Anno V – Numero 2 Supplemento / 2010 pdf

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Anno V – Numero 2 Supplemento / 2010 pdf
00-cop. Pediatria suppl.:00-cop. Pediatria suppl. 1-2009
20-05-2010
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ANNO V - SUPPL.2/2010
SUPPLEMENTO
M at t i ol i 1 8 8 5
pediatria &preventiva
sociale
pediatria
preventiva
&sociale
O R G A N O D E L L A S O C I E T À I TA L I A N A D I P E D I AT R I A P R E V E N T I V A E S O C I A L E
- 29 Maggio 2010
POSTE ITALIANE S.P.A - .SPED. IN A. P. - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB PARMA
ATTI DEL XXII CONGRESSO SIPPS - Taormina, 27
ATTI DEL XXII CONGRESSO SIPPS
Hotel Villa Diodoro Taormina,
27 - 29 Maggio 2010
IL PEDIATRA “ADVOCATE” DEL
BAMBINO E DELL’ADOLESCENTE:
UN RUOLO IRRINUNCIABILE
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pediatria
preventiva & sociale
2/2010
SUPPLEMENTO
ORGANO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI PEDIATRIA PREVENTIVA E SOCIALE
ATTI XXII CONGRESSO NAZIONALE SIPPS
Il pediatra “advocate”del bambino e
dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile
S OC I E T À I T A L I A N A D I
P EDI AT R I A P R EV EN T I V A
E S O C I AL E
P R E S I D E N TE
Giuseppe Di Mauro
V I C E P R E S I D E N TI
Sergio Bernasconi
Alessandro Fiocchi
C O N S I GL I E R I
Chiara Azzari
Giuseppe Banderali
Giacomo Biasucci
Alessandra Graziottin
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S E G R E T AR I O
Susanna Esposito
T E SOR IE R E
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Nico Sciolla
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R E V I S O R I D E I C O N TI
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Lorenzo Mariniello
Leo Venturelli
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P EDI AT R I A P R EV EN T I V A
& SO CIAL E
O RGAN O UFFICIA LE DELLA S OCIE TÀ
D I R E TT O R E R E S P O N S A B I L E
Guido Brusoni
D I R E TT O R E
Giuseppe Di Mauro
C O M I T AT O E D I T O R I AL E
Chiara Azzari
Giuseppe Di Mauro
Sergio Bernasconi
Giuseppe Banderali
Giacomo Biasucci
Susanna Esposito
Luigi Falco
Alessandro Fiocchi
Alessandra Graziottin
Nico Sciolla
Lorenzo Mariniello
Leo Venturelli
Registrazione Tribunale di Parma - N. 7/2005
Finito di stampare Maggio 2010
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INTRODUZIONE
Di Mauro G - Il pediatra “advocate”del bambino e dell’adolescente: un
ruolo irrinunciabile
RELAZIONI
Giovannini M, Verduci E - Alimentazione del bambino e salute futura: la
responsabilità del programming
Burgio GR - Il pediatra “advocate”del bambino e dell’adolescente: un ruolo
irrinunciabile
Esposito S, Bosis SA, Gualtieri L, Cesati L, Baggi E, Principi N - L’influenza
stagionale e l’influenza pandemica: una, due o nessuna vaccinazione?
Zuccotti GV, Mameli C - Vaccini attuali e futuri
Le Metre L, Bernardo L - Le spie del disagio giovanile: la parola al pediatra
e all’insegnante. Il disagio e la scuola
Guarino A, D’Elia F, Ruberto E, Caiazzo MA - Prevenzione e terapia della
tubercolosi in età pediatrica
Chiappini E, De Martino M - Il trattamento della febbre in età pediatrica
Esposito S, Tagliaferro L, Peia F, Prunotto G, Picciolli I, Principi N Farmaci antivirali
Nobili B, Lo Mastro M, Matarese SMR - Novità in tema del metabolismo
del ferro: aspetti clinici
Chiozza ML, Graziottin A - Comorbilità future nelle bambine con disturbi
menzionali ed evacuativi
Affinita A - Vecchi e nuovi Media. Family friendly
Leocata A - Una proposta operativa attuale-bioetica con l’infanzia
Bernasconi S, Brambilla P, Brusoni G, De Simone M, Di Mauro G, Di Pietro M,
Giussani M, Iughetti L - Progetto prevenzione obesità infantile “Mi voglio
bene”
Banderali G, Giulini Neri I, ParamiThiotti C - Allattamento al seno: quali
evidenze scientifiche?
Faldella G, Aceti A, Spinelli M - Alimentazione e stato di salute a lungo
termine
ABSTRACTS E COMUNICAZIONI
Bechis D, Gandione M, Tocchet A - I disturbi del comportamento
alimentare in età pre-adolescenziale, parte prima: età pre-scolare (risultati
di una ricerca clinica)
Bechis D, Gandione M, Tocchet A - I disturbi del comportamento
alimentare in età pre-adolescenziale, parte seconda: età scolare (6-11 anni)
(risultati di una ricerca clinica)
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Bonvini G, Dahdah L, Calcinai E - Controindicazioni vere e false alla
vaccinazione anti morbillo-parotite-rosolia
Buscema L, Morselli I, Saporito M, Olivastro E, Praticò AD, Pignataro R,
De Pasquale R, Barone P, Garozzo R - LES ed orticaria vasculitica:
descrizione di un caso
Caramia G - Lo yogurt, antico alimento funzionale, e la nutrigenomica
Caramia G - Nurrienti, qualità del cibo e salute
Ciaraldi M - Differenze nei valori dell’apgar tra nati da TC con anestesia
spinale e nati da parto spontaneo
Conti I, Politi MR, Pulvirenti RM, Romeo MA, Scuderi MR, Bernardini R Disturbo del visus in paziente affetto da talassemia major in terapia con
Deferasirox
Conti I, Politi MR, Pignataro R, Barone P, Buscema L, Scalia G - Efficacia
e sicurezza del trattamento della toxoplasmosi in gravidanza
Iaccarino Idelson P, Zito E, Buongiovanni C, Sticco M, Francese A Crescere Felix: prevenire l’obesità in Campania
Iaccarino Idelson P, Mobilia S, Montagnese C, Salerno F, Sticco M, Vaino N,
Zuppali C, Scalfi L, Valerio G, Francese A - DICAev: un progetto contro i
disturbi del comportamento alimentare (DCA) in età evolutiva
Iaccarino Idelson P, Zito E, Buongiovanni C, Sticco M, Francese A Un approccio integrato alla grave obesità in età pediatrica
Le Pira A, Politi MR, Conti I, Pulvirenti RM, Bruno F, Lionetti E, Smilari P,
Greco F - La sindrome Miller Fisher-Birkerstaff come causa di coma in età
pediatrica
Liguori R, Ferrara A, Tartaglione A, Golino L, Quaresima M, Di Benedetto AC,
Palmiero L - Esperienza locale di 3 anni di ecografia dell’anca neonatale
Liguori R, Tartaglione A, Boccagna F, Di Benedetto AC, Tartaglione M,
Di Mauro G - Manifestazione pubblica di promozione dell’allattamento
al seno
Liguori R, Boccagna F, Di Benedetto AC, Perrone A, Vollaro F, Tigra M,
Ciaraldi M, Palmiero L - Prevenzione dell’abbandono del latte materno
mediante ambulatorio dedicato
Liguori R, Pinto L, Spagnolo MI, Carbone MT, Di Lorenzo R, Pullano F,
Raimondi R - Primi risultati di una indagine sulla conoscenza delle linee
guida dell’igiene delle mani in pediatria
Mariniello L, Di Mauro G, Di Mauro F - La prevenzione dentale oggi
Mariniello L, Di Mauro G, Di Mauro D - Le figure mediche di supporto
alla famiglia per educare i ragazzi ad una sessualità matura
Marrapodi L, Cannone A, Barni S, Agostiniani R - Edema emorragico
acuto dell’infanzia (AHEI)
Olivastro E, Saporito M, Morselli I, Buscema L, Praticò AD, Pignataro R,
Belfiore G, Barone P, Garozzo R - Calcolosi renale in un lattante con
Toxoplasmosi congenita in trattamento con Pirimetamina e Sulfadiazina
Pignataro R, Buscema L, Barone P, Garozzo R - La sindrome
linfoproliferativa autoimmune (ALPS)
Pinto L, Liguori R, Di Mauro G - Segui l’esempio del tuo pediatra!
Igienizza le mani
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Politi MR, Conti I, Buscema L, Barone P, Pignataro R, Garozzo R Micofenolato Mofetile (MFM) nel trattamento delle nefropatie
autoimmuni pediatriche: nostra esperienza
Politi MR, Conti I, Pulvirenti RM, Smilari P, Franco M, Greco F - Neurite
ottica retrobulbare bilaterale in età pediatrica: caso clinico
Sabbi T, Palombo M - Anemia sideroplastica in età pediatrica: malattia
celiaca ed infezione da helicobacter pylori
Saporito M, Morselli I, Olivastro E, Praticò AD, Buscema L, Pignataro R,
Barone P, Garozzo R - Un caso di vasculite da Chlamydia pneumoniae
Mattioli 1885
spa - Strada di Lodesana 649/sx,
Loc. Vaio - 43036 Fidenza (Parma)
tel 0524/892111
fax 0524/892006
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DIREZIONE GENERALE
Direttore Generale
Paolo Cioni
DIREZIONE EDITORIALE
Editing Manager
Anna Scotti
MARKETING E PUBBLICITÀ
Vicepresidente e
Direttore Scientifico
Federico Cioni
Editing
Valeria Ceci
Project Manager
Natalie Cerioli
Foreign Rights
Nausicaa Cerioli
Responsabile Distribuzione
Massimiliano Franzoni
Segreteria
Manuela Piccinnu
Responsabile Area ECM
Simone Agnello
Vicepresidente e
Direttore Sviluppo
Massimo Radaelli
Marketing Manager
Luca Ranzato
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26-02-2010
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XXII Congresso Nazionale Società Italiana
di Pediatria Preventiva e Sociale
Il pediat ra “adv ocate”
del bambino e dell’adole scente: un r uolo ir rinunciabile
Segreteria Scientifica
IL CONSIGLIO DIRETTIVO SIPPS
Revisore dei conti
Lorenzo Mariniello, Leo Venturelli
Presidente
Giuseppe Di Mauro
Comitato Scientifico Locale
Ignazio Barberi, Maurizio Costa, Giovanni Corsello,
Giuseppe Di Stefano, Luigi Iudicello, Filippo De Luca,
Mario La Rosa, Giuseppe Magazzù, Angelo Milazzo,
Giuseppe Mazzola, Lorenzo Pavone, Adolfo Porto,
Carmelo Salpietro
Vice Presidenti
Sergio Bernasconi, Alessandro Fiocchi
Consiglieri
Chiara Azzari, Alessandra Graziottin,
Giuseppe Banderali, Giacomo Biasucci
Segretario
Susanna Esposito
Tesoriere
Nico Maria Sciolla
Segreteria Organizzativa
iDea congress
Via della Farnesina, 224 - 00194 Roma
Tel. 06 36381573 - Fax 06 36307682
E-mail: [email protected] www.ideacpa.com
27 - 29 Maggio 2010
Hotel Villa Diodoro - Taormina
XXII Congresso Nazionale
Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
Il pediatra “advocate” del bambino e
dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile
27 Maggio • 29 Maggio 2010, Hotel Villa Diodoro - Taormina
PROGRAMMA
Giovedì 27 Maggio
18.00 Cerimonia Inaugurale
Mario La Rosa, Adolfo F. Por to, Alber to G. Ugazio,
Giuseppe Di Mauro
L’influenza stagionale e l’influenza pandemica: una, due
o nessuna vaccinazione?
Susanna Esposito
Vaccini attuali e futuri
Gianvincenzo Zuccotti
Discussant: Nico M. Sciolla
Saluto delle Autorità
12.00 Discussione
18.30 Letture Magistrali
Presidente: Armido Rubino
12.30 Lettura
Presidente: Luigi Falco
Alimentazione del bambino e salute futura:
la responsabilità del programming
Marcello Giovannini
Le linee guida sull’allergia alle proteine del latte vaccino
Alessandro Fiocchi
Il pediatra “advocate” del bambino e dell’adolescente:
un ruolo irrinunciabile
Roberto Giuseppe Burgio
20.00 Cocktail di benvenuto
Venerdì 27 Maggio
08.30 Comunicazioni orali
Presidente: Carmelo Mamì
Moderatori: Giuseppe Caramia, Roberto Liguori,
Matteo Noto
09.30 Vaccini e vaccinazioni
Presidente: Giuseppe Nicoletti
Moderatori: Ignazio Barberi, Michele Conversano
La memoria immunologica antimeningococcica e la
necessità di booster
Chiara Azzari
Le infezioni pneumococciche: conoscerle e prevenirle
Nicola Principi
13.00 Pausa
14.30 Tavola Rotonda
Mamma sto perdendo il pediatra! Per un bambino in
più, un pediatra in meno? Lo scenario presente e futuro
Guido Brusoni, Desideria Cavina, Pasquale Di Pietro,
Onorevole Ferruccio Fazio, Onorevole Maria Stella Gelmini,
Paolo Giliberti, Giovanni Leonardi, Antonello Masia,
Giuseppe Mele, Onorevole Giuseppe Pizza, Armido Rubino,
Giuseppe Saggese, Alberto G. Ugazio
16.00 Adolescentologia
Presidente: Domenico Mazzone
Moderatori: Teresa Arrigo, Laura Perrone
Affettività e sessualità
Alessandra Graziottin
Le spie del disagio giovanile: la parola al pediatra e
all’insegnante
Luca Bernardo, Laura Le Metre
Nuove sostanze d’abuso
Leandra Silvestro
Il bambino e l’adolescente depresso
Luca Rollè
Discussant: Leonello Venturelli
2/2010
5
17.15 Discussione
17.30 Prevenzione e terapia nelle malattie respiratorie
Presidente: Carmelo Salpietro
Moderatori: Luciana Indinnimeo, Domenico Minasi
Aerosolterapia: miti e realtà
Alessandro Fiocchi
Le infezioni respiratorie ricorrenti: quale prevenzione?
Gian Luigi Marseglia
La gestione dell’asma in età pre-scolare
Mario La Rosa
La tubercolosi
Alfredo Guarino
Uso responabile dei media: un’alleanza GenitoriPediatri
Antonio Affinita
Discussant: Milena Lo Giudice
12.00 Discussione
12.30 Lettura
Presidente: Filippo De Luca
Novità diagnostiche e terapeutiche nella bassa statura
Sergio Bernasconi
13.00 Pausa
Discussant: Giuseppe Mazzola
18.30 Discussione
18.45 Assemblea dei Soci SIPPS
20.30 Cena sociale
Sabato 29 Maggio
09.00 Aggiornamenti in tema di...
I Sessione
Presidente: Alberto Villani
Moderatori: Maurizio Costa, Angelo Milazzo
Trattamento della febbre
Elena Chiappini
Antivirali
Susanna Esposito
Diabete
Adriana Franzese
Maxiemergenze
Antonio Masetti
Discussant: Luigi Iudicello
10.20 Discussione
II Sessione
Presidente: Francesco Tancredi
Moderatore: Gianni Bona, Roberto Del Gado
Ematologia
Bruno Nobili
Comorbilità future nelle bambine con disturbi
minzionali ed evacuativi
Maria Laura Chiozza, Alessandra Graziottin
6
Dermatologia/Cosmetologia
Carlo Gelmetti
pediatria preventiva & sociale
14.00 Comunicazioni orali
Presidente: Giuseppe Distefano
Moderatori: Francesco De Luca, Antonino Leocata,
Lorenzo Mariniello
15.00 Presentazione del Progetto Prevenzione
Obesità Infantile: “Mi voglio bene”
Introduce: Guido Brusoni
Relatore: Paolo Brambilla
15.30 Nutrizione e prevenzione
Presidente: Giovanni Corsello
Moderatori: Francesco De Luca, Gian Paolo Salvioli
Allattamento al seno: quali evidenze scientifiche
Giuseppe Banderali
Proteine e crescita
Giacomo Biasucci
Gli alimenti funzionali
Andrea Vania
Si fa presto a dire… reflusso gastro-esofageo
Vito L. Miniello
Alimentazione e stato di salute a lungo termine
Giacomo Faldella
Discussant: Angelo Tummarello
17.30 Discussione
18.00 Conclusione e compilazione quiz di
valutazione E.C.M.
04-Editoriale:03-introduzione
21-05-2010
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Il Pediatra “advocate” del bambino e
dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile
Giuseppe Di Mauro
Presidente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
Siete d’accordo nell’affermare che i
bambini di oggi sono diversi da quelli
di 15/20 anni fa ?
Così come gli adolescenti ?
Così come l’intera società ?
Ma il Pediatra è cambiato? Per molti
versi il Pediatra è cambiato e non vi è
dubbio che qualcuno sia più avanti di
altri in questo processo di rinnovamento. Ma è altrettanto vero che molti cambiamenti non coincidono con un
radicale, indispensabile e indifferibile
cambiamento del ruolo del Pediatra.
Occorre definire un vero e proprio “riposizionamento” del Pediatra, un
“nuovo ruolo” che non sia esclusivamente caratterizzato dalla prevenzione e dalla cura delle malattie (ruolo finora svolto con il massimo impegno e
competenza) ma che sia rivolto alla
volontà e alla capacità di intercettare i
segni e i sintomi di quel disagio psicosociale che può evolvere verso forme
di devianza, sofferenza e inadeguatezza sociale.
Oggi la preparazione, la cultura professionale del pediatra è ancora orientata verso gli aspetti della patologia fisica (malattie fisiche) dei bambini,
quando ormai il traguardo del miglioramento della salute fisica nel nostro
Paese è stato raggiunto. Ma oggi le
stesse condizioni economico-sociali
che hanno agito positivamente per la
salute fisica, possono incrementare i
pericoli per la salute psichica, intellettuale e morale dei bambini. Il principale “cliente” del pediatra moderno è
diventato il bambino “fisicamente sano”, ma in potenziale pericolo per gli
altri tipi di patologie. Oggi non è sufficiente parlare di buona salute del
bambino solo perché c’è assenza di
malattia fisica. La buona salute è la
somma di molte componenti. C’è infatti una salute psichica, una salute
morale, una salute intellettuale, una
salute ambientale, una salute familiare,
una salute scolastica, una salute sportiva ecc. Oggi si deve parlare di Benessere del bambino, o meglio ancora di
Qualità della vita del bambino. Ma il
Pediatra di oggi è preparato ad affrontare questo nuovo modo di intendere
la salute del bambino? Vi sono dubbi
concreti al proposito in quanto al Pediatra non è stata e ancora non è insegnata la cultura del benessere e della
qualità di vita.
L’obiettivo, invece, dovrebbe essere di
creare una figura professionale in grado di prevenire quelle situazioni che,
se trascurate, possono sfociare nel disagio adolescenziale e di comunicare in
modo efficace con tutti gli operatori
sociali coinvolti nella tutela della qualità della vita dei bambini. La realtà
dell’infanzia oggi è rappresentata
principalmente da bambini sani, per i
quali il benessere eccessivo e incontrollato può diventare causa di squilibrio psichico, intellettuale e morale e
da un numero fortunatamente limitato di bambini con malattie croniche o
disabilità che hanno bisogni specifici.
Con questo non voglio sminuire
l’enorme importanza professionale
che il Pediatra esprime ogni giorno
negli ambulatori dei pediatri del territorio, negli ospedali e nelle università,
nella gestione delle emergenze urgenze, delle malattie croniche e nella ricerca. Ma voglio sottolineare
l’esigenza di un’evoluzione culturale »
che tenga conto anche di questi nuovi
e importanti aspetti.
Nella pratica pediatrica quotidiana ci
si accorge sempre più di quanto siano
divenuti importanti i problemi scolari,
le difficoltà di apprendimento, i disturbi dell’attenzione con iperattività, i
disturbi d’ansia e dell’umore. Allarmante è l’aumento di suicidi e omicidi
in età adolescenziale, le violenze in
ambito familiare e nella società, la diffusione del consumo di fumo, alcool e
droghe e dell’AIDS tra gli adolescenti. Sempre più spesso bambini o adolescenti hanno bisogno di aiuto per
disturbi di adattamento o per uno
stress postraumatico, conseguente ad
abuso fisico, emotivo o sessuale. Sovente sono vittime della povertà delle
proprie famiglie o dell’incapacità dei
loro genitori di salvaguardare la loro
salute psicofisica.
I genitori vedono nel pediatra la prima
figura professionale in grado di rilevare e affrontare i problemi del bambino,
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incluso quelli relativi allo sviluppo ed
al comportamento. Il pediatra ad ogni
visita dovrebbe valutare le tappe dello
sviluppo raggiunte, studiare le dinamiche intra-familiari, indagare le preoccupazioni dei genitori. L’ambulatorio
del pediatra dovrebbe divenire il luogo
ideale per una valutazione e una sorveglianza dello sviluppo neuro-psicomotorio, affettivo e comportamentale e
per una precoce identificazione delle
eventuali varianti patologiche. Il pediatra dovrebbe così svolgere un ruolo
di “normalizzatore” “analizzatore” dei
sintomi, essere in grado di ridimensionare i falsi problemi e, nei casi dubbi,
proporre un’ulteriore consulenza specialistica.
Il Pediatra, e in particolare il Pediatra
di famiglia, per almeno 14 anni, che
possono divenire anche 20 o più se vi
sono più bambini, si trova a frequentare una famiglia. È quindi il medico che
più di ogni altro ha l’opportunità di
vedere, ascoltare, capire, individuare i
comportamenti di una famiglia, sia
positivi sia negativi, comportamenti
che in ogni caso incidono sulle condizioni psichiche, morali, intellettuali,
comportamentali e caratteriali dei
bambini. Per cui è È nelle condizioni
di cogliere i primi eventuali segnali di
allarme. L’importante è che li sappia
cogliere! Molti ci riescono, specialmente quelli con maggiore esperienza
pratica, in sostanza i più vecchi, o con
una sensibilità individuale particolarmente attenta, ma sarebbe meglio, per
il bene dei bambini, che tutti i Pediatri
ci riuscissero, anche quelli all’inizio
della loro attività. Questo accadrà se
coloro che sono deputati alla formazione del Pediatra daranno una maggiore importanza alla conoscenza dello sviluppo cognitivo, del rapporto genitore-bambino, della comunicazione,
della psicologia, della bioetica, della
medicina sportiva ecc. Il Pediatra così
formato, può efficacemente fare prevenzione! E quella prevenzione che ha
8
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fatto e fa per le malattie fisiche, oggi la
potrebbe fare anche per le problematiche psicologiche che stanno alla base
delle manifestazioni del disagio giovanile nelle età successive.
Perché il “Pediatra Advocate del
bambino” ?
vrebbero caratterizzare il Pediatra Advocate del bambino.
Questo “nuovo” Pediatra dovrebbe
ampliare la visione della sua professione, in riferimento ad alcuni punti
qualificanti, per esempio:
Il Pediatra è forse l’unica figura professionale che si trova in un punto di
osservazione privilegiato per cogliere
segnali di allarme individuali e collettivi sia sul piano emotivo sia sul piano
ambientale. In questo nuovo ruolo potrebbe, più di altre figure professionali
che si occupano dell’infanzia, integrare e verificare le informazioni ottenute
dall’osservazione diretta del bambino
“a rischio” con quelle ottenute da altre
persone che si occupano del bambino,
(genitori, insegnanti, assistenti sociali,
religiosi, etc...) e discutere con queste
ultime le proprie conclusioni e le
eventuali strategie di intervento.
Inoltre, il Pediatra avrebbe molteplici
possibilità di intervento, su base multidisciplinare, per migliorare il corso
della vita dei bambini. È quindi necessario “costruire” un Pediatra più motivato, più conscio delle molteplici valenze etiche della sua professionalità,
capace di usare strumenti moderni di
organizzazione e comunicazione in
modo da diventare un nodo fondamentale nella rete di collaboratori/consulenti che si occupano dell’infanzia. Occorre formare un Pediatra
moderno che sappia affrontare meglio
tutti gli aspetti sociali, psicologici, morali, caratteriali dell’infanzia nei quali
si possono cogliere i prodromi del disagio che si proietta e si slatentizza nell’adolescenza.
• Le necessità mediche dei bambini in
situazioni di povertà e/o di disagio
sono superiori rispetto a quelle dei
coetanei in migliori condizioni socio-economiche. Il Pediatra dovrebbe essere culturalmente attrezzato a
valutare non solo il bambino, ma anche la famiglia, il contesto e
l’ambiente.
• Dovrebbe trovare spazio per comunicare adeguatamente con i genitori
durante l’orario di attività ambulatoriale, in modo stabile e continuativo, per conoscere ed affrontare situazioni di difficoltà familiare.
• Dovrebbe istituzionalizzare il contatto con i colleghi medici di altre
specialità e con figure professionali
che operano nella comunità (scuola,
servizi sociali, amministrazione locale, chiesa, polizia ecc). A questo
proposito sarà basilare l’uniformità
ed accessibilità delle informazioni ed
un miglioramento delle possibilità
di comunicazione utilizzando le
possibilità date dall’informatica.
• Dovrebbe acquisire la conoscenza
delle responsabilità e delle norme
che regolano l’attività dei singoli
soggetti coinvolti a livelli differenti
nell’assistenza/difesa dei bambini.
• Dovrebbe organizzare incontri di
educazione sanitaria rivolta ai problemi pediatrici con la popolazione
della zona.
• Ecc. ecc.
Durante questi nostri incontri spero di
poter capitalizzare il contributo di
qualificati colleghi e di voi tutti nel definire i punti fondamentali che do-
Buona parte del futuro del mondo è nelle
mani dei bambini di oggi.
Gran parte del futuro di questi bambini è
nelle nostre mani.
pediatria preventiva & sociale
Relazioni
06-Giovanni:Giovanni
19-05-2010
14:32
Pagina 11
Alimentazione del bambino e salute futura: la
responsabilità del programming
M. Giovannini, E. Verduci
Clinica Pediatrica Ospedale San Paolo Università degli Studi di Milano
Evidenze scientifiche dimostrano
che la nutrizione delle prime epoche
della vita può programmare il rischio di sviluppo di malattie cronico
degenerative (teoria del programming). Recentemente, revisioni sistematiche
hanno
riportato
l’associazione tra rapido tasso di
crescita ponderale nei primi anni di
vita e successivo sviluppo di obesità
e diabete. Il tasso di crescita ponderale sarebbe quindi un marker precoce antropometrico dello sviluppo
di patologie cronico degenerative,
con maggiore predettività rispetto
anche al peso alla nascita. Questa
sarebbe la plausibilità biologica suggerita per spiegare l’effetto protettivo dell’allattamento al seno nei confronti dell’obesità. Infatti l’allattato
al seno cresce più rapidamente nei
primi 2-3 mesi di vita, per poi a partire dai 6 ai 12 mesi avere un peso
ed una lunghezza inferiori a quelli
del bambino alimentato con formula. Tale differente tasso di crescita
ponderale tra bambini alimentati
con formula e allattati al seno potrebbe essere spiegato dall’assunzione diversa di substrati metabolizzabili, in particolare delle proteine: nei
lattanti alimentati con formula
l’intake proteico per unità di peso è
del 55-80% più elevato rispetto agli
allattati al seno. L’ipotesi è che un
elevato e precoce intake di proteine
che ecceda le richieste metaboliche
possa aumentare il tasso di crescita
ponderale nell’infanzia e il rischio di
sviluppo di obesità negli anni successivi (“the early protein hypothesis”). Il progetto finanziato dalla
Comunità Europea, Ch ildhood O
besity P roject (CHOP, progetto n:
QLK1-CT-2001-00389) sta verificando l’ipotesi proteica in uno studio di intervento in doppio cieco in
più di 1.000 lattanti in 5 Paesi Europei (Italia, Germania, Spagna,
Polonia e Belgio). Il progetto è caratterizzato dallo studio di neonati
allattati al seno, gruppo di riferimento, e neonati che, per mancanza di latte materno e/o impossibilità
ad allattare al seno, sono stati randomizzati in doppio cieco a ricevere
una delle due formula a differente
intake proteico, formule a più alta
(HP, 2.9 g/100 Kcal, 1.9 g/dl) od a
più bassa concentrazione (LP,
1.77g7100 Kcal, 1.2 g/dl) di proteine, rappresentanti rispettivamente il
limite massimo e minimo delle raccomandazioni di composizione proteica degli alimenti per lattanti della Comunità Europea. I primi dati,
ottenuti a 2 anni, in questo studio
indicano che la formula LP con un
apporto di proteine pari al limite
minimo delle raccomandazioni CE,
è in grado di determinare una curva
di crescita simile a quella degli allattati al seno, gruppo di riferimento.
Il follow up ulteriore dello studio di
tali bambini fino 8 anni e mezzo di
età ha l’obiettivo di verificare
l’impatto a lungo termine del tipo di
allattamento nelle prime epoche di
vita sullo sviluppo di obesità.
Inoltre le indagini nutrizionali dimostrano che, al divezzamento o all’introduzione del latte vaccino nell’alimentazione del lattante, l’intake di
proteine subisce un incremento molto elevato fino a 3-5 g/kg nonostante con il passare dei mesi il fabbisogno proteico tenda a diminuire (1.87
g/kg a 12 mesi). In conseguenza di
questo, un corretto divezzamento risulta essere fondamentale per evitare
alcune conseguenze nutrizionali, tra
cui l’eccesso di proteine, bassi livelli
di acidi grassi polinsaturi e deficit di
ferro e di zinco. In particolare per il
bambino alimentato con formula,
che quindi assume un alimento meno ricco in termini qualitativi ma (in
confronto al latte materno) iperproteico e modestamente iperenergetico, la funzione degli alimenti introdotti col divezzamento dovrebbe essere quindi quella di un recupero dell’equilibrio metabolico. Va sottolineata quindi la necessità assoluta di
posporre al termine del primo anno o
addirittura dopo il 2° anno l’utilizzo
del latte vaccino, per l’estremo squilibrio dei nutrienti al suo interno che
portano a diete iperproteiche e a basso tenore di grassi polinsaturi e ferro.
L’attenzione dimostrata all’ambito
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11
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nutrizionale nel primo anno di vita
deve essere mantenuta anche nelle
epoche successive, soprattutto per
quanto riguarda la prevenzione dello
sviluppo di sovrappeso ed obesità che
rappresentano noti fattori di rischio
di malattie croniche, tipiche della
popolazione occidentale. Infatti dopo i primi anni di vita, nei Paesi industrializzati la maggioranza dei
bambini è esposta a fattori ambientali che favoriscono lo sviluppo dell’obesità. In questa fase la prevenzione
si basa sulla riduzione delle sedentarietà, la promozione di una vita attiva e di abitudini nutrizionali che, pur
non sottovalutando la componente di
piacere legata al cibo, privilegino la
qualità nutrizionale della dieta. Alimentazione in senso preventivo significa il raggiungimento di un buon
equilibrio nutrizionale con alimenti
naturali. In particolare il ruolo della
prima colazione nell’ambito di un’a-
12
limentazione sana ed equilibrata è
confermato da numerose osservazioni scientifiche, essenzialmente di natura epidemiologica, ma integrate
anche da una significativa quota di
studi di intervento, che suggeriscono
benefici in parte diretti ed in parte
mediati dai macro e micro nutrienti
che essa apporta. Il consumo regolare di una prima colazione, che apporti il 15-20% delle calorie giornaliere,
è infatti associato ad una maggiore
probabilità di raggiungere i livelli
raccomandati di consumo di alcuni
micronutrienti e ad una riduzione del
rischio di sviluppare obesità, eventi
cardiovascolari e diabete, probabilmente grazie al controllo di alcuni
importanti fattori di rischio di queste
condizioni. L’assunzione della prima
colazione da parte dei bambini e degli adolescenti sembra inoltre esercitare effetti favorevoli a breve termine
sulla performance scolastica.
pediatria preventiva & sociale
In conclusione dai dati a disposizione emerge che la dieta dei bambini
non è correttamente bilanciata. È
opportuno quindi programmare un
intervento educazionale continuo a
partire dai primi anni di vita e programmare interventi nutrizionali
precoci con effetto a lungo termine
sulla salute, anche sulla base dei risultati di trials europei in corso.
Bibliografia
1. Agostoni C, Braegger C, Decsi T et al. Breastfeeding: A Commentary by the ESPGHAN
Committee on Nutrition J Pediatr Gastroenterol Nutr 2009; 3: S1536-4801
2. Koletzko B, von Kries R, Closa R et al. Lower
protein in infant formula is associated with lower weight up to age 2 y: a randomized clinical trial. Am J Clin Nutr 2009;89:1836-45
3. Agostoni C, Decsi T, Fewtrell M et al. Complementary feeding: A Commentary by the
ESPGHAN Committee on Nutrition J Pediatr Gastroenterol Nutr 2008; 46: 99-110.
Il pediatra “advocate” del bambino e
dell’adolescente: un ruolo irrinunciabile
G. R. Burgio
Prof. Emerito di Pediatria, Dipartimento di Scienze Pediatriche, Pavia
A) Come si è potenziato, nella società che cambia, il ruolo sociale
del pediatra
Una volta il pediatra era il curante
del bambino con le sue malattie; oggi - in una Società che negli ultimi
4-5 decenni è pervenuta a profondi
cambiamenti (Tabella 1), il pediatra
(ci riferiamo, in particolare, al pediatra di famiglia) prende in carico il
bambino a 360°, cura, educa, corregge le carenze della famiglia, consiglia, sostiene, difende, fin dove possibile.
Diversamente da come il medico cura un adulto, il pediatra-curante non
perde mai di vista che il suo paziente è un organismo in crescita: in puero homo. L’aforisma latino nella sua
estrema
sinteticità
richiama
l’attenzione sulla responsabilità dell’assistenza: necessità di diagnosi
precoci per malattie invalidanti suscettibili di terapie efficaci solo se al
più presto attuate. Dovremmo riflettere che anche il concetto di “urgenza” si è venuto allargando. Mi è particolarmente
congeniale
fare
l’esempio del trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE) nel contrastare i danni che l’osteopetrosi
determina, oculari soprattutto, precoci ed irreversibili; l’intervento trapiantologico va eseguito entro il 2°
(3°) mese di vita. Un altro esempio
del medesimo tipo (trapianto di
CSE) è pertinente a molte forme di
immunodeficienza combinata grave
(SCID). Non meno importante della diagnosi precoce è l’etica della
prescrizione; evitare ogni patologia
iatrogena è fondamentale proprio
per gli organismi in crescita, anche
se non si tratta dell’unico requisito
etico che “la prescrizione” richiede...
Alla figura del pediatra educatore
vorrei anzitutto riferirmi con una citazione: da Cassidy RC. Tell all the
truth? Shepherds, Liberators, or
Educators. In: Cassidy RC, Fleischman AR (eds). Pedaitric Ethics.
From Principles to Practice. Amsterdam, Harwood Academic Publishers, 1996. Dal mio libro, con
LD Notarangelo, “La Comunicazione in Pediatria, Un Pediatra per la
Società”. UTET 1999 pagg 34-36,
riporto un brevissimo brano:
“...è necessario che l’operatore terapeutico sia un educatore; dobbiamo
cercare di capire il bambino nella sua
Tabella 1 – Scenari innovativi della società … che cambia
A
Per la rivoluzione biomedica, ma anche per le continue innovazioni tecnologiche (in generale, “per il progresso”)
B
Per l’evoluzione del concetto di salute e del ruolo del pediatra
C
Per la progressiva multietnicità
D
Per la progressiva iponatalità
E
Per l’incremento della povertà
F
Per il dilagare di ogni criminalità (minorile compresa)
G
Per il dilagare degli inquinamenti ambientali
H Per l’enorme diffusione dei media (elettronici)
I
Per nuovi ideali di vita dei giovani e nuovi concetti dei valori (Weltanschauung)
J
Per “labilità-fragilità della famiglia” (e insufficienze pedagogico-affettive e sociali)
K
Per perdita di autorevolezza della scuola
L
Per nuovi stili di vita degli adolescenti
M Per violazioni somatiche e psicologiche esercitate sui minori in grave antitesi ai loro codificati diritti
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13
individualità personale; cercare di
promuovere l’autocomprensione del
bambino; e dobbiamo rispettare la
sua persona. Come disse Soren Kierkegaard “l’educazione è il percorso
lungo il quale corri per restare al
passo con te stesso”. Il ruolo dell’educatore è aiutare ciascuno “studente”, compresi i giovani malati, a trovare la propria strada per diventare
pienamente se stesso”.
Vorrei soggiugnere che la pediatria è
la disciplina medica più sociale rispetto ad ogni altra. Nessun medico
più del pediatra è vicino alle famiglie, quindi ai bambini e agli adolescenti. Nessun medico, quindi, ha
ruolo privilegiato come quello del
pediatra nel comunicare con i genitori, i bambini e gli adolescenti anche “educandoli” fig 1.
Non meno “sociale” di quella del
“pediatra educatore” è la figura del
pediatra quando avverte che il suo
paziente è a “rischio ambientale”,
psichico (psico-ambientale, psicosomatico) ora per tristi e sempre assai
deprecabili motivazioni familiari
(che sarebbe superfluo e persino banale esemplificare, avendo in parte
trovato richiami nella tabella 1) ora
extra-familiari (si pensi anche soltanto al bullismo, drammatico sempre, talvolta disperante – esiziale in
bambini indifesi, timidi, già depressi
(inconsapevolmente depressi) e, comunque “soli”; ma non si trascurino
le negligenze e/o gli abusi che molti
bambini subiscono nel loro vivere
del giorno dopo giorno. Come non
evocare, a questo proposito, Giovenale (Satira 14, verso 47): maxima
debetur puero reverentia”, concetto
di supremo valore pediatrico-sociale
che motiva l’esigenza del pieno rispetto per la dignità di ogni bambino, e alla cui eventuale negligenza il
Fig. 1 - Flusso della comunicazione pediatra-paziente nell’infanzia e nell’adolescenza. Il dialogo tra pediatra e bambino (a) è abitualmente limitato, prevalendo quello con i genitori (c),
mentre il dialogo tra pediatra e adolescente (b) sarà molto più diretto, pur potendo essere coinvolti i genitori (d). Comunque (b) potrà risultare tanto più facile quanto più sarà stato cercato e curato (a) negli anni precedenti (lungo l’età della scuola primaria).
14
pediatria preventiva & sociale
pediatra, come antenna sociale, ha il
dovere di dimostrarsi sensibile e di
coinvolgersi operativamente (spesso,
a sua volta, coinvolgendo solidali figure dei servizi sociali). Ma, come
non evocare, ancora, l’esigenza (secondo natura) di tenerezze e di coccole propria del lattante...
In ogni caso, poi, proprio in piena
affinità alla figura di antenna sociale, il pediatra sarà l’avvocato del
bambino i cui diritti fisici e psichici
sono stati trascurati (o, in prospettiva, possono esserlo).
L’avvocato del bambino interverrà,
nello specifico, contro ogni abuso
(carenze affettive comprese; ma interverrà anche per la difesa dei diritti del bambino, nel modo più essenziale identificabili programmaticamente in: protezione ed educazione.
Nella nostra Gazzetta Ufficiale 11
giugno 1991, n. 135, SO) XVI Legge 27 maggio 1991, n. 176 si trova la
“Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo”,
fatta a New York il 20 novembre
1989 e che pone come fondamentali, per il bambino, proprio la protezione e l’educazione.
Sarebbe assai facile dire che se tutte
le società del mondo in cui i bambini vivono adempissero all’appagamento dei loro diritti, via via ufficialmente sanciti (“Déclaration de
Genève”, 1924; “Résolution de
l’Assemblée Générale de l’ONU”,
1959; “Déclaration d’Helsinki,
1964, poi revisionata a Tokyo,1975 ;
Testo ufficiale dell’ONU, 20 novembre 1989, New York), potremmo
farci, dei bambini e della loro vita,
un immagine ideale.
Fra immagine ideale e realtà che,
molto spesso l’infanzia, invece, diffu-
samente vive, vi sono – anche in un
medesimo contesto etnico-territoriale (vogliamo dire, anche prescindendo dalle tristissime povertà estreme in
cui vivono molti bambini nei paesi
cosiddetti in via di sviluppo) - distanze incolmabili e se, in un clima
professionale al massimo partecipe e
solidale con “i problemi dell’infanzia”
nella società di oggi il pediatra volesse/potesse ulteriormente cimentarsi
non potrebbe che intervenire negli
ambienti (negli ambiti) in cui il bambino, e poi l’adolescente, vivono (Fig
2). Sostanzialmente, si tratterebbe di
aprire al pediatra gli ambienti della
scuola. Al riguardo, non abbiamo certamente da proporre un pediatra nella scuola sul modello del “medico scolastico”, di estrazione e operatività
prevalentemente igienistica, di
(in)felice memoria, attivo, in Italia,
lungo vari decenni del XX secolo: essenzialmente burocrate e orientato al
controllo delle “convalescenze” (sufficiente durata degli “isolamenti” in caso di malattie diffusibili). Abbiamo
da proporre, piuttosto, una figura di
medico-educatore che intenda spendersi (con competenza pediatrica e
umana disponibilità), nel mondo della scuola, per fare: Educazione alla salute, in altri termini: “cultura della
crescita e della maturazione, dedicata
a bambini e genitori”. Naturalmente,
lungi dal proporre, in via programmatica, una elencazione degli argomenti da sviluppare in questa comunicatività didattica (e, altrettanto lungi dal poterne/saperne indicare metodologie pragmatiche di erogazione),
ho formulato una ipotetica “carta pediatrica per la scuola” che potrebbe
servire per qualche eventuale orientamento.
B) Verso una “carta pediatrica per la
scuola”? Suggestioni di un’ipotesi
Fig. 1 - Ambiti in cui si svolge la vita del bambino. Occuplazioni. Cura del suo benessere.
“In punta di piedi” vengo a prospettare l’ipotesi di una carta pediatrica
per la scuola (tabelle 2 e 3), ispirandomi alla figura 3 congiuntamente
Tabella 2 - Argomenti pediatrici di «cultura della crescita» di fondamentale interesse per gli scolari (classi elementari)
• Ravvisare nel pediatra un difensore della salute
• Valorizzare gli screening diagnostici precoci
• Valorizzare i bilanci di salute
• Valorizzare le vaccinazioni
• Non disattendere le indicazioni di una alimentazione corretta, completa, oltre che igienicamente curata
• Temere la magrezza eccessiva (e la anoressia mentale)
• Temere l’obesità e la sindrome metabolica
• Aiutare il bambino a conoscersi, non trascurando di chiedergli, ogni tanto, negli anni:
“Che cosa vorrai fare da grande?”
