I nuovi successibili e il diritto intertemporale nella riforma della

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I nuovi successibili e il diritto intertemporale nella riforma della
I nuovi successibili e il diritto intertemporale
nella riforma della filiazione*
Maria Dossetti
Bolzano, 21 marzo 2014
* Relazione al Convegno di studio “Gli assetti successori delle famiglie ricomposte dopo la L. 219/2012 e il D.lgs. 154/2013” promosso
dalla Fondazione Italiana del Notariato a Bolzano il 21 marzo 2014
1. L’area della parificazione tra i figli nella legge 10 dicembre 2012, n. 219.
Il problema dei figli adottivi
L’obiettivo centrale della riforma della filiazione è stato la compiuta realizzazione del
principio della unicità dello stato di figlio, che trova la sua enunciazione essenziale in alcune
norme del codice civile, che sono state completamente riformulate.
Art. 315 c.c. (Stato giuridico della filiazione). - Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico.
Art. 258 c.c. (Effetti del riconoscimento). – 1. Il riconoscimento produce effetti riguardo al
genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso.
Art. 74 c.c. (Parentela). - La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno
stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel
caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di
parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e
seguenti.
Nel disegno della legge 219/2012, completato poi dal decreto legislativo 154/2013,
unificazione dello stato di figlio significa ingresso dei figli, allo stesso titolo, nell’ambito della
famiglia dei loro genitori; attribuzione di identici diritti e doveri; riconoscimento, in una
parola, di una identica condizione personale.
Ma, perché il principio sia operante, è necessaria la sussistenza di un presupposto, non
esplicitato, ma che emerge con evidenza dal sistema normativo, pur rinnovato: il presupposto
richiesto è la costituzione dello stato di filiazione, ossia dello status in senso formale, che
colloca la persona in una determinata relazione con i suoi genitori, la famiglia, la società.
Dunque, “stato di figlio” è formula che può alludere al contenuto del rapporto di filiazione,
ed è in questo significato che l’art. 315 c.c. proclama che “Tutti i figli hanno lo stesso stato
giuridico”; oppure può riferirsi alla fase anteriore, quella dell’accertamento del rapporto, e
questo è il significato della nuova intitolazione del Titolo VII del primo libro del Codice
civile, ora “Dello stato di figlio”.
La riforma della filiazione ha inteso realizzare la completa parità di trattamento tra tutti i
figli per ciò che riguarda il rapporto di filiazione, mentre il sistema dell’accertamento dello
status è rimasto sostanzialmente immutato, e diversificato a seconda delle circostanze in cui è
avvenuta la nascita. Ciò si riflette sulla terminologia legislativa, ed infatti l’art. 2, 1° co., lett.
a), L. 10.12.2012, n. 219, che rimetteva alla delega governativa l’attuazione della sostituzione,
in tutta la legislazione vigente, di «figli legittimi» e «figli naturali» con «figli», fa salvo
l'utilizzo delle denominazioni di «figli nati nel matrimonio» o di «figli nati fuori del
matrimonio», quando si tratti di disposizioni a essi specificamente relative.
L’unico stato di figlio, secondo quanto è precisato nell’art. 74 c.c., spetta dunque ai figli nati
nel matrimonio, ai figli nati fuori del matrimonio, ai figli adottivi, con esclusione degli
adottati maggiori di età. Da questa condizione di parità rimangono ancora esclusi i figli privi
1
di uno status. Benché attualmente non esistano più figli in assoluto non riconoscibili, avendo
la riforma della filiazione rimosso anche il divieto di riconoscimento dei figli nati da persone
tra le quali esiste un vincolo di parentela (i figli c.d. incestuosi) (art. 251 c.c.), tuttavia, in
concreto, vi possono essere figli attualmente non riconoscibili per qualche impedimento (ad
esempio, la mancanza dell’autorizzazione del giudice), oppure figli privi di stato perché essi
stessi non si sono attivati per conseguire lo stato di filiazione loro spettante.
I figli nati nel matrimonio sono coloro il cui status si costituisce fin dalla nascita secondo
quanto stabilisce l’art. 231 c.c.: “Il marito è padre del figlio concepito o nato durante il
matrimonio”1. L’accertamento dello status avviene in modo automatico, mediante
l’applicazione della cosiddetta presunzione di paternità, e riguarda, indivisibilmente,
entrambi i genitori.
L’accertamento della filiazione fuori del matrimonio è invece dominato dal principio
volontaristico: esso dipende, infatti, da un atto di riconoscimento (negozio unilaterale,
personalissimo e formale) (art. 254 c.c.), che deve provenire da ciascuno dei genitori, oppure
dal vittorioso esperimento dell’azione per la dichiarazione giudiziale della paternità o della
maternità, proposta dal figlio (o dai suoi discendenti) (artt. 269 c.c. ss.). L’accertamento del
rapporto di filiazione deve avvenire separatamente per ciascuno dei genitori, e può riguardare
anche uno soltanto di essi: per queste ragioni si può affermare che la filiazione fuori del
matrimonio è divisibile.
