfoadenomegalia è probabilmente la manifestazione di un’infezione da micobatteri atipici. D’altra parte una linfoadenomegalia laterocervicale – ancorché raramente- può essere una manifestazione clinica di linfoma, con conseguenze di drammatica importanza sul piano terapeutico sono cruciali, perché si tratta di diagnosticare con precisione la natura neoplastica o infettiva della linfoadenomegalia. La linfoadenomegalia laterocervicale associata a intradermoreazione positiva è nella stragrande maggioranza dei casi il risultato di un’infezione da micobatteri atipici. In questi casi la diagnosi differenziale tra infezione tubercolare e micobatterosi atipica dipende dalle indagini microbiologiche. La terapia antibiotica della linfoadenomegalia spesso non dà risultati necessari al corso della diagnosi. Più raramente è possibile che il paziente presenti come manifestazione di malattia una tubercolosi ossea, un interessamento meningeo, una localizzazione cutanea. Si tratta di forme difficili da diagnosticare perché spesso l’eziologia tubercolare viene sottostimata e quindi gravate da una elevata mortalità e da un elevato rischio di esisti a distanza. 4) Bambino con sintomi cronici aspecifici (durata >2 settimane) tipo perdita di peso, febbre, sudorazioni notturne, eritema nodoso. Sospetto Immunologico Il bambino con immunodeficienza rappresenta un soggetto a rischio elevato non solo di infezione ma anche di malattia tubercolare. La diagnosi di tubercolosi è resa ancora più difficile dal fatto che generalmente il bambino con immunodeficienza ha pediatria preventiva & sociale una Mantoux negativa. L’infezione è da un lato più facile da diagnosticare sul piano strettamente microbiologico (in ragione dell’elevata carica batterica), ma l’urgenza clinica è maggiore rispetto all’infezione del bambino immunocompetente. La diagnosi eziologica è particolarmente difficile, poiché i sintomi, i segni e i quadri radiologici delle pneumopatie infettive associate ad immunodeficienza sono tra loro largamente sovrapponibili, ed è virtualmente impossibile discriminare con certezza tra infezioni da micobatteri tipici o atipici, infezione da parassiti come Pnemocystis carinii e infezioni virali, come Cytomegalovirus. Diagnosi di tubercolosi Gli strumenti per la diagnosi di tubercolosi sono rappresentati dall’intradermoreazione di Mantoux, metodiche microbiologiche e recentemente test immunologici. L’intradermoreazione secondo Mantoux Si esegue iniettando 5 unità di tubercolina purificata nella faccia volare dell’avambraccio e la lettura è data dall’accurata misura dell’infiltrato (e non dell’eventuale eritema) che viene eseguita nel periodo compreso tra 48 e 72 ore dopo l’inoculazione intradermica. L'intradermoreazione di Mantoux può essere considerata negativa se il suo diametro longitudinale risulta inferiore ai 5 mm. Secondo le linee guida dell'Accademia Americana di Pediatria, le reazioni superiori a 5 mm vanno interpretate alla luce di alcuni elementi epidemiologici e clinici del paziente che rappresentano fattori di rischio per la progressione di malattia La legge italiana stabilisce però che, indipendentemente dalle condizioni cliniche del soggetto, va considerata Tabella 2 - Definizione di caso di tubercolosi (WHO) - Positività ≥10 mm Bambini ad alto rischio di malattia disseminata (età <4 anni, malattie croniche) Bambini provenienti da altri paesi con prevalenza elevata dell’infezione Bambini con aumentato rischio di esposizione ambientale - Positività ≥15 mm Bambini di età >4 anni senza fattori di rischio positiva, e quindi notificata, qualsiasi reazione di Mantoux che risulti superiore a 5 mm. È da tenere in considerazione, tuttavia che si possono verificare: 1) falsi positivi: cross reazioni con micobatteri non tubercolari o a vaccinazione antitubercolare effettuata in precedenza (il caso tipico è quello dei bambini extracomunitari adottati) 2) Falsi negativi: anergia cutanea, test effettuato precocemente (l’intradermoreazione diviene positiva dopo un tempo compreso tra 2 e 12 settimane dopo l’infezione iniziale). L’intradermoreazione è sufficiente per la diagnosi di tubercolosi polmonare se la clinica e la radiologia sono compatibili ed è stata identificata l’origine del contagio (ad esempio un genitore, spesso ignaro della sua malattia). Per questo è obbligatoria la ricerca della sorgente di infezione (case tracking), da effettuarsi sui contatti intrafamiliari e in ambiente scolastico. Il tine test è stato largamente utilizzato per lo screening, in ragione della facilità di esecuzione. Si tratta però di un test poco standardizzato, la cui interpretazione è fortemente problematica e che dà un elevato numero di falsi positivi. Diagnosi microbiologica Microbiologia standard La ricerca microbiologica dovrebbe essere sempre effettuata in un bam- bino in cui si sospetta una malattia tubercolare, sia per la conferma definitiva della eziologia, sia per disporre dello spettro di suscettibilità agli antibiotici. In particolare la diagnosi microbiologica è essenziale nei bambini per i quali non siano state identificate le fonti di contagio, per quelli con tubercolosi extrapolmonare, per gli immunodeficienti e per i bambini in cui il contagio è avvenuto da parte di portatori di micobatteri resistenti ai farmaci Si avvale di. . Microscopia diretta con colorazione Ziehl-Neelsen - Esame colturale con terreni solidi ( Lowenstein-Jensen) o liquidi. - Sistema radiometrico Il principale limite a tali metodiche, sebbene informative, è rappresentato dalla risposta in tempi lunghi. Biologia molecolare La PCR permette l’identificazione di sequenze genomiche direttamente dal materiale biologico, consentendo, anche in presenza di una carica batterica fortemente ridotta, l’identificazione specifica del microrganismo nell’arco di poche ore. Il target più comunemente utilizzato per l’identificazione del Mycobacterium tuberculosis è rappresentato dalla sequenza gnomica IS6110. Tale metodica, nonostante le sue potenzialità, rimane confinata almeno per quanto riguarda l’età pediatrica, a condizioni cliniche particolari in cui è necessario avere indicazioni in tempi molto brevi, ma che trova scarsa applicazione nella routine clinica per il rischio di contaminazione e per i suoi alti costi. Diagnosi immunologica Attualmente esistono tre differenti test che valutano la risposta immune di tipo cellulo-mediata ad antigeni specifici del Mycobatterium tuberculosis.: - Quantiferon TB GoldAssay : test immunoenzimatico che valuta la produzione di IFNγ da parte dei linfociti T sensibilizzati nei confronti di due antigeni tubercolari (ESAT-6 e CFP-10). - QFT in-tube assay: test immunoenzimatico più recente che include un terzo antigene (TB7.7) - EliSPOT-TB: misura il numero di linfociti T sensibilizzati nei confronti degli stessi antigeni tubercolari, che producono IFNγ. Quantiferon-TB. Il QuantiferonTB è più specifico per il M. tubercolare rispetto al Tubercolin skin test (TST), non è influenzato dalla vaccinazione ed è meno influenzato dall’ esposizione ai Micobatteri non tubercolari (NTM). Inoltre i risultati sono disponibili entro 24 h dal prelievo e sono meno operatore dipendenti rispetto al TST. Tuttavia le evidenze sulla specificità e sensibilità del test sono limitate proprio nei gruppi di pazienti ad alto rischio. Il sangue deve essere stoccato entro 12 ore dal prelievo e l’ uso nella routine clinica potrebbe porre numerosi problemi di ordine prati- 2/2010 29 co. Il test non sembra capace di distinguere tra forme latenti ed attive di tubercolosi né tanto meno di prevedere la progressione dell’infezione. Recenti evidenze sembrano mostrare una minore sensibilità del QFT in pazienti adulti affetti da HIV o in terapia immunosoppressiva con una percentuale di risultati indeterminati direttamente correlata al grado di immunodepressione. Gi studi condotti in età pediatrica dimostrano una significativa concordanza tra i risultati del QFT e del TST in bambini ad alto rischio di Latent Tuberculosis Infection (LTBI) a prescindere dalla vaccinazione. In definitiva il QFT si dimostra una valida alternativa al TST sia per la diagnosi di LTBI che per quella di tubercolosi attiva anche nei bambini sebbene siano necessari ulteriori studi randomizzati e controllati per definirne meglio specificità e sensibilità. EliSPOT-TB. Rispetto al Quantiferon-TB dati recenti inducono che l’EliSPOT-TB è relativamente meno dipendente dallo stato immunologico del paziente, con una minore percentuale di risultati indeterminati. In uno studio condotto su pazienti HIV- positivi il test ha dato risultati ugualmente validi sia nei pazienti con normale numero di CD4 che in quelli con CD4< 200/mm3, non essendo la risposta correlata né al numero di CD4 né di CD8 né alla carica virale. In soggetti sottoposti a chemioterapia per patologia neoplastica, l’EliSPOT si è dimostrato migliore del QFT nel diagnosticare la LTBI. In studi effettuati su pazienti immunodepressi si è riscontrato un incremento del numero di casi positivi con la metodica EliSPOT rispetto al Test Tubercolinico e al Quantiferon-TB, che tuttavia potrebbero essere dei falsi positivi. Resta ancora da chiarire il ruolo di questi test nella diagnosi di infezione 30 e malattia tubercolare soprattutto in quelle categorie di soggetti a maggior rischio, quali i bambini e i soggetti immunodepressi, in cui la diagnosi è di per se più complicata. I CDC raccomandano infatti l’utilizzo del Quantiferon in alternativa, piuttosto che in aggiunta alla Mantoux, tuttavia, tale raccomandazione non include bambini di età inferiore a 5 anni e pazienti immunodepressi. Allo stato attuale, le raccomandazioni in merito alla diagnostica della TBC, stilate Dal Ministero della Salute (2009), stabiliscono che: 1) Negli individui vaccinati con BCG, l’uso di test basati sul rilascio di interferon-gamma è raccomandato nei test di conferma nei pazienti risultati positivi all’intradermoreazione. La negatività del test IGRA può essere considerata indicativa di assenza di infezione tubercolare anche in presenza di positività del TST. 2) L’uso del test IGRA in alternativa al TST non è attualmente supportato dalle evidenze disponibili. 3) Nei bambini di età inferiore o uguale a 5 anni e nei soggetti gravemente immunodepressi nei quali sia attuato uno screening è consigliata una valutazione clinica completa compresa la radiografia del torace, anche in presenza di un TST e/o IGRA negativo Peculiarità della tubercolosi in età pediatrica La tubercolosi in età pediatrica ha connotazioni specifiche che la differenziano da quella dell’adulto: - Maggiore tendenza all’evoluzione dell’infezione in malattia - Decorso più rapido della malattia - Alta incidenza di forme extrapolmonari - Bassa incidenza di forme cavitarie pediatria preventiva & sociale - Radiologia Aspecifica/atipica - Minore massa batterica - Elevata frequenza in associazione con immunodeficienze - Alta incidenza di anergia cutanea - Incapacità del bambino ad espettorare - Invasività del lavaggio broncoalveolare Come controllare l’infezione tubercolare Gli strumenti per combattere e controllare l’infezione tubercolare sono tre: chemioterapia, chemioprofilassi e vaccinazione. L’implementazione dell’una o dell’altra strategia di intervento dipende dall’impatto che la tubercolosi ha nei singoli paesi, sia in termini di prevalenza che di morbilità e di mortalità e dalla efficacia che i singoli interventi possono avere nelle diverse realtà epidemiologiche. Chemioterapia La chemioterapia si avvale in prima linea di tre farmaci, Isoniazide, Rifampicina, Pirazinamide con i seguenti schemi terapeutici: - TBC polmonare o linfonodale: Isoniazide, Rifampicina, Pirazinamide ogni giorno per 2 mesi, poi Isoniazide, Rifamipicina ogni giorno per 4 mesi - TBC extrapolmonare (meningite, ossea, alta localizzazione) Isoniazide, Rifamipicina, Pirazinamide + Streptomicina per 2 mesi poi Isoniazide e Rifampicina per 7-10 mesi tutti i giorni In caso di resistenze aggiungere Etambutolo e/o Streptomicina. Nei pazienti con sospetta TB-MDR deve essere richiesta l’esecuzione dei test molecolari per la resistenza a farmaci antitubercolari di prima linea su campioni di espettorato e/o aspirato gastrico. Ove non disponi- bili si raccomanda comunque l’esecuzione in tempi rapidi dei test di sensibilità su terreno liquido. È di fondamentale importanza valutare nel corso della terapia non solo l’aderenza, ma anche un’eventuale epatossicità dei farmaci. In tale caso è opportuno sospendere la terapia per poi reintrodurre gradualmente i farmaci alla normalizzazione delle transaminasi. Chemioprofilassi La chemioprofilassi specifica per l’infezione tubercolare va effettuata in due differenti categorie di pazienti con due scopi differenti: 1) riduzione del rischio di infezione nel bambino Mantoux- negativo a contatto con un malato accertato o fortemente sospetto di tubercolosi 2) riduzione del rischio di progressione in malattia tubercolare in tutti i bambini con infezione tubercolare (bambini con Mantoux positiva in assenza di segni clinici o radiografici). La profilassi va effettuata con Isoniazide alla dose di 10 mg/Kg per 6 mesi. In caso di resistenza Isoniazide associato a Rifampicina. Nel primo caso dopo 3 mesi di profilassi va ripetuta la Mantoux. In caso di positività la profilassi andrà proseguita per altri sei mesi. In caso di negatività la profilassi andrà sospesa se non esistono più i fattori di rischio per il contagio. Se sono comparsi segni o sintomi di malattia tubercolare attiva, il paziente dovrà iniziare la terapia specifica. La ricerca della fonte, inoltre, è indicata in tutti i casi pediatrici di TBC, in particolare in casi verificatesi in bambini di età uguale o inferiore ai 5 anni. Il vaccino antitubercolare Caratteristiche e modalità di somministrazione. Attualmente è disponibile un vacci- no vivo attenuato, preparato a partire da un ceppo con virulenza attenuata di M bovis, noto come bacillo di Calmette e Guerìn (BCG). Il vaccino contiene circa 10 8 bacilli per mg di BCG e va somministrato per via intradermica nella regione deltoidea o nel bambino a livello della coscia. Dopo 2-3 settimane in corrispondenza del punto di inoculo compare una piccola area di necrosi che si trasforma in pustola e che si risolve spontaneamente nel giro di 3-4 settimane lasciando una piccola cicatrice che nella maggior parte dei casi è permanente. Efficacia. L’efficacia del vaccino BCG non è elevata ed è compresa tra 0 e 80%. Una possibile spiegazione di tale discrepanza è la variabilità enorme delle condizioni in cui gli studi di efficacia sono stati condotti. Recenti meta-analisi hanno evidenziato un’efficacia relativamente elevata nei confronti della meningite (73%) e della miliare tubercolare (77%) con dati sicuramente più significativi nei paesi industrializzati (27), mentre l’effetto protettivo nei confronti della tubercolosi polmonare è significativamente più basso (50%). La vaccinazione quindi protegge nei confronti delle infezioni gravi, più frequenti nei bambini, ma è relativamente inefficace nei confronti dell’infezione tubercolare e delle forme di malattia più contagiose. Il ceppo utilizzato, le tecniche di produzione del vaccino, l’età dei soggetti vaccinati, la latitudine geografica sembrano influenzare l’efficacia del vaccino BCG. Nel complesso comunque l’effetto protettivo conferito dal vaccino è incostante e limitato nel tempo con una durata pari a circa 8-12 anni. La vaccinazione con BCG può interferire con la lettura dell’intradermoreazione di Mantoux, Indicazioni e controindicazioni. A causa della limitata efficacia, il vaccino BCG ha delle specifiche indicazioni che differiscono da paese a paese in relazione ai tassi di endemia, al controllo della tubercolosi raggiunto e alla disponibilità di risorse: • Nei paesi ad alta endemia (con tasso di infezione annuale è superiore all’1%) il vaccino antitubercolare viene effettuato a tutti i nuovi nati, con l’intento non tanto di controllare l’impatto epidemiologico della malattia ma piuttosto di ridurre la mortalità infantile. • Nei paesi cosiddetti a moderata endemia (con tasso di infezione annuale compreso tra 0,2 e 1%), la vaccinazione di massa dei nuovi nati rientra nella strategia di prevenzione anche se il suo impatto sulla mortalità risulterà sicuramente inferiore rispetto ai paesi ad alta endemia. • Infine, nei paesi industrializzati a bassa prevalenza di infezione tubercolare (rischio annuale di infezione < 0,1), la prevenzione è basata sulla diagnosi precoce, l’identificazione ed il trattamento delle forme latenti al fine di curare in maniera efficace il 100% dei soggetti affetti da tubercolosi e ridurre la trasmissione dell’infezione. La vaccinazione antitubercolare è indicata solo in alcune categorie di soggetti considerati a rischio di infezione tubercolare. La decisione di effettuare la vaccinazione antitubercolare non può prescindere dall’esecuzione dell’intradermoreazione di Mantoux per valutare lo stato di immunizzazione nei confronti del Mycobacterium tuberculosis. L’Italia è un paese a bassa prevalenza di tubercolosi e pertanto la vaccinazione antitubercolare è indicata solo in alcune categorie a rischio: - Neonati e bambini di età inferiore ai 5 anni, con test tubercolinico 2/2010 31 negativo, conviventi o aventi contatti stretti con persone affette da TBC in fase contagiosa, qualora persista il rischio di contagio - Personale sanitario, studenti in medicina, allievi infermieri e chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo, operi in ambienti sanitari ad alto rischio di esposizione a ceppi multi resistenti - Chiunque con test tubercolinico negativo operi in ambienti ad alt rischio e non possa, in caso di cutiversione, essere sottoposto a terapia preventiva, perché presenta controindicazioni cliniche all’uso di farmaci specifici Categorie di soggetti in cui va presa in considerazione la vaccinazione antitubercolare: - conviventi e contatti stretti di persone affette da tubercolosi resistente isoniazide e rifampicina - bambini inseriti in un nucleo familiare nel quale esiste la possibilità che siano ospitati soggetti provenienti da aree endemiche e potenzialmente infettanti - Bambini nati in Italia e pertanto non vaccinati con BCG, che si recano per un lungo tempo in un paese a media o alta endemia tubercolare. Il vaccino BCG è controindicato: - nei soggetti con immunodeficienza congenita e/o acquisita inclusa l’infezione da HIV - nei soggetti in terapia immunosoppressiva inclusi quelli trattati con alte dosi di corticosteroidi - nei soggetti con infezioni della cute, negli ustionati - nelle donne in gravidanza Si tratta di una vaccinazione relativamente sicura che può comunque comportare nel 1-2% dei casi reazioni avverse locali caratterizzate da ascessi sottocutanei e linfoadeniti purulente regionali. 32 Isolamento Tradizionalmente tutti i pazienti con TBC contagiosa sospetta o accertata devono essere accolti separatamente e possibilmente in isolamento respiratorio per minimizzare la possibilità di trasmissione dell’infezione fino a che non sia stata esclusa una malattia tubercolare o venga somministrato un trattamento congruo per un periodo di almeno due settimane, durante il quale si sia dimostrato un miglioramento clinico ed una negatività all’esame microscopico per MTB confermata in tre espettorati (o aspirato gastrico) consecutivi raccolti in giorni diversi. Vengono considerati potenzialmente contagiosi i bambini e gli adolescenti che presentino caratteristiche di malattia simile a quella dell’adulto (es. tosse produttiva e lesioni cavitarie, lesioni estese del lobo superiore alla radiografia del torace). I bambini con sospetta o provata TBC congenita devono essere considerati contagiosi. Conclusioni La tubercolosi è un’ infezione endemica in molti paesi del mondo dove rappresenta una delle cause più frequenti di morte. La povertà e le scarse condizioni socio-economiche sono il principale fattore responsabile della diffusione dell’infezione. Il solo miglioramento della qualità di vita nei paesi in via di sviluppo sarebbe in grado di ridurre significativamente l’incidenza della tubercolosi. Altra possibilità per contrastarne la diffusione è la prevenzione attraverso l’immunizzazione dei soggetti a rischio. Purtroppo il vaccino attualmente disponibile è del tutto inefficace nei confronti dell’infezione e poco efficace nel ridurre il rischio di forme contagiose di tuber- pediatria preventiva & sociale colosi. Nell’ultimo decennio sono stati fatti passi avanti nel campo della ricerca vaccinale ma siamo ancora molto lontani dall’obiettivo principale che è quello di avere a disposizione un vaccino che contemporaneamente abbia la capacità di prevenire l’infezione e di evitare la progressione della malattia. Per quanto riguarda la diagnosi, l’ introduzione di nuovi test basati su tecnologie di biologia molecolare si sono affiancati alla classica intradermoreazione di Mantoux. Allo stato l’introdermoreazione testa il metodo di riferimento per la diagnosi di infezione tubercolare e resta ancora da stabilire quale ruolo specifico possano ricoprire i test interferonici in età pediatrica. Attualmente l’ opportunità di eseguire tali test, così come l’ interpretazione dei risultati, deve essere valutata alla luce dei dati clinico-anamnestici che restano il cardine di un corretto approccio alla diagnosi di tubercolosi. Al fine di pervenire alla migliore gestione del bambino con infezione tubercolare accertata o sospetta è necessario che ci sia una stretta collaborazione tra pediatria di base e specialistica. In particolare il pediatra di base deve avere gli strumenti culturali e di conoscenza del territorio che lo rendano in grado di porre correttamente il sospetto clinico di tubercolosi e di indirizzare il bambino all’ infettivologo pediatra. Quest’ ultimo deve confermare la diagnosi, considerare l’ eventualità del ricovero, instaurare l’ opportuna terapia e pianificare il follow-up. Bibliografia 1. American Academy of Pediatrics. Tuberculosis In. “2009 Red Book”: Report of the Committee on Infectious Diseases. 28th ed. Elk Grove Village, IL: American Academy of Pediatrics 2009: 680-701 2. Bruzzese E., Lo Vecchio A., Assante L., Guarino A. “Epidemiologia e diagnosi dell’infezione tubercolare in età pediatrica”Pneumologia Pediatrica 2007; 25:51-62 3. Bruzzese E. et al. “Gamma Interferon release assays for diagnosis of Tuberculosis infection in immune-compromised children in a country in which the prevalence is low” J. Clin. Microbiol. 2009; 47(7):2355-2357 4. Centers for Disease Control.”Guidelines for using the Quantiferon-TB Gold Test for detecting Mycobacterium tuberculosis infection, United States.” MMWR 2005; 54: 49-55 5. Colditz GA,., Brewer TF, Berkey CS et al. “Efficacy of BCG vaccine in the prevention of tuberculosis: meta-analysis of the published literature.”JAMA 1994; 271: 698-702 6. Morandi M., D’Amato S., Fattorini L et al. Rapporto” La tubercolosi in Italia - anno 2008” www.epicentro.iss.it 7. Pai M., Zwerling A., Menzies D. “T-cellbased assay for the diagnosis of latent tuberculosis infection: an update” Ann. Intern. Med. 2008; 149:177-184 8. Palmieri F., Loffredo MR., Lauria FN., Besozzi G. et al “Gestione dei contatti e della tubercolosi in ambito assistenziale (2009)” www.epicentro.iss.it 9. Rapporto” Epidemiologia della tubercolosi in Italia (anni 1995-2007)” www.epicentro.iss.it 2/2010 33 Il trattamento della febbre in età pediatrica E. Chiappini, M. De Martino Dipartimento di Scienze della Donna e del Bambino, Università di Firenze La febbre è una condizione determinata dall’elevazione della temperatura corporea centrale che generalmente è parte di una risposta difensiva nei confronti di microrganismi riconosciuti dall’ospite come patogeni. L’innalzamento della temperatura corporea si determina attraverso un complesso meccanismo fisiopatologico, il cui elemento centrale è l’elevazione del punto di equilibrio del termostato ipotalamico. Diversamente, per ipertermia, si intende un innalzamento della temperatura corporea uguale o superiore a 41,6 °C, legata non all’azione di pirogeni endogeni, bensì ad altri meccanismi che agiscono al di fuori del centro ipotalamico, come si verifica, per esempio, in caso di ipertiroidismo, colpo di calore o displasia ectodermica anidrotica In base alle recenti linee guida della Società Italiana di Pediatria, non è raccomandato considerare l’entità della febbre come fattore isolato per valutare il rischio di infezione batterica grave. La febbre di grado elevato può essere, tuttavia, considerata predittiva di infezione batterica grave in particolari circostanze: età inferiore ai 3 mesi o concomitante presenza di leucocitosi o incremento degli indici di flogosi. La febbre ha indubbi effetti benefici e appartiene ai fisiologici meccanismi di difesa dagli agenti infettivi. 34 Con la temperatura febbrile, migliorano i meccanismi immunologici e peggiorano le capacità replicative di batteri e virus. L’assenza di febbre in condizioni infettive gravi si associa a una peggiore prognosi e il ridurre la temperatura febbrile potrebbe associarsi a un prolungamento della condizione infettiva. Nella pratica clinica, tuttavia, è diffuso il trattamento del segno/sintomo febbre, principalmente con l’impiego di farmaci antipiretici, anche allo scopo di ridurre il corteo sintomatologico che ad essa si può associare. In base alle recenti linee guida della Società Italiana di Pediatria, l’impiego di mezzi fisici per la terapia della febbre è sconsigliato. Essi infatti, oltre ad essere potenzialmente dannosi, non possono influire sui meccanismi centrale alla base della febbre. Il loro effetto è periferico e fugace e costringe il bambino a un dispendio di energia per riportare la temperatura a quella programmata in quel momento dal set point. L’impiego di mezzi fisici rimane invece consigliato in caso di ipertermia. Gli unici farmaci impiegabili a scopo antipiretico in pediatria sono paracetamolo e ibuprofene. L’impiego di acido acetilsalicilico al di sotto dei 15 anni di età è fortemente controindicato per il rischio di sindrome di Reye. Gli steroidi non devono essere impiegati per il pediatria preventiva & sociale basso rapporto tra effetti benefici e rischio di effetti collaterali, oltre al possibile rischio di ritardare la diagnosi di patologie di varia natura, mascherandone sintomi e segni di esordio. Nell’ambito dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), l’ibuprofene è la molecola che è associata al minore rischio di effetti collaterali gravi a carico del tratto gastro-intestinale superiore, rispetto agli altri farmaci della stessa classe. Sono disponibili numerosi studi randomizzati e controllati e meta-analisi che hanno dimostrato come sia paracetamolo che ibuprofene siano efficaci nel ridurre la febbre nel bambino e siano ugualmente ben tollerati. Nei trial più recenti ibuprofene sembra avere un’azione modestamente più rapida e duratura del paracetamolo, sebbene tali differenze non appaiano clinicamente rilevanti. L’ibuprofene deve essere impiegato con cautela in caso di disidratazione, per l’aumentato rischio di insufficienza renale grave e sembrerebbe sconsigliato in bambini affetti da varicella,per un possibile incrementato rischio di sovra-infezione di cute e tessuti molli e infezioni streptococciche invasive. La somministrazione combinata o alternata di ibuprofene e paracetamolo sta diventando una pratica diffusa. Gli studi disponibili evidenziano una modesta maggiore efficacia antipire- tica della terapia alternata o combinata, di scarsa rilevanza tuttavia sul piano pratico. Inoltre la combinazione di antipiretici aumenta il rischio di sovradosaggio, generando confusione nei familiari, ed è pertanto sconsigliata. Al fine di ridurre il rischio di tossicità, la dose degli antipiretici deve essere calcolata in base al peso del bambino e non alla sua età. La dose deve essere somministrata utilizzando specifici dosatori inclusi nella confezione (per esempio contagocce,siringa graduata per uso orale, tappo dosatore), evitando l’uso di cucchiaini da caffè/the o da tavola. È indispensabile prestare attenzione a possibili fattori concomitanti che possano incrementare il rischio di tossicità da paracetamolo e da ibuprofene. La via di somministrazione rettale è da valutare solo in presenza di vomito o di altre condizioni che impediscano l’impiego di farmaci per via orale. Il bambino febbrile,con età inferiore a 28 giorni,deve essere sempre ricoverato per l’alto rischio di patologia grave. Il paracetamolo è l’unico antipiretico che può essere eventualmente impiegato fin dalla nascita. Nel neonato si raccomanda inoltre di adeguare dosaggio e frequenza di somministrazione all’età gestazionale. L’impiego preventivo di paracetamolo o ibuprofene in bambini sottoposti a vaccinazione al fine di ridurre l’incidenza di febbre o reazioni locali non è consigliato. Dal momento che l’impiego preventivo di paracetamolo o ibuprofene in bambini febbrili non previene le convulsioni febbrili, essi non devono essere utilizzati per questa finalità. 