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IL CASO
Un paese vicentino lancia una campagna per rivalutare il saluto. Il sindaco: lo scriveremo anche
sulle insegne stradali
Il buongiorno si vede dal cartello
Nelle scuole di 38 Comuni distribuite 300 mila cartoline Per salvare, almeno tra i giovani, una
forma di cortesia che sembra in via d'estinzione
Francesco Dal Mas
VICENZA. Mandi («sta con Dio») è il tipico saluto friulano; sarà anche la prima parola che
impareranno a scuola - di lingua friulana - i numerosi scolari cui, a decine di migliaia (circostanza
sorprendente), si stanno iscrivendo in questi giorni.
Sani, beneaugura l'arcidiacono del Cadore, monsignor Renzo Marinello, a quanti lo incontrano,
anche l'immigrato nigeriano che bussa alla sua porta con un simpatico «ciao fratello». «Ciao»,
ovvero quel s-ciao tuo, «schiavo tuo» veneziano che gli abitanti della laguna vantano come il primo
«saluto globalizzato». Don Antonio Mazzi ricorda ancora quando, incontrando madre Teresa di
Calcutta non le seppe dire che un «ciao», ricambiato con un sorriso.
Saluto e sorriso, una forma di civiltà che si sta esaurendo, perfino tra gli inquilini dello stesso
condominio, che al più si scambiano un cenno del capo. Ma c'è chi non si rassegna a perdere
un'abitudine che di fatto è la prima forma di relazione. Sono i volontari dell'associazione «Il bosco
delle fate» che da Montegaldella, in provincia di Vicenza, stanno promuovendo un'originale
campagna di sensibilizzazione il cui motto è tutto il programma: «Salva il saluto».
Perché - ti spiegano - «un saluto non lo si nega neppure a un cane». E, d'altra parte - aggiunge il
sindaco Giacomo Bertinato, che conferma di voler inserire nella segnaletica stradale l'invito a non
negarsi il «ciao» o il «salve» - «chi saluta aumenta la propria simpatia e migliora la qualità della
vita».
Dal Bona al Cerea, dal Bundì al Cian, da A riverdes al salde, ogni comunità, lungo lo Stivale, ha un
suo modo di relazionarsi. «Un'abitudine - fanno notare Paolo Bettini e Antonio Gregolin, dalla cui
fantasia è nata la singolare idea - che purtroppo è in via di estinzione. Ci siamo accorti (ma con noi
anche i 38 Comuni che hanno aderito alla nostra campagna) che il saluto come gesto di civiltà e
cultura soffre di una crescente indifferenza, ma anche di una forte consapevolezza che non vi si può
rinunciare».
Le 300 mila cartoline di «Salva il saluto» sono, quindi, andate a ruba. Così pure i manifesti. Il sito
internet www.boscodellefate.com è tra i più visitati. Un coro parrocchiale di Padova,
l'«Arcobaleno», reduce dall'accompagnamento degli U2 e di Boccelli, sta perfezionando un cd.
Anche Il Messaggero dei ragazzi di Padova ha dedicato alla «salutare campagna» un servizio,
chiedendo a personaggi noti come lo scrittore Mario Rigoni Stern e l'artista-alpinista Mauro Corona
il loro parere (che riproponiamo in questa stessa pagina).
Sono già numerose le richieste dalle scuole di partecipare alla campagna: si può farlo inviando
poesie, ricordi, disegni, racconti, temi e modi di dire su questa forma di cortesia che sembra in via
d'estinzione. I migliori saranno pubblicati in una sorta di antologia del saluto. E tanto meglio se il
«buongiorno» ritrovato non sarà una mera formalità. Non basta infatti recuperare un'abitudine;
anche nel «ciao» o nel «mandi» bisogna metterci l'anima. Il saluto deve ritrovare la forma
dell'omaggio, seppur aggiornato rispetto al passato quando significava sottomissione. Omaggio al
limite della solidarietà morale.