Più complesso appare stabilire quali sono i figli adottivi che rientrano nell’area della
parificazione, a norma dell’art. 74 c.c. In ogni caso, l’attribuzione dello status di figlio,
nell’adozione, avviene mediante un procedimento complesso, disciplinato, per i minori, nella
L. 183/1984, e, per i maggiori di età, dagli artt. 311 ss. c.c.
Poiché gli adottati maggiori di età sono espressamente esclusi, è evidente che la
parificazione può riguardare solo gli adottati minori, per i quali la L. 183/1984 prevede due
forme di adozione: l’adozione piena o legittimante, che, come era stato espressamente
disposto già dall’art. 27 L. 184/1983, attribuisce lo stato di figlio legittimo - ossia di figlio
nato nel matrimonio, secondo la nuova terminologia alla quale dovrà essere adeguata tutta la
legislazione vigente - , e la cosiddetta adozione in casi particolari, disciplinata dagli artt. 44
ss. L. 184/1983, alla quale la legge non attribuisce effetti legittimanti. Lo status di questi
minori adottati è stato fino ad ora assimilabile, almeno in parte, a quello degli adottati
maggiorenni, in quanto l’art. 55 L. 184/1983 estende loro l’applicazione di alcune norme del
codice civile riguardanti gli effetti dell’adozione dei maggiori di età, come l’art. 299, sulla
disciplina del cognome, l’art. 304, relativo ai diritti successori, e soprattutto l’art. 300, che
prevede il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine e l’esclusione dei vincoli di
parentela con i parenti dell’adottante.
Ora, appare evidente che, da un punto di vista testuale, la formulazione dell’art. 74 c.c. può
solo significare che il campo di applicazione della regola della parificazione riguarda anche i
minori adottati con adozione in casi particolari, in quanto i minori adottati con adozione
legittimante, una volta completato il procedimento adottivo, acquistano lo stato di figli nati
nel matrimonio, in base ad una norma vigente ormai da trent’anni.
1
L’art. 8 D.Lgs 28.12.2013, n.154 ha modificato l’art. 231 c.c. per comprendere nella sua formulazione anche il
figlio “nato” nel matrimonio. Prima della riforma, a questo figlio spettava comunque l’attribuzione automatica
della paternità, ma la sua condizione era contemplata nell’art. 233 c.c., che disciplinava l’azione di
disconoscimento in modo parzialmente diverso: il superamento della discriminazione tra le due categorie di figli,
ugualmente nati nel matrimonio, ha comportato, di conseguenza, anche l’abrogazione dell’art. 233 c.c.
2
Su questa interpretazione c’è stata una notevole convergenza nei commenti alla legge
219/2912, in quanto è parso chiaro che altrimenti l’estensione ai figli adottivi sarebbe stata
priva di significato2.
Ma non è solo, e non è soprattutto, l’argomento testuale che sorregge questa tesi. Infatti,
l’estensione risponde alla funzione “familiare” dell’adozione in casi particolari, ben diversa
dalle tradizionali finalità di tipo patrimoniale e di trasmissione del cognome dell’adozione dei
maggiorenni. Essa esprime l’esigenza di tutela morale e materiale di minori, a volte in
situazioni di difficoltà, che entrano in una nuova famiglia, e per i quali, per le più diverse
ragioni non è possibile l’adozione legittimante: l’adozione in casi particolari è dunque più
vicina, nella sua finalità, a quella legittimante, che non a quella dei maggiorenni, in quanto
entrambe sono finalizzate a perseguire esclusivamente l’interesse del minore ad avere una vita
familiare. Ed infatti, la condizione di questi minori adottati è disciplinata, oltre che da norme
comuni all’adozione dei maggiorenni, da altre norme che esaltano il caratteri del rapporto di
filiazione con gli adottanti o l’adottante: in particolare, spetta a costoro la potestà (ora
responsabilità) genitoriale (artt. 48 ss.), e non ai genitori biologici.
Le situazioni in cui l’adozione in casi particolari è ammessa sono le seguenti (art. 44 L.
184/1983):
a) se il minore è orfano di entrambi i genitori, può essere adottato da un parente entro il
sesto grado, oppure da persona che abbia con lui un preesistente rapporto stabile e duraturo
(come amici di famiglia). Se l’adottante è un parente, questa adozione crea problemi limitati,
perché la famiglia non cambia, ma cambia soltanto la posizione singola del minore adottato:
se gli adottanti sono gli zii, l’adottato da nipote diventa figlio, ma i nonni sono gli stessi;
b) se il genitore, con un figlio minore avuto da una precedente relazione o da un precedente
matrimonio si sposa o risposa, il coniuge può adottare il minore;
c) se il minore è disabile e orfano;
d) quando vi è la constatata impossibilità di affidamento preadottivo: ciò può accadere nel
caso di bambini grandicelli, o ragazzi, per i quali è impossibile trovare una coppia avente i
requisiti di legge disposta ad adottare; oppure quando il minore ha instaurato con la famiglia
affidataria, che si è presa cura di lui per un tempo prolungato, legami affettivi che sarebbe
controproducente troncare.
A parte l’adozione del figlio del coniuge, che ha una sua specifica caratteristica, l’adozione
in casi particolari è consentita anche a persone singole, ma se l’adottante è coniugato,
l’adozione deve necessariamente essere effettuata da entrambi i coniugi.
Le situazioni prese in considerazione dall’art. 44 L. 184/1983 sono molto diverse tra di loro
e difficilmente assimilabili, ma in tutti i casi lo scopo dell’adozione è quello di garantire al
minore una situazione familiare sufficientemente stabile, quando, per una ragione o per l’altra,
non appare conforme all’interesse del minore recidere i legami con la famiglia di origine, e
procedere all’adozione legittimante, che assicurerebbe al minore una famiglia sostitutiva3.
Contro l’interpretazione secondo la quale il nuovo art. 74 c.c. estenderebbe i vincoli di
parentela anche ai minori adottati in casi particolari, si è pronunciato espressamente un solo
autore, ma di grande prestigio, il prof. Sesta. Egli argomenta dal fatto che l’art. 55 L.