2/2010 35 Farmaci antivirali S. Esposito, L. Tagliaferri, F. Peia, G. Prunotto, I. Picciolli, N. Principi Dipartimento di Scienze Materno-Infantili, Università degli Studi di Milano Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - Milano Introduzione Il pediatra, specie quello che esercita la sua attività sul territorio, pur avendo larga abitudine a confrontarsi con patologie di origine virale, specie di tipo respiratorio, ha poche occasioni di utilizzare farmaci attivi contro i virus. Nella massima parte dei casi, infatti, le malattie ad eziologie virale che quotidianamente il pediatra deve affrontare sono sostenute da agenti infettivi per i quali non esistono farmaci attivi capaci di interferire positivamente sulla replicazione virale. E’ questo il caso delle patologie dovute a metapneumoviris, adenovirus, bocavirus, parainfluenza virus, coxackie virus. D’altra parte, la grande maggioranza di queste forme è a rapida e benigna risoluzione cosicchè, anche quando vi sono possibilità di terapia farmacologica, come quando sono in gioco virus influenzali e virus respiratorio sinciziale (RSV), questa diviene molto discutibile perché gli svantaggi di un impiego sistematico sarebbero di molto superiori ai vantaggi. In alcuni casi particolari, tuttavia, anche il pediatra può utilizzare gli antivirali disponibili. Si tratta, in genere, di trattamenti che riguardano soggetti in condizioni particolari per i quali la malattia virale può divenire assai più pericolosa del consueto o bambini colpiti da virus che hanno assunto, per specifiche mutazioni, caratteristiche 36 di virulenza assai più rilevanti che di norma. Gli esempi che saranno discussi riguardano la terapia dell’influenza e quella delle forme sostenute da virus erpetici. Influenza La recente pandemia ha riproposto il problema della definizione dei soggetti di età pediatrica per i quali può essere prevista la terapia antivirale dell’influenza. Il Center for Disease Control and Prevention (CDC) degli U.S.A. ha codificato che una immediata terapia antivirale deve essere prevista per tutti i soggetti di età pediatrica, inclusi gli adolescenti, che presentino una influenza di gravità tale da richiedere ospedalizzazione, che abbiano una malattia grave e progressiva o che siano a rischio, in funzione della presenza di una malattia cronica grave, di sviluppare una forma di influenza particolarmente severa. La giustificazione di queste raccomandazioni deriva dalla considerazione che i farmaci antinfluenzali si sono dimostrati in grado di ridurre la gravità e la durata della malattia e di limitare l’insorgenza di complicanze, incluse quelle che possono condurre a morte. Il trattamento è massimamente efficace quando iniziato entro i primi 2 giorni di malattia, ma il CDC pediatria preventiva & sociale consiglia trattamenti anche più tardivi, vista la possibilità che un’azione positiva possa aversi anche quando i farmaci siano somministrati oltre questo periodo. Interessante è l’osservazione che, nel caso sia in gioco il virus pandemico, la decisione di trattare debba essere basata sul solo sospetto clinico, perché i test rapidi per l’identificazione del virus nelle secrezioni respiratorie, specifici e sensibili con i virus stagionali, sono, invece, poco validi con il virus pandemico, risultando spesso negativi anche nei casi realmente infetti. Tutte le linee guida, comprese le stesse del CDC, indicano l’oseltamivir per os come il farmaco di scelta per il trattamento dell’influenza nel bambino, con lo zanamivir da usare come riserva nei soggetti che, per età, sono in grado di utilizzare la via inalatoria. Le recenti valutazioni sulla resistenza dei vari stipiti virali a questi farmaci indicano, però, che questa scelta può non essere sempre valida perché negli ultimi anni i virus influenzali stagionali A/H1N1 sono divenuti pressoché totalmente resistenti ad oseltamivir, pur avendo conservato, nella stragrande maggioranza dei casi, sensibilità totale a zanamivir. Anche nel nostro Paese la situazione ha seguito quanto riferito negli altri Paesi Europei e nel nord America. Una nostra rilevazione ha dimostrato che mentre nell’inverno 2007-2008 solo una quota margi- nale di A/H1N1 erano resistenti ad oseltamivir, in quello 2008-2009 tutti i virus di questo tipo erano divenuti resistenti per comparsa della mutazione H275Y, la più comune tra quelle che conferiscono al virus resistenza contro questo farmaco. Diversa è, comunque, la situazione per quanto riguarda il virus pandemico A/H1N1 per il quale la percentuale di stipiti resistenti all’oseltamivir è ancora molto contenuta anche se non trascurabile. Ancora aperto è, in ogni caso, il significato della resistenza nel senso che non è ancora perfettamente chiarito se i virus divenuti resistenti abbiano una virulenza analoga a quella del virus selvaggio, maggiore i minore. I dati raccolti in tutto il mondo sembrano, in realtà, suggerire che i virus influenzali resistenti all’oseltamivir sono dotati di scarsa capacità replicativa e, quindi, di limitata virulenza. Ciò sembrerebbe avvalorato dal fatto che il quadro clinico dovuto a questi virus mutati è sostanzialmente sovrapponibile a quello dovuto ai virus selvaggi, senza sostanziali differenze sia in termini di incidenza di ospedalizzazioni che di insorgenza di complicanze. Ciò varrebbe anche in pediatria, come ben messo in evidenza dal confronto da noi effettuato tra i casi raccolti nel nostro ospedale e suddivisi in base alla presenza o meno della mutazione H275Y. In pratica, però, esistono segnalazioni di virus resistenti ad oseltamivir che hanno determinato quadri clinici di estrema gravità, associati al ricovero in Terapia Intensiva o alla morte del paziente. Poiché in molti di questi casi era dimostrabile la presenza di una patologia sottostante considerata fattore di rischio per influenza grave è stato supposto che l’evoluzione negativa fosse legata alle caratteristiche del soggetto più che alla presenza della mutazione. Un’ipotesi alternativa è, invece, che i casi con resistenza ad oseltamivir ad evoluzione negativa fossero tali perché le mutazioni virali non erano limitate alla sola H275Y ma erano, invece, presenti altre varianti, nel complesso capaci di conferire al virus virulenza più elevata. Quale che sia l’origine della possibile maggiore importanza dei virus mutati è ovvio che i casi di influenza che siano sostenuti da virus già identificati come mutati o che non rispondano all’oseltamivir debbano essere trattati con zanamivir in modo da evitare al paziente possibili ripercussioni negative della forma influenzale in atto. E’ ciò che è avvenuto anche in un caso affetto da influenza pandemica e fibrosi cistica da noi recentemente osservato, caso nel quale solo la sostituzione dell’oseltamivir con zanamivir ha consentito di ottenere la guarigione del paziente dal quadro respiratorio acuto che l’infezione da virus influenzale aveva determinato. stato messo a punto un prodotto che è possibile preparare estemporaneamente al momento dell’utilizzo e per il quale è stato effettuato un completo studio di farmacocinetica dal quale è stato possibile definire il dosaggio ottimale. In pratica, è stato dimostrato che 20 mg/kg 3 volte al giorno sono in grado di determinare nel soggetto di età compresa tra i 3 mesi e gli 11 anni livelli di aciclovir adeguati alla eradicazione dei virus erpetici aciclovir-sensibili. Per quanto riguarda la resistenza, è noto da tempo che alcuni virus erpetici possono essere resistenti all’aciclovir o divenirlo durante il trattamento. Foscarnet e cidofovir rappresentano le scelte alternative. Il loro uso va previsto, specie nell’immunocompromesso con infezione da citomegalovirus, che non risponda con estrema rapidità all’aciclovir, anche prima di avere dal laboratorio la conferma della resistenza. Virus erpetici Bibliografia L’aciclovir è da molti anni il farmaco di scelta per la terapia delle forme da virus erpetici. Due sono i problemi principali posti da questo farmaco. L’uno è la sua scarsa disponibilità per via orale che condiziona l’uso di dosi elevate somministrate più volte nell’arco della giornata; l’altro è la possibile presenza di resistenze, che obbliga a scelte alternative non sempre facili. Il problema della scarsa biodisponibilità può essere affrontato e superato dall’impiego del valaciclovir, un preparato che viene trasformato nell’organismo in aciclovir ma che ha una biodisponibilità nettamente migliore. In realtà, la sostituzione è difficile nei bambini più piccoli perchè per problemi di stabilità non è mai stato preparato uno sciroppo. Recentemente è 1. Centers for Disease Control and Prevention. Updated Interim Recommendations for the Use of Antiviral Medications in the Treatment and Prevention of Influenza for the 2009-2010 Season. Riscontrabile su www.cdc.gov/h1n1flu/recommendations.ht m. 2. Esposito S, Molteni CG, Colombo C, Dalieno C, Daccò V, Lackenby A, Principi N. Oseltamivir-induced resistant pandemic A/H1N1 influenza virus in a child with cystic fibrosis and Pseudomona aeruginosa infection. J Clin Virol 2010; 48; 62-65. 3. Hatchette T, Tipples GA, Peters G, Alsuwaid, Zhou A, Mailman T Foscarnet salvage therapy for acyclovir-resistant varicella zoster report of a novel thymidine kinase mutation and review of the literature Pediatr Infect Dis J 2008; 27: 75-77. 4. Kimberlin DW, Jacobs RF, Weller S, van der Walt JS, Heitman CK, Man CM, Bradley JS Pharmacokinetics and Safety of Extemporaneously Compounded Valacyclovir Oral Suspension in Pediatric Patients from 1 Month through 11 Years of Age Clin Infect Dis 2010; 50: 221-228. 2/2010 37 Novità in tema del metabolismo del ferro: aspetti clinici Bruno Nobili, Michele Lo Mastro, Sofia Maria Rosaria Matarese Dipartimento di Pediatria della Seconda Università di Napoli Metabolismo del ferro In età pediatrica i disordini del metabolismo del ferro rivestono una enorme importanza dal punto di vista clinico; nel bambino infatti l’anemia da carenza marziale è il disordine ematologico di più frequente riscontro. Condizioni patologiche, sia primitive che secondarie, legate invece all’accumulo del ferro sono certamente meno frequenti, ma di notevole rilievo per le implicazioni sistemiche derivanti dall’accumulo del metallo in tutti i parenchimi. Le migliorate condizioni socioeconomiche, il ritorno all’allattamento al seno e l’uso di formule fortificate hanno relativamente ridotto la prevalenza dell’anemia sideropenica, anche nei paesi in via di sviluppo; pur tuttavia la carenza marziale con o senza anemia è ancora abbastanza frequente (7-8% nei bambini dei primi due anni di vita, 9 % degli adolescenti e nel 16% delle donne in età fertile). Un organismo adulto contiene circa 4-5 g. di ferro, la maggior parte nei globuli rossi come ferro emoglobinico (70%); per la rimanente quota, il 25% è rappresentato dal ferro di deposito (ferritina ed emosiderina) contenuto per i 2/3 nei macrofagi e per 1/3 negli epatociti, ed il 5% dal ferro della mioglobina e degli enzimi (fig.1). La regolazione dell’assorbimento del ferro attraverso l’epitelio del tratto 38 prossimale dell’intestino tenue è essenziale per la sua omeostasi. Nell’ultimo decennio sono state identificate le principali proteine deputate al suo assorbimento, mentre attualmente l’attenzione della ricerca è rivolta alla comprensione della loro funzione. L’individuazione dell’epcidina, peptide prodotto dal fegato, ed il riconoscimento del suo ruolo quale regolatore principale dell’omeostasi del ferro, ha dato un notevole impulso in questa direzione. Il bilancio marziale pertanto è regolato esclusivamente dall’assorbimento intestinale, in quanto l’organismo non è in grado di eliminare attivamente il ferro in eccesso; piccole quantità (1-1,5 mg/die) sono escrete attraverso la desquamazione della cute e con la perdita di cellule della mucosa gastrointestinale e da quella delle vie urinarie. La perdita di ferro at- Fig. 2 - Ciclo del ferro pediatria preventiva & sociale traverso queste vie è costante e non è influenzata dalle variazioni del ferro corporeo (fig.2). L’assorbimento del ferro degli alimenti è regolato da due condizioni: - quantità e biodisponibilità; - controllo dell’assorbimento da parte delle cellule della mucosa enterica. Fig. 1 - Distribuzione del ferro nell’adulto In condizioni fisiologiche la quantità di ferro assorbibile dagli alimenti ammonta a circa il 10% del suo contenuto totale (0.5-1 mg/die) e può aumentare fino a 3,5 mg/die in caso di carenza marziale. Lo stato marziale pertanto rappresenta uno dei principali meccanismi deputati alla omeostasi del ferro. La biodisponibilità del ferro contenuto negli alimenti è in rapporto alla sua condizione di ferro-eme o di ferro organico. Il ferro eme viene assorbito direttamente mediante recettori presenti sulla membrana delle cellule della mucosa duodenale (Heme Carrier Protein1) e come tale passa immodificato nel citoplasma, dove viene liberato dall’anello porfirinico. Tale via è estremamente efficiente tanto è vero che, sebbene il ferro eme rappresenti solamente il 10% di quello presente in una dieta bilanciata, esso costituisce il 25% della quantità totale assorbita. L’assorbimento del ferro non eme attraverso le cellule della mucosa intestinale è influenzato da sostanze o condizioni che lo favoriscono (carne, pesce, ac. ascorbico, ac. citrico, amminoacidi, acidi organici, carenza di ferro) o lo inibiscono (fibre vegetali, fitati, proteine della soia, fosfo-proteine dell’uovo, fosfati, tannino, fenoli, sovraccarico di ferro). Anche l’assorbimento del ferro contenuto nel latte materno, sebbene quantitativamente uguale a quello del latte vaccino (0,5-0,7 mg/l), è di circa due-tre volte superiore per il suo maggior contenuto in lattosio, lattoferrina, ac, ascorbico ( sostanze favorenti) e per la minor quantità di caseina, fosforo e calcio (sostanze inibenti). Il ferro non eme presente negli alimenti è essenzialmente Fe+++ e come tale arriva alla mucosa duodenale ove necessita, per essere assorbito, della riduzione a Fe++ attraverso l’azione di una reduttasi ferrica presente sull’orletto a spazzola; il ferro così ridotto si lega ad una proteina trasportatrice DMT1 (Divalent Metal Transporter 1) che ne consente l’internalizzazione nella cellula dove è conservato come ferritina o trasferito nel circolo attraverso la membrana basolaterale mediante una proteina trasportatrice, la ferrroportina (IRGE1).Tale proteina è in grado di esportare il ferro nel plasma non solo dagli enterociti (ferro alimentare), ma anche dagli epatociti, dai sinciziotrofoblasti e dai macrofagi (ferro di deposito). Questi ultimi rivestono un ruolo fondamentale nel riciclaggio del ferro, in quanto fagocitando e degradando i globuli rossi senescenti, conservano nel proprio citoplasma il ferro eme che, messo in circolo con l’ausilio della ferroportina, rappresenta la principale fonte del metabolismo marziale. L’omeostasi del ferro richiede una regolazione coordinata del ferro assorbito a livello duodenale, di quello riciclato dai globuli rossi sene- scenti e della quota epatica. L’epcidina, un ormone di recente identificazione, secreto dal fegato, riveste un ruolo chiave nell’omeostasi marziale: quando il ferro di deposito è adeguato o elevato, gli epatociti producono elevate quantità di epcidina che lega la ferroportina internalizzandola nel citoplasma dell’enterocita dove viene degradata, bloccando in tal modo l’unica via di escrezione del ferro intracellulare. In condizione di carenza marziale, quando l’attività eritropoietica è esaltata o negli stati infiammatori cronici, la produzione di epcidina si riduce rendendo in tal modo la ferroportina disponibile al trasporto del ferro dalle cellule al plasma. Lo stesso meccanismo (interazione epcidina-ferroportina ) è alla base del rilascio del ferro dai macrofagi che è ridotto durante i processi infiammatori, in quanto le citochine infiammatorie, in particolar modo IL-6, stimolano la produzione dell’epcidina con conseguente blocco della escrezione del ferro di deposito(fig.3) Fig. 3 - Epcidina ed assorbimento intestinale del ferro 2/2010 39 Il ferro, una volta liberato in circolo, viene legato alla transferrina, proteina prodotta dagli epatociti, che lo veicola alle sedi di utilizzo, dove è ceduto grazie al legame con il recettore solubile della transferrina (TFRs); la sintesi di questa proteina è inversamente proporzionale alla quantità di ferro contenuto negli epatociti. La transferrina ha due siti di legame per il ferro e pertanto esiste in forma libera, mono e diferrica; quest’ultima ha una affinità 3,5 volte maggiore per il recettore solubile della transferina presente sulla superficie cellulare. Le cellule ad alto turn-over di ferro quali i precursori eritroidi presentano un elevato numero di TFRs. Nelle cellule il ferro viene depositato in due forme: la ferritina, idrosolubile di pronta utilizzazione in caso di necessità e l’ emosiderina insolubile e non di rapido utilizzo. Una quota proporzionale al contenuto cellulare di ferritina viene immessa in circolo e pertanto il suo dosaggio (ferritina sierica) è espressione reale del ferro di deposito. perdite ematiche. In condizione di carenza marziale, si ha una riduzione dell’ epcidina che rende la ferroportina disponibile al trasporto del ferro dalle cellule al plasma (fig.4) L’anemia sideropenica si instaura attraverso varie fasi: 1) deplezione di ferro: è questa la fase iniziale della carenza marziale caratterizzata da una diminuzione dei depositi (ferritinemia) senza anemia nè alterazione degli indici eritrocitari; 2) eritropoiesi ferrocarenziale: le riserve di ferro sono deplete, non è presente ancora anemia, ma compare microcitemia, ipocromia ed alterazione dei parametri di valutazione dello stato marziale (sideremia, transferrinemia, indice di saturazione della transferrina, recettore solubile della transferrina , aumento delle zincoprotoporfirine eritrocitarie); 3) anemia sideropenica: caratterizzata da anemia conclamata, microcitosi ed ipocromia. La diagnosi di laboratorio è general- Le nuove conoscenze sul metabolismo del ferro hanno chiarito molti aspetti relativi alla fisiopatologia dell’anemia sideropenica e dell’anemia correlata a varie patologie quali i disordine cronico, neoplasie, e l’obesità. L’anemia sideropenica si instaura in modo insidioso, poiché in condizioni di carenza marziale, qualunque ne sia la causa, l’organismo mette in opera meccanismi di compenso propri del metabolismo del ferro (aumentato assorbimento, utilizzo del ferro di deposito). Lo sviluppo dell’anemia sideropenica è il risultato dell’interazione fra l’apporto di ferro con gli alimenti, le necessità fisiologiche ed eventuali 40 Fig. 4 - Stato marziale ed epcidina pediatria preventiva & sociale mente semplice: è presente anemia (Hb < al 3° centile), microcitemia (MCV < 3° centile), ipocromia e modificazioni caratteristiche dello stato marziale (ipoferritinemia, iposideremia, ipertransferrinemia totale ed insatura, riduzione dell’indice di saturazione della transferrina, aumento delle ZPP). L’anemia da disordine cronico è una condizione ben conosciuta correlata a varie patologie infiammatorie croniche. quali l’artrite reumatoide, LES, colite ulcerosa…. L’anemia, solitamente di grado modesto, è ipocromica-microcitica, ma può essere presente normocitosi con normocromia. Lo stato marziale è caratterizzato da una riduzione della sideremia e della transferrinemia ; la ferritina è solitamente elevata, mentre il TRFs è normale, a meno che non coesista uno stato di carenza marziale. L’epcidina, prodotta dal fegato, non è solamente un ormone del metabolismo del ferro, ma è anche un importante mediatore della risposta immunitaria; nell’infezioni o nell’infiammazioni la sintesi del- l’epcidina è notevolmente aumentata attraverso un meccanismo che è indipendente dallo stato marziale o dall’attività eritropoietica. Le citochine infiammatorie , in particolare l’interleukina 6 (IL-6), costituiscono importanti induttori della sintesi di epcidina, che per l’azione svolta nell’assorbimento del ferro, rendono conto della patogenesi dell’anemia in tali patologie; poiché, infatti, la maggior parte del ferro legato alla transferrina è destinato alla eritropoiesi, la iposideremia dovuta all’eccesso di epcidina riduce la quota di ferro destinato alla sintesi dell’emoglobina e quindi alla produzione di eritrociti. Poiché la eziopatogenesi di tali anemie è secondaria alla patologia di base, la terapia con ferro , a meno che non coesista carenza marziale, non è indicata; in qualche caso può essere utile l’impiego di EPO quando i livelli di questa non sono adeguati al grado di anemia. Il controllo della malattia di base, solitamente corregge lo stato anemico e le alterazioni dei parametri relativi allo stato marziale. L’obesità in età pediatrica si associa frequentemente ad uno stato di carenza marziale o di anemia sideropenica conclamata; tali condizioni per il passato sono state attribuite alle cattive abitudini alimentari (alimentazione con cibi ipercalorici a basso contenuto in ferro). Negli ultimi anni l’obesità è stata riconosciuta come uno stato infiammatorio cronico e come tale viene attualmente messo in relazione alla carenza marziale frequentemente osservata in tali pazienti. L’aumentata pro- duzione di epcidina è dovuta non solo allo stato infiammatorio caratteristico dell’obesità (aumento IL6), ma anche ad una azione diretta della leptina che è un ormone prodotto dagli adipociti; la concentrazione plasmatica di leptina, il cui livello è in rapporto alla quantità di trigliceridi contenuti negli adipociti, è infatti particolarmente elevata. L’individuazione dell’epcidina ed il suo ruolo nella regolazione dell’assorbimento intestinale di ferro ha permesso di definire la patogenesi di molte condizioni patologiche; è ipotizzabile che nei prossimi anni tali conoscenze possano costituire la base di un impiego non solo nella diagnosi ma anche nella terapia di patologie caratterizzate da disturbi del metabolismo del ferro che comportano un alterato assorbimento intestinale. 2/2010 41 Comorbilità future nelle bambine con disturbi minzionali ed evacuativi M.L.Chiozza1, A. Graziottin2 1 2 Urologo Pediatra. Azienda Ospedaliera - Università di Padova Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica dell’H. San Raffaele Resnati di Milano. Le disfunzioni delle bassa vie urinarie riguardano il 2-7% dei bambini in età scolare (1-4) e si ritiene dipendano da fattori comportamentali acquisiti durante il “toilet training” che inibiscono la maturazione del normale controllo minzionale diurno e notturno. Come noto tale processo è molto articolato e si completa tra i 36 mesi ed i 5 anni richiedendo una armonica maturazione delle strutture anatomiche e neurologiche coinvolte, tra cui la strutturazione dell’arco riflesso sacrale, toracolombare e dei circuiti inibitori cortico-spinali (5). La correlazione anatomica di questi centri con le aree deputate alla attività sessuale nella vita adulta rende particolarmente rilevante una corretta acquisizione di questa competenza che, assieme a quella verbale e motoria, rientra tra i capisaldi dell’autonomia del bambino/a (6). La recente classificazione delle disfunzioni delle basse vie urinarie in età pediatrica a opera dell’International Childrens’ Continence Society (ICCS) (7) ha segnato una svolta epocale perché per molti anni queste disfunzioni sono state clinicamente rilevanti solo se associate ad incontinenza urinaria, infezioni urinarie o reflusso vescico-ureterale. L’enuresi, in particolare, veniva considerata un problema di natura psicologica ed affrontata solo per le limitazioni sociali che comportava. Recentemente è stato anche sottoli- 42 neato come i disordini gastrointestinali, e in particolare la stipsi, possano giocare un ruolo di rilievo nelle disfunzioni del tratto urinario inferiore, in particolare nella iperattività detrusoriale, tanto da coniare il termine “Disfunctional Elimination Syndrome” per sottolineare le reciproche dipendenze (8). La tendenza, inoltre, ad una apparente spontanea autorisoluzione di questi sintomi nel periodo della pubertà alimentava un diffuso atteggiamento attendista da parte dei pediatri. Infine, urologi e ginecologi consideravano irrilevante indagare le abitudini minzionali in età pediatrica dei/delle loro pazienti confermando una insanabile incomunicabilità tra mondo pediatrico e dell’adulto. Tuttavia, in letteratura cominciano ad affermarsi alcuni lavori che mettono dimostrano una significativa mutua correlazione tra incontinenza urinaria nell’adulto e presenza di disfunzioni minzionali in età pediatrica in un’ottica “life-span”.Da segnalare come Fitzgerald (9), in una coorte di 2109 donne di 56+/-9 anni , abbia dimostrato una significativa correlazione tra la presenza di pollachiuria in età pediatrica e il rischio di soffrire di urgenza da adulte (O.R.1.9;p<0.001), così come la persistenza del sintomo nicturia da adulti se presente da bambine (O.R.2.3; p<0.001). Inoltre l’aver sofferto di incontinenza urinaria diur- pediatria preventiva & sociale na durante l’infanzia o di più di una infezione urinaria correla significativamente con la persistenza di incontinenza da urgenza (O.R.2.7; p<0.01) e di infezioni urinarie (O:R:2.6; p<0.001) anche in età adulta. Yarnell (10), Kuh (11) e Moore (12), studiando varie coorti di donne adulte, hanno evidenziato un aumento del rischio relativo di avere incontinenza urinaria nelle donne che riferivano enuresi notturna in età pediatrica specialmente per le forme associate a sintomi disfunzionali vescicali diurni attualmente classificate dall’International Children’s Continence Society (7) come enuresi non-monosintomaticate. Altri autori, come Gurbuz (13) e collaboratori, hanno affrontato il problema delle possibili correlazioni tra enuresi in età pediatrica e lo sviluppo in età adulta di incontinenza urinaria e fecale, giungendo alla conclusione che una storia pregressa di enuresi notturna aumenta significativamente il rischio di avere in età adulta sia incontinenza urinaria da urgenza che da stress così come incontinenza fecale. Questo incremento di rischio può essere ricondotto ad una disfunzione congenita o ad un deficit funzionale sia del sistema nervoso afferente ed efferente, ad un deficit nel segnale propriocettivo afferente di vescica piena che esita in una inadeguata risposta dello sfintere uretrale esterno nel bloccare la minzione ed, infine, in una attenuata risposta nella vita adulta, delle componenti uretrali all’aumento di pressione addominale. In queste pazienti possono, inoltre, coesistere difetti o carenze nelle componenti del collagene responsabili sia della ritardata maturazione del complesso elevatore dell’ano e sfintere uretrale esterno in età pediatrica, che della vulnerabilità allo stress di questi muscoli in età adulta. Falconer (14) ha anche dimostrato che queste pazienti presentano una significativa minore innervazione dell’epitelio vaginale parauretrale così come una diminuzione del collagene di tipo III suggerendo un alterato profilo del collagene sia a livello della cute che dei legamenti rotondi che utero-sacrali. Bower e Yeung (15), recentemente, hanno dimostrato una significativa correlazione tra elevati indici di problemi disfunzionali da eliminazione in età pediatrica e la presenza in età adulta di sintomi come incontinenza da urgenza e da stress, svuotamento vescicale incompleto, gocciolio postminzionale, nicturia ed enuresi notturna così come stipsi ed incontinenza fecale. Recentemente è anche stata segnalata una pregressa storia pediatrica di enuresi in pazienti con vestibulite vulvare primaria e/o dispareunia (16-17). Anche se meno ricchi da un punto di vista epidemiologico, anche gli studi in ambito maschile rilevano una stretta correlazione tra problemi disfunzionali delle basse vie urinarie e futuri problemi vescicali e sessuali in età adulta con particolare riferimento alla incontinenza urinaria da iperattività detrusoriale e la eiaculazione precox. Conclusioni I sintomi legati alle disfunzioni delle basse vie urinarie in età pediatrica sono epidemiologicamente rilevanti e significativamente associati alla presenza di sintomi di iperattività vescicale nella vita adulta nonché a disturbi evacuativi come la stipsi. Sicuramente il documentato maggior rischio di sviluppare incontinenza da stress in quelle donne che hanno avuto problemi di enuresi notturna in età pediatrica , può fornire l’opportunità di evitare alle stesse l’esposizione a fattori di rischio come un travaglio prolungato, l’applicazione di forcipe o vacuum, parto vaginale e parto di neonato di peso<4Kg. Dai dati della letteratura emerge che un approccio “life-span” alle disfunzioni minzionali pediatriche non è più dilazionabile considerato l’impatto negativo di questi sintomi sull’attività vescicale, intestinale e sessuale futura di questi/e bambini/e. Bibliografia 1. Lee SD, Sohn DW, Lee JZ, et al. An epidemiological study of enuresis in Korean children. Acta Paediatr Scand 1988; 77:148–153. 2. Blomfield JM, Douglas JWB. Bedwetting: prevalence among children aged 4–7 years. Lancet 1956; 1:850–852. 3. Jarvelin MR, Vikevainen-Tervonen L, Moilanen I, et al. Enuresis in seven-yearold children. Acta Paediatr Scand 1988; 77:148–153. 4. Hellstrom A-L, Hanson E, Hansson S, et al. Micturition habits and incontinence in 7year-old Swedish school entrants. Eur J Pediatr 1990; 149: 434–437. 5. Largo RH, Gianciaruso M, Prader A. Development of intestinal and bladder control from birth until the 18th year of age longitudinal study. Schweiz. Med. Wochenschr, 1978;108:155-160. 6. Chiozza ML, Graziottin A. Urge incontinence and female sexual dysfunction: a life span perspective. Urodinamica 2004; 14 (2): 133-138. 7. Neveus T, von Gontard A, Hoebeke P, et al. The standardization of terminology of lower urinary tract function in children and adolescents: report from the Standardisation Committee of the International Children's Continence Society. J Urol. 2006 Jul;176(1):314-24. 8. Bauer SB, Koff SA, Jayanthi VR. Voiding dysfunction in children: neurogenic and non-neurogenic. In: Walsh PC, Retik AB, Vaughn ED, Wein AJ, editors. Campbell’s Urology. 8th Ed. Philadelphia: WB Saunders Co; 2002. pp. 2231–2283. 9. Fitzgerald MP, Thom DH, Wassel-Fyr C, et al. Reproductive Risks for Incontinence Study at Kaiser Research Group. Childhood urinary symptoms predict adult overactive bladder symptoms. J Urol. 2006;175(3 Pt 1):989-93. 10. Yarnell JW, Voyle GJ, Sweetnam PM, et al. 