L`Autorità per gli investimenti libica, l`uomo in più di Tripoli Libia, la

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L`Autorità per gli investimenti libica, l`uomo in più di Tripoli Libia, la
L’Autorità per gli investimenti libica, l’uomo in più
di Tripoli
Libia, la soluzione italiana
di
Anita Nappo*
D
al Marzo 2016, la Libia ha un governo di cosiddetta unità nazionale sotto la
guida di Fā yez Muṣṭafā al-Sarrā j,la cui principale, se non unica forza è il placet della
comunità internazionale e l’appoggio del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Con
l’accordo politico firmato in Marocco, a Skhirat, il 17 dicembre 2015, le maggiori
fazioni in lotta in Libia mettevano nero su bianco il proprio impegno nel superare le
divergenze con l’intento di procedere insieme verso la formazione di un governo di
unità nazionale. Un accordo etero-indotto nato esclusivamente per combattere la
minaccia del dilagare dello Stato Islamico nel paese, e mai percepito dalle parti in gioco
come necessario ai fini dell’effettiva riunificazione della Libia.
A cinque anni dalla deposizione e morte del Colonnello Mu’ammar Gheddafi, la Libia
odierna è ancora un’entità proto-statale, il cui frazionamento interno è
multidimensionale, non riconducibile esclusivamente alle componenti di affezione
locale-tribale o ad interessi economici legati all’energia. Uno degli errori più ricorrenti
nell’analisi dello scenario libico è quello di ridurne la portata ad un’entità
bidimensionale,a una lettura manicheistica che vede scontrarsi forze liberali contro gli
*Laureata in Studi Internazionali presso l’Università di Napoli l’Orientale nel 2014, al presente Anita lavora presso
uno studio paneuropeo di consulenti politici con sede a Brussels, dove si occupa di politica europea e mediorientale,
affari governativi e relazioni esterne. Anita concilia la sua anima da orientalista con il suo lavoro a Brussels grazie al suo
background accademico e alle esperienze di ricerca e lavoro pregresse in medioriente e in Europa. Sempre alla ricerca
di nuovi spunti per le sue ricerche, Anita è un’appassionata viaggiatrice e commentatrice di affari mediorientale e
politica europea.
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islamisti, rivoluzionari contro i nostalgici dell’ancien régime, milizie di Zintan contro
Misurata, Tobruk contro Tripoli. Il potere in Libia è diffuso, disseminato tra questi
attori. L’affastellarsi di tensioni e linee di frazione interne alla Libia ha non solo
contribuito a creare ostacoli sulla strada del governo libico in carica, ma anche a
mantenere in vita il regime di sanzioni imposto dall’ONU dal 2011(resUNSC 1970).
La complessa architettura istituzionale figlia dell’accordo negoziato dalle Nazioni
Unite, lascia spazio a molte perplessità. Sembra, ad ogni modo, che la comunità
internazionale abbia avuto ciò che chiedeva, ossia un centro di potere unico sulla carta,
con cui ragionare su temi quali sicurezza e migrazione in primis. Che questo
ragionamento sia spurio lo dimostrano i fatti. Il regime di sanzioni imposto dall’ONU
e dall’UE resta ancora in piedi, e il mandato del Comitato di controllo per il rispetto
della disposizioni previste dalla risoluzione 1970 sia anzi stato esteso fino al luglio
2017. La struttura delle sanzioni imposte dal 2011, e le successive risoluzioni miranti a
rafforzarne la portata, prevedono un embargo sulle armi nonché il divieto di viaggio e
un congelamento dei beni a soggetti specifici, in ragione dei propri legami con il
regime Gheddafi.
Nella lista degli assets finanziati congelati spunta l’acronimo LIA, ovvero il fondo
sovrano di investimento “Libyan Investment Authority”. Il LIA nasce nel 2006, anno
in cui la Libia si libera dal suo status di paria dell’arena politica internazionale grazie al
processo di rapprochement tra il regime di Gheddafi e gli USA. Il fondo sovrano, si legge
nella descrizione sul sito ufficiale, ha come scopo principale quello di creare benessere
e di diversificare l’economia nazionale, in un’ottica di lungo termine e di sostenibilità
per le generazioni future. La diversificazione mira a una ripartizione del proprio
portfolio diviso tra investimenti all’estero e investimenti nazionali per lo sviluppo
locale. Su questo terreno si è svolta una battaglia rilevante della guerra civile libica
post-Gheddafi, quella per il controllo del fondo dal valore stimato attorno ai 67
miliardi di dollari statunitensi. La storia del LIA dal 2011 rispecchia a pieno l’instabilità
politica del paese, con almeno due personalità a reclamare il diritto di controllare le
operazioni del fondo sovrano. Da un lato, HassanBohadi, ex Presidente del Consiglio
di amministrazione del LIA vicino alla compagine di governo di al-Sarrā j. Al
contempo, l’autorità di Bohadi sul fondo è stata disputata sin da principio da
Abdulmagid Breish, uomo vicino a Gheddafi, nonché alle fazioni islamiste che
dominano l’ovest del paese. La leadership contesa del LIA ha seguito un percorso
comune a quello di molte altre istituzioni e centri amministrativi nell’era postGheddafi, dove ognuno ha provato a massimizzare la propria posizione e prevalere
nella corsa alle posizioni che contano approfittando del marasma generale. Fino al
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2014, il fondo ha avuto due Presidenti e due quartier generali, fedeli uno al governo di
Tripoli e l’altro a quello di Tobruk, ma che nella realtà dei fatti non amministravano
nulla essendo il “tesoretto” del LIA congelato dalle sanzioni internazionali. La svolta
per le sorti del fondo è avvenuta quasi nel silenzio, nell’agosto 2016, quando le due
personalità in lotta per la presidenza del fondo hanno deciso di fondare un Interim
Steering Committee per la gestione del LIA, guidata da Ali Mahmoud Hassan.