2
FERRANDO, La nuova legge sulla filiazione. Profili sostanziali, in Corr. giur., 2013, p. 533 s.; LENTI, La
sedicente riforma della filiazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, p. 203 s.; MOROZZO DELLA ROCCA, Il
nuovo status di figlio e le adozioni in casi particolari, in Fam. e dir., 2013, p. 838; DOSSETTI, La parentela, in
DOSSETTI, MORETTI M., MORETTI C., La riforma della filiazione. Aspetti personali successori e processuali l. 10
dicembre 2012, n. 219, Bologna, 2013, p. 25 ss.; PROSPERI, Unicità dello «status filiationis» e rilevanza della
famiglia non fondata sul matrimonio, in Riv. crit. dir. priv., 2013, p. 278 s.
3
Per una buona informazione sui caratteri e sulla funzione dell’adozione in casi particolari v. CIRAOLO,
Dell’adozione in casi particolari, in BALESTRA (a cura di), Della famiglia, IV, in Comm. Gabrielli, Torino,
2010, p. 249 ss.
3
184/1983 estende agli adottati in casi particolari l’applicazione dell’art. 300 c.c., dettato per
l’adozione dei maggiorenni, dove è stabilito che l’adozione non induce alcun rapporto civile
tra l’adottato e i parenti dell’adottante; e aggiunge che la parificazione dei minori adottati
avrebbe dovuto comportare l’abrogazione dell’art. 55 L. 184/1983, quanto meno per quella
parte in cui sono richiamati gli artt. 300 e 304 c.c. Di conseguenza, la seconda parte dell’art.
74 c.c., dove si stabilisce che il vincolo di parentela non sorge nel caso di adozione di persone
maggiori di età, dovrebbe essere interpretata estensivamente, e comprendere anche i minori
adottati ex art. 44 L. 184/19834.
La Relazione illustrativa dello schema del decreto legislativo, redatta dalla Commissione
Bianca, utilizza questo stesso argomento, ossia il richiamo all’art. 55 L. 184/1983, per
affermare che l’estensione della parificazione ai figli adottati deve intendersi come limitata
agli adottati con adozione legittimante5.
L’argomento è molto debole perché rovescia il rapporto che deve instaurarsi tra un
principio e i suoi effetti: sono questi ultimi che devono essere adeguati al nuovo principio e
non viceversa, tanto è vero che per le norme incompatibili con un nuovo principio si parla di
abrogazione implicita6. Nel caso specifico, poi, l’art. 55 L. 184/1983 non avrebbe potuto
essere abrogato integralmente, perché alcune tra le norme richiamate devono continuare ad
applicarsi all’adozione ex art. 44 L. 184/1983, come l’art. 293 c.c., che vieta l’adozione dei
propri figli nati fuori del matrimonio, l’art. 295 c.c, che disciplina l’adozione da parte del
tutore, e l’art. 299 c.c. sulla disciplina del cognome.
In questo occasione, peraltro, appare sconcertante il modo di procedere della Commissione
che ha redatto i testi legislativi, non tanto quanto agli argomenti, ma piuttosto quanto al
metodo, che sembra ignorare le regoli fondamentali della produzione giuridica. Infatti, se una
norma appare ambigua, per renderne vincolante l’interpretazione occorre osservare le regole
sulle fonti del diritto, e quindi o modificare legislativamente la norma, per eliminare
l’ambiguità, oppure emanare una norma di interpretazione autentica. Le affermazioni
contenute in una Relazione al testo legislativo, per quanto possano essere autorevoli, non
hanno forza di legge, e lasciano impregiudicato il rischio di interpretazioni contrastanti.
Inoltre, la Relazione è una fonte non facilmente accessibile, e ritenere che possa avere un peso
determinante è in contrasto con l’elementare principio della conoscibilità del diritto
Ora, il riferimento ai figli adottivi nell’art. 74 c.c. sembra sia stato introdotto all’ultimo
momento, poiché non compare in nessuno dei precedenti progetti di legge, e forse non sono
state chiare le implicazioni della nuova formulazione. Successivamente, probabilmente, ci si è
resi conto delle complicazioni che l’estensione, pur ragionevole in linea di principio, rischia
di generare. Infatti, i minori adottati in casi particolari ex art. 44 L. 184/1983 sarebbero titolari
di una doppia condizione di figli, nei confronti della famiglia adottiva e nei confronti della
famiglia di origine, con conseguente raddoppio anche dei rapporti di parentela. Peraltro che i
figli adottati ex art. 44 L. 184/1983 avessero una doppia condizione familiare era una
situazione già presente nella precedente legislazione, in quanto essi avevano il genitore o i
genitori adottivi e mantenevano il genitore o i genitori biologici. In ogni caso, le difficoltà di
applicazione di una norma non possono essere un argomento per respingere una
interpretazione che si ritiene corretta.
Occorre anche ricordare che l’adozione in casi particolari è lo strumento che serve a dare
rilevanza giuridica ai rapporti all’interno delle famiglie ricomposte.
4
SESTA, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in Fam. e dir., 2013, p. 235 s
Commissione Bianca, Relazione conclusiva, in
http://www.politichefamiglia.it/media/84314/relazione%20conclusiva%20commissione%20bianca.pdf, 142 s.
6
Secondo PROSPERI (Unicità dello «status filiationis», cit., p. 278), il rinvio all’art. 300 c.c., contenuto nell’art.
55 L. 184/1983 è da ritenersi “tacitamente abrogato”.
5
4
Famiglia ricomposta, o ricostituita, è una formula, introdotta dagli studi in materia di
scienze sociali, per descrivere il fenomeno delle convivenze familiari nelle quali almeno uno
dei membri proviene da una precedente esperienza familiare, che può essere un precedente
matrimonio, una precedente convivenza, oppure anche soltanto un nucleo formato da un solo
genitore naturale con il proprio figlio. Famiglia ricomposta non è dunque una nozione
giuridica, ma compito del diritto è individuare la disciplina applicabile ai rapporti tra i singoli
soggetti, in base ai legami “giuridici” tra loro esistenti.
