Marzo - Voli - Vallecamonica On Line

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Marzo - Voli - Vallecamonica On Line
“...incisioni eseguite con una punta su una superficie dura, per lo più mettendo allo scoperto un sottostante strato di colore diverso...”
REGIONE LOMBARDIA
Sanità &
malaffare,
ci risiamo
di Bruno Bonafini
Resta solo lo sconcerto di fronte all’ennesimo scandalo della sanità lombarda.
Perchè lo stupore, lo sdegno e le parole
conseguenti si sono ormai tutti consumati. Per eccesso d’uso.
La riflessione, allora, è meglio della retorica dell’esecrazione. E serve cogliere
e mettere in fila alcuni dati oggettivi,
specifici e di genere, sul caso singolo.
Quello degli appalti e della gestione
truffaldina dei servizi odontoiatrici del
servizio sanitario lombardo.
IL PRIMO. Ancora una volta è la sanità
il terreno sul quale il malaffare gioca le
sue partite di maggior lucro. La Regione Lombardia, che più di ogni altra ha
aperto all’iniziativa privata, più di ogni
altra offre casi clamorosi di corruzione
e di illegalità. Si sono esternalizzati (appaltati) servizi e accreditato un numero
abnorme di cliniche private e di laboratori di analisi, in nome della mitizzata
concorrenza tra pubblico e privato.
Spacciando l’elevato livello della sanità
lombarda, che già c’era, come frutto di
questa scelta che ha lasciato al privato
d’affari quasi la metà della spesa sanitaria regionale. Formigoni stesso, che
di questo processo è stato teorico e
attuatore, ne ha subito le conseguenze,
coinvolto negli appetiti degli affaristi
che la sua politica aveva attivato. Il caso
della Clinica Santa Rita di Milano, dove
si operavano malati che non ne avevano
bisogno per riscuotere i rimborsi regionali, è il monito più grave e orripilante di
come anche in sanità sia spesso l’offerta
a “creare” la domanda. Per le operazioni
come per le visite specialistiche o per le
analisi di laboratorio, visto il ruolo subordinato che quasi sempre il paziente
ha rispetto al medico. Il privato non è
solo efficienza e snellezza, insomma.
segue a pagina 9
LONTANI GLI ANNI IN CUI GRIDAVANO “ROMA LADRONA”
C’era una volta...
Con la Valtellina: traforo, cantone o cantonate? Il dibattito continua
di G. Cenini, G. Maculotti, A. Minelli, V. Raco, L. Scolari (pagg. 2, 3, 12)
Noi, i profughi: ieri dalignesi, oggi siriani
di Ivan Faiferri (pag. 7)
Il giorno del giudizio per il giovane scrittore Diego Razzitti
di Stefano Malosso (pag. 9)
Direzione, Redazione, Amministrazione: Darfo Boario Terme, Vicolo Oglio - Direttore responsabile: Tullio Clementi - Direttore editoriale: Michele Cotti Cottini
Autorizz. Tribunale di Brescia n° 3/92 del 10.01.1992. Spedizione in abbonamento postale, art. 2 comma 20/d legge 662/96 - Filiale Bs - Stampa: Tipografia Valgrigna, Esine
VERSO L’ENNESIMO ESPERIMENTO ISTITUZIONALE. E IL CIVISMO CAMUNO PARE IMPOTENTE
Cantone antistorico, decida un Referendum
di Vincenzo Raco
Le recenti riforme degli enti locali, nate con
la convinzione di allargare la partecipazione
democratica e migliorare la gestione della
“Cosa pubblica”, sono state in buona misura
disattese: si è creato un nuovo centralismo regionale; i Sindaci, dovendo rispondere in prima persona ai propri elettori, sono in perenne
lotta per il pareggio di bilancio del proprio
comune, subordinando ad esso ogni altro
interesse sovracomunale; i BIM e le Comunità Montane, diventate assemblee di Sindaci,
sono state progressivamente trasformate da
cabine di regia per lo sviluppo ad erogatori
di contributi. Che fare? Bisognerebbe avere il
coraggio di rivedere quello che non funziona
e adeguare di conseguenza i diversi livelli istituzionali esistenti, ad esempio i sovracanoni
dell’energia elettrica potrebbero essere erogati direttamente ai comuni di montagna e il
ruolo delle Comunità Montane rivisto alla luce
del nuovo ruolo dell’Ente Provincia, trovando
un sistema di elezione capace di rappresentare tutti i sindaci nella loro governance. Ma
purtroppo, come sempre, di fronte alla complessità del presente, è più facile la scorciatoia
dei nuovi modelli istituzionali, come quello
proposto dal Governatore Maroni.
A questo proposito mi ha colpito l’intervento
di Giancarlo Maculotti, non tanto per la sua
condivisione del progetto di Cantone proposto da Maroni, niente di nuovo, sono anni
che egli è fautore della “Montanità”, ma per le
ragioni che la motivano «esclusivamente politiche ed economiche».
Non condivido questa posizione per molte
ragioni, innanzitutto perché per un’ipotetica
possibilità di avere più soldi si è disposti ad
accettare l’ennesimo esperimento di “ingegneria istituzionale” senza alcuna considerazione per i cittadini della Valle Camonica che
da sempre gravitano su Brescia per lo studio,
il lavoro, il Tribunale, la Camera di Commercio, gli Ospedali e molti altri servizi. Come si
può continuare a legiferare senza tenere in
alcun conto i bisogni materiali delle persone
e quanto storicamente si è andato definendo
per soddisfarli? Su questioni cosi rilevanti si
faccia un Referendum!
Ma le affermazioni di Giancarlo sono preoccupanti anche perché denunciano un atteggiamento di sfiducia nella possibilità che i
cittadini della Valle Camonica siano in grado
ABBONAMENTO 2016
ordinario: 20 euro; sostenitore: 30 euro.
Gli abbonati sostenitori riceveranno in omaggio un libro
sulla Valcamonica.
Versare sul c.c.p. 44667335 (intestato all’Associazione culturale Graffiti), tramite l’allegato bollettino, oppure tramite Banca (IT89O 03599
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una grande risorsa per le prospettive di Graffiti!
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A che serve la retorica dell’identità
camuna se tutto viene piegato
alle logiche della maggioranza
che governa la Regione?
Il Civismo che regge la Comunità
Montana non è riuscito a costruire
una mobilitazione popolare sul
tema della Sanità.
di darsi strumenti democratici di autogoverno.
Di fronte alle difficoltà a governare i processi
di cambiamento in atto, alla crisi dei partiti e
della politica, alla litigiosità dei sindaci incapaci
di trovare un progetto condiviso, ci si arrende e
invece di analizzare le cause e trovare i rimedi,
ci si affida al nuovo modello istituzionale come
elemento salvifico per la montagna.
Inaccettabile poi è che si sia iniziato a prefigurare il Cantone partendo dalla Sanità. Infatti
l’ATS della Montagna che ha aggregato la Valle Camonica alla Valtellina e all’Alto Lario non
avrebbe alcun senso se non fosse funzionale al
nuovo assetto istituzionale previsto da Maroni.
Purtroppo anche in questo caso è emersa la
debolezza della Valle Camonica, il cui governo si regge su una maggioranza risicata di
Sindaci per la maggior parte espressione di
liste civiche. L’unico partito che orgogliosamente afferma la sua identità è la Lega Nord,
minoranza in Valle Camonica ma egemone in
Regione Lombardia, dove evidentemente insieme agli altri partiti di centrodestra ha approvato la riforma sanitaria e l’ATS della Montagna. Nessuna mobilitazione da parte del
PD, nessuna seria contrarietà da parte delle
Organizzazioni Sindacali, nessun pronuncia-
mento da parte delle molte Associazioni che
meritoriamente svolgono la loro attività in
Valle. Forse non si è capita l’importanza della
posta in gioco, oppure ognuno è ripiegato sul
proprio particolare senza alcuna capacità di
vedere oltre il proprio Comune.
Infatti, è singolare che sul “Tempio Crematorio” sia finita anticipatamente l’Amministrazione di Esine e quella di Berzo Inferiore ha visto
respingere la proposta dalla reazione negativa
dei cittadini e così per ogni intervento di un
certo rilievo che si intende realizzare nei Comuni, mentre sulle scelte compiute dalla Regione Lombardia e riguardano il futuro dell’intera Valle, nessuna reazione popolare se non la
manifestazione con marcia da Breno ad Esine
organizzata dalla Comunità Montana. A cosa
serve la retorica “dell’identità camuna” quando
tutto viene piegato alle logiche della maggioranza che governa la Regione Lombardia?
In questa vicenda sono emersi anche i limiti del “Civismo” che magari riesce a garantire
maggioranze risicate in Comunità Montana e
al BIM, ma è del tutto impotente nel costruire
momenti di partecipazione e mobilitazione popolare sui temi di interesse generale, come ha
dimostrato la manifestazione a favore dell’autonomia della Sanità camuna. Quale differenza
con la mobilitazione popolare del passato!
Non credo che in futuro ci sarà un peggioramento della sanità camuna: resterà quanto di
buono si è fatto fino ad ora, professionalità
e competenze di buon livello. Il problema è
che si spostano a Sondrio i centri decisionali
e come sempre, più si allontana il potere dai
cittadini, meno essi possono incidere sulle
scelte che vengono compiute e meno sono
evidenti le responsabilità.
PERCHÉ L’OSPEDALE DI EDOLO DEVE CONTINUARE A ESISTERE
Niente elemosine, abbiamo diritti
di Arturo Minelli (già presidente della Commissione Sanità della Regione Lombardia)
Le scelta di abolire la sezione di neonatologia, insostenibile per mancanza di personale,
e insediare la sezione di ortopedia, anche se
criticate in malafede da molti, di fatto consolidarono l’ospedale di Edolo e ne evitarono il
ridimensionamento.
Oggi servono decisioni urgenti e chiare che
mettano fine a problematiche esistenti da
anni. Anzitutto il problema del pronto soccorso che non si può sopprimere, pena la chiusura dell’ospedale. Il ragionamento «io do l’elicottero a te e sopprimo il pronto soccorso»
è inaccettabile. Siamo sinceri: non possiamo
avere il pronto soccorso di Esine o quello degli Spedali civili: non siamo così ottusi da non
saperlo. Ma un pronto soccorso di primo intervento e successiva decisione sul paziente,
aperto 24 ore su 24, deve assolutamente esserci. Ricordo per inciso che dal Tonale a Esine
vi sono circa 70 km.
Restino anche medicina, che va verso la lungodegenza, la piccola chirurgia, l’ortopedia e la
riabilitazione ed i servizi ambulatoriali esistenti.
Si dice che l’ospedale di Edolo costa troppo
e quindi occorre tagliare. Rispondo polemicamente con un piccolo ragionamento.
Puntando il compasso su Brescia, nel giro di
pochi km si trovano ospedali con specialità
qualificate: quei cittadini possono adire alle
cure, avendo anche possibilità di scelta tra
vari ospedali. E a noi vorrebbero togliere un
ospedale di frontiera. Sappiamo che saremo
sempre svantaggiati ma almeno il minimo
lasciatecelo e non confinateci in una riserva.