L’azione riconciliatrice portata avanti da due dei più forti gruppi di potere in Libia ha
dato un segno di speranza alla comunità internazionale che ha difatti salutato la notizia
con un comunicato congiunto di congratulazioni per la designazione di Ali Mahmoud
Hassan a capo del LIA, Italia compresa. In base alla risoluzione del Consiglio di
Sicurezza UNSCres 2259, la gestione del fondo <unitaria e centralizzata da parte di
emissari del governo ufficiale libico> è non solo auspicabile, ma anche veicolo quasi
esclusivo per ristabilire la “normalità” nel paese. Forte del momentum, il Direttore del
fondo ha recentemente fatto richiesta al Consiglio di Sicurezza di discutere e
formalizzare la rimozione del LIA dalla lista dei soggetti sottoposti a sanzioni con la
conseguenza di liberare l’enorme potere finanziario del fondo. Per raggiungere il
proprio scopo, lo scorso ottobre, il Segretario ad interim del LIA Ali Mahmoud
Hassan ha iniziato un tour europeo che ha toccato le maggiori capitali e centri di
potere del vecchio continente. Lo scopo principale era quello di farsi conoscere e fare
lobbying sui governi che contano in vista della possibile rimozione delle sanzioni dal
fondo. La scelta strategica di inviare il giovane manager libico, 42enne educato in
Gran Bretagna e con solido background accademico a sostegno della sua attitudine
imprenditoriale, ha colpito nel segno. La missione era chiara, dare una nuova
immagine della Libia e visibilità al potenziale del fondo d’investimento, nonché aprire
alla sua possibile trasformazione in preziosi investimenti e operazioni di
ricapitalizzazione di banche. L’intoppo per la monetarizzazione e la reale
trasformazione del capitale libico in investimenti resta ancora il congelamento del
fondo che blocca l’accesso ai mercati internazionali di transazioni operate dalla Libia.
In un quadro più vasto, potremmo dunque leggere il viaggio di Ali Mahmoud Hassan
in Europa come un tentativo di “accattivarsi” i CDA e i ministri delle finanze delle
economie europee che stentano a riprendersi, per far poi leva nei consessi
internazionali. Dato il coinvolgimento della più vasta comunità internazionale, perché
concentrarsi sull’Italia? È bene ricordare che l’Italia resta il Paese dove il LIA ha
investito di più, al di là di mere reminiscenze di un passato coloniale e di “amicizia”
che fu.
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Logico quindi che il fondo, che resta presente nelle assemblee di Eni, Juventus, CdP,
Leonardo e Unicredit, punti anche ad avere una rappresentanza nei CDA. In
un‘intervista rilasciata al Corriere della Sera, unico quotidiano ad aver dedicato un
trafiletto alla visita di Ali Mahmoud Hassan in Italia, il Presidente del fondo ha
definito l’Italia un partner importante, “per relazioni politiche e commerciali e per gli
investimenti fatti. Quello che stiamo cercando di fare è colmare il vuoto che si è creato
in Libia con la caduta del prezzo del petrolio e gli stop alla produzione. In Italia
abbiamo partecipazioni in grandi società e istituti e contiamo di coinvolgerli nella
ricostruzione della nostra economia[…]Possiamo fornire facilitazioni creditizie e
assicurazioni per le imprese che vogliono investire in Libia e per le istituzioni
finanziarie che credono nel nostro mercato. I nostri assets all’estero sono congelati ma
possiamo usare i nostri fondi interni, circa 8 miliardi di dollari disponibili per
investimenti”.Incidentalmente, la visita di Ali Mahmoud Hassan in Italia è avvenuta
nei giorni in cui al MEF veniva definito il documento programmatico di bilancio 2017.
Giorni convulsi per il Ministro delle Finanze e il suo entourage, ma che ad ogni modo
è riuscito a trovare del tempo e accordare un incontro con il facoltoso interlocutore
libico. Con lo scopo di presentarsi come legale rappresentanti del LIA, il viaggio in
Europa di Ali Mahmoud Hassan ha segnato un turningpoint nella storia della Libia
contemporanea, muovendo il primo atto del progressivo abbattimento del regime di
sanzioni internazionali che grava sulla Libia. Lontano dal clamore dei media, la tappa
italiana del tour europeo di Ali Mahmoud Hassan ha lanciato un chiaro segnale al
governo dimostrando la volontà di intraprendere un nuovo corso nelle relazioni italolibiche, capace di produrre risultati di portata internazionale sulla sponda Sud del
Mediterraneo.
Per il LIA, e la Libia in generale, l’Italia sarà un partner fondamentale nel 2017, a
Brussels come a New York. Grazie alle posizioni decise mostrate dal governo Renzi
nell’immediato post-Brexit, l’Italia sta mostrando di aver ripreso coscienza del proprio
ruolo di leader in UE con possibili ripercussioni positive per il partner nordafricano.
Inoltre, è bene ricordarlo, l’Italia siederà al Consiglio di Sicurezza dell’ONU come
membro non permanente nel 2017.
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