ricercaarte, Baiocchi

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GHERARDINI, Alessandro
GHERARDINI, Alessandro. - Nacque a Firenze il 16 nov. 1655 da Domenico, stipettaio, e da
Lisabetta Socci. Il mestiere lo apprese in giovane età da Alessandro Rosi, un tardo epigono della
maniera di Pietro Berrettini da Cortona.
Personaggio estroso e ribelle, a lungo giudicato artista eclettico e diseguale sebbene superiore nel
"genio pittoresco" al rivale Anton Domenico Gabbiani , il G. è ormai unanimemente considerato
"l'ultimo importante pittore fiorentino puro, che anticipando le nuove correnti della pittura
decorativa del Settecento si rivela come "il vero erede di Luca Giordano a Firenze".
Uscito sui vent'anni dalla bottega del Rosi, il G. si iscrisse all'Accademia del disegno. Poi, venuto a
sapere che il padre - un ubriacone attaccabrighe che morirà pazzo nella fortezza di San Miniato aveva abbandonato il lavoro per vivere alle spalle del figlio, il G. si trasferì ai confini della Toscana,
a Pontremoli.
Probabilmente attratto dal fervore di iniziative che animò Firenze nell'imminenza delle nozze del
gran principe Ferdinando de' Medici con Violante di Baviera, nel 1688 fece ritorno in patria,
ottenendo dal gran principe l'incarico di decorare con le Storie della Vergine una cappella attigua
alla "sala di Bona" in palazzo Pitti. Ma, stando al Baldinucci, il pittore terminò in ritardo e così di
malavoglia la cappella da irritare profondamente Ferdinando, che non volle più servirsi di lui.
Rimasto senza lavoro, il G. si unì ad Antonio Giusti, cui erano state commissionate altre
decorazioni a tempera in occasione delle nozze principesche, ma poi ruppe il sodalizio e nella
chiesa di S. Iacopo tra i Fossi realizzò la sua prima importante opera in luogo aperto al pubblico: la
grande tela ottagona, databile agli inizi del 1689, posta al centro del soffitto della navata centrale
che, con forti scorci prospettici e con modi concitati ispirati alla pittura di Luca Giordano, raffigura
S. Agostino e il trionfo della Fede sull'Eresia. Stabilitosi di nuovo a Firenze, il G. aprì una sua
bottega in via de' Bardi e nel 1691 circa venne accolto tra i professori dell'Accademia fiorentina, in
una seduta in cui vennero eletti anche il suo quadraturista di fiducia, Rinaldo Botti, e lo stesso
Francesco Saverio Baldinucci . Il marchese Filippo Corsini, influente consigliere del principe
Ferdinando, lo chiamò quindi a decorare alcune stanze al piano nobile dell'imponente palazzo di
famiglia sul lungarno in via del Parione.
All'impresa, capolavoro del tardo barocco fiorentino, parteciparono i più quotati artisti del tempo,
tra cui il pittore favorito di Ferdinando, A.D. Gabbiani, che ebbe l'incarico di affrescare i due
ambienti principali.
Il G. venne in seguito impiegato anche nella decorazione di altri ambienti dello stesso palazzo, tra
cui la celebre "grotta" (1697) incrostata di ciottoli, conchiglie e spugne, concepita dai Corsini come
luogo di refrigerio e di svago durante i calori estivi. Qui il G. incontrò per la prima volta Carlo
Marcellini, scultore e architetto bizzarro quanto lui, col quale collaborò altre volte.
Ebbe così inizio il periodo di maggiore attività del G., chiamato a eseguire opere in diverse chiese e
palazzi nobiliari di Firenze.
Nel 1700 il G. venne richiesto a Firenze dai domenicani di S. Marco e subentrò al settantatreenne C.
Ulivelli nella decorazione del secondo chiostro del convento. Il contrasto con l'anziano maestro,
pedissequo continuatore dello stile di B. Franceschini, detto il Volterrano, fu violento e immediato:
il 27 marzo Ulivelli inoltrò all'Accademia del disegno una protesta scritta, in cui chiedeva venisse
interdetto al collega l'accesso al chiostro fintantoché non avesse terminato il suo lavoro.
Nell'estate del 1701 il G. fu chiamato a decorare la cappella di S. Giovanni Gualberto nell'abbazia
di Vallombrosa: mentre Marcellini si dedicava alle decorazioni in stucco, il pittore affrescò sulla
volta la Gloria del santo e illustrò la Strage di s. Salvi nella pala dell'altare di destra.
In diciassette giorni, coadiuvato dal fido Botti cui si devono le quadrature architettoniche, il G.
eseguì l'Annunciazione che funge da testiera dell'alcova, le allegorie del Tempo e della Fama sulle
altre pareti, e le sottostanti figure allegoriche a monocromo, alternate a putti e vasi. Ma l'attività
dell'artista andava progressivamente estendendosi da Firenze a tutta la Toscana occidentale.
Nel 1712 affrescò a Pistoia la piccola chiesa benedettina di S. Maria degli Angeli e nel 1713 tentò
senza successo di farsi assegnare l'importante commissione di una cupola per i filippini di Genova,
lasciando tuttavia in città lo splendido e vibrante gonfalone per la canonizzazione di s. Pio V.
Nel 1720, a conclusione di un processo durato due anni, il G. fu condannato a restituire agli eredi i
quaranta quadri ricevuti in pegno nel 1697 dal pittore Vincenzo Gori o a risarcirne il valore, notizia
d'archivio che conferma i traffici da piccolo mercante d'arte cui accenna spesso Baldinucci.
Tuttavia, la situazione economica dovette tornare ad essere più solida. Con i soldi guadagnati con le
ultime commissioni, narra infatti Baldinucci, il G. pensò di non aver più bisogno di lavorare e
dissipò quindi tutti i suoi averi nel tentativo di terminare la stalla, in speculazioni sbagliate e in
bagordi all'osteria con gli amici.
Divenuto "quasi stolido, e inabile a tutto, e affatto infermo", entrò in ospedale e nel giro di sei mesi
morì, a Livorno, "l'anno 1726 nel mese di Marzo giorno della Domenica delle Palmeā€
L'Autoritratto degli Uffizi, dipinto dal G. nel 1707 all'età di cinquantadue anni, ci restituisce
l'immagine ufficiale che questo artista intendeva consegnare ai posteri; tuttavia, il volto nobilmente
atteggiato sotto la parrucca bianca non corrisponde al ritratto delineato da Baldinucci, che lo
descrive "molto complesso rosso di faccia anzi brutta, che bella, con occhi gonfi, e grandi molto, e
bocca sdrucita". Eppure quest'uomo collerico, incostante e privo di modestia suonava il violoncello,
aveva un'intelligenza pronta, era "spiritosissimo" e dimostrava, a volte, un animo gentile. In pittura
il suo maggior merito fu di intuire prima e meglio di ogni altro la portata rivoluzionaria delle opere
eseguite da L. Giordano a Firenze tra il 1680 e il 1685, che ispirarono la rinascita nel Granducato
della grande decorazione religiosa e profana. Tuttavia, dopo l'iniziale, pesante influenza
giordanesca, il G. seppe trovare una sua personale cifra stilistica, luminosa e sbrigliata, che esercitò
una profonda influenza sulle nuove generazioni di artisti: da S. Galeotti, suo allievo, a G.D. Ferretti,
a G.C. Sagrestani.
(Rielaborazione di Biancamaria Baiocchi)