Se quel che dico significa chiedere o volere
troppo, allora lasciamo chiudere l’Ospedale di
Edolo. E ci si rassegni, diventerà una casa di
riposo un po’ più dotata e di fatto si fonderà
con l’adiacente casa Giamboni, dalla quale è
emanato peraltro l’ospedale.
Noi non andiamo a ricercare favori, siamo un
popolo di montanari fieri, avvezzi ad ogni sfida, pronti ad ogni evenienza. Non andiamo
a cercare elemosine. Abbiamo però diritto,
dico diritto, e lo eserciterò con grande rigore,
di essere trattati, nella sanità e in altri settosegue nella pagina accanto
CON LA VALTELLINA NON ABBIAMO RAPPORTI, MA VALE LA PENA AFFRONTARE QUALCHE DISAGIO
Con Sondrio, se avremo i soldi per la montagna
di Lodovico Scolari
Le insistite argomentazioni di Giancarlo Maculotti sull’opportunità che la Valcamonica sia
unita amministrativamente alla Valtellina, mi
inducono a qualche considerazione sull'argomento, anche nel ricordo degli anni della mia
gioventù che ho trascorso in collegio a Sondrio. Anni che mi hanno consentito di conoscere bene la Valtellina, dove ritorno spesso
in veste di turista perché questa terra mi piace
e mi ci sento un poco affezionato. Ho avuto
poi l'opportunità di esaminare e approfondire i
rapporti e gli interscambi tra le due valli, allorché la mia professione mi ha portato a dovermi
occupare di trasporti e comunicazioni per conto della Provincia di Brescia, e specificatamente
a partire dal 1992, quando per la prima volta si
ipotizzò il collegamento ferroviario tra le due
vallate, mediante il traforo del Mortirolo.
Queste mie esperienze e più in generale l'evidenza dei dati e dei fatti ci dicono che tra le
due vallate non esistono rapporti e scambi di
alcun genere, da quelli economico-commerciali
a quelli culturali e politico-amministrativi, né
sono mai esistiti in passato, fatta eccezione che
nei primi due decenni del dopo guerra, quando molti operai camuni trovarono lavoro nei
cantieri d'alta quota delle valli valtellinesi, nella costruzioni dei grandi impianti idroelettrici.
Nemmeno l'alta Valcamonica, le cui distanze da
Sondrio sono esattamente la metà che da Brescia, ha mai sviluppato significative interazioni
con la Valle dell'Adda, fatta eccezione che per
talune specifiche esigenze in campo sanitario.
Le ragioni principali di questa mancanza di
osmosi tra i due territori è da individuarsi
principalmente in due fattori: le disagevoli
condizioni dei trasporti e delle comunicazioni e le opportunità di lavoro e occupazione
che la Valtellina non offre, perché non le ha.
dalla pagina precedente
ri fondamentali della vita sociale, come ogni
altro cittadino, come ben dice l’art. 21 della
Costituzione: «La Repubblica tutela la salute
come fondamentale diritto dell’individuo e
interesse della collettività, e garantisce cure
gratuite agli indigenti». Agli indigenti: i ricchi
si possono curare dove ritengono, ma le classi
meno abbienti hanno il diritto di essere curate nel miglior modo dalle strutture sanitarie
pubbliche, le uniche accessibili per loro.
I contributi completi di Minelli e Raco sono
disponibili sul nostro blog.
Sulla riforma della Sanità e i recenti scandali
interviene anche Bortolo Pessognelli (a pag. 7)
Non c’è osmosi tra Valcamonica e Valtellina, soprattutto per
i trasporti e le comunicazioni
disagevoli. Ma l’ipotesi del Cantone va valutata seriamente se è
il mezzo per avere le risorse per
le politiche montane, che attendiamo da decenni.
L'importanza di vie di comunicazione e di trasporto adeguate sono un problema da non
troppo sottovalutare, perché i cittadini non
sì spostano in elicottero e perché il disbrigo
on-line delle molteplici esigenze burocraticoamministrative è cosa che è molto al di là da
venire, specie nelle nostre valli. Peraltro, v'è
da considerare che in caso di unificazione dei
due territori, come unica provincia, o cantone, o vasta area della montagna, o quant'altro
ancora ci si inventerà, i servizi e le funzioni in
essa ricompresi non saranno solo quelle attualmente esercitate dalle province, ma anche
quelle statali (prefettura, uffici erariali, agenzia
delle entrate, tribunali, Inps, Inail...) e di altri
Enti; e pertanto la mobilità viene ad assumere
un'importanza decisiva.
Le sopraesposte considerazioni, minimizzate e
anche un poco banalizzate da Giancarlo, porterebbero ad escludere o quantomeno a cercar di evitare l'accorpamento delle due vallate
in un'unica entità amministrativa; e questa mi
sembra di cogliere sia la sensazione più diffusa,
soprattutto in media e bassa Valcamonica.
E tuttavia, la questione dirimente che Giancarlo
pone, penso meriti considerazione: l'accorpamento con la Valtellina potrebbe equiparare la
Valcamonica alla valle dell'Adda nei benefici di
svariati milioni di Euro derivanti ogni anno dallo sfruttamento delle derivazioni idroelettriche
in concessione a Edison e Enel. La questione
è tutta e solo economica. Si potrebbero avere
le risorse per mettere in atto finalmente quelle
politiche organiche a favore della montagna e
delle sue popolazioni, che attendiamo invano
da decenni e che dallo Stato e dalla Regione
non arriveranno mai. L'istituzione delle Comunità Montane con la legge 1102 del 1971,
l'approvazione della prima legge quadro nazionale sulla montagna nel 1994 e la successiva
legge regionale attuativa n.10 del 1998 avevano acceso ogni volta nelle genti della montagna la speranza che fosse la volta buona, ma
puntualmente queste leggi sono state disattese o volutamente non applicate e intanto
la montagna si è andata via via impoverendo,
depauperando e spopolando.
E allora penso che dobbiamo seriamente mettere sul piatto della bilancia lo svantaggio di dover affrontare qualche probabile disagio, rispetto alla prospettiva di avere finalmente risorse
proprie da investire nel recupero e nel rilancio
sociale ed economico del nostro territorio.
AMBIENTE & DINTORNI di Guido Cenini
Io traforo, tu trafori, egli trafora...
Ogni due o tre anni al massimo riscrivo più o meno lo stesso articolo. Riguarda sempre il
Traforo del Mortirolo. Quando penso al traforo, personalmente, ripenso al periodo delle
scuole medie quando traforavo pezzi di compensato per farne porta oggetti di vario genere.
Qualcuno, mi sembra, è rimasto a quei tempi oppure non li ha vissuti e quindi li propone oggi
ma in tutt’altro senso. Non tagliare con seghetto, ma bucare montagne. Sempre di traforo si
tratta. Prendo spunto dalla lettera dell’assessore comprensoriale ai Lavori Pubblici e sindaco
di Paspardo. Stavolta però me la prendo comoda e con un po’ di ironia. Me ne perdonerà De
Pedro. Si parla di Traforo del Mortirolo e già che ci siamo del Traforo dello Stelvio e magari
anche del Tonale. A parte il fatto che non si riesce a trovare i soldi per allargare di qualche
centimetro i dieci metri della famosa galleria austro-ungarica di Edolo, non parliamo poi della
tangenziale in galleria ce dovrebbe togliere il traffico dalla cittadina di Edolo stessa. Che mi
sembrano anche le grandi priorità dell’alta valle. Ma ammesso che un colpo di fortuna, una
stravincita al lotto, una sbandata in consiglio regionale ed un’altra al dipartimento ANAS, cosa
ne facciamo del tunnel? Prendo atto e comincio a stendere delle ipotesi. Servono 2.300/2.500
passeggeri al giorno per ammortizzare il costo dell’opera. Pima ipotesi: spostiamo ogni giorno
tutti gli abianti di Edolo a Tirano, esclusi i neonati sino a tre anni, gli ultrasettantenni e i nonni
della casa di riposo. Vanno a vedere la Madonna di Tirano in pellegrinaggio. Seconda ipotesi:
mettiamo un vigile a Edolo che devia 2.500 sciatori che invece di andare a sciare al Tonale
li dirotta a Bormio che di piste ne ha una sola, quella della coppa del mondo di libera. Vuoi
mettere la pista dove ha vinto Paris e Hinnerofer! Terza ipotesi: Prendiamo tutti gli studenti
delle superiori, esclusi i forestali perché ce li abbiamo solo noi, e li mandiamo a studiare a
Sondrio, pendolari di natura, tanto a loro viaggiare di qua o di là fa lo stesso. Forse non bastano. Aggiungeremo quello del CFP di Edolo e di Ponte per chiudere il numero minimo. Oltre a
estetiscte e cuochi organizzeremo anche un corso di melicoltori e viticoltori, visto i produttori
di Melavì e di Sassella. Per i 386 milioni previsti per il costo dell’opera, non ci sono problemi:
vendiamo tutte le seconde case in Valle camonica e comperiamo in alta Valtellina, tra Bormio e
Livigno, così i turisti milanesi pagano tasse più elevate e e con la differenza si copre il costo del
traforo. Vabbè, inatnto hanno già cominciato ad aggregare l’AST di valle con l’ASST di Sondrio.
Progetto di tal Rizzi, consigliere regionale Lega, adesso un po’ incasinato (Maroni aveva promesso discontinuità con il Celeste Formigoni e soci della sanità). Poi viene avanti l’idea (se ci
sarà ancora qualche leghista in giro) di abbinarci al Cantone della Montagna, praticamente noi
attaccati al carro dei valtellinesi. Come vedete siamo sulla buona strada. O ferrovia?
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LETTERE & REPLICHE
MA SE DEVO SCEGLIERE TRA LA MIA VALLE E IL PARTITO DEMOCRATICO, SCELGO LA VALLE
Avete scritto idiozie che non ho mai pronunciato
di Corrado Tomasi (consigliere regionale Pd)
In merito al Vostro articolo “Rivelazioni
di Tomasi: Consigliere di se stesso (dopo,
naturalmente)” (pubblicato sul numero 255
di Graffiti, gennaio 2016), sono a precisare
quanto segue:
• quando si pubblica un articolo di
questo genere si dovrebbero riportare i
nomi e cognomi;
• andrebbe sentita la controparte;
• smentisco assolutamente di aver mai
affermato queste idiozie!
Approfitto per esprimere il mio parere in
modo stringato sull’argomento: come già
ribadito in molte altre occasioni, anche
in aula del Consiglio Regionale, se devo
scegliere tra gli interessi del partito e quelli
della mia Valle, scelgo la mia Valle.
Sono onorato di militare nel Partito
Democratico ed in riferimento al Vostro
articolo, nell’unico incontro fatto con un
gruppo di ambientalisti, mi sono trovato
a difendere l’operato del governo nazionale a guida PD.
