Marzo - Voli - Vallecamonica On Line
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Marzo - Voli - Vallecamonica On Line
“...incisioni eseguite con una punta su una superficie dura, per lo più mettendo allo scoperto un sottostante strato di colore diverso...” REGIONE LOMBARDIA Sanità & malaffare, ci risiamo di Bruno Bonafini Resta solo lo sconcerto di fronte all’ennesimo scandalo della sanità lombarda. Perchè lo stupore, lo sdegno e le parole conseguenti si sono ormai tutti consumati. Per eccesso d’uso. La riflessione, allora, è meglio della retorica dell’esecrazione. E serve cogliere e mettere in fila alcuni dati oggettivi, specifici e di genere, sul caso singolo. Quello degli appalti e della gestione truffaldina dei servizi odontoiatrici del servizio sanitario lombardo. IL PRIMO. Ancora una volta è la sanità il terreno sul quale il malaffare gioca le sue partite di maggior lucro. La Regione Lombardia, che più di ogni altra ha aperto all’iniziativa privata, più di ogni altra offre casi clamorosi di corruzione e di illegalità. Si sono esternalizzati (appaltati) servizi e accreditato un numero abnorme di cliniche private e di laboratori di analisi, in nome della mitizzata concorrenza tra pubblico e privato. Spacciando l’elevato livello della sanità lombarda, che già c’era, come frutto di questa scelta che ha lasciato al privato d’affari quasi la metà della spesa sanitaria regionale. Formigoni stesso, che di questo processo è stato teorico e attuatore, ne ha subito le conseguenze, coinvolto negli appetiti degli affaristi che la sua politica aveva attivato. Il caso della Clinica Santa Rita di Milano, dove si operavano malati che non ne avevano bisogno per riscuotere i rimborsi regionali, è il monito più grave e orripilante di come anche in sanità sia spesso l’offerta a “creare” la domanda. Per le operazioni come per le visite specialistiche o per le analisi di laboratorio, visto il ruolo subordinato che quasi sempre il paziente ha rispetto al medico. Il privato non è solo efficienza e snellezza, insomma. segue a pagina 9 LONTANI GLI ANNI IN CUI GRIDAVANO “ROMA LADRONA” C’era una volta... Con la Valtellina: traforo, cantone o cantonate? Il dibattito continua di G. Cenini, G. Maculotti, A. Minelli, V. Raco, L. Scolari (pagg. 2, 3, 12) Noi, i profughi: ieri dalignesi, oggi siriani di Ivan Faiferri (pag. 7) Il giorno del giudizio per il giovane scrittore Diego Razzitti di Stefano Malosso (pag. 9) Direzione, Redazione, Amministrazione: Darfo Boario Terme, Vicolo Oglio - Direttore responsabile: Tullio Clementi - Direttore editoriale: Michele Cotti Cottini Autorizz. Tribunale di Brescia n° 3/92 del 10.01.1992. Spedizione in abbonamento postale, art. 2 comma 20/d legge 662/96 - Filiale Bs - Stampa: Tipografia Valgrigna, Esine VERSO L’ENNESIMO ESPERIMENTO ISTITUZIONALE. E IL CIVISMO CAMUNO PARE IMPOTENTE Cantone antistorico, decida un Referendum di Vincenzo Raco Le recenti riforme degli enti locali, nate con la convinzione di allargare la partecipazione democratica e migliorare la gestione della “Cosa pubblica”, sono state in buona misura disattese: si è creato un nuovo centralismo regionale; i Sindaci, dovendo rispondere in prima persona ai propri elettori, sono in perenne lotta per il pareggio di bilancio del proprio comune, subordinando ad esso ogni altro interesse sovracomunale; i BIM e le Comunità Montane, diventate assemblee di Sindaci, sono state progressivamente trasformate da cabine di regia per lo sviluppo ad erogatori di contributi. Che fare? Bisognerebbe avere il coraggio di rivedere quello che non funziona e adeguare di conseguenza i diversi livelli istituzionali esistenti, ad esempio i sovracanoni dell’energia elettrica potrebbero essere erogati direttamente ai comuni di montagna e il ruolo delle Comunità Montane rivisto alla luce del nuovo ruolo dell’Ente Provincia, trovando un sistema di elezione capace di rappresentare tutti i sindaci nella loro governance. Ma purtroppo, come sempre, di fronte alla complessità del presente, è più facile la scorciatoia dei nuovi modelli istituzionali, come quello proposto dal Governatore Maroni. A questo proposito mi ha colpito l’intervento di Giancarlo Maculotti, non tanto per la sua condivisione del progetto di Cantone proposto da Maroni, niente di nuovo, sono anni che egli è fautore della “Montanità”, ma per le ragioni che la motivano «esclusivamente politiche ed economiche». Non condivido questa posizione per molte ragioni, innanzitutto perché per un’ipotetica possibilità di avere più soldi si è disposti ad accettare l’ennesimo esperimento di “ingegneria istituzionale” senza alcuna considerazione per i cittadini della Valle Camonica che da sempre gravitano su Brescia per lo studio, il lavoro, il Tribunale, la Camera di Commercio, gli Ospedali e molti altri servizi. Come si può continuare a legiferare senza tenere in alcun conto i bisogni materiali delle persone e quanto storicamente si è andato definendo per soddisfarli? Su questioni cosi rilevanti si faccia un Referendum! Ma le affermazioni di Giancarlo sono preoccupanti anche perché denunciano un atteggiamento di sfiducia nella possibilità che i cittadini della Valle Camonica siano in grado ABBONAMENTO 2016 ordinario: 20 euro; sostenitore: 30 euro. Gli abbonati sostenitori riceveranno in omaggio un libro sulla Valcamonica. Versare sul c.c.p. 44667335 (intestato all’Associazione culturale Graffiti), tramite l’allegato bollettino, oppure tramite Banca (IT89O 03599 01899 050188527063. Tanti piccoli sforzi personali possono trasformarsi in una grande risorsa per le prospettive di Graffiti! 2| | marzo 2016 A che serve la retorica dell’identità camuna se tutto viene piegato alle logiche della maggioranza che governa la Regione? Il Civismo che regge la Comunità Montana non è riuscito a costruire una mobilitazione popolare sul tema della Sanità. di darsi strumenti democratici di autogoverno. Di fronte alle difficoltà a governare i processi di cambiamento in atto, alla crisi dei partiti e della politica, alla litigiosità dei sindaci incapaci di trovare un progetto condiviso, ci si arrende e invece di analizzare le cause e trovare i rimedi, ci si affida al nuovo modello istituzionale come elemento salvifico per la montagna. Inaccettabile poi è che si sia iniziato a prefigurare il Cantone partendo dalla Sanità. Infatti l’ATS della Montagna che ha aggregato la Valle Camonica alla Valtellina e all’Alto Lario non avrebbe alcun senso se non fosse funzionale al nuovo assetto istituzionale previsto da Maroni. Purtroppo anche in questo caso è emersa la debolezza della Valle Camonica, il cui governo si regge su una maggioranza risicata di Sindaci per la maggior parte espressione di liste civiche. L’unico partito che orgogliosamente afferma la sua identità è la Lega Nord, minoranza in Valle Camonica ma egemone in Regione Lombardia, dove evidentemente insieme agli altri partiti di centrodestra ha approvato la riforma sanitaria e l’ATS della Montagna. Nessuna mobilitazione da parte del PD, nessuna seria contrarietà da parte delle Organizzazioni Sindacali, nessun pronuncia- mento da parte delle molte Associazioni che meritoriamente svolgono la loro attività in Valle. Forse non si è capita l’importanza della posta in gioco, oppure ognuno è ripiegato sul proprio particolare senza alcuna capacità di vedere oltre il proprio Comune. Infatti, è singolare che sul “Tempio Crematorio” sia finita anticipatamente l’Amministrazione di Esine e quella di Berzo Inferiore ha visto respingere la proposta dalla reazione negativa dei cittadini e così per ogni intervento di un certo rilievo che si intende realizzare nei Comuni, mentre sulle scelte compiute dalla Regione Lombardia e riguardano il futuro dell’intera Valle, nessuna reazione popolare se non la manifestazione con marcia da Breno ad Esine organizzata dalla Comunità Montana. A cosa serve la retorica “dell’identità camuna” quando tutto viene piegato alle logiche della maggioranza che governa la Regione Lombardia? In questa vicenda sono emersi anche i limiti del “Civismo” che magari riesce a garantire maggioranze risicate in Comunità Montana e al BIM, ma è del tutto impotente nel costruire momenti di partecipazione e mobilitazione popolare sui temi di interesse generale, come ha dimostrato la manifestazione a favore dell’autonomia della Sanità camuna. Quale differenza con la mobilitazione popolare del passato! Non credo che in futuro ci sarà un peggioramento della sanità camuna: resterà quanto di buono si è fatto fino ad ora, professionalità e competenze di buon livello. Il problema è che si spostano a Sondrio i centri decisionali e come sempre, più si allontana il potere dai cittadini, meno essi possono incidere sulle scelte che vengono compiute e meno sono evidenti le responsabilità. PERCHÉ L’OSPEDALE DI EDOLO DEVE CONTINUARE A ESISTERE Niente elemosine, abbiamo diritti di Arturo Minelli (già presidente della Commissione Sanità della Regione Lombardia) Le scelta di abolire la sezione di neonatologia, insostenibile per mancanza di personale, e insediare la sezione di ortopedia, anche se criticate in malafede da molti, di fatto consolidarono l’ospedale di Edolo e ne evitarono il ridimensionamento. Oggi servono decisioni urgenti e chiare che mettano fine a problematiche esistenti da anni. Anzitutto il problema del pronto soccorso che non si può sopprimere, pena la chiusura dell’ospedale. Il ragionamento «io do l’elicottero a te e sopprimo il pronto soccorso» è inaccettabile. Siamo sinceri: non possiamo avere il pronto soccorso di Esine o quello degli Spedali civili: non siamo così ottusi da non saperlo. Ma un pronto soccorso di primo intervento e successiva decisione sul paziente, aperto 24 ore su 24, deve assolutamente esserci. Ricordo per inciso che dal Tonale a Esine vi sono circa 70 km. Restino anche medicina, che va verso la lungodegenza, la piccola chirurgia, l’ortopedia e la riabilitazione ed i servizi ambulatoriali esistenti. Si dice che l’ospedale di Edolo costa troppo e quindi occorre tagliare. Rispondo polemicamente con un piccolo ragionamento. Puntando il compasso su Brescia, nel giro di pochi km si trovano ospedali con specialità qualificate: quei cittadini possono adire alle cure, avendo anche possibilità di scelta tra vari ospedali. E a noi vorrebbero togliere un ospedale di frontiera. Sappiamo che saremo sempre svantaggiati ma almeno il minimo lasciatecelo e non confinateci in una riserva. Se quel che dico significa