• Valorizzare lo sport, anche come antidoto all’eccesso di TV, e mediatico-elettronico
• Valorizzare, più in generale:
- Il tempo libero
- La salubrità ambientale (grande, subdolo nemico il fumo passivo)
- Deprecare motivatamente: pericolosi stili di vita (droga, alcool, fumo …, ma anche bullismo)
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Tabella 3 - Per una consapevole maturazione sociale, in prospettiva dei «ruoli adulti»
• Attendere lo spirito e le indicazioni della carta ONU sui diritti dei bambini (protezione educazione, promozione dei diritti)
• Sapersi prodigare affettivamente verso i bambini piccoli (ai lattanti con coccole) e sapere applicare verso tutta l’infanzia, una
pedagogia ispirata affettivamente, ma anche sufficientemente decisa. “Si” o “NO” dei genitori devono essere motivati, non
ondivaghi, coerenti e, quindi rispettati.
• Aiutare il preadolescente e l’adolescente nell’autostima e nel diritto al proprio rispetto (al rispetto della propria persona),
sollecitandolo coerentemente a sentire la “dignità della vita” e della sua qualità, ad applicare l’etica di: «Non fare agli altri ciò
che non vorresti fosse fatto a te stesso» e, al contempo, stimolare l’integrazione interetnica, il rispetto per il “diverso”, la
protezione-difesa della propria e altrui salute (deprecando, anche, in prospettiva, ogni rischio in questo senso: l’ebbrezza
della velocità al volante, compresa)
• Conoscere le esigenze dei bambini, anche in rapporto con le differenze generazionali: esaltare la difesa dell’ambiente non
sottovalutando i rischi di qualsivoglia inquinamento né - per l’educazione alla salute delle giovani donne di domani quelli di qualsivoglia negligenza igienica lungo la gravidanza (Fig 4)
con un concetto ripetutamente
espresso dal prof. Guido Fanconi
(celebre e storico Pediatra di Zurigo
fra gli anni 40 e 70 del XX secolo),
sintetizzabile nel binomio “età e
educazione” (Figura 3)
Fig. 3 - “… quello che Pierino non ha imparato, Piero non lo imparerà mai”
Fig. 4 - Noxae endogene ed esogene al feto
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pediatria preventiva & sociale
Che cosa il bambino e l’adolescente
dovrebbero imparare a scuola, per
potersi interessare alla cultura della
propria crescita e, in prospettiva, a
quella della propria maturazione civica?
Secondo la tabella 3, segnatamente
per i preadolescenti-adolescenti potrebbero trovare spazio gli argomenti più pertinenti alla loro maturazione psico-comportamentale e socialeadulta, (sobriamente anche in previsione del ruolo genitoriale). Qui basterebbe che gli insegnanti condividessero il valore (pedagogico) di
questi argomenti e della utilità di
diffonderne la conoscenza ai disccenti, magari in solidale collaborazione con un pediatra
L’adolescentologia va vissuta, infatti,
dal pediatra come un campo di sua
pretta competenza. Non meno di
quanto debba viversi come difensore
(come “avvocato”) del bambino, il
pediatra deve sapersi, prospettare –
oggi più che mai – come figura di riferimeto e di sostegno, mai complice
ma sempre disponibile nei confronti
dell’adolescente
In un Paese come il nostro, con la
sua Pediatria di Famiglia operante
su tutto il territorio, istituire-organizzare una “didattica pediatrica
scolastica” incentrata sulla profilassi
contro ogni nocumento alla salute
non dovrebbe sembrare una proposta peregrina né utopica.
In altri termini, non si dovrebbe
pensare che un (una) bambino/a e
un (una) adolescente che crescono
con una congrua “educazione alla salute” siano più preparati, da adulti
(genitori compresi) a vivere (e a far
vivere i loro bambini) in un modo
più sano rispetto a quelli cresciuti in
piena carenza di questi elementi culturali? E dove, se non nella scuola,
questa educazione potrebbe venire
collettivamente (e, quindi, estesamente) e proficuamente prodotta?
Una scuola che voglia (e debba) preparare i ragazzi alla vita adulta, deve saper insegnare le materie di programma
in un background di sostegno e di stimolo dei ragazzi stessi, allargato verso
gli orizzonti comprensivi di “ben pensare”, “ben sentire” e “sapere ben programmare” nel quotidiano.
Se, a questo scopo, è formativa la conoscenza delle tradizionali materie
di insegnamento scolastico, si ritiene
davvero, ancora oggi (nella società
che cambia: vedi anche tabella 1),
che un’organica educazione alla salute sia di secondaria importanza?
Che possa essere, tutt’al più, un “optional”? E, come tale, facoltativatrascurabile?
Ricordiamoci che è dei più autorevoli Enti sociali internazionali
(UNICEF, UNESCO, Banca Mondiale) l’affermazione che investire
nei bambini vuol dire investire sul
futuro della Società.
Una contrazione numerica dei pediatri operanti sul territorio (una diminuzione, in particolare, dei pediatri di Famiglia, che, di fatto, nella
realtà, purtroppo incombe nel nostro
Paese) vanificherebbe questa saggia
e lungimirante affermazione, che invece non può venire – se non irresponsabilmente – disattesa.
Una maggiore sinergia fra Pediatria
e Scuola, da noi oggi (e non solo da
oggi) auspicata, presuppone ovviamente che non manchino i pediatri
disponibili a dedicarsi anche alla
scuola (Fig 2), spendendosi in essa
nella loro mansione di “educatori”.
Verrebbe facile coniare il sinlogismo:
“Più Pediatri, più Educazione alla
Salute”, in sintesi, più benessere sociale.
Soggiungiamo, per concludere. Corpo e mente sono una unità; il pediatra curante del corpo può facilmente
far capire che comportamenti psicosociali aberranti, ma anche diete
sballate (ed eventualmente doping)
nuocciono, prima o poi, al corpo, per
non parlare dei più rischiosi nuovi
stili di vita (alcol, fumo, droghe),
che, se nascono per indifferenza, incuria–negligenza, inefficienza pedagogica degli adulti, dei genitori, trovano nelle “discoteche per minorenni” la culla e il pabulum per fare
proseliti (in prospettiva “dipendenti”) incapaci, poi, di rispettare-coltivare la gerarchia dei valori che, nel
reale e nel trascendente, impreziosiscono la vita.
Bibliografia
1. Bernasconi S, Bertelloni S, Jankovic M, Lo
Giudice M, Burgio GR. La Convenzione
sui diritti per l’infanzia, 20 anni dopo. “Il
Pediatra” 2010; XIV (2): 13-142. Burgio GR, Bertelloni S. Una Pediatria per
la Società che cambia. Tecniche Nuove, Milano, 2007.
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L’influenza stagionale e l’influenza pandemica:
una, due o nessuna vaccinazione?
S. Esposito, S.A. Bosis, L. Gualtieri, L. Cesati, E. Baggi, N. Principi
Dipartimento di Scienze Materno-Infantili, Università degli Studi di Milano
Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena - Milano
Da alcuni anni gli esperti epidemiologi, soprattutto sulla base della ciclica comparsa di epidemie influenzali sostenute da virus di derivazione
animale, avevano previsto che in
tempi brevi una pandemia di influenza potenzialmente sovrapponibile a quelle occorse negli anni
1918-1919, 1957-1963 e 1968-1970
si sarebbe nuovamente manifestata,
coinvolgendo tutti Paesi, in ogni
continente. I principali candidati alla determinazione della nuova pandemia sono stati alcuni virus aviari,
particolarmente l’A/H5N1 capace
di causare forme gravi nell’uomo sia
pure in condizioni assolutamente
particolari. Sul piano biologico si è
temuto che questo o altri virus aviari fossero in grado di andare incontro a mutazioni o a ricombinazioni
con altri virus influenzali sufficienti
a consentire un loro più facile attecchimento e una diretta trasmissione
da uomo a uomo, condizionando così la rapida diffusione del virus e il
coinvolgimento di tutta la specie
umana in ogni luogo. In realtà, la
tanto temuta pandemia influenzale
da virus aviari non si è ancora verificata ma, al suo posto, si è sviluppata
una nuova pandemia, dovuta a un virus proveniente dai maiali, il virus
A/H1N1. I primi casi sono comparsi in Messico verso la metà di marzo
2009 e il controllo successivo della
circolazione del virus ha dimostrato
18
che questo si è immediatamente diffuso a tutte le Americhe, ovviamente coinvolgendo subito i Paesi, come
gli U.S.A. e il Canada, che hanno
ampie relazioni con il Messico. La
rapidità della diffusione dell’infezione è bene dimostrata dai dati rilevati dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS) che indicano
che tutti i Paesi del mondo sono stati interessati con la sola eccezione di
alcuni stati del centro Africa e dell’Asia centrale.
L’importanza della pandemia e delle
sue possibili conseguenze è stata subito avvertita dalle autorità sanitarie
di tutto il mondo che, oltre a suggerire misure per il contenimento della
circolazione del virus e a impostare
possibili trattamenti terapeutici con
gli antivirali disponibili per i soggetti
a maggior rischio, hanno immediatamente sollecitato l’industria a preparare uno specifico vaccino. In Italia, il
Ministero del Lavoro, della Salute e
della Politiche Sociali ha redatto un
documento che ha definito la strategia preventiva nazionale, in base al
quale il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio ha previsto l'acquisto di strumenti di prevenzione (vaccini, antivirali e dispositivi di protezione disinfettanti) in conformità alla valutazione tecnica dei bisogni. La vaccinazione pandemica è stata offerta prioritariamente al personale sanitario, che
pediatria preventiva & sociale
assisteva i malati, e ai soggetti a rischio di complicanze per patologie.
Poiché i bambini e i giovani sono
maggiormente suscettibili di tale infezione, e quindi sono serbatoi di diffusione della stessa, si è deciso di vaccinare dal gennaio 2010 anche tale
fascia di popolazione, che va dai 2 ai
27 anni.
Questo tipo di atteggiamento appare, soprattutto per la fascia pediatrica, radicalmente diverso da quello
che lo stesso Ministero ha fino ad
oggi tenuto per l’influenza stagionale. Per quest’ultima, infatti, le raccomandazioni più recenti non prevedono la vaccinazione del bambino,
tranne nei casi nei quali esista una
sottostante patologia cronica grave
che possa condizionare negativamente il decorso dell’influenza.
Perché queste differenze? Una prima
valutazione della gravità clinica della nuova influenza rispetto a quella
stagionale sembra non giustificare
completamente una logica comportamentale così diversa. La stragrande maggioranza dei casi di influenza
suina da A/H1N1 ha, infatti, un decorso sostanzialmente benigno, con
un quadro di banale forma respiratoria tendente a guarire spontaneamente nel giro di pochi giorni e non
si differenzia, di fatto, da quanto si
vede con l’influenza stagionale.
D’altra parte, la relativa importanza
clinica della nuova influenza pande-
mica è confermata dai dati relativi
alla mortalità che, sui casi segnalati
all’OMS, è intorno al 6 per mille, un
valore pressoché identico a quello
che si verifica ogni inverno per i casi di influenza stagionale. In realtà,
anche a parità di gravità l’A/H1N1
può fare molti più danni dell’influenza che siamo abituati a fronteggiare ogni inverno perché il numero
assoluto di soggetti che possono andare incontro alla malattia è innegabilmente più elevato. Contrariamente a quanto vale per l’influenza stagionale per la quale esiste una fetta
non trascurabile della popolazione
che ha una protezione, almeno parziale, contro i virus circolanti, nel caso dell’influenza suina tutti i soggetti sono suscettibili, non essendovi
stata in precedenza alcuna possibilità di acquisire una qualche forma di
immunità per infezione da virus selvaggio e per esecuzione della vaccinazione. Ciò significa che, pur rimanendo invariato il tasso di ospedalizzazione e quello di mortalità, il numero assoluto di soggetti che saranno coinvolti risulterà inevitabilmente più alto con ovvie maggiori conseguenze sia sul piano medico che su
quello socioeconomico.
Ma se l’influenza pandemica deve
essere affrontata con una certa aggressività, l’influenza stagionale deve
essere lasciata, come avvenuto in
passato, ancora priva di qualsiasi ini-
ziativa specifica per i bambini sani?
Su questo punto si potrebbe discutere perché l’influenza stagionale del
bambino è, probabilmente, di per sé
sufficiente a giustificare qualche intervento, almeno in termini di prevenzione vaccinale. Dati raccolti un
po’ dovunque hanno, infatti, dimostrato che l’influenza stagionale può
essere potenzialmente pericolosa per
i soggetti più piccoli per i quali può
rappresentare una causa importante
di ospedalizzazione, di incremento
dell’uso di farmaci e, sia pure eccezionalmente, di morte. Inoltre, e
questo è, forse, il dato più significativo, l’influenza del bambino causa
importanti effetti indiretti perché
viene facilmente trasmessa a coloro
che vivono nello steso ambiente,
causando profondo disagio nella comunità e nella famiglia, per nuovi
casi di malattia, aumento delle visite
mediche e perdita di giorni di scuola e di lavoro. Non per nulla le autorità sanitarie degli U.S.A hanno dallo scorso anno raccomandato una sistematica vaccinazione antinfluenzale per tutti i soggetti, anche sani,
tra i 6 mesi e i 18 anni.
Cosa può succedere se un bambino
si infetta contemporaneamente con i
due virus, il nuovo pandemico e
quello stagionale? E, poi, che effetto
può avere una infezione da virus stagionale in un bambino che ha superato da poco l’influenza suina? Si sa
che le forme virali lasciano qualche
traccia per alcune settimane rendendo la risposta immune ad infezioni
successive meno valida. Non è possibile che l’influenza stagionale abbia
in questo modo conseguenze anche
più gravi di quelle note?
Tutti questi dubbi sembrano indicare
che una doppia vaccinazione sia la
raccomandazione migliore e che, in
questo modo, molti problemi possano
essere affrontati con sicurezza di un
buon risultato. Ci si augura che, qualsiasi siano le raccomandazioni ministeriali, i pediatri di famiglia, che già
da tempo hanno sposato la logica della vaccinazione dei loro assistiti, mantengano questo atteggiamento e che i
nostri piccoli siano così protetti al
meglio della possibilità che la moderna scienza loro offre. Inoltre, speriamo che già dalla prossima stagione
possa essere disponibile un unico vaccino influenzale che permetta di proteggere contro l’influenza stagionale e
contro l’influenza pandemica.
Bibliografia
1. Chang LY, Shih SR, Shao PL, et al. Novel
swine-origin influenza virus A(H1N1)the
first pandemico f the 21st century. J Formos
Med Assoc 2009; 108: 526-532.
2. Michaelis M, Doerr HW, Cinati J Jr. Novel
swine-origin influenza A virus in humans:
another pandemic knocking at the door. Med
Microbiol Immunol 2009; 198: 175-183.
2/2010
19
Vaccini attuali e futuri
Gian Vincenzo Zuccotti, Chiara Mameli
Clinica Pediatrica dell’Università di Milano
AO Luigi Sacco
Le malattie infettive, al giorno d’oggi,
sono tra le cause principali di morte in
tutto il mondo nonostante gli innegabili progressi in campo terapeutico.
Le vaccinazioni rimangono tutt’ora il
presidio medico più efficace per la
prevenzione di tali malattie in grado
di minimizzarne l’impatto sulla popolazione mondiale.
La storia delle vaccinazioni inizia circa 2 secoli fa con la scoperta che
l’inoculazione di un microrganismo
patogeno nell’uomo aveva la capacità
di conferire protezione dalla malattia
causata. Basandosi su tale osservazione venne poi elaborato il primo vaccino secondo tre step fondamentali:
l’isolamento del microrganismo patogeno, la sua inattivazione e la conseguente iniezione nell’organismo
umano. Tale processo, in grado di sviluppare nell’organismo umano anticorpi protettivi, ha portato nel corso
degli anni allo sviluppo di vaccini
inattivati, vivi attenuati e a subunità
ed é stato alla base dell’introduzione
di un sempre maggior numero di vaccini contro diversi microrganismi patogeni. Questo approccio definito
“classico” è risultato efficace nella
prevenzione di malattie causate da
microrganismi caratterizzati da modesta o assente variabilità antigenica
mentre non è risultato ottimale ed
adeguato nei confronti di microrganismi non coltivabili in laboratorio,
con elevata variabilità antigenica e
20
controllati da immunità mucosale o
T-dipendente. Una importante svolta
è avvenuta pochi anni fa, nel 1995,
con il sequenziamento completo del
primo genoma batterico (Haemofilus
influenzae). Tale scoperta ha segnato
l’inizio dell’era genomica e ha permesso una miglior conoscenza dei
microrganismi, soprattutto dei geni
implicati nell’interazione con l’ospite
e responsabili dell’infettività del patogeno con l’obiettivo di cercare di
contrastare gli agenti patogeni che
non hanno risposto positivamente all’approccio con la tecnologia tradizionale.
La più importante applicazione in
campo vaccinale di tale metodica è
stata la sintesi di un nuovo vaccino
contro il Meningococco B, il maggior responsabile di sepsi e meningiti soprattutto nei paesi industrializzati. Questo vaccino, attualmente
nelle fasi finali di sperimentazione, è
stato sintetizzato con una tecnica
chiamata Reverse Vaccinology che
ha permesso di identificare, tramite
il sequenziamento dei geni del microrganismo, 5 antigeni in grado di
stimolare una risposta immune
quando inoculati nell’ospite. Con il
medesimo approccio sono in corso
di sintesi nuovi vaccini per altri patogeni tra cui il Mycobacterium tubercolosis, Chlamidia pneumoniae
ed Helicobacter pylori. Un’altra recente conquista in campo vaccinale è
pediatria preventiva & sociale
il vaccino 13-valente contro Streptococcus pneumoniae in grado di
coprire un maggior numero di sierotipi di pneumococco ed in particolare il sierotipo 19A che negli ultimi
anni si è imposto sugli altri sierotipi
in età pediatrica.
La prossima evoluzione nello sviluppo dei vaccini é rappresenta dalle
tecnologie post genomiche (transcriptomics, proteomics, metabolomics, etc) che mirano ad identificare
nuovi antigeni e a superare il problema della variabilità antigenica che
impedisce tutt’ora di sviluppare vaccini verso malattie ad elevato impatto sulla popolazione mondiale.
Un notevole aiuto è fornito da una
sempre maggior disponibilità di adiuvanti, molecole in grado di potenziare
la risposta immunitaria tramite diversi meccanismi ancora non completamente conosciuti. Il limite degli adiuvanti attualmente disponibili in commercio è la scarsa capacità di potenziare l’immunità cellulo-mediata che
risulta fondamentale contro i patogeni intracellulari e mucosali tra cui il
virus dell’immunodeficienza acquisita, i micobatteri e i plasmodi. Nuovi
adiuvanti sono in corso di sperimentazione cercando di superare tale limite con l’obiettivo futuro di personalizzare i vaccini in relazione alle diverse
caratteristiche immunologiche dei
soggetti e migliorare il profilo di tollerabilità.
Una miglior conoscenza dei meccanismi immunitari apre la prospettiva
all’utilizzo di nuove vie di somministrazione dei vaccini, in particolare
della via mucosale risultata essere
meno dolorosa, potenzialmente utile
per le vaccinazioni di massa e di
emergenza. Ulteriori studi sono però
necessari per valutarne la reale immunogenicità nei confronti di diversi antigeni e la conseguente applicazione clinica.
Attualmente le malattie prevenibili
tramite la vaccinazione sono 27.
L’obiettivo futuro è sicuramente
quello che incrementarne il numero
alla luce dello sviluppo di tecnologie
sempre più precise ed affidabili.
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21
Le spie del disagio giovanile: la parola al pediatra
e all'insegnante. Il disagio e la scuola.
Laura Le Metre1, Luca Bernardo
1
Docente scuola in ospedale
Quando mi ritrovo fuori, ho
l’impressione di camminare scalzo sopra un tappeto di spilli. Mi ballano le
palpebre, le mani mi tremano, batto i
denti. [...] Il valium mi avvolge il corpo di nuvole, senza cambiare nulla allo stato dei nervi.
Visto dall’esterno, sembro in estasi,
dentro invece friggo, come una bobina
elettrica che non smette di bruciare.
(Daniel Pennac, "Il paradiso degli orchi")
Il termine “disagio” viene utilizzato
per indicare uno stato psicologico di
malessere, spesso confuso e/o inespresso, derivato da una molteplicità
di situazioni in cui i giovani possono
trovarsi, per i motivi più diversi.
Il pre-adolescente e l’adolescente vive oggi una fase della vita che si è
prolungata, per la dipendenza dalla
famiglia, per l’insicurezza economica, per lo stare a lungo in formazione; ma che si è fatta anche più libera, più inquieta, più carica di tensioni e di rischi, di malessere e di incertezze.
Ciò provoca sempre di più disagio,
che si esprime in molte forme: disturbi del comportamento, auto-lesionismo, disturbi dell’alimentazione, ricerca di esperienze- limite (sfide con i motori, etc.). Tutto ciò delinea uno stato d’animo diffuso di
tensione, di rabbia, di insofferenza
che si manifesta un po’ ovunque, in
22
famiglia nella società, nella scuola.
Nella scuola, si registrano sempre
più sovente atteggiamenti di rifiuto
delle regole, di indifferenza alla cultura, di ribellismo, di resistenza all’impegno. Tutti questi comportamenti manifestano un disagio profondo di cui la scuola non può ignorare l’esistenza. Anzi: deve saperlo
riconoscere e prepararsi un po’ a
trattarlo, senza renderlo patologico o
demarcarlo come devianza. Deve saperlo capire: cioè diagnosticarlo, interpretarlo e affrontarlo.
É sempre più frequente, in ogni ordine di scuola, dalla Primaria agli
Istituti Superiori, evidenziare in
molti bambini e ragazzi, forti difficoltà a comunicare, a stabilire relazioni affettive, ad esprimere o a
comprendere stati emotivi. È come
se si vivesse in una sorta di deserto
emozionale, seguito spesso da una
sostanziale incapacità ad assumersi
qualsiasi responsabilità, rispetto alle
conseguenze delle proprie azioni,
una sorta di deserto etico. Questa
propensione
all’aggressività,
l’incapacità di gestire i propri impulsi, il vuoto esistenziale, l’incapacità a
stabilire e mantenere relazioni affettive stabili, rendono povere, poco
duttili e integrate, le capacità di questi studenti; i difetti settoriali percettivi, espressivi, linguistici, motori,
d’attenzione, di memoria, si traducono ben presto in difficoltà scola-
pediatria preventiva & sociale
stiche e d’apprendimento con conseguenti fallimenti e smarrimenti più
o meno significativi.
In questo continuo e parossistico vivere l’attimo e fuggire il futuro, questi giovani non hanno il tempo di ripiegare su se stessi, di indagare nel
profondo di sé, di interrogarsi su
quello che veramente vorrebbero essere o sono indotti ad essere.
La scuola allora, rappresenta uno
strumento importante per decodificare e accogliere il disagio e
l’inquietudine del mondo giovanile.
È necessario essere capaci di interpretare e trattare il disagio dei propri
allievi. Senza ignorarlo o delegarlo,
dove c’è, allo “sportello” psicologico
della scuola. Trattandolo invece in
classe, per quanto e come possibile,
attraverso la comunicazione, la comprensione, il dialogo.
Lo spazio dell’incontro cognitivo,
affettivo, relazionale che ogni docente può attivare con i propri allievi, non è determinato infatti dalla
quantità di apprendimenti che saranno messi in atto, ma dalla capacità di consegnare ad ogni allievo, gli
strumenti che facciano di quello
spazio d’incontro, un luogo di formazione umana.
Senza avere la pretesa di esaurire la
ricchezza semantica della parola
“disagio”, si possono individuare nella scuola, alcune fondamentali spie
del disagio con le quali i docenti, i
genitori e tutti coloro che in modo
diretto o indiretto sono coinvolti
nelle relazioni educative, sono chiamati a confrontarsi.
Una prima tipologia di studenti che
esprime un certo tipo di disagio, è
costituita da chi registra un rendimento scolastico insoddisfacente. In
questa prima tipologia rientrano
studenti che fanno progressi limitati
a motivo della loro ridotta abilità,
studenti con la sindrome da fallimento, che per questo sono rinunciatari, studenti eccessivamente perfezionisti, che sono più impegnati ad
evitare errori che ad apprendere, studenti poco impegnati che non cercano di fare il loro meglio ma si accontentano dei risultati minimi per proseguire negli studi.
Una seconda tipologia di ragazzi che
vivono disagio, è costituita da chi manifesta problemi di ostilità: ci sono gli
ostili aggressivi, che sono prepotenti e
turbano l’armonia della classe; i passivi aggressivi, che sono ribelli ma si
fermano prima di dare sfogo alla loro
aggressività; i ribelli provocatori, che
sfidano in maniera diretta l’autorità
dell’insegnante attraverso la disobbedienza e le provocazioni aperte. C’è
poi una tipologia di studenti che non
assume in modo positivo il ruolo dello studente, come gli iperattivi, i disattenti, gli immaturi.
Infine, per alcuni studenti il disagio
scaturisce in modo diretto da difficoltà di tipo relazionali, è questo il
caso di chi è rifiutato dai compagni
(desidera avere amicizie ma non è
accettato) e di chi, timido e introverso, non è rifiutato in maniera diretta
ma è socialmente isolato, per la sua
ritrosia a coinvolgersi nelle relazioni
con gli altri compagni.
Rispetto alla complessità del problema delineato, la scuola e gli insegnanti si trovano spesso disarmati di
fronte alle diverse manifestazioni di
disagio agite dagli studenti, in quan-
to in parecchi casi mancano le specifiche competenze psicopedagogiche,
metodologiche, didattiche e relazionali, indispensabili per impostare
un’azione efficace, sia a livello di
prevenzione che di gestione dei casi
difficili.
Non si tratta di “fare lo psicologo”,
ma di attuare una relazione didattica
positiva, che rispetti gli studenti e
tenga conto delle caratteristiche psicologiche e cognitive di ciascuno, facendo leva sui punti forti, per far
emergere le capacità e indirizzarli
verso un progetto di vita autonomo e
consapevole.
È il “Conosci te stesso” di Socratica
memoria, l’obiettivo a cui attualmente la scuola deve mirare, focalizzando la sua programmazione prioritariamente sull’alfabetizzazione
emotiva.
Ciò richiede da parte degli insegnanti la capacità di leggere le emozioni dei loro giovani allievi, riuscendo ad incanalarle in interessi e
progetti, ove essi si sentano pienamente riconosciuti per quello che
realmente sono con i loro limiti e
possibilità.
Solo dopo il riconoscimento da parte dell’altro, può sorgere negli adolescenti l’autoaccettazione e la fiducia
in sé, che portano alla costruzione
della propria identità. La consapevolezza di essere riconosciuti ed accettati è come un seme che rende fertile il terreno della buona volontà ad
impegnarsi e ad apprendere i contenuti disciplinari. «Se non si dà apprendimento senza gratificazione
emotiva, l’incuria dell’emotività è il
massimo rischio che ogni studente,
andando a scuola, corre. E non è un
rischio da poco perché se è vero che
la scuola è l’esperienza più alta in cui
si offrono modelli di secoli di cultura, se questi modelli restano contenuti della mente, senza diventare
spunti formativi del cuore, il cuore
comincerà a vagare senza orizzonte,
in quel nulla inquieto e depresso che
nemmeno il baccano della musica
giovanile riesce a mascherare…Il sapere trasmesso a scuola non deve
comprimere questa forza, ma porsi
al suo servizio (U. Galimberti,
L’ospite inquietante) Ma c’è anche
un’altro tipo di disagio a cui mi piacerebbe accennare...
Quando un ragazzo va in ospedale, è
come se fosse portato nel bosco lontano da casa.
Ci sono ragazzi che si riempiono le
tasche di sassolini bianchi, e li buttano per terra, in modo da saper ritrovare la strada di casa anche di notte,
alla luce della luna. Ma ce ne sono
altri che non riescono a fare provvista di sassolini, e lasciano delle briciole di pane secco come traccia per
tornare a casa. È una traccia molto
fragile e bastano le formiche a cancellarla: i ragazzi si perdono nel bosco e non sanno più tornare a casa.
L’ospedale è come un bosco in cui
alcuni sanno ritrovare la propria
strada, sanno leggerla e sanno orientarsi: passano la giornata nel bosco e
si divertono a scoprirlo a conoscerlo
nelle sue bestiole e nei suoi alberi e
riescono a collegare tutto questo alla
traccia e alla memoria che li riporta
a casa. Sono padroni di un territorio
perchè sono padroni dei segni per riconoscerlo e per collegarlo; la loro
casa non è un posto remoto e divenuto inaccessibile, ma una possibilità e quindi una presenza da cui ci si
può allontanare sicuri di ritornare.
Altri ragazzi passano la giornata nel
bosco e anche loro imparano tante
cose: conoscono alberi e piante, animali e insetti ma alla fine della giornata conoscono anche la paura di
non sapersi orientare, di non sapere
la strada di casa. Hanno imparato
tanto, forse e lo hanno dimenticato
perchè non riescono a collegarlo alla
traccia e alla memoria della strada di
2/2010
23
casa: il bosco diventa il posto pauroso in cui si perdono, senza riconoscere le proprie tracce, sempre estranei e sempre respinti.
I ragazzi che sanno tornare a casa,
sono capaci anche di andare avanti
nel bosco ed oltre il bosco. I ragazzi
che si sono persi non sanno tornare
a casa e non sanno neppure andare
avanti, perchè ogni passo che fanno
è sempre per perdersi un po’ di più,
per non saper riconoscere niente di
sé e delle cose che stanno loro attorno: se si incontrano fra loro non si
riconoscono e non sanno neppure
diventare compagni di strada.
Non hanno strada, perchè non sanno leggere i segni che possono costituire una strada o un sentiero: sono
condannati a vagabondare senza
spazio e senza tempo. (Andrea Canevaro, La metafora del bosco ) È la
sofferenza che può manifestarsi nell’esperienza di ospedalizzazione.
Per un bambino o un ragazzo sopra
i 6 anni, la scuola rappresenta
l’ambiente di vita e di relazione più
importante, un valore simbolico affettivo e reale che va ben oltre il
semplice apprendimento di nozioni
e concetti. Quando un ragazzo si
ammala gravemente, al suo ricovero
si trova improvvisamente separato
dal mondo in cui viveva, costretto a
vivere in spazi, tempi e ritmi, assolutamente nuovi, diversi rispetto alla
sua quotidianità. Egli deve fare i
conti con una immobilità forzata,
con una serie di divieti, con i propri
dubbi e le proprie paure, con il “fantasma della sua malattia”.
Il giovane ricoverato e la famiglia,
scoprono che la quotidiana routine
scolastica, riveste un valore che va
oltre il semplice apprendimento di
nozioni: essa fornisce motivazione,
entusiasmo e gioia di vivere.
Diventa allora necessario che una
istituzione educativa, anche all’interno del contesto ospedaliero spes-
24
so così spersonalizzante ed incomprensibile agli occhi del ragazzo,
continui a fornire occasioni di instaurare legami, creare apprendimenti, accogliere e interpretare il
disagio.
La scuola in ospedale opera cercando
di avvicinare due realtà diverse: da
una parte essa è attenta alle necessità
del ragazzo che vive una situazione
di malattia e ricovero; dall’altra si
confronta con l’istituzione ospedaliera e il personale che vi lavora, assumendo di fatto un ruolo di “mediatore culturale”, traducendo le strutture
di pensiero di linguaggio e di “cultura”, per ridurre le distanze tra persone ed istituzioni basate su criteri e
valori spesso molto dissimili.
Ogni ragazzo ha bisogno di muoversi, correre, giocare, incontrarsi, ma in
ospedale molte di queste azioni gli
sono precluse o vengono relegate ad
un ruolo secondario opzionale. Ciò
comporta proprio la negazione di
quegli aspetti che più caratterizzano
la sua identità. Egli si trova solo con
le sue insicurezze e le sue paure, ad
affrontare la costruzione di un difficile percorso di conoscenza, comprensione e accettazione della nuova
realtà.
Il disagio del giovane viene affrontato qui, ponendo l’accento sulle funzioni vitali e sane della sua persona,
rispetto a quelle “malate” prese in
esame dall’equipe medico-sanitaria;
sulle capacità d’ascolto, di saper offrire un’atmosfera di calda empatia,
rispettando i bisogni profondi, riconoscendo e valorizzando la specificità di ciascuno, ma allo stesso tempo
evitando che sprofondi in uno stato
di passività ed apatia.
Può essere utile a questo punto richiamare la differenza tra il concetto
di istruzione ed educazione, sintetizzando il pensiero di Danilo Dolci:
“...Se partiamo dal concetto tradizionale di istruzione, come trasferi-
pediatria preventiva & sociale
mento o trasmissione dall’esterno
(…) di una cultura in sé compiuta,
da accettare in passività e a cui adeguarsi,(...) l’istruzione ha una mera
funzione strumentale, efficientistica,
presuntamente emancipatrice....
...Se però pensiamo che ci si istruisce
davvero in base ad una domanda, ad
un bisogno profondamente radicato
nella nostra personalità (...) che
l’apprendimento presuppone la ricerca (…) e dunque esso costituisce una
conquista, allora l’istruzione non è solo un sapere (un avere, un "bagaglio",
un materiale dato da altri), ma presuppone, soprattutto, la maturazione
di tratti personali di conquista, la rielaborazione individuale e inter-individuale della cultura (....) l’istruzione
perde così il suo carattere strumentale
e risponde ai bisogni più profondi
dell’essere, del ben-essere personale,
(...) essa ha attinenza con la libertà,
(...) nella sua dimensione etica ma anche intellettuale, essenzialmente essa
è libertà di pensiero, capacità di scelta
critica, responsabile.....”
La scuola dunque, ovunque essa si
trovi ad operare, ha come prezioso
obiettivo la promozione completa
dello sviluppo della persona.
Solo così essa sarà funzionale a quei
ragazzi che rischiano di perdersi nei
boschi delle proprie angosce. Sapendo
stare loro vicino nella rielaborazione
delle esperienze, e sostenendoli nell’
avventura difficile e dura del crescere,
per favorirne la restituzione all’armonia della vita, senza avere perduto nulla per la strada, ma anzi con qualche
sassolino in più nelle tasche.
Il Bullismo
“Uno studente è oggetto di azioni di
bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da
parte di uno o di più compagni”.
(Olweus, 1996)
Il concetto di “bullismo” non va quindi usato nel caso di un singolo atto di
aggressività e non include occasionali
azioni negative fatte per scherzo, ma
deve essere usato come una specie di
script, cioè come una sequenza, abbastanza stereotipata, caratterizzata da
intenzionalità (desiderio di ferire),
asimmetria di potere nella relazione,
persistenza nel tempo, un uso ingiusto del potere, piacere evidente dell’aggressore e sensazione di oppressione nella vittima.
L’aggressione può essere perpetrata
con modalità differenti, fisiche o verbali di tipo diretto, o con modalità di
tipo psicologico ed indiretto, quali la
stigmatizzazione e l’esclusione dal
gruppo dei pari.
I dati CENSIS del 2008 dimostrano
che non si tratta solo di un allarme
mediatico, ma di un fenomeno concreto con una diffusione preoccupante. Gli studi riportano che il bullismo è presente nel 49,9% delle
classi italiane.
Gli studi longitudinali mettono in
evidenza che chi rimane a lungo nel
ruolo di bullo ha più possibilità di
entrare in un circuito di evoluzione
della violenza che va da piccoli episodi di vandalismo, furti, piccola criminalità, fino a condanne per comportamenti antisociali.
Un dato della Procura di Milano indica che il 45% dei ragazzi che fan-
no i bulli a scuola viene condannato
per tre diversi crimini entro i 24 anni di età.
Allo stesso tempo e’ noto che l’aver
subito episodi di bullismo rappresenta un evento di vita stressante che può
influenzare significativamente lo sviluppo nell’infanzia e nell’adolescenza
e condizionare negativamente la salute mentale anche in età adulta.
Le ricerche hanno infatti dimostrato
che le conseguenze del bullismo sulla vittima non sono solo quelle immediate, derivanti dalle aggressioni
fisiche subite, ma comprendono anche alterazioni dell’equilibrio psicofisico che possono diventare croniche ed irreversibili, anche al venir
meno della condotta persecutoria
che le ha determinate e che sono
potenzialmente di estrema gravità e
di significativo impatto non solo a
livello individuale, ma anche sociale
e sul sistema sanitario per l’aggravio
di costi che ne derivano.
Le vittime del bullismo possono presentare conseguenze sul piano sociale (insicurezza, scarsa autostima,
scarsa motivazione all’autonomia,
dipendenza dall’adulto, ritiro sociale), una significativa compromissione del funzionamento scolastico
(disturbi di apprendimento e cali di
rendimento, determinati da difficoltà di concentrazione, ridotta motivazione e disinvestimento nei processi
di apprendimento) ed anche disturbi
psichiatrici (disturbi d’ansia, disturbi
dell’umore con aumentato rischio di
suicidio). Risulta, quindi, di fondamentale importanza attuare programmi di prevenzione e di intervento sulle vittime e le loro famiglie,
specifici e mirati, finalizzati alla promozione dell’autostima e delle competenze relazionali e sociali.
Domande
1) Il Bullismo è un fenomeno presente :
a) nel 29,9% delle classi italiane
b) nel 39,9% delle classi italiane
c) nel 49,9% delle classi italiane
2) Le conseguenze del bullismo sulla vittima :
a) comprendono alterazioni dell’equilibrio psicofisico della vittima
b) sono solo quelle immediate, derivate dall’aggressione
c) scompaiono con il venir meno
delle condotte persecutorie che le
hanno determinate
3) Il Bullo:
a) da adulto non presenterà alcuna
problematica particolare
b) ha più possibilità di entrare in un
circuito di evoluzione della violenza che va da piccoli episodi di
vandalismo, furti, piccola criminalità, fino a condanne per comportamenti antisociali
c) non è aggressivo intenzionalmente.
2/2010
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Prevenzione e terapia della tubercolosi in età
pediatrica
A. Guarino, F. D’Elia, E. Ruberto, M.A. Caiazzo
????
La Tubercolosi (TBC) è una delle 10
cause più frequenti di morte nel mondo. Le morti sono prevalentemente
confinate in paesi a basso standard socio-economico, nei soli anni novanta
sono stati stimati 30 milioni di morti.
I fattori associati alla elevata diffusione della tubercolosi sono:
1.l’epidemia di infezione da HIV
2.l’aumento dell’immigrazione da
paesi endemici
3.l’abolizione delle infrastrutture e
delle procedure specificamente deputate al controllo della tubercolosi
4.l’aumento dei ceppi di M. tuberculosis resistenti alla terapia.
L’attuale situazione epidemiologica
della tubercolosi in Italia è caratterizzata da una bassa incidenza nella
popolazione generale (7:100.000), il
che colloca l’Italia nei paesi a bassa
endemia. Secondo quanto riportato
dal “Rapporto sulla Tubercolosi in
Italia dell’anno 2008” in occasione
della giornata mondiale della tubercolosi (24/03/2010) nel 2008, sono
stati notificati 4418 casi di tubercolosi (TBC) con una diminuzione del
2,4% dei casi rispetto al 2007. Il
trend non è uniforme sul territorio
nazionale; infatti, nel Nord si è riscontrato un incremento del numero
delle notifiche di casi di TBC, al
contrario delle Regioni del Centromeridionali e delle Isole in cui il
trend sembra in diminuzione.
26
L’epidemiologia della TB in Italia è
caratterizzata da:
1) Cambiamento dell’incidenza per
classi d’età. Una progressiva diminuzione dell’incidenza negli ultrasessantacinquenni, un lieve e progressivo incremento nelle classi di età dai
15 ai 24 anni e un aumento nella
classe di età 0-14 anni nell’ultimo
anno. La classe di età 0-14 anni è
l’unica in cui l’incidenza nelle femmine risulta essere maggiore rispetto
a quella nei maschi.
2) Variabilità dell’incidenza per sede
anatomica. L’incidenza di tubercolosi polmonare sembra stabile e intorno ai 5-6 casi per 100.000 residenti.
L’incidenza delle forme extrapolmonari, dopo un progressivo aumento
nelle decadi precedenti, sembra essersi stabilizzata intorno ai 2 casi per
100.000 abitanti.
3) Eterogeneità per paese d’origine. La
particolare condizione di “immigrato” predispone a un rischio aumentato di sviluppare la tubercolosi sia per
i maggiori tassi di incidenza nei Paesi di origine, sia per le particolari
condizioni di fragilità sociale e di
complessità legate al processo migratorio ed alla multiculturalità che influiscono decisamente sui percorsi di
prevenzione, diagnosi e cura. Nella
decade 1998-2008, il numero di casi
di tubercolosi in persone nate all’estero è più che raddoppiato e la percentuale sui casi totali è vicina al
pediatria preventiva & sociale
50%. In generale, nonostante
l’incidenza si sia ridotta negli ultimi
anni, la popolazione immigrata ha
ancora un rischio relativo di tubercolosi 10-15 volte superiore rispetto alla popolazione italiana. Fino al 2007,
oltre il 50% dei casi di tubercolosi in
persone nate all’estero insorgeva entro i primi 2 anni dall’arrivo in Italia,
mentre nel 2008 questa proporzione
è diminuita fino al 43% ed è aumentata la proporzione di casi insorti dopo almeno 5 anni dall’arrivo (da circa il 29% a circa il 38%). In particolare sembrano diminuire i casi di tubercolosi in persone provenienti dall’Africa, mentre aumentano i casi
provenienti dall’Est europeo;in particolar modo, la popolazione proveniente dalla Romania ha il maggior
numero assoluto di casi di tubercolosi notificati nel 2008.I dati di incidenza grezza per Paese d’origine, individuano 9 nazionalità a particolare
rischio (con tassi maggiori o vicini a
100 casi per 100.000 residenti):
Etiopia, Pakistan, Senegal, Perù, India, Costa d’Avorio, Eritrea, Nigeria
e Bangladesh.
4) Farmacoresistenza. La percentuale
di TBC multiresistente (MDR) nel
2008 è lievemente aumentata rispetto al 2007 attestandosi al 3,7% del
totale dei ceppi analizzati, con una
percentuale più rappresentata nella
classe 15-34 anni.
Definizione di caso e stadiazione
della tubercolosi
La definizione di infezione e/o malattia tubercolare, a prescindere dall’età del soggetto, è problematica ed è
sostanzialmente condizionata dalla
presenza di fattori di rischio sociodemografico, e manifestazioni cliniche estremamente polimorfe. Tutto
ciò porta ad un approccio stocastico
basato, cioè sulla probabilità di iden-
tificare in modo appropriato lo status
del paziente-bambino e di instaurare
le opportune strategie assistenziali.
La differenziazione tra infetto e malato è più difficile nel bambino rispetto all’adulto. Esistono 3 diverse definizioni dello stato di infezione/ malattia tubercolare (tabella 1)
In tutti i casi si tratta di definizioni
operative, inevitabilmente generiche, ma utili per stabilire strategie
diagnostiche e terapeutiche. Le im-
plicazioni di queste definizioni sono
importanti, perché si riconosce la
concreta possibilità che la diagnosi
non sia sempre certa e si consiglia di
trattare i casi dubbi.