Smentire si può, certamente, e doverosamente
Graffiti ne prende atto e pubblica la precisazione di Corrado Tomasi. Ma altrettanto correttamente gli tocca dire che il lettore della segnalazione, la “fonte” del pezzo, da noi prontamente
chiamato in causa, conferma la sostanza di
quanto è stato scritto, ovvero che alla domanda
sulla sua appartenenza al PD, il Consigliere
Tomasi ha affermato di rappresentare se stesso
dato che i voti in Valle li aveva presi lui e non
il PD. Affermazione, aggiunge il lettore, che
non ha sentito solo lui. Quanto al resto, sulla
stampa (lo siamo anche noi, nel nostro piccolo)
quasi mai si coinvolge nominativamente una
fonte, specie se si tratta di un cittadino non
aduso all’agone delle polemiche politiche, che
oltretutto aveva segnalato l’episodio solo per
manifestare il suo stupore (che comunque, nel
nostro caso, non ha motivo, alla bisogna, per
celarsi). E non sulle punzecchiture ma sui temi
importanti si interpella la controparte. E pure
sui temi importanti la verifica si fa solo quando
le affermazioni sono del tutto discordanti da
quanto del personaggio si conosce.
Siccome poi verba volant (a differenza degli
scritti che rimangono), la diatriba non ha
soluzione oggettiva. E continuerà a credere
alla smentita di Tomasi chi è convinto del
suo forte attaccamento al PD e alla sua azione politica, in Regione e altrove, piuttosto
che alla sua individualità. Mentre chi ricorda
e ha dato peso alle varie e non poche volte
in cui Tomasi si è distinto dal suo gruppo e
partito nel voto e nelle argomentazioni sarà
di opinione diversa. Graffiti quasi inesorabilmente finisce nella seconda categoria,
perché di queste scelte difformi, da battitore
libero di Tomasi rispetto al partito, ha buona
memoria, anche per averle spesso trattate
e criticate: dalla creazione (lontana ma non
tanto) del Movimento dei popoli alpini della
Valle Camonica (teso a escludere e superare
i partiti, compreso il suo) al voto difforme dal
gruppo in Regione su temi importanti come
il referendum prossimo. Ciò che ci ha fatto
ritenere credibile (coerente) l’episodio contestato, in aggiunta alla rispettabilità di chi ce
lo ha segnalato. (b.b.)
IL PARAGONE CON L’ISIS NON REGGE, PENSATE PIUTTOSTO ALLE DISTRUZIONI COMUNISTE
Camadini calibrato, fece danni a sua insaputa
di Lorenzo Rosa
L’autore dell’articolo “Distruggere la cultura:
400 anni fa come oggi” (pubblicato sul
numero 255 di Graffiti, gennaio 2016) parte
dalle recenti cronache di distruzione, già attuata o minacciata, da parte dell’Isis ai danni
di monumenti storici, per ricercare nella
storia analoghi eventi, al fine di sostenere la
tesi che la conoscenza non sempre basta a
produrre la tolleranza. E nel seguire questo
filo conduttore non trova di meglio che
scovare un episodio di 400 anni fa che vede
protagonista un sacerdote colpevole di avere
distrutto, su comando del suo superiore
card. Carlo Borromeo, una roccia su cui si
trovava un «incavo naturale o artificiale».
Conclude con “un messaggio di speranza”:
per fortuna i cattolici di oggi non sono più
come quelli di una volta, l’evoluzione c’è stata, anche se non completa: la convivenza con
la società laica è “relativamente” felice.
Sì, perché pare che sia la società laica il metro
di riferimento per giudicare se qualcuna ha
acquisito la patente di tolleranza, rispetto,
civiltà, maturità antropologica. Chissà perché
invece di riandare a un episodio di entità oggettivamente risibile, accaduto in un contesto
completamente diverso da quello delle distruzioni operate dall’Isis, Faiferri non ha pensato
di ricordare fenomeni di portata enormemente
più ampia, operati da regimi “laici”, come la
distruzione di opere d’arte e libri operata dai
regimi nazista e comunista o come le distruzioni compiute dal comunismo ai danni di edifici
e monumenti religiosi, trasformati nel migliore
di casi in caserme o depositi di munizioni.
Ma c’è dell’altro. Se non l’ha mai fatto, consiglio all’articolista di farsi un giro in Francia per
ammirare ciò che la neonata società “laica”,
emersa dalla Rivoluzione francese, icona e riferimento anche della moderna laicità, ha compiuto su tante cattedrali gotiche o romaniche:
noterà centinaia di sculture scalpellate e ormai
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irrecuperabili, distrutte – queste sì – da una
follia iconoclastica, incapace, paradossalmente
nel nome della dea ragione, di riconoscere il
valore universale di alcuni prodotti dell’opera
dell’uomo. L’atto di Camadini fu estremamente
calibrato: era inserito in un contesto storico
ben preciso. In una società ormai cristianizzata l’azione del sacerdote era finalizzata a
cancellare un qualcosa (forse nemmeno opera
umana) che serviva da richiamo e riferimento
a riti pagani proibiti (secondo i canoni di quel
tempo, che nessuno di noi condivide). Il prete
non poteva certo immaginare di stare eliminando un reperto preistorico (sempre che lo fosse),
destinato in un lontano futuro a divenire parte
di un patrimonio dell’Unesco. Ben più consapevoli del valore storico, artistico e culturale di
ciò che distruggono sono i jihadisti e altrettanto consapevoli erano i rivoluzionari francesi,
padri ispiratori di questa fantomatica “società
laica”, fanatici nel distruggere ciecamente
ciò che si contrapponeva, anche idealmente,
al loro furore ideologico. Se noi ancora oggi
possiamo leggere e studiare le opere di scrittori e artisti dell’antichità, è perché la civiltà
cristiana, nei secoli, in particolare attraverso il
monachesimo, ce le ha tramandate, consapevole del loro valore perenne; chissà cosa
sarebbe successo se i moderni “laici” nazisti,
comunisti o illuministi avessero potuto portare
a compimento la loro opera di pulizia etnica
politica, filosofica, artistica!
--------------Caro lettore, innanzitutto grazie delle osservazioni: sono contento che un articolo che
tratta di documenti del passato possa aprire
un dibattito sui rapporti tra religione e società
e sul valore dei beni culturali.
Non contrapporrei però il pensiero religioso,
ma quello dogmatico, al pensiero laico: come
scrive lei esistono dogmatismi non religiosi;
ed io aggiungo (per fortuna) esistono religiosi
non dogmatici. Scrivendo «i cattolici di oggi...
convivono.. .con la società laica» intendevo
dire che convivono con altre persone con
atteggiamenti di pensiero diversi, all'interno di
un unico contenitore.
Senza dubbio, anche i regimi da lei citati
hanno compiuto scempi in nome di un bene
superiore e magari gli esecutori materiali sono
stati dei fini intellettuali, ma è proprio questo
il punto: una società laica come la nostra può
condannare l'attacco alla cultura perpetrato
dall'ISIS (e guardare con rassegnazione alle distruzioni del passato), proprio perché abbiamo
condiviso tra noi che la tolleranza è un valore
e che la democrazia è rispetto delle minoranze,
non dittatura della maggioranza.
Solleva in me qualche perplessità la difesa
del gesto di Camadini: prima di tutto perché
dubito che gli eventi storici vadano difesi o
attaccati; ma soprattutto perché presentare
il suo gesto come necessario in una "società
ormai cristianizzata" rischia di portarci a
conseguenze non volute: la distruzione dei
Buddha di Bamyan ad opera dei Talebani, non
era forse, "in una società ormai islamizzata",
finalizzata a "cancellare un riferimento a riti
proibiti"? E il giorno in cui vivremo in una
società “scristianizzata”, dovremo scalpellare
la Pietà di Michelangelo? Spero di no.
Camadini e Borromeo non potevano conoscere
il concetto di bene culturale; ma giusto poco
prima di loro, numerosi umanisti, spesso cattolici
zelanti, si erano prodigati per salvare le opere
dei classici (pagani!) dalla dispersione.
Un moderno umanista è stato, in questo
senso, Khaled al Asaad, direttore del sito
archeologico di Palmira: non conosco la sua
religione, se ne aveva una, ma di sicuro non
adorava Bel o Baalshamin; eppure per salvare
le loro statue, ha sacrificato la sua vita. Pur
nella tragicità del fatto, considero la sua azione un segno di speranza per l'umanità. (i.f.)
VALLE DELL’INFERNO: CRESCE LA MOBILITAZIONE CONTRO LA CENTRALINA, VALZELLI TACE
INBRE di Breno: interessi intoccabili?
di Margherita Moles e Alessio Domenighini
E finalmente siamo ad una svolta. La battaglia contro l'ennesimo scempio ambientale
costituito dalle centraline ha subito un'impennata dopo un'adeguata preparazione.
Parliamo delle azioni contro la costruzione
della centralina nella Valle dell’Inferno, la
“Resio Alto”, nei territori di Esine e Gianico.
Uno scempio reso possibile da una delibera
di Giunta della Regione Lombardia che per
la prima volta ha deciso di permettere la
costruzione di una centralina, anche in un'area a protezione speciale (ZPS), in contrasto
con norme nazionali e direttive europee. Se
venisse realizzata, sarebbe la prima volta in
Lombardia, da quanto sappiamo.
Si è fatta una capillare informazione, compreso il volantinaggio a Darfo durante la festa di
S.Faustino. La popolazione era già stata coinvolta con la raccolta di oltre seimila firme. Nei
giorni scorsi si sono fatte tre assemblee popolari a Darfo, Gianico ed Esine. Sono state partecipate; alla Sacca di Esine, l’ultima in ordine di
tempo, si sono contate 160 presenze. L’informazione sta passando e la reazione si scalda.
In ognuna delle assemblee è stato presentato
il progetto, in modo articolato e dettagliato,
anche nella nuova versione definitiva. Esso è
stato messo a punto da due progettisti per
conto della finanziaria INBRE di Breno: si tratta dell'ideatrice di questo investimento che,
conto economico alla mano, presuppone un
grande ritorno finanziario, grazie agli incentivi
statali, mentre ignora il danno ambientale per
questa nostra Valle.
Fra gli azionisti della società alcuni imprenditori importanti della Valle e varie rappresentanze del mondo cattolico. Che poi tra i principali azionisti di questa società ci sia anche la
Fondazione Tovini, da sempre esempio di traduzione sociale dei valori cattolici, dimostra
che "le palanche" sono una specie di dogma
prioritario e intoccabile.
Nell'assemblea di Gianico, è uscita l'idea di
realizzare una manifestazione pubblica at-
traverso una marcia da Gianico alla Sacca,
sabato 2 aprile, avente lo scopo di dare una
chiara visibilità sociale al problema: un po'
come si è fatto per impedire l'altra distruzione ambientale, costituita dal progetto di
inceneritore di materiali di amianto.
Nel frattempo le associazioni e i gruppi che si
oppongono alla centralina hanno iniziato degli incontri con le istituzioni del Territorio che
saranno chiamate ad esprimere il loro parere
nella prossima Conferenza dei Servizi per la
Valutazione di Impatto Ambientale. Si sono
svolti incontri con la Comunità Montana e la
Provincia. Mentre in Provincia è stato possibile presentare le loro ragioni, c’è stato ascolto
sul tema specifico, anche se nessun impegno
è stato preso dall’istituzione, l’incontro con il
Presidente Oliviero Valzelli a Breno è stato deludente. Nessuna volontà di entrare nel merito dei ragioni da portare, progetto alla mano,
sottovalutazione della contrarietà esplicita dei
due Comuni interessati e della opposizione
dei cittadini con 6 mila firme raccolte, nessun
interessamento ufficiale del Direttivo, ancora
da convocare sul tema. Mentre si attende una
risposta formale, ancora da venire, dal clima e
dalle parole spese sembra chiaro l’intento di
non volere opporsi agli interessi della INBRE.