chiedere o volere troppo, allora lasciamo chiudere l’Ospedale di Edolo. E ci si rassegni, diventerà una casa di riposo un po’ più dotata e di fatto si fonderà con l’adiacente casa Giamboni, dalla quale è emanato peraltro l’ospedale. Noi non andiamo a ricercare favori, siamo un popolo di montanari fieri, avvezzi ad ogni sfida, pronti ad ogni evenienza. Non andiamo a cercare elemosine. Abbiamo però diritto, dico diritto, e lo eserciterò con grande rigore, di essere trattati, nella sanità e in altri settosegue nella pagina accanto CON LA VALTELLINA NON ABBIAMO RAPPORTI, MA VALE LA PENA AFFRONTARE QUALCHE DISAGIO Con Sondrio, se avremo i soldi per la montagna di Lodovico Scolari Le insistite argomentazioni di Giancarlo Maculotti sull’opportunità che la Valcamonica sia unita amministrativamente alla Valtellina, mi inducono a qualche considerazione sull'argomento, anche nel ricordo degli anni della mia gioventù che ho trascorso in collegio a Sondrio. Anni che mi hanno consentito di conoscere bene la Valtellina, dove ritorno spesso in veste di turista perché questa terra mi piace e mi ci sento un poco affezionato. Ho avuto poi l'opportunità di esaminare e approfondire i rapporti e gli interscambi tra le due valli, allorché la mia professione mi ha portato a dovermi occupare di trasporti e comunicazioni per conto della Provincia di Brescia, e specificatamente a partire dal 1992, quando per la prima volta si ipotizzò il collegamento ferroviario tra le due vallate, mediante il traforo del Mortirolo. Queste mie esperienze e più in generale l'evidenza dei dati e dei fatti ci dicono che tra le due vallate non esistono rapporti e scambi di alcun genere, da quelli economico-commerciali a quelli culturali e politico-amministrativi, né sono mai esistiti in passato, fatta eccezione che nei primi due decenni del dopo guerra, quando molti operai camuni trovarono lavoro nei cantieri d'alta quota delle valli valtellinesi, nella costruzioni dei grandi impianti idroelettrici. Nemmeno l'alta Valcamonica, le cui distanze da Sondrio sono esattamente la metà che da Brescia, ha mai sviluppato significative interazioni con la Valle dell'Adda, fatta eccezione che per talune specifiche esigenze in campo sanitario. Le ragioni principali di questa mancanza di osmosi tra i due territori è da individuarsi principalmente in due fattori: le disagevoli condizioni dei trasporti e delle comunicazioni e le opportunità di lavoro e occupazione che la Valtellina non offre, perché non le ha. dalla pagina precedente ri fondamentali della vita sociale, come ogni altro cittadino, come ben dice l’art. 21 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Agli indigenti: i ricchi si possono curare dove ritengono, ma le classi meno abbienti hanno il diritto di essere curate nel miglior modo dalle strutture sanitarie pubbliche, le uniche accessibili per loro. I contributi completi di Minelli e Raco sono disponibili sul nostro blog. Sulla riforma della Sanità e i recenti scandali interviene anche Bortolo Pessognelli (a pag. 7) Non c’è osmosi tra Valcamonica e Valtellina, soprattutto per i trasporti e le comunicazioni disagevoli. Ma l’ipotesi del Cantone va valutata seriamente se è il mezzo per avere le risorse per le politiche montane, che attendiamo da decenni. L'importanza di vie di comunicazione e di trasporto adeguate sono un problema da non troppo sottovalutare, perché i cittadini non sì spostano in elicottero e perché il disbrigo on-line delle molteplici esigenze burocraticoamministrative è cosa che è molto al di là da venire, specie nelle nostre valli. Peraltro, v'è da considerare che in caso di unificazione dei due territori, come unica provincia, o cantone, o vasta area della montagna, o quant'altro ancora ci si inventerà, i servizi e le funzioni in essa ricompresi non saranno solo quelle attualmente esercitate dalle province, ma anche quelle statali (prefettura, uffici erariali, agenzia delle entrate, tribunali, Inps, Inail...) e di altri Enti; e pertanto la mobilità viene ad assumere un'importanza decisiva. Le sopraesposte considerazioni, minimizzate e anche un poco banalizzate da Giancarlo, porterebbero ad escludere o quantomeno a cercar di evitare l'accorpamento delle due vallate in un'unica entità amministrativa; e questa mi sembra di cogliere sia la sensazione più diffusa, soprattutto in media e bassa Valcamonica. E tuttavia, la questione dirimente che Giancarlo pone, penso meriti considerazione: l'accorpamento con la Valtellina potrebbe equiparare la Valcamonica alla valle dell'Adda nei benefici di svariati milioni di Euro derivanti ogni anno dallo sfruttamento delle derivazioni idroelettriche in concessione a Edison e Enel. La questione è tutta e solo economica. Si potrebbero avere le risorse per mettere in atto finalmente quelle politiche organiche a favore della montagna e delle sue popolazioni, che attendiamo invano da decenni e che dallo Stato e dalla Regione non arriveranno mai. L'istituzione delle Comunità Montane con la legge 1102 del 1971, l'approvazione della prima legge quadro nazionale sulla montagna nel 1994 e la successiva legge regionale attuativa n.10 del 1998 avevano acceso ogni volta nelle genti della montagna la speranza che fosse la volta buona, ma puntualmente queste leggi sono state disattese o volutamente non applicate e intanto la montagna si è andata via via impoverendo, depauperando e spopolando. E allora penso che dobbiamo seriamente mettere sul piatto della bilancia lo svantaggio di dover affrontare qualche probabile disagio, rispetto alla prospettiva di avere finalmente risorse proprie da investire nel recupero e nel rilancio sociale ed economico del nostro territorio. AMBIENTE & DINTORNI di Guido Cenini Io traforo, tu trafori, egli trafora... Ogni due o tre anni al massimo riscrivo più o meno lo stesso articolo. Riguarda sempre il Traforo del Mortirolo. Quando penso al traforo, personalmente, ripenso al periodo delle scuole medie quando traforavo pezzi di compensato per farne porta oggetti di vario genere. Qualcuno, mi sembra, è rimasto a quei tempi oppure non li ha vissuti e quindi li propone oggi ma in tutt’altro senso. Non tagliare con seghetto, ma bucare montagne. Sempre di traforo si tratta. Prendo spunto dalla lettera dell’assessore comprensoriale ai Lavori Pubblici e sindaco di Paspardo. Stavolta però me la prendo comoda e con un po’ di ironia. Me ne perdonerà De Pedro. Si parla di Traforo del Mortirolo e già che ci siamo del Traforo dello Stelvio e magari anche del Tonale. A parte il fatto che non si riesce a trovare i soldi per allargare di qualche centimetro i dieci metri della famosa galleria austro-ungarica di Edolo, non parliamo poi della tangenziale in galleria ce dovrebbe togliere il traffico dalla cittadina di Edolo stessa. Che mi sembrano anche le grandi priorità dell’alta valle. Ma ammesso che un colpo di fortuna, una stravincita al lotto, una sbandata in consiglio regionale ed un’altra al dipartimento ANAS, cosa ne facciamo del tunnel? Prendo atto e comincio a stendere delle ipotesi. Servono 2.300/2.500 passeggeri al giorno per ammortizzare il costo dell’opera. Pima ipotesi: spostiamo ogni giorno tutti gli abianti di Edolo a Tirano, esclusi i neonati sino a tre anni, gli ultrasettantenni e i nonni della casa di riposo. Vanno a vedere la Madonna di Tirano in pellegrinaggio. Seconda ipotesi: mettiamo un vigile a Edolo che devia 2.500 sciatori che invece di andare a sciare al Tonale li dirotta a Bormio che di piste ne ha una sola, quella della coppa del mondo di libera. Vuoi mettere la pista dove ha vinto Paris e Hinnerofer! Terza ipotesi: Prendiamo tutti gli studenti delle superiori, esclusi i forestali perché ce li abbiamo solo noi, e li mandiamo a studiare a Sondrio, pendolari di natura, tanto a loro viaggiare di qua o di là fa lo stesso. Forse non bastano. Aggiungeremo quello del CFP di Edolo e di Ponte per chiudere il numero minimo. Oltre a estetiscte e cuochi organizzeremo anche un corso di melicoltori e viticoltori, visto i produttori di Melavì e di Sassella. Per i 386 milioni previsti per il costo dell’opera, non ci sono problemi: vendiamo tutte le seconde case in Valle camonica e comperiamo in alta Valtellina, tra Bormio e Livigno, così i turisti milanesi pagano tasse più elevate e e con la differenza si copre il costo del traforo. Vabbè, inatnto hanno già cominciato ad aggregare l’AST di valle con l’ASST di Sondrio. Progetto di tal Rizzi, consigliere regionale Lega, adesso un po’ incasinato (Maroni aveva promesso discontinuità con il Celeste Formigoni e soci della sanità). Poi viene avanti l’idea (se ci sarà ancora qualche leghista in giro) di abbinarci al Cantone della Montagna, praticamente noi attaccati al carro dei valtellinesi. Come vedete siamo sulla buona strada. O ferrovia? marzo 2016 | |3 LETTERE & REPLICHE MA SE DEVO SCEGLIERE TRA LA MIA VALLE E IL PARTITO DEMOCRATICO, SCELGO LA VALLE Avete scritto idiozie che non ho mai pronunciato di Corrado Tomasi (consigliere regionale Pd) In merito al Vostro articolo “Rivelazioni di Tomasi: Consigliere di se stesso (dopo, naturalmente)” (pubblicato sul numero 255 di Graffiti, gennaio 2016), sono a precisare quanto segue: • quando si pubblica un articolo di questo genere si dovrebbero riportare i nomi e cognomi; • andrebbe sentita la controparte; • smentisco assolutamente di aver mai affermato queste idiozie! Approfitto per esprimere il mio parere in modo stringato sull’argomento: come già ribadito in molte altre occasioni, anche in aula del Consiglio Regionale, se devo scegliere tra gli interessi del partito e quelli della mia Valle, scelgo la mia Valle. Sono onorato di militare nel Partito Democratico ed in riferimento al Vostro articolo, nell’unico incontro fatto con un gruppo di ambientalisti, mi sono trovato a difendere l’operato del governo nazionale a guida PD. Smentire si può, certamente, e doverosamente Graffiti ne prende atto e pubblica la precisazione di Corrado Tomasi. Ma altrettanto correttamente gli tocca dire che il lettore della segnalazione, la “fonte” del pezzo, da noi prontamente chiamato in causa, conferma la sostanza di quanto è stato scritto, ovvero che alla domanda sulla sua appartenenza al PD, il Consigliere Tomasi ha affermato di rappresentare se stesso dato che i voti in Valle li aveva presi lui e non il PD. Affermazione, aggiunge il lettore, che non ha sentito solo lui. Quanto al resto, sulla stampa (lo siamo anche noi, nel nostro piccolo) quasi mai