«Il riscontro più simpatico che abbiamo ricevuto - raccontano Bettini e Gregolin - è quello di
un'anziana signora di 82 anni che ci ha scritto per ringraziarci d'aver contributo a lenire la sua
solitudine». «Il saluto è una forma di grazia - annota Tonino Guerra, sceneggiatore e poeta -.
Quanto sarebbe bello che nelle scuole si sentisse dire di tanto in tanto dai maestri o professori: oggi
avete salutato qualcuno, avete sorriso a qualche anziano, avete fatto un gesto di tenerezza?».
Una bambina faceva ciao con la mano e noi prigionieri nel lager continuavamo a
sperare Mario Rigoni Stern
Era per noi una speranza! Un qualcosa di grande e forte, poter vedere quella bambina polacca che ci
salutava ogni giorno. Nel 1943 la Polonia du Hitler divenne la nostra prigione. Sporchi, pieni di
pidocchi e malattie e le catene come i cani, percorrevamo ogni giorno le stesse strade. Eppure, ogni
giorno quel qualcosa di diverso era l= ad aspettarci, guardarci e salutarci! Il volto dolce di una
bambina bionda che alzava la sua manina. Non sapeva quanto desideravamo vedere quel suo fare.
Non poteva immaginare che la sua presenza era una speranza per noi tutti; aspettavamo ogni giorno
con ansia quell'incontro. Era la forza di una bombina che si scontrava con l'impotenza dei grandi.
Aspettavamo che la piccola ci salutasse per continuare a nutrire la nostra speranza! Di piccoli gesti
come questi ne ho parecchi da raccontare, ma forse quel saluto così spontaneo e semplice aveva
l'incredibile capacità di diventare un gesto forte quanto potente, in grado di farci sopravvivere come
uomini senza libertà! Quel saluto valeva una vita. Un saluto è un gesto che non costa nulla, ma può
dire molto. Chissà perchè oggi i giovani non ci salutano più: me lo domando spesso. Io sono uno
scrittore che non viaggia molto. Quando lo faccio rimango male che non ricambiamo... E' forse,
colpa della tecnologia, di questa fretta di oggi, se dimentichiamo che il saluto è principalmente una
forma di rispetto verso gli uomini e il mondo. Attenti! Stiamo perdendo i nostri valori! Tutto ciò
che riempie dentro e serve per ritrovare il senso del rispetto verso gli altri, non può essere che
benedetto! Ben venga questa straordinaria campagna per salvare il saluto: farà bene a noi gente di
montagna come a quelli di pianura e fino al mare. Salutare fa bene a tutti!
Corona: ho imparato dagli animali del bosco Guardo negli occhi e auguro «Buona
vita!»
Mauro Corona
Ricordo ancora quel colpo sparato contro la camoscina. Quando mi avvicinai vidi il suo sguardo che
da terrorizzato si faceva sempre più dolce. Aveva assunto un atteggiamento di dolce rassegnazione.
I suoi occhi erano l'emblema del suo spirito, fiero ma anche umile.
Ormai non potevo fare più nulla, lei stava morendo, lo sentiva e me lo diceva. Mi fissava come se
volesse salutarmi. Ero solo e quegli occhi mi tormentarono dentro come non mai. Quest'ultimo
saluto della camoscina, fu per me anche l'ultimo e definitivo saluto alla caccia.
Purtroppo lo vedo dai ragazzi che vengono fin quassù con le scolaresche, che nessuno saluta più
come una volta...
La mia è una vita fatta di saluti, con quelli che sono vivi e quelli che sono morti. Come Cice Caprin,
un boscaiolo di vecchio stampo che sul punto di morire mi salutò dicendomi: «Se veden doman...
tornem nel bosco a far legna». Tenevo la mia mano sulla sua spalla, i nostri sguardi che
s'incontravano e si salutavano per sempre. Lui sapeva che stava per congedarsi dalla vita.
Sì, perché ci si può salutare anche con uno sguardo! Ecco perché quando saluto guardo dritto negli
occhi come fanno gli animali: solo così puoi capire se colui che ti risponde è generoso e lo fa col
cuore. Buona vita a tutti!
tratto da "Avvenire" domenica 20 gennaio 2002