Quando sospettare la tubercolosi
Sospetto demografico socio-economico
Le condizioni socio-igienico-sanitarie rappresentano, ancora oggi, una
Tabella 1 – Definizione di caso di tubercolosi (WHO)
Caso definito
Caso non definito
Positività della cultura
Segni e/o sintomi clinico-radiologici compatibili
Positività dell’ esame batterioscopico
Decisione di effettuare un trattamento
(se coltura non disponibile)
antitubercolare
Classificazione di tubercolosi in età pediatrica (AAP)
Esposto
- Bambino ad alto rischio di tubercolosi
- esposto ad adulti con tubercolosi attiva e/o HIV
proveniente da aree a rischio
in condizioni socioeconomiche disagiate
immunodepresso o HIV+
con malattie croniche
Infezione latente
Bambino con test alla tubercolina positivo senza
segni o sintomi di malattia
Malato
Bambino con test alla tubercolina positivo e
segni radiologici e/o clinici di malattia
Linee guida per la diagnosi di tubercolosi nel bambino (WHO)
Tubercolosi sospetta
Bambino malato con storia di contatto con un caso confermato di tubercolosi polmonare
Ogni bambino con
- incompleta guarigione dopo morbillo o pertosse
- perdita di peso, tosse e wheeze che non risponde alla terapia antibiotica
- un pacchetto linfonodale superficiale non dolente
Tubercolosi probabile
Caso sospetto con una delle seguenti condizioni:
- intradermoreazione positiva (>10 mm)
- quadro radiografico suggestivo
- quadro istologico suggestivo su materiale bioptico
- risposta favorevole alla terapia antitubercolare
Tubercolosi confermata
Ritrovamento di bacilli tubercolari tramite microscopia o coltura da secrezioni o tessuti
Identificazione del Mycobatterio tubercolare dalle caratteristiche della coltura
2/2010
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delle più importanti cause di diffusione dell’ infezione tubercolare. In
particolare i fattori che influenzano
maggiormente il rischio di infezione
sono rappresentati da:
- contatto con pazienti affetti da tubercolosi contagiosa
- provenienza da aree geografiche
ad alta endemia (Asia, Africa,
America Latina e Est Europa, soprattutto Romania)
- storia di viaggi in paesi ad alta endemia
- infezione da HIV
- istituzionalizzazione del bambino
- malnutrizione
- uso di droghe
I pazienti esposti ad uno di questi
fattori di rischio devono essere sottoposto ad un primo screening attraverso l’esecuzione della Mantoux.
Sospetto clinico
Le situazioni cliniche più frequentemente legate alla tubercolosi nella
pratica pediatrica sono le seguenti:
1) il bambino che nel corso di uno
screening, effettuato per qualsiasi
motivo, sia risultato positivo all’intradermoreazione. In questa situazione spesso non vi sono segni clinici evidenti di malattia e il dilemma
risiede nella classificazione del bambino come infetto o malato, al fine di
iniziare un trattamento appropriato
2) il bambino con malattia polmonare
ed evidenza di infezione tubercolare
(Mantoux positiva o presenza di fattori di rischio, ad esempio genitori infetti). È necessario sottolineare che anche dal punto di vista prettamente radiografico esiste un ampio spettro di
presentazione che va dai quadri più tipici di polmonite lobare, a quadri del
tutto atipici o addirittura ad un reperto radiografico negativo (falsa negatività) che può raggiungere il 10% dei
casi. Le forme cavitarie o cosiddette
“aperte” sono sicuramente più rare rispetto a quanto descritto nell’adulto.
28
3) il bambino Mantoux-positivo con
linfoadenomegalia laterocervicale.
In questa situazione la positività della Mantoux può essere falsa e la linfoadenomegalia è probabilmente la
manifestazione di un’infezione da
micobatteri atipici. D’altra parte una
linfoadenomegalia laterocervicale –
ancorché raramente- può essere una
manifestazione clinica di linfoma,
con conseguenze di drammatica importanza sul piano terapeutico sono
cruciali, perché si tratta di diagnosticare con precisione la natura neoplastica o infettiva della linfoadenomegalia. La linfoadenomegalia laterocervicale associata a intradermoreazione positiva è nella stragrande
maggioranza dei casi il risultato di
un’infezione da micobatteri atipici.
In questi casi la diagnosi differenziale tra infezione tubercolare e micobatterosi atipica dipende dalle indagini microbiologiche. La terapia antibiotica della linfoadenomegalia
spesso non dà risultati necessari al
corso della diagnosi.
Più raramente è possibile che il paziente presenti come manifestazione
di malattia una tubercolosi ossea, un
interessamento meningeo, una localizzazione cutanea. Si tratta di forme
difficili da diagnosticare perché
spesso l’eziologia tubercolare viene
sottostimata e quindi gravate da una
elevata mortalità e da un elevato rischio di esisti a distanza.
4) Bambino con sintomi cronici
aspecifici (durata >2 settimane) tipo
perdita di peso, febbre, sudorazioni
notturne, eritema nodoso.
Sospetto Immunologico
Il bambino con immunodeficienza
rappresenta un soggetto a rischio
elevato non solo di infezione ma anche di malattia tubercolare. La diagnosi di tubercolosi è resa ancora più
difficile dal fatto che generalmente il
bambino con immunodeficienza ha
pediatria preventiva & sociale
una Mantoux negativa. L’infezione è
da un lato più facile da diagnosticare sul piano strettamente microbiologico (in ragione dell’elevata carica
batterica), ma l’urgenza clinica è
maggiore rispetto all’infezione del
bambino immunocompetente. La
diagnosi eziologica è particolarmente difficile, poiché i sintomi, i segni e
i quadri radiologici delle pneumopatie infettive associate ad immunodeficienza sono tra loro largamente sovrapponibili, ed è virtualmente impossibile discriminare con certezza
tra infezioni da micobatteri tipici o
atipici, infezione da parassiti come
Pnemocystis carinii e infezioni virali, come Cytomegalovirus.
Diagnosi di tubercolosi
Gli strumenti per la diagnosi di tubercolosi sono rappresentati dall’intradermoreazione di Mantoux, metodiche microbiologiche e recentemente test immunologici.
L’intradermoreazione secondo Mantoux
Si esegue iniettando 5 unità di tubercolina purificata nella faccia volare dell’avambraccio e la lettura è data dall’accurata misura dell’infiltrato
(e non dell’eventuale eritema) che
viene eseguita nel periodo compreso
tra 48 e 72 ore dopo l’inoculazione
intradermica. L'intradermoreazione
di Mantoux può essere considerata
negativa se il suo diametro longitudinale risulta inferiore ai 5 mm. Secondo le linee guida dell'Accademia
Americana di Pediatria, le reazioni
superiori a 5 mm vanno interpretate
alla luce di alcuni elementi epidemiologici e clinici del paziente che
rappresentano fattori di rischio per
la progressione di malattia
La legge italiana stabilisce però che,
indipendentemente dalle condizioni
cliniche del soggetto, va considerata
Tabella 2 - Definizione di caso di tubercolosi (WHO)
- Positività ≥10 mm
Bambini ad alto rischio di malattia disseminata (età <4 anni, malattie croniche)
Bambini provenienti da altri paesi con prevalenza elevata dell’infezione
Bambini con aumentato rischio di esposizione ambientale
- Positività ≥15 mm
Bambini di età >4 anni senza fattori di rischio
positiva, e quindi notificata, qualsiasi reazione di Mantoux che risulti
superiore a 5 mm. È da tenere in
considerazione, tuttavia che si possono verificare:
1) falsi positivi: cross reazioni con
micobatteri non tubercolari o a
vaccinazione antitubercolare effettuata in precedenza (il caso tipico è quello dei bambini extracomunitari adottati)
2) Falsi negativi: anergia cutanea,
test effettuato precocemente
(l’intradermoreazione diviene positiva dopo un tempo compreso
tra 2 e 12 settimane dopo
l’infezione iniziale).
L’intradermoreazione è sufficiente
per la diagnosi di tubercolosi polmonare se la clinica e la radiologia sono
compatibili ed è stata identificata
l’origine del contagio (ad esempio
un genitore, spesso ignaro della sua
malattia). Per questo è obbligatoria
la ricerca della sorgente di infezione
(case tracking), da effettuarsi sui
contatti intrafamiliari e in ambiente
scolastico.
Il tine test è stato largamente utilizzato per lo screening, in ragione della facilità di esecuzione. Si tratta però di un test poco standardizzato, la
cui interpretazione è fortemente
problematica e che dà un elevato numero di falsi positivi.
Diagnosi microbiologica
Microbiologia standard
La ricerca microbiologica dovrebbe
essere sempre effettuata in un bam-
bino in cui si sospetta una malattia
tubercolare, sia per la conferma definitiva della eziologia, sia per disporre dello spettro di suscettibilità agli
antibiotici. In particolare la diagnosi
microbiologica è essenziale nei bambini per i quali non siano state identificate le fonti di contagio, per quelli con tubercolosi extrapolmonare,
per gli immunodeficienti e per i
bambini in cui il contagio è avvenuto da parte di portatori di micobatteri resistenti ai farmaci
Si avvale di.
. Microscopia diretta con colorazione Ziehl-Neelsen
- Esame colturale con terreni solidi
( Lowenstein-Jensen) o liquidi.
- Sistema radiometrico
Il principale limite a tali metodiche,
sebbene informative, è rappresentato
dalla risposta in tempi lunghi.
Biologia molecolare
La PCR permette l’identificazione
di sequenze genomiche direttamente dal materiale biologico, consentendo, anche in presenza di una carica batterica fortemente ridotta,
l’identificazione specifica del microrganismo nell’arco di poche ore.
Il target più comunemente utilizzato per l’identificazione del Mycobacterium tuberculosis è rappresentato dalla sequenza gnomica IS6110.
Tale metodica, nonostante le sue potenzialità, rimane confinata almeno
per quanto riguarda l’età pediatrica,
a condizioni cliniche particolari in
cui è necessario avere indicazioni in
tempi molto brevi, ma che trova
scarsa applicazione nella routine clinica per il rischio di contaminazione
e per i suoi alti costi.
Diagnosi immunologica
Attualmente esistono tre differenti
test che valutano la risposta immune
di tipo cellulo-mediata ad antigeni
specifici del Mycobatterium tuberculosis.:
- Quantiferon TB GoldAssay : test
immunoenzimatico che valuta la
produzione di IFNγ da parte dei
linfociti T sensibilizzati nei confronti di due antigeni tubercolari
(ESAT-6 e CFP-10).
- QFT in-tube assay: test immunoenzimatico più recente che include un terzo antigene (TB7.7)
- EliSPOT-TB: misura il numero di
linfociti T sensibilizzati nei confronti degli stessi antigeni tubercolari, che producono IFNγ.
Quantiferon-TB. Il QuantiferonTB è più specifico per il M. tubercolare rispetto al Tubercolin skin test
(TST), non è influenzato dalla vaccinazione ed è meno influenzato
dall’ esposizione ai Micobatteri non
tubercolari (NTM). Inoltre i risultati sono disponibili entro 24 h dal
prelievo e sono meno operatore dipendenti rispetto al TST.
Tuttavia le evidenze sulla specificità
e sensibilità del test sono limitate
proprio nei gruppi di pazienti ad alto rischio. Il sangue deve essere stoccato entro 12 ore dal prelievo e l’ uso
nella routine clinica potrebbe porre
numerosi problemi di ordine prati-
2/2010
29
co. Il test non sembra capace di distinguere tra forme latenti ed attive
di tubercolosi né tanto meno di prevedere la progressione dell’infezione.
Recenti evidenze sembrano mostrare una minore sensibilità del QFT in
pazienti adulti affetti da HIV o in
terapia immunosoppressiva con una
percentuale di risultati indeterminati direttamente correlata al grado di
immunodepressione.
Gi studi condotti in età pediatrica dimostrano una significativa concordanza tra i risultati del QFT e del
TST in bambini ad alto rischio di Latent Tuberculosis Infection (LTBI) a
prescindere dalla vaccinazione. In definitiva il QFT si dimostra una valida
alternativa al TST sia per la diagnosi
di LTBI che per quella di tubercolosi
attiva anche nei bambini sebbene siano necessari ulteriori studi randomizzati e controllati per definirne meglio
specificità e sensibilità.
EliSPOT-TB. Rispetto al Quantiferon-TB dati recenti inducono che
l’EliSPOT-TB è relativamente meno dipendente dallo stato immunologico del paziente, con una minore
percentuale di risultati indeterminati. In uno studio condotto su pazienti HIV- positivi il test ha dato risultati ugualmente validi sia nei pazienti con normale numero di CD4 che
in quelli con CD4< 200/mm3, non
essendo la risposta correlata né al
numero di CD4 né di CD8 né alla
carica virale. In soggetti sottoposti a
chemioterapia per patologia neoplastica, l’EliSPOT si è dimostrato migliore del QFT nel diagnosticare la
LTBI. In studi effettuati su pazienti
immunodepressi si è riscontrato un
incremento del numero di casi positivi con la metodica EliSPOT rispetto al Test Tubercolinico e al
Quantiferon-TB, che tuttavia potrebbero essere dei falsi positivi.
Resta ancora da chiarire il ruolo di
questi test nella diagnosi di infezione
30
e malattia tubercolare soprattutto in
quelle categorie di soggetti a maggior
rischio, quali i bambini e i soggetti
immunodepressi, in cui la diagnosi è
di per se più complicata. I CDC raccomandano infatti l’utilizzo del
Quantiferon in alternativa, piuttosto
che in aggiunta alla Mantoux, tuttavia, tale raccomandazione non include bambini di età inferiore a 5 anni e
pazienti immunodepressi.
Allo stato attuale, le raccomandazioni in merito alla diagnostica della
TBC, stilate Dal Ministero della Salute (2009), stabiliscono che:
1) Negli individui vaccinati con
BCG, l’uso di test basati sul rilascio di interferon-gamma è raccomandato nei test di conferma nei
pazienti risultati positivi all’intradermoreazione. La negatività del
test IGRA può essere considerata
indicativa di assenza di infezione
tubercolare anche in presenza di
positività del TST.
2) L’uso del test IGRA in alternativa
al TST non è attualmente supportato dalle evidenze disponibili.
3) Nei bambini di età inferiore o
uguale a 5 anni e nei soggetti gravemente immunodepressi nei
quali sia attuato uno screening è
consigliata una valutazione clinica
completa compresa la radiografia
del torace, anche in presenza di
un TST e/o IGRA negativo
Peculiarità della tubercolosi in età
pediatrica
La tubercolosi in età pediatrica ha
connotazioni specifiche che la differenziano da quella dell’adulto:
- Maggiore tendenza all’evoluzione
dell’infezione in malattia
- Decorso più rapido della malattia
- Alta incidenza di forme extrapolmonari
- Bassa incidenza di forme cavitarie
pediatria preventiva & sociale
- Radiologia Aspecifica/atipica
- Minore massa batterica
- Elevata frequenza in associazione
con immunodeficienze
- Alta incidenza di anergia cutanea
- Incapacità del bambino ad espettorare
- Invasività del lavaggio broncoalveolare
Come controllare l’infezione tubercolare
Gli strumenti per combattere e controllare l’infezione tubercolare sono
tre: chemioterapia, chemioprofilassi e
vaccinazione. L’implementazione dell’una o dell’altra strategia di intervento dipende dall’impatto che la tubercolosi ha nei singoli paesi, sia in termini di prevalenza che di morbilità e
di mortalità e dalla efficacia che i singoli interventi possono avere nelle diverse realtà epidemiologiche.
Chemioterapia
La chemioterapia si avvale in prima
linea di tre farmaci, Isoniazide, Rifampicina, Pirazinamide con i seguenti schemi terapeutici:
- TBC polmonare o linfonodale:
Isoniazide, Rifampicina, Pirazinamide ogni giorno per 2 mesi, poi
Isoniazide, Rifamipicina ogni
giorno per 4 mesi
- TBC extrapolmonare (meningite,
ossea, alta localizzazione) Isoniazide, Rifamipicina, Pirazinamide
+ Streptomicina per 2 mesi poi
Isoniazide e Rifampicina per 7-10
mesi tutti i giorni
In caso di resistenze aggiungere
Etambutolo e/o Streptomicina. Nei
pazienti con sospetta TB-MDR deve essere richiesta l’esecuzione dei
test molecolari per la resistenza a
farmaci antitubercolari di prima linea su campioni di espettorato e/o
aspirato gastrico. Ove non disponi-
bili si raccomanda comunque
l’esecuzione in tempi rapidi dei test
di sensibilità su terreno liquido.
È di fondamentale importanza valutare nel corso della terapia non solo
l’aderenza, ma anche un’eventuale
epatossicità dei farmaci. In tale caso
è opportuno sospendere la terapia
per poi reintrodurre gradualmente i
farmaci alla normalizzazione delle
transaminasi.
Chemioprofilassi
La chemioprofilassi specifica per
l’infezione tubercolare va effettuata
in due differenti categorie di pazienti con due scopi differenti:
1) riduzione del rischio di infezione
nel bambino Mantoux- negativo a
contatto con un malato accertato o
fortemente sospetto di tubercolosi
2) riduzione del rischio di progressione in malattia tubercolare in
tutti i bambini con infezione tubercolare (bambini con Mantoux
positiva in assenza di segni clinici
o radiografici).
La profilassi va effettuata con Isoniazide alla dose di 10 mg/Kg per 6
mesi. In caso di resistenza Isoniazide associato a Rifampicina.
Nel primo caso dopo 3 mesi di profilassi va ripetuta la Mantoux. In caso di positività la profilassi andrà
proseguita per altri sei mesi. In caso
di negatività la profilassi andrà sospesa se non esistono più i fattori di
rischio per il contagio. Se sono comparsi segni o sintomi di malattia tubercolare attiva, il paziente dovrà
iniziare la terapia specifica.
La ricerca della fonte, inoltre, è indicata in tutti i casi pediatrici di TBC, in
particolare in casi verificatesi in bambini di età uguale o inferiore ai 5 anni.
Il vaccino antitubercolare
Caratteristiche e modalità di somministrazione.
Attualmente è disponibile un vacci-
no vivo attenuato, preparato a partire da un ceppo con virulenza attenuata di M bovis, noto come bacillo
di Calmette e Guerìn (BCG). Il vaccino contiene circa 10 8 bacilli per
mg di BCG e va somministrato per
via intradermica nella regione deltoidea o nel bambino a livello della
coscia. Dopo 2-3 settimane in corrispondenza del punto di inoculo
compare una piccola area di necrosi
che si trasforma in pustola e che si
risolve spontaneamente nel giro di
3-4 settimane lasciando una piccola
cicatrice che nella maggior parte dei
casi è permanente.
Efficacia.
L’efficacia del vaccino BCG non è
elevata ed è compresa tra 0 e 80%.
Una possibile spiegazione di tale
discrepanza è la variabilità enorme
delle condizioni in cui gli studi di efficacia sono stati condotti. Recenti
meta-analisi hanno evidenziato
un’efficacia relativamente elevata nei
confronti della meningite (73%) e
della miliare tubercolare (77%) con
dati sicuramente più significativi nei
paesi industrializzati (27), mentre
l’effetto protettivo nei confronti della tubercolosi polmonare è significativamente più basso (50%). La vaccinazione quindi protegge nei confronti delle infezioni gravi, più frequenti nei bambini, ma è relativamente inefficace nei confronti dell’infezione tubercolare e delle forme
di malattia più contagiose. Il ceppo
utilizzato, le tecniche di produzione
del vaccino, l’età dei soggetti vaccinati, la latitudine geografica sembrano influenzare l’efficacia del vaccino
BCG. Nel complesso comunque
l’effetto protettivo conferito dal vaccino è incostante e limitato nel tempo con una durata pari a circa 8-12
anni. La vaccinazione con BCG può
interferire con la lettura dell’intradermoreazione di Mantoux,
Indicazioni e controindicazioni.
A causa della limitata efficacia, il vaccino BCG ha delle specifiche indicazioni che differiscono da paese a paese in relazione ai tassi di endemia, al
controllo della tubercolosi raggiunto
e alla disponibilità di risorse:
• Nei paesi ad alta endemia (con
tasso di infezione annuale è superiore all’1%) il vaccino antitubercolare viene effettuato a tutti i
nuovi nati, con l’intento non tanto
di controllare l’impatto epidemiologico della malattia ma piuttosto
di ridurre la mortalità infantile.
• Nei paesi cosiddetti a moderata
endemia (con tasso di infezione
annuale compreso tra 0,2 e 1%), la
vaccinazione di massa dei nuovi
nati rientra nella strategia di prevenzione anche se il suo impatto
sulla mortalità risulterà sicuramente inferiore rispetto ai paesi ad
alta endemia.
• Infine, nei paesi industrializzati a
bassa prevalenza di infezione tubercolare (rischio annuale di infezione < 0,1), la prevenzione è basata sulla diagnosi precoce,
l’identificazione ed il trattamento
delle forme latenti al fine di curare
in maniera efficace il 100% dei soggetti affetti da tubercolosi e ridurre
la trasmissione dell’infezione. La
vaccinazione antitubercolare è indicata solo in alcune categorie di soggetti considerati a rischio di infezione tubercolare. La decisione di
effettuare la vaccinazione antitubercolare non può prescindere dall’esecuzione dell’intradermoreazione di Mantoux per valutare lo stato
di immunizzazione nei confronti
del Mycobacterium tuberculosis.
L’Italia è un paese a bassa prevalenza di tubercolosi e pertanto la vaccinazione antitubercolare è indicata
solo in alcune categorie a rischio:
- Neonati e bambini di età inferiore
ai 5 anni, con test tubercolinico
2/2010
31
negativo, conviventi o aventi contatti stretti con persone affette da
TBC in fase contagiosa, qualora
persista il rischio di contagio
- Personale sanitario, studenti in
medicina, allievi infermieri e
chiunque, a qualunque titolo, con
test tubercolinico negativo, operi
in ambienti sanitari ad alto rischio
di esposizione a ceppi multi resistenti
- Chiunque con test tubercolinico
negativo operi in ambienti ad alt
rischio e non possa, in caso di cutiversione, essere sottoposto a terapia preventiva, perché presenta
controindicazioni cliniche all’uso
di farmaci specifici
Categorie di soggetti in cui va presa
in considerazione la vaccinazione
antitubercolare:
- conviventi e contatti stretti di persone affette da tubercolosi resistente isoniazide e rifampicina
- bambini inseriti in un nucleo familiare nel quale esiste la possibilità che siano ospitati soggetti provenienti da aree endemiche e potenzialmente infettanti
- Bambini nati in Italia e pertanto
non vaccinati con BCG, che si recano per un lungo tempo in un
paese a media o alta endemia tubercolare.
Il vaccino BCG è controindicato:
- nei soggetti con immunodeficienza congenita e/o acquisita inclusa
l’infezione da HIV
- nei soggetti in terapia immunosoppressiva inclusi quelli trattati
con alte dosi di corticosteroidi
- nei soggetti con infezioni della cute, negli ustionati
- nelle donne in gravidanza
Si tratta di una vaccinazione relativamente sicura che può comunque
comportare nel 1-2% dei casi reazioni avverse locali caratterizzate da
ascessi sottocutanei e linfoadeniti
purulente regionali.
32
Isolamento
Tradizionalmente tutti i pazienti
con TBC contagiosa sospetta o accertata devono essere accolti separatamente e possibilmente in isolamento respiratorio per minimizzare
la possibilità di trasmissione dell’infezione fino a che non sia stata
esclusa una malattia tubercolare o
venga somministrato un trattamento
congruo per un periodo di almeno
due settimane, durante il quale si sia
dimostrato un miglioramento clinico ed una negatività all’esame microscopico per MTB confermata in
tre espettorati (o aspirato gastrico)
consecutivi raccolti in giorni diversi.
Vengono considerati potenzialmente
contagiosi i bambini e gli adolescenti che presentino caratteristiche di
malattia simile a quella dell’adulto
(es. tosse produttiva e lesioni cavitarie, lesioni estese del lobo superiore
alla radiografia del torace). I bambini con sospetta o provata TBC congenita devono essere considerati
contagiosi.
Conclusioni
La tubercolosi è un’ infezione endemica in molti paesi del mondo dove
rappresenta una delle cause più frequenti di morte. La povertà e le
scarse condizioni socio-economiche
sono il principale fattore responsabile della diffusione dell’infezione. Il
solo miglioramento della qualità di
vita nei paesi in via di sviluppo sarebbe in grado di ridurre significativamente l’incidenza della tubercolosi. Altra possibilità per contrastarne
la diffusione è la prevenzione attraverso l’immunizzazione dei soggetti
a rischio. Purtroppo il vaccino attualmente disponibile è del tutto
inefficace nei confronti dell’infezione e poco efficace nel ridurre il rischio di forme contagiose di tuber-
pediatria preventiva & sociale
colosi. Nell’ultimo decennio sono
stati fatti passi avanti nel campo della ricerca vaccinale ma siamo ancora
molto lontani dall’obiettivo principale che è quello di avere a disposizione un vaccino che contemporaneamente abbia la capacità di prevenire l’infezione e di evitare la progressione della malattia. Per quanto
riguarda la diagnosi, l’ introduzione
di nuovi test basati su tecnologie di
biologia molecolare si sono affiancati alla classica intradermoreazione di
Mantoux.
Allo
stato
l’introdermoreazione testa il metodo
di riferimento per la diagnosi di infezione tubercolare e resta ancora da
stabilire quale ruolo specifico possano ricoprire i test interferonici in età
pediatrica. Attualmente l’ opportunità di eseguire tali test, così come l’
interpretazione dei risultati, deve essere valutata alla luce dei dati clinico-anamnestici che restano il cardine di un corretto approccio alla diagnosi di tubercolosi. Al fine di pervenire alla migliore gestione del
bambino con infezione tubercolare
accertata o sospetta è necessario che
ci sia una stretta collaborazione tra
pediatria di base e specialistica. In
particolare il pediatra di base deve
avere gli strumenti culturali e di conoscenza del territorio che lo rendano in grado di porre correttamente il
sospetto clinico di tubercolosi e di
indirizzare il bambino all’ infettivologo pediatra. Quest’ ultimo deve
confermare la diagnosi, considerare
l’ eventualità del ricovero, instaurare
l’ opportuna terapia e pianificare il
follow-up.
Bibliografia
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Committee on Infectious Diseases. 28th ed.
Elk Grove Village, IL: American Academy
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Guarino A. “Epidemiologia e diagnosi dell’infezione tubercolare in età pediatrica”Pneumologia Pediatrica 2007; 25:51-62
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country in which the prevalence is low” J.
Clin. Microbiol. 2009; 47(7):2355-2357
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of tuberculosis: meta-analysis of the published literature.”JAMA 1994; 271: 698-702
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Rapporto” La tubercolosi in Italia - anno
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tubercolosi in ambito assistenziale (2009)”
www.epicentro.iss.it
9. Rapporto” Epidemiologia della tubercolosi in
Italia (anni 1995-2007)” www.epicentro.iss.it
2/2010
33
Il trattamento della febbre in età pediatrica
E. Chiappini, M. De Martino
Dipartimento di Scienze della Donna e del Bambino, Università di Firenze
La febbre è una condizione determinata dall’elevazione della temperatura corporea centrale che generalmente è parte di una risposta difensiva nei confronti di microrganismi
riconosciuti dall’ospite come patogeni. L’innalzamento della temperatura corporea si determina attraverso
un complesso meccanismo fisiopatologico, il cui elemento centrale è
l’elevazione del punto di equilibrio
del termostato ipotalamico. Diversamente, per ipertermia, si intende un
innalzamento della temperatura corporea uguale o superiore a 41,6 °C,
legata non all’azione di pirogeni endogeni, bensì ad altri meccanismi
che agiscono al di fuori del centro
ipotalamico, come si verifica, per
esempio, in caso di ipertiroidismo,
colpo di calore o displasia ectodermica anidrotica
In base alle recenti linee guida della
Società Italiana di Pediatria, non è
raccomandato considerare l’entità
della febbre come fattore isolato per
valutare il rischio di infezione batterica grave. La febbre di grado elevato può essere, tuttavia, considerata
predittiva di infezione batterica grave in particolari circostanze: età inferiore ai 3 mesi o concomitante
presenza di leucocitosi o incremento
degli indici di flogosi.
La febbre ha indubbi effetti benefici
e appartiene ai fisiologici meccanismi di difesa dagli agenti infettivi.
34
Con la temperatura febbrile, migliorano i meccanismi immunologici e
peggiorano le capacità replicative di
batteri e virus. L’assenza di febbre in
condizioni infettive gravi si associa a
una peggiore prognosi e il ridurre la
temperatura febbrile potrebbe associarsi a un prolungamento della condizione infettiva. Nella pratica clinica, tuttavia, è diffuso il trattamento
del segno/sintomo febbre, principalmente con l’impiego di farmaci antipiretici, anche allo scopo di ridurre il
corteo sintomatologico che ad essa si
può associare. In base alle recenti linee guida della Società Italiana di
Pediatria, l’impiego di mezzi fisici
per la terapia della febbre è sconsigliato. Essi infatti, oltre ad essere
potenzialmente dannosi, non possono influire sui meccanismi centrale
alla base della febbre. Il loro effetto è
periferico e fugace e costringe il
bambino a un dispendio di energia
per riportare la temperatura a quella
programmata in quel momento dal
set point. L’impiego di mezzi fisici
rimane invece consigliato in caso di
ipertermia.
Gli unici farmaci impiegabili a scopo antipiretico in pediatria sono
paracetamolo
e
ibuprofene.
L’impiego di acido acetilsalicilico al
di sotto dei 15 anni di età è fortemente controindicato per il rischio
di sindrome di Reye. Gli steroidi
non devono essere impiegati per il
pediatria preventiva & sociale
basso rapporto tra effetti benefici e
rischio di effetti collaterali, oltre al
possibile rischio di ritardare la diagnosi di patologie di varia natura,
mascherandone sintomi e segni di
esordio. Nell’ambito dei farmaci antinfiammatori
non
steroidei
(FANS), l’ibuprofene è la molecola
che è associata al minore rischio di
effetti collaterali gravi a carico del
tratto gastro-intestinale superiore,
rispetto agli altri farmaci della stessa
classe. Sono disponibili numerosi
studi randomizzati e controllati e
meta-analisi che hanno dimostrato
come sia paracetamolo che ibuprofene siano efficaci nel ridurre la febbre nel bambino e siano ugualmente
ben tollerati. Nei trial più recenti
ibuprofene sembra avere un’azione
modestamente più rapida e duratura
del paracetamolo, sebbene tali differenze non appaiano clinicamente rilevanti. L’ibuprofene deve essere impiegato con cautela in caso di disidratazione, per l’aumentato rischio
di insufficienza renale grave e sembrerebbe sconsigliato in bambini affetti da varicella,per un possibile incrementato rischio di sovra-infezione di cute e tessuti molli e infezioni
streptococciche invasive. La somministrazione combinata o alternata di
ibuprofene e paracetamolo sta diventando una pratica diffusa. Gli
studi disponibili evidenziano una
modesta maggiore efficacia antipire-
tica della terapia alternata o combinata, di scarsa rilevanza tuttavia sul
piano pratico. Inoltre la combinazione di antipiretici aumenta il rischio
di sovradosaggio, generando confusione nei familiari, ed è pertanto
sconsigliata.
Al fine di ridurre il rischio di tossicità, la dose degli antipiretici deve
essere calcolata in base al peso del
bambino e non alla sua età. La dose
deve essere somministrata utilizzando specifici dosatori inclusi nella
confezione (per esempio contagocce,siringa graduata per uso orale,
tappo dosatore), evitando l’uso di
cucchiaini da caffè/the o da tavola. È
indispensabile prestare attenzione a
possibili fattori concomitanti che
possano incrementare il rischio di
tossicità da paracetamolo e da ibuprofene. La via di somministrazione
rettale è da valutare solo in presenza
di vomito o di altre condizioni che
impediscano l’impiego di farmaci
per via orale.
Il bambino febbrile,con età inferiore a
28 giorni,deve essere sempre ricoverato per l’alto rischio di patologia grave.
Il paracetamolo è l’unico antipiretico
che può essere eventualmente impiegato fin dalla nascita. Nel neonato si
raccomanda inoltre di adeguare dosaggio e frequenza di somministrazione all’età gestazionale.
L’impiego preventivo di paracetamolo o ibuprofene in bambini sottoposti a vaccinazione al fine di ridurre l’incidenza di febbre o reazioni locali non è consigliato. Dal momento
che l’impiego preventivo di paracetamolo o ibuprofene in bambini febbrili non previene le convulsioni febbrili, essi non devono essere utilizzati per questa finalità.
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Farmaci antivirali
S. Esposito, L. Tagliaferri, F. Peia, G. Prunotto, I. Picciolli, N. Principi
Dipartimento di Scienze Materno-Infantili, Università degli Studi di Milano
Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - Milano
Introduzione
Il pediatra, specie quello che esercita
la sua attività sul territorio, pur avendo larga abitudine a confrontarsi con
patologie di origine virale, specie di tipo respiratorio, ha poche occasioni di
utilizzare farmaci attivi contro i virus.
Nella massima parte dei casi, infatti,
le malattie ad eziologie virale che
quotidianamente il pediatra deve affrontare sono sostenute da agenti infettivi per i quali non esistono farmaci attivi capaci di interferire positivamente sulla replicazione virale. E’
questo il caso delle patologie dovute a
metapneumoviris, adenovirus, bocavirus, parainfluenza virus, coxackie virus. D’altra parte, la grande maggioranza di queste forme è a rapida e benigna risoluzione cosicchè, anche
quando vi sono possibilità di terapia
farmacologica, come quando sono in
gioco virus influenzali e virus respiratorio sinciziale (RSV), questa diviene
molto discutibile perché gli svantaggi
di un impiego sistematico sarebbero
di molto superiori ai vantaggi.
In alcuni casi particolari, tuttavia, anche il pediatra può utilizzare gli antivirali disponibili. Si tratta, in genere,
di trattamenti che riguardano soggetti in condizioni particolari per i quali
la malattia virale può divenire assai
più pericolosa del consueto o bambini
colpiti da virus che hanno assunto, per
specifiche mutazioni, caratteristiche
36
di virulenza assai più rilevanti che di
norma.
Gli esempi che saranno discussi riguardano la terapia dell’influenza e
quella delle forme sostenute da virus
erpetici.
Influenza
La recente pandemia ha riproposto il
problema della definizione dei soggetti di età pediatrica per i quali può
essere prevista la terapia antivirale
dell’influenza. Il Center for Disease
Control and Prevention (CDC) degli
U.S.A. ha codificato che una immediata terapia antivirale deve essere
prevista per tutti i soggetti di età pediatrica, inclusi gli adolescenti, che
presentino una influenza di gravità
tale da richiedere ospedalizzazione,
che abbiano una malattia grave e progressiva o che siano a rischio, in funzione della presenza di una malattia
cronica grave, di sviluppare una forma di influenza particolarmente severa. La giustificazione di queste raccomandazioni deriva dalla considerazione che i farmaci antinfluenzali si
sono dimostrati in grado di ridurre la
gravità e la durata della malattia e di
limitare l’insorgenza di complicanze,
incluse quelle che possono condurre a
morte. Il trattamento è massimamente efficace quando iniziato entro i
primi 2 giorni di malattia, ma il CDC
pediatria preventiva & sociale
consiglia trattamenti anche più tardivi, vista la possibilità che un’azione
positiva possa aversi anche quando i
farmaci siano somministrati oltre
questo periodo. Interessante è
l’osservazione che, nel caso sia in gioco il virus pandemico, la decisione di
trattare debba essere basata sul solo
sospetto clinico, perché i test rapidi
per l’identificazione del virus nelle secrezioni respiratorie, specifici e sensibili con i virus stagionali, sono, invece, poco validi con il virus pandemico, risultando spesso negativi anche
nei casi realmente infetti.
Tutte le linee guida, comprese le stesse del CDC, indicano l’oseltamivir
per os come il farmaco di scelta per il
trattamento dell’influenza nel bambino, con lo zanamivir da usare come riserva nei soggetti che, per età, sono in
grado di utilizzare la via inalatoria. Le
recenti valutazioni sulla resistenza dei
vari stipiti virali a questi farmaci indicano, però, che questa scelta può non
essere sempre valida perché negli ultimi anni i virus influenzali stagionali
A/H1N1 sono divenuti pressoché totalmente resistenti ad oseltamivir, pur
avendo conservato, nella stragrande
maggioranza dei casi, sensibilità totale a zanamivir. Anche nel nostro Paese la situazione ha seguito quanto riferito negli altri Paesi Europei e nel
nord America. Una nostra rilevazione
ha dimostrato che mentre nell’inverno 2007-2008 solo una quota margi-
nale di A/H1N1 erano resistenti ad
oseltamivir, in quello 2008-2009 tutti
i virus di questo tipo erano divenuti
resistenti per comparsa della mutazione H275Y, la più comune tra quelle
che conferiscono al virus resistenza
contro questo farmaco. Diversa è, comunque, la situazione per quanto riguarda il virus pandemico A/H1N1
per il quale la percentuale di stipiti resistenti all’oseltamivir è ancora molto
contenuta anche se non trascurabile.
Ancora aperto è, in ogni caso, il significato della resistenza nel senso che
non è ancora perfettamente chiarito
se i virus divenuti resistenti abbiano
una virulenza analoga a quella del virus selvaggio, maggiore i minore. I dati raccolti in tutto il mondo sembrano,
in realtà, suggerire che i virus influenzali resistenti all’oseltamivir sono dotati di scarsa capacità replicativa e,
quindi, di limitata virulenza. Ciò sembrerebbe avvalorato dal fatto che il
quadro clinico dovuto a questi virus
mutati è sostanzialmente sovrapponibile a quello dovuto ai virus selvaggi,
senza sostanziali differenze sia in termini di incidenza di ospedalizzazioni
che di insorgenza di complicanze. Ciò
varrebbe anche in pediatria, come ben
messo in evidenza dal confronto da
noi effettuato tra i casi raccolti nel nostro ospedale e suddivisi in base alla
presenza o meno della mutazione
H275Y. In pratica, però, esistono segnalazioni di virus resistenti ad oseltamivir che hanno determinato quadri
clinici di estrema gravità, associati al
ricovero in Terapia Intensiva o alla
morte del paziente. Poiché in molti di
questi casi era dimostrabile la presenza di una patologia sottostante considerata fattore di rischio per influenza
grave è stato supposto che
l’evoluzione negativa fosse legata alle
caratteristiche del soggetto più che alla presenza della mutazione. Un’ipotesi alternativa è, invece, che i casi con
resistenza ad oseltamivir ad evoluzione negativa fossero tali perché le mutazioni virali non erano limitate alla
sola H275Y ma erano, invece, presenti altre varianti, nel complesso capaci
di conferire al virus virulenza più elevata. Quale che sia l’origine della possibile maggiore importanza dei virus
mutati è ovvio che i casi di influenza
che siano sostenuti da virus già identificati come mutati o che non rispondano all’oseltamivir debbano essere
trattati con zanamivir in modo da evitare al paziente possibili ripercussioni
negative della forma influenzale in atto. E’ ciò che è avvenuto anche in un
caso affetto da influenza pandemica e
fibrosi cistica da noi recentemente osservato, caso nel quale solo la sostituzione dell’oseltamivir con zanamivir
ha consentito di ottenere la guarigione del paziente dal quadro respiratorio acuto che l’infezione da virus influenzale aveva determinato.
stato messo a punto un prodotto che è
possibile preparare estemporaneamente al momento dell’utilizzo e per
il quale è stato effettuato un completo
studio di farmacocinetica dal quale è
stato possibile definire il dosaggio ottimale. In pratica, è stato dimostrato
che 20 mg/kg 3 volte al giorno sono
in grado di determinare nel soggetto
di età compresa tra i 3 mesi e gli 11
anni livelli di aciclovir adeguati alla
eradicazione dei virus erpetici aciclovir-sensibili.
Per quanto riguarda la resistenza, è
noto da tempo che alcuni virus erpetici possono essere resistenti all’aciclovir o divenirlo durante il trattamento.
Foscarnet e cidofovir rappresentano le
scelte alternative. Il loro uso va previsto, specie nell’immunocompromesso
con infezione da citomegalovirus, che
non risponda con estrema rapidità all’aciclovir, anche prima di avere dal laboratorio la conferma della resistenza.
Virus erpetici
Bibliografia
L’aciclovir è da molti anni il farmaco
di scelta per la terapia delle forme da
virus erpetici. Due sono i problemi
principali posti da questo farmaco.
L’uno è la sua scarsa disponibilità per
via orale che condiziona l’uso di dosi
elevate somministrate più volte nell’arco della giornata; l’altro è la possibile presenza di resistenze, che obbliga a scelte alternative non sempre facili.
Il problema della scarsa biodisponibilità può essere affrontato e superato
dall’impiego del valaciclovir, un preparato che viene trasformato nell’organismo in aciclovir ma che ha una
biodisponibilità nettamente migliore.
In realtà, la sostituzione è difficile nei
bambini più piccoli perchè per problemi di stabilità non è mai stato preparato uno sciroppo. Recentemente è
1. Centers for Disease Control and Prevention. Updated Interim Recommendations
for the Use of Antiviral Medications in the
Treatment and Prevention of Influenza for
the 2009-2010 Season. Riscontrabile su
www.cdc.gov/h1n1flu/recommendations.ht
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2. Esposito S, Molteni CG, Colombo C, Dalieno C, Daccò V, Lackenby A, Principi N.
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A/H1N1 influenza virus in a child with
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3. Hatchette T, Tipples GA, Peters G, Alsuwaid, Zhou A, Mailman T Foscarnet salvage therapy for acyclovir-resistant varicella
zoster report of a novel thymidine kinase
mutation and review of the literature Pediatr Infect Dis J 2008; 27: 75-77.
4. Kimberlin DW, Jacobs RF, Weller S, van
der Walt JS, Heitman CK, Man CM, Bradley JS Pharmacokinetics and Safety of Extemporaneously Compounded Valacyclovir
Oral Suspension in Pediatric Patients from
1 Month through 11 Years of Age Clin Infect Dis 2010; 50: 221-228.
2/2010
37
Novità in tema del metabolismo del ferro:
aspetti clinici
Bruno Nobili, Michele Lo Mastro, Sofia Maria Rosaria Matarese
Dipartimento di Pediatria della Seconda Università di Napoli
Metabolismo del ferro
In età pediatrica i disordini del metabolismo del ferro rivestono una enorme importanza dal punto di vista clinico; nel bambino infatti l’anemia da
carenza marziale è il disordine ematologico di più frequente riscontro.
Condizioni patologiche, sia primitive
che secondarie, legate invece all’accumulo del ferro sono certamente meno
frequenti, ma di notevole rilievo per le
implicazioni sistemiche derivanti dall’accumulo del metallo in tutti i parenchimi.
Le migliorate condizioni socioeconomiche, il ritorno all’allattamento al seno e l’uso di formule fortificate hanno
relativamente ridotto la prevalenza
dell’anemia sideropenica, anche nei
paesi in via di sviluppo; pur tuttavia la
carenza marziale con o senza anemia
è ancora abbastanza frequente (7-8%
nei bambini dei primi due anni di vita, 9 % degli adolescenti e nel 16%
delle donne in età fertile).