Speriamo di essere smentiti!
BIENNO: BORGO DEGLI ARTISTI: CREATIVI CONTRO IL COMUNE
Art of SOOL sfrattati: perché?
di Stefano Malosso
Da qualche anno a Bienno è attivo Il Borgo degli Artisti, progetto di residenze d’artisti locali e
nazionali che sono ospitati nel borgo e chiamati a produrre sulla base delle stimolazioni e delle
contaminazioni fra i diversi background artistici e i segni della Valle Camonica. Ma a che punto
è un progetto di tale complessità? Nei giorni scorsi qualche crepa è emersa nello sfogo social
del collettivo artistico Art of SOOL, un gruppo di giovanissimi creativi che si è fatto notare per
lavori di grande valore che hanno attirato l’attenzione di molti appassionati del mondo grafico.
«Ieri sera l’associazione Borgo degli Artisti Bienno, che ha come logo un nostro lavoro, di cui il
presidente non è nemmeno un Artista, e di cui facciamo parte da più di 3 anni mentre lui no,
ha ben pensato di buttarci fuori perché non abbastanza collaborativi»: così esordisce il post del
collettivo, amareggiato per l’improvviso “sfratto” subìto, vero fulmine a ciel sereno. Quali le colpe? A parere del gruppo che gestisce il progetto, gli Art of SOOL sarebbero colpevoli di essere
troppo isolati nel proprio lavoro, poco partecipi alle riunioni e poco propositivi verso progetti
condivisi con l’organizzazione: eppure il ruolo dell’artista prevede soprattutto uno studio e una
ricerca poco partecipata ma al contrario fondata su uno scavo solitario; inoltre, i SOOL da anni
sono impegnati in molti progetti in varie location che li impegnano notevolmente. Non ci sarà
allora, da parte dell’organizzazione, una scarsa conoscenza specifica dei meccanismi del mondo
dell’arte? E inoltre: non si sarebbe potuto trovare un dialogo con gli artisti prima di approdare
ad una rottura così netta? I dubbi rimangono. Nel frattempo la situazione è in stallo, con il
Sindaco Maugeri che si è impegnato a ricucire lo strappo e trovare nuovi spazi e nuovi progetti
all’interno del paese per i SOOL. In attesa degli sviluppi, rilanciamo alcuni quesiti posti dai giovani artisti nel loro post facebookiano: «Perché il Comune non paga anche a noi l’affitto come agli
altri artisti essendo che abbiamo deciso di trasferirci proprio a Prestine 3 anni fa per far parte di
questo gruppo? Perché il Borgo degli Artisti di Bienno ha come presidente un ex animatore del
Grest? Perché il Comune di Bienno continua a pagare questi artisti senza spingere gli artisti del
proprio territorio che vivono davvero di arte e necessitano di questo spazio?». E infine, rivolgendosi direttamente al Sindaco Maugeri, «Perché Bienno supporta i veri artisti viventi della Valle
Camonica cacciandoli via?».
«si lascino votare i negri, essi diventano degni
del voto; si affidino alla donna delle responsabilità, essa sa assumerle; ma non si può aspettarsi dagli oppressori un movimento gratuito
di generosità» (Simone De Beauvoir)
marzo 2016 |
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SINDACALISMO VALLIGIANO (E NON SOLO) ALLO SPECCHIO
Dal marxismo all’... autismo
di Tullio Clementi
Francamente non so se fare il sindacalista
oggi è più complicato di quanto non lo sia
stato ieri (molto probabilmente lo è meno
di quanto lo potrà essere domani). Piuttosto
complicata, però, s’è rivelata l’ipotesi di una
recensione dell’ultimo libro pubblicato da
Mimosa, la società editrice del Sindacato
pensionati della Lombardia: “È complicato
fare il sindacalista oggi” (sottotitolo: “Stare
nel territorio: generazioni a confronto nella
storia della Cgil Valle Camonica-Sebino”),
a cura di Erica Ardenti e Alessandra Del
Barba. Complicato per almeno due ordini di
ragioni: perché di “storico” – eccezion fatta
per la lunga biografia personale del segretario dello Spi-Cgil camuno-sebino Domenico Ghirardi – c’è ben poco, come afferma
la stessa Erica Ardenti durante la recente
presentazione al “Due Magnolie” di Piamborno: «Se si fosse voluto un libro storico
ci sarebbe stato bisogno di altri testimoni
e probabilmente di altri autori» e, quindi (la
seconda ragione), la scelta dei “testimoni”
si presume determinata da altre esigenze,
fra le quali non sembra comunque secondaria quella di mettere più “generazioni a
confronto” (anche se non propriamente sul
piano storico). In tal senso, dunque, c’è solo
da aggiungere che dovendo “fare il vino
con l’uva che c’è”, come recita un vecchio
adagio, le autrici hanno saputo ricavare un
ottimo prodotto.
Un prodotto al quale attingo volentieri,
nell’intento di proiettare qualche riflessione
– senza alcuna presunzione “storica” neppure nel mio caso – tra i due estremi emersi nel
corso del confronto: dall’adesione al sindacato per «fede politica e non per bisogno»,
come ricorda Luciano Tarzia, fino al disincanto di Cristian Meloni, per il quale «si torna
tutti nel proprio individualismo e lì finisce.
Faccio l’esempio di quello che è un dopopranzo: se una volta si formavano dei gruppetti in cui si parlava, oggi la percentuale più
alta dei lavoratori se ne sta legata al proprio
telefonino per quaranta minuti, per un aggiornamento in Facebook, un’altra parte è a
gruppetti di due e poi c’è un gruppetto che
vaga in cantiere in attesa della sirena. Oggi
la situazione è questa».
Dall’idealità marxista – ma anche cattolica –
degli anni Sessanta ad una sorta di “autismo”
nell’arco di un paio di generazioni!
Nel mezzo ci stanno le ambizioni della “classe operaia” che tende a diventare “classe
dirigente” sul territorio, come quando si
trova ad un passo dal vincere la scommessa
sulla priorità del trasporto ferroviario rispetto a quello su gomma: «e, alla fine, si riuscì
con la Legge Valtellina a sostituire i binari,
a rendere più sicuri i passaggi a livello, ad
ammodernare le carrozze» (Vittorio Ongaro);
ci stava l’obiettivo di «cambiare l’organizzazione della scuola», la cui impronta era
«tutto sommato, ancora ispirata al Ventennio» (Liliana Fassa); ci stanno le esperienze
di Saai Abderazak (più noto come “Andrea”)
e di Joussef El Amrani, sbarcati in Europa
dalle coste magrebine e dalla fine degli anni
Ottanta «riferimento fondamentale per chi
si reca agli sportelli migranti della Cgil»; ci
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| marzo 2016
Nel mezzo ci stavano le
ambizioni della “classe operaia”
che tendeva a diventare “classe
dirigente” sul territorio, come
quando si trovò ad un passo
dal vincere la scommessa sulla
priorità del trasporto ferroviario
rispetto a quello su gomma
stanno giovani come Barbara Distaso, il cui
primo approccio col sindacato avviene a
Pavia durante gli studi universitari quando
«avevo cominciato ad andare di sabato in
Camera del Lavoro a fare volontariato allo
sportello migranti»; e ci stanno molti altri
giovani come Cristian Meloni, dal quale siamo partiti, ed altri (Paola Zanardini, Federico
Pedretti, Donato Bianchi...) di cui non possiamo parlare per ragioni di spazio.
Per altro verso ci stanno giovani intellettuali
come Silvia Avallone che attorno alle ragazzine concentrate sul proprio ombelico od
alle incoerenze dell’operaio iscritto alla Fiom
che vota Forza Italia (siamo nel 2001, quando era ancora sulla cresta dell’onda), arrotonda il mensile con lo spaccio di droga e i
furti di rame nelle acciaierie di Piombino in
dismissione ci costruisce una fortuna editoriale: Acciaio, appunto, tradotto in una ventina di lingue. Particolare, quest’ultimo, che
apre un’ulteriore riflessione: se i vari premi
(Campiello, Strega, Flaiano...) possono anche
prescindere da un puro e semplice percorso
di merito, la traduzione in una ventina di
lingue implica che vi sia un’adeguata platea
di lettori in altrettanti Paesi. E qui ci sta un
ultima irriverente domanda: che differenza
c’è fra un libro che “tira” in misura formidabile perché infarcito di esasperazione
individualista ed un post su Facebook che
“tira” altrettanto purché non si parli di sindacato («Così ho cominciato anche a parlare
di me, di una corsa fatta sul lago oppure di
qualche altro impegno ma non di carattere
sindacale», Cristian Meloni).
Ergo: rientra in questa Weltanschauung, in
questa “visione del mondo” anche l’opzione
dell’... editore di non dedicare nel corso della mattinata neppure un pensiero al giovane
Giulio Regeni che, «perfettamente consapevole dei rischi cui andava incontro scrivendo
di una questione delicatissima come quella
della condizione operaia in Egitto» (Luciana
Castellina, il Manifesto), viene assassinato
proprio in quei giorni?
Ps: pochi giorni prima, al convegno di Breno
sui “Dimenticati di Stato”, l’ex segretario
della Cisl Savino Pezzotta affermava che
«nelle democrazie, nella nostra democrazia
c’è una malattia che bisogna estirpare in
fretta ed è la malattia del conformismo, l’abbandono di ogni pensiero critico, l’adeguamento, l’adagiamento, il salire più in fretta
possibile sul carro dei vincitori...».
«La nave è ormai in preda al cuoco di bordo
e ciò che trasmette al microfono del
comandante non è più la rotta, ma ciò che
mangeremo domani». (Søren Kierkegaard)
Le vignette di Altan, Staino, Ellekappa, Cinzia Poli, Vauro, Biani, Fogliazza ed altri,
sono tratte dai quotidiani: Corriere della
Sera, il Manifesto, Repubblica, Caterpillar
AM., oltre che da vari siti Internet.
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UNA VICENDA DI UN SECOLO FA E I PREGIDIZI NEL DIBATTITO ATTUALE SUI MIGRANTI
Noi, i profughi: ieri dalignesi oggi siriani
di Ivan Faiferri
IL DOCUMENTO
Archivio del Comune di Vezza d’Oglio, Sezione
Carteggio 1897-1968, b. 104, fasc. 3 [Sussidio ai
profughi di Ponte di Legno (1915-1918)].
IL FATTO
153.842 sono i migranti arrivati in Italia nel
2015 dal Mediterraneo (fonte: Repubblica).
C’è chi parla di una massa che farà collassare
il sistema e c’è chi dice che si tratta di briciole
per una popolazione, come la nostra, di decine di milioni di abitanti.
Attraverso la storia che stiamo per ricordare,
vorrei considerare due elementi: quale importanza abbia l’atteggiamento ideologico
delle autorità che accolgono i migranti e
in che misura sia vero che i migranti siano
difficili da integrare a causa delle differenze
culturali che ci separano da loro.