Pensiamo, ad esempio, ad un uomo e una donna con figli avuti da precedenti convivenze o
matrimoni, che si sposano. I loro figli, pur avendo come genitore sociale il coniuge del
proprio genitore, e vivendo tra di loro come fratelli e sorelle in una comunità familiare, sono
tra loro degli estranei, o tutt’al più affini, in quanto parenti del coniuge del genitore:
l’adozione in casi particolari permette di dare veste giuridica a questo rapporto “sociale”.
Prima della riforma della filiazione, l’adottato diventava figlio dell’adottante, ma non
instaurava alcun tipo di rapporto con i parenti di lui. Ora invece, se diamo all’art. 74 c.c. il
contenuto innovatore che vorrebbe avere, il minore adottato diventa fratello o sorella dei figli
del genitore o dei genitori adottivi.
E’ bene anche sottolineare che l’adozione ex art. 44 L. 184/1983 richiede il consenso dei
genitori biologici, e l’esperienza insegna che spesso il consenso cela un sostanziale
disinteresse per il figlio (qualcuno ha parlato di una specie di cessione a titolo oneroso,
perché, come già si è ricordato, i doveri, oltre ai diritti, genitoriali passano all’adottante, il
quale deve farsi carico del mantenimento, dell’istruzione dell’educazione del figlio: art. 48 L.
184/1983), mentre se il genitore vuole mantenere il proprio rapporto e il proprio ruolo nei
confronti del figlio è difficile che dia il consenso all’adozione.
Appare dunque evidente che è la famiglia adottiva che diventa “la famiglia” per l’adottato.
Sotto questo profilo la scelta del legislatore è ragionevole e da valutare positivamente.
Rimane, peraltro, la difficoltà di applicare una disciplina degli effetti dell’adozione ex art.
44 L. 184/1983, che, allo stato, comporta che il figlio adottivo abbia due famiglie parentali.
Con questo tema occorre misurarsi, in attesa che arrivi un chiarimento dal legislatore, o che i
giudici si accollino il compito della supplenza.
Mi limito ad un esempio nel campo successorio, quello della disciplina della successione
dei genitori al figlio premorto (artt. 538, 568, 582 c.c.). Sia i genitori biologici sia i genitori
adottivi avrebbero ora diritto di venire alla successione, perciò occorrerà individuare i criteri
per regolare il concorso tra di essi. Se i genitori biologici sono entrambi diversi da quelli
adottivi, si è di fronte a due coppie di successibili che appartengono allo stesso ordine, ma che
sono tra di loro in concorrenza, e dunque credo che si dovrebbe applicare, per analogia, la
regola del concorso tra ascendenti della linea paterna e ascendenti della linea materna, che
prevede l’attribuzione di metà del patrimonio a ciascuna delle linee (art. 569 c.c.): di
conseguenza, metà del patrimonio spetterà, in parti uguali, a ciascuno dei genitori biologici, o
per l’intero a quello che sopravvive, mentre l’altra metà spetterà, allo stesso modo, ai genitori
adottivi o a quello che sopravvive.
La situazione appena descritta presuppone che il figlio sia stato adottato da una coppia, ma
si devono prendere in considerazione altre possibili ipotesi, e in particolare quella,
probabilmente più comune, dell’adozione da parte del coniuge. In questo caso il figlio
adottato avrà due genitori biologici, ossia il coniuge dell’adottante e l’altro genitore, che ha
dato il consenso all’adozione, da una parte, e un genitore adottivo dall’altra. La regola del
concorso tra ascendenti delle due linee non pare si adatti a questa ipotesi, in quanto il genitore
5
adottivo verrebbe a priori sempre favorito, e dunque non rimarrebbe altro che l’applicazione
del principio della divisione per capi7.
E’ evidente che questa opera di armonizzazione spettava al legislatore, il quale, nella sua
sovranità, avrebbe anche potuto modificare il sistema e disporre, ad esempio, che il figlio
instaurasse rapporti successori con la famiglia parentale dell’adottante, mantenendo anche i
rapporti successori con la sua famiglia di origine, ma solo nella linea discendente, ossia dal
genitore al figlio o dal nonno al nipote, ma non viceversa. In questo modo si sarebbe data
rilevanza alla effettività della vita familiare, come strumento per indirizzare la successione, e
avvicinare il nostro modello successorio a quello di altri paesi europei.
Si pensi all’esempio inglese, ovviamente attualmente non proponibile, ma che dovrebbe fare
meditare: il modello di disciplina della successione è ispirato ad uno spiccato pragmatismo,
che, prescindendo dal criterio dello status, configura una pretesa della persona, che viveva a
carico del defunto, a un “reasonable maintenance” nei confronti dell’eredità. In una
prospettiva, forse molto lontana, potrebbero essere introdotti anche presso di noi criteri di
devoluzione dell’eredità ulteriori, quale quello della convivenza unita alla dipendenza
economica dal de cuius, così che potrebbero ricevere protezione la situazione del convivente
more uxorio e quella dei membri della famiglia acquisita8.
2. La parificazione tra i figli e la successione tra fratelli e sorelle
Un altro tema entro il quale esplodono le conseguenze del principio della unicità dello stato
di figlio è quello della successione tra fratelli e sorelle, di cui all’art. 570 c.c.
Curiosamente, rubrica e testo della norma sono ancora quelli del codice del 1942: poiché
non vi compaiono gli aggettivi “legittimi” e “naturali”, la norma è passata indenne attraverso
la riforma del diritto di famiglia del 1975 e quella attuale della filiazione. Ma, come dicevo, il
suo contenuto è esplosivo. Infatti, la categoria dei fratelli e delle sorelle si estende a
comprendere anche quelli nati da genitori non uniti in matrimonio, nonché quelli entrati nella
famiglia per via di adozione ex art. 44 L. 184/1983 (sempre se si accolga la lettura più
semplice dell’art. 74 c.c.).