Un organismo adulto contiene circa
4-5 g. di ferro, la maggior parte nei
globuli rossi come ferro emoglobinico
(70%); per la rimanente quota, il 25%
è rappresentato dal ferro di deposito
(ferritina ed emosiderina) contenuto
per i 2/3 nei macrofagi e per 1/3 negli
epatociti, ed il 5% dal ferro della mioglobina e degli enzimi (fig.1).
La regolazione dell’assorbimento del
ferro attraverso l’epitelio del tratto
38
prossimale dell’intestino tenue è essenziale per la sua omeostasi.
Nell’ultimo decennio sono state identificate le principali proteine deputate
al suo assorbimento, mentre attualmente l’attenzione della ricerca è rivolta alla comprensione della loro
funzione. L’individuazione dell’epcidina, peptide prodotto dal fegato, ed il
riconoscimento del suo ruolo quale
regolatore principale dell’omeostasi
del ferro, ha dato un notevole impulso in questa direzione.
Il bilancio marziale pertanto è regolato esclusivamente dall’assorbimento
intestinale, in quanto l’organismo
non è in grado di eliminare attivamente il ferro in eccesso; piccole
quantità (1-1,5 mg/die) sono escrete
attraverso la desquamazione della cute e con la perdita di cellule della mucosa gastrointestinale e da quella delle vie urinarie. La perdita di ferro at-
Fig. 2 - Ciclo del ferro
pediatria preventiva & sociale
traverso queste vie è costante e non
è influenzata dalle variazioni del ferro corporeo (fig.2).
L’assorbimento del ferro degli alimenti è regolato da due condizioni:
- quantità e biodisponibilità;
- controllo dell’assorbimento da
parte delle cellule della mucosa
enterica.
Fig. 1 - Distribuzione del ferro nell’adulto
In condizioni fisiologiche la quantità di ferro assorbibile dagli alimenti
ammonta a circa il 10% del suo
contenuto totale (0.5-1 mg/die) e
può aumentare fino a 3,5 mg/die in
caso di carenza marziale. Lo stato
marziale pertanto rappresenta uno
dei principali meccanismi deputati
alla omeostasi del ferro.
La biodisponibilità del ferro contenuto negli alimenti è in rapporto alla sua condizione di ferro-eme o di
ferro organico.
Il ferro eme viene assorbito direttamente mediante recettori presenti
sulla membrana delle cellule della
mucosa duodenale (Heme Carrier
Protein1) e come tale passa immodificato nel citoplasma, dove viene
liberato dall’anello porfirinico. Tale
via è estremamente efficiente tanto è
vero che, sebbene il ferro eme rappresenti solamente il 10% di quello
presente in una dieta bilanciata, esso
costituisce il 25% della quantità totale assorbita.
L’assorbimento del ferro non eme attraverso le cellule della mucosa intestinale è influenzato da sostanze o
condizioni che lo favoriscono (carne,
pesce, ac. ascorbico, ac. citrico, amminoacidi, acidi organici, carenza di ferro) o lo inibiscono (fibre vegetali, fitati, proteine della soia, fosfo-proteine
dell’uovo, fosfati, tannino, fenoli, sovraccarico di ferro).
Anche
l’assorbimento del ferro contenuto nel
latte materno, sebbene quantitativamente uguale a quello del latte vaccino (0,5-0,7 mg/l), è di circa due-tre
volte superiore per il suo maggior
contenuto in lattosio, lattoferrina, ac,
ascorbico ( sostanze favorenti) e per la
minor quantità di caseina, fosforo e
calcio (sostanze inibenti).
Il ferro non eme presente negli alimenti è essenzialmente Fe+++ e come tale arriva alla mucosa duodenale ove necessita, per essere assorbito,
della riduzione a Fe++ attraverso
l’azione di una reduttasi ferrica presente sull’orletto a spazzola; il ferro
così ridotto si lega ad una proteina
trasportatrice DMT1 (Divalent
Metal Transporter 1) che ne consente l’internalizzazione nella cellula
dove è conservato come ferritina o
trasferito nel circolo attraverso la
membrana basolaterale mediante
una proteina trasportatrice, la ferrroportina (IRGE1).Tale proteina è in
grado di esportare il ferro nel plasma
non solo dagli enterociti (ferro alimentare), ma anche dagli epatociti,
dai sinciziotrofoblasti e dai macrofagi (ferro di deposito). Questi ultimi
rivestono un ruolo fondamentale nel
riciclaggio del ferro, in quanto fagocitando e degradando i globuli rossi
senescenti, conservano nel proprio
citoplasma il ferro eme che, messo in
circolo con l’ausilio della ferroportina, rappresenta la principale fonte
del metabolismo marziale.
L’omeostasi del ferro richiede una
regolazione coordinata del ferro assorbito a livello duodenale, di quello riciclato dai globuli rossi sene-
scenti e della quota epatica.
L’epcidina, un ormone di recente
identificazione, secreto dal fegato,
riveste un ruolo chiave nell’omeostasi marziale: quando il ferro di deposito è adeguato o elevato, gli epatociti producono elevate quantità di
epcidina che lega la ferroportina internalizzandola nel citoplasma dell’enterocita dove viene degradata,
bloccando in tal modo l’unica via di
escrezione del ferro intracellulare. In
condizione di carenza marziale,
quando l’attività eritropoietica è
esaltata o negli stati infiammatori
cronici, la produzione di epcidina si
riduce rendendo in tal modo la ferroportina disponibile al trasporto del
ferro dalle cellule al plasma. Lo stesso meccanismo (interazione epcidina-ferroportina ) è alla base del rilascio del ferro dai macrofagi che è ridotto durante i processi infiammatori, in quanto le citochine infiammatorie, in particolar modo IL-6,
stimolano la produzione dell’epcidina con conseguente blocco della
escrezione del ferro di deposito(fig.3)
Fig. 3 - Epcidina ed assorbimento intestinale del ferro
2/2010
39
Il ferro, una volta liberato in circolo,
viene legato alla transferrina, proteina prodotta dagli epatociti, che lo
veicola alle sedi di utilizzo, dove è
ceduto grazie al legame con il recettore solubile della transferrina
(TFRs); la sintesi di questa proteina
è inversamente proporzionale alla
quantità di ferro contenuto negli
epatociti. La transferrina ha due siti
di legame per il ferro e pertanto esiste in forma libera, mono e diferrica;
quest’ultima ha una affinità 3,5 volte maggiore per il recettore solubile
della transferina presente sulla superficie cellulare. Le cellule ad alto
turn-over di ferro quali i precursori
eritroidi presentano un elevato numero di TFRs.
Nelle cellule il ferro viene depositato in due forme: la ferritina, idrosolubile di pronta utilizzazione in caso
di necessità e l’ emosiderina insolubile e non di rapido utilizzo. Una
quota proporzionale al contenuto
cellulare di ferritina viene immessa
in circolo e pertanto il suo dosaggio
(ferritina sierica) è espressione reale
del ferro di deposito.
perdite ematiche.
In condizione di carenza marziale, si
ha una riduzione dell’ epcidina che
rende la ferroportina disponibile al
trasporto del ferro dalle cellule al
plasma (fig.4)
L’anemia sideropenica si instaura
attraverso varie fasi:
1) deplezione di ferro: è questa la fase iniziale della carenza marziale
caratterizzata da una diminuzione
dei depositi (ferritinemia) senza
anemia nè alterazione degli indici
eritrocitari;
2) eritropoiesi ferrocarenziale: le riserve di ferro sono deplete, non è
presente ancora anemia, ma compare microcitemia, ipocromia ed
alterazione dei parametri di valutazione dello stato marziale (sideremia, transferrinemia, indice di
saturazione della transferrina, recettore solubile della transferrina ,
aumento delle zincoprotoporfirine eritrocitarie);
3) anemia sideropenica: caratterizzata da anemia conclamata, microcitosi ed ipocromia.
La diagnosi di laboratorio è general-
Le nuove conoscenze sul metabolismo del ferro hanno chiarito molti
aspetti relativi alla fisiopatologia
dell’anemia sideropenica e dell’anemia correlata a varie patologie quali
i disordine cronico, neoplasie, e
l’obesità.
L’anemia sideropenica si instaura in
modo insidioso, poiché in condizioni di carenza marziale, qualunque ne
sia la causa, l’organismo mette in
opera meccanismi di compenso propri del metabolismo del ferro (aumentato assorbimento, utilizzo del
ferro di deposito).
Lo sviluppo dell’anemia sideropenica è il risultato dell’interazione fra
l’apporto di ferro con gli alimenti, le
necessità fisiologiche ed eventuali
40
Fig. 4 - Stato marziale ed epcidina
pediatria preventiva & sociale
mente semplice: è presente anemia
(Hb < al 3° centile), microcitemia
(MCV < 3° centile), ipocromia e
modificazioni caratteristiche dello
stato marziale (ipoferritinemia, iposideremia, ipertransferrinemia totale
ed insatura, riduzione dell’indice di
saturazione della transferrina, aumento delle ZPP).
L’anemia da disordine cronico è una
condizione ben conosciuta correlata
a varie patologie infiammatorie croniche. quali l’artrite reumatoide,
LES, colite ulcerosa….
L’anemia, solitamente di grado modesto, è ipocromica-microcitica, ma
può essere presente normocitosi con
normocromia. Lo stato marziale è
caratterizzato da una riduzione della
sideremia e della transferrinemia ; la
ferritina è solitamente elevata, mentre il TRFs è normale, a meno che
non coesista uno stato di carenza
marziale. L’epcidina, prodotta dal
fegato, non è solamente un ormone
del metabolismo del ferro, ma è anche un importante mediatore della
risposta immunitaria; nell’infezioni
o nell’infiammazioni la sintesi del-
l’epcidina è notevolmente aumentata attraverso un meccanismo che è
indipendente dallo stato marziale o
dall’attività eritropoietica. Le citochine infiammatorie , in particolare
l’interleukina 6 (IL-6), costituiscono
importanti induttori della sintesi di
epcidina, che per l’azione svolta nell’assorbimento del ferro, rendono
conto della patogenesi dell’anemia
in tali patologie; poiché, infatti, la
maggior parte del ferro legato alla
transferrina è destinato alla eritropoiesi, la iposideremia dovuta all’eccesso di epcidina riduce la quota di
ferro destinato alla sintesi dell’emoglobina e quindi alla produzione di
eritrociti.
Poiché la eziopatogenesi di tali anemie è secondaria alla patologia di
base, la terapia con ferro , a meno
che non coesista carenza marziale,
non è indicata; in qualche caso può
essere utile l’impiego di EPO quando i livelli di questa non sono adeguati al grado di anemia.
Il controllo della malattia di base,
solitamente corregge lo stato anemico e le alterazioni dei parametri relativi allo stato marziale.
L’obesità in età pediatrica si associa
frequentemente ad uno stato di carenza marziale o di anemia sideropenica conclamata; tali condizioni
per il passato sono state attribuite alle cattive abitudini alimentari (alimentazione con cibi ipercalorici a
basso contenuto in ferro). Negli ultimi anni l’obesità è stata riconosciuta come uno stato infiammatorio
cronico e come tale viene attualmente messo in relazione alla carenza marziale frequentemente osservata in tali pazienti. L’aumentata pro-
duzione di epcidina è dovuta non
solo allo stato infiammatorio caratteristico dell’obesità (aumento IL6),
ma anche ad una azione diretta della leptina che è un ormone prodotto
dagli adipociti; la concentrazione
plasmatica di leptina, il cui livello è
in rapporto alla quantità di trigliceridi contenuti negli adipociti, è infatti particolarmente elevata.
L’individuazione dell’epcidina ed il
suo ruolo nella regolazione dell’assorbimento intestinale di ferro ha permesso di definire la patogenesi di
molte condizioni patologiche; è ipotizzabile che nei prossimi anni tali conoscenze possano costituire la base di
un impiego non solo nella diagnosi
ma anche nella terapia di patologie
caratterizzate da disturbi del metabolismo del ferro che comportano un alterato assorbimento intestinale.
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Comorbilità future nelle bambine con disturbi
minzionali ed evacuativi
M.L.Chiozza1, A. Graziottin2
1
2
Urologo Pediatra. Azienda Ospedaliera - Università di Padova
Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica dell’H. San Raffaele Resnati di Milano.
Le disfunzioni delle bassa vie urinarie
riguardano il 2-7% dei bambini in età
scolare (1-4) e si ritiene dipendano da
fattori comportamentali acquisiti durante il “toilet training” che inibiscono
la maturazione del normale controllo
minzionale diurno e notturno. Come
noto tale processo è molto articolato e
si completa tra i 36 mesi ed i 5 anni richiedendo una armonica maturazione
delle strutture anatomiche e neurologiche coinvolte, tra cui la strutturazione dell’arco riflesso sacrale, toracolombare e dei circuiti inibitori cortico-spinali (5). La correlazione anatomica di questi centri con le aree deputate alla attività sessuale nella vita
adulta rende particolarmente rilevante una corretta acquisizione di questa
competenza che, assieme a quella verbale e motoria, rientra tra i capisaldi
dell’autonomia del bambino/a (6).
La recente classificazione delle disfunzioni delle basse vie urinarie in età pediatrica a opera dell’International
Childrens’ Continence Society
(ICCS) (7) ha segnato una svolta epocale perché per molti anni queste disfunzioni sono state clinicamente rilevanti solo se associate ad incontinenza
urinaria, infezioni urinarie o reflusso
vescico-ureterale. L’enuresi, in particolare, veniva considerata un problema
di natura psicologica ed affrontata solo per le limitazioni sociali che comportava.
Recentemente è stato anche sottoli-
42
neato come i disordini gastrointestinali, e in particolare la stipsi, possano
giocare un ruolo di rilievo nelle disfunzioni del tratto urinario inferiore,
in particolare nella iperattività detrusoriale, tanto da coniare il termine
“Disfunctional Elimination Syndrome” per sottolineare le reciproche dipendenze (8).
La tendenza, inoltre, ad una apparente spontanea autorisoluzione di questi
sintomi nel periodo della pubertà alimentava un diffuso atteggiamento attendista da parte dei pediatri. Infine,
urologi e ginecologi consideravano irrilevante indagare le abitudini minzionali in età pediatrica dei/delle loro
pazienti confermando una insanabile
incomunicabilità tra mondo pediatrico e dell’adulto.
Tuttavia, in letteratura cominciano ad
affermarsi alcuni lavori che mettono
dimostrano una significativa mutua
correlazione tra incontinenza urinaria
nell’adulto e presenza di disfunzioni
minzionali in età pediatrica in un’ottica “life-span”.Da segnalare come
Fitzgerald (9), in una coorte di 2109
donne di 56+/-9 anni , abbia dimostrato una significativa correlazione
tra la presenza di pollachiuria in età
pediatrica e il rischio di soffrire di urgenza da adulte (O.R.1.9;p<0.001),
così come la persistenza del sintomo
nicturia da adulti se presente da bambine (O.R.2.3; p<0.001). Inoltre l’aver
sofferto di incontinenza urinaria diur-
pediatria preventiva & sociale
na durante l’infanzia o di più di una
infezione urinaria correla significativamente con la persistenza di incontinenza da urgenza (O.R.2.7; p<0.01) e
di infezioni urinarie (O:R:2.6;
p<0.001) anche in età adulta.
Yarnell (10), Kuh (11) e Moore (12),
studiando varie coorti di donne adulte, hanno evidenziato un aumento del
rischio relativo di avere incontinenza
urinaria nelle donne che riferivano
enuresi notturna in età pediatrica
specialmente per le forme associate a
sintomi disfunzionali vescicali diurni
attualmente classificate dall’International Children’s Continence Society
(7) come enuresi non-monosintomaticate.
Altri autori, come Gurbuz (13) e collaboratori, hanno affrontato il problema delle possibili correlazioni tra enuresi in età pediatrica e lo sviluppo in
età adulta di incontinenza urinaria e
fecale, giungendo alla conclusione che
una storia pregressa di enuresi notturna aumenta significativamente il rischio di avere in età adulta sia incontinenza urinaria da urgenza che da
stress così come incontinenza fecale.
Questo incremento di rischio può essere ricondotto ad una disfunzione
congenita o ad un deficit funzionale
sia del sistema nervoso afferente ed
efferente, ad un deficit nel segnale
propriocettivo afferente di vescica
piena che esita in una inadeguata risposta dello sfintere uretrale esterno
nel bloccare la minzione ed, infine, in
una attenuata risposta nella vita adulta, delle componenti uretrali all’aumento di pressione addominale. In
queste pazienti possono, inoltre, coesistere difetti o carenze nelle componenti del collagene responsabili sia
della ritardata maturazione del complesso elevatore dell’ano e sfintere
uretrale esterno in età pediatrica, che
della vulnerabilità allo stress di questi
muscoli in età adulta. Falconer (14) ha
anche dimostrato che queste pazienti
presentano una significativa minore
innervazione dell’epitelio vaginale
parauretrale così come una diminuzione del collagene di tipo III suggerendo un alterato profilo del collagene
sia a livello della cute che dei legamenti rotondi che utero-sacrali.
Bower e Yeung (15), recentemente,
hanno dimostrato una significativa
correlazione tra elevati indici di problemi disfunzionali da eliminazione
in età pediatrica e la presenza in età
adulta di sintomi come incontinenza
da urgenza e da stress, svuotamento
vescicale incompleto, gocciolio postminzionale, nicturia ed enuresi notturna così come stipsi ed incontinenza fecale.
Recentemente è anche stata segnalata
una pregressa storia pediatrica di enuresi in pazienti con vestibulite vulvare
primaria e/o dispareunia (16-17). Anche se meno ricchi da un punto di vista epidemiologico, anche gli studi in
ambito maschile rilevano una stretta
correlazione tra problemi disfunzionali delle basse vie urinarie e futuri
problemi vescicali e sessuali in età
adulta con particolare riferimento alla
incontinenza urinaria da iperattività
detrusoriale e la eiaculazione precox.
Conclusioni
I sintomi legati alle disfunzioni delle
basse vie urinarie in età pediatrica sono epidemiologicamente rilevanti e
significativamente associati alla presenza di sintomi di iperattività vescicale nella vita adulta nonché a disturbi evacuativi come la stipsi.
Sicuramente il documentato maggior
rischio di sviluppare incontinenza da
stress in quelle donne che hanno avuto problemi di enuresi notturna in età
pediatrica , può fornire l’opportunità
di evitare alle stesse l’esposizione a
fattori di rischio come un travaglio
prolungato, l’applicazione di forcipe o
vacuum, parto vaginale e parto di
neonato di peso<4Kg.
Dai dati della letteratura emerge che
un approccio “life-span” alle disfunzioni minzionali pediatriche non è più
dilazionabile considerato l’impatto
negativo di questi sintomi sull’attività
vescicale, intestinale e sessuale futura
di questi/e bambini/e.
Bibliografia
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17. Chiozza ML, Graziottin A. Urge incontinence and female sexual dysfunction: a life
span perspective. Urodinamica; 2004; 14(2):
133-138
2/2010
43
Vecchi e Nuovi Media
Family friendly
A. Affinita
???
1.Media&minori – i vecchi e i nuovi
media devono garantire la loro attenzione al rispetto della sensibilità
del minore: la televisione, generalista e satellitare, internet, la telefonia
mobile, i videogiochi, il cinema. Il
tutto
prevedendo
anche
l’inasprimento delle sanzioni pecuniarie esistenti.
Televisione generalista – per una televisione che educhi:
• revisione del sistema di autoregolamentazione, inserendo misure sanzionatorie più efficaci e garantendo
una maggiore distinzione di ruoli
tra emittenti e rappresentanti degli
utenti e delle istituzioni;
• maggiore collaborazione tra associazioni dei genitori e sistema radiotelevisivo;
• sviluppo e incentivazione di campagne di sensibilizzazione e uso corretto della televisione che coinvolgano direttamente i ragazzi, i genitori e le scuole;
• revisione dei palinsesti televisivi con
un orientamento verso una riqualificazione dell’offerta e il rilancio del
media fra le nuove generazioni, implementando la sperimentazione di
nuovi, innovativi modelli televisivi
che potrebbero trovare spazio riducendo programmi di scarsa qualità
come reality show e contenitori pomeridiani e domenicali;
• rispetto delle fasce protette per i
44
minori, corretto utilizzo dello strumento di parental control basato sui
bollini-semaforo oppure introduzione del cosiddetto watershed utilizzato in Gran Bretagna che funge
da chiaro spartiacque fra la programmazione adatta ai minori e
quella esclusivamente per adulti.
Televisione satellitare:
• risoluzione della problematica concernente i canali satellitari 800-900
visibili tramite decoder Sky con la
predisposizione e l’attivazione di un
sistema basato sul concetto di white
list e che permetta di limitare
l’accesso dei minori da parte dei genitori esclusivamente ad alcuni canali ritenuti a loro adatti;
• necessità di mantenere alta l’attività
di sensibilizzazione e informazione
sull’uso corretto della televisione e
dei sistemi di controllo parentale ad
oggi disponibili, rivolta ai bambini,
ai genitori, agli insegnanti e agli
educatori.
Internet:
• si individua la necessità di colmare il
vuoto
legislativo
attraverso
l’elaborazione di nuovi strumenti,
• si auspica che le aziende produttrici
di software dotino i propri sistemi
operativi di filtri, in particolare della possibilità di attivare sistemi di
white list, e che si predispongano e
aggiornino i filtri di parental con-
pediatria preventiva & sociale
trol ponendo molta attenzione ai
motori di ricerca.
• Si ritiene opportuna anche
l’istituzione di un organo di garanzia formato da esperti e che coinvolga le parti sociali interessate e le
associazioni dei genitori.
Cellulare:
• Strutturazione e miglioramento
dell’attuale panorama legislativo,
caratterizzato da norme e codici di
autoregolamentazione carenti e lacunose.
• Maggiore informazione indirizzata
agli adulti, genitori e docenti, per
colmare un gap generazionale e di
conoscenze che sulle potenzialità e
sulle criticità del telefonino.
Videogiochi:
• Strutturazione e miglioramento
dell’attuale panorama legislativo,
caratterizzato da norme e codici di
autoregolamentazione carenti e lacunose, tenendo conto delle peculiarità di tale media.
• Miglioramento, corretta applicazione e diffusa comunicazione del codice di classificazione PEGI.
• Maggiore offerta di informazione e
campagne di sensibilizzazioni indirizzate ai minori su un corretto uso
del videogioco, e dedicate ai genitori per aumentare l’awareness dei sistemi di classificazione e di controllo parentale esistenti, per informare
delle potenzialità e dei pericoli di
tale media.
Cinema:
• Maggiori collaborazione, coinvolgimento e rilevanza del parere delle
associazioni dei genitori all’interno
della Commissione di revisione cinematografica;
• Maggiore omogeneità tra i divieti
di visione stabiliti in Italia e nei vari paesi dell’Unione Europea, spesso infatti l’Italia in tale settore risulta essere il paese più permissivo in
assoluto
Stampa ed editoria:
• Necessità che le proposte contenute
nella Sezione “Norme attuative”
della Carta di Treviso (promozione
dell’Osservatorio, diffusione della
normativa esistente, contemplazione della sanzione accessoria della
pubblicazione del provvedimento
disciplinare e il coinvolgimento delle scuole di giornalismo come centri
di sensibilizzazione delle problematiche inerenti i minori) vengano
contenute in una norma primaria e
che si preveda l’integrazione con un
sistema sanzionatorio adeguato.
• Necessità di un’adeguata normativa
e di un severo sistema sanzionatorio, azioni di informazione e responsabilizzazione rivolte direttamente al settore degli edicolanti,
soggetto importante per la tutela
dei minori in tale ambito.
I sistemi di tutela esistenti si rivelano
ad oggi spesso inadeguati, sia a livello
di misure limitanti e sanzionatorie, sia
nell’ottica di sviluppare un’offerta di
qualità e adeguate modalità di fruizione da parte dei bambini.
Ad esempio non esistono strumenti di
tutela che interessino in maniera
omogenea il settore globale dei media
ma bensì una pluralità di istituzioni e
organi che disciplinano la materia con
modalità e approcci spesso profondamente diversi. È quindi auspicabile al
più presto un intervento normativo
che disciplini in maniera unitaria ed
esaustiva il tema della tutela dei minori in relazione ai mass media e ai
nuovi media e si sottolinea la necessità che venga istituito un organo di
controllo e vigilanza - authority o
commissione -.
È necessario inoltre che sia dato il
giusto rilievo all’informazione e che
questa venga rivolta sia direttamente
ai minori che indirizzata ai genitori e
i docenti scolastici, in quanto figure
chiave nel processo educativo. È prioritario infatti rivolgersi e informare
direttamente la società attraverso
campagne informative e media education, con l’auspicabile impegno anche delle istituzioni e delle aziende di
settore.
Proponiamo anche il sostegno di tali
attività attraverso le somme delle sanzioni comminate dall’AGCOM per
comportamenti lesivi verso i minori
da parte di emittenti e soggetti operanti nei media.
Alla base di quanto il MOIGE propone per un’efficace tutela del bambino e dell’adolescente in quanto fruitore dei media tradizionali e delle nuove
tecnologie di comunicazione, senza
dubbio ad oggi essenziali per una adeguata informazione e conoscenza, c’è
il concetto di “biblioteca di casa”: la
possibilità cioè di creare una white
list, un pacchetto di fonti sicure e
adatte ai minori che sia per loro liberamente consultabile, che permetta di
rispondere alle esigenze della loro età
tutelandoli però dalle insidie e da immagini e situazioni inadatte e spesso
pericolose per un loro adeguato e sa-
no sviluppo, soprattutto per quanto
concerne l’utilizzo dei media di difficile controllo e con maggiori possibilità di essere fonte di diseducativi incontri mediatici come lo sono la tv satellitare e internet.
2.Off-line! A pedofilia e pedopornografia - una normativa severa e un’informazione diffusa per fermare un
fenomeno deleterio per il bambino
e per l’intera società.
Internet deve raccogliere un’attenzione speciale da parte delle Istituzione,
visti i numerosi rischi in cui può incorrere il giovane navigatore.
L’accento ora va messo da una parte
sulla necessità di una appropriata normativa penale e dall’altra sulla priorità che le Istituzioni si impegnino a sostenere adeguate attività di informazione indirizzate ai minori e ai loro
genitori affinché tale fenomeno, deleterio per il singolo e per l’intera società, venga fermato.
3.Scuola&educazione - Per una scuola
che educhi all’utilizzo sicuro dei
mezzi di comunicazione la cui fruizione rappresenta ad oggi un importante diritto del minore, in
un’ottica di consapevolezza delle loro caratteristiche e altresì di sicurezza, tenendo conto dell’attuale realtà
sociale che rende il mancato accesso
a tali medium una limitazione della
libertà e delle pari opportunità dei
minori.
La scuola come luogo importante in
cui si sviluppa la fase di socializzazione secondaria e in cui prendono forma
e si acquisiscono modalità di relazione
con gli altri deve incentivare forme di
informazione e campagne di comunicazione indirizzate ai minori e ai genitori, rafforzando sempre più la proficua sinergia fra scuola e genitori.
2/2010
45
Una proposta operativa attuale-bioetica con
l'infanzia
A. Leocata
Ospedale Garibaldi di Catania
Il documento proposto - risulta finalizzato - in spirito di missione come possibile auspicabile Istituzione
- Fondazione Umanitaria:
SEABA - Salvare Educare Amare
Bambini Adolescenti - ed è stato
presentato in sede dovuta "Area poster- Bioetica" del 65° Congresso
Nazionale SIP con la viva speranza
di essere favorevolmente accolto dalla Società Italiana di Pediatria e si
spera pure dalle Società affiliate e
dalle altre Società ed Associazioni
Mediche e non, ed Istituti Sanitari
Pediatrici ed Ordini dei Medici, ed
osiamo sperare anche dalla Società
Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale, che celebra a Taormina 27-29
Maggio 2010 il suo XXII Congresso
Nazionale.
Ora - coincidenza non casuale ma
provvidenziale - vuole che proprio
recentemente il Santo Padre Benedetto XVI ricevendo i partecipanti
alla Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia (febbraio 2010) ha voluto richiamare la
tenerezza
particolare,
l'insegnamento costante e la considerazione paterna di Gesù Benedetto a favore dei bambini: " lasciate
che i bambini vengano a me e non
glielo impedite, che di essi è il regno
dei cieli". Luca 18.16 - "e chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me". Matteo 18.5; Ed ha ricordato come la
46
Chiesa lungo i secoli, sull' esempio
di Cristo e fedele al suo mandato di
Madre e Maestra, ha promosso e
raccomandato la tutela della dignità
e dei diritti dei bambini ... ed in
molti modi e sempre appropriati si è
presa cura di essi - così come nel nostro tempo, ha voluto condividere e
riproporre le indicazioni e le raccomandazione contenute nella Dichiarazione Universale dei Diritti dei
Bambini 20 Novembre 1959 - e nella Convenzione Mondiale dei diritti
dei Bambini e dell'Adolescenza 20
Novembre 1989 - ed è doveroso farne menzione proprio a 50 anni per
l'una e a 20 anni per l'altra, dalla celebrazione della recente ricorrenza
annuale: 20 Novembre 2009.
Ma soprattutto la Chiesa Cattolica
ha voluto e vuole indicare con determinazione e con saggezza la strada
maestra da seguire per ogni uomo e
per tutti gli uomini - per ogni luogo
e per ogni tempo - per quanto attiene la cura e la salute dei bambini e
degli adolescenti, non solo secondo
l'antica e saggia esortazione di Giovenale "Maxima debetur puero reverentia" - ma altresì confidando nel
nuovo e supremo comandamento
dell' amore "Charitas scientia pro
parvulis" - motivo fondante del nostro progetto culturale operativo
SEABA.
Per cui si potrà considerare come richiamo opportuno e conferma valida
pediatria preventiva & sociale
ed appropriata, nell' emergenza sanitaria - assistenziale, educativa e
protettiva dell'infanzia e dell'adolescenza, del nostro vivere quotidiano,
come una valida offerta alla nostra
considerazione per il nostro modo di
essere e di fare, oggi - la viva raccomandazione di voler prendere in
considerazione il documento SEABA, per una progettuale Istituzione
- Fondazione Umanitaria, da poter
considerare apportatrice di enunciati positivi, per quanto attiene la proposta di valori per l'età infantile ed
adolescenziale e con riferimento alle
cure sanitarie, agli interventi educativi, alla tutela dei disabili ed alla
protezione dei più piccoli, per la loro crescita ed il loro pieno sviluppo
... e contro ogni violenza ed abuso ed
il possibile abbandono e lo sfruttamento lavorativo e sessuale o peggio
ancora, contro ogni forma disumana,
di rapimento per esacrabili programmi di indicibili maltrattamenti
e di torture … bambini resi invisibili o non riconoscibili … e con quel
volto non più dolce e gioioso dell’innocenza – dell’infanzia amata e protetta – senza nome e senza famiglia
… senza casa e non scolarizzati, né
riportati nei registri anagrafici .. senza speranza e con gli occhi mesti e
con il cuore infranto e la mente
smarrita … captati nel vortice nebuloso nello spirito del male … a vivere l’inaudita tragedia – dell’infanzia
violata, dell’infanzia negata – e fino
alla possibile brutale soppressione.
Costituisce vero motivo di gioia perciò trovare sostegno e guida per la
iniziativa intrapresa di una Fondazione Umanitaria e la considerazione per la scelta responsabile del nostro impegno nelle opere, al fine di
poter attuare "la vera cura, nel senso
di aver cura" dei tanti nostri fratelli
più piccoli, e per essi portare a compimento la nostra missione di salute
e di salvezza.
Pertanto: Salvare Educare Amare
Bambini Adolescenti - SEABA "si
pone oggi a buon diritto: quale messaggio di significato profetico; quale
richiamo universale inequivocabile;
la più viva raccomandazione emergente ... l'accorata e corale preghiera
al Padre Nostro che è nei Cieli - di
salute e di salvezza per i bambini, gli
adolescenti, i genitori, gli educatori
interessati alla loro formazione, ed i
medici stessi dei bambini - votati alla cura personalizzata alla loro cre-
scita, alla loro salute globale ... e di
quegli altri operatori di buona volontà e di provata disponibilità, che
vorranno dedicarsi a tale nobile missione.
Si tratta, in questa nostra era di svariate urgenze e di incontenibili esigenze, saper interpretare i segni dei
tempi ed impegnarci veramente e
volere e potere dare il nostro contributo personale, professionale e missionario "quasi ispirato" - di proposte essenziali per quanto concerne i
valori perenni della vita e della salute, e di offerta operosa di servizio nel
presente e nel futuro, e soprattutto
in questo nostro tempo, segnato dalla emergenza educativa e con il rischio incombente dell' appiattimento totale dei valori dell' era della globalizzazione, oltre che della cultura
dilagante della "second life" nell'immaginario periglioso dell'universo
virtuale, che mette a dura prova la
famiglia - la sua presenza, il suo ruolo, la sua ben nota funzione umana,
sociale, etica e religiosa - l' àncora
della salvezza che ci potrà aiutare a
sopravvivere ancòra.
La famiglia: cellula fondamentale
della società - unità sanitaria naturale – prima scuola di virtù sociali, di
cui hanno bisogno tutte le società piccola chiesa in cammino nella storia della salvezza ... è oggi quasi alla
deriva nella società contemporanea,
ma rimane impegnata a proteggere
gelosamente e con molta cura quei
tesori preziosi che sono: l'infanzia,
l'adolescenza e la giovinezza dei figli
dell'uomo - che tutti assieme dobbiamo salvare - oggi stesso - poiché
domani potrebbe essere già tardi ..
.intanto che, l'arcobaleno della speranza ci guiderà nel nostro cammino:
Bambini da salvare - bambini da
amare
Salviamo i bambini - i bambini salveranno il mondo.
2/2010
47
Progetto prevenzione obesità infantile
“Mi voglio bene”
S. Bernasconi, P. Brambilla, G. Brusoni, M. De Simone, G. Di Mauro, M. Di Pietro, M. Giussani,
L. Iughetti.
???
Background
Attualmente, la prevalenza di sovrappeso ed obesità infantile (OI) a
6 anni in Italia è paragonabile a
quella delle età successive (complessivamente 25%), senza differenze significative tra i sessi e con variazioni
tra aree geografiche [1]. Pertanto, lo
spazio per interventi di prevenzione
è confinato ai primi anni di vita, a
partire dal momento della nascita. I
principali fattori di rischio per l’OI
sono stati identificati da studi scientifici e sono classificabili in fattori
familiari e individuali. Tra i fattori
familiari, i più importanti sono la
presenza di obesità nei genitori e lo
stile di vita familiare. Tra quelli individuali, vi sono una scorretta alimentazione nei primissimi anni
(ipercalorica, eccesso di proteine,
grassi e zuccheri semplici) ed un eccesso di attività sedentarie associato
ad una riduzione dell’attività motoria [2].
I programmi preventivi finora adottati hanno avuto scarso successo in
quanto, indirizzati prevalentemente
o unicamente alla classe medica, sono riusciti a coinvolgere minimamente le altre componenti sociali
(famiglia, scuola, media, istituzioni,
aziende commerciali). Solo azioni
coordinate, nell’ambito di campagne
a largo raggio, possono avere chance
di successo [ 3-4-5].
48
Al momento sono ben pochi gli studi che hanno dimostrato la reale
possibilità di prevenzione primaria
dell’obesità. Tra essi, ricordiamo uno
studio condotto in condizioni socioeconomiche svantaggiate in Australia, che vuole dimostrare l’efficacia
nella prevenzione di sovrappeso ed
obesità a 5 anni di un programma
educativo rivolto ad alimentazione e
stile di vita precoci. Tale intervento è
stato affidato ad un’infermiera di comunità specificamente formata e
realizzato grazie ad 8 visite domiciliari ripetute nei primi 2 anni di vita
[6].
Nella nostra realtà, il Pediatra di Famiglia è una figura cruciale della
prevenzione dell’obesità ed il suo
ruolo è fondamentale nell’acquisizione precoce di corrette abitudini
alimentari e stili di vita, che appartengono ai suoi compiti “istituzionali”. Pertanto, rappresenta la figura
professionale che possiede i migliori
requisiti in questo contesto: in genere conosce bene la famiglia, segue il
bambino dalla nascita fino almeno ai
6 anni di vita utilizzando al riguardo
i Bilanci di Salute (8 visite di controllo a tempi codificati nei primi 6
anni di vita), vale a dire momenti
istituzionalmente dedicati alla prevenzione. Inoltre, ha ulteriori occasioni di contatto con il bambino e la
sua famiglia per rafforzare il suo
ruolo educativo e per interpretare il
pediatria preventiva & sociale
pattern di crescita del bambino e comunicare ai genitori eventuali deviazioni dalla norma.
Lo scopo
Verificare l’efficacia di 10 semplici
azioni preventive per ridurre la prevalenza di obesità a 6 anni. Tali azioni preventive saranno messe in atto a
partire dalla nascita e per tutti i primi 6 anni di vita, e saranno strutturate in una sequenza definita. Ciascuna di esse è convalidata da studi
scientifici ed è rivolta alla modifica
di parametri oggettivi e misurabili.
Obiettivo dello studio, nello specifico, è quello di far adottare correttamente almeno 7 delle 10 azioni preventive (vedi Tabella 1), intervenendo con consigli e verifiche in occasione dei Bilanci di Salute. I tempi
corrispondenti a ciascuna di esse sono riportati nella Tabella 2.
Pazienti, materiali e metodi
La SIPPS ha studiato un progettoricerca specifico e innovativo che intende verificare nel corso di 6 anni se
è possibile realizzare una prevenzione dell’obesità infantile. I tempi di
realizzazione prevedono:
1. Nella prima fase (6 mesi),
l’individuazione dei Pediatri parte-
Tabella 1 – Le 10 azioni preventive con relativi indicatori e riferimenti bibliografici.
1
Azione
Indicatore
Riferimenti bibliografici
Allattare al seno
almeno 6 mesi
Baker JL, AJCN 2004 [9]
2
Svezzamento
Introduzione cibi complementari dopo i 6 mesi
ESPGHAN 2008 [10]
3
Apporto proteico
Controllato (in particolare nei primi 2 anni)
Cachera MF, IJO 1995 [11]
Koletzko B, AJCN 2009 [12]
4
Bevande
Evitare succhi, tisane, soft drinks, thè, ecc.
James J, IJO 2005 [13]
5
Biberon
Da sospendere entro i 24 mesi
Bonuch K, Clin Pediatr 2004[14]
6
Stile di vita
Incentivare attività ludiche di movimento,
evitare l’uso del passeggino dopo i 3 anni
Wen LM, Public Health 2007 [6]
7
Controllo del BMI
Identificare se si verifica l’ Early adiposity
rebound (prima dei 6 anni)
Cachera MF, IJO 2006 [8]
8
TV, giochi sedentari
Solo dopo i 2 anni, massimo 8 ore/settimana
Viner RM, J Pediatr 2005 [15]
9
Giocattoli
Regalare giochi di movimento, adatti all’età
Viner RM, J Pediatr 2005 [15]
Uso dell’Atlante fotografico degli alimenti
(www.scottibassani.it)
Foster E, Br J Nutr 2008 [16]
Higgins JA, Eur J Clin Nutr 2009 [17]
10 Porzioni corrette per l’età prescolare
Tabella 2 – Tempi di realizzazione delle 10 azioni preventive, in occasione degli 8 bilanci di salute e di 2 ulteriori bilanci (intermedio 1 e intermedio 2).
Bilancio di salute
Bil 1
Bil 2
Bil 3
Bil 4
Bil 5
Bil 6
Bil 7
Int. 1
Int. 2
Bil 8
Età (mesi)
1-1.5
2.5-3
5-6
8-9
11-12
16-18
24-30
36-42
48-54
66-72
Azione 1
x
(x)
(x)
x
x
x
Azione 2
x
x
x
x
Azione 3
x
x
x
x
x
x
x
Azione 4
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Azione 5
Azione 6
Azione 7
Azione 8
x
x
x
x
x
x
Azione 9
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
Azione 10
cipanti (volontaria). Si ipotizza di
arruolare 180 pediatri, suddivisi
in 6 zone geografiche distribuite
sul territorio nazionale. Si organizzerà un incontro in ciascuna
zona e si illustrerà il Progetto. Si
individuerà un Coordinatore Locale, responsabile del coordinamento all’interno del gruppo di
Pediatri della zona. Si fornirà il
materiale necessario (schede di
reclutamento pazienti, scheda di
raccolta consensi, materiale bibliografico ed istruzioni detta-
gliate, tabelle e grafici di riferimento, schede di rilevazione dati,
ecc).
2. Nella seconda fase (6 mesi), ogni
Pediatra partecipante arruolerà un
numero congruo di neonati (in
media 30 neonati, con possibilità
di estenderlo a 40 o ridurlo a 20). I
neonati devono essere tutti nati nel
periodo suddetto. Il pediatra proporrà al primo incontro ai genitori
la partecipazione al progetto.
3. I bambini arruolati (in totale 30
neonati x 180 pediatri = 5400
neonati) saranno rivalutati periodicamente fino al compimento
del 6° anno con tempistica definita in coincidenza dei bilanci di salute 0-6 anni. A ciascun bilancio
verrà individuato uno o più obiettivi specifici. Si registreranno i
dati di accrescimento e di compliance su un’apposita scheda. Saranno aggiunti 2 bilanci intermedi tra il 7° e l’8°. All’ultimo bilancio sarà rilevata la pressione arteriosa e la circonferenza della vita
con metodica standardizzata.
2/2010
49
4. Il calcolo del Body Mass Index
(BMI) consentirà di determinare
a partire dai 2 anni la prevalenza
di sovrappeso/obesità (secondo
Cole, [7]) e di early adiposity rebound (secondo Rolland Cachera, [8]).
5. Durante tutto il periodo di studio
si attiveranno le Azioni di supporto (sui media, industria, scuola, governo-istituzioni) che la
SIPPS riterrà più idonee al Progetto.
6. Come gruppo di controllo, si individuerà un gruppo di 180 pediatri con identica distribuzione
geografica che forniranno i dati di
30 neonati ciascuno, nati nello
stesso periodo dello studio, selezionati in modo casuale all’interno del proprio elenco di pazienti
(in totale 180x30= 5400) (verificando che le condizioni socioeconomiche siano le stesse).
Criteri di inclusione ed esclusione
Il Pediatra arruolerà i primi 30 neonati iscritti i cui genitori accettano di
partecipare allo studio. Non si considerano fattori di esclusione il grado
di parità, l’eventuale prematurità, la
presenza di patologia.
Analisi statistica
Lo studio, in tutte le sue fasi, prevede la partecipazione di uno statistico.
Un “test di potenza” effettuato preliminarmente, ha individuato in 4627
bambini il numero minimo per garantire l’adeguatezza del campione.
Infatti:
1) si ipotizza una frequenza media
del 5% di obesità e del 20% del
sovrappeso in Italia, quindi una
frequenza complessiva del 25%.
50
2) per osservare una riduzione
dell’10% dell’incidenza di obesità
+ sovrappeso (e quindi ridurla dal
25 al 22.5%), è necessario
l’arruolamento iniziale di 4627
neonati, ad una potenza di 0.8.
Il numero di soggetti ipotizzato dallo studio (5400) è pertanto da ritenersi adeguato, anche tenendo conto
di un fisiologico drop-out del 1015%.