Accendiamo il nostro (piccolo) riflettore su
una vicenda molto vicina a chi scrive, ambientata a Ponte di Legno, tra il 1915 e il
1919 circa: quella dell’esodo di parte della
popolazione comunale, in seguito allo scoppio della Grande Guerra (ringrazio il nostro
Giancarlo, che qualche mese fa mi ha spinto
ad interessarmene).
Come molti sanno il paese di Ponte è stato
raso al suolo dal bombardamento del 27
settembre 1917; era tuttavia stato evacuato,
insieme alla frazione di Poia già dall’agosto
1915. I Dalignesi sfollati imboccarono strade
diverse: alcune famiglie a Zoanno, dove si trasferì anche il municipio; altri a Breno; abbiamo
notizie più copiose di un gruppo consistente
(77 persone: 7 famiglie e alcuni individui separati dal proprio nucleo) che furono ospitati
fino al 1919 nel Comune di Vezza d’Oglio.
Scoppiata la Grande Guerra una
parte della popolazione di Ponte
di Legno venne ridistribuita in
alcuni altri paesi camuni. Ai
profughi era garantito il vitto, la
possibilità di ricongiungersi alle
loro famiglie, un sussidio minimo.
Contrariamente ai moderni migranti, agli
occhi delle autorità gli sfollati dalignesi erano di sicuro visti con atteggiamento positivo, in quando simbolo vivente della perfidia
austriaca, cacciati dalle loro case a causa
“dei cannoni nemici, di Franz Josef, il vecchio impenitente sanguinario”, come scriveva l’allora segretario comunale di Ponte di
Legno (15-10-15). I documenti ci dicono che,
ai nostri profughi, in quanto vittime dei torvi
imperi, erano garantiti: il vitto, con razioni
speciali che si sommavano a quelle già destinate alla popolazione di Vezza d’Oglio; la
possibilità di ricongiungersi alle loro famiglie,
qualora ne fossero stati separati; un sussidio
minimo, non cumulabile.
Pensiamo all’impatto che questo gruppo di
persone può avere avuto sulla realtà di Vezza.
Gli abitanti del paese erano circa 1.631 (dato
ISTAT 1921). I Dalignesi sfollati erano pari
quindi al 4,7% della popolazione. Se i migranti
odierni arrivassero nella stessa proporzione,
l’Italia ne dovrebbe ospitare circa 2.800.000.
Eppure, la società locale non venne travolta.
Una possibile obiezione a questo ragionamento è questa: l’accoglienza dei profughi
Dalignesi da parte della popolazione di Vezza d’Oglio sarebbe stata enormemente più
facile dell’attuale integrazione dei migranti,
proprio per la vicinanza culturale tra i due
paesi. Lingua, religione, costumi… i profughi di guerra sarebbero quasi totalmente
sovrapponibili alla popolazione che li ha
ospitati, mentre oggi tra migranti e paese
d’arrivo, tutto diverge.
È davvero stato così semplice? I documenti
raccontano un’altra storia: una consistente
parte delle carte del fascicolo sono solleciti
e inviti più o meno minacciosi, da parte della
prefettura, degli organi statali e del Comune di Ponte di Legno al Comune di Vezza
d’Oglio, perché “i profughi… siano trattati
alla stregua delle persone non produttrici
del luogo” (Prefettura di Brescia, 1-02-1918).
L’esempio ai miei occhi più eclatante è una
lettera dell’Ispettorato Scolastico di Breno
del 28-01-1916, che, dal momento che “i
fanciulli di Ponte di Legno non sono ammessi alle scuole di codesto comune” prega il
sindaco di Vezza di “accogliere i profughi in
coteste scuole... per spirito patriottico e per
sentimento umanitario”.
Non basta dunque la vicinanza per rendere
facile l’accoglienza: ma basta la lontananza
per renderla difficile? Padre Gregorio di Valcamonica racconta che, durante la guerra del
“Sacro Macello” (anni ‘20 del sec. XVII), una
delle chiese di Vione fu adibita a luogo di
culto ortodosso, per permettere alle truppe
della Repubblica di Venezia provenienti dal
Levante di praticare la loro religione. In questo caso l’integrazione sembra avere avuto
un successo molto maggiore: sempre la stessa fonte ci racconta che il pope che accompagnava i militari al termine del soggiorno
lasciò in dono un paramento alla parrocchia
(cattolica) locale, segno che lui e i suoi correligionari si erano trovati bene, tra i Roi.
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Rizzi e le domande non gradite
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Fabio Rizzi alcuni mesi fa è venuto all’Attivo dei delegati Cgil in quel di Piamborno a presentarci la nuova Riforma della Sanità Lombarda. Ci ha spiegato con un bel giro di parole, numeri
e cifre, tutta la “bontà” della sua creazione. L’Asl camuna incorporata con l’Asl della Valtellina,
con tutti i vantaggi che ne deriveranno. Alla fine della sua presentazione, possibili alcune domande tecniche. E siccome le mie non erano domande tecniche, non sono potuto intervenire.
Volevo chiedergli come mai veniva cancellata per la Valle Camonica l’autonomia della Sanità,
conquistata vent’anni fa con la mobilitazione di cittadini, istituzioni, sindacati e politici. Altra
cosa: per la Sanità la fusione con la Valtellina va bene, ma per l’acqua e i canoni derivanti no?
Non era il suo partito quello che voleva autonomia e indipendenza?
Io non sono per il piccolo è bello, ma visto come vanno le cose penso: le risorse sono sempre
meno, speriamo almeno che vengano divise equamente e la Valle Camonica non passi in
secondo piano per ospedali e prestazioni.
Comunque, vista la mia testardaggine, mentre Rizzi se ne stava andando, sono riuscito a
esprimergli un mio pensiero: «Non so se con la nuova riforma andremo meglio o peggio
di prima (chi vivrà vedrà), ma sono certo però di una cosa: arriverà il Mantovani di turno e
allora addio risorse per i cittadini lombardi». La sua risposta: un sorrisetto, una pacca sulla
mia spalla, nessuna parola. Che sentisse già odore di bruciato intorno a lui?
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OL BARATÌ DÈLE HOMÉHE: UN SUCCESSO L’INIZIATIVA DI PIPERITA A COSTA VOLPINO
I semi del sapere contadino sono ancora vitali
di Andrea Bonadei
Mai avevo trascorso un San Valentino così romantico e genuino: merito dei giovani dell’associazione Pipertota, solitamente operativi a
Pisogne, che hanno proposto ed organizzato
l’evento “Ol baratì dèle homéhe”, muovendosi
tra scuole e oratorio della frazione Piano di
Costa Volpino.
Battezziamolo pure come un successo, questo
mercatino di scambio di semenze e di saperi
contadini. Si sono detti entusiasti le decine di
contadini ed appassionati che hanno aderito,
provenienti da Lombardia, Emilia Romagna,
Piemonte, Liguria, Toscana e anche dalla Svizzera; hanno portato nella nostra bassa valle
semi, bulbi, piantine autoctone della loro terra, custodite con l’amore che si dedica alle
cose rare e preziose. Visibilmente contenti
erano anche i visitatori, che hanno scambiato
qualche seme, ne hanno ricevuti in omaggio
e si sono soffermati a chiacchierare con questi
agricoltori riguardo alle proprietà o al corretto mantenimento di quella varietà di aroma,
di cereale, di legume, di fiore…
Nonostante la stanchezza del dopo, una bella
soddisfazione per gli organizzatori, la cui intuizione e le cui competenze sono state giustamente premiate, nonostante il meteo uggioso.
Unicum nel panorama camuno, questo appuntamento si colloca oggi all’interno di una
rete di eventi simili (Ronco Scrivia: Rete Semi
Rurali, Milano: Genuino Clandestino, Belluno:
Gruppo Coltivare Condividendo).
Spiegano i due giovani dottori agronomi del
gruppo, Marco Monopoli e Paolo Trotti: «Da
qualche anno in tutto il nord Italia stanno fiorendo eventi di questo tipo, dove i nonni e
i contadini conservano sementi originali e le
rimettono in circolo, restituendo vita a varietà
che stavano scomparendo dalle vallate alpine. Trovando collaborazione dall’amministrazione comunale di Costa Volpino, abbiamo
voluto e potuto portare questo evento nella
nostra valle, che fino a 70 anni fa offriva un
meraviglioso fondovalle caratterizzato da un
mosaico di colture di ogni tipo (grano, orti,
piante da frutto, prati a sfalcio, ecc.). Ci proponiamo di sensibilizzare le persone su molte
tematiche tipiche del periodo che stiamo vivendo: eccessivo consumo di suolo e abbandono del lavoro agricolo in montagna, con
conseguente avanzamento del bosco nei prati che, fino a qualche decennio fa, venivano
periodicamente sfalciati. Noi speriamo che un
evento come questo non solo diffonda un’immensa fonte di sapere su come coltivare e
conservare certe semenze di ortaggi (sperando che la gente smetta di acquistare le bustine di semi industriali nei consorzi o nei centri
commerciali), ma possa anche sensibilizzare
la popolazione verso un maggiore rispetto
nei confronti di quel poco suolo agricolo che,
oggi, rimane sul fondovalle della Valle Camo-
IL GRAFFIO
Piccata replica di Tomasi al retroscena
pubblicato da Graffiti. Non voleva proprio
che si sapesse in giro. Gli elettori non lo
dovevano sapere. Tomasi che incontra un
gruppo di ambientalisti. Inaudito.
8|
| marzo 2016
«Vogliamo diffondere il sapere
su come conservare certe
semenze di ortaggi, spingendo la
gente a non acquistare più i semi
industriali nei centri
commerciali ed essere rispettosa
del poco suolo agricolo rimasto
sul nostro fondovalle».
nica. Ahinoi spesso sostituito da qualche area
industriale inutilizzata o da abitazioni vuote».
Proprio in quest’ottica informativa e di sensibilizzazione si sono collocate due iniziative collegate: gli incontri con alcune classi di
Scuola Primaria del territorio (in bella evidenza i loro cartelloni appesi sulle pareti del plesso ospitante l’evento) e la “tavola rotonda”
del pomeriggio di Domenica 14 febbraio, che
ha radunato agricoltori di tutte le valli a confronto sullo specifico tema del recupero dei
creali alpini. Buoni spunti raccolti dal gruppo
“colture rupestri” della Valle Camonica, che ha
lo scopo di recuperare terreni agricoli abbandonati e impiantare cereali antichi, che si prestano a crescere in terra camuna, come l’orzo,
la segale, il grano saraceno della Valtellina.
Ai visitatori è sembrato di trovarsi protagonisti di un film in bianco e nero, ambientato
nelle vecchie case dei nostri nonni, quando, a
fine raccolto, si radunavano e discutevano di
quali semenze conservare per l’anno successivo, quali crescevano bene anche in pendenza o quali rendevano bene anche con poca
acqua. Tutte piccole informazioni che non si
trovano sui siti internet ma che, se si vogliono
salvare, bisogna andare a ricercarle in chi coltiva ancora varietà antiche. Ma non era affatto
la sensazione di una pellicola morta, superata:
appariva più come cinema realistico e d’autore, quello che ha e dà vita nonostante il logoramento del tempo e delle tradizioni buone
delle nostre comunità.