La realtà sociale, sempre più diffusa, delle seconde o terze famiglie, induce a soffermarsi a
considerare la condizione reciproca dei figli che il coniuge o il convivente ha avuto da un
precedente rapporto: non sempre sarà di immediata evidenza se tra essi esiste o meno un
rapporto di parentela, e se questo è unilaterale o bilaterale.
Se i coniugi o i conviventi, che costituiscono una nuova famiglia, hanno entrambi dei figli,
non esiste tra costoro alcun legame di parentela, e potrebbe tutt’al più esservi un rapporto di
affinità se i rispettivi genitori si sono uniti in matrimonio. In ogni caso non sussiste tra di loro
alcun diritto successorio, sicché persone che in vita possono essere vissute come fratelli e
sorelle, e come tali essersi vicendevolmente considerati, diventano in morte degli estranei, che
potrebbero essere beneficiati soltanto mediante disposizioni di ultima volontà.
Inoltre, il fenomeno delle famiglie ricostituite, per mezzo di un secondo o di un ulteriore
matrimonio, oppure mediante convivenza, è destinato a far aumentare il numero dei fratelli e
delle sorelle unilaterali, ossia quelli che hanno in comune un solo genitore, i quali, a norma
dell’art. 570, 2° co., c.c., hanno diritto alla metà della quota di eredità che conseguono i
germani: pensiamo al caso del divorziato con un figlio, risposato, che con il nuovo coniuge ha
un altro figlio: tra di loro essi sono fratelli unilaterali.
7
Così DOSSETTI, L’adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello
stato di figlio, in DOSSETTI, MORETTI M., MORETTI C., La riforma della filiazione. Aspetti personali successori
e processuali l. 10 dicembre 2012, n. 219, Bologna, 2013, p.121 s.
8
ZOPPINI, Le successioni in diritto comparato, in Trattato di diritto comparato diretto da R. Sacco, Torino,
2002, p. 105 ss.
6
Per adeguare la concreta realtà familiare al diritto, si può ricorrere, come si è detto,
all’adozione in casi particolari ex art. 44, 1° co., lett. b) L. 184/1983, che tuttavia è ammessa
solo se l’adottante è il coniuge del genitore. In altre parole, se i genitori con figli avuti da
precedenti unioni convivono senza sposarsi, i rispettivi figli saranno tra di loro giuridicamente
degli estranei, e potranno contrarre un vincolo di parentela unilaterale solo con l’eventuale
figlio comune dei loro genitori. Se, invece, i genitori con figli avuti da precedenti unioni si
sposano, il coniuge del genitore può adottarne i figli, e in questo caso il rapporto di filiazione
dell’adottato sarebbe bilaterale, in virtù della parificazione dell’adozione alla filiazione di
derivazione biologica, attuata, secondo l’opinione qui seguita, dall’art. 74 c.c.: di
conseguenza, i figli adottati e i figli comuni sono tra di loro fratelli germani, anche se per
l’adottato manca il rapporto biologico con uno dei genitori. La medesima soluzione dovrebbe
valere anche negli altri casi di adozione ex art. 44 L. 184/1983, quando marito e moglie sono
entrambi adottanti.
Ma può accadere che, in alcuni dei casi previsti dall’art. 44 L. 184/1983, l’adottante sia una
persona singola: se questa ha figli propri, rispetto a questi ultimi l’adottato dovrà essere
considerato fratello unilaterale, mancando qualsiasi vincolo di tipo familiare con l’altro
genitore dei fratelli adottivi.
Le medesime questioni interpretative potrebbero poi presentarsi nell’applicazione delle
norme che prevedono il concorso dei fratelli e delle sorelle con altri successibili (artt. 571,
582 c.c.).
In conclusione, nella stessa famiglia possono convivere fratelli e sorelle germani (quelli nati
dai due genitori, non importa se uniti in matrimonio o meno), fratelli unilaterali (quelli che
hanno in comune uno solo dei genitori), soggetti che sono fratelli “sociali”, ma senza alcun
rapporto giuridico (i figli dei due risposati, o conviventi, nati da una precedente unione, che
convivono con i rispettivi genitori nella loro nuova famiglia). Questi rapporti possono poi
essere modificati se interviene una eventuale adozione ex art. 44 L. 184/1983.
3. Il problema del diritto intertemporale nella materia successoria
I primi sei commi dell’art. 104 del D.Lgs. 154/2013, dando attuazione alla delega contenuta
nell’art. 2, 1° co., lett. l), L. 10.12.2012, n. 219, disciplinano gli effetti della nuova nozione di
parentela nella materia delle successioni, e in particolare con riguardo alle successioni apertesi
prima dell’entrata in vigore della L. 10.12.2012, n. 219,
art. 104 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154. Disposizioni transitorie
1. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10
dicembre 2012, n. 219, sono legittimati a proporre azioni di petizione di eredità, ai sensi
dell'articolo 533 del codice civile, coloro che, in applicazione dell'articolo 74 dello stesso
codice, come modificato dalla medesima legge, hanno titolo a chiedere il riconoscimento
della qualità di erede.
2. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10
dicembre 2012, n. 219, possono essere fatti valere i diritti successori che discendono
dall'articolo 74 del codice civile, come modificato dalla medesima legge.
7
3. Le disposizioni di cui al comma 1 e al comma 2 si applicano anche nei confronti dei
discendenti del figlio, riconosciuto o la cui paternità o maternità sia stata giudizialmente
accertata, morto prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219.