E’ in corso la valutazione dei costi
per l’informatizzazione completa dei
dati e l’inserimento degli stessi da
parte del pediatra online su indirizzo web dedicato a tempi prestabiliti,
nella tutela assoluta della privacy.
Cosa comporta per il PDF la partecipazione allo studio
1. Illustrare ai genitori la finalità
dello studio sin dal primo incontro e raccogliere un consenso.
2. Organizzare gli 8 bilanci di salute
0-6 anni in modo tale da disporre
del tempo necessario per illustrare
l’azione inerente quel bilancio,
consegnare il materiale esplicativo,
rispondere ad eventuali richieste di
chiarimento e compilare una opportuna scheda di rilevazione dei
dati di crescita e dei dati in merito
all’esecuzione dell’azione illustrata
al precedente bilancio. Si ritiene
che, nella maggior parte dei casi,
tutto ciò comporti un tempo tra i 5
e i 10 minuti.
3. Modificare il range di età di esecuzione dei bilanci, che è stato ristretto per evitare una eccessiva
dispersione dei dati (vedi Tabella
2). Ad esempio, il bilancio finale è
da effettuarsi tra i 66 ed i 72 mesi, anziché tra i 60 ed i 72 mesi.
4. Includere 2 bilanci di salute intermedi tra il 7° e l’8°, da eseguirsi rispettivamente a 36-42 mesi e 4854 mesi.
pediatria preventiva & sociale
5. Assolvere ogni onere burocratico
per il riconoscimento dei Crediti
Formativi Annuali per tutta la
durata dello studio.
Le Azioni Preventive
Passiamo brevemente in rassegna le
caratteristiche salienti delle 10 azioni preventive. Inoltre, a titolo di
esempio, illustriamo per esteso
l’azione 1 di incentivo all’allattamento al seno.
L’azione 1 è prevista ai bilanci 1, 2, e 3,
con rinforzo facoltativo ai bilanci 4 e 5
per le madri che proseguono
l’allattamento fino ai 12 mesi. Si tratta, al bilancio 1, di consegnare alla madre ed illustrare il materiale specifico
(vedi oltre) e di rinforzare il messaggio ai successivi bilanci 2 e 3, al fine di
raggiungere l’obiettivo di protrarre
l’allattamento fino ai 6 mesi di vita.
L’allattamento al seno può essere
completato, qualora insufficiente, da
latte adattato, nel quadro di un allattamento misto, che il pediatra specificherà se a prevalenza di latte materno o adattato.
Ovviamente questa azione non si pone in caso di mancanza di latte materno. Tuttavia, in questo caso il Pediatra
consiglierà come sostituto del latte
materno un latte adattato a basso contenuto proteico per i primi 6 mesi.
Il Pediatra si adopererà per sostenere l’allattamento, soprattutto nelle
prime settimane, sui seguenti punti:
• Sostegno alla motivazione
• Accessi in studio adeguati (per
semplici verifiche del peso)
• Utilizzo di curve di crescita specifiche per l’allattato al seno (OMS)
• Prevenzione delle principali cause
di abbandono
• Gestione ottimale (richiesta del
neonato avvallata dalla madre)
• Eventuali integrazioni “mirate”
per brevi periodi
Ad ogni bilancio del primo anno, da
1 a 5, si registrano i seguenti dati:
data, peso, lunghezza, e si risponde
alla domanda di verifica:
Il tuo bambino è allattato al seno:
1) in modo esclusivo
2) in modo prevalente
3) in modo marginale
4) per niente.
Per ogni azione preventiva, si identificano i tempi (a quali bilanci illustrarla e fornire materiale) e le modalità di verifica (scheda di rilevazione).
Azione 2: introduzione cibi complementari dopo i 6 mesi. Si intende il
posticipare l’introduzione di alimenti o bevande al di fuori del latte a dopo i 6 mesi, quando ciò non sia imposto da motivi clinici individuali.
Nell’elenco dei cibi da posticipare si
considerano la frutta, i biscotti, altre
bevande al di fuori di latte ed acqua.
Ai bilanci 2 e 3 l’azione è illustrata e
giustificata, al bilancio 4 si verifica
che l’azione sia stata realizzata correttamente. Per le bevande, si veda
anche quanto descritto per l’azione 4
(vedi oltre).
Azione 3: apporto proteico controllato (in particolare nei primi 2 anni).
Ciò si realizza fornendo semplici
schemi nutrizionali, differenti se il
bambino è allattato al seno o con
latte adattato. Ai bilanci dall’1 al 7 si
esemplifica la quota di alimento con
contenuto proteico che si ritiene
corretta (nel caso di allattamento
esclusivo al seno, si considera corretta ogni quantità di latte assunta, in
caso di latte adattato, si consiglia
l’utilizzo di un latte a contenuto proteico ridotto e si fornisce una quota
massima giornaliera consigliata).
Dopo lo svezzamento, si forniscono
le quote consigliate di alimenti a
maggior contenuto proteico, quali
carni, formaggi, yogurt, pesce, pro-
sciutto, ecc. Tali quote saranno differenti se il bambino è allattato al seno o con latte adattato, in modo da
non superare l’assunzione giornaliera di proteine di 15 grammi a 8 mesi, 17 grammi a 10 mesi, e 20 grammi dal 12° al 24° mese. Le differenze tra bambini in termini di peso
corporeo si considerano trascurabili
ai fini dell’indicazione massima
giornaliera, in modo da semplificare
al massimo le indicazioni fornite. E’
consigliato un apporto proteico controllato anche dopo i 24 mesi, anche
se il mancato rispetto di esso non
impedirà di considerare l’azione come avvenuta.
Azione 4: evitare succhi, tisane, soft
drinks, thè zuccherato, ed ogni altra
bevanda con contenuto calorico non
trascurabile, per tutta la durata dello
studio (0-6 anni). Non si considera
l’assunzione sporadica o legata a ragioni cliniche (es. in corso di enterite). Ad ogni bilancio per tutta la durata dello studio il Pediatra ricorderà l’azione e verificherà il suo corretto adempimento.
Azione 5: sospendere l’uso del biberon entro i 24 mesi. Studi scientifici
pubblicati hanno dimostrato un
maggior rischio di sovrappeso/obesità nei bambini con svezzamento dal biberon tardivo (oltre i 24
mesi), a prescindere dalla quota calorica introdotta e dal tipo di bevanda. Il rischio si correla, in altri termini, con la modalità di assunzione,
favorendo il consumo “incosciente”
o la “dipendenza routinaria” legata al
biberon. L’azione preventiva si effettua ai bilanci 6 e 7.
Azione 6 e 9: incentivare attività ludiche di movimento, evitare l’uso del
passeggino dopo i 3 anni, regalare
giochi di movimento adatti all’età.
Ad ogni bilancio dal 5° in poi, si for-
niranno esempi di attività di movimento adatte all’età del bambino. In
particolare, si indicheranno le attività di movimento che possono essere
svolte assieme ai genitori e/o ad ai
coetanei, in modo da favorirne
l’accettazione. Inoltre si raccomanderà di evitare l’uso abituale del passeggino per i movimenti del bambino oltre i anni di età.
Azione 7: individuare se si verifica un
Early adiposity rebound, vale a dire
un incremento del valore assoluto
del BMI prima dei 6 anni). Studi
clinici hanno documentato un rischio elevato di sovrappeso/obesità
nei bambini con precoce aumento
del BMI in una fase nell’infanzia in
cui il suo valore è atteso in progressivo calo di visita in visita. Inoltre,
un early adiposity rebound si associa
ad un maggiore rischio di alterazione metaboliche, a prescindere dalla
condizione di sovrappeso/obesità.
L’identificazione dell’early adiposity
rebound non rappresenta in assoluto
un’azione preventiva, bensì il presupposto per un intervento molto
precoce nei casi individuati. In altri
termini, l’azione preventiva vera e
propria è sul Pediatra, che osservando la curva del BMI può attivarsi
per ottenere la normalizzazione del
suo andamento nel tempo. Tale
azione si realizza ai bilanci 7 e successivi.
Azione 8: TV solo dopo i 2 anni,
massimo 8 ore/settimana. Anche la
riduzione del tempo utilizzato dal
bambino in attività sedentarie (TV,
videogiochi, PC) rappresenta una
misura efficace per contrastare il rischio di insorgenza di obesità, oltre
che corretta abitudine in generale
per la salute psico-fisica del bambino. La quota di 8 ore settimanali
viene stabilita in accordo con le indicazioni delle Società Scientifiche
2/2010
51
Pediatriche, e concede 1 ora giornaliera ed una piccola tolleranza occasionale. Tale azione si realizza a partire dal 5° bilancio (circa 12 mesi) in
quanto è di osservazione sempre più
frequente un consumo precocissimo
di tali attività.
Azione 10: uso dell’Atlante Fotografico degli Alimenti per mostrare in
modo semplice ed obiettivo quale sia
la porzione alimentare da consigliarsi al bambino in età prescolare. Tale
azione si realizza con impiego, dal
bilancio 7 e successivi, dell’Atlante
Scotti Bassani in cui ogni alimento
di uso comune viene fotografato in 3
taglie differenti nel piatto. Si intende che la quota consigliata debba
corrispondere a questa età alla foto
identificata dal simbolo Δ. Studi clinici hanno documentato l’efficacia
di tale strumento per l’educazione
alimentare così come per il recall alimentare, svincolando sia l’operatore
che il familiare dalla necessità della
pesata dell’alimento.
NB: Al momento dell’inizio del
Progetto devono essere approntate
in ogni dettaglio le azioni che si realizzano nel prima anno di vita (1-5),
mentre per le successive (6-10) si
può prevedere di aggiungere eventuali nuove informazioni utili che
venissero acquisite dalla letteratura
nel frattempo.
52
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Allattamento al seno: quali evidenze scientifiche?
G. Banderali, I. Giulini Neri, C. Paramithiotti
Clinica Pediatrica Ospedale San Paolo Università degli Studi di Milano
Il latte materno, con la ricchezza dei
suoi componenti, non solo nutrizionali, ma anche funzionali, costituisce
un vero e proprio "sistema biologico", che, secondo le attuali conoscenze, si associa non solo a migliori parametri di crescita, ma esita anche in un miglior sviluppo neurocomportamentale e nella prevenzione di varie patologie acute e croniche.
Ogni mese vengono pubblicate su
riviste scientifiche internazionali circa 200 tra studi, lavori e pubblicazioni sul mondo allattamento al seno, dimostrando una continua evoluzione scientifica.
Il latte materno ha una composizione quantitativa differente rispetto al
latte vaccino per quanto riguarda il
contenuto proteico, glucidico e lipidico. Sono noti in particolare alcuni
nutrienti contenuti nel latte materno
e definiti “funzionali”: per esempio
la concentrazione di azoto non proteico, ed in particolare i nucleotidi,
componenti del latte umano “essenziali” in alcune situazioni di aumentata richiesta (rapida crescita postnatale, infezioni), con effetti benefici sul sistema immunitario (aumento
della resistenza alle infezioni favorendo la microflora intestinale con
minori rischi di diarrea infettiva).
Tra le proteine funzionali segnaliamo le IgA secretorie, specifiche sia
per antigeni gastroenterici, sia per
quelli di provenienza respiratoria,
giunti alla ghiandola mammaria rispettivamente attraverso le vie enteromammaria e broncomammaria.
Durante la suzione, le IgA tendono
a permanere nelle prime vie aeree
del lattante (oro-, rinofaringe, tube
uditive) proteggendolo da infezioni
delle vie aeree superiori, quali l’otite
media.
Altro punto importante è inoltre la
concentrazione di sieroproteine, in
particolare la lattoferrina, principale
sieroproteina nel latte materno, che
favorisce l’assorbimento di ferro e
compete in questa forma per lo ione
ferrico con i batteri enteropatogeni,
con un effetto batteriostatico, immunomodulatore e probiotico in
quanto viene ritrovata immodificata
nelle feci e nelle urine. Dal punto di
vista della composizione lipidica, un
cenno importante va in particolare
agli acidi grassi polinsaturi (LCPUFA), importanti per la struttura delle membrane cellulari, in particolare
retina e cervello, e per la comunicazione intercellulare. Da citare, infine, gli oligosaccaridi che costituiscono il terzo componente del latte
umano dal punto di vista quantitativo e sono noti per il loro effetto prebiotico.
Secondo l’ESPGHAN il latte materno deve essere considerato non
più come l’alimento ideale nei primi
6 mesi di vita, bensì come la moda-
lità di alimentazione normale. In
passato infatti, definire il latte materno come l’alimento ottimale sembrava
sottointendere
che
l’allattamento artificiale fosse la forma di alimentazione normale. Successivamente è consigliato il proseguimento dell'allattamento al seno,
opportunamente complementato
dagli alimenti introdotti con il divezzamento.
L’Organizzazione Mondiale della
Sanità ha recentemente concluso il
Multicenter Growth Reference
Study, che promuove come modello
di crescita di riferimento internazionale quello della popolazione allattata al seno. Facendo riferimento ai
patterns di crescita di tale studio, si
evita di incorrere nell’errore di interpretare come uno scarso accrescimento una velocità di crescita fisiologicamente minore. Prima di disporre di tali curve, si rischiava infatti
di proporre una formula adattata in
aggiunta al latte materno, ritenuto
erroneamente insufficiente. La valenza protettiva nei confronti di sovrappeso ed obesità ha come punto
centrale lo scarso apporto proteico
del latte materno (Early Protein
hypothesis). Lattanti che assumono
maggiori quantità di proteine presentano, infatti, livelli sierici di Insulin like Growth Factor (IGF) più
elevati. L’IGF sembra essere in grado
di indurre una precoce iperplasia del
2/2010
53
tessuto adiposo. Così conformato,
tale tessuto va incontro anche ad
ipertrofia già dall’età prescolare, a
causa di comuni errori alimentari e
della scarsa attività fisica. Si assiste
pertanto al precoce incremento del
Body Mass Index (precoce adiposity
rebound), associato ad elevato rischio
di obesità. La teoria dell’ “Early protein hypothesis” viene confermata
dal Childhood Obesity Project
(CHOP): lattanti alimentati con allattamento al seno esclusivo per almeno 3 mesi hanno mostrato una
minor tendenza a sviluppare sovrappeso ed obesità rispetto a lattanti che
hanno assunto una formula adattata
ad elevata concentrazione proteica.
Oltre all’effetto protettivo nei confronti di soprappeso ed obesità ven-
54
gono sottolineati i benefici sulla salute del neonato, con la riduzione
dell’incidenza e/o severità di molte
infezioni, tra cui meningiti batteriche, batteriemie, diarrea, infezioni
respiratorie, enterocolite necrotizzante, otiti medie, infezioni delle vie
urinarie e sepsi tardiva in bambini
pretermine. Viene altresì segnalata
la riduzione dell’incidenza di altre
patologie, quali SIDS, diabete tipo I
e tipo II, linfoma, leucemia, malattia
di Hodgkin, sovrappeso e obesità,
ipercolesterolemia, asma. Sono segnalate, infine, performance migliori degli allattati al seno ai test per lo
sviluppo cognitivo.
L’allattamento al seno induce benefici anche sulla salute della donna
che allatta, soprattutto come ridu-
pediatria preventiva & sociale
zione del rischio di tumore al seno,
riduzione del sanguinamento postpartum e mestruale, aumentato intervallo tra i parti, possibile riduzione del rischio di osteoporosi nel periodo post-menopausale.
La comunità risente positivamente
della promozione dell’allattamento
al seno, inoltre, in termini di riduzione della spesa sanitaria e delle assenze per malattia dei figli. Ricordiamo, a questo proposito, che più di
un bilione di dollari di spese sanitarie annue negli Stati Uniti sarebbero
imputabili all’incidenza di quattro
patologie (diarrea, infezioni da virus
respiratorio sinciziale, otite media e
diabete giovanile) per mancata protezione dovuta a sospensione precoce dell’allattamento al seno.
Alimentazione e stato di salute a lungo termine
G. Faldella, A. Aceti, M Spinelli
Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Ostetriche e Pediatriche. Università di Bologna
La nutrizione durante la prima infanzia gioca un ruolo determinante
in termini di salute, sia a breve che a
lungo termine. In particolare,
l’alimentazione durante finestre
temporali
“critiche”,
quali
l’allattamento e il divezzamento, può
influenzare (programmare) la successiva crescita staturo-ponderale,
nonché il rischio di sviluppare alcune condizioni patologiche, tra cui
obesità, malattie cardiovascolari,
ipertensione e diabete. Esiste inoltre
evidenza crescente secondo cui vi è
una correlazione tra nutrizione postnatale e maggior rischio di allergie,
disfunzioni immunitarie e disordini
autoimmuni quali diabete di tipo I
(1).
L’effetto che la nutrizione in epoche
precoci esercita sul successivo stato
di salute viene identificato come
“programming” o “imprinting metabolico”. Numerosi meccanismi molecolari sono stati ipotizzati come
possibile causa di tale fenomeno,
quali alterazioni del numero cellulare in risposta alla malnutrizione, selezione di cloni cellulari con specifiche caratteristiche metaboliche e
differenziazione metabolica; quest’ultima si esplica attraverso la regolazione di proteine leganti il
DNA, la modulazione della struttura della cromatina e la metilazione
del DNA (2).
Crescita: effetti a lungo termine
Il pattern di crescita nei primi anni di
vita non solo rappresenta un marker
del benessere psico-fisico del bambino, ma ha anche importanti implicazioni per la salute a lungo termine:
esiste attualmente un’evidenza consolidata secondo cui un ritmo di crescita troppo elevato durante l’infanzia
determini un aumento del rischio di
sviluppare le maggiori componenti
della sindrome metabolica (intolleranza glucidica, obesità, ipertensione
arteriosa e dislipidemia). Tale evidenza deriva in primo luogo da studi
condotti in modelli animali, che dimostrano come la restrizione calorica
durante le fasi dello sviluppo abbia
effetti benefici a lungo termine (3); i
meccanismi implicati in tale azione di
programming coinvolgono principalmente l’asse insulina/IGF-1, agendo
sulla riduzione delle scorte di glicogeno e dei lipidi. Di contro, è stato
dimostrato l’effetto dell’eccessiva nutrizione e della conseguente eccessiva
crescita in termini di successiva obesità, dislipidemia, insulino-resistenza
e sindrome metabolica (4).
L’idea che la crescita nelle prime fasi
della vita possa influenzare l’outcome
a lungo termine anche nell’uomo si è
fatta strada per la prima volta negli
anni 80, quando studi osservazionali
suggerirono che un crescita sub-ottimale durante la vita fetale (intrauteri-
ne growth restriction - IUGR) potesse associarsi ad un incrementato rischio di sviluppare successivamente
una patologia cardiovascolare (ipotesi
di origine fetale della patologia dell’adulto [5]). In particolare, venne evidenziato come tale rischio fosse estremamente elevato tra gli individui a
più basso peso neonatale, i quali presentavano una probabilità 6 volte
maggiore rispetto ai controlli di sviluppare diabete tipo II e addirittura
18 volte maggiore di incorrere nella
sindrome metabolica (6).
Sulla base di tali osservazioni epidemiologiche, è stato ipotizzato che, in
risposta ad un ridotto apporto di nutrienti, il feto metta in atto degli
adattamenti intrauterini tali da massimizzare l’efficienza metabolica
nell’immagazzinare ed utilizzare i
nutrienti (ipotesi del thrifty phenotype). Un tale programming risulterebbe vantaggioso anche dopo la
nascita, qualora la condizione di restrizione nutritiva dovesse persistere:
tuttavia, in condizioni di adeguata o
addirittura eccessiva nutrizione, lo
stesso fenotipo diventerebbe dannoso e predisporrebbe allo sviluppo di
obesità e disfunzione metabolica (7).
Numerosi studi osservazionali hanno
evidenziato come l’effetto deleterio
della IUGR, in termini di sviluppo di
diabete tipo II, obesità e patologia
cardiovascolare, sia ulteriormente
peggiorato da una successiva crescita
2/2010
55
esuberante durante il periodo postnatale. In particolare, si è evidenziato
come i neonati pretermine allattati al
seno abbiano, rispetto ai controlli alimentati con formula, una minore velocità di crescita e una minore propensione a sviluppare obesità, dislipidemia, ipertensione ed insulino-resistenza (8).
Diversi modelli animali sono stati approntati per studiare i possibili meccanismi patogenetici alla base della
relazione tra crescita e outcome a lungo termine. Ad esempio, la restrizione
calorica materna è stata utilizzata in
diversi modelli (roditori e animali di
grossa taglia) per indurre IUGR: tali
studi hanno evidenziato come la
IUGR determini un basso peso alla
nascita, una successiva crescita di recupero (catch-up growth) prima del
divezzamento e, durante la vita adulta, un elevato BMI e aumentate concentrazioni di leptina circolante rispetto ai controlli (9).
E’ stato recentemente documentato
come l’azione della leptina durante
periodi critici dello sviluppo fetale e
post-natale rappresenti uno dei
meccanismi chiave per il programming metabolico cerebrale: tale sostanza può influenzare positivamente o negativamente lo sviluppo ipotalamico, a seconda del momento e
dell’intensità di azione, ed è ipotizzabile che fattori ambientali, quali lo
stress, possano agire sinergicamente
ad essa nell’influenzare lo sviluppo e
la funzione dei sistemi neuronali coinvolti nella regolazione del bilancio
energetico (10).
Crescita e rischio cardiovascolare
Obesità
La relazione tra crescita durante
l’infanzia e successiva obesità è stata
ampiamente dimostrata: in particolare, si è evidenziato come sia i bam-
56
bini che presentano un peso e/o
BMI elevato, sia quelli che crescono
molto velocemente abbiano un aumentato rischio di obesità (11).
Inoltre, i risultati dello European
Childhood Obesity Study supportano l’esistenza di una relazione causaeffetto tra crescita ed obesità: in
questo studio, circa 600 neonati allattati con formula sono stati divisi
in due gruppi, randomizzati a ricevere formule standard e di proseguimento ad alto o basso tenore proteico; circa 300 neonati allattati al seno
sono stati inclusi nello studio come
gruppo di controllo. I lattanti sono
stati seguiti fino all’età di 24 mesi,
con periodiche valutazioni di peso,
lunghezza e BMI. Durante il periodo di studio, non sono state riscontrate differenze tra i gruppi in termini di lunghezza; tuttavia, a 24 mesi
lo z score peso-per-altezza nel gruppo alimentato con formula a basso
contenuto proteico è risultato inferiore rispetto al gruppo ad alto contenuto proteico e non diverso da
quello degli allattati al seno. Da tali
emerge come l’alimentazione con
formula a basso tenore proteico
“normalizzi” la crescita verso valori
simili a quelli dell’allattato al seno e
agli standard raccomandati dal
WHO, il che potrebbe determinare
un effetto protettivo sul successivo
sviluppo di obesità (12).
Non è ancora chiaro quale sia la finestra temporale critica in cui il programming si attua maggiormente:
infatti, l’accelerazione della crescita
sia durante la prima settimana di vita sia tra il primo ed il secondo anno
di vita è stata associata con un significativo incremento del rischio di sovrappeso ed obesità in età adulta.
Ipertensione arteriosa
L’associazione tra accelerata crescita
durante l’infanzia ed ipertensione è
stata documentata in numerosi studi, che hanno evidenziato come essa
pediatria preventiva & sociale
sia valida sia nei neonati allattati al
seno che in quelli allattati con formula e coinvolga sia la pressione sistolica che quella diastolica. Inoltre,
è stato dimostrato come l’accelerata
crescita incrementi il rischio di ipertensione sia nel bambino che nell’adulto (13, 14). La relazione causale
tra crescita e successiva ipertensione
arteriosa è stata indagata recentemente: è stata infatti valutata la
pressione arteriosa all’età di 6-8 anni in circa 150 neonati SGA (piccoli per l’età gestazionale), randomizzati alla nascita a ricevere una formula standard o ad alto tenore proteico (contenuto proteico maggiore
di circa il 30% rispetto alla formula
standard). Sia la pressione diastolica
che la media sono risultate significativamente più basse nei bambini alimentati con la formula standard,
mentre non è stato documentato alcun effetto sulla pressione sistolica. I
dati di questo studio supportano
l’ipotesi secondo cui la “overnutrition” durante l’infanzia possa determinare effetti avversi sul successivo
rischio cardiovascolare e controindicano tale pratica soprattutto nel
neonato SGA (13).
Insulino-resistenza
L’insulino-resistenza è strettamente
associata con l’accelerata crescita subito dopo la nascita e sembra che tale associazione sia già significativa
nelle prime due settimane di vita: è
stato infatti dimostrato in una coorte di adolescenti ex-pretermine che
coloro i quali avevano ricevuto una
formula ad alto tenore proteico presentavano concentrazioni ematiche
più elevate di pro-insulina, un marker dell’insulino-resistenza (8).
L’associazione tra i due fenomeni è
stata inoltre documentata nei neonati a termine (15), anche SGA
(16). E’ stata infatti valutata ad un
anno di vita l’insulino-resistenza in
due gruppi di lattanti, nati AGA o
SGA: gli SGA hanno mostrato una
maggior tendenza all’ipertrigliceridemia rispetto agli AGA. Inoltre,
nei neonati SGA che avevano presentato una crescita di recupero del
peso, l’insulinemia a digiuno era significativamente maggiore rispetto
agli AGA e agli SGA senza catchup growth. Di contro, la crescita di
recupero della lunghezza costituiva
il maggior determinante della secrezione insulinica dopo stimolo. Da
questo studio è quindi emerso come
la secrezione e la sensibilità insulinica siano strettamente legate ai pattern di recupero staturo-ponderale
già durante il primo anno di vita: ciò
potrebbe implicare un ruolo precoce
dell’insulino-resistenza nell’innescare la successiva cascata di eventi che
portano ad un aumentato rischio
cardiovascolare (16).
Esiste attualmente scarsa evidenza
su una possibile relazione tra crescita e sviluppo di diabete tipo II: è stato
ipotizzato
che, sebbene
l’accelerata
crescita
durante
l’infanzia incrementi il rischio di insulino-resistenza, intervengano in
tale situazione alcuni fattori pre e
post natali promuoventi la funzione
delle cellule β, che consentono di
mantenere un’adeguata secrezione
insulinica pur in presenza di insulino-resistenza e che diminuiscono
così il rischio di sviluppare diabete
tipo II (15)
Dislipidemia e funzione endoteliale
L’associazione tra crescita e dislipidemia è meno forte rispetto a quella
che coinvolge gli altri fattori di rischio cardiovascolare. E’ stato tuttavia dimostrato che l’assunzione di
latte materno nel neonato pretermine con accelerata crescita si associa a
ridotti valori di colesterolemia e ridotto rapporto LDL/HDL durante
l’adolescenza (8). Inoltre, l’accelerata
crescita durante i primi sei mesi di
vita, ma non quella in età prescolare
(3-6 anni), è risultata essere indipendentemente associata con elevati
punteggi di uno score di rischio per
sindrome metabolica, comprendente
trigliceridemia a digiuno, colesterolo
HDL, glicemia ed insulinemia (17).
L’accelerata crescita risulta inoltre
associata con un aumentato rischio
di aterosclerosi, evidenziato da alterazioni della funzione endoteliale
che si verificano precocemente (8).
Allattamento al seno: effetti a lungo termine
Patologia cardiovascolare
I primi dati sull’effetto dell’allattamento al seno sul successivo sviluppo di ipertensione risalgono ai primi
anni 80, quando una coorte di pretermine venne randomizzata a ricevere latte di banca o una formula per
prematuri: una volta adolescenti, i
soggetti che avevano assunto latte di
banca presentavano una pressione
diastolica e media significativamente inferiore rispetto ai controlli, senza tuttavia differenze in termini di
pressione sistolica. Una metanalisi
condotta nel 2003 ha tuttavia ridimensionato parzialmente il peso
dell’allattamento al seno sul successivo sviluppo di ipertensione, evidenziando come, dalla revisione della letteratura, emerga una riduzione
media nella pressione sistolica di 1.10 mmHg; tale riduzione risulta
ancora inferiore, nonché di scarso significato clinico ed epidemiologico,
negli studi con molti partecipanti,
suggerendo l’esistenza di un possibile bias legato agli studi di ridotte dimensioni (18). Alcuni dati suggeriscono un ruolo potenzialmente benefico di una dieta a ridotto contenuto di sodio sul successivo sviluppo
di ipertensione: una studio condotto
a tale scopo nei primi anni 80 ha infatti evidenziato come la riduzione
dell’intake di sodio nei primi 6 mesi
di vita determini una diminuzione
della pressione sistolica pari a 2.1
mmHg rispetto ai controlli. Inoltre,
gli stessi soggetti valutati durante
l’adolescenza mostravano, rispetto ai
controlli, un ridotto valore sia della
pressione sistolica che di quella diastolica (19). E’ stato anche evidenziato come la supplementazione con
LC-PUFA durante i primi sei mesi
vita induca una significativa riduzione della pressione diastolica e media
a sei anni di vita (20).
La colesterolemia nell’allattato al seno risulta maggiore durante il primo
anno di vita rispetto all’allattato con
formula e ciò risulta probabilmente
legato al concentrazione di colesterolo decisamente più elevata nel latte materno rispetto alla maggior
parte delle formule. E’ stato tuttavia
dimostrato che l’allattamento al seno, specie se esclusivo, si associa a ridotti valori di colesterolemia durante l’adolescenza (21).
Nonostante l’effetto protettivo dell’allattamento al seno su pressione
arteriosa e colesterolemia, attualmente non esiste evidenza definitiva
di un possibile ruolo sulla salute cardiovascolare nel suo complesso; infatti, gli studi che hanno dimostrato
una riduzione della disfunzione endoteliale o della mortalità cardiovascolare nell’allattato al seno non
hanno evidenziato una relazione durata-risposta (22).
Sovrappeso, obesità e diabete tipo II
Una recente meta-analisi condotta
dalla WHO sugli effetti a lungo termine dell’allattamento al seno ha
evidenziato come i bambini e gli
adolescenti che erano stati allattati al
seno risultavano essere a minor rischio di sovrappeso ed obesità rispetto ai controlli. Tale effetto pro-
2/2010
57
tettivo non si manteneva però durante l’età adulta (23). Una possibile
spiegazione di tale relazione sembra
legata al fatto che il neonato allattato al seno auto-regola l’intake di latte e quindi l’intake energetico; inoltre, il ridotto contenuto proteico del
latte materno rispetto alle formule
potrebbe influenzare positivamente
la composizione corporea, nonché
contribuire ad una ridotta secrezione
insulinica. Da ultimo, il neonato allattato al seno cresce più lentamente,
durante il primo anno di vita, rispetto all’allattato con formula e ciò potrebbe rappresentare un vantaggio
sul successivo sviluppo di sovrappeso
e obesità.
E’ stato anche documentato come
l’allattamento al seno conferisca un
certo grado di protezione rispetto allo sviluppo di diabete tipo II, attraverso una riduzione della glicemia e
dell’insulinemia durante l’infanzia
(24).
Asma e atopia
La raccomandazione ad allattare al
seno per ridurre la probabilità di sviluppo di atopia ed asma nei bambini
scaturisce da molte revisioni sui fattori di rischio per l'asma: in realtà,
benché tale punto di vista sia ampiamente accettato e promosso in ambito clinico, solo pochi studi hanno
valutato
adeguatamente
l'argomento, con risultati contraddittori. Infatti, una revisione sistematica degli studi prospettici sulla
relazione tra allattamento al seno ed
atopia, pubblicata nel 2001, concludeva che l'allattamento al seno fosse
efficace nel ridurre l'insorgenza di
eczema atopico nei lattanti a rischio
(25). Tale tesi veniva invece rigettata da un successivo studio prospettico su oltre 1300 bambini seguiti per
7 anni, dal quale emergeva, nei bambini con un genitore con anamnesi
positiva per eczema allattati al seno,
58
una maggiore prevalenza di eczema,
addirittura direttamente correlata
con la durata dell'allattamento (26).
Per quanto concerne invece l’effetto
della dieta materna, è stato evidenziato come l’eliminazione antigenica
durante
la
gravidanza
e
l’allattamento sia probabilmente di
scarsa
utilità
nel
prevenire
l’insorgenza di patologia atopica
(27).
Sulla base delle attuali evidenze,
quindi, l'azione immuno-modulante
del latte materno non trova riscontro
certo sullo sviluppo di allergia; tuttavia, il Committe on Nutrition dell’ESPGHAN
raccomanda
l’allattamento al seno, almeno per i
primi sei mesi di vita, anche per le
donne con familiarità positiva per
allergie (22).
Diabete tipo I e celiachia
I dati sinora riportati in letteratura
suggeriscono che l’allattamento al
seno per almeno i primi 3 mesi di vita riduca il rischio di insorgenza di
diabete tipo I, sia durante l’infanzia
che durante la vita adulta. Ulteriori
dati a tal proposito verranno forniti
dal trial TRIGR (Trial to Reduce
IDDM in the Genetically At-Risk):
tale studio valuterà infatti l’effetto
sullo sviluppo di diabete tipo I di
due diverse formule, una standard ed
una ad idrolisi spinta, dopo 6-8 mesi di allattamento al seno in soggetti
geneticamente predisposti (28)
Per quanto concerne invece la malattia celiaca, una revisione della letteratura del 2006 ha evidenziato come l’allattamento al seno possa essere protettivo rispetto allo sviluppo
della patologia, con un effetto durata-dipendente: infatti, tale riduzione
del rischio risulta più marcata nei
soggetti che venivano ancora allattati al seno al momento del divezzamento. Non è ancora chiaro, tuttavia, se l’effetto protettivo dell’allat-
pediatria preventiva & sociale
tamento al seno rispetto alla celiachia sia permanente o se sia unicamente legato ad un ritardo nell’insorgenza dei sintomi (29).
Sviluppo intellettivo
Lo studio della relazione tra allattamento al seno e sviluppo cognitivo è
estremamente complesso: una metaanalisi pubblicata nel 1999, nella
quale venivano analizzati 20 studi
per un totale di 10.000 bambini, evidenziava una differenza media di 5.3
punti di QI (3.2 dopo aggiustamento per intelligenza materna) a favore
dei neonati allattati al seno rispetto
ai neonati allattati con formula; tale
differenza diventava ancora più significativa nei neonati piccoli per
l’età gestazionale (5.2 punti di QI vs
2.7 nei neonati di peso appropriato)
e presentava inoltre una relazione tra
guadagno in QI e durata dell’allattamento al seno (30).
Una revisione sistematica delle pubblicazioni pertinenti a tale argomento, pubblicata nel 2002, ha evidenziato un effettivo beneficio dell’allattamento al seno sulla successiva
intelligenza nel 68% dei lavori. Tuttavia, la maggior parte degli studi
mostrava importanti limiti metodologici, tant'è vero che solo due studi
su 40, che peraltro giungevano a
conclusioni contrastanti, sono stati
considerati di elevato valore epidemiologico all’interno della metaanalisi (31). Uno studio recente ha
valutato quali fossero i possibili fattori confondenti nella relazione tra
allattamento al seno e QI. Circa
1200 bambini, di cui il 60% allattato
al seno per almeno 12 settimane, sono stati valutati all’età di 9 anni mediante determinazione del QI e valutazione delle abilità neurocognitive: prima dell’aggiustamento per
possibili confondenti, i bambini allattati al seno mostravano migliori
QI totali, verbali e visivi, con una
correlazione diretta tra durata dell’allattamento e tali scores. Tuttavia,
dopo aggiustamento, la relazione tra
QI e allattamento risultava non più
significativa, essendo condizionata
da alcuni confondenti materni e socio-economici (32).
I benefici dell’allattamento al seno
in termini intelligenza e QI potrebbero essere legati al contenuto di
LC-PUFA del latte materno: tale
ipotesi è supportata da studi recenti,
cha hanno evidenziato, nel neonato
pretermine, come la supplementazione del latte materno con acido
arachidonico e docosoesaenoico migliora alcune performances cognitive
a sei mesi (33).
Divezzamento: effetti a lungo termine
Crescita
La maggior parte degli studi hanno
valutato la relazione tra crescita e timing del divezzamento, piuttosto
che l’effetto di singoli cibi.
Esistono scarse evidenze del fatto
che l’inizio del divezzamento tra il
4° ed il 6° mese influenzino la crescita, almeno nel breve termine (34).
Tuttavia, è sempre più evidente come eventi precoci, quali il tasso di
crescita ed il tipo di allattamento
nelle prime fasi della vita, possano
avere conseguenze a lungo termine.
Ad esempio, Fewtrell et al. hanno
esaminato i dati relativi ad una serie
di studi clinici condotti dalla metà
alla fine degli anni 90 per valutare
l’effetto del timing del divezzamento sull’outcome a 18 mesi. In particolare, gli autori hanno confrontato
l’introduzione “precoce” dei cibi solidi (<12 settimane) con quella “tardiva” (>12 settimane) in nati a termine
e pretermine, senza riscontrare differenze significative nei tassi di crescita tra le due modalità di divezza-
mento. Inoltre, è stato suggerito che
i lattanti più grandi, sia pretermine
che a termine, vengono più frequentemente divezzati entro le 12 settimane, anche se ciò non comporta
una crescita più veloce, quantomeno
durante l’infanzia. Secondo gli autori le pratiche relative alla nutrizione
infantile sono esse stesse influenzate
dalla crescita: è stato infatti dimostrato che il peso del lattante è un
miglior predittore dell’età di introduzione dei cibi solidi rispetto al peso neonatale o alla crescita nelle prime fasi di vita (35).
E’ stato dimostrato che l’utilizzo di
cibi a ridotto contenuto lipidico per
il divezzamento determina la riduzione della densità calorica totale
della dieta: pertanto, il Committe on
Nutrition dell’ESPGHAN raccomanda di non ridurre l’apporto calorico legato ai grassi al di sotto del
25% delle calorie totali (34).
Numerosi studi hanno esaminato la
relazione tra apporto proteico durante il divezzamento e nella prima
infanzia e rischio di obesità. Lo studio condotto da Agostoni et al. suggerisce che intake proteici pari o superiori a 4 g/kg/die (circa 16% delle
calorie totali) tra gli 8 e i 24 mesi di
vita siano associati a rischio di sviluppare sovrappeso, mentre tale associazione non sussiste quando
l’intake proteico è < al 15% delle calorie totali (36).
Nei paesi occidentali, i cibi utilizzati per il divezzamento sono solitamente ricchi in proteine ad alto valore biologico, con un elevato rapporto proteine/energia (circa 2.5
g/100kcal). Al contrario, nei paesi in
via di sviluppo tale rapporto è particolarmente basso, poiché i cibi utilizzati per il divezzamento sono prevalentemente
cereali,
mentre
l’utilizzo di carne è limitato. Per tale
ragione, l’utilizzo di formule di proseguimento con elevato contento
proteico è raccomandata solo nei
paesi in via di sviluppo (37).
Neurosviluppo
Il periodo critico durante il quale la
composizione della dieta può influenzare la maturazione delle funzioni corticali è incerto; inoltre, pochi studi hanno indagato l’effetto di
specifici nutrienti sulla performance
cognitiva.
Alcuni studi hanno valutato l’effetto
della supplementazione con LCPUFA sull’acuità visiva, dimostrando che l’intake di acido docosoesaenoico durante il divezzamento può
influenzare la funzionalità visiva a
breve termine; non è ancora chiaro,
tuttavia, se questo effetto persista
anche a distanza (38).
Atri studi hanno dimostrato un effetto benefico del consumo di carne
sull’outcome neurocognitivo, probabilmente connesso al contenuto di
ferro, zinco e acido arachidonico
(39).
Allergia
Pochi studi hanno esaminato il timing del divezzamento come fattore
di rischio indipendente per patologia atopica nei neonati allattati al seno o alimentati con formule. C’è
buona evidenza che alcuni cibi, tra
cui le uova, il pesce, le noci ed i frutti di mare, siano più allergenici di altri. E’ stato inoltre dimostrato che
l’introduzione precoce nella dieta di
più di 4 cibi potenzialmente allergenici si associa a maggior rischio di
dermatite atopica a breve termine e
dopo 10 anni. Tuttavia, il ritardo o la
mancata introduzione di specifici cibi è tuttora oggetto di dibattito.
Attualmente, il Committe on Nutrition dell’ESPGHAN raccomanda di
non iniziare il divezzamento prima
delle 17 settimane e di introdurre un
nuovo alimento alla volta, al fine di
individuare potenziali risposte aller-
2/2010
59
giche. Inoltre, non vi è evidenza che
il ritardo o la mancata introduzione
di cibi potenzialmente allergizzanti
abbia un significativo effetto protettivo sullo sviluppo di atopia (34).
Patologia cardiovascolare
L’effetto della supplementazione
con LC-PUFA durante il periodo
del divezzamento sullo sviluppo di
ipertensione è stato indagato in uno
studio in cui lattanti di 9 mesi sono
stati randomizzati a ricevere una
supplementazione con olio di pesce
per un periodo di 3 mesi: al termine
dello studio, i lattanti che avevano
ricevuto l’integrazione mostravano
sì una riduzione della pressione sistolica pari a 6 mmHg, ma anche un
incremento significativo della concentrazione di LDL e colesterolo totale (40).
Anche l’apporto proteico può avere
un effetto sulla pressione arteriosa:
tuttavia, non è chiaro se tale effetto
si esplichi anche durante il periodo
del divezzamento (34).
Celiachia e diabete mellito
Il glutine non andrebbe introdotto
nella dieta né prima dei 4 mesi né
dopo i 7 mesi di vita. Queste raccomandazioni si basano soprattutto su
due diversi studi: una recente metaanalisi di studi osservazionali ha dimostrato che il rischio di sviluppare
celiachia è significativamente ridotto nei lattanti che erano allattati al
seno al momento dell’introduzione
del glutine nella dieta ed in quelli allattati più a lungo (29). Più di recente, è stato dimostrato che sia
l’introduzione precoce che quella
tardiva del glutine si associano a
maggior rischio di sviluppare la malattia (41).
L’introduzione di antigeni alimentari durante l’allattamento al seno può
avere un effetto protettivo sulla
comparsa di diabete; inoltre,
60
l’introduzione precoce del glutine
nella dieta sembra correlata ad un
aumentato rischio di produrre autoanticorpi contro le cellule insulari
nei lattanti con predisposizione allo
sviluppo di diabete mellito tipo I
(42).
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2/2010
61
Abstracts
I disturbi del comportamento alimentare in età
pre-adolescenziale, parte prima: età pre-scolare
(risultati di una ricerca clinica)
D.Bechis, M.Gandione, A.Tocchet
Dipartimento di Neuropsichiatria infantile, Università degli Studi di Torino.
Il Disturbo del Comportamento
Alimentare (DCA) è una patologia
nota per insorgere soprattutto nei
soggetti di sesso femminile adolescenti.