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Televisione generalista – per una televisione che educhi: • revisione del sistema di autoregolamentazione, inserendo misure sanzionatorie più efficaci e garantendo una maggiore distinzione di ruoli tra emittenti e rappresentanti degli utenti e delle istituzioni; • maggiore collaborazione tra associazioni dei genitori e sistema radiotelevisivo; • sviluppo e incentivazione di campagne di sensibilizzazione e uso corretto della televisione che coinvolgano direttamente i ragazzi, i genitori e le scuole; • revisione dei palinsesti televisivi con un orientamento verso una riqualificazione dell’offerta e il rilancio del media fra le nuove generazioni, implementando la sperimentazione di nuovi, innovativi modelli televisivi che potrebbero trovare spazio riducendo programmi di scarsa qualità come reality show e contenitori pomeridiani e domenicali; • rispetto delle fasce protette per i 44 minori, corretto utilizzo dello strumento di parental control basato sui bollini-semaforo oppure introduzione del cosiddetto watershed utilizzato in Gran Bretagna che funge da chiaro spartiacque fra la programmazione adatta ai minori e quella esclusivamente per adulti. Televisione satellitare: • risoluzione della problematica concernente i canali satellitari 800-900 visibili tramite decoder Sky con la predisposizione e l’attivazione di un sistema basato sul concetto di white list e che permetta di limitare l’accesso dei minori da parte dei genitori esclusivamente ad alcuni canali ritenuti a loro adatti; • necessità di mantenere alta l’attività di sensibilizzazione e informazione sull’uso corretto della televisione e dei sistemi di controllo parentale ad oggi disponibili, rivolta ai bambini, ai genitori, agli insegnanti e agli educatori. Internet: • si individua la necessità di colmare il vuoto legislativo attraverso l’elaborazione di nuovi strumenti, • si auspica che le aziende produttrici di software dotino i propri sistemi operativi di filtri, in particolare della possibilità di attivare sistemi di white list, e che si predispongano e aggiornino i filtri di parental con- pediatria preventiva & sociale trol ponendo molta attenzione ai motori di ricerca. • Si ritiene opportuna anche l’istituzione di un organo di garanzia formato da esperti e che coinvolga le parti sociali interessate e le associazioni dei genitori. Cellulare: • Strutturazione e miglioramento dell’attuale panorama legislativo, caratterizzato da norme e codici di autoregolamentazione carenti e lacunose. • Maggiore informazione indirizzata agli adulti, genitori e docenti, per colmare un gap generazionale e di conoscenze che sulle potenzialità e sulle criticità del telefonino. Videogiochi: • Strutturazione e miglioramento dell’attuale panorama legislativo, caratterizzato da norme e codici di autoregolamentazione carenti e lacunose, tenendo conto delle peculiarità di tale media. • Miglioramento, corretta applicazione e diffusa comunicazione del codice di classificazione PEGI. • Maggiore offerta di informazione e campagne di sensibilizzazioni indirizzate ai minori su un corretto uso del videogioco, e dedicate ai genitori per aumentare l’awareness dei sistemi di classificazione e di controllo parentale esistenti, per informare delle potenzialità e dei pericoli di tale media. Cinema: • Maggiori collaborazione, coinvolgimento e rilevanza del parere delle associazioni dei genitori all’interno della Commissione di revisione cinematografica; • Maggiore omogeneità tra i divieti di visione stabiliti in Italia e nei vari paesi dell’Unione Europea, spesso infatti l’Italia in tale settore risulta essere il paese più permissivo in assoluto Stampa ed editoria: • Necessità che le proposte contenute nella Sezione “Norme attuative” della Carta di Treviso (promozione dell’Osservatorio, diffusione della normativa esistente, contemplazione della sanzione accessoria della pubblicazione del provvedimento disciplinare e il coinvolgimento delle scuole di giornalismo come centri di sensibilizzazione delle problematiche inerenti i minori) vengano contenute in una norma primaria e che si preveda l’integrazione con un sistema sanzionatorio adeguato. • Necessità di un’adeguata normativa e di un severo sistema sanzionatorio, azioni di informazione e responsabilizzazione rivolte direttamente al settore degli edicolanti, soggetto importante per la tutela dei minori in tale ambito. I sistemi di tutela esistenti si rivelano ad oggi spesso inadeguati, sia a livello di misure limitanti e sanzionatorie, sia nell’ottica di sviluppare un’offerta di qualità e adeguate modalità di fruizione da parte dei bambini. Ad esempio non esistono strumenti di tutela che interessino in maniera omogenea il settore globale dei media ma bensì una pluralità di istituzioni e organi che disciplinano la materia con modalità e approcci spesso profondamente diversi. È quindi auspicabile al più presto un intervento normativo che disciplini in maniera unitaria ed esaustiva il tema della tutela dei minori in relazione ai mass media e ai nuovi media e si sottolinea la necessità che venga istituito un organo di controllo e vigilanza - authority o commissione -. È necessario inoltre che sia dato il giusto rilievo all’informazione e che questa venga rivolta sia direttamente ai minori che indirizzata ai genitori e i docenti scolastici, in quanto figure chiave nel processo educativo. È prioritario infatti rivolgersi e informare direttamente la società attraverso campagne informative e media education, con l’auspicabile impegno anche delle istituzioni e delle aziende di settore. Proponiamo anche il sostegno di tali attività attraverso le somme delle sanzioni comminate dall’AGCOM per comportamenti lesivi verso i minori da parte di emittenti e soggetti operanti nei media. Alla base di quanto il MOIGE propone per un’efficace tutela del bambino e dell’adolescente in quanto fruitore dei media tradizionali e delle nuove tecnologie di comunicazione, senza dubbio ad oggi essenziali per una adeguata informazione e conoscenza, c’è il concetto di “biblioteca di casa”: la possibilità cioè di creare una white list, un pacchetto di fonti sicure e adatte ai minori che sia per loro liberamente consultabile, che permetta di rispondere alle esigenze della loro età tutelandoli però dalle insidie e da immagini e situazioni inadatte e spesso pericolose per un loro adeguato e sa- no sviluppo, soprattutto per quanto concerne l’utilizzo dei media di difficile controllo e con maggiori possibilità di essere fonte di diseducativi incontri mediatici come lo sono la tv satellitare e internet. 2.Off-line! A pedofilia e pedopornografia - una normativa severa e un’informazione diffusa per fermare un fenomeno deleterio per il bambino e per l’intera società. Internet deve raccogliere un’attenzione speciale da parte delle Istituzione, visti i numerosi rischi in cui può incorrere il giovane navigatore. L’accento ora va messo da una parte sulla necessità di una appropriata normativa penale e dall’altra sulla priorità che le Istituzioni si impegnino a sostenere adeguate attività di informazione indirizzate ai minori e ai loro genitori affinché tale fenomeno, deleterio per il singolo e per l’intera società, venga fermato. 3.Scuola&educazione - Per una scuola che educhi all’utilizzo sicuro dei mezzi di comunicazione la cui fruizione rappresenta ad oggi un importante diritto del minore, in un’ottica di consapevolezza delle loro caratteristiche e altresì di sicurezza, tenendo conto dell’attuale realtà sociale che rende il mancato accesso a tali medium una limitazione della libertà e delle pari opportunità dei minori. La scuola come luogo importante in cui si sviluppa la fase di socializzazione secondaria e in cui prendono forma e si acquisiscono modalità di relazione con gli altri deve incentivare forme di informazione e campagne di comunicazione indirizzate ai minori e ai genitori, rafforzando sempre più la proficua sinergia fra scuola e genitori. 2/2010 45 Una proposta operativa attuale-bioetica con l'infanzia A. Leocata Ospedale Garibaldi di Catania Il documento proposto - risulta finalizzato - in spirito di missione come possibile auspicabile Istituzione - Fondazione Umanitaria: SEABA - Salvare Educare Amare Bambini Adolescenti - ed è stato presentato in sede dovuta "Area poster- Bioetica" del 65° Congresso Nazionale SIP con la viva speranza di essere favorevolmente accolto dalla Società Italiana di Pediatria e si spera pure dalle Società affiliate e dalle altre Società ed Associazioni Mediche e non, ed Istituti Sanitari Pediatrici ed Ordini dei Medici, ed osiamo sperare anche dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale, che celebra a Taormina 27-29 Maggio 2010 il suo XXII Congresso Nazionale. Ora - coincidenza non casuale ma provvidenziale - vuole che proprio recentemente il Santo Padre Benedetto XVI ricevendo i partecipanti alla Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia (febbraio 2010) ha voluto richiamare la tenerezza particolare, l'insegnamento costante e la considerazione paterna di Gesù Benedetto a favore dei bambini: " lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, che di essi è il regno dei cieli". Luca 18.16 - "e chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me". Matteo 18.5; Ed ha ricordato come la 46 Chiesa lungo i secoli, sull' esempio di Cristo e fedele al suo mandato di Madre e Maestra, ha promosso e raccomandato la tutela della dignità e dei diritti dei bambini ... ed in molti modi e sempre appropriati si è presa cura di essi - così come nel nostro tempo, ha voluto condividere e riproporre le indicazioni e le raccomandazione contenute nella Dichiarazione Universale dei Diritti dei Bambini 20 Novembre 1959 - e nella Convenzione Mondiale dei diritti dei Bambini e dell'Adolescenza 20 Novembre 1989 - ed è doveroso farne menzione proprio a 50 anni per l'una e a 20 anni per l'altra, dalla celebrazione della recente ricorrenza annuale: 20 Novembre 2009. Ma soprattutto la Chiesa Cattolica ha voluto e vuole indicare con determinazione e con saggezza la strada maestra da seguire per ogni uomo e per tutti gli uomini - per ogni luogo e per ogni tempo - per quanto attiene la cura e la salute dei bambini e degli adolescenti, non solo secondo l'antica e saggia esortazione di Giovenale "Maxima debetur puero reverentia" - ma altresì confidando nel nuovo e supremo comandamento dell' amore "Charitas scientia pro parvulis" - motivo fondante del nostro progetto culturale operativo SEABA. Per cui si potrà considerare come richiamo opportuno e conferma valida pediatria preventiva & sociale ed appropriata, nell' emergenza sanitaria - assistenziale, educativa e protettiva dell'infanzia e dell'adolescenza, del nostro vivere quotidiano, come una valida offerta alla nostra considerazione per il nostro modo di essere e di fare, oggi - la viva raccomandazione di voler prendere in considerazione il documento SEABA, per una progettuale Istituzione - Fondazione Umanitaria, da poter considerare apportatrice di enunciati positivi, per quanto attiene la proposta di valori per l'età infantile ed adolescenziale e con riferimento alle cure sanitarie, agli interventi educativi, alla tutela dei disabili ed alla protezione dei più piccoli, per la loro crescita ed il loro pieno sviluppo ... e contro ogni violenza ed abuso ed il possibile abbandono e lo sfruttamento lavorativo e sessuale o peggio ancora, contro ogni forma disumana, di rapimento per esacrabili programmi di indicibili maltrattamenti e di torture … bambini resi invisibili o non riconoscibili … e con quel volto non più dolce e gioioso dell’innocenza – dell’infanzia amata e protetta – senza nome e senza famiglia … senza casa e non scolarizzati, né riportati nei registri anagrafici .. senza speranza e con gli occhi mesti e con il cuore infranto e la mente smarrita … captati nel vortice nebuloso nello spirito del male … a vivere l’inaudita tragedia – dell’infanzia violata, dell’infanzia negata – e fino alla possibile brutale soppressione. Costituisce vero motivo di gioia perciò trovare sostegno e guida per la iniziativa intrapresa di una Fondazione Umanitaria e la considerazione per la scelta responsabile del nostro impegno nelle opere, al fine di poter attuare "la vera cura, nel senso di aver cura" dei tanti nostri fratelli più piccoli, e per essi portare a compimento la nostra missione di salute e di salvezza. Pertanto: Salvare Educare Amare Bambini Adolescenti - SEABA "si pone oggi a buon diritto: quale messaggio di significato profetico; quale richiamo universale inequivocabile; la più viva raccomandazione emergente ... l'accorata e corale preghiera al Padre Nostro che è nei Cieli - di salute e di salvezza per i bambini, gli adolescenti, i genitori, gli educatori interessati alla loro formazione, ed i medici stessi dei bambini - votati alla cura personalizzata alla loro cre- scita, alla loro salute globale ... e di quegli altri operatori di buona volontà e di provata disponibilità, che vorranno dedicarsi a tale nobile missione. Si tratta, in questa nostra era di svariate urgenze e di incontenibili esigenze, saper interpretare i segni dei tempi ed impegnarci veramente e volere e potere dare il nostro contributo personale, professionale e missionario "quasi ispirato" - di proposte essenziali per quanto concerne i valori perenni della vita e della salute, e di offerta operosa di servizio nel presente e nel futuro, e soprattutto in questo nostro tempo, segnato dalla emergenza educativa e con il rischio incombente dell' appiattimento totale dei valori dell' era della globalizzazione, oltre che della cultura dilagante della "second life" nell'immaginario periglioso dell'universo virtuale, che mette a dura prova la famiglia - la sua presenza, il suo ruolo, la sua ben nota funzione umana, sociale, etica e religiosa - l' àncora della salvezza che ci potrà aiutare a sopravvivere ancòra. La famiglia: cellula fondamentale della società - unità sanitaria naturale – prima scuola di virtù sociali, di cui hanno bisogno tutte le società piccola chiesa in cammino nella storia della salvezza ... è oggi quasi alla deriva nella società contemporanea, ma rimane impegnata a proteggere gelosamente e con molta cura quei tesori preziosi che sono: l'infanzia, l'adolescenza e la giovinezza dei figli dell'uomo - che tutti assieme dobbiamo salvare - oggi stesso - poiché domani potrebbe essere già tardi .. .intanto che, l'arcobaleno della speranza ci guiderà nel nostro cammino: Bambini da salvare - bambini da amare Salviamo i bambini - i bambini salveranno il mondo. 2/2010 47 Progetto prevenzione obesità infantile “Mi voglio bene” S. Bernasconi, P. Brambilla, G. Brusoni, M. De Simone, G. Di Mauro, M. Di Pietro, M. Giussani, L. Iughetti. ??? Background Attualmente, la prevalenza di sovrappeso ed obesità infantile (OI) a 6 anni in Italia è paragonabile a quella delle età successive (complessivamente 25%), senza differenze significative tra i sessi e con variazioni tra aree geografiche [1]. Pertanto, lo spazio per interventi di prevenzione è confinato ai primi anni di vita, a partire dal momento della nascita. I principali fattori di rischio per l’OI sono stati identificati da studi scientifici e sono classificabili in fattori familiari e individuali. Tra i fattori familiari, i più importanti sono la presenza di obesità nei genitori e lo stile di vita familiare. Tra quelli individuali, vi sono una scorretta alimentazione nei primissimi anni (ipercalorica, eccesso di proteine, grassi e zuccheri semplici) ed un eccesso di attività sedentarie associato ad una riduzione dell’attività motoria [2]. I programmi preventivi finora adottati hanno avuto scarso successo in quanto, indirizzati prevalentemente o unicamente alla classe medica, sono riusciti a coinvolgere minimamente le altre componenti sociali (famiglia, scuola, media, istituzioni, aziende commerciali). Solo azioni coordinate, nell’ambito di campagne a largo raggio, possono avere chance di successo [ 3-4-5]. 48 Al momento sono ben pochi gli studi che hanno dimostrato la reale possibilità di prevenzione primaria dell’obesità. Tra essi, ricordiamo uno studio condotto in condizioni socioeconomiche svantaggiate in Australia, che vuole dimostrare l’efficacia nella prevenzione di sovrappeso ed obesità a 5 anni di un programma educativo rivolto ad alimentazione e stile di vita precoci. Tale intervento è stato affidato ad un’infermiera di comunità specificamente formata e realizzato grazie ad 8 visite domiciliari ripetute nei primi 2 anni di vita [6]. Nella nostra realtà, il Pediatra di Famiglia è una figura cruciale della prevenzione dell’obesità ed il suo ruolo è fondamentale nell’acquisizione precoce di corrette abitudini alimentari e stili di vita, che appartengono ai suoi compiti “istituzionali”. Pertanto, rappresenta la figura professionale che possiede i migliori requisiti in questo contesto: in genere conosce bene la famiglia, segue il bambino dalla nascita fino almeno ai 6 anni di vita utilizzando al riguardo i Bilanci di Salute (8 visite di controllo a tempi codificati nei primi 6 anni di vita), vale a dire momenti istituzionalmente dedicati alla prevenzione. Inoltre, ha ulteriori occasioni di contatto con il bambino e la sua famiglia per rafforzare il suo ruolo educativo e per interpretare il pediatria preventiva & sociale pattern di crescita del bambino e comunicare ai genitori eventuali deviazioni dalla norma. Lo scopo Verificare l’efficacia di 10 semplici azioni preventive per ridurre la prevalenza di obesità a 6 anni. Tali azioni preventive saranno messe in atto a partire dalla nascita e per tutti i primi 6 anni di vita, e saranno strutturate in una sequenza definita. Ciascuna di esse è convalidata da studi scientifici ed è rivolta alla modifica di parametri oggettivi e misurabili. Obiettivo dello studio, nello specifico, è quello di far adottare correttamente almeno 7 delle 10 azioni preventive (vedi Tabella 1), intervenendo con consigli e verifiche in occasione dei Bilanci di Salute. I tempi corrispondenti a ciascuna di esse sono riportati nella Tabella 2. Pazienti, materiali e metodi La SIPPS ha studiato un progettoricerca specifico e innovativo che intende verificare nel corso di 6 anni se è possibile realizzare una prevenzione dell’obesità infantile. I tempi di realizzazione prevedono: 1. Nella prima fase (6 mesi), l’individuazione dei Pediatri parte- Tabella 1 – Le 10 azioni preventive con relativi indicatori e riferimenti bibliografici. 1 Azione Indicatore Riferimenti bibliografici Allattare al seno almeno 6 mesi Baker JL, AJCN 2004 [9] 2 Svezzamento Introduzione cibi complementari dopo i 6 mesi ESPGHAN 2008 [10] 3 Apporto proteico Controllato (in particolare nei primi 2 anni) Cachera MF, IJO 1995 [11] Koletzko B, AJCN 2009 [12] 4 Bevande Evitare succhi, tisane, soft drinks, thè, ecc. James J, IJO 2005 [13] 5 Biberon Da sospendere entro i 24 mesi Bonuch K, Clin Pediatr 2004[14] 6 Stile di vita Incentivare attività ludiche di movimento, evitare l’uso del passeggino dopo i 3 anni Wen LM, Public Health 2007 [6] 7 Controllo del BMI Identificare se si verifica l’ Early adiposity rebound (prima dei 6 anni) Cachera MF, IJO 2006 [8] 8 TV, giochi sedentari Solo dopo i 2 anni, massimo 8 ore/settimana Viner RM, J Pediatr 2005 [15] 9 Giocattoli Regalare giochi di movimento, adatti all’età Viner RM, J Pediatr 2005 [15] Uso dell’Atlante fotografico degli alimenti (www.scottibassani.it) Foster E, Br J Nutr 2008 [16] Higgins JA, Eur J Clin Nutr 2009 [17] 10 Porzioni corrette per l’età prescolare Tabella 2 – Tempi di realizzazione delle 10 azioni preventive, in occasione degli 8 bilanci di salute e di 2 ulteriori bilanci (intermedio 1 e intermedio 2). Bilancio di salute Bil 1 Bil 2 Bil 3 Bil 4 Bil 5 Bil 6 Bil 7 Int. 1 Int. 2 Bil 8 Età (mesi) 1-1.5 2.5-3 5-6 8-9 11-12 16-18 24-30 36-42 48-54 66-72 Azione 1 x (x) (x) x x x Azione 2 x x x x Azione 3 x x x x x x x Azione 4 x x x x x x x x x x x x x x x x x x x Azione 5 Azione 6 Azione 7 Azione 8 x x x x x x Azione 9 x x x x x x x x x x Azione 10 cipanti (volontaria). Si ipotizza di arruolare 180 pediatri, suddivisi in 6 zone geografiche distribuite sul territorio nazionale. Si organizzerà un incontro in ciascuna zona e si illustrerà il Progetto. Si individuerà un Coordinatore Locale, responsabile del coordinamento all’interno del gruppo di Pediatri della zona. Si fornirà il materiale necessario (schede di reclutamento pazienti, scheda di raccolta consensi, materiale bibliografico ed istruzioni detta- gliate, tabelle e grafici di riferimento, schede di rilevazione dati, ecc). 2. Nella seconda fase (6 mesi), ogni Pediatra partecipante arruolerà un numero congruo di neonati (in media 30 neonati, con possibilità di estenderlo a 40 o ridurlo a 20). I neonati devono essere tutti nati nel periodo suddetto. Il pediatra proporrà al primo incontro ai genitori la partecipazione al progetto. 3. I bambini arruolati (in totale 30 neonati x 180 pediatri = 5400 neonati) saranno rivalutati periodicamente fino al compimento del 6° anno con tempistica definita in coincidenza dei bilanci di salute 0-6 anni. A ciascun bilancio verrà individuato uno o più obiettivi specifici. Si registreranno i dati di accrescimento e di compliance su un’apposita scheda. Saranno aggiunti 2 bilanci intermedi tra il 7° e l’8°. All’ultimo bilancio sarà rilevata la pressione arteriosa e la circonferenza della vita con metodica standardizzata. 2/2010 49 4. Il calcolo del Body Mass Index (BMI) consentirà di determinare a partire dai 2 anni la prevalenza di sovrappeso/obesità (secondo Cole, [7]) e di early adiposity rebound (secondo Rolland Cachera, [8]). 5. Durante tutto il periodo di studio si attiveranno le Azioni di supporto (sui media, industria, scuola, governo-istituzioni) che la SIPPS riterrà più idonee al Progetto. 6. Come gruppo di controllo, si individuerà un gruppo di 180 pediatri con identica distribuzione geografica che forniranno i dati di 30 neonati ciascuno, nati nello stesso periodo dello studio, selezionati in modo casuale all’interno del proprio elenco di pazienti (in totale 180x30= 5400) (verificando che le condizioni socioeconomiche siano le stesse). Criteri di inclusione ed esclusione Il Pediatra arruolerà i primi 30 neonati iscritti i cui genitori accettano di partecipare allo studio. Non si considerano fattori di esclusione il grado di parità, l’eventuale prematurità, la presenza di patologia. Analisi statistica Lo studio, in tutte le sue fasi, prevede la partecipazione di uno statistico. Un “test di potenza” effettuato preliminarmente, ha individuato in 4627 bambini il numero minimo per garantire l’adeguatezza del campione. Infatti: 1) si ipotizza una frequenza media del 5% di obesità e del 20% del sovrappeso in Italia, quindi una frequenza complessiva del 25%. 50 2) per osservare una riduzione dell’10% dell’incidenza di obesità + sovrappeso (e quindi ridurla dal 25 al 22.5%), è necessario l’arruolamento iniziale di 4627 neonati, ad una potenza di 0.8. Il numero di soggetti ipotizzato dallo studio (5400) è pertanto da ritenersi adeguato, anche tenendo conto di un fisiologico drop-out del 1015%. E’ in corso la valutazione dei costi per l’informatizzazione completa dei dati e l’inserimento degli stessi da parte del pediatra online su indirizzo web dedicato a tempi prestabiliti, nella tutela assoluta della privacy. Cosa comporta per il PDF la partecipazione allo studio 1. Illustrare ai genitori la finalità dello studio sin dal primo incontro e raccogliere un consenso. 2. Organizzare gli 8 bilanci di salute 0-6 anni in modo tale da disporre del tempo necessario per illustrare l’azione inerente quel bilancio, consegnare il materiale esplicativo, rispondere ad eventuali richieste di chiarimento e compilare una opportuna scheda di rilevazione dei dati di crescita e dei dati in merito all’esecuzione dell’azione illustrata al precedente bilancio. Si ritiene che, nella maggior parte dei casi, tutto ciò comporti un tempo tra i 5 e i 10 minuti. 3. Modificare il range di età di esecuzione dei bilanci, che è stato ristretto per evitare una eccessiva dispersione dei dati (vedi Tabella 2). Ad esempio, il bilancio finale è da effettuarsi tra i 66 ed i 72 mesi, anziché tra i 60 ed i 72 mesi. 4. Includere 2 bilanci di salute intermedi tra il 7° e l’8°, da eseguirsi rispettivamente a 36-42 mesi e 4854 mesi. pediatria preventiva & sociale 5. Assolvere ogni onere burocratico per il riconoscimento dei Crediti Formativi Annuali per tutta la durata dello studio. Le Azioni Preventive Passiamo brevemente in rassegna le caratteristiche salienti delle 10 azioni preventive. Inoltre, a titolo di esempio, illustriamo per esteso l’azione 1 di incentivo all’allattamento al seno. L’azione 1 è prevista ai bilanci 1, 2, e 3, con rinforzo facoltativo ai bilanci 4 e 5 per le madri che proseguono l’allattamento fino ai 12 mesi. Si tratta, al bilancio 1, di consegnare alla madre ed illustrare il materiale specifico (vedi oltre) e di rinforzare il messaggio ai successivi bilanci 2 e 3, al fine di raggiungere l’obiettivo di protrarre l’allattamento fino ai 6 mesi di vita. L’allattamento al seno può essere completato, qualora insufficiente, da latte adattato, nel quadro di un allattamento misto, che il pediatra specificherà se a prevalenza di latte materno o adattato. Ovviamente questa azione non si pone in caso di mancanza di latte materno. Tuttavia, in questo caso il Pediatra consiglierà come sostituto del latte materno un latte adattato a basso contenuto proteico per i primi 6 mesi. Il Pediatra si adopererà per sostenere l’allattamento, soprattutto nelle prime settimane, sui seguenti punti: • Sostegno alla motivazione • Accessi in studio adeguati (per semplici verifiche del peso) • Utilizzo di curve di crescita specifiche per l’allattato al seno (OMS) • Prevenzione delle principali cause di abbandono • Gestione ottimale (richiesta del neonato avvallata dalla madre) • Eventuali integrazioni “mirate” per brevi periodi Ad ogni bilancio del primo anno, da 1 a 5, si registrano i seguenti dati: data, peso, lunghezza, e si risponde alla domanda di verifica: Il tuo bambino è allattato al seno: 1) in modo esclusivo 2) in modo prevalente 3) in modo marginale 4) per niente. Per ogni azione preventiva, si identificano i tempi (a quali bilanci illustrarla e fornire materiale) e le modalità di verifica (scheda di rilevazione). Azione 2: introduzione cibi complementari dopo i 6 mesi. Si intende il posticipare l’introduzione di alimenti o bevande al di fuori del latte a dopo i 6 mesi, quando ciò non sia imposto da motivi clinici individuali. Nell’elenco dei cibi da posticipare si considerano la frutta, i biscotti, altre bevande al di fuori di latte ed acqua. Ai bilanci 2 e 3 l’azione è illustrata e giustificata, al bilancio 4 si verifica che l’azione sia stata realizzata correttamente. Per le bevande, si veda anche quanto descritto per l’azione 4 (vedi oltre). Azione 3: apporto proteico controllato (in particolare nei primi 2 anni). Ciò si realizza fornendo semplici schemi nutrizionali, differenti se il bambino è allattato al seno o con latte adattato. Ai bilanci dall’1 al 7 si esemplifica la quota di alimento con contenuto proteico che si ritiene corretta (nel caso di allattamento esclusivo al seno, si considera corretta ogni quantità di latte assunta, in caso di latte adattato, si consiglia l’utilizzo di un latte a contenuto proteico ridotto e si fornisce una quota massima giornaliera consigliata). Dopo lo svezzamento, si forniscono le quote consigliate di alimenti a maggior contenuto proteico, quali carni, formaggi, yogurt, pesce, pro- sciutto, ecc. Tali quote saranno differenti se il bambino è allattato al seno o con latte adattato, in modo da non superare l’assunzione giornaliera di proteine di 15 grammi a 8 mesi, 17 grammi a 10 mesi, e 20 grammi dal 12° al 24° mese. Le differenze tra bambini in termini di peso corporeo si considerano trascurabili ai fini dell’indicazione massima giornaliera, in modo da semplificare al massimo le indicazioni fornite. E’ consigliato un apporto proteico controllato anche dopo i 24 mesi, anche se il mancato rispetto di esso non impedirà di considerare l’azione come avvenuta. Azione 4: evitare succhi, tisane, soft drinks, thè zuccherato, ed ogni altra bevanda con contenuto calorico non trascurabile, per tutta la durata dello studio (0-6 anni). Non si considera l’assunzione sporadica o legata a ragioni cliniche (es. in corso di enterite). Ad ogni bilancio per tutta la durata dello studio il Pediatra ricorderà l’azione e verificherà il suo corretto adempimento. Azione 5: sospendere l’uso del biberon entro i 24 mesi. Studi scientifici pubblicati hanno dimostrato un maggior rischio di sovrappeso/obesità nei bambini con svezzamento dal biberon tardivo (oltre i 24 mesi), a prescindere dalla quota calorica introdotta e dal tipo di bevanda. Il rischio si correla, in altri termini, con la modalità di assunzione, favorendo il consumo “incosciente” o la “dipendenza routinaria” legata al biberon. L’azione preventiva si effettua ai bilanci 6 e 7. Azione 6 e 9: incentivare attività ludiche di movimento, evitare l’uso del passeggino dopo i 3 anni, regalare giochi di movimento adatti all’età. Ad ogni bilancio dal 5° in poi, si for- niranno esempi di attività di movimento adatte all’età del bambino. In particolare, si indicheranno le attività di movimento che possono essere svolte assieme ai genitori e/o ad ai coetanei, in modo da favorirne l’accettazione. Inoltre si raccomanderà di evitare l’uso abituale del passeggino per i movimenti del bambino oltre i anni di età. Azione 7: individuare se si verifica un Early adiposity rebound, vale a dire un incremento del valore assoluto del BMI prima dei 6 anni). Studi clinici hanno documentato un rischio elevato di sovrappeso/obesità nei bambini con precoce aumento del BMI in una fase nell’infanzia in cui il suo valore è atteso in progressivo calo di visita in visita. Inoltre, un early adiposity rebound si associa ad un maggiore rischio di alterazione metaboliche, a prescindere dalla condizione di sovrappeso/obesità. L’identificazione dell’early adiposity rebound non rappresenta in assoluto un’azione preventiva, bensì il presupposto per un intervento molto precoce nei casi individuati. In altri termini, l’azione preventiva vera e propria è sul Pediatra, che osservando la curva del BMI può attivarsi per ottenere la normalizzazione del suo andamento nel tempo. Tale azione si realizza ai bilanci 7 e successivi. Azione 8: TV solo dopo i 2 anni, massimo 8 ore/settimana. Anche la riduzione del tempo utilizzato dal bambino in attività sedentarie (TV, videogiochi, PC) rappresenta una misura efficace per contrastare il rischio di insorgenza di obesità, oltre che corretta abitudine in generale per la salute psico-fisica del bambino. La quota di 8 ore settimanali viene stabilita in accordo con le indicazioni delle Società Scientifiche 2/2010 51 Pediatriche, e concede 1 ora giornaliera ed una piccola tolleranza occasionale. Tale azione si realizza a partire dal 5° bilancio (circa 12 mesi) in quanto è di osservazione sempre più frequente un consumo precocissimo di tali attività. Azione 10: uso dell’Atlante Fotografico degli Alimenti per mostrare in modo semplice ed obiettivo quale sia la porzione alimentare da consigliarsi al bambino in età prescolare. Tale azione si realizza con impiego, dal bilancio 7 e successivi, dell’Atlante Scotti Bassani in cui ogni alimento di uso comune viene fotografato in 3 taglie differenti nel piatto. Si intende che la quota consigliata debba corrispondere a questa età alla foto identificata dal simbolo Δ. Studi clinici hanno documentato l’efficacia di tale strumento per l’educazione alimentare così come per il recall alimentare, svincolando sia l’operatore che il familiare dalla necessità della pesata dell’alimento. NB: Al momento dell’inizio del Progetto devono essere approntate in ogni dettaglio le azioni che si realizzano nel prima anno di vita (1-5), mentre per le successive (6-10) si può prevedere di aggiungere eventuali nuove informazioni utili che venissero acquisite dalla letteratura nel frattempo. 52 Bibliografia 1. Maffeis C, Consolaro A, Cavarzere P, et al. Prevalence of overweight and obesity in 2- to 6-year-old Italian children. Obesity 2006; 14: 765-769. 2. Reilly JJ, Armstrong J, Dorosty AR, et al.; Avon longitudinal study of parents and children study team. Early life risk factors for obesity in childhood: cohort study. BMJ 2005; 330: 1357. Epub 2005 May 20. 3. Flodmark CE, Lissau I, Moreno LA, Pietrobelli A, Widhalm K. New insights into the field of children and adolescents’ obesity: the European perspective. Int J Obes 2004; 28: 1189-1196. 4. Fussenegger D, Pietrobelli A, Widhalm K. Childhood obesity: political developments in Europe and related perspectives for future action on prevention. Obe Rev 2008; 9: 76-82. 5. Maffeis C, Pietrobelli A, Salvatoni A, Bona G, Grugni G, Mughetti L, Caroli M, De Pascale A, Riva E, Scaglioni S, Vania A, De Luca G, Pintor C, De Sanctis V, Bosio L, Chiumello G, Di Mauro G, Valente M, Gangemi M, Brambilla P, Giussani M, Picca M, Tucci PL. Obesità del bambino e dell’adolescente: Consensus su prevenzione, diagnosi e terapia. Argomenti di Pediatria 2006; 1:1-36. 6. Wen LM, Baur LA, Rissel C, Wardle K, Alperstein G, Simpson JM. Early intervention of multiple home visits to prevent childhood obesity in a disadvantaged population: a home-based randomised controlled trial (Healthy Beginnings Trial). BMC Public Health 2007; 7:76. 7. Cole TJ, Bellizzi MC, Flegal KM, Dietz WH. Establishing a standard definition for child overweight and obesity worldwide: international survey. BMJ 2000; 320: 1-6. 8. Rolland-Cachera MF, Deheeger M, Maillot M, Bellisle F. Early adiposity rebound: causes and consequences for obesity in pediatria preventiva & sociale children and adults. Int J Obes 2006; 30 Suppl 4: S11-S17. 9. Baker JL, Michaelsen KF, Rasmussen KM, Sørensen TI. Maternal prepregnant body mass index, duration of breatfeeding, and timing of complementary food introduction are associated with infant weight gain. Am J Clin Nutr. 2004 Dec; 80(6): 1579-88. 10. Agostoni C, Decsi T, Fewtrell M, et al. Complementary feeding: a commentary by the ESPGHAN Committee on Nutrition. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2008; 46: 99110. 11. Rolland-Cachra MF, Deheeger M, Akrout M, Bellisle F. Influence of macronutrients on adiposity development: a follow up study on nutrition and growth from 10 months to 8 years of age. Int J Obes 1995; 19: 573-578. 