si coinvolge nominativamente una fonte, specie se si tratta di un cittadino non aduso all’agone delle polemiche politiche, che oltretutto aveva segnalato l’episodio solo per manifestare il suo stupore (che comunque, nel nostro caso, non ha motivo, alla bisogna, per celarsi). E non sulle punzecchiture ma sui temi importanti si interpella la controparte. E pure sui temi importanti la verifica si fa solo quando le affermazioni sono del tutto discordanti da quanto del personaggio si conosce. Siccome poi verba volant (a differenza degli scritti che rimangono), la diatriba non ha soluzione oggettiva. E continuerà a credere alla smentita di Tomasi chi è convinto del suo forte attaccamento al PD e alla sua azione politica, in Regione e altrove, piuttosto che alla sua individualità. Mentre chi ricorda e ha dato peso alle varie e non poche volte in cui Tomasi si è distinto dal suo gruppo e partito nel voto e nelle argomentazioni sarà di opinione diversa. Graffiti quasi inesorabilmente finisce nella seconda categoria, perché di queste scelte difformi, da battitore libero di Tomasi rispetto al partito, ha buona memoria, anche per averle spesso trattate e criticate: dalla creazione (lontana ma non tanto) del Movimento dei popoli alpini della Valle Camonica (teso a escludere e superare i partiti, compreso il suo) al voto difforme dal gruppo in Regione su temi importanti come il referendum prossimo. Ciò che ci ha fatto ritenere credibile (coerente) l’episodio contestato, in aggiunta alla rispettabilità di chi ce lo ha segnalato. (b.b.) IL PARAGONE CON L’ISIS NON REGGE, PENSATE PIUTTOSTO ALLE DISTRUZIONI COMUNISTE Camadini calibrato, fece danni a sua insaputa di Lorenzo Rosa L’autore dell’articolo “Distruggere la cultura: 400 anni fa come oggi” (pubblicato sul numero 255 di Graffiti, gennaio 2016) parte dalle recenti cronache di distruzione, già attuata o minacciata, da parte dell’Isis ai danni di monumenti storici, per ricercare nella storia analoghi eventi, al fine di sostenere la tesi che la conoscenza non sempre basta a produrre la tolleranza. E nel seguire questo filo conduttore non trova di meglio che scovare un episodio di 400 anni fa che vede protagonista un sacerdote colpevole di avere distrutto, su comando del suo superiore card. Carlo Borromeo, una roccia su cui si trovava un «incavo naturale o artificiale». Conclude con “un messaggio di speranza”: per fortuna i cattolici di oggi non sono più come quelli di una volta, l’evoluzione c’è stata, anche se non completa: la convivenza con la società laica è “relativamente” felice. Sì, perché pare che sia la società laica il metro di riferimento per giudicare se qualcuna ha acquisito la patente di tolleranza, rispetto, civiltà, maturità antropologica. Chissà perché invece di riandare a un episodio di entità oggettivamente risibile, accaduto in un contesto completamente diverso da quello delle distruzioni operate dall’Isis, Faiferri non ha pensato di ricordare fenomeni di portata enormemente più ampia, operati da regimi “laici”, come la distruzione di opere d’arte e libri operata dai regimi nazista e comunista o come le distruzioni compiute dal comunismo ai danni di edifici e monumenti religiosi, trasformati nel migliore di casi in caserme o depositi di munizioni. Ma c’è dell’altro. Se non l’ha mai fatto, consiglio all’articolista di farsi un giro in Francia per ammirare ciò che la neonata società “laica”, emersa dalla Rivoluzione francese, icona e riferimento anche della moderna laicità, ha compiuto su tante cattedrali gotiche o romaniche: noterà centinaia di sculture scalpellate e ormai 4| | marzo 2016 irrecuperabili, distrutte – queste sì – da una follia iconoclastica, incapace, paradossalmente nel nome della dea ragione, di riconoscere il valore universale di alcuni prodotti dell’opera dell’uomo. L’atto di Camadini fu estremamente calibrato: era inserito in un contesto storico ben preciso. In una società ormai cristianizzata l’azione del sacerdote era finalizzata a cancellare un qualcosa (forse nemmeno opera umana) che serviva da richiamo e riferimento a riti pagani proibiti (secondo i canoni di quel tempo, che nessuno di noi condivide). Il prete non poteva certo immaginare di stare eliminando un reperto preistorico (sempre che lo fosse), destinato in un lontano futuro a divenire parte di un patrimonio dell’Unesco. Ben più consapevoli del valore storico, artistico e culturale di ciò che distruggono sono i jihadisti e altrettanto consapevoli erano i rivoluzionari francesi, padri ispiratori di questa fantomatica “società laica”, fanatici nel distruggere ciecamente ciò che si contrapponeva, anche idealmente, al loro furore ideologico. Se noi ancora oggi possiamo leggere e studiare le opere di scrittori e artisti dell’antichità, è perché la civiltà cristiana, nei secoli, in particolare attraverso il monachesimo, ce le ha tramandate, consapevole del loro valore perenne; chissà cosa sarebbe successo se i moderni “laici” nazisti, comunisti o illuministi avessero potuto portare a compimento la loro opera di pulizia etnica politica, filosofica, artistica! --------------Caro lettore, innanzitutto grazie delle osservazioni: sono contento che un articolo che tratta di documenti del passato possa aprire un dibattito sui rapporti tra religione e società e sul valore dei beni culturali. Non contrapporrei però il pensiero religioso, ma quello dogmatico, al pensiero laico: come scrive lei esistono dogmatismi non religiosi; ed io aggiungo (per fortuna) esistono religiosi non dogmatici. Scrivendo «i cattolici di oggi... convivono.. .con la società laica» intendevo dire che convivono con altre persone con atteggiamenti di pensiero diversi, all'interno di un unico contenitore. Senza dubbio, anche i regimi da lei citati hanno compiuto scempi in nome di un bene superiore e magari gli esecutori materiali sono stati dei fini intellettuali, ma è proprio questo il punto: una società laica come la nostra può condannare l'attacco alla cultura perpetrato dall'ISIS (e guardare con rassegnazione alle distruzioni del passato), proprio perché abbiamo condiviso tra noi che la tolleranza è un valore e che la democrazia è rispetto delle minoranze, non dittatura della maggioranza. Solleva in me qualche perplessità la difesa del gesto di Camadini: prima di tutto perché dubito che gli eventi storici vadano difesi o attaccati; ma soprattutto perché presentare il suo gesto come necessario in una "società ormai cristianizzata" rischia di portarci a conseguenze non volute: la distruzione dei Buddha di Bamyan ad opera dei Talebani, non era forse, "in una società ormai islamizzata", finalizzata a "cancellare un riferimento a riti proibiti"? E il giorno in cui vivremo in una società “scristianizzata”, dovremo scalpellare la Pietà di Michelangelo? Spero di no. Camadini e Borromeo non potevano conoscere il concetto di bene culturale; ma giusto poco prima di loro, numerosi umanisti, spesso cattolici zelanti, si erano prodigati per salvare le opere dei classici (pagani!) dalla dispersione. Un moderno umanista è stato, in questo senso, Khaled al Asaad, direttore del sito archeologico di Palmira: non conosco la sua religione, se ne aveva una, ma di sicuro non adorava Bel o Baalshamin; eppure per salvare le loro statue, ha sacrificato la sua vita. Pur nella tragicità del fatto, considero la sua azione un segno di speranza per l'umanità. (i.f.) VALLE DELL’INFERNO: CRESCE LA MOBILITAZIONE CONTRO LA CENTRALINA, VALZELLI TACE INBRE di Breno: interessi intoccabili? di Margherita Moles e Alessio Domenighini E finalmente siamo ad una svolta. La battaglia contro l'ennesimo scempio ambientale costituito dalle centraline ha subito un'impennata dopo un'adeguata preparazione. Parliamo delle azioni contro la costruzione della centralina nella Valle dell’Inferno, la “Resio Alto”, nei territori di Esine e Gianico. Uno scempio reso possibile da una delibera di Giunta della Regione Lombardia che per la prima volta ha deciso di permettere la costruzione di una centralina, anche in un'area a protezione speciale (ZPS), in contrasto con norme nazionali e direttive europee. Se venisse realizzata, sarebbe la prima volta in Lombardia, da quanto sappiamo. Si è fatta una capillare informazione, compreso il volantinaggio a Darfo durante la festa di S.Faustino. La popolazione era già stata coinvolta con la raccolta di oltre seimila firme. Nei giorni scorsi si sono fatte tre assemblee popolari a Darfo, Gianico ed Esine. Sono state partecipate; alla Sacca di Esine, l’ultima in ordine di tempo, si sono contate 160 presenze. L’informazione sta passando e la reazione si scalda. In ognuna delle assemblee è stato presentato il progetto, in modo articolato e dettagliato, anche nella nuova versione definitiva. Esso è stato messo a punto da due progettisti per conto della finanziaria INBRE di Breno: si tratta dell'ideatrice di questo investimento che, conto economico alla mano, presuppone un grande ritorno finanziario, grazie agli incentivi statali, mentre ignora il danno ambientale per questa nostra Valle. Fra gli azionisti della società alcuni imprenditori importanti della Valle e varie rappresentanze del mondo cattolico. Che poi tra i principali azionisti di questa società ci sia anche la Fondazione Tovini, da sempre esempio di traduzione sociale dei valori cattolici, dimostra che "le palanche" sono una specie di dogma prioritario e intoccabile. Nell'assemblea di Gianico, è uscita l'idea di realizzare una manifestazione pubblica at- traverso una marcia da Gianico alla Sacca, sabato 2 aprile, avente lo scopo di dare una chiara visibilità sociale al problema: un po' come si è fatto per impedire l'altra distruzione ambientale, costituita dal progetto di inceneritore di materiali di amianto. Nel frattempo le associazioni e i gruppi che si oppongono alla centralina hanno iniziato degli incontri con le istituzioni del Territorio che saranno chiamate ad esprimere il loro parere nella prossima Conferenza dei Servizi per la Valutazione di Impatto Ambientale. Si sono svolti incontri con la Comunità Montana e la Provincia. Mentre in Provincia è stato possibile presentare le loro ragioni, c’è stato ascolto sul tema specifico, anche se nessun impegno è stato preso dall’istituzione, l’incontro con il Presidente Oliviero Valzelli a Breno è stato deludente. Nessuna volontà di entrare nel merito dei ragioni da portare, progetto alla mano, sottovalutazione della contrarietà esplicita dei due Comuni interessati