IL CIELO DI CARTA di Andrea Curnis
Brudà la ègia
In Valle Camonica, la semplicità contadina e le deformazioni causate dalla vita isolata di campagna furono indizi della presenza del diavolo. Quando l’inquisizione arrivò, nel XVI secolo,
prova fatale costituirono i riti pagani ancora praticati dalla maggior parte di popolazione.
Nel 1498 gli statuti Camuni iniziarono a prevedere il reato di eresia. Dal 1505 al 1521 fu caccia
alle streghe: barbaramente uccise, centinaia di persone ebbero la colpa di compiere malefici
attraverso i riti tramandati per secoli. Divenne famoso in tutta Italia il Passo del Tonale dove si
sarebbero trovati i festival diabolici chiamati “sabba”. La targa commemorativa sulla torre di
Sonico recita: «in memoria dei Federici di Sonico accusati di eresia e delle vittime dei roghi per
stregheria, nel sedicesimo secolo, in Valle Camonica».
I camuni, d’altro canto, non si curano troppo della storia che scorre. Come roccia si lasciano
scalfire ma non modellare. Celtica è la tradizione ancora diffusa de “il rogo della vecchia” che
molti pensano essere caricatura della caccia alle streghe. Addossare a un fantoccio di forma
umana le colpe collettive e bruciarlo nell’augurio della bella stagione è usanza ben più antica:
arrivata, come l’albero di natale, ai giorni nostri.
Da due anni, di giovedì grasso, i ragazzi della Beata (frazione di Pian Camuno) inscenano
nel salone sotto la chiesa il “Processo alla vecchia”, dove l’imputata è accusata di tutti i mali
dell’anno passato. Il successo di pubblico e le risate sono il preambolo per il rogo del pupazzo
presso l’oratorio. L’obiettivo della commedia è lampante: festeggiare una tradizione, declinarla
al passato recente della stregheria e vederla con gli occhi della modernità dove la diversità è
molte volte capro espiatorio di paure e colpe altrui. Diceva Voltaire: «Le streghe hanno smesso
di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle».
dalla prima pagina
IL SECONDO. La politica, certa politica anzi,
ancora una volta fa cordata con l’affarismo
e l’illegalità (“brutte bestie” che stanno anche nella società civile, quindi, e nel mondo
degli affari). “Contributi” elettorali e tangenti
alla persona accettati con la stessa cinica
disinvoltura. Personaggi non minori, ancora
una volta, di vertice, stretti collaboratori del
Presidente Maroni come il consigliere Rizzi,
padre e banditore della recente riforma, volto
noto anche da noi. (E si pensi quanto sconcertante risulti immaginarlo a stipare pacchi
di banconote nel freezer di casa per quanti lo
hanno conosciuto in un impegno di tale importanza!!!). Il tutto a pochi mesi dall’arresto
di un altro stretto collaboratore di Maroni,
l’assessore, sempre alla sanità, Mantovani! E
ancora una volta tocca alla Lega, dopo Bossi
e famiglia, dopo il tesoriere nazionale, dopo
i diamanti e la laurea comprata del “trota”.
Destino beffardo, dopo la stagione delle
ramazze impugnate da Maroni e Salvini. A
dimostrare che più dei proclami servono
prevenzione e controlli, con legislazione e
meccanismi realmente efficaci. La qual cosa
ci porta al punto successivo.
IL TERZO. A far scoprire il tutto, il monopolio
di fatto e gli appalti pilotati che stavano alla
base delle prestazioni odontoiatriche comprate dalle ASL lombarde, non è stato un eccezionale ed eroico Sherlock Holmes. Ma una
signora comune e perbene, che sa far bene e
con onestà il suo lavoro di commercialista e
revisore dei conti dell’ASL. Eccezionale quindi
solo e unicamente perché vuole far bene e
correttamente il compito per cui è stata nominata. E che tanti, troppi, revisori dei conti
di Enti pubblici fanno invece pro forma e
con la prevalente preoccupazione di non disturbare il manovratore, ovvero quegli stessi
ambienti da cui dipende la loro nomina. È dal
suo rigore morale che son partiti i controlli
del magistrato e la scoperta del bubbone.
È questo terzo dato che ci fa capire l’antidoto più efficace ad uno stato di corruzione
che ci vede ai livelli più disonorevoli della
graduatoria: l’impegno dei singoli, dei tanti
singoli che ancora non si rassegnano, a far
ognuno la sua parte con competenza e rigore, per quanto gli compete nel suo ruolo.
Come la signora revisore di cui sopra, che ha
rifiutato il comodo fair play (o l’indifferenza,
o la negligenza, o la connivenza, fate voi) di
quanti suoi colleghi, nelle diverse ASL dei
tanti appalti ora discussi, non hanno notato o
verificato l’irregolarità delle gare. Non aiutata
certamente dal considerare che, con le sue
denunce, metteva in difficoltà quel mondo
politico amministrativo da cui molti revisori,
lei stessa certamente, traggono nomina e
quindi guadagno. Sganciare sempre più e
meglio il controllore dai condizionamenti
– diretti o indiretti – del controllato, è altra
elementare esigenza. Che consente di poter
contare non solo sugli eroi.
Infine la politica, che, se non la si vuole lasciata agli eroi, o ai ricchi e ai profittatori,
va messa in condizioni di finanziarsi correttamente, anche con un misurato apporto
pubblico. Ma soprattutto va “marcata stretta”
dall’elettore, che deve punire elettoralmente
con più nettezza il disonesto del suo partito
o il suo stesso partito se non lo emargina. La
fine delle ideologie potrebbe consentire oggi
di dar forza ad una unificante “ideologia” di
base, quella dell’onestà dell’eletto come requisito primo irrinunciabile. Se decidiamo di
esser finalmente cittadinanza dignitosa e non
tifoseria o clientela.
UN LUNGO VIAGGIO VOGLIO FARE: FAUSTO BONOMELLI
Il mio coast to coast australiano
di Federica Nember
Questo mese la mia rubrica la voglio dedicare
a un trentenne camuno che è partito per il
suo viaggio con le idee ben chiare: viaggiare
lavorando e tornare a casa dopo aver vissuto
la sua esperienza all’estero.
Fausto Bonomelli decide di partire per l’Australia nel novembre 2014, qualche mese
dopo aver preso la laurea in Storia Moderna,
ottenendo un visto Working Holiday valido
per un anno che gli permetterà di spostarsi
per il continente australiano lavorando.
Perché hai scelto di partire? Fondamentalmente perché credo che tutti dovrebbero
provare l’esperienza di lavorare e vivere
all’estero, anche solo per alcuni mesi. Io sono
partito con la volontà di conoscere un posto
nuovo sapendo che poi sarei tornato a vivere
qui. Non sapevo quanto sarei stato via, tre
mesi o due anni, l’importante era partire. In
Valle Camonica avevo trovato lavori saltuari
come educatore o come guida, nulla di stabile che mi creasse vincoli permanenti. Era il
momento giusto per partire.
Perché hai scelto l’Australia? Perché è facile
trovare lavoro e fino a qualche anno fa lo era
ancora di più. Oggi è un paese pieno di ragazzi europei che partono, come me, per fare
un anno di lavoro e di scoperta. Purtroppo
i datori di lavoro spesso sfruttano la cosa a
loro favore, con il visto Working Holiday ad
esempio non possono farti lavorare più di sei
mesi, ma io sono riuscito lo stesso a pagarmi
il viaggio con i soldi guadagnati lì. L’aspetto
più entusiasmante è proprio questo: grazie ai
lavoretti che trovi (io ho sempre lavorato nei
ristoranti facendo dal cameriere al lavapiatti)
puoi davvero girare tutto il continente. Sono
atterrato in novembre in una cittadina a 150
km a sud di Melbourne e alla fine del mio
viaggio, a maggio 2015, ero arrivato nell’estremo nord, a Darwin, passando per il deserto. È
stato come i racconti di viaggio del coast to
coast americano, sono partito con la mia ex
ragazza e nel percorso ho conosciuto tantissimi giovani, condividendo le mie avventure
con loro, perdendoli e ritrovandoli nelle tappe
successive. Ho deciso poi di tornare quando
ho sentito che la mia esperienza era conclusa.
Hai trovato facilmente lavoro quando sei
rientrato? Ho trovato lavoro nel giro di quattro/cinque mesi, quindi pensando alla realtà
italiana di oggi direi che ho trovato lavoro
praticamente subito!
Pensi che il tuo percorso di studi ti sia
servito per trovare lavoro? In Australia direi
proprio di no, in Italia si. Oggi lavoro con Kpax come educatore e credo che sia la laurea
triennale in scienze politiche a indirizzo storico
sia la magistrale in storia moderna mi siano
utili nel lavoro come nella quotidianità. Grazie
ai miei studi ho acquisito una capacità di leggere i fatti storici che mi aiuta ad interpretare
il passato ma anche il presente. E io riconsidero sempre più, ascoltando le esperienze di
giovani che vanno, vengono, e a volte ritornano, le infinite possibilità offerte dal viaggio in
sé, pentendomi di non aver colto l’occasione
dell’Erasmus all’università, ma infinitamente
felice della mia costante voglia di partire.
FUOCO FATUO di Stefano Malosso
Il giorno del giudizio
È giunta a termine lo scorso mese la sesta edizione del Premio Letterario San Valentino del paese
di Breno. Un appuntamento che in pochi anni è cresciuto a vista d’occhio: questa edizione ha infatti visto l’incredibile partecipazione di 420 aspiranti scrittori provenienti da ogni regione d’Italia
e quest’anno persino dall’estero, solleticati dal titolo provocatorio “L’amore non esiste...” ricavato
dalla hit radiofonica del trio cantautorale Fabi/Silvestri/Gazzè. Dopo un meticoloso lavoro di scrematura svolto dalla giuria guidata dal Prof. Giancarlo Maculotti, i migliori sei sono stati giudicati
dalla ormai storica madrina dell’evento Maria Venturi, scrittrice e articolista di successo, che ha
decretato infine il vincitore finale: a spuntarla è stato il camuno Diego Razzitti, 33 anni, di Angolo
Terme, che lavora come educatore ma scrive da anni per passione. «Scrivo quasi ogni giorno, per
mantenermi allenato e per dare una forma ai miei pensieri», ha spiegato Razzitti al folto pubblico presente al Palazzo della Cultura di Breno alla premiazione avvenuta lo scorso 13 febbraio.
A colpire la giuria e la madrina del concorso è stato il tono ironico e decisamente sarcastico del
suo “Il Giorno del Giudizio”: un lungo foglio, reso in immaginifico linguaggio che intreccia il più
criptico burocratese a qualche capriola linguistica, che inscena l’arringa di un fantomatico tribunale («Sua Eccellenza l’Illustrissimo Supremo Giudice/Sialodato Sotuttoìo/del Glorioso Tribunale/
del Nuovissimo Impero») che condanna i grandi amanti protagonisti dei romanzi d’amore della
letteratura di tutti i tempi, da Otello a Romeo e Giulietta, da Paolo e Francesca a Ulisse, da Renzo
e Lucia a Ginevra e Lancillotto e via scorrendo, tutti condannati con l’accusa di aver inseguito una
chimera effimera e utopica chiamata Amore. Così la scrittura, ora feroce ora umoristica, riesce a
scardinare uno a uno i luoghi comuni della relazione amorosa con arguzia, eleganza e il gusto
sempre guizzante dello sberleffo che fa ridere a denti stretti («Il signor Paolo Malatesta detto
il Bello, nato a Verrucchio nel 1246 circa, forse a primavera, e residente in Gradara, professione
nobiluomo, politico e cultore delle arti, attualmente domiciliato presso il signor Minosse, quinto
piano sotterraneo riscaldamento geotermico puro»), dimostrando come senza stereotipi un
buono scrittore possa fare di una piccola traccia un piccolo tesoro satirico.
