È stato un errore

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È stato un errore
VIAGGIO
NELLA STORIA
Ron Kovic
È stato un errore
STORIA
Il brano che stai per leggere è tratto dal romanzo autobiografico Nato il
4 luglio dello scrittore statunitense Ron Kovic.
Ron, il protagonista del romanzo, a poco più di vent’anni si arruola nei
Marines e parte per il Vietnam, convinto della necessità di questa guerra
e fiducioso nel governo degli Stati Uniti. Durante un’azione di combattimento, ferito gravemente alla spina dorsale, rimane paralizzato dalla
vita in giù.
Ritornato in patria su una sedia a rotelle, scoprirà che l’opinione pubblica ha maturato una radicale critica nei confronti della guerra in cui lui
ha creduto e ha combattuto.
Ora, per molti, la sua sola presenza è scomoda e lui non può vantarsi di
essersi sacrificato per gli USA.
Dopo un lungo periodo di crisi e disperazione, Ron si dedicherà con
impegno all’attività pacifista, divenendo un leader del movimento e trovando così un valido scopo alla sua vita.
Nel brano che ti presentiamo, Ron e i suoi uomini si trovano ad assistere
a uno dei tanti «orrori» della Guerra del Vietnam.
1. Andò: il soggetto è il
sergente americano Ron,
il protagonista.
VIAGGIO
2. divisa mimetica:
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divisa a macchie verdi e
marrone che permette
ai soldati di confondersi
con la boscaglia.
Andò1 in servizio di pattuglia insieme agli altri, la notte dell’imboscata. Alle otto in punto, dopo aver caricato il fucile, lasciò la tenda e si
addentrò nell’oscurità e nella pioggia. Come al solito, aveva fatto indossare ai suoi uomini la divisa mimetica2 completa, si era assicurato
che si fossero messi il nero sulla faccia e si fossero legati alle gambe e
alle braccia dei ramoscelli.
Lentamente i perlustratori oltrepassarono il filo spinato a uno a uno
e si incamminarono lungo il fiume verso il cimitero dove avrebbero
teso l’imboscata.
Il cimitero era accanto a una risaia. Nessuno parlò mentre la attraversavano e credette di sentire delle voci provenienti dal villaggio.
Sentiva l’odore familiare del fumo dei fuochi accesi nelle capanne e
pensò che gli uomini che ogni giorno andavano a pescare dovevano
essere tornati a casa. Li vedeva tutte le mattine, sulle loro barchette,
che scendevano verso la foce del fiume, verso il mare.
Ricordò quanto fosse stato difficile, all’inizio, fare una distinzione
fra gli abitanti del villaggio e i nemici; talvolta sembrava più semplice
odiarli tutti, ma si era sempre sforzato di non farlo. Avrebbe voluto
essere sicuro che loro avevano capito che lui e gli altri erano lì per
aiutarli, per salvare il loro Paese dai comunisti.
Erano sull’argine della risaia che confinava con il cimitero. Le voci
provenienti dalle capanne vicine sembravano piuttosto forti. Guardò
avanti, dove stava il tenente che li aveva accompagnati quella notte. Il
tenente aveva mandato uno degli uomini, Molina, oltre la risaia, quasi al
margine del villaggio. Continuava a cadere una pioggia gelida e gli uomini dietro di lui sembravano una fila di statue in attesa di un ordine.
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3. Vietcong: guerriglieri del Fronte di Liberazione del Vietnam del
Sud.
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Ma doveva esserci qualcosa che non andava, più avanti. Vide Molina
che muoveva le braccia in preda a grande agitazione, cercando di
comunicare qualcosa al tenente. Inciampando nella risaia, quasi strisciando, Molina tornò dal tenente. Vide che gli sussurrava qualcosa
all’orecchio, quindi il tenente si voltò verso di lui. «Sergente» disse
«io e Molina andiamo avanti. Lei rimanga con la squadra.»
Cercando di mantenersi in equilibrio sull’argine della risaia, tornò
indietro, dopo che il tenente se ne fu andato, facendo segno con il
fucile di stare a terra agli altri uomini dietro di lui. Uno dopo l’altro,
si inginocchiarono sull’argine, sotto la pioggia, aspettando l’ordine di
proseguire. Tremavano tutti dal freddo.
