Libia in transizione. Élites, società civile e fazionalismo nella

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Libia in transizione. Élites, società civile e fazionalismo nella
La Libia è oggi un paese simbolo della complessità dei cambiamenti che dal
2011 stanno ridisegnando la riva Sud del Mediterraneo. L’attuale transizione in
Libia si caratterizza per la fragilità delle istituzioni statali e per l’intensa
conflittualità che si riflette in modo negativo sulla stabilità geopolitica
dell’intera regione. Il caso libico si inscrive in dinamiche di cambiamento che
interessano più di un paese arabo, ma allo stesso tempo si distingue per le sue
specificità storiche, politiche ed economiche. In tal senso il Convegno si
propone di discutere il processo di transizione in Libia anche in una
prospettiva comparata.
L'instabilità strutturale che mina la Libia e logora uno Stato già fragile è
la conseguenza delle lotte di potere e dei processi di ridefinizione socio-politici
tra le diverse élites. Tali contrasti contrappongono le nuove élites, emerse dalla
rivoluzione con quelle precedenti, riconvertite o meno alla rivoluzione. La
conflittualità, che ha portato la Libia a un dualismo istituzionale e a una
crescita generalizzata della violenza nel paese, solleva la problematica delle
modalità di rinnovamento delle élites. Questo rinnovamento, necessario per la
realizzazione dei cambiamenti politici, è di per sé foriero di tensione e
instabilità, in quanto la marginalizzazione delle vecchie élites può minare la
coesione sociale e degenerare nella violenza armata di gruppi non istituzionali.
L’instabilità cronica del paese ha anche favorito l’inserimento nello
scenario libico di gruppi jihadisti. Se da un lato le loro dinamiche di azione
sono state a volte troppo semplicisticamente accomunate ad altri casi e
contesti mediorientali, in Libia la loro penetrazione è stata effettivamente
favorita dai rapporti ambigui intrattenuti con i gruppi islamici. Nel contesto
libico, meno repressivo rispetto alla Tunisia o all’Egitto, i gruppi islamici si
connotano per la loro permeabilità alle correnti jihadiste con le quali hanno
stretto alleanze, aprendo loro uno spazio di legittimazione politica senza che
essi siano fortemente radicati nella società. Questo legame, che rappresenta
uno dei maggiori ostacoli alla stabilità, pone la questione della effettiva
capacità dei movimenti islamici di operare una transizione verso la pratica
politica civile e democratica. Il caso libico rimanda quindi alla più ampia
questione della complessità della transizione alla democrazia e del ruolo
dell’Islam politico.
Inoltre, i numerosi attori locali ostacolano il consolidamento di una
dimensione nazionale. L’instabilità strutturale che ne consegue si combina così
con il ritorno o la costruzione di identità segmentarie legate a rivendicazioni
etniche che alimentano tendenze centrifughe a livello regionale o locale. Si
ripropone qui una questione, che non è riconducile solo al caso libico: le forze
politiche e sociali emerse in seguito alle rivolte del 2011 non sono tutte
incanalabili in un processo di cambiamento attraverso lo Stato, piuttosto che
contro di esso.
In Libia, in combinazione con le dinamiche interne e regionali, ha avuto
un ruolo determinante anche la più ampia dimensione internazionale. La
rivolta libica si è caratterizzata fin dall’inizio, oltre che per la degenerazione
violenta, anche per l’intervento militare internazionale. I diversi gruppi armati
e le élites politiche coinvolte traggono dai rispettivi referenti esterni - statuali e
non statuali - legittimazione, appoggio economico e militare, mettendo in atto
un processo che ha contribuito direttamente o indirettamente a
internazionalizzare la crisi. L’acuirsi della conflittualità interna finisce per
ridurre sempre più lo spazio dei mediatori internazionali a tutto vantaggio di
una ipotesi di un nuovo intervento militare esterno.
Nella crisi libica le migrazioni internazionali (sia quelle indirizzate a
trovare lavoro nel paese grazie a un’economia relativamente florida e collegata
alla rendita petrolifera, sia quelle di transito) ricoprono un ruolo centrale. Le
migrazioni hanno un considerevole peso nel processo di contrattazione
internazionale tra le élites libiche e gli Stati più direttamente coinvolti dai
fluissi in transito come è il caso soprattutto dell’Italia, di Malta, e per
estensione dell’Unione Europea. La diffusa conflittualità in Libia non ha affatto
interrotto i flussi migratori provenienti dall’Africa sub-Sahariana, che tuttavia
nel mutevole contesto del paese stanno sperimentando una crescente tendenza
all’informalizzazione e alla criminalizzazione delle diverse traiettorie
migratorie.
Il Convegno si indirizza all’insieme delle scienze sociali e privilegia
contributi basati su ricerche svolte sul campo relative alle evoluzioni recenti
della transizione libica. Saranno prese in particolare considerazione, ma non
esclusivamente, proposte di relazioni sui seguenti temi:
dinamiche di cambiamento delle élites
riforme e riconfigurazione istituzionale
élites locali e rapporti con il potere centrale
minoranze etnico-culturali e identità regionali
fazionalismo e appartenenze locali
attori e dinamiche internazionali
migrazioni verso e attraverso la Libia e diaspore libiche
Le proposte di presentazione, per un massimo di 1000 caratteri e
corredate da un breve profilo, devono essere inviate entro il 7 aprile 2015 a
Ali Bensaad [email protected]
e
Antonio Morone [email protected]
Comitato Scientifico
Ali Bensaad (Université d'Aix-Marseille), Anna Baldinetti (Università degli
studi di Perugia), e Antonio M. Morone (Università degli studi di Pavia),
François Dumasy (Ecole Française de Rome), Olivier Roy (European University
Institute).