e della opposizione dei cittadini con 6 mila firme raccolte, nessun interessamento ufficiale del Direttivo, ancora da convocare sul tema. Mentre si attende una risposta formale, ancora da venire, dal clima e dalle parole spese sembra chiaro l’intento di non volere opporsi agli interessi della INBRE. Speriamo di essere smentiti! BIENNO: BORGO DEGLI ARTISTI: CREATIVI CONTRO IL COMUNE Art of SOOL sfrattati: perché? di Stefano Malosso Da qualche anno a Bienno è attivo Il Borgo degli Artisti, progetto di residenze d’artisti locali e nazionali che sono ospitati nel borgo e chiamati a produrre sulla base delle stimolazioni e delle contaminazioni fra i diversi background artistici e i segni della Valle Camonica. Ma a che punto è un progetto di tale complessità? Nei giorni scorsi qualche crepa è emersa nello sfogo social del collettivo artistico Art of SOOL, un gruppo di giovanissimi creativi che si è fatto notare per lavori di grande valore che hanno attirato l’attenzione di molti appassionati del mondo grafico. «Ieri sera l’associazione Borgo degli Artisti Bienno, che ha come logo un nostro lavoro, di cui il presidente non è nemmeno un Artista, e di cui facciamo parte da più di 3 anni mentre lui no, ha ben pensato di buttarci fuori perché non abbastanza collaborativi»: così esordisce il post del collettivo, amareggiato per l’improvviso “sfratto” subìto, vero fulmine a ciel sereno. Quali le colpe? A parere del gruppo che gestisce il progetto, gli Art of SOOL sarebbero colpevoli di essere troppo isolati nel proprio lavoro, poco partecipi alle riunioni e poco propositivi verso progetti condivisi con l’organizzazione: eppure il ruolo dell’artista prevede soprattutto uno studio e una ricerca poco partecipata ma al contrario fondata su uno scavo solitario; inoltre, i SOOL da anni sono impegnati in molti progetti in varie location che li impegnano notevolmente. Non ci sarà allora, da parte dell’organizzazione, una scarsa conoscenza specifica dei meccanismi del mondo dell’arte? E inoltre: non si sarebbe potuto trovare un dialogo con gli artisti prima di approdare ad una rottura così netta? I dubbi rimangono. Nel frattempo la situazione è in stallo, con il Sindaco Maugeri che si è impegnato a ricucire lo strappo e trovare nuovi spazi e nuovi progetti all’interno del paese per i SOOL. In attesa degli sviluppi, rilanciamo alcuni quesiti posti dai giovani artisti nel loro post facebookiano: «Perché il Comune non paga anche a noi l’affitto come agli altri artisti essendo che abbiamo deciso di trasferirci proprio a Prestine 3 anni fa per far parte di questo gruppo? Perché il Borgo degli Artisti di Bienno ha come presidente un ex animatore del Grest? Perché il Comune di Bienno continua a pagare questi artisti senza spingere gli artisti del proprio territorio che vivono davvero di arte e necessitano di questo spazio?». E infine, rivolgendosi direttamente al Sindaco Maugeri, «Perché Bienno supporta i veri artisti viventi della Valle Camonica cacciandoli via?». «si lascino votare i negri, essi diventano degni del voto; si affidino alla donna delle responsabilità, essa sa assumerle; ma non si può aspettarsi dagli oppressori un movimento gratuito di generosità» (Simone De Beauvoir) marzo 2016 | |5 SINDACALISMO VALLIGIANO (E NON SOLO) ALLO SPECCHIO Dal marxismo all’... autismo di Tullio Clementi Francamente non so se fare il sindacalista oggi è più complicato di quanto non lo sia stato ieri (molto probabilmente lo è meno di quanto lo potrà essere domani). Piuttosto complicata, però, s’è rivelata l’ipotesi di una recensione dell’ultimo libro pubblicato da Mimosa, la società editrice del Sindacato pensionati della Lombardia: “È complicato fare il sindacalista oggi” (sottotitolo: “Stare nel territorio: generazioni a confronto nella storia della Cgil Valle Camonica-Sebino”), a cura di Erica Ardenti e Alessandra Del Barba. Complicato per almeno due ordini di ragioni: perché di “storico” – eccezion fatta per la lunga biografia personale del segretario dello Spi-Cgil camuno-sebino Domenico Ghirardi – c’è ben poco, come afferma la stessa Erica Ardenti durante la recente presentazione al “Due Magnolie” di Piamborno: «Se si fosse voluto un libro storico ci sarebbe stato bisogno di altri testimoni e probabilmente di altri autori» e, quindi (la seconda ragione), la scelta dei “testimoni” si presume determinata da altre esigenze, fra le quali non sembra comunque secondaria quella di mettere più “generazioni a confronto” (anche se non propriamente sul piano storico). In tal senso, dunque, c’è solo da aggiungere che dovendo “fare il vino con l’uva che c’è”, come recita un vecchio adagio, le autrici hanno saputo ricavare un ottimo prodotto. Un prodotto al quale attingo volentieri, nell’intento di proiettare qualche riflessione – senza alcuna presunzione “storica” neppure nel mio caso – tra i due estremi emersi nel corso del confronto: dall’adesione al sindacato per «fede politica e non per bisogno», come ricorda Luciano Tarzia, fino al disincanto di Cristian Meloni, per il quale «si torna tutti nel proprio individualismo e lì finisce. Faccio l’esempio di quello che è un dopopranzo: se una volta si formavano dei gruppetti in cui si parlava, oggi la percentuale più alta dei lavoratori se ne sta legata al proprio telefonino per quaranta minuti, per un aggiornamento in Facebook, un’altra parte è a gruppetti di due e poi c’è un gruppetto che vaga in cantiere in attesa della sirena. Oggi la situazione è questa». Dall’idealità marxista – ma anche cattolica – degli anni Sessanta ad una sorta di “autismo” nell’arco di un paio di generazioni! Nel mezzo ci stanno le ambizioni della “classe operaia” che tende a diventare “classe dirigente” sul territorio, come quando si trova ad un passo dal vincere la scommessa sulla priorità del trasporto ferroviario rispetto a quello su gomma: «e, alla fine, si riuscì con la Legge Valtellina a sostituire i binari, a rendere più sicuri i passaggi a livello, ad ammodernare le carrozze» (Vittorio Ongaro); ci stava l’obiettivo di «cambiare l’organizzazione della scuola», la cui impronta era «tutto sommato, ancora ispirata al Ventennio» (Liliana Fassa); ci stanno le esperienze di Saai Abderazak (più noto come “Andrea”) e di Joussef El Amrani, sbarcati in Europa dalle coste magrebine e dalla fine degli anni Ottanta «riferimento fondamentale per chi si reca agli sportelli migranti della Cgil»; ci 6| | marzo 2016 Nel mezzo ci stavano le ambizioni della “classe operaia” che tendeva a diventare “classe dirigente” sul territorio, come quando si trovò ad un passo dal vincere la scommessa sulla priorità del trasporto ferroviario rispetto a quello su gomma stanno giovani come Barbara Distaso, il cui primo approccio col sindacato avviene a Pavia durante gli studi universitari quando «avevo cominciato ad andare di sabato in Camera del Lavoro a fare volontariato allo sportello migranti»; e ci stanno molti altri giovani come Cristian Meloni, dal quale siamo partiti, ed altri (Paola Zanardini, Federico Pedretti, Donato Bianchi...) di cui non possiamo parlare per ragioni di spazio. Per altro verso ci stanno giovani intellettuali come Silvia Avallone che attorno alle ragazzine concentrate sul proprio ombelico od alle incoerenze dell’operaio iscritto alla Fiom che vota Forza Italia (siamo nel 2001, quando era ancora sulla cresta dell’onda), arrotonda il mensile con lo spaccio di droga e i furti di rame nelle acciaierie di Piombino in dismissione ci costruisce una fortuna editoriale: Acciaio, appunto, tradotto in una ventina di lingue. Particolare, quest’ultimo, che apre un’ulteriore riflessione: se i vari premi (Campiello, Strega, Flaiano...) possono anche prescindere da un puro e semplice percorso di merito, la traduzione in una ventina di lingue implica che vi sia un’adeguata platea di lettori in altrettanti Paesi. E qui ci sta un ultima irriverente domanda: che differenza c’è fra un libro che “tira” in misura formidabile perché infarcito di esasperazione individualista ed un post su Facebook che “tira” altrettanto purché non si parli di sindacato («Così ho cominciato anche a parlare di me, di una corsa fatta sul lago oppure di qualche altro impegno ma non di carattere sindacale», Cristian Meloni). Ergo: rientra in questa Weltanschauung, in questa “visione del mondo” anche l’opzione dell’... editore di non dedicare nel corso della mattinata neppure un pensiero al giovane Giulio Regeni che, «perfettamente consapevole dei rischi cui andava incontro scrivendo di una questione delicatissima come quella della condizione operaia in Egitto» (Luciana Castellina, il Manifesto), viene assassinato proprio in quei giorni? Ps: pochi giorni prima, al convegno di Breno sui “Dimenticati di Stato”, l’ex segretario della Cisl Savino Pezzotta affermava che «nelle democrazie, nella nostra democrazia c’è una malattia che bisogna estirpare in fretta ed è la malattia del conformismo, l’abbandono di ogni pensiero critico, l’adeguamento, l’adagiamento, il salire più in fretta possibile sul carro dei vincitori...». «La nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani». (Søren Kierkegaard) Le vignette di Altan, Staino, Ellekappa, Cinzia Poli, Vauro, Biani, Fogliazza ed altri, sono tratte dai quotidiani: Corriere della Sera, il Manifesto, Repubblica, Caterpillar AM., oltre che da vari siti Internet. COOPERATIVA SOCIALE Pro-Ser Valcamonica Onlus Piazza don Bosco, 1 - DARFO BOARIO TERME 0364.532683 pulizie uffici, scale condominiali, negozi, bar, ristoranti, civili abitazioni. Preventivi gratuiti! LAVA&STIRA-LAVASECCO a Gianico, Centro Mercato Valgrande a Pisogne, Centro Commerciale Italmark a Darfo, Centro Commerciale Adamello Maninpasta Produzione e vendita di pasta fresca, a Darfo (piazza Matteotti, 15) ADERENTE AL CONSORZIO SOLCO CAMUNIA UNA VICENDA DI UN SECOLO FA E I PREGIDIZI NEL DIBATTITO ATTUALE SUI MIGRANTI Noi, i profughi: ieri dalignesi oggi siriani di Ivan Faiferri IL DOCUMENTO Archivio del Comune di Vezza d’Oglio, Sezione Carteggio 1897-1968, b. 104, fasc. 3 [Sussidio ai profughi di Ponte di Legno (1915-1918)]. IL FATTO 153.842 sono i migranti arrivati in Italia nel 2015 dal Mediterraneo (fonte: Repubblica). C’è chi parla di una massa che farà collassare il sistema e c’è chi dice che si tratta di briciole per una popolazione, come la nostra, di decine di milioni di abitanti. Attraverso la storia che stiamo per ricordare, vorrei considerare due elementi: quale importanza abbia l’atteggiamento