4. I diritti successori che discendono dall'articolo 74 del codice civile, come modificato dalla
legge 10 dicembre 2012, n. 219, sulle eredità aperte anteriormente al termine della sua
entrata in vigore si prescrivono a far data da suddetto termine.
5. Nei casi in cui i riconoscimenti o le dichiarazioni giudiziali di genitorialità intervengano
dopo il termine di entrata in vigore della presente legge, i diritti successori che non
sarebbero spettati a persona deceduta prima di tale termine possono essere fatti valere dai
suoi discendenti in rappresentazione e dai suoi eredi. Essi si prescrivono a far data
dall'annotazione del riconoscimento nell'atto di nascita o dal passaggio in giudicato della
sentenza dichiarativa della paternità o maternità.
6. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10
dicembre 2012, n. 219, nei giudizi promossi ai sensi dell'articolo 533 del codice civile,
pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, si applicano l'articolo
74 del codice civile, come modificato dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, e le disposizioni
del libro secondo del codice civile, come modificate dal presente decreto legislativo.
3.1. L’entrata in vigore, ai fini successori, della nuova nozione di parentela
L’esame di queste disposizioni, che si annunciano gravide di problemi, deve iniziare dal
secondo comma dell’art. 104, che sembra, in realtà, riguardare le successioni che si sono
aperte dopo l’entrata in vigore della L. 219/2012, ossia dal 1° gennaio 2013. L’enunciato, ivi
contenuto, pare superfluo, poiché prevede che l’art. 74 c.c., che parifica i vincoli di parentela,
indipendentemente dall’origine della filiazione da cui essi sorgono, si applichi alle successioni
che si sono aperte dopo l’entrata in vigore della L. 219/2012. In altre parole, la disposizione
ribadisce quello che è l’effetto ordinario di ogni nuova norma, ossia di valere per il futuro.
Una certa utilità la disposizione potrebbe comunque averla, perché conferma la tesi che
l’art. 74 c.c., appartenendo al gruppo di norme alle quali la legge aveva attribuito carattere
immediatamente precettivo (art. 1. 1° co., L. 219/2012), doveva essere considerato in vigore
dal 1° gennaio 2013, ed incidere sul contenuto e sull’applicazione di tutte le norme che
presuppongono la nozione di parentela, comprese quelle riguardanti le successioni9.
In applicazione di questo principio di carattere generale, le norme non ancora modificate,
ma incompatibili con la nuova nozione di parentela, avrebbero dovuto considerarsi, a seconda
dei casi, o ampliate nel loro contenuto, o implicitamente abrogate. Si pensi, a titolo
esemplificativo, al diritto, già attuale fin dal 1° gennaio 2013, di un fratello non matrimoniale
di succedere al proprio fratello premorto, eventualmente anche in concorso con il genitore;
oppure alla sorte della facoltà di commutazione: benché l’abrogazione formale del terzo
comma dell’art. 537 c.c., che la disciplinava, sia avvenuto solo con l’art. 71 D.Lgs. 154/2013,
non vi è dubbio che l’eventuale pretesa di un figlio nato nel matrimonio di giovarsi di quella
9
Cfr. DOSSETTI, L’adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio di unicità dello
stato di figlio, in DOSSETTI, MORETTI M., MORETTI C., La riforma della filiazione. Aspetti personali successori
e processuali l. 10 dicembre 2012, n. 219, Bologna, 2013, p. 117 s.; SESTA, L’unicità dello stato di filiazione,
cit., p. 31 ss,
8
facoltà nei confronti di un figlio non matrimoniale dopo il 1° gennaio 2013 avrebbe dovuto
essere respinta10.
Il terzo comma dell’art. 104 sembra poi riferirsi al caso del figlio nato fuori del matrimonio,
il cui stato di filiazione era già accertato prima dell’entrata in vigore della L. 219/2012 (non
può essere altrimenti, perché dei casi, in cui l’accertamento è avvenuto dopo l’entrata in
vigore della legge, si occupa il quinto comma), e morto sempre prima del 1° gennaio 2013:
affermando che la disposizione del secondo comma si applica anche a questa ipotesi, pare si
voglia dire che i discendenti del figlio possono far valere i loro diritti successori, sulle
successioni che si aprono dopo il 1° gennaio 2013, derivanti da vincoli di parentela che erano
privi di rilevanza giuridica prima del 1° gennaio 2013. Si può pensare, ad esempio al caso in
cui a seguito dell’accertamento del rapporto di filiazione fuori del matrimonio, il figlio
naturale si era trovato, rispetto ai parenti del proprio genitore, nella situazione di parente
naturale (nipote, cugino ecc,), allora irrilevante, e la sua morte prima dell’entrata in vigore
della L. 219/2012 lasciava nella medesima condizione i suoi discendenti. Ma se uno di questi
parenti, ad esempio il cugino, muore intestato dopo il 1° gennaio 2013, senza lasciare eredi di
grado anteriore, i figli del figlio, che, nella specie, sono ora parenti di quinto grado,
acquistano il diritto di venire alla successione. Anche in questo caso, peraltro, la disposizione
sembra superflua, poiché dopo il 1° gennaio 2013 anche quei vincoli di parentela diventano
comunque rilevanti e sono idonei a legittimare pretese successorie sulle successioni che si
aprono, appunto, dopo il 1° gennaio 2013.
3.2. La nuova nozione di parentela e gli effetti sulle successioni apertesi prima del 1°
gennaio 2013
Il primo comma dell’art. 104 pare prendere in considerazione la situazione di coloro la cui
qualità di parenti naturali era attuale già prima della L. 219/2012, e che, in conseguenza
dell’art. 74 c.c., sono stati investiti ex novo di una posizione successoria: si pensi al genitore
naturale, al quale è stata attribuita la qualità di legittimario, o ai parenti naturali, che, secondo
il loro grado, entrano a far parte delle rispettive categorie dei successibili nella successione
legittima. La disposizione del primo comma attribuisce loro il diritto di partecipare alle
successioni dei loro parenti, apertesi prima dell’entrata in vigore della novella, disponendo
che sono legittimati a proporre azioni di petizione di eredità, ai sensi dell'articolo 533 c.c.