Aspettarono per quella che sembrò un’eternità, poi, all’improvviso,
dall’oscurità emersero il tenente e Molina. Dall’espressione dei loro
volti capì immediatamente che avevano visto qualcosa più avanti, ne
era certo.
«Che cosa c’è?» domandò urlando.
«Penso che li abbiamo trovati!» disse il tenente.
Non sapeva di che cosa stesse parlando il tenente.
«Che cosa?» chiese.
«I Vietcong3! Andiamo!» Il tenente aveva preso il comando. Sembrava molto sicuro di sé. «Andiamo, maledizione!»
Tolse la sicura al fucile e fece alzare i suoi uomini in silenzio, facendoli avanzare dietro il tenente e Molina, in direzione del villaggio.
«Silenzio, sono là!» bisbigliò il tenente, facendo cenno agli altri di
acquattarsi. Strisciarono fino agli alberi, quindi dietro la risaia, fino
a che l’intera squadra si allineò compatta contro l’argine, davanti al
villaggio.
Vide una luce, forse un fuoco, brillare in lontananza sulla destra del
villaggio e delle piccole sagome scure che si muovevano dietro a esso.
Non riusciva a calcolare a che distanza fossero da loro. Era difficile,
così, al buio.
Il tenente gli si avvicinò: «Vede?» esclamò, sovreccitato. «Sono armati. Vede i fucili? Li vede?» chiese.
Cercò di vedere, attraverso la pioggia.
«Li vede?»
«Sì, li vedo. Li vedo» rispose. Ne era sicuro.
Il tenente gli passò un braccio attorno alle spalle e gli bisbigliò
all’orecchio: «Digli che dal fondo mi facciano luce. Voglio che ci sia
più luce che su un albero di Natale!».
Voltandosi prontamente verso l’uomo sulla sua destra, gli riferì quello che aveva detto il tenente. Gli disse di passare le istruzioni fino in
fondo alla fila, da dove avrebbero dovuto lanciare un razzo luminoso
sopra il fuoco vicino al villaggio.
Sdraiato nel fango, vicino all’argine, osservava il fuoco brillare nella
pioggia. Vedeva ancora le piccole sagome che si muovevano accanto
a esso, come piccole ombre su uno schermo. Sentì la tensione degli
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uomini e quindi udì il forte rumore del razzo luminoso lanciato sopra le loro teste, in un arco di luce che cambiò la notte in giorno,
diretto verso il piccolo fuoco che, ora, si vedeva bruciare in una
capanna aperta.
Improvvisamente si sentirono dei colpi di fucile in fondo alla fila e
poi tutti aprirono il fuoco, premendo ripetutamente sul grilletto in
un frastuono infernale, senza neppure pensare, vuotando il caricatore sulla capanna, mentre il cielo era attraversato da enormi scie
arancione di luce.
Si oscurarono anche gli ultimi sprazzi di luce e il buio più completo
tornò a coprire il villaggio, non si vedevano che gli ultimi tizzoni di
quel fuoco ormai spento.
Li udiva, però. Le voci, le grida.
«Che cosa è successo?» gridò il tenente.
Le grida provenivano dalla capanna.
«Chi ha dato ordine di sparare?» Il tenente stava in piedi davanti alla
fila di uomini, guardandoli a uno a uno, sotto la pioggia. Sentì che
stava tremando. Era accaduto tutto così in fretta.
«Sarebbe meglio mandare una squadra giù a vedere» sentì che diceva
Molina.
«D’accordo. D’accordo. Sergente!» lo chiamò il tenente. «Vada laggiù
con Molina e mi dica quanti ne abbiamo presi.»
Si alzò in piedi, mise insieme un gruppo di cinque uomini e li guidò
in direzione della capanna da cui provenivano le grida.
Molina diresse il fascio della torcia verso la capanna. «Oddio» disse. «Cristo.» Scoppiò in lacrime. «Abbiamo sparato a un gruppo di
bambini!»