ideologico delle autorità che accolgono i migranti e in che misura sia vero che i migranti siano difficili da integrare a causa delle differenze culturali che ci separano da loro. Accendiamo il nostro (piccolo) riflettore su una vicenda molto vicina a chi scrive, ambientata a Ponte di Legno, tra il 1915 e il 1919 circa: quella dell’esodo di parte della popolazione comunale, in seguito allo scoppio della Grande Guerra (ringrazio il nostro Giancarlo, che qualche mese fa mi ha spinto ad interessarmene). Come molti sanno il paese di Ponte è stato raso al suolo dal bombardamento del 27 settembre 1917; era tuttavia stato evacuato, insieme alla frazione di Poia già dall’agosto 1915. I Dalignesi sfollati imboccarono strade diverse: alcune famiglie a Zoanno, dove si trasferì anche il municipio; altri a Breno; abbiamo notizie più copiose di un gruppo consistente (77 persone: 7 famiglie e alcuni individui separati dal proprio nucleo) che furono ospitati fino al 1919 nel Comune di Vezza d’Oglio. Scoppiata la Grande Guerra una parte della popolazione di Ponte di Legno venne ridistribuita in alcuni altri paesi camuni. Ai profughi era garantito il vitto, la possibilità di ricongiungersi alle loro famiglie, un sussidio minimo. Contrariamente ai moderni migranti, agli occhi delle autorità gli sfollati dalignesi erano di sicuro visti con atteggiamento positivo, in quando simbolo vivente della perfidia austriaca, cacciati dalle loro case a causa “dei cannoni nemici, di Franz Josef, il vecchio impenitente sanguinario”, come scriveva l’allora segretario comunale di Ponte di Legno (15-10-15). I documenti ci dicono che, ai nostri profughi, in quanto vittime dei torvi imperi, erano garantiti: il vitto, con razioni speciali che si sommavano a quelle già destinate alla popolazione di Vezza d’Oglio; la possibilità di ricongiungersi alle loro famiglie, qualora ne fossero stati separati; un sussidio minimo, non cumulabile. Pensiamo all’impatto che questo gruppo di persone può avere avuto sulla realtà di Vezza. Gli abitanti del paese erano circa 1.631 (dato ISTAT 1921). I Dalignesi sfollati erano pari quindi al 4,7% della popolazione. Se i migranti odierni arrivassero nella stessa proporzione, l’Italia ne dovrebbe ospitare circa 2.800.000. Eppure, la società locale non venne travolta. Una possibile obiezione a questo ragionamento è questa: l’accoglienza dei profughi Dalignesi da parte della popolazione di Vezza d’Oglio sarebbe stata enormemente più facile dell’attuale integrazione dei migranti, proprio per la vicinanza culturale tra i due paesi. Lingua, religione, costumi… i profughi di guerra sarebbero quasi totalmente sovrapponibili alla popolazione che li ha ospitati, mentre oggi tra migranti e paese d’arrivo, tutto diverge. È davvero stato così semplice? I documenti raccontano un’altra storia: una consistente parte delle carte del fascicolo sono solleciti e inviti più o meno minacciosi, da parte della prefettura, degli organi statali e del Comune di Ponte di Legno al Comune di Vezza d’Oglio, perché “i profughi… siano trattati alla stregua delle persone non produttrici del luogo” (Prefettura di Brescia, 1-02-1918). L’esempio ai miei occhi più eclatante è una lettera dell’Ispettorato Scolastico di Breno del 28-01-1916, che, dal momento che “i fanciulli di Ponte di Legno non sono ammessi alle scuole di codesto comune” prega il sindaco di Vezza di “accogliere i profughi in coteste scuole... per spirito patriottico e per sentimento umanitario”. Non basta dunque la vicinanza per rendere facile l’accoglienza: ma basta la lontananza per renderla difficile? Padre Gregorio di Valcamonica racconta che, durante la guerra del “Sacro Macello” (anni ‘20 del sec. XVII), una delle chiese di Vione fu adibita a luogo di culto ortodosso, per permettere alle truppe della Repubblica di Venezia provenienti dal Levante di praticare la loro religione. In questo caso l’integrazione sembra avere avuto un successo molto maggiore: sempre la stessa fonte ci racconta che il pope che accompagnava i militari al termine del soggiorno lasciò in dono un paramento alla parrocchia (cattolica) locale, segno che lui e i suoi correligionari si erano trovati bene, tra i Roi. SE IL PARTITO AUTONOMISTA CANCELLA L’AUTONOMIA Rizzi e le domande non gradite di Bortolo Pessognelli CONSULENZA PROGETTAZIONE E VENDITA DI SISTEMI INFORMATICI ANALISI E SVILUPPO SOFTWARE PERSONALIZZATO ASSISTENZA TECNICA Via Quarteroni, 16 25047 - DARFO BOARIO TERME Tel. 0364.535523 - Fax 0364.534788 Internet: www.ecenter.it e-mail: [email protected] Fabio Rizzi alcuni mesi fa è venuto all’Attivo dei delegati Cgil in quel di Piamborno a presentarci la nuova Riforma della Sanità Lombarda. Ci ha spiegato con un bel giro di parole, numeri e cifre, tutta la “bontà” della sua creazione. L’Asl camuna incorporata con l’Asl della Valtellina, con tutti i vantaggi che ne deriveranno. Alla fine della sua presentazione, possibili alcune domande tecniche. E siccome le mie non erano domande tecniche, non sono potuto intervenire. Volevo chiedergli come mai veniva cancellata per la Valle Camonica l’autonomia della Sanità, conquistata vent’anni fa con la mobilitazione di cittadini, istituzioni, sindacati e politici. Altra cosa: per la Sanità la fusione con la Valtellina va bene, ma per l’acqua e i canoni derivanti no? Non era il suo partito quello che voleva autonomia e indipendenza? Io non sono per il piccolo è bello, ma visto come vanno le cose penso: le risorse sono sempre meno, speriamo almeno che vengano divise equamente e la Valle Camonica non passi in secondo piano per ospedali e prestazioni. Comunque, vista la mia testardaggine, mentre Rizzi se ne stava andando, sono riuscito a esprimergli un mio pensiero: «Non so se con la nuova riforma andremo meglio o peggio di prima (chi vivrà vedrà), ma sono certo però di una cosa: arriverà il Mantovani di turno e allora addio risorse per i cittadini lombardi». La sua risposta: un sorrisetto, una pacca sulla mia spalla, nessuna parola. Che sentisse già odore di bruciato intorno a lui? marzo 2016 | |7 OL BARATÌ DÈLE HOMÉHE: UN SUCCESSO L’INIZIATIVA DI PIPERITA A COSTA VOLPINO I semi del sapere contadino sono ancora vitali di Andrea Bonadei Mai avevo trascorso un San Valentino così romantico e genuino: merito dei giovani dell’associazione Pipertota, solitamente operativi a Pisogne, che hanno proposto ed organizzato l’evento “Ol baratì dèle homéhe”, muovendosi tra scuole e oratorio della frazione Piano di Costa Volpino. Battezziamolo pure come un successo, questo mercatino di scambio di semenze e di saperi contadini. Si sono detti entusiasti le decine di contadini ed appassionati che hanno aderito, provenienti da Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Liguria, Toscana e anche dalla Svizzera; hanno portato nella nostra bassa valle semi, bulbi, piantine autoctone della loro terra, custodite con l’amore che si dedica alle cose rare e preziose. Visibilmente contenti erano anche i visitatori, che hanno scambiato qualche seme, ne hanno ricevuti in omaggio e si sono soffermati a chiacchierare con questi agricoltori riguardo alle proprietà o al corretto mantenimento di quella varietà di aroma, di cereale, di legume, di fiore… Nonostante la stanchezza del dopo, una bella soddisfazione per gli organizzatori, la cui intuizione e le cui competenze sono state giustamente premiate, nonostante il meteo uggioso. Unicum nel panorama camuno, questo appuntamento si colloca oggi all’interno di una rete di eventi simili (Ronco Scrivia: Rete Semi Rurali, Milano: Genuino Clandestino, Belluno: Gruppo Coltivare Condividendo). Spiegano i due giovani dottori agronomi del gruppo, Marco Monopoli e Paolo Trotti: «Da qualche anno in tutto il nord Italia stanno fiorendo eventi di questo tipo, dove i nonni e i contadini conservano sementi originali e le rimettono in circolo, restituendo vita a varietà che stavano scomparendo dalle vallate alpine. Trovando collaborazione dall’amministrazione comunale di Costa Volpino, abbiamo voluto e potuto portare questo evento nella nostra valle, che fino a 70 anni fa offriva un meraviglioso fondovalle caratterizzato da un mosaico di colture di ogni tipo (grano, orti, piante da frutto, prati a sfalcio, ecc.). Ci proponiamo di sensibilizzare le persone su molte tematiche tipiche del periodo che stiamo vivendo: eccessivo consumo di suolo e abbandono del lavoro agricolo in montagna, con conseguente avanzamento del bosco nei prati che, fino a qualche decennio fa, venivano periodicamente sfalciati. Noi speriamo che un evento come questo non solo diffonda un’immensa fonte di sapere su come coltivare e conservare certe semenze di ortaggi (sperando che la gente smetta di acquistare le bustine di semi industriali nei consorzi o nei centri commerciali), ma possa anche sensibilizzare la popolazione verso un maggiore rispetto nei confronti di quel poco suolo agricolo che, oggi, rimane sul fondovalle della Valle Camo- IL GRAFFIO Piccata replica di Tomasi al retroscena pubblicato da Graffiti. Non voleva proprio che si sapesse in giro. Gli elettori non lo dovevano sapere. Tomasi che incontra un gruppo di ambientalisti. Inaudito. 