12. Koletzko B, von Kries R, Closa R, et al. European Childhood Obesity Trial Study Group. Lower protein in infant formula is associated with lower weight up to age 2 y: a randomised clinical trial. Am J Clin Nutr. 2009; 89:1836-45. Epub 2009 Apr 22. 13. James J, Kerr D. Prevention of childhood obesity by reducing soft drinks. Int J Obes 2005; 29 (Suppl 2): S54-S57. 14. Bonuch K, Kahn R, Schechter C. Is late bottle-weaning associated with overweight in young children? Analysis of NHANES III data. Clin Pediatr 2004; 43: 535-540. 15. Viner RM, Cole TJ. Television viewing in early childhood predicts adult body mass index. J Pediatr 2005; 147: 429-435. 16. Foster E, Matthews JN, Lloyd L et al. Children’s estimates of food portion size: the development and evaluation of three portion size assessment tools for use with children. Br J Nutr 2008; 99: 175-184. 17. Higgins JA, LaSalle AL, Zhaoxing P et al. Validation of photographic food records in children: are pictures really worth a thousand words? Eur J Clin Nutr 2009; 63: 1025-1033. Allattamento al seno: quali evidenze scientifiche? G. Banderali, I. Giulini Neri, C. Paramithiotti Clinica Pediatrica Ospedale San Paolo Università degli Studi di Milano Il latte materno, con la ricchezza dei suoi componenti, non solo nutrizionali, ma anche funzionali, costituisce un vero e proprio "sistema biologico", che, secondo le attuali conoscenze, si associa non solo a migliori parametri di crescita, ma esita anche in un miglior sviluppo neurocomportamentale e nella prevenzione di varie patologie acute e croniche. Ogni mese vengono pubblicate su riviste scientifiche internazionali circa 200 tra studi, lavori e pubblicazioni sul mondo allattamento al seno, dimostrando una continua evoluzione scientifica. Il latte materno ha una composizione quantitativa differente rispetto al latte vaccino per quanto riguarda il contenuto proteico, glucidico e lipidico. Sono noti in particolare alcuni nutrienti contenuti nel latte materno e definiti “funzionali”: per esempio la concentrazione di azoto non proteico, ed in particolare i nucleotidi, componenti del latte umano “essenziali” in alcune situazioni di aumentata richiesta (rapida crescita postnatale, infezioni), con effetti benefici sul sistema immunitario (aumento della resistenza alle infezioni favorendo la microflora intestinale con minori rischi di diarrea infettiva). Tra le proteine funzionali segnaliamo le IgA secretorie, specifiche sia per antigeni gastroenterici, sia per quelli di provenienza respiratoria, giunti alla ghiandola mammaria rispettivamente attraverso le vie enteromammaria e broncomammaria. Durante la suzione, le IgA tendono a permanere nelle prime vie aeree del lattante (oro-, rinofaringe, tube uditive) proteggendolo da infezioni delle vie aeree superiori, quali l’otite media. Altro punto importante è inoltre la concentrazione di sieroproteine, in particolare la lattoferrina, principale sieroproteina nel latte materno, che favorisce l’assorbimento di ferro e compete in questa forma per lo ione ferrico con i batteri enteropatogeni, con un effetto batteriostatico, immunomodulatore e probiotico in quanto viene ritrovata immodificata nelle feci e nelle urine. Dal punto di vista della composizione lipidica, un cenno importante va in particolare agli acidi grassi polinsaturi (LCPUFA), importanti per la struttura delle membrane cellulari, in particolare retina e cervello, e per la comunicazione intercellulare. Da citare, infine, gli oligosaccaridi che costituiscono il terzo componente del latte umano dal punto di vista quantitativo e sono noti per il loro effetto prebiotico. Secondo l’ESPGHAN il latte materno deve essere considerato non più come l’alimento ideale nei primi 6 mesi di vita, bensì come la moda- lità di alimentazione normale. In passato infatti, definire il latte materno come l’alimento ottimale sembrava sottointendere che l’allattamento artificiale fosse la forma di alimentazione normale. Successivamente è consigliato il proseguimento dell'allattamento al seno, opportunamente complementato dagli alimenti introdotti con il divezzamento. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente concluso il Multicenter Growth Reference Study, che promuove come modello di crescita di riferimento internazionale quello della popolazione allattata al seno. Facendo riferimento ai patterns di crescita di tale studio, si evita di incorrere nell’errore di interpretare come uno scarso accrescimento una velocità di crescita fisiologicamente minore. Prima di disporre di tali curve, si rischiava infatti di proporre una formula adattata in aggiunta al latte materno, ritenuto erroneamente insufficiente. La valenza protettiva nei confronti di sovrappeso ed obesità ha come punto centrale lo scarso apporto proteico del latte materno (Early Protein hypothesis). Lattanti che assumono maggiori quantità di proteine presentano, infatti, livelli sierici di Insulin like Growth Factor (IGF) più elevati. L’IGF sembra essere in grado di indurre una precoce iperplasia del 2/2010 53 tessuto adiposo. Così conformato, tale tessuto va incontro anche ad ipertrofia già dall’età prescolare, a causa di comuni errori alimentari e della scarsa attività fisica. Si assiste pertanto al precoce incremento del Body Mass Index (precoce adiposity rebound), associato ad elevato rischio di obesità. La teoria dell’ “Early protein hypothesis” viene confermata dal Childhood Obesity Project (CHOP): lattanti alimentati con allattamento al seno esclusivo per almeno 3 mesi hanno mostrato una minor tendenza a sviluppare sovrappeso ed obesità rispetto a lattanti che hanno assunto una formula adattata ad elevata concentrazione proteica. Oltre all’effetto protettivo nei confronti di soprappeso ed obesità ven- 54 gono sottolineati i benefici sulla salute del neonato, con la riduzione dell’incidenza e/o severità di molte infezioni, tra cui meningiti batteriche, batteriemie, diarrea, infezioni respiratorie, enterocolite necrotizzante, otiti medie, infezioni delle vie urinarie e sepsi tardiva in bambini pretermine. Viene altresì segnalata la riduzione dell’incidenza di altre patologie, quali SIDS, diabete tipo I e tipo II, linfoma, leucemia, malattia di Hodgkin, sovrappeso e obesità, ipercolesterolemia, asma. Sono segnalate, infine, performance migliori degli allattati al seno ai test per lo sviluppo cognitivo. L’allattamento al seno induce benefici anche sulla salute della donna che allatta, soprattutto come ridu- pediatria preventiva & sociale zione del rischio di tumore al seno, riduzione del sanguinamento postpartum e mestruale, aumentato intervallo tra i parti, possibile riduzione del rischio di osteoporosi nel periodo post-menopausale. La comunità risente positivamente della promozione dell’allattamento al seno, inoltre, in termini di riduzione della spesa sanitaria e delle assenze per malattia dei figli. Ricordiamo, a questo proposito, che più di un bilione di dollari di spese sanitarie annue negli Stati Uniti sarebbero imputabili all’incidenza di quattro patologie (diarrea, infezioni da virus respiratorio sinciziale, otite media e diabete giovanile) per mancata protezione dovuta a sospensione precoce dell’allattamento al seno. Alimentazione e stato di salute a lungo termine G. Faldella, A. Aceti, M Spinelli Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e Pediatriche. Università di Bologna La nutrizione durante la prima infanzia gioca un ruolo determinante in termini di salute, sia a breve che a lungo termine. In particolare, l’alimentazione durante finestre temporali “critiche”, quali l’allattamento e il divezzamento, può influenzare (programmare) la successiva crescita staturo-ponderale, nonché il rischio di sviluppare alcune condizioni patologiche, tra cui obesità, malattie cardiovascolari, ipertensione e diabete. Esiste inoltre evidenza crescente secondo cui vi è una correlazione tra nutrizione postnatale e maggior rischio di allergie, disfunzioni immunitarie e disordini autoimmuni quali diabete di tipo I (1). L’effetto che la nutrizione in epoche precoci esercita sul successivo stato di salute viene identificato come “programming” o “imprinting metabolico”. Numerosi meccanismi molecolari sono stati ipotizzati come possibile causa di tale fenomeno, quali alterazioni del numero cellulare in risposta alla malnutrizione, selezione di cloni cellulari con specifiche caratteristiche metaboliche e differenziazione metabolica; quest’ultima si esplica attraverso la regolazione di proteine leganti il DNA, la modulazione della struttura della cromatina e la metilazione del DNA (2). Crescita: effetti a lungo termine Il pattern di crescita nei primi anni di vita non solo rappresenta un marker del benessere psico-fisico del bambino, ma ha anche importanti implicazioni per la salute a lungo termine: esiste attualmente un’evidenza consolidata secondo cui un ritmo di crescita troppo elevato durante l’infanzia determini un aumento del rischio di sviluppare le maggiori componenti della sindrome metabolica (intolleranza glucidica, obesità, ipertensione arteriosa e dislipidemia). Tale evidenza deriva in primo luogo da studi condotti in modelli animali, che dimostrano come la restrizione calorica durante le fasi dello sviluppo abbia effetti benefici a lungo termine (3); i meccanismi implicati in tale azione di programming coinvolgono principalmente l’asse insulina/IGF-1, agendo sulla riduzione delle scorte di glicogeno e dei lipidi. Di contro, è stato dimostrato l’effetto dell’eccessiva nutrizione e della conseguente eccessiva crescita in termini di successiva obesità, dislipidemia, insulino-resistenza e sindrome metabolica (4). L’idea che la crescita nelle prime fasi della vita possa influenzare l’outcome a lungo termine anche nell’uomo si è fatta strada per la prima volta negli anni 80, quando studi osservazionali suggerirono che un crescita sub-ottimale durante la vita fetale (intrauteri- ne growth restriction - IUGR) potesse associarsi ad un incrementato rischio di sviluppare successivamente una patologia cardiovascolare (ipotesi di origine fetale della patologia dell’adulto [5]). In particolare, venne evidenziato come tale rischio fosse estremamente elevato tra gli individui a più basso peso neonatale, i quali presentavano una probabilità 6 volte maggiore rispetto ai controlli di sviluppare diabete tipo II e addirittura 18 volte maggiore di incorrere nella sindrome metabolica (6). Sulla base di tali osservazioni epidemiologiche, è stato ipotizzato che, in risposta ad un ridotto apporto di nutrienti, il feto metta in atto degli adattamenti intrauterini tali da massimizzare l’efficienza metabolica nell’immagazzinare ed utilizzare i nutrienti (ipotesi del thrifty phenotype). Un tale programming risulterebbe vantaggioso anche dopo la nascita, qualora la condizione di restrizione nutritiva dovesse persistere: tuttavia, in condizioni di adeguata o addirittura eccessiva nutrizione, lo stesso fenotipo diventerebbe dannoso e predisporrebbe allo sviluppo di obesità e disfunzione metabolica (7). Numerosi studi osservazionali hanno evidenziato come l’effetto deleterio della IUGR, in termini di sviluppo di diabete tipo II, obesità e patologia cardiovascolare, sia ulteriormente peggiorato da una successiva crescita 2/2010 55 esuberante durante il periodo postnatale. In particolare, si è evidenziato come i neonati pretermine allattati al seno abbiano, rispetto ai controlli alimentati con formula, una minore velocità di crescita e una minore propensione a sviluppare obesità, dislipidemia, ipertensione ed insulino-resistenza (8). Diversi modelli animali sono stati approntati per studiare i possibili meccanismi patogenetici alla base della relazione tra crescita e outcome a lungo termine. Ad esempio, la restrizione calorica materna è stata utilizzata in diversi modelli (roditori e animali di grossa taglia) per indurre IUGR: tali studi hanno evidenziato come la IUGR determini un basso peso alla nascita, una successiva crescita di recupero (catch-up growth) prima del divezzamento e, durante la vita adulta, un elevato BMI e aumentate concentrazioni di leptina circolante rispetto ai controlli (9). E’ stato recentemente documentato come l’azione della leptina durante periodi critici dello sviluppo fetale e post-natale rappresenti uno dei meccanismi chiave per il programming metabolico cerebrale: tale sostanza può influenzare positivamente o negativamente lo sviluppo ipotalamico, a seconda del momento e dell’intensità di azione, ed è ipotizzabile che fattori ambientali, quali lo stress, possano agire sinergicamente ad essa nell’influenzare lo sviluppo e la funzione dei sistemi neuronali coinvolti nella regolazione del bilancio energetico (10). Crescita e rischio cardiovascolare Obesità La relazione tra crescita durante l’infanzia e successiva obesità è stata ampiamente dimostrata: in particolare, si è evidenziato come sia i bam- 56 bini che presentano un peso e/o BMI elevato, sia quelli che crescono molto velocemente abbiano un aumentato rischio di obesità (11). Inoltre, i risultati dello European Childhood Obesity Study supportano l’esistenza di una relazione causaeffetto tra crescita ed obesità: in questo studio, circa 600 neonati allattati con formula sono stati divisi in due gruppi, randomizzati a ricevere formule standard e di proseguimento ad alto o basso tenore proteico; circa 300 neonati allattati al seno sono stati inclusi nello studio come gruppo di controllo. I lattanti sono stati seguiti fino all’età di 24 mesi, con periodiche valutazioni di peso, lunghezza e BMI. Durante il periodo di studio, non sono state riscontrate differenze tra i gruppi in termini di lunghezza; tuttavia, a 24 mesi lo z score peso-per-altezza nel gruppo alimentato con formula a basso contenuto proteico è risultato inferiore rispetto al gruppo ad alto contenuto proteico e non diverso da quello degli allattati al seno. Da tali emerge come l’alimentazione con formula a basso tenore proteico “normalizzi” la crescita verso valori simili a quelli dell’allattato al seno e agli standard raccomandati dal WHO, il che potrebbe determinare un effetto protettivo sul successivo sviluppo di obesità (12). Non è ancora chiaro quale sia la finestra temporale critica in cui il programming si attua maggiormente: infatti, l’accelerazione della crescita sia durante la prima settimana di vita sia tra il primo ed il secondo anno di vita è stata associata con un significativo incremento del rischio di sovrappeso ed obesità in età adulta. Ipertensione arteriosa L’associazione tra accelerata crescita durante l’infanzia ed ipertensione è stata documentata in numerosi studi, che hanno evidenziato come essa pediatria preventiva & sociale sia valida sia nei neonati allattati al seno che in quelli allattati con formula e coinvolga sia la pressione sistolica che quella diastolica. Inoltre, è stato dimostrato come l’accelerata crescita incrementi il rischio di ipertensione sia nel bambino che nell’adulto (13, 14). La relazione causale tra crescita e successiva ipertensione arteriosa è stata indagata recentemente: è stata infatti valutata la pressione arteriosa all’età di 6-8 anni in circa 150 neonati SGA (piccoli per l’età gestazionale), randomizzati alla nascita a ricevere una formula standard o ad alto tenore proteico (contenuto proteico maggiore di circa il 30% rispetto alla formula standard). Sia la pressione diastolica che la media sono risultate significativamente più basse nei bambini alimentati con la formula standard, mentre non è stato documentato alcun effetto sulla pressione sistolica. I dati di questo studio supportano l’ipotesi secondo cui la “overnutrition” durante l’infanzia possa determinare effetti avversi sul successivo rischio cardiovascolare e controindicano tale pratica soprattutto nel neonato SGA (13). Insulino-resistenza L’insulino-resistenza è strettamente associata con l’accelerata crescita subito dopo la nascita e sembra che tale associazione sia già significativa nelle prime due settimane di vita: è stato infatti dimostrato in una coorte di adolescenti ex-pretermine che coloro i quali avevano ricevuto una formula ad alto tenore proteico presentavano concentrazioni ematiche più elevate di pro-insulina, un marker dell’insulino-resistenza (8). L’associazione tra i due fenomeni è stata inoltre documentata nei neonati a termine (15), anche SGA (16). E’ stata infatti valutata ad un anno di vita l’insulino-resistenza in due gruppi di lattanti, nati AGA o SGA: gli SGA hanno mostrato una maggior tendenza all’ipertrigliceridemia rispetto agli AGA. Inoltre, nei neonati SGA che avevano presentato una crescita di recupero del peso, l’insulinemia a digiuno era significativamente maggiore rispetto agli AGA e agli SGA senza catchup growth. Di contro, la crescita di recupero della lunghezza costituiva il maggior determinante della secrezione insulinica dopo stimolo. Da questo studio è quindi emerso come la secrezione e la sensibilità insulinica siano strettamente legate ai pattern di recupero staturo-ponderale già durante il primo anno di vita: ciò potrebbe implicare un ruolo precoce dell’insulino-resistenza nell’innescare la successiva cascata di eventi che portano ad un aumentato rischio cardiovascolare (16). Esiste attualmente scarsa evidenza su una possibile relazione tra crescita e sviluppo di diabete tipo II: è stato ipotizzato che, sebbene l’accelerata crescita durante l’infanzia incrementi il rischio di insulino-resistenza, intervengano in tale situazione alcuni fattori pre e post natali promuoventi la funzione delle cellule β, che consentono di mantenere un’adeguata secrezione insulinica pur in presenza di insulino-resistenza e che diminuiscono così il rischio di sviluppare diabete tipo II (15) Dislipidemia e funzione endoteliale L’associazione tra crescita e dislipidemia è meno forte rispetto a quella che coinvolge gli altri fattori di rischio cardiovascolare. E’ stato tuttavia dimostrato che l’assunzione di latte materno nel neonato pretermine con accelerata crescita si associa a ridotti valori di colesterolemia e ridotto rapporto LDL/HDL durante l’adolescenza (8). Inoltre, l’accelerata crescita durante i primi sei mesi di vita, ma non quella in età prescolare (3-6 anni), è risultata essere indipendentemente associata con elevati punteggi di uno score di rischio per sindrome metabolica, comprendente trigliceridemia a digiuno, colesterolo HDL, glicemia ed insulinemia (17). L’accelerata crescita risulta inoltre associata con un aumentato rischio di aterosclerosi, evidenziato da alterazioni della funzione endoteliale che si verificano precocemente (8). Allattamento al seno: effetti a lungo termine Patologia cardiovascolare I primi dati sull’effetto dell’allattamento al seno sul successivo sviluppo di ipertensione risalgono ai primi anni 80, quando una coorte di pretermine venne randomizzata a ricevere latte di banca o una formula per prematuri: una volta adolescenti, i soggetti che avevano assunto latte di banca presentavano una pressione diastolica e media significativamente inferiore rispetto ai controlli, senza tuttavia differenze in termini di pressione sistolica. Una metanalisi condotta nel 2003 ha tuttavia ridimensionato parzialmente il peso dell’allattamento al seno sul successivo sviluppo di ipertensione, evidenziando come, dalla revisione della letteratura, emerga una riduzione media nella pressione sistolica di 1.10 mmHg; tale riduzione risulta ancora inferiore, nonché di scarso significato clinico ed epidemiologico, negli studi con molti partecipanti, suggerendo l’esistenza di un possibile bias legato agli studi di ridotte dimensioni (18). Alcuni dati suggeriscono un ruolo potenzialmente benefico di una dieta a ridotto contenuto di sodio sul successivo sviluppo di ipertensione: una studio condotto a tale scopo nei primi anni 80 ha infatti evidenziato come la riduzione dell’intake di sodio nei primi 6 mesi di vita determini una diminuzione della pressione sistolica pari a 2.1 mmHg rispetto ai controlli. Inoltre, gli stessi soggetti valutati durante l’adolescenza mostravano, rispetto ai controlli, un ridotto valore sia della pressione sistolica che di quella diastolica (19). E’ stato anche evidenziato come la supplementazione con LC-PUFA durante i primi sei mesi vita induca una significativa riduzione della pressione diastolica e media a sei anni di vita (20). La colesterolemia nell’allattato al seno risulta maggiore durante il primo anno di vita rispetto all’allattato con formula e ciò risulta probabilmente legato al concentrazione di colesterolo decisamente più elevata nel latte materno rispetto alla maggior parte delle formule. E’ stato tuttavia dimostrato che l’allattamento al seno, specie se esclusivo, si associa a ridotti valori di colesterolemia durante l’adolescenza (21). Nonostante l’effetto protettivo dell’allattamento al seno su pressione arteriosa e colesterolemia, attualmente non esiste evidenza definitiva di un possibile ruolo sulla salute cardiovascolare nel suo complesso; infatti, gli studi che hanno dimostrato una riduzione della disfunzione endoteliale o della mortalità cardiovascolare nell’allattato al seno non hanno evidenziato una relazione durata-risposta (22). Sovrappeso, obesità e diabete tipo II Una recente meta-analisi condotta dalla WHO sugli effetti a lungo termine dell’allattamento al seno ha evidenziato come i bambini e gli adolescenti che erano stati allattati al seno risultavano essere a minor rischio di sovrappeso ed obesità rispetto ai controlli. Tale effetto pro- 2/2010 57 tettivo non si manteneva però durante l’età adulta (23). Una possibile spiegazione di tale relazione sembra legata al fatto che il neonato allattato al seno auto-regola l’intake di latte e quindi l’intake energetico; inoltre, il ridotto contenuto proteico del latte materno rispetto alle formule potrebbe influenzare positivamente la composizione corporea, nonché contribuire ad una ridotta secrezione insulinica. Da ultimo, il neonato allattato al seno cresce più lentamente, durante il primo anno di vita, rispetto all’allattato con formula e ciò potrebbe rappresentare un vantaggio sul successivo sviluppo di sovrappeso e obesità. E’ stato anche documentato come l’allattamento al seno conferisca un certo grado di protezione rispetto allo sviluppo di diabete tipo II, attraverso una riduzione della glicemia e dell’insulinemia durante l’infanzia (24). Asma e atopia La raccomandazione ad allattare al seno per ridurre la probabilità di sviluppo di atopia ed asma nei bambini scaturisce da molte revisioni sui fattori di rischio per l'asma: in realtà, benché tale punto di vista sia ampiamente accettato e promosso in ambito clinico, solo pochi studi hanno valutato adeguatamente l'argomento, con risultati contraddittori. Infatti, una revisione sistematica degli studi prospettici sulla relazione tra allattamento al seno ed atopia, pubblicata nel 2001, concludeva che l'allattamento al seno fosse efficace nel ridurre l'insorgenza di eczema atopico nei lattanti a rischio (25). Tale tesi veniva invece rigettata da un successivo studio prospettico su oltre 1300 bambini seguiti per 7 anni, dal quale emergeva, nei bambini con un genitore con anamnesi positiva per eczema allattati al seno, 58 una maggiore prevalenza di eczema, addirittura direttamente correlata con la durata dell'allattamento (26). Per quanto concerne invece l’effetto della dieta materna, è stato evidenziato come l’eliminazione antigenica durante la gravidanza e l’allattamento sia probabilmente di scarsa utilità nel prevenire l’insorgenza di patologia atopica (27). Sulla base delle attuali evidenze, quindi, l'azione immuno-modulante del latte materno non trova riscontro certo sullo sviluppo di allergia; tuttavia, il Committe on Nutrition dell’ESPGHAN raccomanda l’allattamento al seno, almeno per i primi sei mesi di vita, anche per le donne con familiarità positiva per allergie (22). Diabete tipo I e celiachia I dati sinora riportati in letteratura suggeriscono che l’allattamento al seno per almeno i primi 3 mesi di vita riduca il rischio di insorgenza di diabete tipo I, sia durante l’infanzia che durante la vita adulta. Ulteriori dati a tal proposito verranno forniti dal trial TRIGR (Trial to Reduce IDDM in the Genetically At-Risk): tale studio valuterà infatti l’effetto sullo sviluppo di diabete tipo I di due diverse formule, una standard ed una ad idrolisi spinta, dopo 6-8 mesi di allattamento al seno in soggetti geneticamente predisposti (28) Per quanto concerne invece la malattia celiaca, una revisione della letteratura del 2006 ha evidenziato come l’allattamento al seno possa essere protettivo rispetto allo sviluppo della patologia, con un effetto durata-dipendente: infatti, tale riduzione del rischio risulta più marcata nei soggetti che venivano ancora allattati al seno al momento del divezzamento. Non è ancora chiaro, tuttavia, se l’effetto protettivo dell’allat- pediatria preventiva & sociale tamento al seno rispetto alla celiachia sia permanente o se sia unicamente legato ad un ritardo nell’insorgenza dei sintomi (29). Sviluppo intellettivo Lo studio della relazione tra allattamento al seno e sviluppo cognitivo è estremamente complesso: una metaanalisi pubblicata nel 1999, nella quale venivano analizzati 20 studi per un totale di 10.000 bambini, evidenziava una differenza media di 5.3 punti di QI (3.2 dopo aggiustamento per intelligenza materna) a favore dei neonati allattati al seno rispetto ai neonati allattati con formula; tale differenza diventava ancora più significativa nei neonati piccoli per l’età gestazionale (5.2 punti di QI vs 2.7 nei neonati di peso appropriato) e presentava inoltre una relazione tra guadagno in QI e durata dell’allattamento al seno (30). Una revisione sistematica delle pubblicazioni pertinenti a tale argomento, pubblicata nel 2002, ha evidenziato un effettivo beneficio dell’allattamento al seno sulla successiva intelligenza nel 68% dei lavori. Tuttavia, la maggior parte degli studi mostrava importanti limiti metodologici, tant'è vero che solo due studi su 40, che peraltro giungevano a conclusioni contrastanti, sono stati considerati di elevato valore epidemiologico all’interno della metaanalisi (31). Uno studio recente ha valutato quali fossero i possibili fattori confondenti nella relazione tra allattamento al seno e QI. Circa 1200 bambini, di cui il 60% allattato al seno per almeno 12 settimane, sono stati valutati all’età di 9 anni mediante determinazione del QI e valutazione delle abilità neurocognitive: prima dell’aggiustamento per possibili confondenti, i bambini allattati al seno mostravano migliori QI totali, verbali e visivi, con una correlazione diretta tra durata dell’allattamento e tali scores. Tuttavia, dopo aggiustamento, la relazione tra QI e allattamento risultava non più significativa, essendo condizionata da alcuni confondenti materni e socio-economici (32). I benefici dell’allattamento al seno in termini intelligenza e QI potrebbero essere legati al contenuto di LC-PUFA del latte materno: tale ipotesi è supportata da studi recenti, cha hanno evidenziato, nel neonato pretermine, come la supplementazione del latte materno con acido arachidonico e docosoesaenoico migliora alcune performances cognitive a sei mesi (33). Divezzamento: effetti a lungo termine Crescita La maggior parte degli studi hanno valutato la relazione tra crescita e timing del divezzamento, piuttosto che l’effetto di singoli cibi. Esistono scarse evidenze del fatto che l’inizio del divezzamento tra il 4° ed il 6° mese influenzino la crescita, almeno nel breve termine (34). Tuttavia, è sempre più evidente come eventi precoci, quali il tasso di crescita ed il tipo di allattamento nelle prime fasi della vita, possano avere conseguenze a lungo termine. Ad esempio, Fewtrell et al. hanno esaminato i dati relativi ad una serie di studi clinici condotti dalla metà alla fine degli anni 90 per valutare l’effetto del timing del divezzamento sull’outcome a 18 mesi. In particolare, gli autori hanno confrontato l’introduzione “precoce” dei cibi solidi (<12 settimane) con quella “tardiva” (>12 settimane) in nati a termine e pretermine, senza riscontrare differenze significative nei tassi di crescita tra le due modalità di divezza- mento. Inoltre, è stato suggerito che i lattanti più grandi, sia pretermine che a termine, vengono più frequentemente divezzati entro le 12 settimane, anche se ciò non comporta una crescita più veloce, quantomeno durante l’infanzia. Secondo gli autori le pratiche relative alla nutrizione infantile sono esse stesse influenzate dalla crescita: è stato infatti dimostrato che il peso del lattante è un miglior predittore dell’età di introduzione dei cibi solidi rispetto al peso neonatale o alla crescita nelle prime fasi di vita (35). E’ stato dimostrato che l’utilizzo di cibi a ridotto contenuto lipidico per il divezzamento determina la riduzione della densità calorica totale della dieta: pertanto, il Committe on Nutrition dell’ESPGHAN raccomanda di non ridurre l’apporto calorico legato ai grassi al di sotto del 25% delle calorie totali (34). Numerosi studi hanno esaminato la relazione tra apporto proteico durante il divezzamento e nella prima infanzia e rischio di obesità. Lo studio condotto da Agostoni et al. suggerisce che intake proteici pari o superiori a 4 g/kg/die (circa 16% delle calorie totali) tra gli 8 e i 24 mesi di vita siano associati a rischio di sviluppare sovrappeso, mentre tale associazione non sussiste quando l’intake proteico è < al 15% delle calorie totali (36). Nei paesi occidentali, i cibi utilizzati per il divezzamento sono solitamente ricchi in proteine ad alto valore biologico, con un elevato rapporto proteine/energia (circa 2.5 g/100kcal). Al contrario, nei paesi in via di sviluppo tale rapporto è particolarmente basso, poiché i cibi utilizzati per il divezzamento sono prevalentemente cereali, mentre l’utilizzo di carne è limitato. Per tale ragione, l’utilizzo di formule di proseguimento con elevato contento proteico è raccomandata solo nei paesi in via di sviluppo (37). Neurosviluppo Il periodo critico durante il quale la composizione della dieta può influenzare la maturazione delle funzioni corticali è incerto; inoltre, pochi studi hanno indagato l’effetto di specifici nutrienti sulla performance cognitiva. Alcuni studi hanno valutato l’effetto della supplementazione con LCPUFA sull’acuità visiva, dimostrando che l’intake di acido docosoesaenoico durante il divezzamento può influenzare la funzionalità visiva a breve termine; non è ancora chiaro, tuttavia, se questo effetto persista anche a distanza (38). Atri studi hanno dimostrato un effetto benefico del consumo di carne sull’outcome neurocognitivo, probabilmente connesso al contenuto di ferro, zinco e acido arachidonico (39). Allergia Pochi studi hanno esaminato il timing del divezzamento come fattore di rischio indipendente per patologia atopica nei neonati allattati al seno o alimentati con formule. C’è buona evidenza che alcuni cibi, tra cui le uova, il pesce, le noci ed i frutti di mare, siano più allergenici di altri. E’ stato inoltre dimostrato che l’introduzione precoce nella dieta di più di 4 cibi potenzialmente allergenici si associa a maggior rischio di dermatite atopica a breve termine e dopo 10 anni. Tuttavia, il ritardo o la mancata introduzione di specifici cibi è tuttora oggetto di dibattito. Attualmente, il Committe on Nutrition dell’ESPGHAN raccomanda di non iniziare il divezzamento prima delle 17 settimane e di introdurre un nuovo alimento alla volta, al fine di individuare potenziali risposte aller- 2/2010 59 giche. Inoltre, non vi è evidenza che il ritardo o la mancata introduzione di cibi potenzialmente allergizzanti abbia un significativo effetto protettivo sullo sviluppo di atopia (34). Patologia cardiovascolare L’effetto della supplementazione con LC-PUFA durante il periodo del divezzamento sullo sviluppo di ipertensione è stato indagato in uno studio in cui lattanti di 9 mesi sono stati randomizzati a ricevere una supplementazione con olio di pesce per un periodo di 3 mesi: al termine dello studio, i lattanti che avevano ricevuto l’integrazione mostravano sì una riduzione della pressione sistolica pari a 6 mmHg, ma anche un incremento significativo della concentrazione di LDL e colesterolo totale (40). Anche l’apporto proteico può avere un effetto sulla pressione arteriosa: tuttavia, non è chiaro se tale effetto si esplichi anche durante il periodo del divezzamento (34). Celiachia e diabete mellito Il glutine non andrebbe introdotto nella dieta né prima dei 4 mesi né dopo i 7 mesi di vita. Queste raccomandazioni si basano soprattutto su due diversi studi: una recente metaanalisi di studi osservazionali ha dimostrato che il rischio di sviluppare celiachia è significativamente ridotto nei lattanti che erano allattati al seno al momento dell’introduzione del glutine nella dieta ed in quelli allattati più a lungo (29). Più di recente, è stato dimostrato che sia l’introduzione precoce che quella tardiva del glutine si associano a maggior rischio di sviluppare la malattia (41). L’introduzione di antigeni alimentari durante l’allattamento al seno può avere un effetto protettivo sulla comparsa di diabete; inoltre, 60 l’introduzione precoce del glutine nella dieta sembra correlata ad un aumentato rischio di produrre autoanticorpi contro le cellule insulari nei lattanti con predisposizione allo sviluppo di diabete mellito tipo I (42). Bibliografia 1. Singhal A. Early Nutrition and LongTerm Cardiovascular Health. Nutr Rev. 2006; 64: S44-9. 