Vale comunque il limite temporale della ordinaria prescrizione decennale per l’accettazione
dell’eredità, il cui termine, a norma del quarto comma dell’art. 104, inizia a decorrere
dall’entrata in vigore della L. 219/2012. Occorre peraltro rilevare che l’indicazione del dies a
quo non pare corretta, perché la norma attribuisce un diritto nuovo, e dunque la decorrenza
avrebbe dovuto essere fatta partire dall’entrata in vigore del decreto delegato, ossia dal 7
febbraio 2014.
10
Nonostante che la riforma del diritto di famiglia del 1975 ne avesse attenuato il carattere potestativo, il diritto
di commutazione appariva attribuito non in funzione della tutela di concreti interessi, ma con riferimento, in
astratto, alla diversità di status, e quindi appariva norma discriminatoria legata ad una condizione personale dei
soggetti. Non ci si può nascondere, tuttavia, che, in certe circostanze, alcuni figli possono essere portatori di reali
interessi meritevoli di tutela, in relazione ad alcuni beni: si può pensare all’interesse dei figli che hanno vissuto
con i genitori nella casa familiare a vedersela assegnata in sede di divisione, a preferenza dei figli che non vi
hanno abitato. A queste esigenze si può rispondere utilizzando le regole in tema di divisione, poiché la
giurisprudenza riconosce al giudice un’ampia discrezionalità nell’attribuzione delle porzioni, allo scopo di
compiere la scelta più appropriata, discrezionalità che, tanto più, potrà essere utilizzata in sede di divisione
amichevole (cfr. Cass, 15.10.2010, n. 21319, in Giust. civ., 2010; I, 2430; Cass., 18.1.2007, n. 1091).
Altre proposte per favorire ragioni di comunanza di vita pregressa e di azienda sono formulate da MAGNANI, Il
principio di unicità dello stato di figlio. Il nuovo concetto di parentela. Riflessi successori, in Riv. not. 2013, p.
653 ss.
9
Il terzo comma dell’art. 104 riguarda, come si è detto, il caso del figlio nato fuori del
matrimonio, il cui stato di filiazione era già accertato prima dell’entrata in vigore della L.
219/2012, e morto sempre prima del 1° gennaio 2013: affermando che la disposizione del
primo comma si applica anche a questa ipotesi, pare si voglia dire che i discendenti del figlio
possono far valere i loro diritti successori, sulle successioni che si sono aperte prima del 1°
gennaio 2013, derivanti da vincoli di parentela che erano privi di rilevanza giuridica prima
del 1° gennaio 2013 e che tale rilevanza hanno acquistato dopo quella data.
Il quinto comma pare poi prendere in considerazione l’ipotesi in cui il vincolo di parentela
non è ancora stabilito, ma viene accertato, dopo l’entrata in vigore della legge, nei riguardi di
una persona premorta rispetto al medesimo termine. Le situazioni adombrate in questo
comma sembrano essere le seguenti: quanto al riconoscimento, sembra si consideri il
riconoscimento di un figlio premorto rispetto al termine di entrata in vigore della legge,
riconoscimento che può essere effettuato con una dichiarazione oppure per testamento (art.
254 c.c.); quanto alla dichiarazione giudiziale sembra che si faccia riferimento al caso in cui,
il figlio sia morto prima dell’entrata in vigore della legge, e prima di aver proposto la
dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, ma questa sia ancora proponibile, e sia
proposta dai suoi discendenti, nonché al caso in cui il figlio aveva promosso l’azione, ma è
morto nelle more del procedimento e l’azione viene proseguita dai suoi discendenti (cfr. art.
270 c.c.).
Riguardo a questi casi, il quinto comma dispone che “i diritti successori che non sarebbero
spettati a persona deceduta prima di tale termine possono essere fatti valere dai suoi
discendenti in rappresentazione e dai suoi eredi”. Il significato della disposizione non è
sicuramente di immediata comprensione, ma sembra riferirsi a quelle ipotesi in cui
l’accertamento del rapporto di filiazione permette di attribuire rilevanza giuridica a vincoli di
parentela che prima del 1° gennaio 2013 ne erano privi, come la parentela dei fratelli o dei
cugini naturali.
In conclusione, apertasi una successione prima del 1° gennaio 2013, se nessuno dei chiamati
secondo le norme anteriori avesse ancora accettato l’eredità, l’eventuale accettazione del
chiamato secondo le nuove norme gli fa conseguire l’eredità, mentre, se vi è già stata
devoluzione dell’eredità a chi, risultando erede, ha accettato, colui che abbia successivamente
acquistato, in virtù della novella, la qualità di erede, può farla valere nei confronti di chi
possiede i beni ereditari, anche mediante l’azione di petizione di eredità, che è imprescrittibile
(art. 533 ss. c.c.).
Il sesto comma dell’art. 104, infine, sembra riguardare l’ipotesi dei giudizi di petizione di
eredità comunque pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo: anche ad essi
dovranno applicarsi le nuove regole in materia di parentela.
Quanto al limite, di per sé ovvio, costituito dalla salvezza del giudicato formatosi prima
dell’entrata in vigore della L. 219/2012, ossia prima del 1° gennaio 2013, paiono necessarie
due osservazioni.
La prima riguarda il dies a quo del limite temporale: come si è già osservato in precedenza,
il decreto delegato attribuisce, rispetto alle successioni apertesi prima della sua entrata in
vigore, diritti nuovi, e dunque il dies a quo avrebbe dovuto essere indicato nel 7 febbraio
2014, giorno dell’entrata in vigore del D.Lgs. 154/2013.