8| | marzo 2016 «Vogliamo diffondere il sapere su come conservare certe semenze di ortaggi, spingendo la gente a non acquistare più i semi industriali nei centri commerciali ed essere rispettosa del poco suolo agricolo rimasto sul nostro fondovalle». nica. Ahinoi spesso sostituito da qualche area industriale inutilizzata o da abitazioni vuote». Proprio in quest’ottica informativa e di sensibilizzazione si sono collocate due iniziative collegate: gli incontri con alcune classi di Scuola Primaria del territorio (in bella evidenza i loro cartelloni appesi sulle pareti del plesso ospitante l’evento) e la “tavola rotonda” del pomeriggio di Domenica 14 febbraio, che ha radunato agricoltori di tutte le valli a confronto sullo specifico tema del recupero dei creali alpini. Buoni spunti raccolti dal gruppo “colture rupestri” della Valle Camonica, che ha lo scopo di recuperare terreni agricoli abbandonati e impiantare cereali antichi, che si prestano a crescere in terra camuna, come l’orzo, la segale, il grano saraceno della Valtellina. Ai visitatori è sembrato di trovarsi protagonisti di un film in bianco e nero, ambientato nelle vecchie case dei nostri nonni, quando, a fine raccolto, si radunavano e discutevano di quali semenze conservare per l’anno successivo, quali crescevano bene anche in pendenza o quali rendevano bene anche con poca acqua. Tutte piccole informazioni che non si trovano sui siti internet ma che, se si vogliono salvare, bisogna andare a ricercarle in chi coltiva ancora varietà antiche. Ma non era affatto la sensazione di una pellicola morta, superata: appariva più come cinema realistico e d’autore, quello che ha e dà vita nonostante il logoramento del tempo e delle tradizioni buone delle nostre comunità. IL CIELO DI CARTA di Andrea Curnis Brudà la ègia In Valle Camonica, la semplicità contadina e le deformazioni causate dalla vita isolata di campagna furono indizi della presenza del diavolo. Quando l’inquisizione arrivò, nel XVI secolo, prova fatale costituirono i riti pagani ancora praticati dalla maggior parte di popolazione. Nel 1498 gli statuti Camuni iniziarono a prevedere il reato di eresia. Dal 1505 al 1521 fu caccia alle streghe: barbaramente uccise, centinaia di persone ebbero la colpa di compiere malefici attraverso i riti tramandati per secoli. Divenne famoso in tutta Italia il Passo del Tonale dove si sarebbero trovati i festival diabolici chiamati “sabba”. La targa commemorativa sulla torre di Sonico recita: «in memoria dei Federici di Sonico accusati di eresia e delle vittime dei roghi per stregheria, nel sedicesimo secolo, in Valle Camonica». I camuni, d’altro canto, non si curano troppo della storia che scorre. Come roccia si lasciano scalfire ma non modellare. Celtica è la tradizione ancora diffusa de “il rogo della vecchia” che molti pensano essere caricatura della caccia alle streghe. Addossare a un fantoccio di forma umana le colpe collettive e bruciarlo nell’augurio della bella stagione è usanza ben più antica: arrivata, come l’albero di natale, ai giorni nostri. Da due anni, di giovedì grasso, i ragazzi della Beata (frazione di Pian Camuno) inscenano nel salone sotto la chiesa il “Processo alla vecchia”, dove l’imputata è accusata di tutti i mali dell’anno passato. Il successo di pubblico e le risate sono il preambolo per il rogo del pupazzo presso l’oratorio. L’obiettivo della commedia è lampante: festeggiare una tradizione, declinarla al passato recente della stregheria e vederla con gli occhi della modernità dove la diversità è molte volte capro espiatorio di paure e colpe altrui. Diceva Voltaire: «Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle». dalla prima pagina IL SECONDO. La politica, certa politica anzi, ancora una volta fa cordata con l’affarismo e l’illegalità (“brutte bestie” che stanno anche nella società civile, quindi, e nel mondo degli affari). “Contributi” elettorali e tangenti alla persona accettati con la stessa cinica disinvoltura. Personaggi non minori, ancora una volta, di vertice, stretti collaboratori del Presidente Maroni come il consigliere Rizzi, padre e banditore della recente riforma, volto noto anche da noi. (E si pensi quanto sconcertante risulti immaginarlo a stipare pacchi di banconote nel freezer di casa per quanti lo hanno conosciuto in un impegno di tale importanza!!!). Il tutto a pochi mesi dall’arresto di un altro stretto collaboratore di Maroni, l’assessore, sempre alla sanità, Mantovani! E ancora una volta tocca alla Lega, dopo Bossi e famiglia, dopo il tesoriere nazionale, dopo i diamanti e la laurea comprata del “trota”. Destino beffardo, dopo la stagione delle ramazze impugnate da Maroni e Salvini. A dimostrare che più dei proclami servono prevenzione e controlli, con legislazione e meccanismi realmente efficaci. La qual cosa ci porta al punto successivo. IL TERZO. A far scoprire il tutto, il monopolio di fatto e gli appalti pilotati che stavano alla base delle prestazioni odontoiatriche comprate dalle ASL lombarde, non è stato un eccezionale ed eroico Sherlock Holmes. Ma una signora comune e perbene, che sa far bene e con onestà il suo lavoro di commercialista e revisore dei conti dell’ASL. Eccezionale quindi solo e unicamente perché vuole far bene e correttamente il compito per cui è stata nominata. E che tanti, troppi, revisori dei conti di Enti pubblici fanno invece pro forma e con la prevalente preoccupazione di non disturbare il manovratore, ovvero quegli stessi ambienti da cui dipende la loro nomina. È dal suo rigore morale che son partiti i controlli del magistrato e la scoperta del bubbone. È questo terzo dato che ci fa capire l’antidoto più efficace ad uno stato di corruzione che ci vede ai livelli più disonorevoli della graduatoria: l’impegno dei singoli, dei tanti singoli che ancora non si rassegnano, a far ognuno la sua parte con competenza e rigore, per quanto gli compete nel suo ruolo. Come la signora revisore di cui sopra, che ha rifiutato il comodo fair play (o l’indifferenza, o la negligenza, o la connivenza, fate voi) di quanti suoi colleghi, nelle diverse ASL dei tanti appalti ora discussi, non hanno notato o verificato l’irregolarità delle gare. Non aiutata certamente dal considerare che, con le sue denunce, metteva in difficoltà quel mondo politico amministrativo da cui molti revisori, lei stessa certamente, traggono nomina e quindi guadagno. Sganciare sempre più e meglio il controllore dai condizionamenti – diretti o indiretti – del controllato, è altra elementare esigenza. Che consente di poter contare non solo sugli eroi. Infine la politica, che, se non la si vuole lasciata agli eroi, o ai ricchi e ai profittatori, va messa in condizioni di finanziarsi correttamente, anche con un misurato apporto pubblico. Ma soprattutto va “marcata stretta” dall’elettore, che deve punire elettoralmente con più nettezza il disonesto del suo partito o il suo stesso partito se non lo emargina. La fine delle ideologie potrebbe consentire oggi di dar forza ad una unificante “ideologia” di base, quella dell’onestà dell’eletto come requisito primo irrinunciabile. Se decidiamo di esser finalmente cittadinanza dignitosa e non tifoseria o clientela. UN LUNGO VIAGGIO VOGLIO FARE: FAUSTO BONOMELLI Il mio coast to coast australiano di Federica Nember Questo mese la mia rubrica la voglio dedicare a un trentenne camuno che è partito per il suo viaggio con le idee ben chiare: viaggiare lavorando e tornare a casa dopo aver vissuto la sua esperienza all’estero. Fausto Bonomelli decide di partire per l’Australia nel novembre 2014, qualche mese dopo aver preso la laurea in Storia Moderna, ottenendo un visto Working Holiday valido per un anno che gli permetterà di spostarsi per il continente australiano lavorando. Perché hai scelto di partire? Fondamentalmente perché credo che tutti dovrebbero provare l’esperienza di lavorare e vivere all’estero, anche solo per alcuni mesi. Io sono partito con la volontà di conoscere un posto nuovo sapendo che poi sarei tornato a vivere qui. Non sapevo quanto sarei stato via, tre mesi o due anni, l’importante era partire. In Valle Camonica avevo trovato lavori saltuari come educatore o come guida, nulla di stabile che mi creasse vincoli permanenti. Era il momento giusto per partire. Perché hai scelto l’Australia? Perché è facile trovare lavoro e fino a qualche anno fa lo era ancora di più. Oggi è un paese pieno di ragazzi europei che partono, come me, per fare un anno di lavoro e di scoperta. Purtroppo i datori di lavoro spesso sfruttano la cosa a loro favore, con il visto Working Holiday ad esempio non possono farti lavorare più di sei mesi, ma io sono riuscito lo stesso a pagarmi il viaggio con i soldi guadagnati lì. L’aspetto più entusiasmante è proprio questo: grazie ai lavoretti che trovi (io ho sempre lavorato nei ristoranti facendo dal cameriere al lavapiatti) puoi davvero girare tutto il continente. Sono atterrato in novembre in una cittadina a 150 km a sud di Melbourne e alla fine del mio viaggio, a maggio 2015, ero arrivato nell’estremo nord, a Darwin, passando per il deserto. È stato come i racconti di viaggio del coast to coast americano, sono partito con la mia ex ragazza e nel percorso ho conosciuto tantissimi giovani, condividendo le mie avventure con loro, perdendoli e ritrovandoli nelle tappe successive. Ho deciso poi di tornare quando ho sentito che la mia esperienza era conclusa. Hai trovato facilmente lavoro quando sei rientrato? Ho trovato lavoro nel giro di quattro/cinque mesi, quindi pensando alla realtà italiana di oggi direi che ho trovato lavoro praticamente subito! Pensi che il tuo percorso di studi ti sia servito per trovare lavoro? In Australia direi proprio di no, in Italia si. Oggi lavoro con Kpax come educatore e credo che sia la laurea triennale in scienze politiche a indirizzo storico sia la magistrale in storia moderna mi siano utili nel lavoro come nella quotidianità. Grazie ai miei studi ho acquisito una capacità di leggere i fatti storici che mi aiuta ad interpretare il passato ma anche il presente. E io riconsidero sempre più, ascoltando le esperienze di giovani che vanno, vengono, e a volte ritornano, le infinite possibilità offerte dal viaggio in sé, pentendomi di non aver colto l’occasione dell’Erasmus all’università, ma infinitamente felice della mia costante voglia di partire. FUOCO FATUO di Stefano Malosso Il giorno del giudizio È giunta a termine lo scorso mese la sesta edizione del Premio Letterario San Valentino del paese di Breno. Un appuntamento che in pochi anni è cresciuto a vista d’occhio: questa edizione ha infatti visto l’incredibile partecipazione di 420 aspiranti scrittori provenienti da ogni regione d’Italia e quest’anno persino dall’estero, solleticati dal titolo provocatorio “L’amore non esiste...” ricavato dalla hit radiofonica del trio cantautorale Fabi/Silvestri/Gazzè. Dopo un meticoloso lavoro di scrematura svolto dalla giuria guidata dal Prof. Giancarlo Maculotti, i migliori sei sono stati giudicati dalla ormai storica madrina dell’evento Maria Venturi, scrittrice e articolista di successo, che ha decretato infine il vincitore finale: a spuntarla è stato il camuno Diego Razzitti, 33 anni, di Angolo Terme, che lavora come educatore ma scrive da anni per passione. «Scrivo quasi ogni giorno, per mantenermi allenato e per dare una forma ai miei pensieri», ha spiegato Razzitti al folto pubblico presente al Palazzo della Cultura di Breno alla premiazione avvenuta lo scorso 13 febbraio. A colpire la giuria e la madrina del concorso è stato il tono ironico e decisamente sarcastico del suo “Il Giorno del Giudizio”: un lungo foglio, reso in immaginifico linguaggio che intreccia il più criptico burocratese a qualche capriola linguistica, che inscena l’arringa di