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LA RAVA & LA FAVA...
PEZZO (PONTEDILEGNO)
Prossima (inutile)
realizzazione
Un centro storico semivuoto e ruderi in bella
vista e in contemporanea nuovo spreco di
verde per la costruzione di ville bifamiliari di
cui non si sente assolutamente il bisogno (si
vedano le foto accanto). Il Comune stabilisca
una legge chiara per tutti: si discuterà di
nuovi piani di lottizzazione una volta risanati
i centri storici. Intanto nessuno compri
villette: le tasse sulle seconde case sono
diventate una follia. E nessuno che distingua
tra recupero dell’esistente e impropria
invasione del verde. (gima)
BENE, MA LA MENSA?
La settimana corta
di Mottinelli
Pieno appoggio all’idea di Mottinelli di passare nelle scuole alla settimana corta (sabato
libero). Sono serie le motivazioni sul risparmio per trasporti e riscaldamento. Ma sono
ancor più serie le ragioni organizzative e
didattiche. La costruzione dell’orario settimanale dei docenti diventa molto più facile e razionale: eliminato il mercato sotterraneo per
avere il sabato libero, il giorno libero diventa
per tutti il sabato. Punto.
Non mi meraviglia l’opposizione delle famiglie: fanno i figli e poi li vogliono parcheggiare anche il sabato presso le istituzioni statali.
Che imparino a riunire la famiglia almeno durante il fine settimana. Organizzino di andare
assieme a sciare oppure a vedere una mostra
o un museo o un luogo mai visto. Comodo
delegare tutto alla scuola...
I ragazzi hanno qualche ragione in più:
temono il carico di compiti concentrato durante il fine settimana. La scuola si organizzi
perché studio e compiti si distribuiscano nei
pomeriggi di impegno scolastico. Per una
scuola così, caro Mottinelli, ci vogliono le
mense. Il risparmio va quindi concentrato
nell’istituzione del servizio mensa. Una sfida
non da poco. (gima)
In Redazione:
Andrea Bonadei, Andrea Curnis, Bruno Bonafini,
Guido Cenini, Alessio Domenighini, Ivan Faiferri,
Stefano Malosso, Valerio Moncini, Federica
Nember, Gabriele Scalvinoni.
Hanno collaborato:
Fausto Bonomelli, Igor Gabusi, Giancarlo
Maculotti, Arturo Minelli, Margherita Moles,
Bortolo Pessognelli, Vincenzo Raco, Lorenzo
Rosa, Lodovico Scolari, Corrado Tomasi.
Impaginazione grafica:
Tullio Clementi e Gabriele Scalvinoni.
Disegni: Sabrina Valentini.
Direttore editoriale: Michele Cotti Cottini.
Direttore responsabile: Tullio Clementi.
GRAFFITI
via Silone, 8 (c/o Tullio Clementi)
25040 DARFO BOARIO TERME
[email protected]
www.graffitivalcamonica.it
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«... i razzisti dovrebbero essere (in teoria)
una razza in via di estinzione. È esistito
un patrizio romano che non riusciva a
sopportare che diventassero “cives romani” anche i galli, o i sarmati, o gli ebrei
come San Paolo, e che potesse salire al
soglio imperiale un africano, come è infine accaduto? Di questo patrizio ci siamo
dimenticati, è stato sconfitto dalla storia.
La civiltà romana era una civiltà di meticci. I razzisti diranno che è per questo
che si è dissolta, ma ci sono voluti cinquecento anni. E mi pare uno spazio di
tempo che consente anche a noi di fare
progetti per il futuro» (Umberto Eco, “Le
migrazioni, la tolleranza e l’intollerabile”, in Cinque scritti morali)
RITRATTO di Guido Cenini
Alice Piccinelli
C’era una volta, ma c’è ancora, una ragazza timida
e riservata. Studiava ed otteneva risultati discreti.
Sarebbe stata una buona maestra. No. Parte per
l’Africa insieme a don Redento, prete scomodo
che a Gorzone si sente troppo stretto. Si parte
per l’Alto Kenia presso una delle popolazioni più
povere del pianeta, i Rendille. Sono i tempi del volontariato puro, dell’impegno, della sofferenza, ma
anche di tante soddisfazioni: i primi pozzi, le case,
gli ambulatori, i bimbi da curare come infermiera
come se non fosse stata all’Istituto magistrale.
Sono i tempi in cui Alice conosce Giacomo, compagno per sempre, altro volontario. Generosità e volontariato sono termini che attraversano tutta la sua biografia. Una breve pausa nelle
poste, al suo rientro in Italia, in attesa di un passo avanti nell’insegnamento. Allora è tempo
di università e lavoro. Finalmente nella scuola media, quella di Artogne-Piancamuno, quella
delle sperimentazioni, quella del gruppo di donne volenterose che si mettono a lavorare oltre
l’orario, senza guardare al tempo ma agli obiettivi di promozione sociale e culturale. Sempre
di volontariato si parla. Oggi, pensionata, ha assunto un altro impegnativo ruolo: consigliere
comunale alle pari opportunità. Nasce così la Commissione Pari Opportunità, viene creato a
Darfo il servizio di ascolto e assistenza per le donne che subiscono violenza (Sportello donne e
diritti), vengono coinvolti studenti e insegnanti delle scuole superiori e le associazioni genitori
per rilevare il peso del pregiudizio di genere nelle scelte formative di ragazze e ragazzi, viene
costruito un legame tra la memoria delle passate generazioni di donne (le sarte) e le giovani
che frequentano in Valle la scuola per modelliste, viene riconosciuto valore all’operare delle
donne nell’arte (Donarte 6-8 marzo 2016).
Ogni anno a Darfo il 25 novembre una fiaccolata ricorda la giornata mondiale contro la violenza sulle donne e per l’8 marzo un calendario di iniziative celebra la “ricchezza” che il femminile
porta in vari campi: il sociale, la cultura, l’artigianato, l’arte.
Ormai non c’è manifestazione al femminile a Darfo e dintorni dove non ci sia lo zampino di
Alice. A marzo Graffiti ha scelto una donna per il ritratto, viva e vegeta, anzi vivace ed attiva.
Ma non deve essere solo un mese, quello dedicato alla donna, lo sia tutti i giorni e tutti gli
anni. Alice non si presta al volontariato solo un giorno all’anno e neanche un mese: sempre!
RECENSIONI di Tullio Clementi
Su e giù per la Valcamonica guardando dal finestrino
Titolo: Verbigerazione
Autore: Giorgio Zendrini
Editore: Liberodiscrivere
Mino Martinazzoli apre i suoi Pretesti per
una requisitoria manzoniana con una libera
interpretazione di Blaise Pascal («Tutto il male
comincia quando uno decide di uscire dalla
sua stanza»), per poter aggiungere che «non
c’è bisogno di uscire, basta stare alla finestra».
Fin troppo trasparente la chiamata in causa
di Xavier de Maistre che, “alla finestra” ci
starà per ben 42 giorni consecutivi (i giorni
da scontare agli arresti domiciliari nella sua
camera di Torino), durante i quali compirà il
suo Viaggio intorno alla mia camera, la cui
chiosa finale sarà più un rimpianto che una liberazione («Oggi stesso, certe persone da cui
dipendo hanno la pretesa di ridarmi la libertà:
come se me l’avessero tolta! Come se avessero il potere di rubarmela un solo istante, e
d’impedirmi di percorrere a mio piacimento
il vasto spazio sempre aperto, dinanzi a me!
Mi hanno vietato una città, un punto; ma mi
hanno lasciato l’universo intero...»).
Giorgio Zendrini esce invece dalla sua camera, ma non più di tanto: quanto basta per
scendere da Cevo a Cedegolo, prendere il
treno e fare un viaggio fino a Brescia e ritornare nella sua intimità valligiana. Un viaggio
da cui trae spunti e appunti – come già
fatto a suo tempo da Ugo Calzoni per il suo
Camuni, recensito su queste stesse pagine
– che riverserà con lucida meticolosità nella
sua Verbigerazione, dove “sente” la storia
delle origini («è un tono primitivo, è ritmo, è
picchiettare di pietra su pietra, di metallo su
pietra...»). “Sente” il lavoro alienato dei reclusi
nei capannoni e nelle officine della Valcamonica, e “sente” il lavorio costante – a volte
dolce, a volte impetuoso – dell’acqua che
trasforma e modella uomini e cose, prima di
essere a sua volta addomesticata e costretta
al silenzio entro piccole e grandi tubature
d’acciaio («e, quando termina di generare
profitti, provano a “decantarla” nei musei:
l’oro bianco a cultura»).
Acqua, bene pubblico/privato, scrive ancora
Zendrini, ovvero: «Una contraddizione che è
al cuore del capitalismo contemporaneo».
E ce n’è pure per la scuola privata, «canale
preferenziale per i figli delle classi privilegiate
(impiego sicuro)», grazie alla quale «futuri manager e politici saranno ben istruiti,
preparati e agguerriti, pronti a sostenere lo
scontro tra civiltà. Essi si daranno pane e
lavoro (e agli altri impoverimento generale)».
Ed infine il ritorno. Il ritorno del treno da Brescia ed il ritorno dell’architetto all’ovvio – alla
«ed ecco riecheggiare il racconto
del “vecchio” che non si limita a
vedere, ma “sente”».
nostalgia? – nell’abitare e nel costruire.
Dulcis in fundo, non poteva mancare il
conflitto – generazionale e culturale – tra il
vecchio pastore che va a svernare col suo
gregge nella “bassa” e gli immotivati giovani
studenti del Terzo Millennio.
Dalla finestra di una camera alla carrozza di
un treno... Ma l’osservatorio verso “l’universo intero” – purché si abbia la capacità di
lanciare lo sguardo al di là del nostro ombelico senz’altro limite che non sia la smania si
conoscere (“di sentire”, scrive Zendrini) – è
immenso, come hanno saputo mostrare autori
della statura di Jack Kerouac («Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati».
«Dove andiamo?». «Non lo so, ma dobbiamo
andare»), in Sulla strada o, per altro verso,
Roberto Maynard Pirsig con Lo zen e l’arte
della manutenzione della motocicletta, ovvero,
un viaggio nelle lande dell’America e della
mente umana. Curioso, in tal senso, l’approdo
del laico Giorgio Zendrini alla cultura Zen:
un approdo tanto... fideistico da convertirlo
nientemeno che in un monaco buddista.