2. 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Halmi: Anorexia nervosa: an increasing problem in children and adolescent. Dialogues in Clinical Neuroscience. Volume 11. Numero 1. 2009; T. Meyer e J. Gast The effect of peer influence on disordered eating behavior. The Journal of School Nursing. Volume 24. Numero 1. Febbraio 2008; J. Ashcroft, C. Semmler: Continuity and stability of eating behaviour traits in children. European Journal of Clinical Nutrition. 2008. Numero 62. Pag. 985-990) Nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2005 ed il 31 dicembre 2009 presso il Reparto Degenza della Sezione di Neuropsichiatria del Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza presso l’ASO OIRM-S. Anna di Torino, sono stati ricoverati 56 bambini con diagnosi di Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) con un’età compresa tra pochi mesi e 11 anni. Dallo studio effettuato emerge come il Disturbo del Comportamento Alimentare nei bambini in età preadolescenziale presenti caratteristiche anamnestiche e cliniche differenti nei pazienti con età pre-scolare rispetto a quelli con età scolare. Tale particolarità risulta essere così evidente da rendere il DCA considerabile al pari di due diversi quadri patologici, simili nella sua espressività sintomatologica. A fronte dell’aumento del Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) ad esordio precoce, (prima dell’età adolescenziale) e dell’aumento della richiesta di ricovero presso il Reparto Degenza della Sezione di Neuropsichiatria presso l’ASO OIRM-S. Anna di Torino, l’obiettivo dello studio è di analizzare le caratteristiche anamnestiche, sociali ed individuali, oltre a quelle cliniche, dei pazienti ricoverati in reparto, al fine di ricavare elementi utili all’approccio diagnostico-terapeutico. Nel presente abstract vengono presentati i risultati del lavoro svolto su bambini con età pre-scolare. Il campione è risultato essere composto da 19 pazienti (il 33,92% del campione considerato), di questi: 10 bambini ricoverati sono di sesso maschile (il 53%), mentre 9 sono di sesso femminile (il 47%). Dallo studio effettuato, nei bambini con età al momento del ricovero inferiore ai 6 anni il quadro anamnestico emerso è risultato essere il seguente: i pazienti sono in prevalenza maschi, unicogeniti, appartenenti ad una famiglia di livello socio-culturale medio, in genere con nucleo familiare regolare, nel quale non è segnalata familiarità per patologia psichiatrica. Le loro condizioni alla nascita, pur non connotandosi generalmente come gravi, sono talvolta a rischio e comportano spesso il protrarsi del ricovero presso i reparti di neonatologia: inoltre le acquisizioni delle tappe dello sviluppo neuro-psicomotorio e del linguaggio sono raggiunte generalmente in epoca, pur con una maggiore incidenza di casi di ritardo rispetto alle attese; lo svezzamento è riferito in epoca, talvolta con delle difficoltà. Nei primi due anni di vita questi bambini presentano dei disturbi della sfera bio-istintuale. Le caratteristiche cliniche di presentazione del disturbo sono risultate essere le seguenti: la patologia può insorgere precocemente in modo non univoco: in modo subdolo, già nei primi periodi della vita, attraverso una suzione scarsa con tendenza del bambino ad addormentarsi durante il pasto e successivamente con difficoltà ad accettare lo svezzamento (il disturbo si configura in modo cronico), oppure in modo acuto con 2/2010 63 il mutamento delle abitudini alimentari, nel senso di una iporessia o di un vero e proprio rifiuto ad alimentarsi, in genere dopo un episodio caratterizzato da “cibo andato di traverso” e conseguente timore di soffocamento. La patologia alimentare, nella situazione a decorso cronico, non appare grave per il disturbo in sé, (non risulta necessaria la nutrizione enterale o infusiva), ma per la sua cronicità, per le sue caratteristiche e per il suo associarsi con le situazioni preoccupanti alla nascita, con le difficoltà nello sviluppo che si traducono nell’immaginario dei genitori nell’idea di un bambino malato, fragile, in difficoltà, difficile da crescere, per il quale si tende a tornare ad un’alimentazione da bambino più piccolo (il cibo viene frullato, si mantiene a lungo l’assunzione di latte con il biberon): in questo contesto emotivo-relazionale appare spesso difficile per i genitori riconoscere ed accettare le possibili implicazioni emotivo-relazionali del sintomo. Nella nostra esperienza risultano fattori predisponenti all’insorgenza del sintomo DCA: • lo sviluppo neuro-psicomotorio in ritardo; • la familiarità per patologia psichiatrica; • le problematiche all’allattamento; • le problematiche allo svezzamento; • la preoccupazione per le condizioni di salute nel primo anno di vita; 64 • l’insorgenza di altre patologie nel primo anno di età. Tali dati sembrano essere accumunati da un clima familiare di preoccupazione per la salute. Dallo studio effettuato è emerso come le problematiche all’allattamento ed allo svezzamento sembrino già essere una precoce manifestazione della patologia. In tale fascia di età risulta evidente come il disturbo che insorge con la caratteristica del vomito presenti un differente andamento nei due sessi, sebbene in entrambi sembri essere una patologia più difficilmente riconoscibile, da parte dei genitori, come espressione di una difficoltà non solo fisica ma anche con valenza emotiva del figlio; infatti, non sono infrequenti richieste di accertamenti anche invasivi al fine di escludere un impedimento fisico all’alimentazione. Nei soggetti di sesso maschile, il DCA che presenta tale caratteristica risulta avere un decorso più grave rispetto a quanto solitamente si riscontra nel sesso femminile. Dallo studio si è potuto evincere come pare essere di maggior gravità la patologia che insorge con la caratteristica del vomito con, conseguentemente, una prognosi peggiore rispetto ai disturbi che si manifestano con carattere restrittivo. E’ altresì emerso come sia possibile aspettarsi l’insorgenza di un disturbo connotato da tali caratteristiche nei bambini pediatria preventiva & sociale che abbiano preoccupanti condizioni al momento della nascita. Nella patologia che si presenta con tale quadro clinico sembra essere un elemento influenzante anche il disturbo della sfera bio-istintuale, elemento che, d'altronde, non sembra essere presente nelle pazienti di sesso femminile, nelle quali la patologia pare avere un decorso più favorevole. E’ parso verosimile che, in una fascia di età così precoce, il disturbo della sfera bio-istintuale possa esprimere la tendenza a manifestare attraverso il corpo una difficoltà psichica, che potrà trasformarsi in DCA vero e proprio in mancanza di precoce riconoscimento. La terapia consigliata per queste situazioni risulta essere, un intervento mediato dalle figure genitoriali. Per i bambini più piccoli sono previste sedute di osservazione madre-bambino, sedute di osservazione durante il pasto e sedute di osservazione durante il gioco; risultano perciò essere necessari interventi che più facilmente possono riuscire a modificare una dinamica relazionale difficile. La prevenzione risulta essere fondamentale: risulta di primaria importanza identificare precocemente le situazioni a rischio (sintomi di depressione materna pregressa o postpartum, sostenuta da un bambino fragile, difficile da crescere), per avviare interventi di “protezione e sostegno della relazione” anche attivando le risorse familiari esistenti. I disturbi del comportamento alimentare in età pre-adolescenziale, parte seconda: età scolare (6-11 anni) (risultati di una ricerca clinica) D.Bechis, M.Gandione, A.Tocchet Dipartimento di Neuropsichiatria infantile, Università degli Studi di Torino. Il Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) è una patologia nota per insorgere soprattutto nei soggetti di sesso femminile adolescenti. Da studi effettuati attraverso quattro continenti è emerso come l’anoressia sia un problema in netto aumento nei bambini, con tendenza a mantenersi costante durante tutta l’infanzia fino all’adolescenza. (K. A. Halmi: Anorexia nervosa: an increasing problem in children and adolescent. Dialogues in Clinical Neuroscience. Volume 11. Numero 1. 2009; T. Meyer e J. Gast The effect of peer influence on disordered eating behavior. The Journal of School Nursing. Volume 24. Numero 1. Febbraio 2008; J. Ashcroft, C. Semmler: Continuity and stability of eating behaviour traits in children. European Journal of Clinical Nutrition. 2008. Numero 62. Pag. 985-990) Nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2005 ed il 31 dicembre 2009 presso il Reparto Degenza della Sezione di Neuropsichiatria del Dipartimento di Scienze Pediatriche e dell’Adolescenza presso l’ASO OIRM-S. Anna di Torino, sono stati ricoverati 56 bambini con diagnosi di Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) con un’età compresa tra pochi mesi e 11 anni. Dallo studio effettuato emerge come il Disturbo del Comportamento Alimentare nei bambini in età preadolescenziale presenti caratteristiche anamnestiche e cliniche differenti nei pazienti con età pre-scolare rispetto a quelli con età scolare. Tale particolarità risulta essere così evidente da rendere il DCA considerabile al pari di due diversi quadri patologici, simili nella sua espressività sintomatologica. A fronte dell’aumento del Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) ad esordioprima dell’età adolescenziale e dell’aumento della richiesta di ricovero presso il Reparto Degenza della Sezione di Neuropsichiatria presso l’ASO OIRMS. Anna di Torino, l’obiettivo dello studio è di analizzare le caratteristiche anamnestiche, sociali ed individuali, oltre a quelle cliniche, dei pazienti ricoverati in reparto, al fine di ricavare elementi utili all’approccio diagnostico-terapeutico. I presenti risultati fanno parte di un lavoro di ricerca effettuato su pazienti con un’età compresa tra i 6 e gli 11 anni. Il campione è risultato essere composto da 37 bambini in età scolare (il 66,07%), di questi : 4 bambini sono di sesso maschile (10,81%), 33 bimbi sono di sesso femminile (89,18%). Nei pazienti con età al momento del ricovero compresa tra i 6 e gli 11 an- ni il quadro anamnestico emerso è il seguente: i pazienti sono in prevalenza di sesso femminile, primogeniti. Si riscontra un netto aumento di incidenza nelle classi sociali di livello medio-alto che, in genere, presentano un nucleo familiare disgregato, nel quale è segnalata un aumento di incidenza per la patologia psichiatrica familiare. Si tratta di bambini “sani”, nella cui storia non vengono segnalate difficoltà nelle acquisizioni delle tappe dello sviluppo neuro-psicomotorio, né del linguaggio, né della sfera bioistintuale, né delle difficoltà alimentari precoci (allattamento e svezzamento), bambini che in altri termini non destano preoccupazioni nelle figure genitoriali. Le caratteristiche cliniche di presentazione del disturbo non risultano essere univoche: il sintomo può presentarsi attraverso una progressiva graduale diminuzione dell’alimentazione (configurandosi in un quadro clinico cronico), oppure con un improvviso quadro acuto attraverso un episodio di “cibo andato di traverso”, come accade nel gruppo di età inferiore. I maschi in età scolare presentano caratteristiche che li rendono più simili ai pazienti con età pre-scolare, le femmine di età scolare si propongono con caratteristiche che richiamano il DCA che compare in età adolescenziale. 2/2010 65 Si riscontrano i seguenti elementi tipici dell’età adolescenziale: vi è paura di ingrassare e, spesso, le pazienti associano alle restrizioni alimentari un intensificarsi dell’attività fisica e sportiva. Il quadro clinico si presenta, nella maggior parte dei casi, con caratteristica di gravità da rendere necessaria, durante il ricovero, la terapia nutrizionale infusiva o tramite gavage. Il DCA, come nell’età adolescenziale, non è l’unico sintomo di disagio psichico ma si associa in prevalenza ad alterazioni del tono dell’umore ed a disturbi del sonno. Il quadro clinico può assumere caratteristiche di gravità che si traducono nella necessità di ricoveri protratti nel tempo. I genitori di questi bambini appaiono nel corso del ricovero più in grado di riconoscere, se pure con difficoltà, stupore e sofferenza, la natura psichica della patologia rispetto ai genitori dei bambini in età pre-scolare, pur essendo molto difficile per loro accettare il significato emotivo della patologia del figlio, tanto che molti pazienti giungono all’osservazione degli specialisti dopo parecchio tempo dall’insorgenza dei primi sintomi. Emerge come il DCA risulti essere una malattia subdola, difficile da riconoscere ed accettare. Si è, inoltre, reso evidente come il disturbo alimentare tenda ad insorge- 66 re in un’età più precoce nel sesso maschile (prima dei 7 anni), rispetto a quanto accada per il sesso femminile, dove pare insorgere prevalentemente tra gli 8 ed i 9 anni; perciò, si è reso evidente come l’età configuri un quadro sintomatologico differente. Nel sesso maschile, la patologia alimentare è risultata essere più rara ma, quando presente, grave. La malattia sembra presentarsi più spesso in associazione con altri sintomi di disagio psichico; inoltre, frequentemente, risultano essere necessari la somministrazione di una terapia neurolettica ed il ricorso ad una terapia nutrizionale di tipo infusivo. Nel sesso femminile, invece, il DCA ha una maggior frequenza, ma, accanto ai casi di una certa gravità, che richiedono l’utilizzo di una terapia nutrizionale enterale per il persistente rifiuto ad alimentarsi, osserviamo situazioni in cui il sintomo si presenta con un carattere per così dire “reattivo” per le quali la durata della degenza risulta inferiore alle due settimane. Come nell’età pre-scolare, anche in questa fascia di età, i disturbi precoci della sfera bio-istintuale sono presenti nella storia di pazienti con quadri clinici più gravi. Pertanto, è emerso come la patologia insorgente in età scolare assuma caratteristiche tipiche dell’età precedente (maggiore gravità del DCA pediatria preventiva & sociale nei bimbi con pregressi disturbi della sfera bio-istintuale, patologia grave nel sesso maschile), in interazione con altri elementi peculiari dell’età adolescenziale (maggiore incidenza nel sesso femminile e minore nel sesso maschile; principale manifestazione con la caratteristica di selettività). La terapia indicata risulta essere un approccio multidisciplinare che preveda un intervento farmacologico (con l’utilizzo di neurolettici) associato a psicoterapia individuale ed ad un intervento di sostegno psicologico a carico della coppia genitoriale. L’approccio diagnostico deve comunque prevedere, in entrambi i casi, sia accertamenti volti ad escludere una patologia organica sottesa dal sintomo, sia accertamenti volti a mettere in evidenza la psicopatologia sottesa al sintomo. Le sedute di approfondimento psicologico risultano essere la terapia consigliata in queste situazioni. Per i genitori, come in ogni altra patologia di pertinenza neuropsichiatrica, sono necessari approfondimenti effettuati attraverso colloqui mirati non solo alla conoscenza delle dinamiche familiari, ma anche ad accompagnare i genitori nel difficile percorso verso la consapevolezza della fragilità emotiva del figlio, vissuto, come un figlio sano, perfetto, senza problemi Controindicazioni vere e false alla vaccinazione anti morbillo-parotite-rosolia G. Bonvini, L. Dahdah, E. Calcinai Ospedale Materno Infantile Macedonio Melloni Milano - AO Fatebenefratelli Milano In accordo con i dati della letteratura sono confermate controindicazioni al vaccino anti morbillo-parotiterosolia (MPR): a) le malattie acute febbrili b) le reazioni allergiche gravi a pregresse vaccinazioni o componenti del vaccino MPR c) la gravidanza d) l'immunosoppressione Problema reazioni anafilattiche: i componenti del vaccino responsabili sono la gelatina e la neomicina. La gelatina è presente come stabilizzante, ma le reazioni allergiche gravi attribuibili a una sua sensibilizzazione sono confermate molto rare: 4/7 casi di anafilassi su 1 milione di dosi. La neomicina è presente come conservante ed antibatterico. L'allergia alla neomicina si manifesta generalmente come dermatite da contatto e questo non controindica la vaccinazione. Riguardo il rischio di reazioni anafi- lattiche una falsa controindicazione è rappresentata dall'allergia alle proteine dell'uovo, ricordiamo che il vaccino MPR è costituito da virus vivi attenuati coltivati su fibroblasti embrionati di pollo. Le proteine presenti nel vaccino non danno reazioni incrociate con le proteine dell'uovo e la vaccinazione MPR può essere eseguita anche in bambini con anamnesi di anafilassi all'uovo. Problema gravidanza: come tutti i vaccini vivi attenuati, il vaccino MPR è controindicato in gravidanza. La gravidanza va evitata per il mese successivo alla vaccinazione, il massimo rischio stimato di malformazioni congenite attribuibile a vaccinazione nel primo trimestre di gravidanza è dell' 1,2/1,3 %. Problema immunodeficenze: è raccomandato vaccinare i conviventi. Problema immunodepressione: in corso di terapia con cortisonici, esempio dose immunosoppressiva di prednisone 2 mg/kg/die, se il trattamento dura meno di due settimane è possibile eseguire la vaccinazione al termine della terapia, se il trattamento dura più di due settimane è possibile vaccinare dopo un mese dalla sospensione. Problema interferenza tra vaccini: è importante sottolineare che la contemporanea vaccinazione anti MPR e vaccino anti varicella, entrambi virus vivi attenuati, non rappresenta una controindicazione, ma se i due vaccini non vengono somministrati nella stessa seduta, deve trascorre fra uno e l'altro sempre un minimo di 4 settimane. In conclusione l'atteggiamento rassicurante dei pediatri sull'opportunità e sulla sicurezza del vaccino anche in bambini allergici all'uovo potrà far raggiungere livelli di copertura vaccinale adeguati come richiesto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. 1/2010 67 LES ed Orticaria Vasculitica: descrizione di un caso L. Buscema1, I. Morselli1, M. Saporito1, E. Olivastro1, A.D. Praticò1, R. Pignataro1, R. De Pasquale2, P. Barone1, R. Garozzo1 1 2 Dipartimento di Pediatria - AOU "Policlinico-Vittorio Emanuele" di Catania U.O. Dermatologia - AOU "Policlinico-Vittorio Emanuele" di Catania Introduzione Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una patologia cronica autoimmune che si manifesta soprattutto nelle femmine tra i 15 e i 25 anni di età. Le manifestazioni più comuni comprendono eritema a “farfalla", fotosensibilità, rash discoide, ulcere alle mucose, artrite, sierositi, nefrite, manifestazioni neurologiche ed ematologiche. E' caratterizzato dalla positività degli, anti-Sm, anti ds-DNA, anti-fosfolipidi. Descriviamo il caso di una paziente affetta da LES in trattamento con micofenolato mofetile che ha presentato lesioni orticarioidi recidivanti. Caso clinico P.A. 20 anni seguita presso la nostra struttura da 8 anni in quanto affetta da LES in trattamento con micofenolato mofetile e steroidi sistemici a 68 basso dosaggio. Da nove mesi presentava manifestazioni orticariodi diffuse al tronco e agli arti superiori ed inferiori, pruriginose, parzialmente responsive a trattamento con antistaminici e cortisonici. Gli esami ematochimici eseguiti evidenziavano aumento degli indici di flogosi (VES 40 mm/h e PCR 1.77 mg/dl), ipocomplementemia (C3 38 mg/dl e C4 8 mg/dl), aumento delle IgE totali (364 IU/ml) e positività degli ANA (1/1280). Nel sospetto di una orticaria da farmaci veniva sospeso il trattamento ed eseguita biopsia cutanea che metteva in evidenza la presenza a livello del derma superficiale di infiltrato granulocitario perivascolare con distribuzione a bande e immunofluorescenza diretta per IgG, IgM, IgA, con positività lineare sub-epidermica e perivascolare. A distanza di 15 giorni si assisteva ad un miglioramento della sintomatologia cutanea e si intraprendeva terapia con ciclofosfamide, sospesa dopo cir- pediatria preventiva & sociale ca 2 mesi per il riscontro di marcata leucopenia. Veniva pertanto reintrodotto micofenolato mofetile con ricomparsa delle lesioni cutanee orticarioidi. Conclusioni Nel nostro caso la stretta relazione con la somministrazione del micofenolato ci ha indotto a fare diagnosi di orticaria da farmaci. Tuttavia il riscontro bioptico di lesioni compatibili con la diagnosi di Orticaria Vasculitica Neutrofilica non esclude la possibilità che tale patologia sia una delle manifestazioni cliniche talora associate al LES. È verosimile che il micofenolato possa aver agito da trigger nell’instaurazione del danno vasculitico. Bibliografia 1. Cieslik P., Hryceh A., Klucinski P.. Vasculopathy and vasculitis in sistemi lupus erythematosus. Pol Arch Med Wewn 2008 JanFeb; 118(1-2): 57-63. Lo yogurt, antico alimento funzionale, e la nutrigenomica G. Caramia Libero Professionista Lo yogurt ha caratteristiche nutrizionali uniche in quanto è un alimento completo contenendo in proporzioni ottimali di carboidrati, proteine con tutti gli aminoacidi essenziali, grassi, potassio, fosforo, calcio in grandi quantità e varie vitamine A, D, B2, B12 (Tab 1). Grazie alla fermentazione, che scinde il lattosio in zuccheri più semplici, galattosio e glucosio, trasformati poi in acido lattico, è digeribile anche per chi soffre di lievi intolleranze al lattosio. L'acido lattico, presente nella misura dell'1%, favorisce la digeribilità e l’assorbimento di proteine, grassi, fosforo e calcio e inibisce lo sviluppo di microorganismi patogeni. Lo yogurt classico contiene il Lactobacillus Bulgaricus e lo Streptococcus thermophilus, in una quantità uguale o superiore a 100 milioni di cellule (UFC) per millilitro ma alcu- ni aggiungono probiotici quali Bifidobacterium bifidum , Lactobacillus acidophillus, L. casei, L. lactis per migliorare: microflora del colon, sistema immunitario intestinale, stato nutrizionale, e colon irritabile; per prevenire ipercolesterolemia, carie dentarie e ridurre anche la frequenza del tumore della vescica e del colon. Recenti studi hanno evidenziato che bambini alimentati con yogurt dallo svezzamento fino a 7 anni pesano in media 4 kg in meno dei coetanei, che l’abbondante assunzione di calcio favorisce la lipolisi mentre anche alcuni peptidi bioattivi prevengono l'accumulo di grasso e l’obesità. Lo yogurt è uno dei più antichi alimenti funzionali in quanto, assunto come parte integrante di un normale regime alimentare, svolge da millenni un benefico impatto sull’ospite e, per quanto riguarda l’obesità, si rivela oggi ancora più importante. Recentemente la Nutrigenomica, scienza che studia come le molecole dei cibi intervengono su geni e DNA, incomincia a chiarire le interazioni e i meccanismi molecolari alla base della insorgenza di alcune patologie. E’ pertanto importante, fin dallo svezzamento, una corretta alimentazione e alimenti funzionali quali yogurt, fibra alimentare, considerata il “dinosauro” degli alimenti funzionali e importante per lo sviluppo di probiotici e prebiotici, olio extra vergine d’oliva, per il contenuto di acido oleico elevato e di composti minori, che attivano i geni favorevoli e/o bloccano quelli dannosi. Tutto questo richiama alla mente la saggezza di un tempo in base alla quale l’alimentazione deve contenere alimenti ottimali, come oggi indicato nella nota piramide alimentare, nella giusta quantità. Tabella 1 – ??? yogurt Calorie / Kcal Proteine g% Grassi g% Carboidrati g% Intero (al naturale) 66 3,8 3,9 4,3 Ialmen - scremato (al naturale) 43 3,4 1,7 3,8 Scremato o magro (al naturale)* 36 3,3 0,9 4,0 Alla frutta *** 110 3,3 3,7 14,9 * Yogurt intero: deve contenere, per legge, una quantità di lipidi pari o superiore al 3% ** Yogurt magro: deve contenere, per legge, una quantità pari o inferiore all’1% *** In genere il contenuto in frutta è basso (c.a. 10%, cioè 12 grammi per ogni vasetto di yogurt da 125 g). Valutare sempre attentamente quanto riportato nell’etichetta 2/2010 69 Nurrienti, qualità del cibo e salute G. Caramia Libero Professionista L’importanza della qualità del cibo, per i suoi aspetti salutistici, si perde nella notte dei tempi e richiama alla mente le antiche medicine cinese e indiana. Abuso e mancanza sono ugualmente dannosi per cui, un medico del faraone riportava nel papiro nell’VIII sec. a.C. che “un quarto del cibo che assumiamo serve per vivere, il rimanente serve per far vivere i medici”. Il ruolo della qualità del cibo sulla salute è sostenuto anche da Ippocrate che scrive "la salute richiede la conoscenza del potere dei cibi", da T. Lucrezio Caro che sostiene “quello che per l’uno è cibo per l’altro è amaro veleno”, da Leonardo da Vinci (1452-1519) per il quale "la vita dell'omo si fa delle cose mangiate" da D. Diderot (17131784), che scrive: "se certi alimenti sani sono, per la ragione di nutrire troppo, alimenti pericolosi per un soggetto, ogni alimento può avere qualità favorevoli o dannose”. Infine L. Feuerbach (1804-1872), sostiene "i cibi si trasformano in sangue e il sangue in cuore e cervello, in materia di pensieri e sentimenti. L'alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento: l'uomo è ciò che mangia". Negli ultimi 10.000 anni si è assistito alla nascita dell’agricoltura, al passaggio da una vita di nomadi e cacciatori a quella di contadini stanziali e quindi di cittadini ed è cambiato il modo di alimentarsi. La carenza di alimenti è stata bandita dalle nazioni industrializzate e si è realizzata la rivoluzione più straordinaria della storia dell’uomo: la disponibilità di cibo sufficiente per tutti. Le trasformazioni dell’alimentazione hanno avuto però un impatto molto negativo sulla nostra salute. Il nostro genoma, ereditato dall’o- minide Ardipithecus ramidus, vissuto 4,4 milioni di anni fa, è ancora adattato all’alimentazione primordiale dei nostri progenitori mentre il cibo è diventato sempre più raffinato, con più calorie e meno nutrienti. Sono così divenuti più frequenti obesità, iperinsulinemia, diabete, dislipidemie, ipertensione, aterosclerosi, tumori ecc. Per sopperire a tali carenze sulla scia della Dieta Mediterranea proposta da A. Keys, l’industria alimentare ha messo a punto prodotti con nutrienti ad azione protettiva quali licopene (Licopene capsule), omega-3 (Oil 4 life), frutta, verdura e bacche ( Juice Plus, capsule, tavolette masticabili) per un’adeguata protezione e difesa dell’organismo. Nei vari Juice Plus è stato determinato il contenuto in polifenoli con il dosaggio dell’acido caffeico e valutato il valore ORAC (Tab 1). Tabella 1 – Caffeic Acid Equivalent (CAE) in capsule, compresse e caramelle contenenti estrati vegetali (Juice Plus) Campione Polifenoli (mg CAE/g) ORAC 1 19,49±0,12 487,25 2 18,42±0,47 460,5 3 9,17±0,19 229,5 4 7,72±0,45 193,0 5 11,99±0,34 299,75 6 6,59±0,14 164,75 Il valore ORAC (Oxigen Radical Adsobance Capcity) si ottiene moltiplicando per 25 il valore del polifenoli. Due capsule di 487 unità ORAC l’una, pari a 974 unità ORAC/die, sono un’integrazione adeguata in una dieta povera di vegetali. I valori inferiori sono riferiti a dosaggi per bambini 70 pediatria preventiva & sociale Differenze nei valori dell’apgar tra nati da TC con anestesia spinale e nati da parto spontaneo M. Ciaraldi Libero Professionista Nonostante le ripetute sollecitazioni da parte di enti istituzionali e società scientifiche di settore, i parti operativi (TC) continuano ad essere nella realtà italiana troppo frequenti e, per lo più, effettuati senza indicazioni specifiche di clinica o di gestione. Nella nostra realtà le percentuali di TC (65-67%), confrontati a quelli eutocici, assumono proporzioni drammatiche, lontane dalle medie nazionali (33-35%), lontanissime da quelle europee (17-19%), abissali dalle indicazioni scientifiche (<15%). L’anestesia più frequentemente utilizzata è quella spinale (>80%). Abbiamo voluto valutare le differen- ze di condizione clinica, mediante registrazione dell’indice di Apgar, tra un congruo numero di neonati a termine (37-41 settimane), nati da TC con anestesia spinale, ed un equivalente numero di nati da parto spontaneo. Dall’analisi delle cartelle cliniche di ricovero delle UO di Pediatria e di Ostetricia del PO di Marcianise si sono selezionati, con criterio random, 1000 casi, relativi a nascite degli ultimi 5 anni. Dei casi identificati, 344 risultavano parti spontanei, 24 TC effettuati in anestesia generale, 632 TC in anestesia spinale. I neonati da TC con anestesia spinale hanno presentato: - Apgar a 5’ > 8 (59,5%); Apgar = 78 (33,6%); Apgar < 7 (6,9%) I neonati da Parto spontaneo invece: - Apgar >8 (58,3%); Apgar = 7-8 (36,2%); Apgar < 7 (5,5%) Il piccolo numero di TC con anestesia generale non è rientrato nella valutazione statistica. I risultati confermano quanto già osservato da altri autori; che, cioè, il TC con anestesia spinale, oltre ad essere ben tollerata dalla partoriente, non influenza che marginalmente lo stato di salute del neonato alla nascita. Non risulta, infatti, dal nostro studio, una differenza statisticamente significativa dei valori dell’Apgar tra le due classi di neonati. 