un fantomatico tribunale («Sua Eccellenza l’Illustrissimo Supremo Giudice/Sialodato Sotuttoìo/del Glorioso Tribunale/ del Nuovissimo Impero») che condanna i grandi amanti protagonisti dei romanzi d’amore della letteratura di tutti i tempi, da Otello a Romeo e Giulietta, da Paolo e Francesca a Ulisse, da Renzo e Lucia a Ginevra e Lancillotto e via scorrendo, tutti condannati con l’accusa di aver inseguito una chimera effimera e utopica chiamata Amore. Così la scrittura, ora feroce ora umoristica, riesce a scardinare uno a uno i luoghi comuni della relazione amorosa con arguzia, eleganza e il gusto sempre guizzante dello sberleffo che fa ridere a denti stretti («Il signor Paolo Malatesta detto il Bello, nato a Verrucchio nel 1246 circa, forse a primavera, e residente in Gradara, professione nobiluomo, politico e cultore delle arti, attualmente domiciliato presso il signor Minosse, quinto piano sotterraneo riscaldamento geotermico puro»), dimostrando come senza stereotipi un buono scrittore possa fare di una piccola traccia un piccolo tesoro satirico. marzo 2016 | |9 LA RAVA & LA FAVA... PEZZO (PONTEDILEGNO) Prossima (inutile) realizzazione Un centro storico semivuoto e ruderi in bella vista e in contemporanea nuovo spreco di verde per la costruzione di ville bifamiliari di cui non si sente assolutamente il bisogno (si vedano le foto accanto). Il Comune stabilisca una legge chiara per tutti: si discuterà di nuovi piani di lottizzazione una volta risanati i centri storici. Intanto nessuno compri villette: le tasse sulle seconde case sono diventate una follia. E nessuno che distingua tra recupero dell’esistente e impropria invasione del verde. (gima) BENE, MA LA MENSA? La settimana corta di Mottinelli Pieno appoggio all’idea di Mottinelli di passare nelle scuole alla settimana corta (sabato libero). Sono serie le motivazioni sul risparmio per trasporti e riscaldamento. Ma sono ancor più serie le ragioni organizzative e didattiche. La costruzione dell’orario settimanale dei docenti diventa molto più facile e razionale: eliminato il mercato sotterraneo per avere il sabato libero, il giorno libero diventa per tutti il sabato. Punto. Non mi meraviglia l’opposizione delle famiglie: fanno i figli e poi li vogliono parcheggiare anche il sabato presso le istituzioni statali. Che imparino a riunire la famiglia almeno durante il fine settimana. Organizzino di andare assieme a sciare oppure a vedere una mostra o un museo o un luogo mai visto. Comodo delegare tutto alla scuola... I ragazzi hanno qualche ragione in più: temono il carico di compiti concentrato durante il fine settimana. La scuola si organizzi perché studio e compiti si distribuiscano nei pomeriggi di impegno scolastico. Per una scuola così, caro Mottinelli, ci vogliono le mense. Il risparmio va quindi concentrato nell’istituzione del servizio mensa. Una sfida non da poco. (gima) In Redazione: Andrea Bonadei, Andrea Curnis, Bruno Bonafini, Guido Cenini, Alessio Domenighini, Ivan Faiferri, Stefano Malosso, Valerio Moncini, Federica Nember, Gabriele Scalvinoni. Hanno collaborato: Fausto Bonomelli, Igor Gabusi, Giancarlo Maculotti, Arturo Minelli, Margherita Moles, Bortolo Pessognelli, Vincenzo Raco, Lorenzo Rosa, Lodovico Scolari, Corrado Tomasi. Impaginazione grafica: Tullio Clementi e Gabriele Scalvinoni. Disegni: Sabrina Valentini. Direttore editoriale: Michele Cotti Cottini. Direttore responsabile: Tullio Clementi. GRAFFITI via Silone, 8 (c/o Tullio Clementi) 25040 DARFO BOARIO TERME [email protected] www.graffitivalcamonica.it 10 | | marzo 2016 «... i razzisti dovrebbero essere (in teoria) una razza in via di estinzione. È esistito un patrizio romano che non riusciva a sopportare che diventassero “cives romani” anche i galli, o i sarmati, o gli ebrei come San Paolo, e che potesse salire al soglio imperiale un africano, come è infine accaduto? Di questo patrizio ci siamo dimenticati, è stato sconfitto dalla storia. La civiltà romana era una civiltà di meticci. I razzisti diranno che è per questo che si è dissolta, ma ci sono voluti cinquecento anni. E mi pare uno spazio di tempo che consente anche a noi di fare progetti per il futuro» (Umberto Eco, “Le migrazioni, la tolleranza e l’intollerabile”, in Cinque scritti morali) RITRATTO di Guido Cenini Alice Piccinelli C’era una volta, ma c’è ancora, una ragazza timida e riservata. Studiava ed otteneva risultati discreti. Sarebbe stata una buona maestra. No. Parte per l’Africa insieme a don Redento, prete scomodo che a Gorzone si sente troppo stretto. Si parte per l’Alto Kenia presso una delle popolazioni più povere del pianeta, i Rendille. Sono i tempi del volontariato puro, dell’impegno, della sofferenza, ma anche di tante soddisfazioni: i primi pozzi, le case, gli ambulatori, i bimbi da curare come infermiera come se non fosse stata all’Istituto magistrale. Sono i tempi in cui Alice conosce Giacomo, compagno per sempre, altro volontario. Generosità e volontariato sono termini che attraversano tutta la sua biografia. Una breve pausa nelle poste, al suo rientro in Italia, in attesa di un passo avanti nell’insegnamento. Allora è tempo di università e lavoro. Finalmente nella scuola media, quella di Artogne-Piancamuno, quella delle sperimentazioni, quella del gruppo di donne volenterose che si mettono a lavorare oltre l’orario, senza guardare al tempo ma agli obiettivi di promozione sociale e culturale. Sempre di volontariato si parla. Oggi, pensionata, ha assunto un altro impegnativo ruolo: consigliere comunale alle pari opportunità. Nasce così la Commissione Pari Opportunità, viene creato a Darfo il servizio di ascolto e assistenza per le donne che subiscono violenza (Sportello donne e diritti), vengono coinvolti studenti e insegnanti delle scuole superiori e le associazioni genitori per rilevare il peso del pregiudizio di genere nelle scelte formative di ragazze e ragazzi, viene costruito un legame tra la memoria delle passate generazioni di donne (le sarte) e le giovani che frequentano in Valle la scuola per modelliste, viene riconosciuto valore all’operare delle donne nell’arte (Donarte 6-8 marzo 2016). Ogni anno a Darfo il 25 novembre una fiaccolata ricorda la giornata mondiale contro la violenza sulle donne e per l’8 marzo un calendario di iniziative celebra la “ricchezza” che il femminile porta in vari campi: il sociale, la cultura, l’artigianato, l’arte. Ormai non c’è manifestazione al femminile a Darfo e dintorni dove non ci sia lo zampino di Alice. A marzo Graffiti ha scelto una donna per il ritratto, viva e vegeta, anzi vivace ed attiva. Ma non deve essere solo un mese, quello dedicato alla donna, lo sia tutti i giorni e tutti gli anni. Alice non si presta al volontariato solo un giorno all’anno e neanche un mese: sempre! RECENSIONI di Tullio Clementi Su e giù per la Valcamonica guardando dal finestrino Titolo: Verbigerazione Autore: Giorgio Zendrini Editore: Liberodiscrivere Mino Martinazzoli apre i suoi Pretesti per una requisitoria manzoniana con una libera interpretazione di Blaise Pascal («Tutto il male comincia quando uno decide di uscire dalla sua stanza»), per poter aggiungere che «non c’è bisogno di uscire, basta stare alla finestra». Fin troppo trasparente la chiamata in causa di Xavier de Maistre che, “alla finestra” ci starà per ben 42 giorni consecutivi (i giorni da scontare agli arresti domiciliari nella sua camera di Torino), durante i quali compirà il suo Viaggio intorno alla mia camera, la cui chiosa finale sarà più un rimpianto che una liberazione («Oggi stesso, certe persone da cui dipendo hanno la pretesa di ridarmi la libertà: come se me l’avessero tolta! Come se avessero il potere di rubarmela un solo istante, e d’impedirmi di percorrere a mio piacimento il vasto spazio sempre aperto, dinanzi a me! Mi hanno vietato una città, un punto; ma mi hanno lasciato l’universo intero...»). Giorgio Zendrini esce invece dalla sua camera, ma non più di tanto: quanto basta per scendere da Cevo a Cedegolo, prendere il treno e fare un viaggio fino a Brescia e ritornare nella sua intimità valligiana. Un viaggio da cui trae spunti e appunti – come già fatto a suo tempo da Ugo Calzoni per il suo Camuni, recensito su queste stesse pagine – che riverserà con lucida meticolosità nella sua Verbigerazione, dove “sente” la storia delle origini («è un tono primitivo, è ritmo, è picchiettare di pietra su pietra, di metallo su pietra...»). “Sente” il lavoro alienato dei reclusi nei capannoni e nelle officine della Valcamonica, e “sente” il lavorio costante – a volte dolce, a volte impetuoso – dell’acqua che trasforma e modella uomini e cose, prima di essere a sua volta addomesticata e costretta al silenzio entro piccole e grandi tubature d’acciaio («e, quando termina di generare profitti, provano a “decantarla” nei musei: l’oro bianco a cultura»). Acqua, bene pubblico/privato, scrive ancora Zendrini, ovvero: «Una contraddizione che è al cuore del capitalismo contemporaneo». E ce n’è pure per la scuola privata, «canale preferenziale per i figli delle classi privilegiate (impiego sicuro)», grazie alla quale «futuri manager e politici saranno ben istruiti, preparati e agguerriti, pronti a sostenere lo scontro tra civiltà. Essi si daranno pane e lavoro (e agli altri impoverimento generale)». Ed infine il ritorno. Il ritorno del treno da Brescia ed il ritorno dell’architetto all’ovvio – alla «ed ecco riecheggiare il racconto del “vecchio” che non si limita a vedere, ma “sente”». nostalgia? – nell’abitare e nel costruire. Dulcis in fundo, non poteva mancare il conflitto – generazionale e culturale – tra il vecchio pastore che va a svernare col suo gregge nella “bassa” e gli immotivati giovani studenti del Terzo Millennio. Dalla finestra di una camera alla carrozza di un treno... Ma l’osservatorio verso “l’universo intero” – purché si abbia la capacità di lanciare lo sguardo al di là del nostro ombelico senz’altro limite che non sia la smania si conoscere (“di sentire”, scrive Zendrini) – è immenso, come hanno saputo mostrare autori della statura di Jack Kerouac («Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati». «Dove andiamo?». «Non lo so, ma dobbiamo andare»), in Sulla strada o, per altro verso, Roberto Maynard Pirsig con Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, ovvero, un viaggio nelle lande dell’America e della mente umana. Curioso, in tal senso, l’approdo del laico Giorgio Zendrini alla cultura Zen: un approdo tanto... fideistico