Da studi effettuati attraverso quattro
continenti è emerso come l’anoressia
sia un problema in netto aumento
nei bambini sia maschi che femmine, con tendenza a mantenersi costante durante tutta l’infanzia fino
all’adolescenza. (K. A. Halmi: Anorexia nervosa: an increasing problem
in children and adolescent. Dialogues in Clinical Neuroscience. Volume 11. Numero 1. 2009; T. Meyer e
J. Gast The effect of peer influence
on disordered eating behavior. The
Journal of School Nursing. Volume
24. Numero 1. Febbraio 2008; J.
Ashcroft, C. Semmler: Continuity
and stability of eating behaviour
traits in children. European Journal
of Clinical Nutrition. 2008. Numero
62. Pag. 985-990)
Nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2005 ed il 31 dicembre 2009
presso il Reparto Degenza della Sezione di Neuropsichiatria del Dipartimento di Scienze Pediatriche e
dell’Adolescenza presso l’ASO
OIRM-S. Anna di Torino, sono stati ricoverati 56 bambini con diagnosi di Disturbo del Comportamento
Alimentare (DCA) con un’età compresa tra pochi mesi e 11 anni.
Dallo studio effettuato emerge come
il Disturbo del Comportamento
Alimentare nei bambini in età preadolescenziale presenti caratteristiche anamnestiche e cliniche differenti nei pazienti con età pre-scolare
rispetto a quelli con età scolare. Tale
particolarità risulta essere così evidente da rendere il DCA considerabile al pari di due diversi quadri patologici, simili nella sua espressività
sintomatologica.
A fronte dell’aumento del Disturbo
del Comportamento Alimentare
(DCA) ad esordio precoce, (prima
dell’età adolescenziale) e dell’aumento della richiesta di ricovero
presso il Reparto Degenza della Sezione di Neuropsichiatria presso
l’ASO OIRM-S. Anna di Torino,
l’obiettivo dello studio è di analizzare le caratteristiche anamnestiche,
sociali ed individuali, oltre a quelle
cliniche, dei pazienti ricoverati in reparto, al fine di ricavare elementi
utili all’approccio diagnostico-terapeutico.
Nel presente abstract vengono presentati i risultati del lavoro svolto su
bambini con età pre-scolare.
Il campione è risultato essere composto da 19 pazienti (il 33,92% del
campione considerato), di questi:
10 bambini ricoverati sono di sesso
maschile (il 53%), mentre 9 sono di
sesso femminile (il 47%).
Dallo studio effettuato, nei bambini
con età al momento del ricovero inferiore ai 6 anni il quadro anamnestico emerso è risultato essere il seguente: i pazienti sono in prevalenza
maschi, unicogeniti, appartenenti ad
una famiglia di livello socio-culturale medio, in genere con nucleo familiare regolare, nel quale non è segnalata familiarità per patologia psichiatrica.
Le loro condizioni alla nascita, pur
non connotandosi generalmente come gravi, sono talvolta a rischio e
comportano spesso il protrarsi del ricovero presso i reparti di neonatologia: inoltre le acquisizioni delle tappe
dello sviluppo neuro-psicomotorio e
del linguaggio sono raggiunte generalmente in epoca, pur con una maggiore incidenza di casi di ritardo rispetto alle attese; lo svezzamento è
riferito in epoca, talvolta con delle
difficoltà. Nei primi due anni di vita
questi bambini presentano dei disturbi della sfera bio-istintuale.
Le caratteristiche cliniche di presentazione del disturbo sono risultate
essere le seguenti: la patologia può
insorgere precocemente in modo
non univoco: in modo subdolo, già
nei primi periodi della vita, attraverso una suzione scarsa con tendenza
del bambino ad addormentarsi durante il pasto e successivamente con
difficoltà ad accettare lo svezzamento (il disturbo si configura in modo
cronico), oppure in modo acuto con
2/2010
63
il mutamento delle abitudini alimentari, nel senso di una iporessia o
di un vero e proprio rifiuto ad alimentarsi, in genere dopo un episodio caratterizzato da “cibo andato di
traverso” e conseguente timore di
soffocamento.
La patologia alimentare, nella situazione a decorso cronico, non appare
grave per il disturbo in sé, (non risulta necessaria la nutrizione enterale o infusiva), ma per la sua cronicità, per le sue caratteristiche e per il
suo associarsi con le situazioni
preoccupanti alla nascita, con le difficoltà nello sviluppo che si traducono nell’immaginario dei genitori
nell’idea di un bambino malato, fragile, in difficoltà, difficile da crescere, per il quale si tende a tornare ad
un’alimentazione da bambino più
piccolo (il cibo viene frullato, si
mantiene a lungo l’assunzione di latte con il biberon): in questo contesto
emotivo-relazionale appare spesso
difficile per i genitori riconoscere ed
accettare le possibili implicazioni
emotivo-relazionali del sintomo.
Nella nostra esperienza risultano
fattori predisponenti all’insorgenza
del sintomo DCA:
• lo sviluppo neuro-psicomotorio in
ritardo;
• la familiarità per patologia psichiatrica;
• le problematiche all’allattamento;
• le problematiche allo svezzamento;
• la preoccupazione per le condizioni
di salute nel primo anno di vita;
64
• l’insorgenza di altre patologie nel
primo anno di età.
Tali dati sembrano essere accumunati da un clima familiare di preoccupazione per la salute.
Dallo studio effettuato è emerso come le problematiche all’allattamento
ed allo svezzamento sembrino già
essere una precoce manifestazione
della patologia.
In tale fascia di età risulta evidente
come il disturbo che insorge con la
caratteristica del vomito presenti un
differente andamento nei due sessi,
sebbene in entrambi sembri essere
una patologia più difficilmente riconoscibile, da parte dei genitori, come espressione di una difficoltà non
solo fisica ma anche con valenza
emotiva del figlio; infatti, non sono
infrequenti richieste di accertamenti anche invasivi al fine di escludere
un impedimento fisico all’alimentazione.
Nei soggetti di sesso maschile, il
DCA che presenta tale caratteristica
risulta avere un decorso più grave rispetto a quanto solitamente si riscontra nel sesso femminile.
Dallo studio si è potuto evincere come pare essere di maggior gravità la
patologia che insorge con la caratteristica del vomito con, conseguentemente, una prognosi peggiore rispetto ai disturbi che si manifestano
con carattere restrittivo. E’ altresì
emerso come sia possibile aspettarsi
l’insorgenza di un disturbo connotato da tali caratteristiche nei bambini
pediatria preventiva & sociale
che abbiano preoccupanti condizioni al momento della nascita.
Nella patologia che si presenta con
tale quadro clinico sembra essere un
elemento influenzante anche il disturbo della sfera bio-istintuale, elemento che, d'altronde, non sembra
essere presente nelle pazienti di sesso femminile, nelle quali la patologia
pare avere un decorso più favorevole. E’ parso verosimile che, in una fascia di età così precoce, il disturbo
della sfera bio-istintuale possa esprimere la tendenza a manifestare attraverso il corpo una difficoltà psichica, che potrà trasformarsi in
DCA vero e proprio in mancanza di
precoce riconoscimento.
La terapia consigliata per queste situazioni risulta essere, un intervento
mediato dalle figure genitoriali. Per i
bambini più piccoli sono previste sedute di osservazione madre-bambino, sedute di osservazione durante il
pasto e sedute di osservazione durante il gioco; risultano perciò essere
necessari interventi che più facilmente possono riuscire a modificare
una dinamica relazionale difficile.
La prevenzione risulta essere fondamentale: risulta di primaria importanza identificare precocemente le
situazioni a rischio (sintomi di depressione materna pregressa o postpartum, sostenuta da un bambino
fragile, difficile da crescere), per avviare interventi di “protezione e sostegno della relazione” anche attivando le risorse familiari esistenti.
I disturbi del comportamento alimentare in età
pre-adolescenziale, parte seconda: età scolare (6-11
anni) (risultati di una ricerca clinica)
D.Bechis, M.Gandione, A.Tocchet
Dipartimento di Neuropsichiatria infantile, Università degli Studi di Torino.
Il Disturbo del Comportamento
Alimentare (DCA) è una patologia
nota per insorgere soprattutto nei
soggetti di sesso femminile adolescenti.
Da studi effettuati attraverso quattro
continenti è emerso come l’anoressia
sia un problema in netto aumento
nei bambini, con tendenza a mantenersi costante durante tutta
l’infanzia fino all’adolescenza. (K. A.
Halmi: Anorexia nervosa: an increasing problem in children and adolescent. Dialogues in Clinical Neuroscience. Volume 11. Numero 1.
2009; T. Meyer e J. Gast The effect
of peer influence on disordered eating behavior. The Journal of School
Nursing. Volume 24. Numero 1.
Febbraio 2008; J. Ashcroft, C.
Semmler: Continuity and stability
of eating behaviour traits in children. European Journal of Clinical
Nutrition. 2008. Numero 62. Pag.
985-990)
Nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2005 ed il 31 dicembre 2009
presso il Reparto Degenza della Sezione di Neuropsichiatria del Dipartimento di Scienze Pediatriche e
dell’Adolescenza presso l’ASO
OIRM-S. Anna di Torino, sono stati ricoverati 56 bambini con diagnosi di Disturbo del Comportamento
Alimentare (DCA) con un’età compresa tra pochi mesi e 11 anni.
Dallo studio effettuato emerge come
il Disturbo del Comportamento
Alimentare nei bambini in età preadolescenziale presenti caratteristiche anamnestiche e cliniche differenti nei pazienti con età pre-scolare
rispetto a quelli con età scolare. Tale
particolarità risulta essere così evidente da rendere il DCA considerabile al pari di due diversi quadri patologici, simili nella sua espressività
sintomatologica.
A fronte dell’aumento del Disturbo
del Comportamento Alimentare
(DCA) ad esordioprima dell’età
adolescenziale e dell’aumento della
richiesta di ricovero presso il Reparto Degenza della Sezione di Neuropsichiatria presso l’ASO OIRMS. Anna di Torino, l’obiettivo dello
studio è di analizzare le caratteristiche anamnestiche, sociali ed individuali, oltre a quelle cliniche, dei pazienti ricoverati in reparto, al fine di
ricavare elementi utili all’approccio
diagnostico-terapeutico.
I presenti risultati fanno parte di un
lavoro di ricerca effettuato su pazienti con un’età compresa tra i 6 e
gli 11 anni.
Il campione è risultato essere composto da 37 bambini in età scolare (il
66,07%), di questi : 4 bambini sono
di sesso maschile (10,81%), 33 bimbi sono di sesso femminile (89,18%).
Nei pazienti con età al momento del
ricovero compresa tra i 6 e gli 11 an-
ni il quadro anamnestico emerso è il
seguente: i pazienti sono in prevalenza di sesso femminile, primogeniti. Si riscontra un netto aumento
di incidenza nelle classi sociali di livello medio-alto che, in genere, presentano un nucleo familiare disgregato, nel quale è segnalata un aumento di incidenza per la patologia
psichiatrica familiare.
Si tratta di bambini “sani”, nella cui
storia non vengono segnalate difficoltà nelle acquisizioni delle tappe
dello sviluppo neuro-psicomotorio,
né del linguaggio, né della sfera bioistintuale, né delle difficoltà alimentari precoci (allattamento e svezzamento), bambini che in altri termini
non destano preoccupazioni nelle figure genitoriali.
Le caratteristiche cliniche di presentazione del disturbo non risultano essere univoche: il sintomo può presentarsi attraverso una progressiva graduale diminuzione dell’alimentazione
(configurandosi in un quadro clinico
cronico), oppure con un improvviso
quadro acuto attraverso un episodio
di “cibo andato di traverso”, come accade nel gruppo di età inferiore.
I maschi in età scolare presentano
caratteristiche che li rendono più simili ai pazienti con età pre-scolare,
le femmine di età scolare si propongono con caratteristiche che richiamano il DCA che compare in età
adolescenziale.
2/2010
65
Si riscontrano i seguenti elementi tipici dell’età adolescenziale: vi è paura di ingrassare e, spesso, le pazienti
associano alle restrizioni alimentari
un intensificarsi dell’attività fisica e
sportiva.
Il quadro clinico si presenta, nella
maggior parte dei casi, con caratteristica di gravità da rendere necessaria,
durante il ricovero, la terapia nutrizionale infusiva o tramite gavage. Il
DCA, come nell’età adolescenziale,
non è l’unico sintomo di disagio psichico ma si associa in prevalenza ad
alterazioni del tono dell’umore ed a
disturbi del sonno. Il quadro clinico
può assumere caratteristiche di gravità che si traducono nella necessità
di ricoveri protratti nel tempo.
I genitori di questi bambini appaiono nel corso del ricovero più in grado di riconoscere, se pure con difficoltà, stupore e sofferenza, la natura
psichica della patologia rispetto ai
genitori dei bambini in età pre-scolare, pur essendo molto difficile per
loro accettare il significato emotivo
della patologia del figlio, tanto che
molti pazienti giungono all’osservazione degli specialisti dopo parecchio tempo dall’insorgenza dei primi
sintomi.
Emerge come il DCA risulti essere
una malattia subdola, difficile da riconoscere ed accettare.
Si è, inoltre, reso evidente come il
disturbo alimentare tenda ad insorge-
66
re in un’età più precoce nel sesso maschile (prima dei 7 anni), rispetto a
quanto accada per il sesso femminile,
dove pare insorgere prevalentemente
tra gli 8 ed i 9 anni; perciò, si è reso
evidente come l’età configuri un quadro sintomatologico differente.
Nel sesso maschile, la patologia alimentare è risultata essere più rara
ma, quando presente, grave. La malattia sembra presentarsi più spesso
in associazione con altri sintomi di
disagio psichico; inoltre, frequentemente, risultano essere necessari la
somministrazione di una terapia
neurolettica ed il ricorso ad una terapia nutrizionale di tipo infusivo.
Nel sesso femminile, invece, il DCA
ha una maggior frequenza, ma, accanto ai casi di una certa gravità, che
richiedono l’utilizzo di una terapia
nutrizionale enterale per il persistente rifiuto ad alimentarsi, osserviamo situazioni in cui il sintomo si
presenta con un carattere per così
dire “reattivo” per le quali la durata
della degenza risulta inferiore alle
due settimane.
Come nell’età pre-scolare, anche in
questa fascia di età, i disturbi precoci della sfera bio-istintuale sono presenti nella storia di pazienti con
quadri clinici più gravi.
Pertanto, è emerso come la patologia
insorgente in età scolare assuma caratteristiche tipiche dell’età precedente (maggiore gravità del DCA
pediatria preventiva & sociale
nei bimbi con pregressi disturbi della sfera bio-istintuale, patologia grave nel sesso maschile), in interazione
con altri elementi peculiari dell’età
adolescenziale (maggiore incidenza
nel sesso femminile e minore nel
sesso maschile; principale manifestazione con la caratteristica di selettività).
La terapia indicata risulta essere un
approccio multidisciplinare che preveda un intervento farmacologico
(con l’utilizzo di neurolettici) associato a psicoterapia individuale ed ad
un intervento di sostegno psicologico a carico della coppia genitoriale.
L’approccio diagnostico deve comunque prevedere, in entrambi i casi, sia accertamenti volti ad escludere una patologia organica sottesa dal
sintomo, sia accertamenti volti a
mettere in evidenza la psicopatologia sottesa al sintomo. Le sedute di
approfondimento psicologico risultano essere la terapia consigliata in
queste situazioni.
Per i genitori, come in ogni altra patologia di pertinenza neuropsichiatrica, sono necessari approfondimenti effettuati attraverso colloqui
mirati non solo alla conoscenza delle dinamiche familiari, ma anche ad
accompagnare i genitori nel difficile
percorso verso la consapevolezza
della fragilità emotiva del figlio, vissuto, come un figlio sano, perfetto,
senza problemi
Controindicazioni vere e false alla vaccinazione
anti morbillo-parotite-rosolia
G. Bonvini, L. Dahdah, E. Calcinai
Ospedale Materno Infantile Macedonio Melloni Milano - AO Fatebenefratelli Milano
In accordo con i dati della letteratura sono confermate controindicazioni al vaccino anti morbillo-parotiterosolia (MPR):
a) le malattie acute febbrili
b) le reazioni allergiche gravi a pregresse vaccinazioni o componenti
del vaccino MPR
c) la gravidanza
d) l'immunosoppressione
Problema reazioni anafilattiche: i
componenti del vaccino responsabili
sono la gelatina e la neomicina. La
gelatina è presente come stabilizzante, ma le reazioni allergiche gravi attribuibili a una sua sensibilizzazione
sono confermate molto rare: 4/7 casi di anafilassi su 1 milione di dosi.
La neomicina è presente come conservante ed antibatterico. L'allergia
alla neomicina si manifesta generalmente come dermatite da contatto e
questo non controindica la vaccinazione.
Riguardo il rischio di reazioni anafi-
lattiche una falsa controindicazione
è rappresentata dall'allergia alle proteine dell'uovo, ricordiamo che il
vaccino MPR è costituito da virus
vivi attenuati coltivati su fibroblasti
embrionati di pollo. Le proteine
presenti nel vaccino non danno reazioni incrociate con le proteine dell'uovo e la vaccinazione MPR può
essere eseguita anche in bambini con
anamnesi di anafilassi all'uovo.
Problema gravidanza: come tutti i
vaccini vivi attenuati, il vaccino
MPR è controindicato in gravidanza. La gravidanza va evitata per il
mese successivo alla vaccinazione, il
massimo rischio stimato di malformazioni congenite attribuibile a vaccinazione nel primo trimestre di gravidanza è dell' 1,2/1,3 %.
Problema immunodeficenze: è raccomandato vaccinare i conviventi.
Problema immunodepressione: in
corso di terapia con cortisonici,
esempio dose immunosoppressiva di
prednisone 2 mg/kg/die, se il trattamento dura meno di due settimane è
possibile eseguire la vaccinazione al
termine della terapia, se il trattamento dura più di due settimane è
possibile vaccinare dopo un mese
dalla sospensione.
Problema interferenza tra vaccini: è
importante sottolineare che la contemporanea vaccinazione anti MPR
e vaccino anti varicella, entrambi virus vivi attenuati, non rappresenta
una controindicazione, ma se i due
vaccini non vengono somministrati
nella stessa seduta, deve trascorre fra
uno e l'altro sempre un minimo di 4
settimane.
In conclusione l'atteggiamento rassicurante dei pediatri sull'opportunità e sulla sicurezza del vaccino anche
in bambini allergici all'uovo potrà
far raggiungere livelli di copertura
vaccinale adeguati come richiesto
dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità.
1/2010
67
LES ed Orticaria Vasculitica: descrizione di un
caso
L. Buscema1, I. Morselli1, M. Saporito1, E. Olivastro1, A.D. Praticò1, R. Pignataro1, R. De Pasquale2,
P. Barone1, R. Garozzo1
1
2
Dipartimento di Pediatria - AOU "Policlinico-Vittorio Emanuele" di Catania
U.O. Dermatologia - AOU "Policlinico-Vittorio Emanuele" di Catania
Introduzione
Il lupus eritematoso sistemico (LES)
è una patologia cronica autoimmune
che si manifesta soprattutto nelle
femmine tra i 15 e i 25 anni di età.
Le manifestazioni più comuni comprendono eritema a “farfalla", fotosensibilità, rash discoide, ulcere alle
mucose, artrite, sierositi, nefrite, manifestazioni neurologiche ed ematologiche. E' caratterizzato dalla positività degli, anti-Sm, anti ds-DNA,
anti-fosfolipidi.
Descriviamo il caso di una paziente
affetta da LES in trattamento con
micofenolato mofetile che ha presentato lesioni orticarioidi recidivanti.
Caso clinico
P.A. 20 anni seguita presso la nostra
struttura da 8 anni in quanto affetta
da LES in trattamento con micofenolato mofetile e steroidi sistemici a
68
basso dosaggio. Da nove mesi presentava manifestazioni orticariodi
diffuse al tronco e agli arti superiori
ed inferiori, pruriginose, parzialmente responsive a trattamento con
antistaminici e cortisonici. Gli esami
ematochimici eseguiti evidenziavano
aumento degli indici di flogosi (VES
40 mm/h e PCR 1.77 mg/dl), ipocomplementemia (C3 38 mg/dl e
C4 8 mg/dl), aumento delle IgE totali (364 IU/ml) e positività degli
ANA (1/1280).
Nel sospetto di una orticaria da farmaci veniva sospeso il trattamento
ed eseguita biopsia cutanea che metteva in evidenza la presenza a livello
del derma superficiale di infiltrato
granulocitario perivascolare con distribuzione a bande e immunofluorescenza diretta per IgG, IgM, IgA,
con positività lineare sub-epidermica e perivascolare.
A distanza di 15 giorni si assisteva ad
un miglioramento della sintomatologia cutanea e si intraprendeva terapia
con ciclofosfamide, sospesa dopo cir-
pediatria preventiva & sociale
ca 2 mesi per il riscontro di marcata
leucopenia. Veniva pertanto reintrodotto micofenolato mofetile con ricomparsa delle lesioni cutanee orticarioidi.
Conclusioni
Nel nostro caso la stretta relazione
con la somministrazione del micofenolato ci ha indotto a fare diagnosi di
orticaria da farmaci. Tuttavia il riscontro bioptico di lesioni compatibili con la diagnosi di Orticaria Vasculitica Neutrofilica non esclude la possibilità che tale patologia sia una delle
manifestazioni cliniche talora associate al LES. È verosimile che il micofenolato possa aver agito da trigger nell’instaurazione del danno vasculitico.
Bibliografia
1. Cieslik P., Hryceh A., Klucinski P.. Vasculopathy and vasculitis in sistemi lupus erythematosus. Pol Arch Med Wewn 2008 JanFeb; 118(1-2): 57-63.
Lo yogurt, antico alimento funzionale, e la
nutrigenomica
G. Caramia
Libero Professionista
Lo yogurt ha caratteristiche nutrizionali uniche in quanto è un alimento completo contenendo in proporzioni ottimali di carboidrati,
proteine con tutti gli aminoacidi essenziali, grassi, potassio, fosforo,
calcio in grandi quantità e varie vitamine A, D, B2, B12 (Tab 1). Grazie alla fermentazione, che scinde il
lattosio in zuccheri più semplici, galattosio e glucosio, trasformati poi
in acido lattico, è digeribile anche
per chi soffre di lievi intolleranze al
lattosio.
L'acido lattico, presente nella misura
dell'1%, favorisce la digeribilità e
l’assorbimento di proteine, grassi,
fosforo e calcio e inibisce lo sviluppo
di microorganismi patogeni.
Lo yogurt classico contiene il Lactobacillus Bulgaricus e lo Streptococcus thermophilus, in una quantità
uguale o superiore a 100 milioni di
cellule (UFC) per millilitro ma alcu-
ni aggiungono probiotici quali Bifidobacterium bifidum , Lactobacillus
acidophillus, L. casei, L. lactis per
migliorare: microflora del colon, sistema immunitario intestinale, stato
nutrizionale, e colon irritabile; per
prevenire ipercolesterolemia, carie
dentarie e ridurre anche la frequenza
del tumore della vescica e del colon.
Recenti studi hanno evidenziato che
bambini alimentati con yogurt dallo
svezzamento fino a 7 anni pesano in
media 4 kg in meno dei coetanei,
che l’abbondante assunzione di calcio favorisce la lipolisi mentre anche
alcuni peptidi bioattivi prevengono
l'accumulo di grasso e l’obesità.
Lo yogurt è uno dei più antichi alimenti funzionali in quanto, assunto
come parte integrante di un normale regime alimentare, svolge da millenni un benefico impatto sull’ospite
e, per quanto riguarda l’obesità, si rivela oggi ancora più importante.
Recentemente la Nutrigenomica,
scienza che studia come le molecole
dei cibi intervengono su geni e
DNA, incomincia a chiarire le interazioni e i meccanismi molecolari alla base della insorgenza di alcune
patologie.
E’ pertanto importante, fin dallo
svezzamento, una corretta alimentazione e alimenti funzionali quali yogurt, fibra alimentare, considerata il
“dinosauro” degli alimenti funzionali e importante per lo sviluppo di
probiotici e prebiotici, olio extra vergine d’oliva, per il contenuto di acido oleico elevato e di composti minori, che attivano i geni favorevoli
e/o bloccano quelli dannosi.
Tutto questo richiama alla mente la
saggezza di un tempo in base alla
quale l’alimentazione deve contenere alimenti ottimali, come oggi indicato nella nota piramide alimentare,
nella giusta quantità.
Tabella 1 – ???
yogurt
Calorie / Kcal
Proteine g%
Grassi g%
Carboidrati g%
Intero (al naturale)
66
3,8
3,9
4,3
Ialmen - scremato (al naturale)
43
3,4
1,7
3,8
Scremato o magro (al naturale)*
36
3,3
0,9
4,0
Alla frutta ***
110
3,3
3,7
14,9
* Yogurt intero: deve contenere, per legge, una quantità di lipidi pari o superiore al 3%
** Yogurt magro: deve contenere, per legge, una quantità pari o inferiore all’1%
*** In genere il contenuto in frutta è basso (c.a. 10%, cioè 12 grammi per ogni vasetto di yogurt da 125 g).
Valutare sempre attentamente quanto riportato nell’etichetta
2/2010
69
Nurrienti, qualità del cibo e salute
G. Caramia
Libero Professionista
L’importanza della qualità del cibo,
per i suoi aspetti salutistici, si perde
nella notte dei tempi e richiama alla
mente le antiche medicine cinese e
indiana. Abuso e mancanza sono
ugualmente dannosi per cui, un medico del faraone riportava nel papiro nell’VIII sec. a.C. che “un quarto
del cibo che assumiamo serve per
vivere, il rimanente serve per far vivere i medici”. Il ruolo della qualità
del cibo sulla salute è sostenuto anche da Ippocrate che scrive "la salute richiede la conoscenza del potere
dei cibi", da T. Lucrezio Caro che
sostiene “quello che per l’uno è cibo
per l’altro è amaro veleno”, da Leonardo da Vinci (1452-1519) per il
quale "la vita dell'omo si fa delle cose mangiate" da D. Diderot (17131784), che scrive: "se certi alimenti
sani sono, per la ragione di nutrire
troppo, alimenti pericolosi per un
soggetto, ogni alimento può avere
qualità favorevoli o dannose”. Infine
L. Feuerbach (1804-1872), sostiene
"i cibi si trasformano in sangue e il
sangue in cuore e cervello, in materia di pensieri e sentimenti.
L'alimento umano è il fondamento
della cultura e del sentimento:
l'uomo è ciò che mangia".
Negli ultimi 10.000 anni si è assistito alla nascita dell’agricoltura, al
passaggio da una vita di nomadi e
cacciatori a quella di contadini stanziali e quindi di cittadini ed è cambiato il modo di alimentarsi. La carenza di alimenti è stata bandita
dalle nazioni industrializzate e si è
realizzata la rivoluzione più straordinaria della storia dell’uomo: la
disponibilità di cibo sufficiente per
tutti.
Le trasformazioni dell’alimentazione hanno avuto però un impatto
molto negativo sulla nostra salute.
Il nostro genoma, ereditato dall’o-
minide Ardipithecus ramidus, vissuto 4,4 milioni di anni fa, è ancora
adattato all’alimentazione primordiale dei nostri progenitori mentre il
cibo è diventato sempre più raffinato, con più calorie e meno nutrienti.
Sono così divenuti più frequenti
obesità, iperinsulinemia, diabete,
dislipidemie, ipertensione, aterosclerosi, tumori ecc.
Per sopperire a tali carenze sulla scia
della Dieta Mediterranea proposta
da A. Keys, l’industria alimentare ha
messo a punto prodotti con nutrienti ad azione protettiva quali licopene (Licopene capsule), omega-3
(Oil 4 life), frutta, verdura e bacche
( Juice Plus, capsule, tavolette masticabili) per un’adeguata protezione e
difesa dell’organismo.
Nei vari Juice Plus è stato determinato il contenuto in polifenoli con il
dosaggio dell’acido caffeico e valutato il valore ORAC (Tab 1).
Tabella 1 – Caffeic Acid Equivalent (CAE) in capsule, compresse e caramelle contenenti estrati vegetali (Juice Plus)
Campione
Polifenoli (mg CAE/g)
ORAC
1
19,49±0,12
487,25
2
18,42±0,47
460,5
3
9,17±0,19
229,5
4
7,72±0,45
193,0
5
11,99±0,34
299,75
6
6,59±0,14
164,75
Il valore ORAC (Oxigen Radical Adsobance Capcity) si ottiene moltiplicando per 25 il valore del polifenoli. Due capsule di 487 unità ORAC l’una, pari a
974 unità ORAC/die, sono un’integrazione adeguata in una dieta povera di vegetali. I valori inferiori sono riferiti a dosaggi per bambini
70
pediatria preventiva & sociale
Differenze nei valori dell’apgar tra nati da TC
con anestesia spinale e nati da parto spontaneo
M. Ciaraldi
Libero Professionista
Nonostante le ripetute sollecitazioni
da parte di enti istituzionali e società
scientifiche di settore, i parti operativi
(TC) continuano ad essere nella realtà
italiana troppo frequenti e, per lo più,
effettuati senza indicazioni specifiche
di clinica o di gestione.
Nella nostra realtà le percentuali di
TC (65-67%), confrontati a quelli
eutocici, assumono proporzioni
drammatiche, lontane dalle medie
nazionali (33-35%), lontanissime da
quelle europee (17-19%), abissali
dalle
indicazioni
scientifiche
(<15%).
L’anestesia più frequentemente utilizzata è quella spinale (>80%).
Abbiamo voluto valutare le differen-
ze di condizione clinica, mediante
registrazione dell’indice di Apgar,
tra un congruo numero di neonati a
termine (37-41 settimane), nati da
TC con anestesia spinale, ed un
equivalente numero di nati da parto
spontaneo.
Dall’analisi delle cartelle cliniche di
ricovero delle UO di Pediatria e di
Ostetricia del PO di Marcianise si
sono selezionati, con criterio random, 1000 casi, relativi a nascite degli ultimi 5 anni. Dei casi identificati, 344 risultavano parti spontanei,
24 TC effettuati in anestesia generale, 632 TC in anestesia spinale.
I neonati da TC con anestesia spinale hanno presentato:
- Apgar a 5’ > 8 (59,5%); Apgar = 78 (33,6%); Apgar < 7 (6,9%)
I neonati da Parto spontaneo invece:
- Apgar >8 (58,3%); Apgar = 7-8
(36,2%); Apgar < 7 (5,5%)
Il piccolo numero di TC con anestesia generale non è rientrato nella valutazione statistica.
I risultati confermano quanto già osservato da altri autori; che, cioè, il
TC con anestesia spinale, oltre ad
essere ben tollerata dalla partoriente,
non influenza che marginalmente lo
stato di salute del neonato alla nascita. Non risulta, infatti, dal nostro
studio, una differenza statisticamente significativa dei valori dell’Apgar
tra le due classi di neonati.
2/2010
71
Disturbo del visus in paziente affetto da
talassemia major in terapia con Deferasirox
I.Conti¹, M.R. Politi¹, R.M. Pulvirenti¹, M.A. Romeo¹, M.R. Scuderi², R. Bernardini²
¹Dip. di Pediatria, Az. Ospedaliera Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania
² Dipartimento di Farmacologia Sperimentale e Clinica, Università di Catania
Il Deferasirox (DFX) è un chelante
tridentato del ferro di nuova generazione in grado di rimuovere sia il Fe
libero che intracellulare. DFX è dotato di alta affinità per il Fe in rapporto 2:1 e bassa affinità per altri ioni bivalenti. Viene impiegato per eliminare il Fe in eccesso nei pazienti
di età superiore a 6 anni sottoposti a
frequenti emotrasfusioni (> 7
ml/Kg/mese di GRC). Gli effetti
collaterali segnalati sono: alterazioni
della funzionalità renale ed epatica,
disturbi gastrointestinali e cardiaci.
Non sono descritti disturbi visivi, ad
eccezione della cataratta.
Si riporta il caso di un bambino di 7
anni, affetto da talassemia major in
trattamento con emotrasfusioni e terapia ferrochelante con DFX, che ha
presentato disturbi del visus non riportati in letteratura. Il piccolo aveva iniziato da circa 3 mesi terapia
con DFX in sostituzione della De-
72
sferoxamina. Il trattamento era stato
inizialmente intrapreso al dosaggio
di 23,5 mg/Kg/die e, dopo 2 mesi di
terapia ben tollerata, aumentato a
28,3 mg/Kg/die. Il giorno successivo
all’incremento posologico, il piccolo
ha accusato nausea, vomito e disturbi visivi, questi ultimi essenzialmente consistenti in micropsia (percezione dimensionale ridotta degli oggetti). Il disturbo si manifestava con
frequenza pluriquotidiana ed aveva
la durata di pochi secondi.
L’esame obiettivo generale e neurologico apparivano nella norma, così
come la funzionalità epatica e renale, l’EEG e la RMN encefalo. La visita oculistica evidenziava: “tortuosità dei vasi retinici e papilla a margini sfumati con modesto edema più
evidente in regione temporale”.
Il trattamento con DFX veniva pertanto sospeso, ottenendo un graduale miglioramento dopo due settima-
pediatria preventiva & sociale
ne dall’interruzione della terapia fino alla risoluzione completa dei disturbi visivi e normalizzazione dell’esame oftalmologico. Il disturbo oftalmologico è sembrato correlato alla somministrazione del farmaco in
assenza di altre potenziali cause concomitanti, come peraltro suggerito
dalla stretta correlazione temporale
tra la somministrazione di una dose
più elevata di DFX e la comparsa di
micropsia. Si ritiene pertanto utile
segnalare tale evento ai fini della farmacovigilanza, nell’attesa della evidenza di eventuali ulteriori analoghi
casi da prendere in esame.
Bibliografia
1. Cappellini MD, Ther A. Long-term experience with deferasirox (ICL670), a oncedaily oral iron chelator, in the treatment of
transfusional iron overload. Expert Opin
Pharmacother 2008;9:2391-402.
Efficacia e sicurezza del trattamento della
toxoplasmosi in gravidanza
I. Conti¹, M.R. Politi¹, R. Pignataro¹, P. Barone¹, L. Buscema¹, G. Scalia²
¹Dip. di Pediatria, Az. Osp. Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele Catania
²Dip. Di Microbiologia, Az. Osp. Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania
Per dimostrare l’efficacia e la sicurezza dei protocolli terapeutici utilizzati nel trattamento della toxoplasmosi in gravidanza abbiamo retrospettivamente analizzato 91 pazienti
seguiti, dal 2006 al 2009, presso il
DH di malattie infettive del Policlinico di Catania, nati da madre con
toxoplasmosi primaria in gravidanza, sierologicamente documentata. I
piccoli alla nascita presentavano le
IgG materne. Solo 69 (75,8%) delle
91 gestanti, avevano seguito correttamente i protocolli terapeutici previsti fino al termine della gravidanza, 14 (15,3%) avevano praticato
una terapia non completa e 8 (8,7%)
nessuna terapia. Lo studio ha dimostrato che nel gruppo trattato correttamente, solo 3 (4,3%) su 69 bambini hanno riportato esiti (periarterite
delle talamostriate, dilatazione degli
spazi subaracnoidei, eterocromie retiniche), tuttavia nessuno di entità
significativa. Del gruppo trattato in
modo inadeguato 3 (21,4%) bambini su 14 avevano riportato esiti (epatite, dilatazione degli spazi subaracnoidei, periarterite delle talamo
striate, depigmentazione retinica).
Dei 6 non trattati 2 (33%) avevano
riportato cicatrici corioretiniche bilaterali con compromissione del visus.
La toxoplasmosi è un antropozoonosi causata dal toxoplasma Gondi,
innocua nei soggetti immunocompetenti, potenzialmente teratogena
se contratta primitivamente in gravidanza. La probabilità d’infezione del
feto è in relazione diretta con l’età
gestazionale, mentre il danno prodotto è in relazione inversa, così, se
un’infezione precoce produce un
aborto, l’infezione più tardiva può
provocare la malattia poliviscerale, o
manifestarsi dopo la nascita, con
danni principalmente a carico dell’occhio (corioretinite) e del SNC
(idrocefalo, periarterite, calcificazio-
ni). I protocolli terapeutici in gravidanza, che prevedono l’utilizzo di
spiramicina (3g/die), pirimetamina
(25-50 ml/die) e sulfadiazina
(3g/die), sono risultati sicuri ed efficaci, infatti, nonostante la potenziale teratogenicità di spiramicina e
sulfadiazina, nessuno dei bambini,
da noi seguiti, ha presentato sequele,
mentre tra i non trattati, si sono registrati esiti a volte gravi.
&#278; quindi opportuno sensibilizzare le donne e gli stessi ginecologi,
che a volte erroneamente consigliano l’interruzione terapeutica di gravidanza nel primo trimestre, al fine
di garantire la più ampia compliance
alla terapia.
Bibliografia
1. Export Rev Anti Infect Ther. 2007 Apr;
5(2): 285-93 Prevention and treatment of
congenital Toxoplasmosis. Peters E.
2/2010
73
Crescere Felix: prevenire l’obesità in Campania
P. Iaccarino Idelson, E. Zito, C. Buongiovanni, M. Sticco, A. Franzese
Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli Federico II
Introduzione
Obiettivo
L’OMS ha dichiarato che l'obesità è
un'epidemia globale. Nei bambini
sta aumentando a livelli allarmanti: l’
Italia è al primo posto in Europa e la
Campania, secondo i risultati dell’indagine Okkio alla salute, è la regione con il più alto tasso di sovrappeso e obesità in età pediatrica
(49%). Il Ministero della Sanità ha
spinto per la formulazione di interventi per la prevenzione e la riduzione dell’obesità. Crescere Felix* ( Interventi per la prevenzione e riduzione della Obesità del Bambino e
dell’Adolescente) è il programma
biennale di interventi atti alla prevenzione e alla riduzione dell’obesità in età pediatrica della Regione
Campania.
Promuovere e consolidare, in infanzia e adolescenza, stili di vita e di alimentazione salutari in Campania.
74
Metodi
Si sono sviluppate, 7 azioni:
1.Promuovere l’allattamento al seno
in epoca concezionale, gravidica e
perinatale.
2.Promuovere delle sane abitudini
alimentari nei primi anni di vita
attraverso la formulazione di linee
guida e brochure da distribuire ai
pediatri, ai genitori e alle scuole.
3.Sviluppare un Sito WEB professionale dedicato al progetto, contenente tutti i prodotti del progetto.
pediatria preventiva & sociale
4.Sviluppare degli interventi nelle
scuole.
5.Promuovere l’attività motoria dei
bambini, attraverso la formulazione di linee guida e brochure da
distribuire ai pediatri, ai genitori e
agli insegnanti.
6.Attivare un sistema di verifica delle mense scolastiche.
7.Identificare un percorso assistenziale per i bambini e adolescenti
obesi.
Risultati attesi
Ridurre la prevalenza di obesità e
sovrappeso nei bambini in età scolare del 20%.
*Progetto finanziato dall’Assessorato
alla Sanità della Regione Campania.
DICAev: un progetto contro i disturbi del
comportamento alimentare (DCA) in età
evolutiva
P. Iaccarino Idelson, S. Mobilia, C. Montagnese, F. Salerno, M. Sticco, N. Vaino, C. Zuppaldi, L. Scalfi, G. Valerio, A. Franzese
Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli Federico II
Introduzione
DICAEv, (Prevenzione, Identificazione e Trattamento Integrato dei
DCA in età Evolutiva) finanziato dalla Regione Campania*, nasce dalla
necessità di considerare i rapporti fra
alimentazione, stato di salute e benessere dell’individuo in età evolutiva
non solo in considerazione dell’elevata prevalenza dell’eccesso ponderale e
della comparsa precoce di patologie
dismetaboliche, ma anche per la presenza significativa di alterazioni del
comportamento alimentare.
Obiettivi
Elaborare dei modelli per il miglioramento dei comportamenti alimentari in età evolutiva e in particolare
nella popolazione adolescente.
Metodi
Il progetto è triennale e si divide in
3 bracci: 1) Indagine conoscitiva di
una popolazione di adolescenti napoletani; 2) corso formativo per ope-
ratori della Sanità su temi riguardanti i DCA; 3) percorso assistenziale dei DCA per soggetti in età
evolutiva.
In particolare l’indagine conoscitiva
consta nella raccolta dei seguenti dati:
a) Antropometria: peso, altezza, circonferenza braccio, plica tricipitale.
b) Questionario generale: abitudini
alimentari.
c) Attività fisica: questionario generale attività motoria e IPAQ (International Physical Activity
Questionnaire).
d) Questionari
psicometrici:
SCOFF (Sick, Control, One, Fat,
Food), EAT–26 (Eating Attitude
Test 26), BUT (Body Uneasiness
Test).
Risultati
L’indagine conoscitiva è stata effettuata su 550 adolescenti di 3 scuole
superiori napoletane, previo consenso informato.
Riguardo le caratteristiche antropometriche il 6,2% è sottopeso, il
62,9% è normopeso, il 22,8% è sovrappeso e l’8% è obeso.
Riguardo le abitudini alimentari il
28,2% del campione non consuma la
prima colazione, l’11,5% non consuma né latte, né yogurt, il 17,7% non
consuma mai frutta, mentre l’8,3%
non consuma verdura, il 46% consuma “junk food” 1 o più volte al giorno, il 15,2% consuma soft drinks
quotidianamente.
Riguardo i test psicometrici, il
35,8% del campione è risultato positivo allo SCOFF, il 6,7% all’EAT26, il 23,8% al BUT.
Riguardo l’attività fisica, il 14,6%
del campione si muove < 30 minuti/die, il 33,5% tra 30 e 59’/die , il
51,7% > 60’/die.
Il corso formativo ha visto coinvolti
50 operatori delle Asl in 2 cicli succesivi.
Il percorso assistenziale consta di un
protocollo integrato (pediatra-dietista-neuropsichiatra infantile). Hanno afferito alla nostra struttura 112
pazienti dell’età compresa tra 5 e 17
anni, 22 maschi e 92 femmine e
BMI Z-score compreso tra -7 e +1.
*Servizio materno-infantile, Assessorato alla sanità della Regione
Campania
2/2010
75
Un approccio integrato alla grave obesità in età
pediatrica
P. Iaccarino Idelson, E. Zito, C. Buongiovanni, M. Sticco, A. Franzese
Dipartimento di Pediatria, Università di Napoli Federico II
Obiettivi
L’obesità è il principale disturbo nutrizionale dell’età evolutiva, ed ha
un’eziopatogenesi multifattoriale.
Scopo del presente lavoro è stato
quello di analizzare un nuovo protocollo assistenziale per la terapia della grave obesità.
Metodi
Sono stati presi in considerazione
due gruppi di 25 pazienti ciascuno
(15M, età 6,5-15 aa, BMI z-score
>2), seguiti con due diversi protocolli assistenziali.
Entrambi i protocolli prevedevano
un ricovero della durata di 6 giorni,
durante il quale erano sottoposti ad
un regime dietetico moderatamente
ipocalorico, ad una valutazione psicologica e ricevevano rieducazione
dietetica. Venivano inoltre analizzati
i seguenti parametri: glicemia, insulinemia, colesterolemia totale, trigli-
76
ceridemia, transaminasemia, i cui
valori di riferimento sono quelli del
laboratorio centralizzato della nostra
Università, l’HOMA (v. n. <4).