2/2010 71 Disturbo del visus in paziente affetto da talassemia major in terapia con Deferasirox I.Conti¹, M.R. Politi¹, R.M. Pulvirenti¹, M.A. Romeo¹, M.R. Scuderi², R. Bernardini² ¹Dip. di Pediatria, Az. Ospedaliera Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania ² Dipartimento di Farmacologia Sperimentale e Clinica, Università di Catania Il Deferasirox (DFX) è un chelante tridentato del ferro di nuova generazione in grado di rimuovere sia il Fe libero che intracellulare. DFX è dotato di alta affinità per il Fe in rapporto 2:1 e bassa affinità per altri ioni bivalenti. Viene impiegato per eliminare il Fe in eccesso nei pazienti di età superiore a 6 anni sottoposti a frequenti emotrasfusioni (> 7 ml/Kg/mese di GRC). Gli effetti collaterali segnalati sono: alterazioni della funzionalità renale ed epatica, disturbi gastrointestinali e cardiaci. Non sono descritti disturbi visivi, ad eccezione della cataratta. Si riporta il caso di un bambino di 7 anni, affetto da talassemia major in trattamento con emotrasfusioni e terapia ferrochelante con DFX, che ha presentato disturbi del visus non riportati in letteratura. Il piccolo aveva iniziato da circa 3 mesi terapia con DFX in sostituzione della De- 72 sferoxamina. Il trattamento era stato inizialmente intrapreso al dosaggio di 23,5 mg/Kg/die e, dopo 2 mesi di terapia ben tollerata, aumentato a 28,3 mg/Kg/die. Il giorno successivo all’incremento posologico, il piccolo ha accusato nausea, vomito e disturbi visivi, questi ultimi essenzialmente consistenti in micropsia (percezione dimensionale ridotta degli oggetti). Il disturbo si manifestava con frequenza pluriquotidiana ed aveva la durata di pochi secondi. L’esame obiettivo generale e neurologico apparivano nella norma, così come la funzionalità epatica e renale, l’EEG e la RMN encefalo. La visita oculistica evidenziava: “tortuosità dei vasi retinici e papilla a margini sfumati con modesto edema più evidente in regione temporale”. Il trattamento con DFX veniva pertanto sospeso, ottenendo un graduale miglioramento dopo due settima- pediatria preventiva & sociale ne dall’interruzione della terapia fino alla risoluzione completa dei disturbi visivi e normalizzazione dell’esame oftalmologico. Il disturbo oftalmologico è sembrato correlato alla somministrazione del farmaco in assenza di altre potenziali cause concomitanti, come peraltro suggerito dalla stretta correlazione temporale tra la somministrazione di una dose più elevata di DFX e la comparsa di micropsia. Si ritiene pertanto utile segnalare tale evento ai fini della farmacovigilanza, nell’attesa della evidenza di eventuali ulteriori analoghi casi da prendere in esame. Bibliografia 1. Cappellini MD, Ther A. Long-term experience with deferasirox (ICL670), a oncedaily oral iron chelator, in the treatment of transfusional iron overload. Expert Opin Pharmacother 2008;9:2391-402. Efficacia e sicurezza del trattamento della toxoplasmosi in gravidanza I. Conti¹, M.R. Politi¹, R. Pignataro¹, P. Barone¹, L. Buscema¹, G. Scalia² ¹Dip. di Pediatria, Az. Osp. Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele Catania ²Dip. Di Microbiologia, Az. Osp. Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania Per dimostrare l’efficacia e la sicurezza dei protocolli terapeutici utilizzati nel trattamento della toxoplasmosi in gravidanza abbiamo retrospettivamente analizzato 91 pazienti seguiti, dal 2006 al 2009, presso il DH di malattie infettive del Policlinico di Catania, nati da madre con toxoplasmosi primaria in gravidanza, sierologicamente documentata. I piccoli alla nascita presentavano le IgG materne. Solo 69 (75,8%) delle 91 gestanti, avevano seguito correttamente i protocolli terapeutici previsti fino al termine della gravidanza, 14 (15,3%) avevano praticato una terapia non completa e 8 (8,7%) nessuna terapia. Lo studio ha dimostrato che nel gruppo trattato correttamente, solo 3 (4,3%) su 69 bambini hanno riportato esiti (periarterite delle talamostriate, dilatazione degli spazi subaracnoidei, eterocromie retiniche), tuttavia nessuno di entità significativa. Del gruppo trattato in modo inadeguato 3 (21,4%) bambini su 14 avevano riportato esiti (epatite, dilatazione degli spazi subaracnoidei, periarterite delle talamo striate, depigmentazione retinica). Dei 6 non trattati 2 (33%) avevano riportato cicatrici corioretiniche bilaterali con compromissione del visus. La toxoplasmosi è un antropozoonosi causata dal toxoplasma Gondi, innocua nei soggetti immunocompetenti, potenzialmente teratogena se contratta primitivamente in gravidanza. La probabilità d’infezione del feto è in relazione diretta con l’età gestazionale, mentre il danno prodotto è in relazione inversa, così, se un’infezione precoce produce un aborto, l’infezione più tardiva può provocare la malattia poliviscerale, o manifestarsi dopo la nascita, con danni principalmente a carico dell’occhio (corioretinite) e del SNC (idrocefalo, periarterite, calcificazio- ni). I protocolli terapeutici in gravidanza, che prevedono l’utilizzo di spiramicina (3g/die), pirimetamina (25-50 ml/die) e sulfadiazina (3g/die), sono risultati sicuri ed efficaci, infatti, nonostante la potenziale teratogenicità di spiramicina e sulfadiazina, nessuno dei bambini, da noi seguiti, ha presentato sequele, mentre tra i non trattati, si sono registrati esiti a volte gravi. Ė quindi opportuno sensibilizzare le donne e gli stessi ginecologi, che a volte erroneamente consigliano l’interruzione terapeutica di gravidanza nel primo trimestre, al fine di garantire la più ampia compliance alla terapia. Bibliografia 1. Export Rev Anti Infect Ther. 2007 Apr; 5(2): 285-93 Prevention and treatment of congenital Toxoplasmosis. Peters E. 2/2010 73 Crescere Felix: prevenire l’obesità in Campania P. Iaccarino Idelson, E. Zito, C. Buongiovanni, M. Sticco, A. Franzese Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli Federico II Introduzione Obiettivo L’OMS ha dichiarato che l'obesità è un'epidemia globale. Nei bambini sta aumentando a livelli allarmanti: l’ Italia è al primo posto in Europa e la Campania, secondo i risultati dell’indagine Okkio alla salute, è la regione con il più alto tasso di sovrappeso e obesità in età pediatrica (49%). Il Ministero della Sanità ha spinto per la formulazione di interventi per la prevenzione e la riduzione dell’obesità. Crescere Felix* ( Interventi per la prevenzione e riduzione della Obesità del Bambino e dell’Adolescente) è il programma biennale di interventi atti alla prevenzione e alla riduzione dell’obesità in età pediatrica della Regione Campania. Promuovere e consolidare, in infanzia e adolescenza, stili di vita e di alimentazione salutari in Campania. 74 Metodi Si sono sviluppate, 7 azioni: 1.Promuovere l’allattamento al seno in epoca concezionale, gravidica e perinatale. 2.Promuovere delle sane abitudini alimentari nei primi anni di vita attraverso la formulazione di linee guida e brochure da distribuire ai pediatri, ai genitori e alle scuole. 3.Sviluppare un Sito WEB professionale dedicato al progetto, contenente tutti i prodotti del progetto. pediatria preventiva & sociale 4.Sviluppare degli interventi nelle scuole. 5.Promuovere l’attività motoria dei bambini, attraverso la formulazione di linee guida e brochure da distribuire ai pediatri, ai genitori e agli insegnanti. 6.Attivare un sistema di verifica delle mense scolastiche. 7.Identificare un percorso assistenziale per i bambini e adolescenti obesi. Risultati attesi Ridurre la prevalenza di obesità e sovrappeso nei bambini in età scolare del 20%. *Progetto finanziato dall’Assessorato alla Sanità della Regione Campania. DICAev: un progetto contro i disturbi del comportamento alimentare (DCA) in età evolutiva P. Iaccarino Idelson, S. Mobilia, C. Montagnese, F. Salerno, M. Sticco, N. Vaino, C. Zuppaldi, L. Scalfi, G. Valerio, A. Franzese Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli Federico II Introduzione DICAEv, (Prevenzione, Identificazione e Trattamento Integrato dei DCA in età Evolutiva) finanziato dalla Regione Campania*, nasce dalla necessità di considerare i rapporti fra alimentazione, stato di salute e benessere dell’individuo in età evolutiva non solo in considerazione dell’elevata prevalenza dell’eccesso ponderale e della comparsa precoce di patologie dismetaboliche, ma anche per la presenza significativa di alterazioni del comportamento alimentare. Obiettivi Elaborare dei modelli per il miglioramento dei comportamenti alimentari in età evolutiva e in particolare nella popolazione adolescente. Metodi Il progetto è triennale e si divide in 3 bracci: 1) Indagine conoscitiva di una popolazione di adolescenti napoletani; 2) corso formativo per ope- ratori della Sanità su temi riguardanti i DCA; 3) percorso assistenziale dei DCA per soggetti in età evolutiva. In particolare l’indagine conoscitiva consta nella raccolta dei seguenti dati: a) Antropometria: peso, altezza, circonferenza braccio, plica tricipitale. b) Questionario generale: abitudini alimentari. c) Attività fisica: questionario generale attività motoria e IPAQ (International Physical Activity Questionnaire). d) Questionari psicometrici: SCOFF (Sick, Control, One, Fat, Food), EAT–26 (Eating Attitude Test 26), BUT (Body Uneasiness Test). Risultati L’indagine conoscitiva è stata effettuata su 550 adolescenti di 3 scuole superiori napoletane, previo consenso informato. Riguardo le caratteristiche antropometriche il 6,2% è sottopeso, il 62,9% è normopeso, il 22,8% è sovrappeso e l’8% è obeso. Riguardo le abitudini alimentari il 28,2% del campione non consuma la prima colazione, l’11,5% non consuma né latte, né yogurt, il 17,7% non consuma mai frutta, mentre l’8,3% non consuma verdura, il 46% consuma “junk food” 1 o più volte al giorno, il 15,2% consuma soft drinks quotidianamente. Riguardo i test psicometrici, il 35,8% del campione è risultato positivo allo SCOFF, il 6,7% all’EAT26, il 23,8% al BUT. Riguardo l’attività fisica, il 14,6% del campione si muove < 30 minuti/die, il 33,5% tra 30 e 59’/die , il 51,7% > 60’/die. Il corso formativo ha visto coinvolti 50 operatori delle Asl in 2 cicli succesivi. Il percorso assistenziale consta di un protocollo integrato (pediatra-dietista-neuropsichiatra infantile). Hanno afferito alla nostra struttura 112 pazienti dell’età compresa tra 5 e 17 anni, 22 maschi e 92 femmine e BMI Z-score compreso tra -7 e +1. *Servizio materno-infantile, Assessorato alla sanità della Regione Campania 2/2010 75 Un approccio integrato alla grave obesità in età pediatrica P. Iaccarino Idelson, E. Zito, C. Buongiovanni, M. Sticco, A. Franzese Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli Federico II Obiettivi L’obesità è il principale disturbo nutrizionale dell’età evolutiva, ed ha un’eziopatogenesi multifattoriale. Scopo del presente lavoro è stato quello di analizzare un nuovo protocollo assistenziale per la terapia della grave obesità. Metodi Sono stati presi in considerazione due gruppi di 25 pazienti ciascuno (15M, età 6,5-15 aa, BMI z-score >2), seguiti con due diversi protocolli assistenziali. Entrambi i protocolli prevedevano un ricovero della durata di 6 giorni, durante il quale erano sottoposti ad un regime dietetico moderatamente ipocalorico, ad una valutazione psicologica e ricevevano rieducazione dietetica. Venivano inoltre analizzati i seguenti parametri: glicemia, insulinemia, colesterolemia totale, trigli- 76 ceridemia, transaminasemia, i cui valori di riferimento sono quelli del laboratorio centralizzato della nostra Università, l’HOMA (v. n. <4). Il primo gruppo seguiva follow-up mensili di tipo nutrizionale. Il secondo gruppo era incoraggiato all’attività motoria tramite la consegna di contapassi per tutto il periodo del ricovero, era sottoposto a valutazione impedenziometrica e seguiva follow up integrati (psico-nutrizionali) quindicinali e impedenziometrie mensili. il vecchio protocollo, contro il 61,7% seguendo il nuovo. Per quanto riguarda i cambiamenti dello stile di vita, seguendo il vecchio protocollo il 3,4% riferisce di aver aumentato l’attività motoria, contro il 49% seguendo il nuovo (documentato anche da migliorata composizione corporea). Infine il sostegno psicologico ha contribuito notevolmente a migliorare la compliance al programma terapeutico, riducendo stati di ansia e migliorando dinamiche familiari disfunzionali. Risultati Conclusioni Nel 1° gruppo solo l’8% dei pazienti ritorna fino al 6° mese di follow up, contro il 64% nel 2° gruppo. Il 5% dei pazienti perde il 10% del peso corporeo seguendo il vecchio protocollo, contro il 53% seguendo il nuovo. Il 7,2% riferisce di aver inserito più frutta e verdura nella dieta seguendo La particolare complessità di questi pazienti e i risultati della valutazione psicologica e nutrizionale suggeriscono di migliorare ulteriormente il modello di trattamento, inserendo, un programma di riabilitazione motoria durante il ricovero ed un ciclo di incontri di educazione alimentare con le famiglie dei pazienti. pediatria preventiva & sociale La Sindrome di Miller Fisher-Bickerstaff come causa di coma in età pediatrica A. Le Pira¹, M. R. Politi¹, I. Conti¹, R.M. Pulvirenti¹, F. Bruno¹, E. Lionetti¹, P. Smilari¹, F. Greco¹ ¹ Dip. Di Pediatria Az. Osp. Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania La S. di Miller Fisher (MFS) è una polineuropatia infiammatoria demielinizzante acuta, caratterizzata da oftalmoplegia, atassia e areflessia. Rappresenta una variante della S. di Guillain-Barrè (GBS). L’associazione della forma di MF con la compromissione del SNC viene descritta come S. di Miller Fisher-Bickerstaff. Riportiamo il caso di un paziente di 12 anni ricoverato presso la Clinica Pediatrica dell' A.O.U. "PoliclinicoVittorio Emanuele" di Catania con un quadro clinico compatibile con la S. di Miller Fisher-Bickerstaff. Un caso analogo è stato riportato in letteratura nel 2002 (Matsumoto et al.)1. Il ragazzo, da 2 settimane, presentava febbre continuo-remittente, cefalea e, da 2 giorni, astenia, dolori agli arti inferiori e difficoltà alla deambulazione. Al momento del ricovero si riscontrava rifiuto della deambulazione, ri- flessi osteo-tendini ipoelicitabili, lieve strabismo convergente occhio destro, ma il sensorio era libero. Il giorno seguente, si è assistito a progressivo coinvolgimento neurologico con obnubilamento del sensorio, strabismo convergente all'occhio destro persistente, nistagmo orizzontale ed areflessia ai quattro arti. La puntura lombare ha mostrato aumento della protidorrachia e dell'albuminorrachia e riduzione della glicorrachia. Gli Ab liquorali anti-mielina, anti-gangliosidi, anti-cervelletto, gli antigeni batterici e virali e la PCR eseguiti su sangue e su liquor sono risultati negativi. La RMN encefalo e M.S. con m.d.c. ha riscontrato solo un lieve edema cerebrale e un rallentamento del flusso sanguigno a livello dei seni trasversi. L'EMG/VCN ha rilevato una poliradicolo-neuropatia acuta. Pertanto, è stata intrapresa terapia con Ig e.v. per 5 giorni, cortisone, fisiokinesite- rapia, con rapido miglioramento del quadro clinico e neurologico. Il ragazzo ha presentato i segni tipici della MFS (oftalmoplegia, atassia, areflessia). Tale sintomatologia si è improvvisamente aggravata associandosi a coinvolgimento del SNC fino alla compromissione del sensorio. La nostra esperienza sulla GBS è ampia avendo osservato un numero di pazienti superiore a 100. Di questi solo 2 avevano la classica MFS, ma nessuno aveva riportato compromissione tale del sistema nervoso centrale da condurre al coma. La S. di Miller Fisher-Bickerstaff deve essere pertanto tenuta in considerazione tra le cause di coma. Bibliografia 1. Matsumoto H, et al. Miller Fisher syndrome with transient coma: comparison with Bickerstaff brainstem encephalitis. Brain Dev. 2002;24(2):98-101 2/2010 77 Esperienza locale di 3 anni di ecografia dell’anca neonatale R. Liguori, A. Ferrara, A. Tartaglione, L. Golino, M. Quaresima, A.C. Di Benedetto, L. Palmiero UOC di Pediatria P.O. Marcianise – ASL Caserta L’esame ecografico costituisce l’indagine di prima scelta per lo screening della displasia congenita dell’anca (DCA). Numerosi studi hanno evidenziato la stretta correlazione tra precocità dell’indagine, eseguita in genere tra la 4a e la 6a settimana di vita, e la possibilità di intervenire con efficienza e sicurezza nelle metodiche riabilitative. Dall’Aprile del 2007, nella nostra UO di Pediatria, è stato istituito un servizio ambulatoriale specificamente dedicato allo scopo. 78 Nel periodo dal 5-4-2007 al 31-122009 sono stati sottoposti a tale indagine n. 928 neonati (maschi = 525; femmine = 403), reclutati tra i dimessi dal nostro Nido o inviati da altri punti-nascita. Di ogni paziente è stato anche registrato il profilo anagrafico ed auxologico. L’esame ha permesso di identificare i seguenti casi di stadi maturativi di anca sec. Graf: Ia (n = 405); Ib (n = 397); IIa (n= 102); IIb (n = 6); IIc (n = 8); IId (n = 6); IIIa (n = 2); IIIb (n= 1). pediatria preventiva & sociale Le relazioni statistiche tra stadi di maturazione ed osservazioni cliniche non ha fornito in alcun caso significatività oggettiva. Quindi dalla nostra osservazione è emerso che, parimenti ad altre esperienze similari, l’esame ecografico permette di individuare precocemente tutte le DCA anche nei casi di semeiologia clinica assente, consentendo quindi un trattamento precoce ed una guarigione più efficace e rapida. Manifestazione pubblica di promozione dell’allattamento al seno R. Liguori, A. Tartaglione, F. Boccagna, A.C. Di Benedetto, M. Tartaglione, G. Di Mauro Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale sez. Campania Un Progetto del Ministero della Salute sulla Promozione dell’Allattamento al seno ha visto coinvolti i soci della SIPPS Campania, insieme alla SIP e ad altre associazioni del settore, in qualità di esperti tecnici della materia. E’ stato organizzato un tour di promozione pubblica mediante due giornate nella città di Napoli ed una a Caserta. In tali occasioni sono stati posti in luoghi di facile accesso alla popolazione un gazebo-palco ed un camper-ambulatorio. Sono stati altresì coinvolti nella manifestazione i principali referenti pubblici istituzionali e non (Presidente della Provincia, Direttori di ASL, Assessori regionali, Responsabili di UO di Pediatria e Neonatologia, Direttori di Dipartimenti materno-infantile, associazioni di volontariato, etc.). La giornata è stata dedicata alla vi- sione di filmati e di diapositive relative alla promozione dell’allattamento esclusivo al seno dei neonati con indicazione dei suoi relativi innegabili vantaggi in confronto ai danni derivanti dalla deprecabile diffusa abitudine di precoce utilizzo di latti alternativi formulati in casi non previsti dalle necessità cliniche. Il contributo del tavolo tecnico della SIPPS, situato in un lato del gazebo facilmente identificabile dall’utenza afferente, è consistito nel fornire informazioni chiare, semplici, significative, per le richieste sull’argomento da parte del pubblico. Al tavolo risultavano contemporaneamente presenti un pediatra, un’ostetrica ed un infermiera pediatrica che dovevano soddisfare, secondo le proprie specifiche competenze, i dubbi e le richieste ricevuti. Nel corso delle tre giornate sono sta- te effettuati dagli esperti SIPPS n. 330 consulti sull’argomento. In particolare si è richiesto l’intervento del pediatra in 190 casi, dell’infermiera pediatrica in 75, dell’ostetrica in 65. Le domande più frequenti hanno riguardato l’uso contemporaneo di farmaci, i possibili danni estetici, i problemi di tempo, lo scarso accrescimento. Nel complesso l’utenza si è dimostrata molto sensibile all’argomento e soddisfatta delle risposte ricevute. La necessità di partecipazione combinata di più figure professionali allo scopo dimostra, ancora una volta, che l’attività di promozione di questa sana abitudine alimentare risulta imprescindibile da un’azione congiunta di impegno da parte di tutti i professionisti che si occupano a vario titolo dell’infanzia e delle sue problematiche cliniche e sociali. 2/2010 79 Prevenzione dell’abbandono del latte materno mediante ambulatorio dedicato R. Liguori1, F. Boccagna2, A.C. Di Benedetto1, A. Perrone1, F. Vollaro1, M. Tigra1, M. Ciaraldi1, L. Palmiero1 UOC di Pediatria; 2UOC di Ostetricia e Ginecologia - PO Marcianise (ASL Caserta) 1 La promozione ed il sostegno dell’allattamento al seno costituiscono uno degli impegni prioritari assunti dall’OMS e da tutti i suoi stati membri. Anche la recente legislazione italiana nazionale e regionale se ne fa partecipe con iniziative e promozioni continue. In tale ottica abbiamo, anche nella nostra realtà operativa, voluto impegnarci all’innalzamento delle percentuali di incremento di tale fisiologica, economica e vantaggiosa pratica di nutrizione infantile. Da un’analisi effettuata mediante interviste telefoniche alle mamme dimesse dal nostro ospedale ci siamo resi conto che gli sforzi effettuati dal personale tutto al momento della dimissione per incentivare il mantenimento per lungo periodo dell’allattamento esclusivo al seno era risultato relativamente insufficiente. 80 Si è così pensato, a tal proposito, di intraprendere un’attività di informazione-formazione successiva alla dimissione dal Nido mediante un lavoro di sostegno alle neomadri con l’istituzione in ospedale di un ambulatorio specificamente dedicato, coinvolgendo ad un tempo l’infermiere, l’ostetrica e il pediatra. L’ambulatorio risulta aperto con orario flessibile nelle ore del mattino di tutti i giorni feriali; è a prestazio- ne diretta senza passaggio per il CUP e senza prenotazione ed ha effettuato quanto si era previsto, secondo le specifiche competenze del personale impegnato, per un periodo di circa 6 mesi. E’ stata ripetuta a questo punto l’intervista telefonica secondo il precedente protocollo su un congruo numero di neomadri. I risultati ottenuti sono sintetizzati nella seguente tabella: Tabella 1 - Interviste telefoniche Latte materno esclusivo N (%) Latte misto o solo formula N (%) Prima dell’ambulatorio (410) 161 (39.2) 249(60.7) Dopo l’ambulatorio (392) 213 (54.3) 179 (45.6)50 I risultati raggiunti, con il notevole incremento del mantenimento per un più lungo periodo dell’allattamento al seno del neonato, ci incoraggiano a proseguire nell’impegno, eventualmente con opportune correzioni in itinere mirate ad una maggiore partecipazione dell’utenza. pediatria preventiva & sociale Primi risultati di una indagine sulla conoscenza delle linee guida dell’igiene delle mani in pediatria R. Liguori, L. Pinto, M.I. Spagnuolo, M.T. Carbone,R. Di Lorenzo, F. Pullano, F. Raimondi Dipartimento SIPS Campania L’applicazione delle raccomandazioni per l’igiene delle mani è un elemento fondamentale per prevenire la trasmissione delle infezioni sia in Ospedale, che negli ambulatori e nelle famiglie. Nella presente nota vengono presentati i primi dati di una indagine della SIPPS Campania sulla conoscenza di queste Linee Guida, effettuata mediante questionari distribuiti in occasione di Corsi di aggiornamento. Sono stati raccolti fino ad ora i dati relativi a 91 pediatri ed 84 infermieri pediatrici. Il 25% degli intervistati aveva seguito un Corso di formazione sull’igiene delle mani (infermieri 35%, pediatri 20 %, ma solo il 10 % dei Pdf ). 82/91 pediatri dispongono di un antisettico per le mani nel posto di lavoro, 29/82 ne conoscono il nome, 16 ne individuano correttamente il principio attivo. Il 48% dei pediatri effettua l’igiene delle mani con un antisettico (78 % infermieri), il 34 % con acqua e sapone (20 % infermieri), il 18 % con frizione alcolica. Il 95% degli infermieri dichiara di applicare l’igiene delle mani quando assiste qualsiasi bambino, contro il 65 % dei Pdf (il 35% l’applica se lo ritiene necessario) ed il 90 % dei pediatri ospedalieri. Il 65 % dei pediatri applica l’igiene delle mani prima e dopo avere indossato dei guanti (infermieri 85 %), ma il 10 % ritiene che in questo caso l’igiene è superflua. Il 22 % dei pediatri prima di vaccinare un bambino friziona le mani con alcol, il 32 % le lava con acqua ed antisettico, il 30% con acqua e sapone; il 14 % ritiene che si debbano indossare i guanti (infermieri 29 %), per il 2 % tali misure sono superflue. I dati raccolti, anche se ancora limitati, confermano l’importanza della campagna promozionale dell’igiene delle mani “Segui l’esempio del tuo pediatra” che la SIPPS Campania intende attuare, per favorire una larga diffusione delle raccomandazioni internazionali sull’igiene delle mani non solo negli Ospedali, ma soprattutto negli ambulatori dei pediatri, primo presidio dell’assistenza territoriale. Le famiglie, seguendo l’esempio del loro pediatra, saranno indotte ad applicare nelle loro case e nella vita quotidiana i principi dell’igiene delle mani, riducendo così il rischio della trasmissione secondaria intrafamiliare delle malattie infettive. 2/2010 81 38-Mariniello:37-Caramia fitosteroli 20-05-2010 16:42 Pagina 82 La prevenzione dentale oggi L. Mariniello1, G. Di Mauro2, F. Di Mauro3 Pediatra di famiglia, Componente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale Pediatra di famiglia, Presidente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale 3 Studente della Facoltà di Medicina e Chirurgia della II Università di Napoli 1 2 Obiettivo della prevenzione è di mantenere l’uomo sano il più a lungo possibile. La prevenzione primaria si occupa di prevenire il danno, la secondaria ha l’obiettivo di ridurre al minimo gli effetti di un danno esistente e di prevenire le recidive, quella terziaria, invece, consiste in una riabilitazione terapeutica vera e propria. Per un’efficace prevenzione primaria è indispensabile una buona capacità comunicativa al fine di indurre il singolo o gruppi di individui a modificare il proprio comportamento. Anche in campo odontoiatrico fondamentale è il ruolo del pediatra che, per i suoi frequenti contatti con il bambino e i suoi genitori, può attuare un efficace programma preventivo. L’informazione, l’istruzione, l’educazione e la motivazione sono i canali attraverso cui il Pediatra deve svolgere il suo ruolo di educatore. L’informazione deve essere elementare ma nello stesso tempo tecnica e scientifica. Gli obiettivi principali sono: 1.La prevenzione della carie 2.La prevenzione dei quadri di malocclusione Anche nella prevenzione secondaria, che prevede già l’esistenza di un danno, anche se minimo, il Pediatra ha un ruolo critico in quanto, in particolare durante i Bilanci di salute, può intercettare precocemente problemi del cavo orale da inviare all’os- 82 servazione dell’odontoiatra per una precoce diagnosi e terapia. La prevenzione terziaria, invece, è di stretta competenza dell’odontoiatra, in quanto il danno esiste ed è in fase avanzata, per cui si tratta di una riabilitazione vera e propria. Ruolo del Pediatra, in tal caso, è quello di educare il paziente affinché attui il trattamento prescritto e mantenga poi il risultato riabilitativo realizzato dall’odontoiatra. Prevenzione della carie La carie è una malattia degenerativa dei tessuti duri del dente (smalto e dentina) che origina in superficie e procede in profondità determinata dagli acidi organici prodotta dai batteri della placca dentaria per fermentazione dei carboidrati presenti nella dieta. La carie, pertanto, è una patologia infettiva dovuta a batteri normalmente non nocivi, che in particolari condizioni diventano in grado di determinare danni. L’adesione alle superfici orali è una condizione indispensabile per la sopravvivenza dei batteri, permettendo di non essere ingoiati e distrutti nello stomaco. Dopo appena due minuti dalla pulizia, la superficie del dente viene ricoperta da uno strato di glicoproteine che prende il nome di pellicola salivare e che ha funzione protettiva. I batteri utilizza- pediatria preventiva & sociale no proprio questa pellicola per aderire alla superficie dentale e dopo 12 ore si ritrova una patina costituita da 10 strati di cellule, che diventa, in caso di mancata pulizia, di 100 strati a 24 ore e di 300 a 48 ore, dove i batteri sono tenuti insieme da un’impalcatura glicoproteica. Questa placca micobatterica, semipermeabile, taglia fuori la superficie dentale dall’azione protettiva della saliva. I genitori e i bambini più grandi devono essere messi a conoscenza dell’eziologia della carie per divenire consapevoli che corrette procedure d’igiene orale sono in grado di prevenirla. Per espletare una prevenzione primaria ottimale genitori e bambini devono essere intervistati sulle abitudini di igiene orale: • frequenza dello spazzolamento; • tecnica di spazzolamento; • tipo di spazzolino utilizzato; • tipo di dentifricio; • utilizzo del filo interdentale o dello scavolino; • utilizzo di collutorio al fluoro; • altri eventuali presidi di igiene orale; • abitudini alimentari. Le informazioni ricevute diventano fondamentali per permettere al pediatra di adattare al singolo caso i diversi mezzi disponibili di prevenzione primaria: • insegnamento delle corrette tecniche di spazzolamento; • consigli alimentari; • Impiego topico e sistemico del fluoro; • Applicazioni di sigillanti; • Utilizzo del rivelatore di placca. La prevenzione deve iniziare dalla gravidanza. Essenziale in tale periodo è un’adeguata nutrizione in quanto i denti del bambino iniziano a formarsi prima della nascita, per cui occorre assicurarsi che nella dieta materna ci sia una quantità sufficiente di calcio, fosforo, vitamine A, C e D quali pilastri costitutivi di denti sani. La gestante necessita di circa 1200 mg di calcio al giorno, presenti in circa 4 bicchieri di latte. Se necessario, il ginecologo dovrà prescrivere integratori adeguati. L’igiene dentale è essenziale per prevenire nei bambini, fin dalla nascita, la carie e le altre malattie del cavo orale e gli adulti, con alcuni loro comportamenti e abitudini, rivestono un ruolo determinante per la futura salute dei denti dei loro figli. Quando il bambino nasce, i suoi denti sono già presenti come germi inclusi nella gengiva in quanto iniziano a formarsi sin dal secondo mese dal concepimento. Il fatto che i denti non siano ancora presenti in arcata non esime i genitori dal praticare una corretta igiene orale quotidiana. Le mucose del cavo orale, dopo le poppate e dopo i pasti nei mesi successivi allo svezzamento, devono essere ripulite della pellicola di placca e dai residui alimentari che ristagnano su di esse e sui denti decidui. La mamma può realizzare un’efficace igiene orale di suo figlio dopo ogni pasto avvolgendosi un dito con una garza bagnata e strofinandolo poi sulle superfici del cavo orale. Così potrà pulire la lingua, le guance, le gengive dalla pellicola di placca residua e dopo il sesto mese, anche la superficie dei denti decidui che cominciano a comparire. Questa pratica dovrebbe essere portata avanti fino a circa 18 mesi, allorquando si inizierà a usare uno spazzolino a setole morbide. Un’abitudine assolutamente scorretta, più diffusa in passato, è quella di dolcificare i ciucci con zucchero, miele, nutella o altro al fine di tranquillizzare il piccolo. Gli zuccheri presenti nel cavo orale dopo 15-20 minuti, vengono trasformati in acidi in grado di aggredire