Un’ultima considerazione sulle frequenti
e non brevi intrusioni dialettali nel libro di
Zendrini. Le mie perplessità in tal senso
sono note (che senso ha nominare le cose in
dialetto se le cose stesse ormai non ci sono
più?), tuttavia, grazie al contributo di Elvira
Muicic, incluso nella parte finale del libro, ne
escono con qualche dubbio in più, soprattutto perché «le verbigerazioni del vecchio
sul treno [il narratore] si alternavano in due
lingue. Ho affrontato così le parti del testo in
dialetto: le leggevo ad alta voce [ed ecco riecheggiare il racconto del “vecchio” che non si
limita a vedere, ma “sente”], sorprendendomi
ogni tanto nel trovare una parola che conoscevo, o un suono che sapevo riprodurre, un
arrotolarsi della lingua diverso...».
E qui, le insistenti intrusioni dialettali nelle
verbigerazioni di Giorgio Zendrini ci riportano fatalmente ad apprezzare anche La lingua
di Ana, il terzo racconto storico-biografico
della giovane scrittrice italo-bosniaca.
VALCAMONICA EXPRESS di Igor Gabusi
Da Villadalegno a Vione
In un pomeriggio di inverno, senza neve, camminiamo da Villa Dalegno a Vione per il vecchio
sentiero che collega a mezza costa della montagna i due paesi, lontano dal traffico della
statale. Imbocchiamo il sentiero nei pressi dei ruderi di un antico lazzaretto, memoria della
peste del Seicento. Fuori dal paese il sentiero si snoda tra prati assolati. Un muretto a secco
che sostiene la montagna ci accompagna, interrotto qua e là da piccoli boschi selvatici.
Il lento camminare e la posizione panoramica del sentiero ci permettono di ammirare la valle, il serpente delle piste da sci bianche fra il nero degli abeti senza neve. Le cime del monte
Avio e il corno del Pornina sembrano adagiarsi sui prati bianchi di neve del Monte Calvo. Il
loro profilo ricorda quello del massiccio dello Sciliar, in Alto Adige.
Mentre le cime sono bianche , i prati ai margini del sentiero sono gialli, ricordo della calda
estate passata e di questo strano inverno. Incontriamo molte piante a foglia caduca; qualche
salice nelle zone più umide, qualche ciliegio con la corteccia scura, ma soprattutto il frassino,
in esemplari singoli o in piccoli e selvatici boschi che hanno riempito vecchi terreni non più
coltivati. Una pianta antica il frassino, dal legno solido usato sin dai tempi più antichi per i
manici degli utensili dell’era neolitica.
Qualche chilometro più avanti entriamo a Temù; passiamo vicino a vecchi muri costruiti pietra
su pietra, a portoni sconnessi di legno massiccio con robusti catenacci arrugginiti e rustiche
architravi. Qui il bosco e la pietra della montagna diventano porta, muro e casa. L’odore di
vecchio fieno fermentato è passato che non passa; che non scompare neppure ora che molte
volte la stalla è diventata un garage e il fienile un ripostiglio.
Percorriamo un ultimo tratto di sentiero, entriamo nel fitto di un piccolo bosco con alberi
giovani dai tronchi sottili e paralleli. Attraverso i rami scorgiamo la val d’Avio, e la cima Plem in
lontananza. In poco tempo il bosco si fa più rado, e fra i rami questa volta vediamo un campanile. Siamo a Vione e la pietra, il bosco, il sentiero, ridiventano casa, portone, paese.
«Le montagne si dovrebbero scalare con
il minor sforzo possibile e senza fretta. La
velocità dovrebbe essere determinata dallo
stato d’animo dello scalatore. Se sei inquieto accelera. Se rimani senza fiato rallenta.
Le montagne si scalano in un equilibrio
che oscilla tra inquietudine e sfinimento.
Poi, quando smetti di pensare alla meta,
ogni passo non è soltanto un mezzo, ma
un evento fine a sé stesso».
Robert Maynard Pirsig, Lo zen e l’arte
della manutenzione della motocicletta
marzo 2016 |
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ROSSO DI SERA di Giancarlo Maculotti
Mortirolo, ma a queste condizioni
Guido la mette sul comico. Non ha tutti i torti. Ma c’è poco da scherzare. Non basta dire no al
tunnel del Mortirolo. Dobbiamo ripensare globalmente la viabilità della Alpi Centrali. Senza un
quadro europeo potremmo (economia permettendo, ovviamente, sapendo che oggi non offre
grandi possibilità) riempire di traforini le nostre montagne e non risolvere alcun problema. A
mio avviso i valtellinesi non hanno tutti i torti. Bisogna ragionare sullo sbocco in Europa e non
solo in termini campanilistici-valligiani.
In un quadro strategico del genere può trovare di nuovo senso il traforo del Mortirolo che
altrimenti rimane di per sé inutile ed incomprensibile. I valtellinesi oggi sposano l’idea del
traforo dello Stelvio. Un passo avanti. C’è da dire
che non hanno mai dimostrato in fatto di viabilità
Il tunnel del Mortirolo può
molta lungimiranza. Pensate che non hanno ancora
avere senso se inserito in un
le tangenziali di Morbegno e di Tirano! Una follia.
piano serio di collegamenti
Hanno cominciato ad intervenire sulla viabilità a nord
verso l’Europa. Guardiamo
(verso Bormio) e non a sud come sarebbe più logico.
la carta geografica: tra
È come se da noi tutto il traffico dovesse ancora
attraversare Darfo e Breno... Robe da matti.
Brennero e Gottardo c’è un
grande vuoto. È fattibile il
traforo dello Spluga anziché
quello dello Stelvio?
Ma ha senso pensare al traforo dello Stelvio in un quadro europeo? Quando i nostri politici di quarant’anni
fa pensavano al buco sotto il Mortirolo lo vedevano
per arrivare in Germania con una linea ferroviaria che
arrivasse a Ulm. Pensavano in grande. Non avevano
certo in testa che un costosissimo traforo servisse per andare a bere un caffè a Tirano o per
prendere il trenino turistico del Bernina. Guardiamo la carta geografica. Lo stradario. Tra il Brennero e il Gottardo c’è un grande vuoto. Il Gottardo avrà la grande galleria ferroviaria di più di 50
chilometri e quindi riuscirà ad assorbire in parte un traffico che ora, nei giorni di punta, provoca
code di decine di chilometri per entrare nell’attuale galleria a due corsie. Ma nei prossimi decenni non sarà sufficiente. Allora bisogna intervenire nel tratto che sta tra il Brennero e il Gottardo.
Dico subito che il traforo dello Stelvio mi convince poco. Al di là dello Stelvio infatti siamo ancora distanti dalle grandi direttrici europee. E anche se lo fossimo non sarebbe opportuno andare
a caricarle ulteriormente. Passare rapidamente lo Stelvio per arrivare a Glorenza (bellissima città
medievale), guardare il campanile immerso nel lago dell’alta Val Venosta e poi non avere veloci
collegamenti verso nord non ha molto senso. Il traforo dello Stelvio comporterebbe una serie
di altri tunnel che puntano verso il Tirolo austriaco e la Baviera, altrimenti si è punto e d’accapo.
Allora io propenderei per il traforo dello Spluga (tecnicamente non so quali difficoltà comporta,
lo dico sinceramente) ma la logica mi porta lì. Per una serie di motivi: con un unico traforo si
arriva a Coira e si è già sulla direttiva di Zurigo - sud della Germania (c’è già la linea ferroviaria e
c’è l’autostrada che non è delle più trafficate). Arrivare rapidamente a Coira può essere di grande
interesse per gli svizzeri dei Grigioni, per il lecchese, per tutta la Valchiavenna e per la Valtellina.
E per i camuni? Anche. Purché i valtellinesi capiscano che cosa sono le tangenziali e una viabilità
scorrevole almeno come quella della Valcamonica fino a Malonno. In quel quadro assume significato anche un traforo come quello del Mortirolo. In caso contrario lasciamo perdere Tirano e
prendiamoci un buon caffè a Edolo. In attesa che il tunnel sotto Mu possa decollare.
POST-IT
Vecchi e nuovi abbonati all’ottava edizione della cena di Graffiti. La crescita
del nostro mensile è sulle spalle di tutti
i lettori: aspettiamo i vostri articoli e
contiamo sul vostro impegno a far
conoscere il giornale a colleghi, parenti,
amici, compagni!
RICETTARIO a cura del cuoco
ZUCCHERO
Miriam Cominelli è l’unica parlamentare
bresciana che continua a interessarsi del
disastro ambientale prodotto dalla SELCA
di Forno d’Allione.
PEPE
Una segnalazione al contrario. Dov’è finito
quel peperino onnipresente di Caparini.
Sono mesi che non si legge niente su di lui
o sue dichiarazioni.
SALE
Proprio nel mentre arrestavano Rizzi, Rixi, non so
se ci sono anche Pixi e Dixi (come nei cartoni),
mi è venuto in mente l’autore leghista della frase
ROMA LADRONA che ancora si può leggere sui
muri della SS 42 all’altezza di Montecchio.
«Chi non ha principi morali si avvolge di
solito in una bandiera». (Umberto Eco)
IN AGENDA
giovedì
31
marzo
ore 20,30
Costa Volpino: Auditorium
“Strani e stranieri”:
l’Associazione Esserci
riflette sui migranti
Un ciclo di tre serate per ragionare «sull’impatto dell’arrivo di stranieri a casa nostra e
delle nostre impacciate reazioni, che spesso
ci rendono strani»: lo propone l’Associazione
Esserci, attiva nell’Alto Sebino. A Costa Volpino l’ultimo appuntamento, con la dott.ssa
Paola Gandolfi (Università di Bergamo, esperta di antropologia del mondo arabo e dei
contesti migratori) e il dott. M. Khalid Rhazzali (Università di Padova, esperto di diversità
culturale e comunicazione interculturale).
sabato
9
aprile
ore n.p.
Cerveno, Museo Etnografico
Ceto, Az. Agricola San Faustino
Agricoltura biologica:
proseguono le lezioni
La concimazione naturale secondo il metodo
bio» è il tema del terzo appuntamento del
corso itinerante di agricoltura biologica promosso dal Bio-distretto di Valle Camonica,
tra febbraio e ottobre. Una lezione al mese:
il calendario completo è disponibile su www.
biodistrettovallecamonica.it, dove ci si può
anche iscrivere ai singoli eveneti.
Bioedilizia, nuove imprese giovanili in montagna, apicoltura, formaggi d’alpeggio,
viticoltura e tanti altri temi saranno toccati
nell’ambito delle 10 lezioni.
domenica Malegno, Municipio
10
aprile
ore 6.00
Una giornata con
l’Anpi a Montefiorino,
per non dimenticare
La Repubblica di Montefiorino è stata la prima in Italia ad alzare la bandiere della democrazia dopo oltre vent’anni di regime. In quei
600 chilometri quadrati a cavallo dell’Appennino modenese e reggiano dove abitavano
circa 50mila persone si respira un’aria diversa
nel ‘44. La risposta tedesca fu spietata: il 18
marzo ‘44 nazisti e repubblichini fascisti trucidarono 136 civili».
Comune di Malegno e Anpi di Valle Camonica propongono un’occasione per visitare i
luoghi e incontrare un testimone di quei fatti.
Il pullman partirà alle 6 dal Municipio e rientrerà in Valle per le 17. Quota di partecipazione: 30 €. Iscrizioni: 329.1419114
12 |
| marzo 2016