Il primo gruppo seguiva follow-up
mensili di tipo nutrizionale. Il secondo gruppo era incoraggiato all’attività motoria tramite la consegna
di contapassi per tutto il periodo del
ricovero, era sottoposto a valutazione impedenziometrica e seguiva follow up integrati (psico-nutrizionali)
quindicinali e impedenziometrie
mensili.
il vecchio protocollo, contro il 61,7%
seguendo il nuovo.
Per quanto riguarda i cambiamenti
dello stile di vita, seguendo il vecchio protocollo il 3,4% riferisce di
aver aumentato l’attività motoria,
contro il 49% seguendo il nuovo
(documentato anche da migliorata
composizione corporea).
Infine il sostegno psicologico ha contribuito notevolmente a migliorare la
compliance al programma terapeutico,
riducendo stati di ansia e migliorando
dinamiche familiari disfunzionali.
Risultati
Conclusioni
Nel 1° gruppo solo l’8% dei pazienti
ritorna fino al 6° mese di follow up,
contro il 64% nel 2° gruppo.
Il 5% dei pazienti perde il 10% del
peso corporeo seguendo il vecchio
protocollo, contro il 53% seguendo il
nuovo.
Il 7,2% riferisce di aver inserito più
frutta e verdura nella dieta seguendo
La particolare complessità di questi
pazienti e i risultati della valutazione
psicologica e nutrizionale suggeriscono di migliorare ulteriormente il
modello di trattamento, inserendo,
un programma di riabilitazione motoria durante il ricovero ed un ciclo
di incontri di educazione alimentare
con le famiglie dei pazienti.
pediatria preventiva & sociale
La Sindrome di Miller Fisher-Bickerstaff come
causa di coma in età pediatrica
A. Le Pira¹, M. R. Politi¹, I. Conti¹, R.M. Pulvirenti¹, F. Bruno¹, E. Lionetti¹, P. Smilari¹, F. Greco¹
¹ Dip. Di Pediatria Az. Osp. Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania
La S. di Miller Fisher (MFS) è una
polineuropatia infiammatoria demielinizzante acuta, caratterizzata
da oftalmoplegia, atassia e areflessia.
Rappresenta una variante della S. di
Guillain-Barrè (GBS). L’associazione
della forma di MF con la compromissione del SNC viene descritta come S.
di Miller Fisher-Bickerstaff.
Riportiamo il caso di un paziente di
12 anni ricoverato presso la Clinica
Pediatrica dell' A.O.U. "PoliclinicoVittorio Emanuele" di Catania con
un quadro clinico compatibile con la
S. di Miller Fisher-Bickerstaff. Un
caso analogo è stato riportato in letteratura nel 2002 (Matsumoto et
al.)1.
Il ragazzo, da 2 settimane, presentava febbre continuo-remittente, cefalea e, da 2 giorni, astenia, dolori agli
arti inferiori e difficoltà alla deambulazione.
Al momento del ricovero si riscontrava rifiuto della deambulazione, ri-
flessi osteo-tendini ipoelicitabili, lieve strabismo convergente occhio destro, ma il sensorio era libero.
Il giorno seguente, si è assistito a
progressivo coinvolgimento neurologico con obnubilamento del sensorio, strabismo convergente all'occhio
destro persistente, nistagmo orizzontale ed areflessia ai quattro arti.
La puntura lombare ha mostrato aumento della protidorrachia e dell'albuminorrachia e riduzione della glicorrachia. Gli Ab liquorali anti-mielina, anti-gangliosidi, anti-cervelletto, gli antigeni batterici e virali e la
PCR eseguiti su sangue e su liquor
sono risultati negativi. La RMN encefalo e M.S. con m.d.c. ha riscontrato solo un lieve edema cerebrale e
un rallentamento del flusso sanguigno a livello dei seni trasversi.
L'EMG/VCN ha rilevato una poliradicolo-neuropatia acuta. Pertanto,
è stata intrapresa terapia con Ig e.v.
per 5 giorni, cortisone, fisiokinesite-
rapia, con rapido miglioramento del
quadro clinico e neurologico.
Il ragazzo ha presentato i segni tipici
della MFS (oftalmoplegia, atassia,
areflessia). Tale sintomatologia si è
improvvisamente aggravata associandosi a coinvolgimento del SNC fino
alla compromissione del sensorio. La
nostra esperienza sulla GBS è ampia
avendo osservato un numero di pazienti superiore a 100. Di questi solo
2 avevano la classica MFS, ma nessuno aveva riportato compromissione
tale del sistema nervoso centrale da
condurre al coma.
La S. di Miller Fisher-Bickerstaff
deve essere pertanto tenuta in considerazione tra le cause di coma.
Bibliografia
1. Matsumoto H, et al. Miller Fisher syndrome with transient coma: comparison with
Bickerstaff brainstem encephalitis. Brain
Dev. 2002;24(2):98-101
2/2010
77
Esperienza locale di 3 anni di ecografia
dell’anca neonatale
R. Liguori, A. Ferrara, A. Tartaglione, L. Golino, M. Quaresima, A.C. Di Benedetto, L. Palmiero
UOC di Pediatria P.O. Marcianise – ASL Caserta
L’esame ecografico costituisce
l’indagine di prima scelta per lo
screening della displasia congenita
dell’anca (DCA).
Numerosi studi hanno evidenziato la
stretta correlazione tra precocità dell’indagine, eseguita in genere tra la 4a
e la 6a settimana di vita, e la possibilità di intervenire con efficienza e sicurezza nelle metodiche riabilitative.
Dall’Aprile del 2007, nella nostra
UO di Pediatria, è stato istituito un
servizio ambulatoriale specificamente dedicato allo scopo.
78
Nel periodo dal 5-4-2007 al 31-122009 sono stati sottoposti a tale indagine n. 928 neonati (maschi =
525; femmine = 403), reclutati tra i
dimessi dal nostro Nido o inviati da
altri punti-nascita.
Di ogni paziente è stato anche registrato il profilo anagrafico ed auxologico.
L’esame ha permesso di identificare i
seguenti casi di stadi maturativi di anca sec. Graf: Ia (n = 405); Ib (n = 397);
IIa (n= 102); IIb (n = 6); IIc (n = 8);
IId (n = 6); IIIa (n = 2); IIIb (n= 1).
pediatria preventiva & sociale
Le relazioni statistiche tra stadi di
maturazione ed osservazioni cliniche non ha fornito in alcun caso significatività oggettiva.
Quindi dalla nostra osservazione è
emerso che, parimenti ad altre esperienze similari, l’esame ecografico
permette di individuare precocemente tutte le DCA anche nei casi
di semeiologia clinica assente, consentendo quindi un trattamento precoce ed una guarigione più efficace e
rapida.
Manifestazione pubblica di promozione
dell’allattamento al seno
R. Liguori, A. Tartaglione, F. Boccagna, A.C. Di Benedetto, M. Tartaglione, G. Di Mauro
Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale sez. Campania
Un Progetto del Ministero della Salute sulla Promozione dell’Allattamento al seno ha visto coinvolti i soci della SIPPS Campania, insieme
alla SIP e ad altre associazioni del
settore, in qualità di esperti tecnici
della materia.
E’ stato organizzato un tour di promozione pubblica mediante due
giornate nella città di Napoli ed una
a Caserta. In tali occasioni sono stati posti in luoghi di facile accesso alla popolazione un gazebo-palco ed
un camper-ambulatorio. Sono stati
altresì coinvolti nella manifestazione
i principali referenti pubblici istituzionali e non (Presidente della Provincia, Direttori di ASL, Assessori
regionali, Responsabili di UO di Pediatria e Neonatologia, Direttori di
Dipartimenti materno-infantile, associazioni di volontariato, etc.).
La giornata è stata dedicata alla vi-
sione di filmati e di diapositive relative alla promozione dell’allattamento esclusivo al seno dei neonati con
indicazione dei suoi relativi innegabili vantaggi in confronto ai danni
derivanti dalla deprecabile diffusa
abitudine di precoce utilizzo di latti
alternativi formulati in casi non previsti dalle necessità cliniche.
Il contributo del tavolo tecnico della
SIPPS, situato in un lato del gazebo
facilmente identificabile dall’utenza
afferente, è consistito nel fornire informazioni chiare, semplici, significative, per le richieste sull’argomento da parte del pubblico. Al tavolo
risultavano contemporaneamente
presenti un pediatra, un’ostetrica ed
un infermiera pediatrica che dovevano soddisfare, secondo le proprie
specifiche competenze, i dubbi e le
richieste ricevuti.
Nel corso delle tre giornate sono sta-
te effettuati dagli esperti SIPPS n.
330 consulti sull’argomento. In particolare si è richiesto l’intervento del
pediatra in 190 casi, dell’infermiera
pediatrica in 75, dell’ostetrica in 65.
Le domande più frequenti hanno riguardato l’uso contemporaneo di
farmaci, i possibili danni estetici, i
problemi di tempo, lo scarso accrescimento. Nel complesso l’utenza si
è dimostrata molto sensibile all’argomento e soddisfatta delle risposte
ricevute.
La necessità di partecipazione combinata di più figure professionali allo scopo dimostra, ancora una volta,
che l’attività di promozione di questa sana abitudine alimentare risulta
imprescindibile da un’azione congiunta di impegno da parte di tutti i
professionisti che si occupano a vario titolo dell’infanzia e delle sue
problematiche cliniche e sociali.
2/2010
79
Prevenzione dell’abbandono del latte materno
mediante ambulatorio dedicato
R. Liguori1, F. Boccagna2, A.C. Di Benedetto1, A. Perrone1, F. Vollaro1, M. Tigra1, M. Ciaraldi1, L. Palmiero1
UOC di Pediatria; 2UOC di Ostetricia e Ginecologia - PO Marcianise (ASL Caserta)
1
La promozione ed il sostegno dell’allattamento al seno costituiscono uno
degli impegni prioritari assunti dall’OMS e da tutti i suoi stati membri.
Anche la recente legislazione italiana
nazionale e regionale se ne fa partecipe con iniziative e promozioni continue. In tale ottica abbiamo, anche
nella nostra realtà operativa, voluto
impegnarci all’innalzamento delle
percentuali di incremento di tale fisiologica, economica e vantaggiosa pratica di nutrizione infantile.
Da un’analisi effettuata mediante interviste telefoniche alle mamme dimesse dal nostro ospedale ci siamo
resi conto che gli sforzi effettuati dal
personale tutto al momento della dimissione per incentivare il mantenimento per lungo periodo dell’allattamento esclusivo al seno era risultato relativamente insufficiente.
80
Si è così pensato, a tal proposito, di
intraprendere un’attività di informazione-formazione successiva alla dimissione dal Nido mediante un lavoro di sostegno alle neomadri con
l’istituzione in ospedale di un ambulatorio specificamente dedicato, coinvolgendo
ad
un
tempo
l’infermiere, l’ostetrica e il pediatra.
L’ambulatorio risulta aperto con
orario flessibile nelle ore del mattino
di tutti i giorni feriali; è a prestazio-
ne diretta senza passaggio per il
CUP e senza prenotazione ed ha effettuato quanto si era previsto, secondo le specifiche competenze del
personale impegnato, per un periodo
di circa 6 mesi.
E’ stata ripetuta a questo punto
l’intervista telefonica secondo il precedente protocollo su un congruo
numero di neomadri.
I risultati ottenuti sono sintetizzati
nella seguente tabella:
Tabella 1 - Interviste telefoniche
Latte materno esclusivo N (%)
Latte misto o solo formula N (%)
Prima dell’ambulatorio (410)
161 (39.2) 249(60.7)
Dopo l’ambulatorio (392)
213 (54.3) 179 (45.6)50
I risultati raggiunti, con il notevole incremento del mantenimento per un più lungo periodo dell’allattamento al seno del neonato, ci incoraggiano a proseguire nell’impegno, eventualmente con opportune
correzioni in itinere mirate ad una maggiore partecipazione dell’utenza.
pediatria preventiva & sociale
Primi risultati di una indagine sulla conoscenza
delle linee guida dell’igiene delle mani in pediatria
R. Liguori, L. Pinto, M.I. Spagnuolo, M.T. Carbone,R. Di Lorenzo, F. Pullano, F. Raimondi
Dipartimento SIPS Campania
L’applicazione delle raccomandazioni
per l’igiene delle mani è un elemento
fondamentale per prevenire la trasmissione delle infezioni sia in Ospedale, che negli ambulatori e nelle famiglie. Nella presente nota vengono
presentati i primi dati di una indagine
della SIPPS Campania sulla conoscenza di queste Linee Guida, effettuata mediante questionari distribuiti
in occasione di Corsi di aggiornamento. Sono stati raccolti fino ad ora i dati relativi a 91 pediatri ed 84 infermieri pediatrici. Il 25% degli intervistati
aveva seguito un Corso di formazione
sull’igiene delle mani (infermieri 35%,
pediatri 20 %, ma solo il 10 % dei
Pdf ). 82/91 pediatri dispongono di
un antisettico per le mani nel posto di
lavoro, 29/82 ne conoscono il nome,
16 ne individuano correttamente il
principio attivo. Il 48% dei pediatri
effettua l’igiene delle mani con un antisettico (78 % infermieri), il 34 % con
acqua e sapone (20 % infermieri), il 18
% con frizione alcolica. Il 95% degli
infermieri dichiara di applicare
l’igiene delle mani quando assiste
qualsiasi bambino, contro il 65 % dei
Pdf (il 35% l’applica se lo ritiene necessario) ed il 90 % dei pediatri ospedalieri. Il 65 % dei pediatri applica
l’igiene delle mani prima e dopo avere indossato dei guanti (infermieri 85
%), ma il 10 % ritiene che in questo
caso l’igiene è superflua. Il 22 % dei
pediatri prima di vaccinare un bambino friziona le mani con alcol, il 32 %
le lava con acqua ed antisettico, il 30%
con acqua e sapone; il 14 % ritiene che
si debbano indossare i guanti (infermieri 29 %), per il 2 % tali misure sono superflue. I dati raccolti, anche se
ancora
limitati,
confermano
l’importanza della campagna promozionale dell’igiene delle mani “Segui
l’esempio del tuo pediatra” che la
SIPPS Campania intende attuare, per
favorire una larga diffusione delle raccomandazioni internazionali sull’igiene delle mani non solo negli Ospedali, ma soprattutto negli ambulatori dei
pediatri, primo presidio dell’assistenza territoriale. Le famiglie, seguendo
l’esempio del loro pediatra, saranno
indotte ad applicare nelle loro case e
nella vita quotidiana i principi dell’igiene delle mani, riducendo così il rischio della trasmissione secondaria
intrafamiliare delle malattie infettive.
2/2010
81
38-Mariniello:37-Caramia fitosteroli
20-05-2010
16:42
Pagina 82
La prevenzione dentale oggi
L. Mariniello1, G. Di Mauro2, F. Di Mauro3
Pediatra di famiglia, Componente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
Pediatra di famiglia, Presidente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
3
Studente della Facoltà di Medicina e Chirurgia della II Università di Napoli
1
2
Obiettivo della prevenzione è di
mantenere l’uomo sano il più a lungo possibile. La prevenzione primaria si occupa di prevenire il danno, la
secondaria ha l’obiettivo di ridurre al
minimo gli effetti di un danno esistente e di prevenire le recidive,
quella terziaria, invece, consiste in
una riabilitazione terapeutica vera e
propria.
Per un’efficace prevenzione primaria è
indispensabile una buona capacità comunicativa al fine di indurre il singolo o gruppi di individui a modificare il
proprio comportamento. Anche in
campo odontoiatrico fondamentale è
il ruolo del pediatra che, per i suoi frequenti contatti con il bambino e i suoi
genitori, può attuare un efficace programma preventivo. L’informazione,
l’istruzione, l’educazione e la motivazione sono i canali attraverso cui il Pediatra deve svolgere il suo ruolo di
educatore. L’informazione deve essere
elementare ma nello stesso tempo tecnica e scientifica.
Gli obiettivi principali sono:
1.La prevenzione della carie
2.La prevenzione dei quadri di malocclusione
Anche nella prevenzione secondaria,
che prevede già l’esistenza di un
danno, anche se minimo, il Pediatra
ha un ruolo critico in quanto, in particolare durante i Bilanci di salute,
può intercettare precocemente problemi del cavo orale da inviare all’os-
82
servazione dell’odontoiatra per una
precoce diagnosi e terapia.
La prevenzione terziaria, invece, è di
stretta competenza dell’odontoiatra,
in quanto il danno esiste ed è in fase
avanzata, per cui si tratta di una riabilitazione vera e propria. Ruolo del
Pediatra, in tal caso, è quello di educare il paziente affinché attui il trattamento prescritto e mantenga poi il
risultato riabilitativo realizzato dall’odontoiatra.
Prevenzione della carie
La carie è una malattia degenerativa
dei tessuti duri del dente (smalto e
dentina) che origina in superficie e
procede in profondità determinata
dagli acidi organici prodotta dai batteri della placca dentaria per fermentazione dei carboidrati presenti nella
dieta. La carie, pertanto, è una patologia infettiva dovuta a batteri normalmente non nocivi, che in particolari
condizioni diventano in grado di determinare danni. L’adesione alle superfici orali è una condizione indispensabile per la sopravvivenza dei
batteri, permettendo di non essere ingoiati e distrutti nello stomaco. Dopo
appena due minuti dalla pulizia, la superficie del dente viene ricoperta da
uno strato di glicoproteine che prende
il nome di pellicola salivare e che ha
funzione protettiva. I batteri utilizza-
pediatria preventiva & sociale
no proprio questa pellicola per aderire alla superficie dentale e dopo 12 ore
si ritrova una patina costituita da 10
strati di cellule, che diventa, in caso di
mancata pulizia, di 100 strati a 24 ore
e di 300 a 48 ore, dove i batteri sono
tenuti insieme da un’impalcatura glicoproteica. Questa placca micobatterica, semipermeabile, taglia fuori la
superficie dentale dall’azione protettiva della saliva. I genitori e i bambini
più grandi devono essere messi a conoscenza dell’eziologia della carie per
divenire consapevoli che corrette procedure d’igiene orale sono in grado di
prevenirla.
Per espletare una prevenzione primaria ottimale genitori e bambini
devono essere intervistati sulle abitudini di igiene orale:
• frequenza dello spazzolamento;
• tecnica di spazzolamento;
• tipo di spazzolino utilizzato;
• tipo di dentifricio;
• utilizzo del filo interdentale o dello scavolino;
• utilizzo di collutorio al fluoro;
• altri eventuali presidi di igiene
orale;
• abitudini alimentari.
Le informazioni ricevute diventano
fondamentali per permettere al pediatra di adattare al singolo caso i diversi mezzi disponibili di prevenzione primaria:
• insegnamento delle corrette tecniche di spazzolamento;
• consigli alimentari;
• Impiego topico e sistemico del
fluoro;
• Applicazioni di sigillanti;
• Utilizzo del rivelatore di placca.
La prevenzione deve iniziare dalla
gravidanza. Essenziale in tale periodo è un’adeguata nutrizione in quanto i denti del bambino iniziano a
formarsi prima della nascita, per cui
occorre assicurarsi che nella dieta
materna ci sia una quantità sufficiente di calcio, fosforo, vitamine A,
C e D quali pilastri costitutivi di
denti sani. La gestante necessita di
circa 1200 mg di calcio al giorno,
presenti in circa 4 bicchieri di latte.
Se necessario, il ginecologo dovrà
prescrivere integratori adeguati.
L’igiene dentale è essenziale per prevenire nei bambini, fin dalla nascita,
la carie e le altre malattie del cavo
orale e gli adulti, con alcuni loro
comportamenti e abitudini, rivestono un ruolo determinante per la futura salute dei denti dei loro figli.
Quando il bambino nasce, i suoi
denti sono già presenti come germi
inclusi nella gengiva in quanto iniziano a formarsi sin dal secondo mese dal concepimento. Il fatto che i
denti non siano ancora presenti in
arcata non esime i genitori dal praticare una corretta igiene orale quotidiana. Le mucose del cavo orale, dopo le poppate e dopo i pasti nei mesi successivi allo svezzamento, devono essere ripulite della pellicola di
placca e dai residui alimentari che ristagnano su di esse e sui denti decidui. La mamma può realizzare
un’efficace igiene orale di suo figlio
dopo ogni pasto avvolgendosi un dito con una garza bagnata e strofinandolo poi sulle superfici del cavo
orale. Così potrà pulire la lingua, le
guance, le gengive dalla pellicola di
placca residua e dopo il sesto mese,
anche la superficie dei denti decidui
che cominciano a comparire. Questa
pratica dovrebbe essere portata
avanti fino a circa 18 mesi, allorquando si inizierà a usare uno spazzolino a setole morbide.
Un’abitudine assolutamente scorretta, più diffusa in passato, è quella di
dolcificare i ciucci con zucchero,
miele, nutella o altro al fine di tranquillizzare il piccolo. Gli zuccheri
presenti nel cavo orale dopo 15-20
minuti, vengono trasformati in acidi
in grado di aggredire lo smalto dei
denti e di procurare carie. Anche
l’abitudine di addormentare il bambino con l’ausilio di un biberon di
succo di frutta o latte dolcificato è
causa di danni dentali. Il ciuccio e il
biberon usati in questo modo scorretto sono causa di carie che compaiono caratteristicamente sulla parte esterna degli incisivi superiori decidui. Ciò determina una situazione
orale non solo antiestetica ma fortemente predisponente, per le abitudini acquisite, a carie future interessanti i su denti permanenti.
L’alimentazione dallo svezzamento
in poi deve contenere alimenti ricchi
di vitamine C e D (agrumi, pomodori, latticini, uova) per favorire, tra
l’altro, una corretta mineralizzazione
dei denti.
Alla fine del terzo anno la dentizione è completa ed il bambino ha in
bocca 20 denti che deve tenere con
cura. Già verso la fine del secondo
anno di vita è consigliabile introdurre l’uso dello spazzolino da far usare
al bambino sotto il controllo di un
adulto. Si consiglia di usare un dentifricio al fluoro, ma solo in piccola
quantità in quanto buona parte rischia solo di essere ingerito.
Dai tre ai sei anni la dentizione decidua resta stabile. Dopo i sei anni
inizia la muta dei denti e i venti denti da latte vengono sostituiti con 28
denti permanenti entro il dodicesimo anno. Dal sesto anno in poi sui
denti permanenti è opportuno ap-
plicare dei sigilli occlusali, che uniti
alle visite periodiche dal dentista,
aiuteranno il piccolo ad arrivare all’età adulta senza carie o con danni
dentali minimi.
La placca batterica è una sostanza
quasi incolore per cui, in genere, è
difficilmente riconoscibile. Per rendere evidente anche i depositi più
leggeri si fa ricorso a particolari sostanze chiamate “rivelatori di placca”
che sono disponibili in varie forme
(liquidi, tavolette, compresse). Si
tratta di sostanze coloranti che diffondendo tramite la saliva nella
placca permettono di evidenziare le
zone che necessitano di una particolare attenzione nelle operazioni di
pulizia del cavo orale. La placca più
spessa, che è la più vecchia, assume
un colore blu, mentre quella più sottile, che è la più recente, diventa rosso-lilla. L’uso dei rilevatori di placca
sono anche di grosso aiuto per sensibilizzare il paziente all’igiene del cavo orale e per istruirlo ad una corretta tecnica di pulizia. La possibilità di
osservare nella propria bocca le zone
coperte da placca migliora il suo impegno nella fase di rimozione facilitando l’acquisizione delle corrette
tecniche.
Sin da tempi remotissimi l’uomo ha
avvertito la necessità di rimuovere le
particelle di cibo dagli spazi interdentali e la patina che si accumula
sulla superficie dei denti. Ma solo alla fine del 1800, con gli studi di Miller sulla flora batterica orale, si inizia
a comprendere l’eziopatologia di carie e gengiviti e si individua nel corretto spazzolamento dei denti la
possibilità di prevenire la carie. Al
consolidarsi dell’abitudine dello
spazzolamento quotidiano dei denti,
con conseguente rimozione di quella
causa, i batteri, senza la quale non si
ritiene possibile il manifestarsi di
patologia, si deve il drastico calo dell’incidenza della carie e delle gengi-
2/2010
83
viti in questo ultimo ventennio. Lo
scopo dello spazzolamento è quello
di disgregare e allontanare dalla bocca quell’insieme organico che chiamiamo placca, senza che tale procedura produca lesioni dei tessuti orali. Gli spazzolini oggi in commercio
rappresentano una garanzia di igienicità e sicurezza. Il manico di legno,
che tratteneva i residui di dentifricio, è stato sostituito dalle materie
plastiche e le setole di origine animale, che divenivano ricettacolo di
batteri, hanno lasciato il posto alle
setole di nylon sottile con levigatura
delle punte che garantiscono
l’indennità dei tessuti molli. Per un
efficace spazzolamento sono importanti la frequenza, la durata, la pressione, la tecnica, le condizioni dello
spazzolino. Gran parte dei bambini
italiani tende a spazzolare i denti
due volte al giorno. In realtà tale frequenza può essere ritenuta accettabile anche da un punto di vista
scientifico, se correttamente praticato. Si ritiene che la durata ottimale
dello spazzolamento debba essere di
circa un minuto per arcata. In realtà
vari studi hanno dimostrato che gran
parte dei soggetti si spazzola per
meno di un minuto in totale, per
un’imprecisa percezione del tempo
dedicato. Diventa importante suggerire metodi di controllo della durata, quali, per esempio, l’uso di un
orologio o di un timer, o l’ascolto di
un brano musicale. Lo spazzolamento è efficace se riesce, con
l’azione meccanica delle punte dei
filamenti, a disgregare e allontanare
il biofilm batterico. Con gli spazzolini oggi in commercio si ritiene che
la pressione ottimale non debba superare i 300-400 gr. In realtà gran
parte dei soggetti premono con una
pressione superiore ritenendo che
più forte si preme più placca si
asporta. L’eccessiva pressione non
pulisce di più ma si rende responsa-
84
bile, con il tempo, di lesioni da spazzolamento sia a carico dello smalto
che delle gengive. Bisogna far capire al bambino che per quanto abrasivo possa essere un dentifricio e duro
uno spazzolino, è la forza applicata
durante lo spazzolamento la vera
causa delle lesioni.
Lo spazzolamento produce un progressivo deterioramento delle setole
per cui la superficie che agisce sulla
placca si riduce. La maggioranza
della popolazione sostituisce lo
spazzolino ogni 6-7 mesi, mentre
vari studi hanno dimostrato che uno
spazzolino nuovo rimuove quasi il
doppio della placca rispetto a uno
vecchio di 3 mesi di uso.
Numerose sono le tecniche di spazzolamento proposte da vari autori al
fine di suggerire una manualità in
grado di detergere efficacemente anche quelle superfici che sono più difficili da raggiungere. La metodica
più indicata in età pediatrica, potenzialmente poco lesiva e priva di effetti traumatizzanti è quella descritta da Leonard nel 1949 e meglio conosciuta come tecnica verticale o
“metodo del rosso/bianco”. Ad arcate chiuse si spazzolano le superfici
vestibolari muovendo lo spazzolino
verticalmente dalla gengiva (rosso)
alla corona (bianco). Le superfici interne e masticatorie vengono spazzolate separatamente. La tecnica
orizzontale è considerata dannosa in
quanto può produrre abrasione del
dente. Peraltro non rimuove la placca dalle aree interprossimali. Per la
pulizia delle superfici masticatorie,
invece, un movimento orizzontale
sarebbe corretto, ma si preferisce
suggerire un movimento rotatorio,
per evitare che il bambino estenda il
movimento orizzontale alle altre superfici.
Per quanto riguarda gli spazzolini
elettrici, quello sottoposto al maggior numero di valutazioni cliniche è
pediatria preventiva & sociale
il Brune Oral-B, che oscilla 7600
volte al minuto e pulsa 40000 volte.
Il Kids Braun Oral-B è dotato di
una testina più piccola con filamenti
che si aprono “a fiore” per una maggiore delicatezza sui tessuti dentali.
Un timer musicale motiva il bambino a spazzolarsi più a lungo. Vari
studi clinici non hanno evidenziato
una differenza per quel che riguarda
la potenzialità di ledere i tessuti rispetto allo spazzolamento manuale.
Nessun spazzolino azionato manualmente può competere con uno
elettrico per numero di “colpi” che
disgregano la placca. Si pensi che
uno spazzolino manuale viene mosso circa 60-70 volte al minuto, mentre uno elettrico effettua migliaia se
non decine di migliaia di movimenti
al minuto. Questi dati indicano che
possiamo consigliare senza remore
questi strumenti.
Ma lo spazzolamento dei denti non
sempre riesce a rimuovere la placca
dalle superfici interprossimali, specialmente dei molari e premolari.
L’igiene interdentale rappresenta,
invece, una necessità basilare di ogni
paziente in grado, per l’età, di essere
educato all’uso del filo interdentale.
Il tipo più diffuso è il filo di nylon
costruito dall’intreccio di fili sottilissimi (generalmente 144) che per la
sua resistenza deve essere impiegato
con cura in quanto potrebbe produrre lesioni, anche gravi, dei tessuti.
Per tal motivo fondamentale è
l’istruzione del paziente. In un primo momento ci si limiterà a far apprendere un superamento sicuro del
punto di contatto e la rimozione della materia presente nello spazio interdentale. Il bambino deve far superare il punto di contatto con movimenti di va e vieni del filo, senza
spingerlo in modo brusco verticalmente in quanto, in tal modo, può
rischiare di colpire la papilla con
conseguente dolore e sanguinamen-
to. Dopo aver appreso tale manualità si insegnerà a curvare il filo intorno al dente facendogli assumere una
forma a “C”. Occorre muoverlo in
modo da farlo scivolare lentamente
sulla superficie, orizzontalmente e
verticalmente.
Un’alternativa al filo sono gli scovolini, detti anche spazzolini interdentali, che hanno un ciuffo di setole a
spirale. Sono adatti a rimuovere la
placca interprossimale qualora esista
uno spazio interdentale abbastanza
largo e per veicolare gel al fluoro a
scopo preventivo o desensibilizzante.
Il dentifricio è una sostanza che si
applica sulla superficie dei denti per
mezzo di uno spazzolino e che ha un
duplice scopo:
• cosmetico e sanitario, per rimuovere dalla superficie dei denti e
dalla gengiva i residui di cibo e le
tracce di placca batterica;
• preventivo e terapeutico, quando è
utilizzato come vettore per il trasporto di sostanze specifiche sulla
superficie dei denti.
A seconda della forma (liquida, in
polvere, in pasta o in gel) può variare la loro composizione quantitativamente o qualitativamente, ma alcuni
ingredienti di base sono costanti.
Le sostanze presenti nel dentifricio
in polvere sono:
• detergenti
• abrasive
• dolcificanti
• aromatizzanti
I dentifrici in pasta o in gel contengono inoltre:
• leganti
• umettanti
• conservanti
• coloranti
La pasta dentifricia deve possedere
alcuni requisiti fondamentali:
• avere un buon sapore
• non essere irritante per le mucose
• non essere dannosa per l’organismo
• essere liscia
• essere abrasiva in giusta misura
• lasciare l’alito fresco.
I dentifrici appartenenti alla categoria dei terapeutici hanno in più la sostanza medicamentosa o alcuni
principi attivi in una quantità che
varia in percentuale dall’1 al 3% del
totale. Tali sostanze, aggiunte a scopo preventivo o curativo, caratterizzano vari tipi di dentifrici:
• antisettici (contenenti clorexidina,
sali di ammonio quaternario ecc.)
• al fluoro (a base di fluoruri inorganici o organici)
• con antibiotici o vitamine
• allo iodio
• salini
• desensibilizzanti
La loro azione è mirata alla:
• prevenzione della carie
• riduzione della formazione della
placca batterica
• riduzione della formazione del
tartaro
• riduzione dell’infiammazione gengivale
• riduzione della sensibilità dentinale.
I colluttori sono una soluzione usata
per eseguire sciacqui nel cavo orale.
Possono essere cosmetici e terapeutici. I primi sono composti solo da
una soluzione a base di acqua, alcool
e aromi, mentre i secondi contengono anche uno o più principi attivi. I
vari colluttori in commercio possono
essere prescritti per la pulizia della
bocca o in situazioni patologiche per
favorire la guarigione e alleviare il
dolore. I principi attivi aggiunti ai
colluttori possono essere: antimicrobici (clorexidina, iodio, fluoruri, fenolo, composti a base di Sali
d’ammonio ecc.), ossigenanti ( perossido di idrogeno, perborato di sodio ecc.), calmanti (composti fenolici, olii essenziali), astringenti (cloruro di zinco, acetato di zinco, acido
citrico ecc.), deodoranti (clorofilla),
antiacidi (bicarbonato di sodio, borato di sodio, perborato di sodio).
La fluoroprofilassi e l’utilizzo dei
fluoruri è scientificamente riconosciuto il metodo più efficace per la
prevenzione e il controllo delle lesioni cariose, ciò perché il fluoro è
essenziale per la formazione dei
denti e delle ossa. Il 99% del fluoro
che si trova nell’organismo è localizzato nei tessuti mineralizzati. Il
fluoro
agisce
trasformando
l’idrossiapatite, che è la principale
componente minerale dei denti, in
fluoroapatite tramite sostituzione
degli ioni idrossido con ioni fluoro.
La fluoroapatite è più resistente all’acido derivato dalla glicolisi degli
zuccheri metabolizzati dalla placca
ed è una molecola più piccola dell’idrossiapatite, il che rende i cristalli
dello smalto più stabili. Il fluoro,
inoltre, ha un’azione batteriostatica.
Inibisce i batteri della placca agendo
a livello della permeabilità della
membrana. Le applicazioni topiche
si distinguono in applicazioni ad alta concentrazione e bassa frequenza,
eseguite da personale specializzato
in ambulatorio, in genere ogni sei
mesi, con preparati contenenti da
1000 ad oltre 12000 ppm/F (parti di
fluoro per milione) e applicazioni a
bassa concentrazione, inferiore a
1000 ppm/F e alta frequenza, tramite dentifrici e colluttori. La fluoroprofilassi per via locale può essere
realizzata con composti inorganici
(fluoruro di sodio, monofluorofosfato, fluoruro stannoso) o con composti organici (amine fluorurate).
La profilassi al fluoro domiciliare
avviene attraverso l’utilizzo di colluttori e dentifrici. I colluttori al
fluoro possono essere ad alta concentrazione, preparati con soluzioni
di NaF 0.2% pari a 900 ppm/F e applicati con frequenza settimanale,
indicati in pazienti, soprattutto adolescenti e adulti, ad alto rischio di
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carie e a bassa concentrazione, con
livello di fluoro inferiore a 250 ppm.
Questi ultimi, consigliato per uso
quotidiano, sono indicati nei seguenti casi:
• giovani pazienti nel periodo di alto rischio di carie dell’adolescenza,
dovute a scarsa igiene;
• aree demineralizzate dello smalto;
• esposizione di superficie radicolare da malattia o da trattamento
chirurgico parodontale;
• casi di carie rapidamente deostruenti;
• situazioni di igiene orale difficoltosa, in presenza di dispositivi ortodontici;
• ipersensibilità dentinale.
Gli sciacqui con soluzioni fluorurate
sono prescrivibili a bambini al di sopra dei sei anni e comunque in grado di controllare bene lo sciacquo,
senza deglutire la soluzione. Gli
sciacqui devono essere effettuati, per
almeno un minuto, di sera dopo aver
effettuato le consuete manovre di
igiene domiciliare.
Per quanto riguarda la fluorizzazione sistemica, è indiscutibile che il
fluoro presente negli alimenti è insufficiente per coprire il fabbisogno.
La fonte principale di fluoro è rappresentata dall’acqua, ma il contenuto delle acque “del rubinetto” è estremamente variabile a seconda delle
zone. Peraltro in Italia si beve soprattutto acqua minerale imbottigliata, nelle quali il contenuto in
fluoro è egualmente variabile e non
sempre correttamente indicata sull’etichetta. Si può anche prescrivere
fluoro in compresse o in gocce. Ovviamente i benefici ottenuti da una
fluoroprofilassi sistemica si hanno
solo in fase evolutiva sullo smalto
(0-12 anni). La dose consigliata (da
0.25 a 1 mg/die), al di là degli schemi, dovrebbe essere decisa in rapporto all’età e alla quantità di fluoro
assunta dal bambino da altre fonti:
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acqua minerale, sale fluorato, composti vitaminici con fluoro, pappe,
acqua potabile ecc. Se l’acqua utilizzata nell’alimentazione supera 0.7
ppm/F il trattamento con fluoro sistemico non è necessario. La necessità di prescrivere il fluoro così come
si prescrive un farmaco deriva dal rischio di provocare una fluorosi dentale. Infatti se l’incorporazione di
fluoro nel dente, sotto forma di fluoroapatite, è eccessiva, l’attività ameloblastica risulta danneggiata, causando la formazione di una matrice
dello smalto difettosa. L’area interessata può apparire come una macchia bianca o come aree marroni
maculate. Le white spot dovute a
florosi, antiestetiche ma assolutamente benigne, sono presenti sulla
superficie del dente fin dalla sua prima eruzione, mentre le white spot
che appaiono in epoche successive
all’eruzione rappresentano aree di
demineralizzazione, per cui preannunciano la carie.
Oggi molti autori consigliano di
somministrare il fluoro per via sistemica sino a quando non si usa il dentifricio contenente fluoro, il che deve
avvenire quando il piccolo diventa in
grado di sciacquare la bocca.
Prevenzione dei quadri di malocclusione
In campo odontoiatrico il Pediatra
ha anche il compito di prevenire,
sorvegliare ed eventualmente correggere le condizioni funzionali che
possono influire negativamente sull’apparato stomatognatico. Le condizioni che più di frequente possono
agire in tal senso sono: il succhiamento delle dita o del suchiotto, la
spinta linguale sui denti, le vie aeree
ristrette a causa di tonsille e adenoidi ipertrofiche, il bruxismo e i traumi.
pediatria preventiva & sociale
Per non compromettere il regolare
sviluppo dell’occlusione dentale
l’Accademia Americana di Pediatria
raccomanda alle mamme di togliere
il ciuccio ai bambini dopo i 2 anni di
età.
L'attività di suzione è per il neonato
non solo funzionale alla nutrizione
ma più in generale al suo totale benessere psicofisico considerato che
gli conferisce tranquillità e sicurezza.
E' tuttavia necessario che al termine
del primo anno di vita tale attività
sia ridotta al minimo, fino alla sua
interruzione definitiva entro i due
anni, perché altrimenti può agire come agente deformante delle arcate
dentarie e dei mascellari in crescita.
Da una ricerca condotta negli Usa e
pubblicata sul Journal of the American Dental Association è emerso
che una malocclusione nella parte
posteriore della bocca, nell’area dei
molari, è presente nel 20% dei bambini che continuano a usare il ciuccio
o a succhiare il dito fino a 4 anni di
età, nel 13% di quelli che smettono a
2-3 anni, e nel 7% di quelli che succhiano fino a 1-2 anni. Nei bambini
che continuano a succhiare dopo i 4
anni è frequente anche la protusione
degli incisivi.
Allorquando avviene il passaggio
dalla nutrizione di tipo infantile, con
la lingua tra le arcate mascellari
edentule, a quella di tipo adulto, con
la lingua all'interno delle arcate dentarie decidue, cioè nel corso dello
svezzamento, devono essere limitati
i comportamenti che tendono a
mantenere e a rafforzare nel bambino gli atteggiamenti succhianti tipici del periodo neonatale: il succhiamento del dito, l'uso del succhiotto e
l'alimentazione prevalente al biberon. Il loro mantenimento ad oltranza ostacola il processo di maturazione del meccanismo nutritivo di tipo
adulto, composto di masticazione e
deglutizione dei cibi. La lingua continua a funzionare tra le arcate dentarie decidue anziché al loro interno,
e i muscoli facciali, in particolare il
muscolo orbicolare delle labbra, il
mentale e il buccinatore, diventano
iperattivi nel tentativo di sigillare i
bordi e la punta della lingua, così come necessario al neonato durante la
poppata. Le alterazioni del tono e
della funzione dei muscoli facciali si
ripercuotono sulle arcate dentarie
decidue in formazione e sui mascellari in crescita portando a diversi e a
volte severi quadri malocclusivi.
Il bruxismo, cioè il digrignamento
dei denti, involontario, durante la fase di sonno leggero o REM, interessa con variabile intensità e durata
circa il 50% dei bambini, ma solo in
circa il 10% si addiviene a danni all’apparato dentario. E’ stata dimostrata una predisposizione familiare,
ma predispongono al bruxismo anche le malocclusioni, lo stress e
l’ansia. E’ dovuto a contrazioni ripetute e involontarie dei muscoli masticatori (massetere, temporale e
pterigoideo). Il rumore prodotto dal
digrigmamento dei denti, molto intenso e spiacevole, risveglia gli altri
membri della famiglia, anche in altra
stanza, ma non è avvertito dal paziente. I danni all’apparato dentale
possono essere importanti: usura
della superficie dei denti, sanguinamento delle gengive, disturbi della
masticazione e danni a carico dell’articolazione della mandibola. Può
anche creare problemi di malocclusione dentale. Compito del Pediatra
è quello di valutare se esistono condizioni predisponesti (ansia, stress,
malocclusioni dentarie) consigliando provvedimenti specifici e di valutare eventuali danni all’apparato
dentario e l’opportunità di consultare lo specialista ortodontista.
Nell'ambito della prevenzione delle
malocclusioni fondamentale è intercettare precocemente la respirazione
orale. Questa condizione, talora accompagnata da russamento, è una
causa potentissima di malocclusione. La lingua, per permettere all'aria
di passare, si posizionerà in una postura abbassata e quindi stimolerà
una crescita errata della mandibola e
del palato, non poggiando e spingendo sopra di esso come normalmente avviene. Verrà meno, così, un
altro potente stimolo alla espansione
del palato. L'aspetto del bimbo sarà
quello della "facies adenoidea" con
viso allungato e tendenza ad aprire
la bocca. Se non viene corretta predisporrà alla recidiva allorquando si
smette il trattamento ortodontico.
Delle abitudini viziate fanno parte
anche i difetti della postura della lingua, la cosiddetta deglutizione atipica, caratterizzata dalla spinta della
lingua sui denti anziché sul palato
durante gli atti di deglutizione, generata spesso da uso improprio di ciuccio e biberon. La deglutizione atipica
porta a contrattura periorale, interposizione della lingua tra le due arcate e conseguente morso aperto. Lo
stesso problema ortodontico può derivare dalla respirazione orale protratta. Si tratta di circoli viziosi che
bisogna interrompere il più presto
possibile. Gli specialisti preposti a
queste
terapie
sono,
oltre
l'ortodontista, l'otorino, il foniatra e il
logopedista, con i suoi esercizi. Compito del Pediatra è quello di intercettare tali abitudini viziate, di indirizzare il bambino agli specialisti preposti, di seguire i trattamenti prescritti e
di accertarsi del mantenimento nel
tempo dei risultati ottenuti.