lo smalto dei denti e di procurare carie. Anche l’abitudine di addormentare il bambino con l’ausilio di un biberon di succo di frutta o latte dolcificato è causa di danni dentali. Il ciuccio e il biberon usati in questo modo scorretto sono causa di carie che compaiono caratteristicamente sulla parte esterna degli incisivi superiori decidui. Ciò determina una situazione orale non solo antiestetica ma fortemente predisponente, per le abitudini acquisite, a carie future interessanti i su denti permanenti. L’alimentazione dallo svezzamento in poi deve contenere alimenti ricchi di vitamine C e D (agrumi, pomodori, latticini, uova) per favorire, tra l’altro, una corretta mineralizzazione dei denti. Alla fine del terzo anno la dentizione è completa ed il bambino ha in bocca 20 denti che deve tenere con cura. Già verso la fine del secondo anno di vita è consigliabile introdurre l’uso dello spazzolino da far usare al bambino sotto il controllo di un adulto. Si consiglia di usare un dentifricio al fluoro, ma solo in piccola quantità in quanto buona parte rischia solo di essere ingerito. Dai tre ai sei anni la dentizione decidua resta stabile. Dopo i sei anni inizia la muta dei denti e i venti denti da latte vengono sostituiti con 28 denti permanenti entro il dodicesimo anno. Dal sesto anno in poi sui denti permanenti è opportuno ap- plicare dei sigilli occlusali, che uniti alle visite periodiche dal dentista, aiuteranno il piccolo ad arrivare all’età adulta senza carie o con danni dentali minimi. La placca batterica è una sostanza quasi incolore per cui, in genere, è difficilmente riconoscibile. Per rendere evidente anche i depositi più leggeri si fa ricorso a particolari sostanze chiamate “rivelatori di placca” che sono disponibili in varie forme (liquidi, tavolette, compresse). Si tratta di sostanze coloranti che diffondendo tramite la saliva nella placca permettono di evidenziare le zone che necessitano di una particolare attenzione nelle operazioni di pulizia del cavo orale. La placca più spessa, che è la più vecchia, assume un colore blu, mentre quella più sottile, che è la più recente, diventa rosso-lilla. L’uso dei rilevatori di placca sono anche di grosso aiuto per sensibilizzare il paziente all’igiene del cavo orale e per istruirlo ad una corretta tecnica di pulizia. La possibilità di osservare nella propria bocca le zone coperte da placca migliora il suo impegno nella fase di rimozione facilitando l’acquisizione delle corrette tecniche. Sin da tempi remotissimi l’uomo ha avvertito la necessità di rimuovere le particelle di cibo dagli spazi interdentali e la patina che si accumula sulla superficie dei denti. Ma solo alla fine del 1800, con gli studi di Miller sulla flora batterica orale, si inizia a comprendere l’eziopatologia di carie e gengiviti e si individua nel corretto spazzolamento dei denti la possibilità di prevenire la carie. Al consolidarsi dell’abitudine dello spazzolamento quotidiano dei denti, con conseguente rimozione di quella causa, i batteri, senza la quale non si ritiene possibile il manifestarsi di patologia, si deve il drastico calo dell’incidenza della carie e delle gengi- 2/2010 83 viti in questo ultimo ventennio. Lo scopo dello spazzolamento è quello di disgregare e allontanare dalla bocca quell’insieme organico che chiamiamo placca, senza che tale procedura produca lesioni dei tessuti orali. Gli spazzolini oggi in commercio rappresentano una garanzia di igienicità e sicurezza. Il manico di legno, che tratteneva i residui di dentifricio, è stato sostituito dalle materie plastiche e le setole di origine animale, che divenivano ricettacolo di batteri, hanno lasciato il posto alle setole di nylon sottile con levigatura delle punte che garantiscono l’indennità dei tessuti molli. Per un efficace spazzolamento sono importanti la frequenza, la durata, la pressione, la tecnica, le condizioni dello spazzolino. Gran parte dei bambini italiani tende a spazzolare i denti due volte al giorno. In realtà tale frequenza può essere ritenuta accettabile anche da un punto di vista scientifico, se correttamente praticato. Si ritiene che la durata ottimale dello spazzolamento debba essere di circa un minuto per arcata. In realtà vari studi hanno dimostrato che gran parte dei soggetti si spazzola per meno di un minuto in totale, per un’imprecisa percezione del tempo dedicato. Diventa importante suggerire metodi di controllo della durata, quali, per esempio, l’uso di un orologio o di un timer, o l’ascolto di un brano musicale. Lo spazzolamento è efficace se riesce, con l’azione meccanica delle punte dei filamenti, a disgregare e allontanare il biofilm batterico. Con gli spazzolini oggi in commercio si ritiene che la pressione ottimale non debba superare i 300-400 gr. In realtà gran parte dei soggetti premono con una pressione superiore ritenendo che più forte si preme più placca si asporta. L’eccessiva pressione non pulisce di più ma si rende responsa- 84 bile, con il tempo, di lesioni da spazzolamento sia a carico dello smalto che delle gengive. Bisogna far capire al bambino che per quanto abrasivo possa essere un dentifricio e duro uno spazzolino, è la forza applicata durante lo spazzolamento la vera causa delle lesioni. Lo spazzolamento produce un progressivo deterioramento delle setole per cui la superficie che agisce sulla placca si riduce. La maggioranza della popolazione sostituisce lo spazzolino ogni 6-7 mesi, mentre vari studi hanno dimostrato che uno spazzolino nuovo rimuove quasi il doppio della placca rispetto a uno vecchio di 3 mesi di uso. Numerose sono le tecniche di spazzolamento proposte da vari autori al fine di suggerire una manualità in grado di detergere efficacemente anche quelle superfici che sono più difficili da raggiungere. La metodica più indicata in età pediatrica, potenzialmente poco lesiva e priva di effetti traumatizzanti è quella descritta da Leonard nel 1949 e meglio conosciuta come tecnica verticale o “metodo del rosso/bianco”. Ad arcate chiuse si spazzolano le superfici vestibolari muovendo lo spazzolino verticalmente dalla gengiva (rosso) alla corona (bianco). Le superfici interne e masticatorie vengono spazzolate separatamente. La tecnica orizzontale è considerata dannosa in quanto può produrre abrasione del dente. Peraltro non rimuove la placca dalle aree interprossimali. Per la pulizia delle superfici masticatorie, invece, un movimento orizzontale sarebbe corretto, ma si preferisce suggerire un movimento rotatorio, per evitare che il bambino estenda il movimento orizzontale alle altre superfici. Per quanto riguarda gli spazzolini elettrici, quello sottoposto al maggior numero di valutazioni cliniche è pediatria preventiva & sociale il Brune Oral-B, che oscilla 7600 volte al minuto e pulsa 40000 volte. Il Kids Braun Oral-B è dotato di una testina più piccola con filamenti che si aprono “a fiore” per una maggiore delicatezza sui tessuti dentali. Un timer musicale motiva il bambino a spazzolarsi più a lungo. Vari studi clinici non hanno evidenziato una differenza per quel che riguarda la potenzialità di ledere i tessuti rispetto allo spazzolamento manuale. Nessun spazzolino azionato manualmente può competere con uno elettrico per numero di “colpi” che disgregano la placca. Si pensi che uno spazzolino manuale viene mosso circa 60-70 volte al minuto, mentre uno elettrico effettua migliaia se non decine di migliaia di movimenti al minuto. Questi dati indicano che possiamo consigliare senza remore questi strumenti. Ma lo spazzolamento dei denti non sempre riesce a rimuovere la placca dalle superfici interprossimali, specialmente dei molari e premolari. L’igiene interdentale rappresenta, invece, una necessità basilare di ogni paziente in grado, per l’età, di essere educato all’uso del filo interdentale. Il tipo più diffuso è il filo di nylon costruito dall’intreccio di fili sottilissimi (generalmente 144) che per la sua resistenza deve essere impiegato con cura in quanto potrebbe produrre lesioni, anche gravi, dei tessuti. Per tal motivo fondamentale è l’istruzione del paziente. In un primo momento ci si limiterà a far apprendere un superamento sicuro del punto di contatto e la rimozione della materia presente nello spazio interdentale. Il bambino deve far superare il punto di contatto con movimenti di va e vieni del filo, senza spingerlo in modo brusco verticalmente in quanto, in tal modo, può rischiare di colpire la papilla con conseguente dolore e sanguinamen- to. Dopo aver appreso tale manualità si insegnerà a curvare il filo intorno al dente facendogli assumere una forma a “C”. Occorre muoverlo in modo da farlo scivolare lentamente sulla superficie, orizzontalmente e verticalmente. Un’alternativa al filo sono gli scovolini, detti anche spazzolini interdentali, che hanno un ciuffo di setole a spirale. Sono adatti a rimuovere la placca interprossimale qualora esista uno spazio interdentale abbastanza largo e per veicolare gel al fluoro a scopo preventivo o desensibilizzante. Il dentifricio è una sostanza che si applica sulla superficie dei denti per mezzo di uno spazzolino e che ha un duplice scopo: • cosmetico e sanitario, per rimuovere dalla superficie dei denti e dalla gengiva i residui di cibo e le tracce di placca batterica; • preventivo e terapeutico, quando è utilizzato come vettore per il trasporto di sostanze specifiche sulla superficie dei denti. A seconda della forma (liquida, in polvere, in pasta o in gel) può variare la loro composizione quantitativamente o qualitativamente, ma alcuni ingredienti di base sono costanti. Le sostanze presenti nel dentifricio in polvere sono: • detergenti • abrasive • dolcificanti • aromatizzanti I dentifrici in pasta o in gel contengono inoltre: • leganti • umettanti • conservanti • coloranti La pasta dentifricia deve possedere alcuni requisiti fondamentali: • avere un buon sapore • non essere irritante per le mucose • non essere dannosa per l’organismo • essere liscia • essere abrasiva in giusta misura • lasciare l’alito fresco. I dentifrici appartenenti alla categoria dei terapeutici hanno in più la sostanza medicamentosa o alcuni principi attivi in una quantità che varia in percentuale dall’1 al 3% del totale. Tali sostanze, aggiunte a scopo preventivo o curativo, caratterizzano vari tipi di dentifrici: • antisettici (contenenti clorexidina, sali di ammonio quaternario ecc.) • al fluoro (a base di fluoruri inorganici o organici) • con antibiotici o vitamine • allo iodio • salini • desensibilizzanti La loro azione è mirata alla: • prevenzione della carie • riduzione della formazione della placca batterica • riduzione della formazione del tartaro • riduzione dell’infiammazione gengivale • riduzione della sensibilità dentinale. I colluttori sono una soluzione usata per eseguire sciacqui nel cavo orale. Possono essere cosmetici e terapeutici. I primi sono composti solo da una soluzione a base di acqua, alcool e aromi, mentre i secondi contengono anche uno o più principi attivi. I vari colluttori in commercio possono essere prescritti per la pulizia della bocca o in situazioni patologiche per favorire la guarigione e alleviare il dolore. I principi attivi aggiunti ai colluttori possono essere: antimicrobici (clorexidina, iodio, fluoruri, fenolo, composti a base di Sali d’ammonio ecc.), ossigenanti ( perossido di idrogeno, perborato di sodio ecc.), calmanti (composti fenolici, olii essenziali), astringenti (cloruro di zinco, acetato di zinco, acido citrico ecc.), deodoranti (clorofilla), antiacidi (bicarbonato di sodio, borato di sodio, perborato di sodio). La fluoroprofilassi e l’utilizzo dei fluoruri è scientificamente riconosciuto il metodo più efficace per la prevenzione e il controllo delle lesioni cariose, ciò perché il fluoro è essenziale per la formazione dei denti e delle ossa. Il 99% del fluoro che si trova nell’organismo è localizzato nei tessuti mineralizzati. Il fluoro agisce trasformando l’idrossiapatite, che è la principale componente minerale dei denti, in fluoroapatite tramite sostituzione degli ioni idrossido con ioni fluoro. La fluoroapatite è più resistente all’acido derivato dalla glicolisi degli zuccheri metabolizzati dalla placca ed è una molecola più piccola dell’idrossiapatite, il che rende i cristalli dello smalto più stabili. Il fluoro, inoltre, ha un’azione batteriostatica. Inibisce i batteri della placca agendo a livello della permeabilità della membrana. Le applicazioni topiche si distinguono in applicazioni ad alta concentrazione e bassa frequenza, eseguite da personale specializzato in ambulatorio, in genere ogni sei mesi, con preparati contenenti da 1000 ad oltre 12000 ppm/F (parti di fluoro per milione) e applicazioni a bassa concentrazione, inferiore a 1000 ppm/F e alta frequenza, tramite dentifrici e colluttori. La fluoroprofilassi per via locale può essere realizzata con composti inorganici (fluoruro di sodio, monofluorofosfato, fluoruro stannoso) o con composti organici (amine fluorurate). La profilassi al fluoro domiciliare avviene attraverso l’utilizzo di colluttori e dentifrici. I colluttori al fluoro possono essere ad alta concentrazione, preparati con soluzioni di NaF 0.2% pari a 900 ppm/F e applicati con frequenza settimanale, indicati in pazienti, soprattutto adolescenti e adulti, ad alto rischio di 2/2010 85 carie e a bassa concentrazione, con livello di fluoro inferiore a 250 ppm. Questi ultimi, consigliato per uso quotidiano, sono indicati nei seguenti casi: • giovani pazienti nel periodo di alto rischio di carie dell’adolescenza, dovute a scarsa igiene; • aree demineralizzate dello smalto; • esposizione di superficie radicolare da malattia o da trattamento chirurgico parodontale; • casi di carie rapidamente deostruenti; • situazioni di igiene orale difficoltosa, in presenza di dispositivi ortodontici; • ipersensibilità dentinale. Gli sciacqui con soluzioni fluorurate sono prescrivibili a bambini al di sopra dei sei anni e comunque in grado di controllare bene lo sciacquo, senza deglutire la soluzione. Gli sciacqui devono essere effettuati, per almeno un minuto, di sera dopo aver effettuato le consuete manovre di igiene domiciliare. Per quanto riguarda la fluorizzazione sistemica, è indiscutibile che il fluoro presente negli alimenti è insufficiente per coprire il fabbisogno. La fonte principale di fluoro è rappresentata dall’acqua, ma il contenuto delle acque “del rubinetto” è estremamente variabile a seconda delle zone. Peraltro in Italia si beve soprattutto acqua minerale imbottigliata, nelle quali il contenuto in fluoro è egualmente variabile e non sempre correttamente indicata sull’etichetta. Si può anche prescrivere fluoro in compresse o in gocce. Ovviamente i benefici ottenuti da una fluoroprofilassi sistemica si hanno solo in fase evolutiva sullo smalto (0-12 anni). La dose consigliata (da 0.25 a 1 mg/die), al di là degli schemi, dovrebbe essere decisa in rapporto all’età e alla quantità di fluoro assunta dal bambino da altre fonti: 86 acqua minerale, sale fluorato, composti vitaminici con fluoro, pappe, acqua potabile ecc. Se l’acqua utilizzata nell’alimentazione supera 0.7 ppm/F il trattamento con fluoro sistemico non è necessario. La necessità di prescrivere il fluoro così come si prescrive un farmaco deriva dal rischio di provocare una fluorosi dentale. Infatti se l’incorporazione di fluoro nel dente, sotto forma di fluoroapatite, è eccessiva, l’attività ameloblastica risulta danneggiata, causando la formazione di una matrice dello smalto difettosa. L’area interessata può apparire come una macchia bianca o come aree marroni maculate. Le white spot dovute a florosi, antiestetiche ma assolutamente benigne, sono presenti sulla superficie del dente fin dalla sua prima eruzione, mentre le white spot che appaiono in epoche successive all’eruzione rappresentano aree di demineralizzazione, per cui preannunciano la carie. Oggi molti autori consigliano di somministrare il fluoro per via sistemica sino a quando non si usa il dentifricio contenente fluoro, il che deve avvenire quando il piccolo diventa in grado di sciacquare la bocca. Prevenzione dei quadri di malocclusione In campo odontoiatrico il Pediatra ha anche il compito di prevenire, sorvegliare ed eventualmente correggere le condizioni funzionali che possono influire negativamente sull’apparato stomatognatico. Le condizioni che più di frequente possono agire in tal senso sono: il succhiamento delle dita o del suchiotto, la spinta linguale sui denti, le vie aeree ristrette a causa di tonsille e adenoidi ipertrofiche, il bruxismo e i traumi. pediatria preventiva & sociale Per non compromettere il regolare sviluppo dell’occlusione dentale l’Accademia Americana di Pediatria raccomanda alle mamme di togliere il ciuccio ai bambini dopo i 2 anni di età. L'attività di suzione è per il neonato non solo funzionale alla nutrizione ma più in generale al suo totale benessere psicofisico considerato che gli conferisce tranquillità e sicurezza. E' tuttavia necessario che al termine del primo anno di vita tale attività sia ridotta al minimo, fino alla sua interruzione definitiva entro i due anni, perché altrimenti può agire come agente deformante delle arcate dentarie e dei mascellari in crescita. Da una ricerca condotta negli Usa e pubblicata sul Journal of the American Dental Association è emerso che una malocclusione nella parte posteriore della bocca, nell’area dei molari, è presente nel 20% dei bambini che continuano a usare il ciuccio o a succhiare il dito fino a 4 anni di età, nel 13% di quelli che smettono a 2-3 anni, e nel 7% di quelli che succhiano fino a 1-2 anni. Nei bambini che continuano a succhiare dopo i 4 anni è frequente anche la protusione degli incisivi. Allorquando avviene il passaggio dalla nutrizione di tipo infantile, con la lingua tra le arcate mascellari edentule, a quella di tipo adulto, con la lingua all'interno delle arcate dentarie decidue, cioè nel corso dello svezzamento, devono essere limitati i comportamenti che tendono a mantenere e a rafforzare nel bambino gli atteggiamenti succhianti tipici del periodo neonatale: il succhiamento del dito, l'uso del succhiotto e l'alimentazione prevalente al biberon. Il loro mantenimento ad oltranza ostacola il processo di maturazione del meccanismo nutritivo di tipo adulto, composto di masticazione e deglutizione dei cibi. La lingua continua a funzionare tra le arcate dentarie decidue anziché al loro interno, e i muscoli facciali, in particolare il muscolo orbicolare delle labbra, il mentale e il buccinatore, diventano iperattivi nel tentativo di sigillare i bordi e la punta della lingua, così come necessario al neonato durante la poppata. Le alterazioni del tono e della funzione dei muscoli facciali si ripercuotono sulle arcate dentarie decidue in formazione e sui mascellari in crescita portando a diversi e a volte severi quadri malocclusivi. Il bruxismo, cioè il digrignamento dei denti, involontario, durante la fase di sonno leggero o REM, interessa con variabile intensità e durata circa il 50% dei bambini, ma solo in circa il 10% si addiviene a danni all’apparato dentario. E’ stata dimostrata una predisposizione familiare, ma predispongono al bruxismo anche le malocclusioni, lo stress e l’ansia. E’ dovuto a contrazioni ripetute e involontarie dei muscoli masticatori (massetere, temporale e pterigoideo). Il rumore prodotto dal digrigmamento dei denti, molto intenso e spiacevole, risveglia gli altri membri della famiglia, anche in altra stanza, ma non è avvertito dal paziente. I danni all’apparato dentale possono essere importanti: usura della superficie dei denti, sanguinamento delle gengive, disturbi della masticazione e danni a carico dell’articolazione della mandibola. Può anche creare problemi di malocclusione dentale. Compito del Pediatra è quello di valutare se esistono condizioni predisponesti (ansia, stress, malocclusioni dentarie) consigliando provvedimenti specifici e di valutare eventuali danni all’apparato dentario e l’opportunità di consultare lo specialista ortodontista. Nell'ambito della prevenzione delle malocclusioni fondamentale è intercettare precocemente la respirazione orale. Questa condizione, talora accompagnata da russamento, è una causa potentissima di malocclusione. La lingua, per permettere all'aria di passare, si posizionerà in una postura abbassata e quindi stimolerà una crescita errata della mandibola e del palato, non poggiando e spingendo sopra di esso come normalmente avviene. Verrà meno, così, un altro potente stimolo alla espansione del palato. L'aspetto del bimbo sarà quello della "facies adenoidea" con viso allungato e tendenza ad aprire la bocca. Se non viene corretta predisporrà alla recidiva allorquando si smette il trattamento ortodontico. Delle abitudini viziate fanno parte anche i difetti della postura della lingua, la cosiddetta deglutizione atipica, caratterizzata dalla spinta della lingua sui denti anziché sul palato durante gli atti di deglutizione, generata spesso da uso improprio di ciuccio e biberon. La deglutizione atipica porta a contrattura periorale, interposizione della lingua tra le due arcate e conseguente morso aperto. Lo stesso problema ortodontico può derivare dalla respirazione orale protratta. Si tratta di circoli viziosi che bisogna interrompere il più presto possibile. Gli specialisti preposti a queste terapie sono, oltre l'ortodontista, l'otorino, il foniatra e il logopedista, con i suoi esercizi. Compito del Pediatra è quello di intercettare tali abitudini viziate, di indirizzare il bambino agli specialisti preposti, di seguire i trattamenti prescritti e di accertarsi del mantenimento nel tempo dei risultati ottenuti. 2/2010 87 39-Mariniello:37-Caramia fitosteroli 20-05-2010 16:42 Pagina 88 Le figure mediche di supporto alla famiglia per educare i ragazzi ad una sessualità matura L. Mariniello1, G. Di Mauro2, D. Di Mauro3 Pediatra di famiglia, Componente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale Pediatra di famiglia, Presidente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale 3 Studente della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bologna 1 2 L’adolescenza è un periodo fondamentale per la sessualità in quanto in questo periodo matura la funzione sessuale, si raggiunge e si consolida l’identità sessuale e vengono sperimentati i primi rapporti di coppia. L’adolescenza si colloca tra la pubertà, in cui avviene la maturazione degli organi genitali con la possibilità di procreare e l’età in cui si raggiunge l’autonomia economica, in questa società sempre più procrastinata (in media 25-30 anni). In questo arco di tempo si dovrebbe raggiungere una identità sessuale certa. La pubertà rappresenta un periodo di “crisi”, la comparsa dei caratteri sessuali secondari si accompagna ad intense percezioni che obbligano l’adolescente ad un complesso lavoro psichico dove desiderio e sessualità occupano un importante posto nello sviluppo dei comportamenti e guidano il difficile passaggio dalla dipendenza all’autonomia. Il prolungamento degli studi e la difficoltà ad accedere al mondo del lavoro prolunga anche di 10 anni i “18 anni” stabiliti dalla legge e ciò comporta un importante “distress” che richiede grosse capacità di adattamento. Interessante, per capire il nostro possibile campo di intervento nei confronti della sessualità dell’adolescente sono i dati scaturiti da un’indagine che ha coinvolto 334 Pediatri italiani che hanno evidenziato che il 88 primo rapporto sessuale si ha a 17 anni e mezzo con alcune variazioni regionali. Il 26.25% delle femmine sessualmente attive usa la pillola, mentre il 30% dei maschi fa uso del preservativo. Circa il 35% degli adolescenti non utilizza nessuna protezione. Alla domanda se i pediatri italiani fossero favorevoli all’uso della “pillola del giorno dopo” in caso di rapporto non a rischio, si sono dichiarati favorevoli solo il 14,3% dei pediatri, mentre l’85,7% si sono dichiarati contrari. Considerato che con la caduta dei divieti e dei tabù, l’inizio dell’attività sessuale avviene sempre più precocemente, è indispensabile che il pediatra si faccia carico di questo problema. Ma chi si occupa dell’adolescente oltre al Pediatra? • il Medico generalista • l’Endocrinologo • l’Adolescentologo • lo Psicologo • i vari Specialisti, in particolare il ginecologo Il Pediatra, che gode di un’altissima credibilità e fiducia (secondo un’indagine realizzata dal Censis nel 2006, l’80% degli italiani è estremamente soddisfatto dell’assistenza garantita ai propri figli), anche per lo stretto e continuativo rapporto che ha con il bambino e con la famiglia, rappresenta la figura più adatta per accompagnare genitore e bambino pediatria preventiva & sociale nel delicato passaggio dell’adolescenza. Sono assistiti dal Pediatra di famiglia l’81% dei soggetti tra 10-12 anni, il 53% di quelli tra 13 e 15 anni e nessuno dei soggetti tra 16 e 20 anni. I bilanci di salute previsti agli adolescenti in numero di 2 o 3 nei diversi Accordi regionali per la Pediatria di famiglia, rappresentano l’occasione per contribuire all’educazione dei ragazzi ad una sessualità matura e per supportare la famiglia in tal senso (educare i genitori ad educare). E’ stato valutato che l’adolescente tende a recarsi poco dal medico non solo per i controlli programmati (bilanci di salute) ma anche per problemi acuti e cronici (organici o psichici). Per evitare tale rifiuto assistenziale grande importanza assume la nostra capacità di instaurare una relazione empatica e confidenziale con l’adolescente. Dovrebbero essere effettuati almeno due bilanci di salute all’adolescente, uno tra i 10 e i 11 anni e uno tra i 12 e i 14 anni. Un altro tra i 14 e i 16 anni se il ragazzo resta in carico al Pediatra di famiglia, su richiesta dei genitori, per particolari condizioni (patologia cronica, handicap o documentate situazioni di disagio psicosociale). Le problematiche adolescenziali, in costante aumento, su cui deve essere focalizzata l’attenzione del pediatra sono: comportamenti violenti, abuso di sostanze proibite, sessualità vissuta in maniera distorta ed inadeguata, tendenza alla depressione, senso di inadeguatezza nei rapporti con gli altri, scarso rendimento scolastico, bullismo, incidenti stradali, suicidi, gravidanze indesiderate, malattie sessualmente trasmesse, anoressia e bulimia, obesità. Dunque due sono i grandi fronti di intervento da parte nostra nel seguire la sessualità nell’adolescente: la contraccezione e la prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse. Oggi gli anticoncezionali non sono più un simbolo di trasgressione ma, al contrario, sono diventati un dovere onde evitare l’aborto. L’AIDS esige come dovere l’uso del profilattico. L’uso del preservativo è la cosa più immediata da dire, ma non è la sola. Molto spesso i genitori si vergognano in quanto sono impreparati e allora non parlano con i propri figli, ma è importante far capire quante e quali malattie è possibile contrarre con l’attività sessuale scorretta. Considerato che la contraccezione significa una sessualità finalizzata al reciproco piacere e non alla riproduzione, le mutate condizioni culturali devono spingerci ad interessarci oltre che della malattia anche del piacere. Con i nostri consigli dobbiamo assicurare agli adolescenti una sessualità serena, scevra da ansie e da possibili rischi, in altri termini una sessualità matura. Nelle visite programmate è importante: • Sapere se l’adolescente vuole parlare da solo o in presenza dei genitori. Se da solo rassicurare il giovane sulla segretezza del colloquio; • Definire il proprio ruolo di medico disponibile ad ascoltarlo ed a risolvere i suoi problemi; • Rassicurare i genitori che accompagnano il giovane che potranno parlare in privato al termine della visita; • Consigliare al giovane, in caso di colloquio riguardante l’attività sessuale di coppia, di farsi accompa- gnare dal partner ad una visita successiva. • Le visite andrebbero effettuate in giornate specifiche dedicate agli adolescenti con una certa flessibilità di accesso. La visita deve comprendere: • Valutazione clinica completa. Nel corso della valutazione dei genitali esterni e delle mammelle è importante insegnare all’adolescente l’autopalpazione del seno o dei testicoli. • Valutazione psico-socio-comportamentale tesa ad individuare precocemente comportamenti a rischio, unitamente ad un’attività di counseling, intesa come educazione alla prevenzione di tali comportamenti; • Attività di prevenzione attraverso specifici moduli di implementazione; • Educazione sanitaria: prevenzione dei disturbi nutrizionali, educazione sessuale e contraccezione, promozione dell’uso del casco e delle cinture di sicurezza etc.. • Profilassi delle malattie infettive: incrementare i livelli di copertura di alcune vaccinazioni e copertura vaccinale dei soggetti a rischio. La disponibilità di un vaccino contro l’infezione da Papilloma virus (HPV) rappresenta per il Pediatra di Famiglia un’ottima occasione non solo per incidere favorevolmente, con la propria attività assistenziale, sulla tutela della salute dell’adolescente nella prevenzione verso il tumore della cervice uterina, ma anche per ribadire la necessità di seguire corretti stili di vita riguardanti anche altre malattie sessualmente trasmissibili Inoltre il Pediatra nell’opera di informazione rivolta alle adolescenti, può incidere significativamente anche nel far prendere coscienza alle mamme sulla necessità di aderire es- se stesse ai programmi di screening per la diagnosi precoce della medesima malattia,dimostrando come il proprio ruolo sia fondamentale verso il nucleo famigliare nel suo complesso specie in un contesto di insufficiente diffusione dell’esecuzione del Pap-test. La possibilità da parte del Pediatra di dare la corretta informazione in coincidenza del bilancio di salute degli 11 anni in un contesto assistenziale ove oltre il 90% delle ragazze a livello nazionale è da lui attivamente seguita, rende il suo ruolo fondamentale in tale strategia vaccinale. L’informazione sul vaccino va effettuata al bilancio di salute degli 11 anni o anche prima in caso di specifica richiesta dei genitori. L’informazione alla ragazza va data su consenso dei genitori e preferibilmente in presenza della mamma. I messaggi fondamentali da trasmettere sono: • Che cos’è il papilloma virus? Esistono più di 100 tipi diversi di HPV che circolano diffusamente tra le persone. I tipi 16 e 18 possono dar luogo a lesioni più gravi localizzate nel collo dell’utero che possono progredire verso il carcinoma. In Italia questo tumore colpisce ogni anno circa 3500 donne, rappresenta l’1,5% di tutti i tumori femminili. La probabilità che una donna italiana abbia un cancro del collo dell’utero durante la propria vita è del 6.2%. • Come si trasmette l’HPV? Si trasmette per via sessuale, anche con rapporti incompleti. • Ci sono persone che hanno più probabilità di prendere un’infezione da HPV? La massima frequenza di infezioni avviene negli anni successivi all’ini- 2/2010 89 zio dell’attività sessuale. Circa la metà delle donne ha già contratto l’infezione dopo pochi anni dall’inizio dell’attività sessuale. Le persone che hanno molti partner sessuali hanno maggiore probabilità di contrarre un’infezione da HPV. trattamento possibile è rappresentato dall’eliminazione delle lesioni con tecniche diverse (crioterapia, laser o escissione chirurgica) a