da convertirlo nientemeno che in un monaco buddista. Un’ultima considerazione sulle frequenti e non brevi intrusioni dialettali nel libro di Zendrini. Le mie perplessità in tal senso sono note (che senso ha nominare le cose in dialetto se le cose stesse ormai non ci sono più?), tuttavia, grazie al contributo di Elvira Muicic, incluso nella parte finale del libro, ne escono con qualche dubbio in più, soprattutto perché «le verbigerazioni del vecchio sul treno [il narratore] si alternavano in due lingue. Ho affrontato così le parti del testo in dialetto: le leggevo ad alta voce [ed ecco riecheggiare il racconto del “vecchio” che non si limita a vedere, ma “sente”], sorprendendomi ogni tanto nel trovare una parola che conoscevo, o un suono che sapevo riprodurre, un arrotolarsi della lingua diverso...». E qui, le insistenti intrusioni dialettali nelle verbigerazioni di Giorgio Zendrini ci riportano fatalmente ad apprezzare anche La lingua di Ana, il terzo racconto storico-biografico della giovane scrittrice italo-bosniaca. VALCAMONICA EXPRESS di Igor Gabusi Da Villadalegno a Vione In un pomeriggio di inverno, senza neve, camminiamo da Villa Dalegno a Vione per il vecchio sentiero che collega a mezza costa della montagna i due paesi, lontano dal traffico della statale. Imbocchiamo il sentiero nei pressi dei ruderi di un antico lazzaretto, memoria della peste del Seicento. Fuori dal paese il sentiero si snoda tra prati assolati. Un muretto a secco che sostiene la montagna ci accompagna, interrotto qua e là da piccoli boschi selvatici. Il lento camminare e la posizione panoramica del sentiero ci permettono di ammirare la valle, il serpente delle piste da sci bianche fra il nero degli abeti senza neve. Le cime del monte Avio e il corno del Pornina sembrano adagiarsi sui prati bianchi di neve del Monte Calvo. Il loro profilo ricorda quello del massiccio dello Sciliar, in Alto Adige. Mentre le cime sono bianche , i prati ai margini del sentiero sono gialli, ricordo della calda estate passata e di questo strano inverno. Incontriamo molte piante a foglia caduca; qualche salice nelle zone più umide, qualche ciliegio con la corteccia scura, ma soprattutto il frassino, in esemplari singoli o in piccoli e selvatici boschi che hanno riempito vecchi terreni non più coltivati. Una pianta antica il frassino, dal legno solido usato sin dai tempi più antichi per i manici degli utensili dell’era neolitica. Qualche chilometro più avanti entriamo a Temù; passiamo vicino a vecchi muri costruiti pietra su pietra, a portoni sconnessi di legno massiccio con robusti catenacci arrugginiti e rustiche architravi. Qui il bosco e la pietra della montagna diventano porta, muro e casa. L’odore di vecchio fieno fermentato è passato che non passa; che non scompare neppure ora che molte volte la stalla è diventata un garage e il fienile un ripostiglio. Percorriamo un ultimo tratto di sentiero, entriamo nel fitto di un piccolo bosco con alberi giovani dai tronchi sottili e paralleli. Attraverso i rami scorgiamo la val d’Avio, e la cima Plem in lontananza. In poco tempo il bosco si fa più rado, e fra i rami questa volta vediamo un campanile. Siamo a Vione e la pietra, il bosco, il sentiero, ridiventano casa, portone, paese. «Le montagne si dovrebbero scalare con il minor sforzo possibile e senza fretta. La velocità dovrebbe essere determinata dallo stato d’animo dello scalatore. Se sei inquieto accelera. Se rimani senza fiato rallenta. Le montagne si scalano in un equilibrio che oscilla tra inquietudine e sfinimento. Poi, quando smetti di pensare alla meta, ogni passo non è soltanto un mezzo, ma un evento fine a sé stesso». Robert Maynard Pirsig, Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta marzo 2016 | | 11 ROSSO DI SERA di Giancarlo Maculotti Mortirolo, ma a queste condizioni Guido la mette sul comico. Non ha tutti i torti. Ma c’è poco da scherzare. Non basta dire no al tunnel del Mortirolo. Dobbiamo ripensare globalmente la viabilità della Alpi Centrali. Senza un quadro europeo potremmo (economia permettendo, ovviamente, sapendo che oggi non offre grandi possibilità) riempire di traforini le nostre montagne e non risolvere alcun problema. A mio avviso i valtellinesi non hanno tutti i torti. Bisogna ragionare sullo sbocco in Europa e non solo in termini campanilistici-valligiani. In un quadro strategico del genere può trovare di nuovo senso il traforo del Mortirolo che altrimenti rimane di per sé inutile ed incomprensibile. I valtellinesi oggi sposano l’idea del traforo dello Stelvio. Un passo avanti. C’è da dire che non hanno mai dimostrato in fatto di viabilità Il tunnel del Mortirolo può molta lungimiranza. Pensate che non hanno ancora avere senso se inserito in un le tangenziali di Morbegno e di Tirano! Una follia. piano serio di collegamenti Hanno cominciato ad intervenire sulla viabilità a nord verso l’Europa. Guardiamo (verso Bormio) e non a sud come sarebbe più logico. la carta geografica: tra È come se da noi tutto il traffico dovesse ancora attraversare Darfo e Breno... Robe da matti. Brennero e Gottardo c’è un grande vuoto. È fattibile il traforo dello Spluga anziché quello dello Stelvio? Ma ha senso pensare al traforo dello Stelvio in un quadro europeo? Quando i nostri politici di quarant’anni fa pensavano al buco sotto il Mortirolo lo vedevano per arrivare in Germania con una linea ferroviaria che arrivasse a Ulm. Pensavano in grande. Non avevano certo in testa che un costosissimo traforo servisse per andare a bere un caffè a Tirano o per prendere il trenino turistico del Bernina. Guardiamo la carta geografica. Lo stradario. Tra il Brennero e il Gottardo c’è un grande vuoto. Il Gottardo avrà la grande galleria ferroviaria di più di 50 chilometri e quindi riuscirà ad assorbire in parte un traffico che ora, nei giorni di punta, provoca code di decine di chilometri per entrare nell’attuale galleria a due corsie. Ma nei prossimi decenni non sarà sufficiente. Allora bisogna intervenire nel tratto che sta tra il Brennero e il Gottardo. Dico subito che il traforo dello Stelvio mi convince poco. Al di là dello Stelvio infatti siamo ancora distanti dalle grandi direttrici europee. E anche se lo fossimo non sarebbe opportuno andare a caricarle ulteriormente. Passare rapidamente lo Stelvio per arrivare a Glorenza (bellissima città medievale), guardare il campanile immerso nel lago dell’alta Val Venosta e poi non avere veloci collegamenti verso nord non ha molto senso. Il traforo dello Stelvio comporterebbe una serie di altri tunnel che puntano verso il Tirolo austriaco e la Baviera, altrimenti si è punto e d’accapo. Allora io propenderei per il traforo dello Spluga (tecnicamente non so quali difficoltà comporta, lo dico sinceramente) ma la logica mi porta lì. Per una serie di motivi: con un unico traforo si arriva a Coira e si è già sulla direttiva di Zurigo - sud della Germania (c’è già la linea ferroviaria e c’è l’autostrada che non è delle più trafficate). Arrivare rapidamente a Coira può essere di grande interesse per gli svizzeri dei Grigioni, per il lecchese, per tutta la Valchiavenna e per la Valtellina. E per i camuni? Anche. Purché i valtellinesi capiscano che cosa sono le tangenziali e una viabilità scorrevole almeno come quella della Valcamonica fino a Malonno. In quel quadro assume significato anche un traforo come quello del Mortirolo. In caso contrario lasciamo perdere Tirano e prendiamoci un buon caffè a Edolo. In attesa che il tunnel sotto Mu possa decollare. POST-IT Vecchi e nuovi abbonati all’ottava edizione della cena di Graffiti. La crescita del nostro mensile è sulle spalle di tutti i lettori: aspettiamo i vostri articoli e contiamo sul vostro impegno a far conoscere il giornale a colleghi, parenti, amici, compagni! RICETTARIO a cura del cuoco ZUCCHERO Miriam Cominelli è l’unica parlamentare bresciana che continua a interessarsi del disastro ambientale prodotto dalla SELCA di Forno d’Allione. PEPE Una segnalazione al contrario. Dov’è finito quel peperino onnipresente di Caparini. Sono mesi che non si legge niente su di lui o sue dichiarazioni. SALE Proprio nel mentre arrestavano Rizzi, Rixi, non so se ci sono anche Pixi e Dixi (come nei cartoni), mi è venuto in mente l’autore leghista della frase ROMA LADRONA che ancora si può leggere sui muri della SS 42 all’altezza di Montecchio. «Chi non ha principi morali si avvolge di solito in una bandiera». (Umberto Eco) IN AGENDA giovedì 31 marzo ore 20,30 Costa Volpino: Auditorium “Strani e stranieri”: l’Associazione Esserci riflette sui migranti Un ciclo di tre serate per ragionare «sull’impatto dell’arrivo di stranieri a casa nostra e delle nostre impacciate reazioni, che spesso ci rendono strani»: lo propone l’Associazione Esserci, attiva nell’Alto Sebino. A Costa Volpino l’ultimo appuntamento, con la dott.ssa Paola Gandolfi (Università di Bergamo, esperta di antropologia del mondo arabo e dei contesti migratori) e il dott. M. Khalid Rhazzali (Università di Padova, esperto di diversità culturale e comunicazione interculturale). sabato 9 aprile ore n.p. Cerveno, Museo Etnografico Ceto, Az. Agricola San Faustino Agricoltura biologica: proseguono le lezioni La concimazione naturale secondo il metodo bio» è il tema del terzo appuntamento del corso itinerante di agricoltura biologica promosso dal Bio-distretto di Valle Camonica, tra febbraio e ottobre. Una lezione al mese: il calendario completo è disponibile su www. biodistrettovallecamonica.it, dove ci si può anche iscrivere ai singoli eveneti. Bioedilizia, nuove imprese giovanili in montagna, apicoltura, formaggi d’alpeggio, viticoltura e tanti altri temi saranno toccati nell’ambito delle 10 lezioni. domenica Malegno, Municipio 10 aprile ore 6.00 Una giornata con l’Anpi a Montefiorino, per non dimenticare La Repubblica di Montefiorino è stata la prima in Italia ad alzare la bandiere della democrazia dopo oltre vent’anni di regime. In quei 600 chilometri quadrati a cavallo dell’Appennino modenese e reggiano dove abitavano circa 50mila persone si respira un’aria diversa nel ‘44. La risposta tedesca fu spietata: il 18 marzo ‘44 nazisti e repubblichini fascisti trucidarono 136 civili». Comune di Malegno e Anpi di Valle Camonica propongono un’occasione per visitare i luoghi e incontrare un testimone di quei fatti. Il pullman partirà alle 6 dal Municipio e rientrerà in Valle per le 17. Quota di partecipazione: 30 €. Iscrizioni: 329.1419114 12 | | marzo 2016