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39-Mariniello:37-Caramia fitosteroli
20-05-2010
16:42
Pagina 88
Le figure mediche di supporto alla famiglia per
educare i ragazzi ad una sessualità matura
L. Mariniello1, G. Di Mauro2, D. Di Mauro3
Pediatra di famiglia, Componente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
Pediatra di famiglia, Presidente Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale
3
Studente della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bologna
1
2
L’adolescenza è un periodo fondamentale per la sessualità in quanto in
questo periodo matura la funzione
sessuale, si raggiunge e si consolida
l’identità sessuale e vengono sperimentati i primi rapporti di coppia.
L’adolescenza si colloca tra la pubertà, in cui avviene la maturazione degli organi genitali con la possibilità
di procreare e l’età in cui si raggiunge l’autonomia economica, in questa
società sempre più procrastinata (in
media 25-30 anni). In questo arco di
tempo si dovrebbe raggiungere una
identità sessuale certa. La pubertà
rappresenta un periodo di “crisi”, la
comparsa dei caratteri sessuali secondari si accompagna ad intense
percezioni
che
obbligano
l’adolescente ad un complesso lavoro
psichico dove desiderio e sessualità
occupano un importante posto nello
sviluppo dei comportamenti e guidano il difficile passaggio dalla dipendenza all’autonomia. Il prolungamento degli studi e la difficoltà ad
accedere al mondo del lavoro prolunga anche di 10 anni i “18 anni”
stabiliti dalla legge e ciò comporta
un importante “distress” che richiede
grosse capacità di adattamento.
Interessante, per capire il nostro
possibile campo di intervento nei
confronti della sessualità dell’adolescente sono i dati scaturiti da un’indagine che ha coinvolto 334 Pediatri
italiani che hanno evidenziato che il
88
primo rapporto sessuale si ha a 17
anni e mezzo con alcune variazioni
regionali. Il 26.25% delle femmine
sessualmente attive usa la pillola,
mentre il 30% dei maschi fa uso del
preservativo. Circa il 35% degli adolescenti non utilizza nessuna protezione. Alla domanda se i pediatri
italiani fossero favorevoli all’uso della “pillola del giorno dopo” in caso di
rapporto non a rischio, si sono dichiarati favorevoli solo il 14,3% dei
pediatri, mentre l’85,7% si sono dichiarati contrari. Considerato che
con la caduta dei divieti e dei tabù,
l’inizio dell’attività sessuale avviene
sempre più precocemente, è indispensabile che il pediatra si faccia
carico di questo problema.
Ma chi si occupa dell’adolescente oltre al Pediatra?
• il Medico generalista
• l’Endocrinologo
• l’Adolescentologo
• lo Psicologo
• i vari Specialisti, in particolare il
ginecologo
Il Pediatra, che gode di un’altissima
credibilità e fiducia (secondo un’indagine realizzata dal Censis nel
2006, l’80% degli italiani è estremamente soddisfatto dell’assistenza garantita ai propri figli), anche per lo
stretto e continuativo rapporto che
ha con il bambino e con la famiglia,
rappresenta la figura più adatta per
accompagnare genitore e bambino
pediatria preventiva & sociale
nel delicato passaggio dell’adolescenza. Sono assistiti dal Pediatra di
famiglia l’81% dei soggetti tra 10-12
anni, il 53% di quelli tra 13 e 15 anni e nessuno dei soggetti tra 16 e 20
anni. I bilanci di salute previsti agli
adolescenti in numero di 2 o 3 nei
diversi Accordi regionali per la Pediatria di famiglia, rappresentano
l’occasione per contribuire all’educazione dei ragazzi ad una sessualità
matura e per supportare la famiglia
in tal senso (educare i genitori ad
educare).
E’ stato valutato che l’adolescente tende a recarsi poco dal medico non solo
per i controlli programmati (bilanci di
salute) ma anche per problemi acuti e
cronici (organici o psichici). Per evitare tale rifiuto assistenziale grande importanza assume la nostra capacità di
instaurare una relazione empatica e
confidenziale con l’adolescente. Dovrebbero essere effettuati almeno due
bilanci di salute all’adolescente, uno tra
i 10 e i 11 anni e uno tra i 12 e i 14 anni. Un altro tra i 14 e i 16 anni se il ragazzo resta in carico al Pediatra di famiglia, su richiesta dei genitori, per
particolari condizioni (patologia cronica, handicap o documentate situazioni di disagio psicosociale). Le problematiche adolescenziali, in costante
aumento, su cui deve essere focalizzata
l’attenzione del pediatra sono: comportamenti violenti, abuso di sostanze
proibite, sessualità vissuta in maniera
distorta ed inadeguata, tendenza alla
depressione, senso di inadeguatezza
nei rapporti con gli altri, scarso rendimento scolastico, bullismo, incidenti
stradali, suicidi, gravidanze indesiderate, malattie sessualmente trasmesse,
anoressia e bulimia, obesità. Dunque
due sono i grandi fronti di intervento
da parte nostra nel seguire la sessualità
nell’adolescente: la contraccezione e la
prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse. Oggi gli anticoncezionali non sono più un simbolo di
trasgressione ma, al contrario, sono diventati un dovere onde evitare l’aborto.
L’AIDS esige come dovere l’uso del
profilattico. L’uso del preservativo è la
cosa più immediata da dire, ma non è
la sola. Molto spesso i genitori si vergognano in quanto sono impreparati e
allora non parlano con i propri figli,
ma è importante far capire quante e
quali malattie è possibile contrarre con
l’attività sessuale scorretta.
Considerato che la contraccezione
significa una sessualità finalizzata al
reciproco piacere e non alla riproduzione, le mutate condizioni culturali
devono spingerci ad interessarci oltre che della malattia anche del piacere. Con i nostri consigli dobbiamo
assicurare agli adolescenti una sessualità serena, scevra da ansie e da
possibili rischi, in altri termini una
sessualità matura.
Nelle visite programmate è importante:
• Sapere se l’adolescente vuole parlare da solo o in presenza dei genitori. Se da solo rassicurare il giovane sulla segretezza del colloquio;
• Definire il proprio ruolo di medico disponibile ad ascoltarlo ed a risolvere i suoi problemi;
• Rassicurare i genitori che accompagnano il giovane che potranno parlare in privato al termine della visita;
• Consigliare al giovane, in caso di
colloquio riguardante l’attività sessuale di coppia, di farsi accompa-
gnare dal partner ad una visita
successiva.
• Le visite andrebbero effettuate in
giornate specifiche dedicate agli
adolescenti con una certa flessibilità di accesso.
La visita deve comprendere:
• Valutazione clinica completa. Nel
corso della valutazione dei genitali
esterni e delle mammelle è importante insegnare all’adolescente
l’autopalpazione del seno o dei testicoli.
• Valutazione psico-socio-comportamentale tesa ad individuare precocemente comportamenti a rischio, unitamente ad un’attività di
counseling, intesa come educazione alla prevenzione di tali comportamenti;
• Attività di prevenzione attraverso
specifici moduli di implementazione;
• Educazione sanitaria: prevenzione
dei disturbi nutrizionali, educazione sessuale e contraccezione, promozione dell’uso del casco e delle
cinture di sicurezza etc..
• Profilassi delle malattie infettive:
incrementare i livelli di copertura
di alcune vaccinazioni e copertura
vaccinale dei soggetti a rischio.
La disponibilità di un vaccino contro
l’infezione da Papilloma virus (HPV)
rappresenta per il Pediatra di Famiglia
un’ottima occasione non solo per incidere favorevolmente, con la propria
attività assistenziale, sulla tutela della
salute dell’adolescente nella prevenzione verso il tumore della cervice
uterina, ma anche per ribadire la necessità di seguire corretti stili di vita
riguardanti anche altre malattie sessualmente trasmissibili
Inoltre il Pediatra nell’opera di informazione rivolta alle adolescenti,
può incidere significativamente anche nel far prendere coscienza alle
mamme sulla necessità di aderire es-
se stesse ai programmi di screening
per la diagnosi precoce della medesima malattia,dimostrando come il
proprio ruolo sia fondamentale verso il nucleo famigliare nel suo complesso specie in un contesto di insufficiente diffusione dell’esecuzione
del Pap-test.
La possibilità da parte del Pediatra
di dare la corretta informazione in
coincidenza del bilancio di salute
degli 11 anni in un contesto assistenziale ove oltre il 90% delle ragazze a livello nazionale è da lui attivamente seguita, rende il suo ruolo
fondamentale in tale strategia vaccinale.
L’informazione sul vaccino va effettuata al bilancio di salute degli 11
anni o anche prima in caso di specifica
richiesta
dei
genitori.
L’informazione alla ragazza va data
su consenso dei genitori e preferibilmente in presenza della mamma.
I messaggi fondamentali da trasmettere sono:
• Che cos’è il papilloma virus?
Esistono più di 100 tipi diversi di
HPV che circolano diffusamente tra
le persone. I tipi 16 e 18 possono dar
luogo a lesioni più gravi localizzate
nel collo dell’utero che possono progredire verso il carcinoma. In Italia
questo tumore colpisce ogni anno
circa 3500 donne, rappresenta l’1,5%
di tutti i tumori femminili. La probabilità che una donna italiana abbia
un cancro del collo dell’utero durante la propria vita è del 6.2%.
• Come si trasmette l’HPV?
Si trasmette per via sessuale, anche
con rapporti incompleti.
• Ci sono persone che hanno più
probabilità di prendere un’infezione da HPV?
La massima frequenza di infezioni
avviene negli anni successivi all’ini-
2/2010
89
zio dell’attività sessuale. Circa la
metà delle donne ha già contratto
l’infezione dopo pochi anni dall’inizio dell’attività sessuale. Le persone
che hanno molti partner sessuali
hanno maggiore probabilità di contrarre un’infezione da HPV.
trattamento possibile è rappresentato dall’eliminazione delle lesioni con
tecniche diverse (crioterapia, laser o
escissione chirurgica) a seconda della sede, estensione e tipologia delle
lesioni. Il trattamento delle lesioni
non protegge dalle recidive.
• Quali malattie provoca l’infezione
da HPV?
Nella maggior parte dei casi le infezioni determinate da questo virus
sono transitorie e spariscono nel giro di alcuni mesi o anni. In alcuni
casi l’infezione diventa persistente
provocando alcune lesioni nell’area
dei genitali.
I tipi 6 e 11 provocano i condilomi
acuminati che sono piccole escrescenze nell’area genitale che, se non
trattate, possono diventare evidenti e
fastidiose, ma non evolvono in cancro. I tipi 6 e 18 e altri provocano le
lesioni al collo dell’utero che attraverso diversi passaggi possono evolvere verso il carcinoma.
• E’ possibile prevenire le infezioni
da HPV?
L’astinenza sessuale è il metodo più efficace per prevenire l’infezione. L’uso
del preservativo non protegge completamente dall’infezione in quanto il virus si trova anche su parti della pelle
non coperte dal preservativo.
• Come si fa la diagnosi delle malattie provocate da HPV?
I conditomi acuminati sono visibili ad
occhio nudo, mentre la lesione al collo dell’utero può essere riconosciuta
osservando al microscopio le cellule
che vengono prelevate durante il Paptest che dovrebbe essere effettuato
ogni 3 anni da tutte le donne tra i 25
e i 64 anni. In presenza di anomalie al
Pap-test si esegue la colposcopia che
si effettua durante l’esame ginecologico mettendo a contatto con il collo
dell’utero una sostanza in grado di colorare le lesioni provocate dall’infezione da HPV. La colposcopia è utile per
identificare correttamente l’estensione
delle lesioni.
• Le infezioni da HPV possono essere curate?
Non esiste una terapia specifica efficace per l’infezione da HPV. L’unico
90
• Quali vaccini sono disponibili?
Esistono 2 vaccini, uno diretto contro
i tipi di virus 16 e 18 (Cervarix) che
provocano i tumori del collo dell’utero, e l’altro che in aggiunta protegge
anche contro i tipi 6 e 11 (Gardasil)
che provocano i condilomi e le anomalie lievi del collo dell’utero.
• Quali sono i vantaggi della vaccinazione?
La vaccinazione eseguita prima dell’inizio dell’attività sessuale è in grado di prevenire una larga parte delle
lesioni che precedono il cancro del
collo dell’utero. La donna sessualmente già attiva è protetta contro i
tipi di virus che non ha ancora incontrato nella sua vita sessuale. Il
vaccino non è in grado di curare una
lesione già in atto e non ne modifica
il decorso.
• Il vaccino ha effetti collaterali?
Come tutte le altre vaccinazioni, gli effetti collaterali più comuni sono il dolore nel punto dell’iniezione e febbre.
Il vaccino non ha dimostrato sinora di
avere effetti collaterali rilevanti.
• A che età si effettua la vaccinazione?
L’età minima alla quale è possibile
somministrare i vaccini disponibili è
pediatria preventiva & sociale
9 anni e quella massima 26 anni. La
vaccinazione viene offerta gratuitamente ed attivamente alle ragazze
nel dodicesimo anno di vita.
• Come deve essere somministrato il
vaccino?
La vaccinazione comprende tre dosi
somministrate intramuscolo. Il programma prevede lo schema 0-1-6
mesi per il Cervarix e 0-2-6 mesi per
il Gardasil.
• Dopo aver fatto il vaccino sarà ancora necessario fare il Pap-test?
Il Pap-test deve essere eseguito anche
dalle donne vaccinate in quanto i vaccini proteggono da 2 a 4 tipi di HPV,
ma non da tutti i tipi in circolazione.
Peraltro, come accade per altre vaccinazioni, esiste la possibilità che il vaccino contro HPV non protegga dal
virus nel modo atteso, sebbene abbia
un’efficacia prossima al 100%.
Purtroppo ancora notevoli sono oggi
le
problematiche
riguardanti
l’assistenza sanitaria degli adolescenti:
• Normativa poco attenta agli adolescenti;
• Scarso numero di pediatri sul territorio;
• Molti pediatri al massimale;
• Necessità di assistere i neonati
piuttosto che gli adolescenti;
• Scarse competenze in adolescentologia;
• Disomogenea assistenza sul territorio affidata alla volontà del singolo piuttosto che ad un progetto
assistenziale per questa fascia
d’età.
Sarebbero auspicabili alcuni interventi urgenti al riguardo:
• Migliorare le competenze del Pediatra e del medico di MG in adolescentologia;
• Favorire una presa in carico “guidata” dell’adolescente tra pediatra
e MMG;
• Incentivare la esecuzione di più bilanci di salute in questa età prevedendoli anche per la medicina generale (16-20 anni);
• Affidare ai medici di assistenza
primaria, con specifiche normative, un ruolo nella prevenzione e
nella “salute pubblica” di questa fascia d’età.
Ipotesi future potrebbero essere:
• Estendere la esclusività dell’assistenza pediatrica sul territorio fino
ai 18-20 anni?
• Creare una figura professionale
specialistica sul territorio a cui indirizzare l’adolescente con problemi?
• Favorire la integrazione tra pediatra e medico di MG in “studi medici associati territoriali”?
La Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale si impegnerà accanto alla Società Italiana di Ginecologia
e Ostetricia e ad altre Società scientifiche, in particolare la SIP (Società
Italiana di Pediatria) e la SIMA (Società italiana di medicina dell’adolescenza) perchè l’educazione sessuale
sia inserita nelle scuole italiane, sin
dalle elementari. Ciò perché educazione sessuale o meglio educazione
alla sessualità non deve essere semplicemente o semplicisticamente un’ informazione sul sesso, ma deve essere
intesa nell’ottica più vasta della “educazione alla salute”, che deve comprendere un’ampia gamma di interventi da parte dei genitori, insegnanti ed operatori sanitari che scaturiscano da una cultura e un linguaggio comuni in grado di mettere il bambino
in condizione di conoscere la sessualità in modo equilibrato ed integrata
nella sua vita affettiva. Educare i ragazzi ad una sessualità matura significa innanzitutto espletare nel migliore dei modi la prevenzione primaria
nei confronti delle malattie sessualmente trasmesse e nei confronti di
gravidanze indesiderate in grado di
sconvolgere la vita dell’adolescente
determinando contemporaneamente
irrimediabili ripercussioni nel suo futuro. Le informazioni da dare ai giovani sono tante e tutte in grado di
diffondere “salute fisica e psichica”.
Per tal motivo diventa indispensabile
e le Società scientifiche lo chiedono
con forza che l’educazione sessuale
vada considerata alla stessa stregua di
tutti gli altri insegnamenti sul corretto stile di vita, senza trasformare in
questione ideologica un elemento che
è invece basilare per il corretto e sano
sviluppo fisico e psicologico dei bambini e degli adolescenti italiani. Si auspica quindi che all’interno degli Istituti italiani venga previsto un punto
di
riferimento
stabile
per
l’educazione sessuale (così come già
accade per l’educazione al movimento, per l’educazione alimentare ecc.).
Purtroppo la realtà italiana attuale è
frammentaria. Non esistendo una
normativa che inserisce questo tipo di
didattica nelle scuole, l’educazione
sessuale è lasciata all’iniziativa di quei
dirigenti scolastici e di quelle scuole
che sono più sensibili o che hanno
più fondi per autofinanziare questo
tipo di attività". In realtà, come si rileva nelle centinaia di forum che popolano internet i ragazzi hanno molte domande da fare su questo tema.
La maggior parte dei quesiti che gli
adolescenti affidano al web riguardano la sfera sessuale ed è un’ulteriore
conferma della grave carenza di informazioni che hanno in questo ambito, proprio in una fase molto delicata della loro vita nella quale - ci
piaccia o no - iniziano ad avere con il
sesso un approccio di tipo adulto. Secondo gli ultimi dati dell’ indagine
annuale dalla Società italiana di pediatria sulle abitudini e gli stili di vita
degli adolescenti, per oltre il 26%
chat e forum rappresentano la principale fonte di informazione sul sesso.
Oggi i bambini iniziano a ricevere
molto presto dal mondo che li circonda ipersollecitazioni di tipo sessuale
che, il più delle volte, la famiglia e gli
insegnanti non riescono a gestire
correttamente. Ciò costringe gli adolescenti ad affidarsi alla nuova famiglia alternativa composta da TV, Internet e telefonino (A. Graziottin).
Se la scuola non si decide ad affrontare in modo strutturato il problema
dell’ educazione sessuale già nelle
classi elementari e medie inferiori e la
famiglia non riesce ad assolvere a
questo compito, il risultato non può
essere che una ricerca di informazioni, da parte degli adolescenti, lì dove
hanno facile accesso ed Internet rappresenta lo strumento più a portata di
mano. Inutile sottolineare i gravi rischi a cui li espone l’ affidarsi alle risposte di sconosciuti.
In conclusione diventa oggi indispensabile, con interventi coordinati, educare i ragazzi ad una sessualità matura, in quanto questa va intesa non solo come rapporto genitale,
ma è una componente essenziale
dell’evoluzione emotiva, cognitiva e
relazionale, per cui da essa dipende il
benessere psico-fisico contingente e
futuro dell’individuo.
2/2010
91
Edema emorragico acuto dell'infanzia(AHEI)
L.Marrapodi, A.Cannone, S.Barni, R. Agostiniani
Opedale"SS.Cosma e Damiano" Pescia ASL3 (PT) - Divisione pediatrica Ospedale di Pescia
L'edema emorragico acuto di Seidlmeyer o edema emorragico acuto
dell'infanzia (AHEI), è una non frequente condizione clinica, che ricorre nei bambini di età inferore ai due
anni e fa parte della famiglia delle
vasculiti leucocitoclastiche come la
PSH, di cui è considerata da molti
autori una variante, da altri un entità clinica distinta.In realtà il caratteristico aspetto "target like" delle lesioni, la distribuzione che coivolge
sempre il volto ed i padiglioni auricolari, oltre alle consuete sedi interessate dalla porpora di PSH, l'età
d'esordio,il minor interessamento sistemicoed un diverso pattern istopatologico ne fanno una distinta varietà di vasculite dei piccoli vasi.
Caso clinico: Mattia è un bel bambino di 16 mesi, nato da parto trigemellare alla 34°settimana di gravidanza,con peso alla nascita di 2030 gr.
La settimana precedente l'ingresso
nel nostro reparto, Mattia aveva presentato flogosi delle vie aeree con
febbre oltre a 39°e tosse stizzosa
trattata con Cefpodoxima per sette
giorni e steroide per via orale,terapia
sospesa due giorni prima.
Il giorno precedente l'ingresso , la
mamma aveva notato una lesione
emorragica circolare sulla guancia
destra che era andata progressivamente allargandosi.Alla lesione iniziale erano seguite in rapida successione lesioni emorragiche a carico
del padiglione auricolare destro, arti
superiori, glutei,arti inferiori ,alcune
di diametro superiore a 2 cm, violacee, infiltrate,con caratteristico centro chiaro.A dispetto del tumultuoso
coinvolgimento cutaneo, ci rassicuravano l'assenza di febbre e le buone
condizioni cliniche del bambino.Abbiamo eseguito esami biochimici, che ,a parte una leucocitosi con
GB=15210,dimostravano una asso-
Fig. 1 -
92
Fig. 2 -
pediatria preventiva & sociale
luta normalità dei test emocoagulativi, delle frazioni del complemento
e delle IgA.
Assenza di ematuria, negativo il
T.faringeo,positive le IgA anti
Mycoplasma pneumoniae.
Il giorno successivo il ricovero, Mattia ha presentato tumefazione del
dorso del piede destro per cui abbiamo iniziato terapia con ibuprofene.
Le lesioni cutanee hanno subito una
progressiva involuzione,fino alla
completa risoluzione entro i successivi 10 giorni, non c'è stata compromissione di altre articolazioni, nè di
organi viscerali.La favorevole evoluzione delle condizioni cliniche ed il
peculiare aspetto delle lesioni ci
hanno consentito la diagnosi di porpora emorragica di Seidlmeyer e di
rassicurare i genitori circa la benignità del quadro.
I casi descritti in letteratura sono
meno di trecento.
Calcolosi renale in un lattante con Toxoplasmosi
congenita in trattamento con Pirimetamina e
Sulfadiazina
E. Olivastro1, M. Saporito1, I. Morselli1, L. Buscema1, A.D. Praticò1, R. Pignataro1, G. Belfiore2,
P. Barone1, R. Garozzo1
U.O. DH-Puericultura - Dipartimento di Pediatria - Università di Catania – AOU “Policlinico- Vittorio Emanuele” di Catania
U.O. Radiologia Pediatrica – Università di Catania - AOU “Policlinico- Vittorio Emanuele” di Catania
1
2
Introduzione
La formazione di calcoli urinari indotta da terapia con Sulfadiazina è
una rara complicanza in età pediatrica. Descriviamo un caso di calcolosi
urinaria ed insufficienza renale acuta in un bambino in trattamento per
Toxoplasmosi congenita con Pirimetamina e Sulfadiazina.
Caso clinico
S.R., primogenita di genitori non
consanguinei, nata a termine da taglio cesareo col peso di 3405 grammi, dopo gravidanza decorsa con infezione da Toxoplasma Gondii al V
mese di gestazione trattata con Rovamicina, Sulfadiazina e Pirimetamina secondo protocollo. Alla nascita il prelievo funicolare metteva in
evidenza anticorpi anti-Toxoplasma
IgG 261 UI/ml e IgM negativi. Visita oculistica, ecografia transfontanellare erano nella norma.
La piccola veniva inserita nel follow
up previsto dalla patologia. A quattro
mesi di vita veniva riscontrata positività delle IgM (2,3 TV, IgG 76
UI/ml), confermata da un successivo
dosaggio a distanza di 2 settimane
(IgG 88 UI/ml, IgM 1,77 TV); veniva quindi iniziato trattamento con Pirimetamina (1 mg/Kg/die) e Sulfadiazina (100 mg/Kg/die). Dopo 2
mesi la piccola in pieno benessere
emetteva con le urine concrezioni calcaree della grandezza di un chicco di
riso e presentava un aumento della
creatininemia (1,38 mg/dl) e dell’azotemia (52 mg/dl) e cristalli di acido
urico nelle urine. L’ecografia renale
mostrava una dilatazione calico-pielica (idronefrosi di II grado) con ectasia
della pelvi ad aspetto triangolare fino
al giunto (pelvi 12 mm), con spots
iperecogeni da riferire a formazioni litiasiche, repertate anche a livello dell’uretere distale di destra. I calcoli risultavano costituiti da ossalato di calcio e fosfato di ammonio. Veniva immediatamente sospeso il trattamento
con normalizzazione della funzionalità renale dopo un mese. I successivi
controlli ecografici hanno mostrato
un progressivo miglioramento con
completa risoluzione della dilatazione
calico-pielica destra a distanza di due
mesi, pur persistendo microlitiasi.
Conclusioni
La calcolosi renale è una rara, ma
possibile complicanza della terapia
con Pirimetamina e Sulfadiazina nel
trattamento della Toxoplasmosi congenita; è quindi importante in corso
di trattamento monitorare la funzionalità renale ed eseguire esami delle
urine seriati per diagnosticare tempestivamente tale eventualità.
Bibliografia
1. Catalano-Pons C., Bargy S., Schlecht D. et
al. Sulfadiazine-induced nephrolithiasis in
children. Pediatr. Nephrol. 2004 Aug;
19(8): 928-31.
2/2010
93
La sindrome linfoproliferativa autoimmune
(ALPS)
R.Pignataro, L. Buscema, P.Barone, R.Garozzo
Dipartimento di Pediatria U.O. Puericultura/Policlinico Università di Catania
La Sindrome Linfoproliferativa Autoimmune è un disordine ereditario
dell’apoptosi linfocitaria che determina una linfoproliferazione cronica
non-maligna caratterizzata da linfadenopatia cronica, splenomegalia,
epatomegalia con possibili manifestazioni autoimmuni quali pancitopenia, vasculite, tiroidite,ecc. Inoltre
questi pazienti presentano un maggiore rischio di sviluppare linfomi.
Test di laboratorio evidenziano una
disregolazione linfocitaria con aumento delle Cellule T doppio-negative
(TCRalfabeta+CD3+CD4CD8-B220+) nel sangue periferico e
nei tessuti linfoidi; riduzione delle
cellule B memoria CD27+; deficit
dell’apoptosi linfocitaria in vitro.
Le principali mutazioni genetiche riguardano il gene FAS che codifica una
proteina recettoriale espressa su molte
cellule incluse i Linfociti T e B (ALPS
Ia). Altre mutazioni riguardano il
FAS-Ligando (ALPS Ib), le Caspasi
8 o 10 (ALPS II) o l’NRAS (ALPS
IV), mentre i casi in cui non è possibile identificare una mutazione vengono
classificati come ALPS III.
94
Metodi
GC all’età di 3 anni ha presentato febbre, epatomegalia, ipertransaminasemia e anemia emolitica autoimmune.
La biopsia epatica ha evidenziato un
quadro di epatite acuta gigantocellulare. É stata inizialmente trattata con
Prednisone e Azatioprina senza alcun
beneficio per cui è stata introdotta terapia con Ciclosporina sospesa per aggravamento dell’ipertransaminasemia.
All’età di 9 anni la piccola ha cominciato a presentare piastrinopenia e
ipocomplementemia.
B.M all’età di 12 anni ha presentato
anemia emolitica autoimmune trattata con Prednisone. In seguito ha
sviluppato ipocomplementemia e
piastrinopenia con positività degli
Ab anti-piastrine.
T.M.R. ha presentato all’età 14 anni
piastrinopenia con manifestazioni
emorragiche e positività degli Ab
antipiastrine. In seguito ha sviluppato anche una tiroidite autoimmune.
Lo studio delle sottopopolazioni linfocitarie ha evidenziato un aumento
dei Linfociti TCRalfa/beta CD4-
pediatria preventiva & sociale
CD8-, dei TCR gamma/delta CD4CD8-. Attualmente è in trattamento solo con levotiroxina sodica.
La scarsa risposta alle terapie immunosoppressive ci ha portato a studiare
l’apoptosi linfocitaria indotta dall’attivazione dell’antigene Fas che metteva in evidenza una resistenza dei
Linfociti T all’apoptosi in tutte e tre
le pazienti.
Conclusioni
La diagnosi precoce dell’ALPS è importante in quanto queste forme di citopenie autoimmuni, scarsamente
sensibili ai trattamenti immunosoppressivi, mostrano una promettente risposta a farmaci biologici quali
l’anticorpo monoclonale anti-CD20
(Rituximab).
Bibliografia
1. U.Ramenghi, L.Garbarini, C.Alliaudi. Malattia autoimmune linfoproliferativa. Hematology Meeting Reports 2007; 1: (6)
Segui l’esempio del tuo pediatra! Igienizza le
mani
L. Pinto, R. Liguori, G. Di Mauro
Direttivo SIPPS Campania
Le malattie infettive continuano ad
occupare i primi posti fra le priorità
sanitarie richiedendo nuove risorse e
strategie per il loro controllo e prevenzione.
Fra le iniziative per ridurne la diffusione, non solo in ambiente ospedaliero ma anche nella casa e nella vita
quotidiana delle famiglie, la promozione dell’igiene delle mani, ed in
particolare la frizione con un prodotto contenente alcol, viene ormai
considerata come una misura di primaria importanza.
Una corretta igiene delle mani può
ridurre nell’ambito delle famiglie la
diffusione delle infezioni gastrointestinali e respiratorie, spesso considerate come una preoccupazione minore anche se in realtà comportano
un notevole onere in termini di assenza dal lavoro e dalla scuola, sia
per la famiglia che per la comunità.
Nelle case è in continuo incremento
il numero di persone ad alto rischio
di infezioni: anziani, neonati e piccoli lattanti, donne in gravidanza,
pazienti in trattamento domiciliare,
soggetti immunocompromessi, etc..
Per questi gruppi, anche le infezioni
causate da germi a bassa patogenicità possono costituire un pericolo.
È necessario quindi promuovere
l’igiene delle mani nella famiglia,
fornendo una corretta informazione
sul modo in cui si trasmettono le infezioni, sul ruolo delle mani come
principale vettore per la loro diffusione, sui vantaggi che derivano dalla applicazione dell’igiene delle mani mediante frizione alcolica.
La SIPPS Campania intende promuovere l’igiene delle mani fra i
bambini e le loro famiglie e considera il pediatra come il testimone ideale di questa campagna. Verificare
che il proprio pediatra applica
l’igiene delle mani secondo le indicazioni del WHO, di-sinfettandole
con gel alcolici nel corso delle manovre assistenziali e lavandole con
acqua e sapone quando sono sporche, unitamente all’illustrazione dei
vantaggi derivanti da tali misure, indurrà una virtuosa imitazione da
parte delle famiglie che potrà contribuire a ridurre la diffusione delle infezioni nelle case e negli ambienti
che frequentano.
La campagna muove i primi passi in
un momento in cui si è ridimensionato fra i media e le famiglie
l’interesse per l’igiene delle mani, suscitato dalla pandemia influenzale.
La spinta “emotiva” è quindi sostituita da un messaggio promozionale
non legato a fenomeni contingenti:
“attori” saranno i pediatri, e “teatro”
i loro ambulatori, dove verranno distribuiti opuscoli per le famiglie, ed
esposti poster “pubblicitari” per le
famiglie.
La distribuzione capillare ai pediatri
del materiale promozionale attraverso la Casa Scientifica Editrice Editeam, garantirà il rafforzamento e la
continuità della promozione.
Il materiale promozionale è costituito da:
• Vademecum per il pediatra, con le
misure da adottare per evitare che
l’ambulatorio (dallo studio del pediatra alla sala d’attesa) diventi
fonte di infezioni trasmissibili
• Depliant per le famiglie sui vantaggi dell’igiene delle mani e sulle
modalità per at-tuarla
• Poster informativi per gli ambulatori pediatrici e per i reparti ospedalieri.
Il progetto sarà illustrato nel corso
di incontri organizzati dalla SIPPS,
in cui si tratteran-no i temi della formazione sull’igiene delle mani secondo le indicazioni dell’OMS e
l’importanza della “igiene mirata”
nella vita quotidiana.
L’efficacia della campagna verrà valutata periodicamente mediante
questionari anonimi i cui risultati
saranno analizzati nel corso di incontri SIPPS.
2/2010
95
Micofenolato Mofetile(MFM) nel trattamento
delle nefropatie autoimmuni pediatriche: nostra
esperienza
M.R. Politi, I. Conti, L. Buscema, P. Barone, R. Pignataro, R. Garozzo
Dipartimento di Pediatria, Az. Osp. Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania
Presso l’ambulatorio di nefrologia,
negli ultimi 6 anni, è stata praticata
terapia con MFM in 7 bambini affetti da nefropatie autoimmuni,
biopticamente documentate, di cui:
4 affetti da nefrite lupica , 2 affetti
da nefrite ANCA positiva, 1 da nefropatia da depositi di IgA.
Tutti i pazienti con LES, sono stati
inizialmente trattati con prednisone.
In tre pazienti è stata successivamente associata terapia immunosoppressiva (ciclofosfamide o idrossiclorochina) e, per l’incompleta risposta alla terapia, è stato introdotto
il MFM. Un paziente è stato, da subito, trattato con MFM.
I due pazienti affetti da nefropatia
vascolare ANCA-positiva, dopo terapia con corticosteroidi ed immunosoppressori (ciclofosfamide o
Azatioprina), hanno cominciato il
trattamento con MFM.
96
Il paziente con nefropatia da depositi di IgA, è stato trattato inizialmente con prednisone e successivamente
con MFM.
La risposta alla terapia è stata valutata mediante follow-up clinico-laboratoristico. Il farmaco ha permesso di bloccare la progressione della
malattia renale e sistemica, di ridurre i dosaggi di corticosteroidi, fino
alla completa sospensione (in 1 caso). Nessuno ha presentato effetti
collaterali gravi, solo in 2 casi si è verificata leucopenia transitoria.
Il micofenolato mofetile (MFM), è
un farmaco con effetto citotossico
prevalentemente sui linfociti, è infatti un inibitore selettivo dell’inosino
monofosfato deidrogenasi, enzima
cardine del metabolismo "de novo"
delle purine, via metabolica obbligata
per i linfociti, non in grado, a differenza di altre cellule, di utilizzare la
via di salvataggio delle purine. Inol-
pediatria preventiva & sociale
tre, il MFM inibisce la sintesi delle
molecole di adesione, la produzione
del NO, la proliferazione dei miofibroblasti e delle cellule mesangiali.
Attualmente in uso nel trapianto
d’organo, in dermatologia e nelle
MICI, trova indicazione anche nelle
nefropatie autoimmuni. Generalmente è ben tollerato, sebbene siano
possibili disturbi gastrointotestinali e
tossicità midollare. In vista della potenziale efficacia e sicurezza del
MFM, sono necessari ulteriori studi
su campioni più numerosi e omogenei al fine di ottimizzare i dosaggi e la
durata del trattamento delle nefropatie autoimmuni dell’età pediatrica.
Bibliografia
1. Pediatr Nephrol (2007) 22:1077-1082 Can
mycophenolate mofetil substitute cyclophosphamide treatment of pediatric lupus
nephritis? Ana Paredes
Neurite ottica retrobulbare bilaterale in età
pediatrica: caso clinico
M.R. Politi¹, I.Conti¹, R.M. Pulvirenti¹, P. Smilari¹, M. Franco², F. Greco¹
¹Dip. di Pediatria, Az. Ospedaliera Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania
²Clinica Oculistica, Az. Ospedaliera Universitaria Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania
La neurite ottica retro bulbare
(NOR) è un’infiammazione acuta
del nervo ottico nella sua porzione
retrobulbare. Può riconoscere differenti eziologie: origine post-infettiva, post-vaccinale, tossica, deficit
nutrizionali (es. deficit di vitamina
B12) e patologie demielinizzanti.
Riportiamo il caso di una paziente di
sesso femminile di anni 11 venuta
alla nostra osservazione per una riduzione improvvisa del visus. Da 2
mesi la piccola lamentava difficoltà
nella lettura e vertigini soggettive
Fig. 1 - ???
durante lo sforzo visivo. La RMN
encefalo eseguita privatamente evidenziava un quadro compatibile con
la diagnosi di NOR bilaterale. Per
tale motivo veniva ricoverata presso
il Dipartimento di Pediatria U.O. di
Clinica Pediatrica.
L’anamnesi familiare escludeva la
presenza di patologie demielinizzanti. L’esame obiettivo generale e
neurologico erano nella norma. Gli
esami ematochimici e strumentali
tra cui PESS, BAER, potenziali
evocati acustici risultavano nella
norma, così come l’esame del liquor.
La visita oculistica confermava grave
riduzione del visus in entrambi gli
occhi (1/10).
I PEV mostravano un’onda P100
ipovoltata bilateralmente.
La RMN encefalo con m.d.c., eseguita dopo una settimana dalla precedente, mostrava lesioni invariate e
non captanti.
Pertanto, veniva intrapresa terapia
steroidea con metilprednisolone per
via endovenosa (30 mg/kg/die) per 3
giorni, seguita da prednisone per os
(1 mg/kg/die in dosi progressivamente scalari fino a completa sospensione nell’arco di un mese).
Alla visita oculistica eseguita dopo 20
giorni si rilevava un miglioramento
del visus (OD 3/10, OS 2/10).
La nostra paziente ha presentato un
quadro classico di NOR isolata in
assenza di lesioni della sostanza
bianca escludendo, in atto, altre patologie demielinizzanti.
In età pediatrica la NOR si manifesta più spesso nel sesso femminile, in
forma bilaterale (60-70%), come nel
nostro caso, e si associa a minor rischio di recidive o evoluzione in
sclerosi multipla (20%) rispetto all’età adulta.
Le eventuali recidive si associano ad
un maggior rischio di SM soprattutto se avvenute entro un anno dal primo episodio di NO.
In base ai dati della letteratura la terapia steroidea per via endovenosa
seguita da una terapia cortisonica
orale, come da noi effettuata, sembrerebbe diminuire la probabilità sia
di ricadute che di evoluzione in SM.
Bibliografia
1. Alper G et al Demyelinating optic neuritis in
children J Child Neurol 2009; 24(1): 45-48.
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Anemia sideropenica in età pediatrica: malattia
celiaca ed infezione da helicobacter pylori
T. Sabbi, M. Palumbo
UOC Pediatria – Ospedale Belcolle Viterbo
Background
L’infezione da Helicobacter pylori
(Hp) è riconosciuta come causa di gastrite cronica, ulcera peptica e cancro
gastrico, ma ha anche un ruolo nell’anemia sideropenica resistente alla terapia marziale, nella dispepsia ed in
alcune patologie extraintestinali.
Scopo
spondente a trattamento per 3 mesi
con ferro per os. Tutti i pz sono stati sottoposti a ricerca sierologia degli
anticorpi antigliadina, antiendomisio ed antitransglutaminasi, alla ricerca fecale dell’ag dell’Hp e al (13)
C Urea Breath Test. Per valutare la
presenza di altre cause di sanguinamento tutti i pz sono stati sottoposti
ad esame endoscopico del tratto digestivo superiore (EGDS) con biopsie antrali e duodenali.
ed inibitore di pompa protonica) con
supplementazione di ferro e con successiva eradicazione dell’infezione e
risoluzione dell’anemia. 2 pz con
malattia da reflusso gastroesofageo
hanno effettuato terapia con inibitore di pompa protonica, mentre 5 pz
con malattia celiaca hanno iniziato
una dieta priva di glutine con supplementazione di ferro.
Conclusioni
Esaminare la prevalenza della malattia celiaca e dell’infezione da Hp in
pazienti (pz) con anemia sideropenica refrattaria alla terapia marziale.
Pazienti e metodi
20 pz (12 maschi; età tra 6-18 aa)
con anemia sideropenica non ri-
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Risultati
L’infezione da Hp era presente in 13
dei 20 pz (65%), mentre la malattia
celiaca in 5 dei 20 pz (25%); in 2 pz
l’EGDS era positiva per erosioni
cardiali. Tutti i pz Hp positivi sono
stati a triplice terapia eradicante per
7 giorni (amoxicillina, claritromicina
pediatria preventiva & sociale
La malattia celiaca è responsabile di
malassorbimento intestinale in età
pediatrica con deficienza di ferro ed
una dieta priva di glutine insieme ad
una terapia marziale risolvono
l’anemia. L’eradicatione dell’infezione da Hp con la concomitante terapia marziale possono correggere
l’anemia.
Un caso di vasculite da Chlamydia pneumoniae
M. Saporito, I. Morselli, E. Olivastro, A.D. Praticò, L. Buscema, R. Pignataro, P. Barone, R. Garozzo
U.O. DH-Puericultura - Dipartimento di Pediatria - Università di Catania – AOU “Policlinico- Vittorio Emanuele” di Catania
Introduzione
La Chlamydia pneumoniae è un patogeno intracellulare obbligato ubiquitario, con un’ampia diffusione nella popolazione pediatrica, responsabile principalmente di polmoniti acquisite in comunità ed infezioni del tratto respiratorio superiore. Può anche
essere coinvolto nella patogenesi di
vasculiti a carico dei vasi di piccolo e
medio calibro.
Descriviamo il caso di una bambina
che ha presentato una vasculite sostenuta da Chlamydia pneumoniae.
Caso clinico
A.L., 2 anni, primogenita di genitori non consanguinei, nata a termine
da parto eutocico col peso di 2700
grammi dopo gravidanza fisiologica.
Non ha presentato asfissia né ittero.
Regolari le tappe dello sviluppo psicomotorio. Da circa 2 settimane, la
piccola presentava pousses di lesioni
cutanee eritematose confluenti di
forma circolare a margini irregolari
non pruriginose localizzate soprattutto agli arti inferiori ed in minor
misura agli arti superiori, in assenza
di altra sintomatologia. Era stata
sottoposta a terapia con steroide e
antistaminico per 10 giorni senza
benefici. Emocromo, indici di flogosi, IgE totali, immunoglobuline,
complemento, funzionalità epatica e
renale, anticorpi anti-Mycoplasma,
anti-EBV, anti-Parvovirus, esame
urine e parassitologico delle feci erano risultati nella norma. Ci veniva
inviata con diagnosi di eritema polimorfo. All’ingresso l’esame obiettivo
risultava nella norma eccetto per la
presenza, agli arti inferiori e superiori, di lesioni circolari eritematose,
confluenti, non pruriginose che
scomparivano alla digitopressione.
Gli esami ematochimici eseguiti
mettevano in evidenza positività per
anticorpi anti-Chlamydia (IgG
1/200, IgA 1/200, IgM 1/160), e
negatività degli anti-Micoplasma,
anti-Borrelia ed anti-Coxakie. Veniva anche eseguita capillaroscopia che
non mostrava segni di eventuale
connettivopatia. Per tale motivo veniva intrapresa terapia antibiotica
con claritromicina, con progressiva
risoluzione della sintomatologia.
Conclusioni
La Chlamydia pneumoniae è responsabile di infezioni respiratorie. Non è
però da escludere un suo eventuale
coinvolgimento nell’eziopatogenesi di
processi vasculitici, quando la sierologia dei principali agenti patogeni risulta nella norma e anche quando non
è presente, come nel nostro caso, una
sintomatologia respiratoria.
Bibliografia
1. Cutaneous vasculitis and reactive arthritis
following respiratory infection due to
Chlamydia pneumoniae: report of a case.
Clin Exp Rheumatol 2002; 20(6): 845-7.
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