Erano tutti per terra, gridavano e dimenavano le braccia, in un lago
di sangue, piangevano disperati e continuavano a gridare. I colpi li
avevano raggiunti al viso, al petto, alle gambe; piangevano e si lamentavano.
«Gesù!» gridò.
Sentì che il tenente gli gridava di dirgli quanti ne avevano ammazzati.
C’era un vecchio, in un angolo, a cui era saltata la testa dagli occhi
in su, e il cervello era uscito dal cranio come gelatina. Non riusciva a
staccare gli occhi da quella scena orribile, non aveva mai visto nulla
di simile in vita sua. Un bambino, accanto al vecchio, era ancora vivo,
nonostante fosse stato colpito più volte. Piangeva sommessamente,
riverso in un lago di sangue.
«Ma che succede? Che diavolo succede?» Il tenente stava diventando
nervoso e impaziente.
Molina gridò al tenente di venire subito: «È meglio che venga. Ci
sono molti feriti».
Non vedeva che sangue e non sentiva che lamenti, il cuore gli batteva
all’impazzata, come mai prima.
Poi non ce la fece più a stare lì a guardare. Erano esseri umani, pensò,
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e lui doveva fare qualcosa, doveva aiutare, fare qualcosa. Si strappò
di dosso la sacca del pronto soccorso, la aprì e afferrò le bende, gridando a Molina di venire ad aiutarlo. Si inginocchiò fra quei corpi
urlanti e iniziò a bendarli, cercando di coprire le ferite da cui uscivano fiotti di sangue. «Andrà tutto bene. Andrà tutto bene» si sforzava
di ripetere, ma aveva iniziato a piangere anche lui e, fra le lacrime,
cercava di medicarli.
Il tenente e gli altri uomini erano appena arrivati.
«Maledizione, sergente! Che succede? Quanti ne abbiamo ammazzati?»
«Sono bambini!» gridò al tenente.
«Vecchi e bambini!» confermò Molina.
«Dove sono i loro fucili?» chiese il tenente.
«Non ci sono fucili» rispose.
«Allora aiutatelo!» urlò il tenente agli altri. Gli uomini si fermarono
all’ingresso della capanna, incapaci di proseguire.
«Aiutatelo, forza, aiutatelo! Vi ordino di aiutarlo!»
Ma loro rimanevano immobili, alcuni, in lacrime, lasciavano cadere
il fucile, cadevano a sedere sulla terra bagnata. Piangevano, si coprivano il viso con le mani. «Oh Gesù, oh Dio, perdonaci!»
«In piedi!» gridò il tenente. «Dove credete di essere? Vi ordino di
alzarvi in piedi.»
Alcuni iniziarono lentamente a strisciare verso i corpi, afferrando le
ultime bende rimaste.
«Sarebbe meglio chiamare un elicottero!» urlò qualcuno.
«Dov’è il tecnico radio? Andate a cercarlo!»
«Cactus rosso, pronto. Qui Luce Rossa Due. Abbiamo bisogno di
soccorsi. Abbiamo molti feriti... feriti amici.» Sentì il tenente che parlava alla radio, cercando di spiegare dove dovevano venire gli elicotteri.
Gli uomini nella capanna stavano seduti a piangere, incapaci di muoversi, di obbedire agli ordini del tenente.
«Voi! Voi, uomini, dovete ascoltarmi. Dovete piantarla di piangere
come marmocchi. Comportatevi da Marines! Siete uomini, non marmocchi. È stato un errore. Non è colpa vostra. Si sono messi in mezzo. Voi non capite, si sono messi in mezzo!» urlò il tenente.
Quando giunse l’elicottero di soccorso, lui prese in braccio il bambino che giaceva accanto al vecchio. Lo tenne fra le braccia, guardandolo negli occhi pieni di terrore e lo portò fino al portello aperto
dell’elicottero.
E poi, quando tutto fu terminato e i feriti furono caricati a bordo,
aiutò il tenente a far riprendere agli uomini il servizio di pattuglia.
(da Nato il quattro luglio, Sperling & Kupfer, Milano, 1990, rid. e adatt.)
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