seconda della sede, estensione e tipologia delle lesioni. Il trattamento delle lesioni non protegge dalle recidive. • Quali malattie provoca l’infezione da HPV? Nella maggior parte dei casi le infezioni determinate da questo virus sono transitorie e spariscono nel giro di alcuni mesi o anni. In alcuni casi l’infezione diventa persistente provocando alcune lesioni nell’area dei genitali. I tipi 6 e 11 provocano i condilomi acuminati che sono piccole escrescenze nell’area genitale che, se non trattate, possono diventare evidenti e fastidiose, ma non evolvono in cancro. I tipi 6 e 18 e altri provocano le lesioni al collo dell’utero che attraverso diversi passaggi possono evolvere verso il carcinoma. • E’ possibile prevenire le infezioni da HPV? L’astinenza sessuale è il metodo più efficace per prevenire l’infezione. L’uso del preservativo non protegge completamente dall’infezione in quanto il virus si trova anche su parti della pelle non coperte dal preservativo. • Come si fa la diagnosi delle malattie provocate da HPV? I conditomi acuminati sono visibili ad occhio nudo, mentre la lesione al collo dell’utero può essere riconosciuta osservando al microscopio le cellule che vengono prelevate durante il Paptest che dovrebbe essere effettuato ogni 3 anni da tutte le donne tra i 25 e i 64 anni. In presenza di anomalie al Pap-test si esegue la colposcopia che si effettua durante l’esame ginecologico mettendo a contatto con il collo dell’utero una sostanza in grado di colorare le lesioni provocate dall’infezione da HPV. La colposcopia è utile per identificare correttamente l’estensione delle lesioni. • Le infezioni da HPV possono essere curate? Non esiste una terapia specifica efficace per l’infezione da HPV. L’unico 90 • Quali vaccini sono disponibili? Esistono 2 vaccini, uno diretto contro i tipi di virus 16 e 18 (Cervarix) che provocano i tumori del collo dell’utero, e l’altro che in aggiunta protegge anche contro i tipi 6 e 11 (Gardasil) che provocano i condilomi e le anomalie lievi del collo dell’utero. • Quali sono i vantaggi della vaccinazione? La vaccinazione eseguita prima dell’inizio dell’attività sessuale è in grado di prevenire una larga parte delle lesioni che precedono il cancro del collo dell’utero. La donna sessualmente già attiva è protetta contro i tipi di virus che non ha ancora incontrato nella sua vita sessuale. Il vaccino non è in grado di curare una lesione già in atto e non ne modifica il decorso. • Il vaccino ha effetti collaterali? Come tutte le altre vaccinazioni, gli effetti collaterali più comuni sono il dolore nel punto dell’iniezione e febbre. Il vaccino non ha dimostrato sinora di avere effetti collaterali rilevanti. • A che età si effettua la vaccinazione? L’età minima alla quale è possibile somministrare i vaccini disponibili è pediatria preventiva & sociale 9 anni e quella massima 26 anni. La vaccinazione viene offerta gratuitamente ed attivamente alle ragazze nel dodicesimo anno di vita. • Come deve essere somministrato il vaccino? La vaccinazione comprende tre dosi somministrate intramuscolo. Il programma prevede lo schema 0-1-6 mesi per il Cervarix e 0-2-6 mesi per il Gardasil. • Dopo aver fatto il vaccino sarà ancora necessario fare il Pap-test? Il Pap-test deve essere eseguito anche dalle donne vaccinate in quanto i vaccini proteggono da 2 a 4 tipi di HPV, ma non da tutti i tipi in circolazione. Peraltro, come accade per altre vaccinazioni, esiste la possibilità che il vaccino contro HPV non protegga dal virus nel modo atteso, sebbene abbia un’efficacia prossima al 100%. Purtroppo ancora notevoli sono oggi le problematiche riguardanti l’assistenza sanitaria degli adolescenti: • Normativa poco attenta agli adolescenti; • Scarso numero di pediatri sul territorio; • Molti pediatri al massimale; • Necessità di assistere i neonati piuttosto che gli adolescenti; • Scarse competenze in adolescentologia; • Disomogenea assistenza sul territorio affidata alla volontà del singolo piuttosto che ad un progetto assistenziale per questa fascia d’età. Sarebbero auspicabili alcuni interventi urgenti al riguardo: • Migliorare le competenze del Pediatra e del medico di MG in adolescentologia; • Favorire una presa in carico “guidata” dell’adolescente tra pediatra e MMG; • Incentivare la esecuzione di più bilanci di salute in questa età prevedendoli anche per la medicina generale (16-20 anni); • Affidare ai medici di assistenza primaria, con specifiche normative, un ruolo nella prevenzione e nella “salute pubblica” di questa fascia d’età. Ipotesi future potrebbero essere: • Estendere la esclusività dell’assistenza pediatrica sul territorio fino ai 18-20 anni? • Creare una figura professionale specialistica sul territorio a cui indirizzare l’adolescente con problemi? • Favorire la integrazione tra pediatra e medico di MG in “studi medici associati territoriali”? La Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale si impegnerà accanto alla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia e ad altre Società scientifiche, in particolare la SIP (Società Italiana di Pediatria) e la SIMA (Società italiana di medicina dell’adolescenza) perchè l’educazione sessuale sia inserita nelle scuole italiane, sin dalle elementari. Ciò perché educazione sessuale o meglio educazione alla sessualità non deve essere semplicemente o semplicisticamente un’ informazione sul sesso, ma deve essere intesa nell’ottica più vasta della “educazione alla salute”, che deve comprendere un’ampia gamma di interventi da parte dei genitori, insegnanti ed operatori sanitari che scaturiscano da una cultura e un linguaggio comuni in grado di mettere il bambino in condizione di conoscere la sessualità in modo equilibrato ed integrata nella sua vita affettiva. Educare i ragazzi ad una sessualità matura significa innanzitutto espletare nel migliore dei modi la prevenzione primaria nei confronti delle malattie sessualmente trasmesse e nei confronti di gravidanze indesiderate in grado di sconvolgere la vita dell’adolescente determinando contemporaneamente irrimediabili ripercussioni nel suo futuro. Le informazioni da dare ai giovani sono tante e tutte in grado di diffondere “salute fisica e psichica”. Per tal motivo diventa indispensabile e le Società scientifiche lo chiedono con forza che l’educazione sessuale vada considerata alla stessa stregua di tutti gli altri insegnamenti sul corretto stile di vita, senza trasformare in questione ideologica un elemento che è invece basilare per il corretto e sano sviluppo fisico e psicologico dei bambini e degli adolescenti italiani. Si auspica quindi che all’interno degli Istituti italiani venga previsto un punto di riferimento stabile per l’educazione sessuale (così come già accade per l’educazione al movimento, per l’educazione alimentare ecc.). Purtroppo la realtà italiana attuale è frammentaria. Non esistendo una normativa che inserisce questo tipo di didattica nelle scuole, l’educazione sessuale è lasciata all’iniziativa di quei dirigenti scolastici e di quelle scuole che sono più sensibili o che hanno più fondi per autofinanziare questo tipo di attività". In realtà, come si rileva nelle centinaia di forum che popolano internet i ragazzi hanno molte domande da fare su questo tema. La maggior parte dei quesiti che gli adolescenti affidano al web riguardano la sfera sessuale ed è un’ulteriore conferma della grave carenza di informazioni che hanno in questo ambito, proprio in una fase molto delicata della loro vita nella quale - ci piaccia o no - iniziano ad avere con il sesso un approccio di tipo adulto. Secondo gli ultimi dati dell’ indagine annuale dalla Società italiana di pediatria sulle abitudini e gli stili di vita degli adolescenti, per oltre il 26% chat e forum rappresentano la principale fonte di informazione sul sesso. Oggi i bambini iniziano a ricevere molto presto dal mondo che li circonda ipersollecitazioni di tipo sessuale che, il più delle volte, la famiglia e gli insegnanti non riescono a gestire correttamente. Ciò costringe gli adolescenti ad affidarsi alla nuova famiglia alternativa composta da TV, Internet e telefonino (A. Graziottin). Se la scuola non si decide ad affrontare in modo strutturato il problema dell’ educazione sessuale già nelle classi elementari e medie inferiori e la famiglia non riesce ad assolvere a questo compito, il risultato non può essere che una ricerca di informazioni, da parte degli adolescenti, lì dove hanno facile accesso ed Internet rappresenta lo strumento più a portata di mano. Inutile sottolineare i gravi rischi a cui li espone l’ affidarsi alle risposte di sconosciuti. In conclusione diventa oggi indispensabile, con interventi coordinati, educare i ragazzi ad una sessualità matura, in quanto questa va intesa non solo come rapporto genitale, ma è una componente essenziale dell’evoluzione emotiva, cognitiva e relazionale, per cui da essa dipende il benessere psico-fisico contingente e futuro dell’individuo. 2/2010 91 Edema emorragico acuto dell'infanzia(AHEI) L.Marrapodi, A.Cannone, S.Barni, R. Agostiniani Opedale"SS.Cosma e Damiano" Pescia ASL3 (PT) - Divisione pediatrica Ospedale di Pescia L'edema emorragico acuto di Seidlmeyer o edema emorragico acuto dell'infanzia (AHEI), è una non frequente condizione clinica, che ricorre nei bambini di età inferore ai due anni e fa parte della famiglia delle vasculiti leucocitoclastiche come la PSH, di cui è considerata da molti autori una variante, da altri un entità clinica distinta.In realtà il caratteristico aspetto "target like" delle lesioni, la distribuzione che coivolge sempre il volto ed i padiglioni auricolari, oltre alle consuete sedi interessate dalla porpora di PSH, l'età d'esordio,il minor interessamento sistemicoed un diverso pattern istopatologico ne fanno una distinta varietà di vasculite dei piccoli vasi. Caso clinico: Mattia è un bel bambino di 16 mesi, nato da parto trigemellare alla 34°settimana di gravidanza,con peso alla nascita di 2030 gr. La settimana precedente l'ingresso nel nostro reparto, Mattia aveva presentato flogosi delle vie aeree con febbre oltre a 39°e tosse stizzosa trattata con Cefpodoxima per sette giorni e steroide per via orale,terapia sospesa due giorni prima. Il giorno precedente l'ingresso , la mamma aveva notato una lesione emorragica circolare sulla guancia destra che era andata progressivamente allargandosi.Alla lesione iniziale erano seguite in rapida successione lesioni emorragiche a carico del padiglione auricolare destro, arti superiori, glutei,arti inferiori ,alcune di diametro superiore a 2 cm, violacee, infiltrate,con caratteristico centro chiaro.A dispetto del tumultuoso coinvolgimento cutaneo, ci rassicuravano l'assenza di febbre e le buone condizioni cliniche del bambino.Abbiamo eseguito esami biochimici, che ,a parte una leucocitosi con GB=15210,dimostravano una asso- Fig. 1 - 92 Fig. 2 - pediatria preventiva & sociale luta normalità dei test emocoagulativi, delle frazioni del complemento e delle IgA. Assenza di ematuria, negativo il T.faringeo,positive le IgA anti Mycoplasma pneumoniae. Il giorno successivo il ricovero, Mattia ha presentato tumefazione del dorso del piede destro per cui abbiamo iniziato terapia con ibuprofene. Le lesioni cutanee hanno subito una progressiva involuzione,fino alla completa risoluzione entro i successivi 10 giorni, non c'è stata compromissione di altre articolazioni, nè di organi viscerali.La favorevole evoluzione delle condizioni cliniche ed il peculiare aspetto delle lesioni ci hanno consentito la diagnosi di porpora emorragica di Seidlmeyer e di rassicurare i genitori circa la benignità del quadro. I casi descritti in letteratura sono meno di trecento. Calcolosi renale in un lattante con Toxoplasmosi congenita in trattamento con Pirimetamina e Sulfadiazina E. Olivastro1, M. Saporito1, I. Morselli1, L. Buscema1, A.D. Praticò1, R. Pignataro1, G. Belfiore2, P. Barone1, R. Garozzo1 U.O. DH-Puericultura - Dipartimento di Pediatria - Università di Catania – AOU “Policlinico- Vittorio Emanuele” di Catania U.O. Radiologia Pediatrica – Università di Catania - AOU “Policlinico- Vittorio Emanuele” di Catania 1 2 Introduzione La formazione di calcoli urinari indotta da terapia con Sulfadiazina è una rara complicanza in età pediatrica. Descriviamo un caso di calcolosi urinaria ed insufficienza renale acuta in un bambino in trattamento per Toxoplasmosi congenita con Pirimetamina e Sulfadiazina. Caso clinico S.R., primogenita di genitori non consanguinei, nata a termine da taglio cesareo col peso di 3405 grammi, dopo gravidanza decorsa con infezione da Toxoplasma Gondii al V mese di gestazione trattata con Rovamicina, Sulfadiazina e Pirimetamina secondo protocollo. Alla nascita il prelievo funicolare metteva in evidenza anticorpi anti-Toxoplasma IgG 261 UI/ml e IgM negativi. Visita oculistica, ecografia transfontanellare erano nella norma. La piccola veniva inserita nel follow up previsto dalla patologia. A quattro mesi di vita veniva riscontrata positività delle IgM (2,3 TV, IgG 76 UI/ml), confermata da un successivo dosaggio a distanza di 2 settimane (IgG 88 UI/ml, IgM 1,77 TV); veniva quindi iniziato trattamento con Pirimetamina (1 mg/Kg/die) e Sulfadiazina (100 mg/Kg/die). Dopo 2 mesi la piccola in pieno benessere emetteva con le urine concrezioni calcaree della grandezza di un chicco di riso e presentava un aumento della creatininemia (1,38 mg/dl) e dell’azotemia (52 mg/dl) e cristalli di acido urico nelle urine. L’ecografia renale mostrava una dilatazione calico-pielica (idronefrosi di II grado) con ectasia della pelvi ad aspetto triangolare fino al giunto (pelvi 12 mm), con spots iperecogeni da riferire a formazioni litiasiche, repertate anche a livello dell’uretere distale di destra. I calcoli risultavano costituiti da ossalato di calcio e fosfato di ammonio. Veniva immediatamente sospeso il trattamento con normalizzazione della funzionalità renale dopo un mese. I successivi controlli ecografici hanno mostrato un progressivo miglioramento con completa risoluzione della dilatazione calico-pielica destra a distanza di due mesi, pur persistendo microlitiasi. Conclusioni La calcolosi renale è una rara, ma possibile complicanza della terapia con Pirimetamina e Sulfadiazina nel trattamento della Toxoplasmosi congenita; è quindi importante in corso di trattamento monitorare la funzionalità renale ed eseguire esami delle urine seriati per diagnosticare tempestivamente tale eventualità. Bibliografia 1. Catalano-Pons C., Bargy S., Schlecht D. et al. Sulfadiazine-induced nephrolithiasis in children. Pediatr. Nephrol. 2004 Aug; 19(8): 928-31. 2/2010 93 La sindrome linfoproliferativa autoimmune (ALPS) R.Pignataro, L. Buscema, P.Barone, R.Garozzo Dipartimento di Pediatria U.O. Puericultura/Policlinico Università di Catania La Sindrome Linfoproliferativa Autoimmune è un disordine ereditario dell’apoptosi linfocitaria che determina una linfoproliferazione cronica non-maligna caratterizzata da linfadenopatia cronica, splenomegalia, epatomegalia con possibili manifestazioni autoimmuni quali pancitopenia, vasculite, tiroidite,ecc. Inoltre questi pazienti presentano un maggiore rischio di sviluppare linfomi. Test di laboratorio evidenziano una disregolazione linfocitaria con aumento delle Cellule T doppio-negative (TCRalfabeta+CD3+CD4CD8-B220+) nel sangue periferico e nei tessuti linfoidi; riduzione delle cellule B memoria CD27+; deficit dell’apoptosi linfocitaria in vitro. Le principali mutazioni genetiche riguardano il gene FAS che codifica una proteina recettoriale espressa su molte cellule incluse i Linfociti T e B (ALPS Ia). Altre mutazioni riguardano il FAS-Ligando (ALPS Ib), le Caspasi 8 o 10 (ALPS II) o l’NRAS (ALPS IV), mentre i casi in cui non è possibile identificare una mutazione vengono classificati come ALPS III. 94 Metodi GC all’età di 3 anni ha presentato febbre, epatomegalia, ipertransaminasemia e anemia emolitica autoimmune. La biopsia epatica ha evidenziato un quadro di epatite acuta gigantocellulare. É stata inizialmente trattata con Prednisone e Azatioprina senza alcun beneficio per cui è stata introdotta terapia con Ciclosporina sospesa per aggravamento dell’ipertransaminasemia. All’età di 9 anni la piccola ha cominciato a presentare piastrinopenia e ipocomplementemia. B.M all’età di 12 anni ha presentato anemia emolitica autoimmune trattata con Prednisone. In seguito ha sviluppato ipocomplementemia e piastrinopenia con positività degli Ab anti-piastrine. T.M.R. ha presentato all’età 14 anni piastrinopenia con manifestazioni emorragiche e positività degli Ab antipiastrine. In seguito ha sviluppato anche una tiroidite autoimmune. Lo studio delle sottopopolazioni linfocitarie ha evidenziato un aumento dei Linfociti TCRalfa/beta CD4- pediatria preventiva & sociale CD8-, dei TCR gamma/delta CD4CD8-. Attualmente è in trattamento solo con levotiroxina sodica. La scarsa risposta alle terapie immunosoppressive ci ha portato a studiare l’apoptosi linfocitaria indotta dall’attivazione dell’antigene Fas che metteva in evidenza una resistenza dei Linfociti T all’apoptosi in tutte e tre le pazienti. Conclusioni La diagnosi precoce dell’ALPS è importante in quanto queste forme di citopenie autoimmuni, scarsamente sensibili ai trattamenti immunosoppressivi, mostrano una promettente risposta a farmaci biologici quali l’anticorpo monoclonale anti-CD20 (Rituximab). Bibliografia 1. U.Ramenghi, L.Garbarini, C.Alliaudi. Malattia autoimmune linfoproliferativa. Hematology Meeting Reports 2007; 1: (6) Segui l’esempio del tuo pediatra! Igienizza le mani L. Pinto, R. Liguori, G. Di Mauro Direttivo SIPPS Campania Le malattie infettive continuano ad occupare i primi posti fra le priorità sanitarie richiedendo nuove risorse e strategie per il loro controllo e prevenzione. Fra le iniziative per ridurne la diffusione, non solo in ambiente ospedaliero ma anche nella casa e nella vita quotidiana delle famiglie, la promozione dell’igiene delle mani, ed in particolare la frizione con un prodotto contenente alcol, viene ormai considerata come una misura di primaria importanza. Una corretta igiene delle mani può ridurre nell’ambito delle famiglie la diffusione delle infezioni gastrointestinali e respiratorie, spesso considerate come una preoccupazione minore anche se in realtà comportano un notevole onere in termini di assenza dal lavoro e dalla scuola, sia per la famiglia che per la comunità. Nelle case è in continuo incremento il numero di persone ad alto rischio di infezioni: anziani, neonati e piccoli lattanti, donne in gravidanza, pazienti in trattamento domiciliare, soggetti immunocompromessi, etc.. Per questi gruppi, anche le infezioni causate da germi a bassa patogenicità possono costituire un pericolo. È necessario quindi promuovere l’igiene delle mani nella famiglia, fornendo una corretta informazione sul modo in cui si trasmettono le infezioni, sul ruolo delle mani come principale vettore per la loro diffusione, sui vantaggi che derivano dalla applicazione dell’igiene delle mani mediante frizione alcolica. La SIPPS Campania intende promuovere l’igiene delle mani fra i bambini e le loro famiglie e considera il pediatra come il testimone ideale di questa campagna. Verificare che il proprio pediatra applica l’igiene delle mani secondo le indicazioni del WHO, di-sinfettandole con gel alcolici nel corso delle manovre assistenziali e lavandole con acqua e sapone quando sono sporche, unitamente all’illustrazione dei vantaggi derivanti da tali misure, indurrà una virtuosa imitazione da parte delle famiglie che potrà contribuire a ridurre la diffusione delle infezioni nelle case e negli ambienti che frequentano. La campagna muove i primi passi in un momento in cui si è ridimensionato fra i media e le famiglie l’interesse per l’igiene delle mani, suscitato dalla pandemia influenzale. La spinta “emotiva” è quindi sostituita da un messaggio promozionale non legato a fenomeni contingenti: “attori” saranno i pediatri, e “teatro” i loro ambulatori, dove verranno distribuiti opuscoli per le famiglie, ed esposti poster “pubblicitari” per le famiglie. La distribuzione capillare ai pediatri del materiale promozionale attraverso la Casa Scientifica Editrice Editeam, garantirà il rafforzamento e la continuità della promozione. Il materiale promozionale è costituito da: • Vademecum per il pediatra, con le misure da adottare per evitare che l’ambulatorio (dallo studio del pediatra alla sala d’attesa) diventi fonte di infezioni trasmissibili • Depliant per le famiglie sui vantaggi dell’igiene delle mani e sulle modalità per at-tuarla • Poster informativi per gli ambulatori pediatrici e per i reparti ospedalieri. Il progetto sarà illustrato nel corso di incontri organizzati dalla SIPPS, in cui si tratteran-no i temi della formazione sull’igiene delle mani secondo le indicazioni dell’OMS e l’importanza della “igiene mirata” nella vita quotidiana. L’efficacia della campagna verrà valutata periodicamente mediante questionari anonimi i cui risultati saranno analizzati nel corso di incontri SIPPS. 2/2010 95 Micofenolato Mofetile(MFM) nel trattamento delle nefropatie autoimmuni pediatriche: nostra esperienza M.R. Politi, I. Conti, L. Buscema, P. Barone, R. Pignataro, R. Garozzo Dipartimento di Pediatria, Az. Osp. Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania Presso l’ambulatorio di nefrologia, negli ultimi 6 anni, è stata praticata terapia con MFM in 7 bambini affetti da nefropatie autoimmuni, biopticamente documentate, di cui: 4 affetti da nefrite lupica , 2 affetti da nefrite ANCA positiva, 1 da nefropatia da depositi di IgA. Tutti i pazienti con LES, sono stati inizialmente trattati con prednisone. In tre pazienti è stata successivamente associata terapia immunosoppressiva (ciclofosfamide o idrossiclorochina) e, per l’incompleta risposta alla terapia, è stato introdotto il MFM. Un paziente è stato, da subito, trattato con MFM. I due pazienti affetti da nefropatia vascolare ANCA-positiva, dopo terapia con corticosteroidi ed immunosoppressori (ciclofosfamide o Azatioprina), hanno cominciato il trattamento con MFM. 96 Il paziente con nefropatia da depositi di IgA, è stato trattato inizialmente con prednisone e successivamente con MFM. La risposta alla terapia è stata valutata mediante follow-up clinico-laboratoristico. Il farmaco ha permesso di bloccare la progressione della malattia renale e sistemica, di ridurre i dosaggi di corticosteroidi, fino alla completa sospensione (in 1 caso). Nessuno ha presentato effetti collaterali gravi, solo in 2 casi si è verificata leucopenia transitoria. Il micofenolato mofetile (MFM), è un farmaco con effetto citotossico prevalentemente sui linfociti, è infatti un inibitore selettivo dell’inosino monofosfato deidrogenasi, enzima cardine del metabolismo "de novo" delle purine, via metabolica obbligata per i linfociti, non in grado, a differenza di altre cellule, di utilizzare la via di salvataggio delle purine. Inol- pediatria preventiva & sociale tre, il MFM inibisce la sintesi delle molecole di adesione, la produzione del NO, la proliferazione dei miofibroblasti e delle cellule mesangiali. Attualmente in uso nel trapianto d’organo, in dermatologia e nelle MICI, trova indicazione anche nelle nefropatie autoimmuni. Generalmente è ben tollerato, sebbene siano possibili disturbi gastrointotestinali e tossicità midollare. In vista della potenziale efficacia e sicurezza del MFM, sono necessari ulteriori studi su campioni più numerosi e omogenei al fine di ottimizzare i dosaggi e la durata del trattamento delle nefropatie autoimmuni dell’età pediatrica. Bibliografia 1. Pediatr Nephrol (2007) 22:1077-1082 Can mycophenolate mofetil substitute cyclophosphamide treatment of pediatric lupus nephritis? Ana Paredes Neurite ottica retrobulbare bilaterale in età pediatrica: caso clinico M.R. Politi¹, I.Conti¹, R.M. Pulvirenti¹, P. Smilari¹, M. Franco², F. Greco¹ ¹Dip. di Pediatria, Az. Ospedaliera Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania ²Clinica Oculistica, Az. Ospedaliera Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania La neurite ottica retro bulbare (NOR) è un’infiammazione acuta del nervo ottico nella sua porzione retrobulbare. Può riconoscere differenti eziologie: origine post-infettiva, post-vaccinale, tossica, deficit nutrizionali (es. deficit di vitamina B12) e patologie demielinizzanti. Riportiamo il caso di una paziente di sesso femminile di anni 11 venuta alla nostra osservazione per una riduzione improvvisa del visus. Da 2 mesi la piccola lamentava difficoltà nella lettura e vertigini soggettive Fig. 1 - ??? durante lo sforzo visivo. La RMN encefalo eseguita privatamente evidenziava un quadro compatibile con la diagnosi di NOR bilaterale. Per tale motivo veniva ricoverata presso il Dipartimento di Pediatria U.O. di Clinica Pediatrica. L’anamnesi familiare escludeva la presenza di patologie demielinizzanti. L’esame obiettivo generale e neurologico erano nella norma. Gli esami ematochimici e strumentali tra cui PESS, BAER, potenziali evocati acustici risultavano nella norma, così come l’esame del liquor. La visita oculistica confermava grave riduzione del visus in entrambi gli occhi (1/10). I PEV mostravano un’onda P100 ipovoltata bilateralmente. La RMN encefalo con m.d.c., eseguita dopo una settimana dalla precedente, mostrava lesioni invariate e non captanti. Pertanto, veniva intrapresa terapia steroidea con metilprednisolone per via endovenosa (30 mg/kg/die) per 3 giorni, seguita da prednisone per os (1 mg/kg/die in dosi progressivamente scalari fino a completa sospensione nell’arco di un mese). Alla visita oculistica eseguita dopo 20 giorni si rilevava un miglioramento del visus (OD 3/10, OS 2/10). La nostra paziente ha presentato un quadro classico di NOR isolata in assenza di lesioni della sostanza bianca escludendo, in atto, altre patologie demielinizzanti. In età pediatrica la NOR si manifesta più spesso nel sesso femminile, in forma bilaterale (60-70%), come nel nostro caso, e si associa a minor rischio di recidive o evoluzione in sclerosi multipla (20%) rispetto all’età adulta. Le eventuali recidive si associano ad un maggior rischio di SM soprattutto se avvenute entro un anno dal primo episodio di NO. In base ai dati della letteratura la terapia steroidea per via endovenosa seguita da una terapia cortisonica orale, come da noi effettuata, sembrerebbe diminuire la probabilità sia di ricadute che di evoluzione in SM. Bibliografia 1. Alper G et al Demyelinating optic neuritis in children J Child Neurol 2009; 24(1): 45-48. 2/2010 97 Anemia sideropenica in età pediatrica: malattia celiaca ed infezione da helicobacter pylori T. Sabbi, M. Palumbo UOC Pediatria – Ospedale Belcolle Viterbo Background L’infezione da Helicobacter pylori (Hp) è riconosciuta come causa di gastrite cronica, ulcera peptica e cancro gastrico, ma ha anche un ruolo nell’anemia sideropenica resistente alla terapia marziale, nella dispepsia ed in alcune patologie extraintestinali. Scopo spondente a trattamento per 3 mesi con ferro per os. Tutti i pz sono stati sottoposti a ricerca sierologia degli anticorpi antigliadina, antiendomisio ed antitransglutaminasi, alla ricerca fecale dell’ag dell’Hp e al (13) C Urea Breath Test. Per valutare la presenza di altre cause di sanguinamento tutti i pz sono stati sottoposti ad esame endoscopico del tratto digestivo superiore (EGDS) con biopsie antrali e duodenali. ed inibitore di pompa protonica) con supplementazione di ferro e con successiva eradicazione dell’infezione e risoluzione dell’anemia. 2 pz con malattia da reflusso gastroesofageo hanno effettuato terapia con inibitore di pompa protonica, mentre 5 pz con malattia celiaca hanno iniziato una dieta priva di glutine con supplementazione di ferro. Conclusioni Esaminare la prevalenza della malattia celiaca e dell’infezione da Hp in pazienti (pz) con anemia sideropenica refrattaria alla terapia marziale. Pazienti e metodi 20 pz (12 maschi; età tra 6-18 aa) con anemia sideropenica non ri- 98 Risultati L’infezione da Hp era presente in 13 dei 20 pz (65%), mentre la malattia celiaca in 5 dei 20 pz (25%); in 2 pz l’EGDS era positiva per erosioni cardiali. Tutti i pz Hp positivi sono stati a triplice terapia eradicante per 7 giorni (amoxicillina, claritromicina pediatria preventiva & sociale La malattia celiaca è responsabile di malassorbimento intestinale in età pediatrica con deficienza di ferro ed una dieta priva di glutine insieme ad una terapia marziale risolvono l’anemia. L’eradicatione dell’infezione da Hp con la concomitante terapia marziale possono correggere l’anemia. Un caso di vasculite da Chlamydia pneumoniae M. Saporito, I. Morselli, E. Olivastro, A.D. Praticò, L. Buscema, R. Pignataro, P. Barone, R. Garozzo U.O. DH-Puericultura - Dipartimento di Pediatria - Università di Catania – AOU “Policlinico- Vittorio Emanuele” di Catania Introduzione La Chlamydia pneumoniae è un patogeno intracellulare obbligato ubiquitario, con un’ampia diffusione nella popolazione pediatrica, responsabile principalmente di polmoniti acquisite in comunità ed infezioni del tratto respiratorio superiore. Può anche essere coinvolto nella patogenesi di vasculiti a carico dei vasi di piccolo e medio calibro. Descriviamo il caso di una bambina che ha presentato una vasculite sostenuta da Chlamydia pneumoniae. Caso clinico A.L., 2 anni, primogenita di genitori non consanguinei, nata a termine da parto eutocico col peso di 2700 grammi dopo gravidanza fisiologica. Non ha presentato asfissia né ittero. Regolari le tappe dello sviluppo psicomotorio. Da circa 2 settimane, la piccola presentava pousses di lesioni cutanee eritematose confluenti di forma circolare a margini irregolari non pruriginose localizzate soprattutto agli arti inferiori ed in minor misura agli arti superiori, in assenza di altra sintomatologia. Era stata sottoposta a terapia con steroide e antistaminico per 10 giorni senza benefici. Emocromo, indici di flogosi, IgE totali, immunoglobuline, complemento, funzionalità epatica e renale, anticorpi anti-Mycoplasma, anti-EBV, anti-Parvovirus, esame urine e parassitologico delle feci erano risultati nella norma. Ci veniva inviata con diagnosi di eritema polimorfo. All’ingresso l’esame obiettivo risultava nella norma eccetto per la presenza, agli arti inferiori e superiori, di lesioni circolari eritematose, confluenti, non pruriginose che scomparivano alla digitopressione. Gli esami ematochimici eseguiti mettevano in evidenza positività per anticorpi anti-Chlamydia (IgG 1/200, IgA 1/200, IgM 1/160), e negatività degli anti-Micoplasma, anti-Borrelia ed anti-Coxakie. Veniva anche eseguita capillaroscopia che non mostrava segni di eventuale connettivopatia. Per tale motivo veniva intrapresa terapia antibiotica con claritromicina, con progressiva risoluzione della sintomatologia. Conclusioni La Chlamydia pneumoniae è responsabile di infezioni respiratorie. Non è però da escludere un suo eventuale coinvolgimento nell’eziopatogenesi di processi vasculitici, quando la sierologia dei principali agenti patogeni risulta nella norma e anche quando non è presente, come nel nostro caso, una sintomatologia respiratoria. Bibliografia 1. Cutaneous vasculitis and reactive arthritis following respiratory infection due to Chlamydia pneumoniae: report of a case. Clin Exp Rheumatol 2002; 20(6): 845-7. 2/2010 99