In secondo luogo, occorre chiedersi quali possono essere, in concreto, le situazioni coperte
dal giudicato: si tratta, probabilmente, di quei pochi casi in cui i parenti “naturali” avevano
cercato di far valere i propri diritti successori con preferenza rispetto a parenti “legittimi” di
grado ulteriore, sollevando una questione di costituzionalità, poi respinta. In verità, che
costoro siano ora esclusi dal far valere i loro diritti successori avrebbe il sapore di una beffa.
I casi portati all’esame della Corte costituzionale, tutti conclusi con una pronuncia di
inammissibilità avevano riguardato: la richiesta di inserimento negli ordini successori dei
10
parenti, nel grado corrispondente, degli zii naturali11, e dei fratelli e delle sorelle naturali12;
l’esclusione dalla successione legittima, in mancanza di altri successibili, dei parenti naturali
di quarto grado, permettendo così che subentrasse lo Stato13. La Cassazione ha poi escluso
che potesse essere riproposta alla Corte Costituzionale la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 565 c.c. nella parte in cui non comprende nella categoria degli eredi
legittimi anche tutti i parenti naturali (nella specie, una parente collaterale di quinto grado)14.
A questi potrebbero aggiungersi i casi, probabilmente ancora più rari, di una transazione sui
diritti successori dei parenti naturali, stipulata al fine di evitare i rischi, i tempi e i costi di una
questione di costituzionalità.
E’ di tutta evidenza che questo complesso di disposizioni di diritto intertemporale può
comportare la riapertura di successioni già chiuse da anni, con gravi conseguenze sulla
stabilità degli acquisti e, più in generale sulla certezza dei rapporti giuridici.
I rischi sono aggravati dall’orientamento della Cassazione, che, pronunciandosi riguardo ad
un’azione di petizione di eredità proposta da un figlio naturale del de cuius, successivamente
al passaggio in giudicato della sentenza di riconoscimento del proprio status, nei confronti
degli eredi apparenti, ha escluso che costoro possano opporre di avere usucapito i beni
ereditari nel periodo precedente all'esperimento dell'azione di stato15.
Occorre poi ricordare che sulla stabilità delle successioni già chiuse incide anche
l’introduzione della regola dell’imprescrittibilità, riguardo al figlio, dell’azione di
disconoscimento della paternità (art. 244 c.c.), così come è mantenuta l’imprescrittibilità,
sempre riguardo al figlio, dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di
veridicità (art. 263 c.c.). Ciò comporta che il figlio può, in ogni tempo, attivarsi per rimuovere
lo stato di filiazione non corrispondente al vero, e successivamente promuovere l’azione per
conseguire lo stato di figlio che gli spetta, ed eventualmente fare valere i relativi diritti
successori. Se questo era, anche prima di questa ultima riforma, l’effetto ordinario
dell’accertamento dello stato di filiazione, ora l’accertamento può avere, come ulteriore
effetto, il sorgere di nuovi vincoli di parentela rilevanti agli effetti successori, secondo le
regole sopra illustrate.
3.3. Il problema della retroattività della nuova disciplina delle successioni
Il legislatore delegato, nel dettare le norme cosiddette transitorie, ha introdotto disposizioni
aventi un vero e proprio carattere retroattivo, in contrasto con il fondamentale principio della
irretroattività della legge successoria16.
La rilevanza del vincolo di parentela, che scaturisce dalla nuova nozione di parentela, e che
dall’art. 104 viene espressamente fatta retroagire nella disciplina delle successioni, non è in
alcun modo assimilabile alla disciplina transitoria, riguardante l’accertamento del rapporto di
filiazione, del codice del 1942 (art. 122, 3° co., disp. att. c.c.) e della riforma del diritto di
11
C. Cost., 24.3.1988, n. 363, in Foro it, 1989, I, 2039.
C. Cost., 7.11.1994, n. 377, in Fam. e dir., 1995, 5, con nota di FIGONE, La Corte costituzionale interviene
ancora sulla chiamata alla successione dei fratelli naturali.
13
C. Cost., 23.11.2000, n. 532, in Giust. civ., 2001, 594, con nota di BIANCA, I parenti naturali non sono
parenti? La Corte Costituzionale ha risposto: la discriminazione continua; in Fam. e dir., 2001, 261, con nota di
FERRANDO, Principio di eguaglianza, parentela naturale e successione.
14
Cass., 10.9.2007, n. 19011, in Fam., pers., succ., 2008, 21, con nota di RENDA, Le incerte sorti della parentela
naturale tra resistenze giurisprudenziali e prospettive di riforma.
15
Cass., 5 settembre 2012, n. 14917, in Fam. e dir., 2013, 682, con nota di M. DE PAMPHILIS, Diritti del figlio
dichiarato dopo la morte del genitore e usucapibilità dei beni ereditari; Cass., 2 febbraio 2011, n. 2424, in Foro
it., 2011, I, 3109
16
Che si tratti di vera retroattività è efficacemente dimostrato da SESTA, Stato unico di filiazione e diritto
ereditario, in Riv. dir. civ, 2014, I, p. 18 ss.
12
11
famiglia del 1975 (artt. 230 e 232, L. 151/1975). Con quelle norme si stabiliva che le nuove
disposizioni in materia di riconoscimento e dichiarazione giudiziale della filiazione naturale che rimuovevano il divieto di riconoscimento dei figli già adulterini - si applicassero anche ai
figli nati prima della loro entrata in vigore; e, come effetto dell’accertamento dello status, si
ammetteva che i figli potessero far valere anche i loro diritti successori contro gli eredi del
genitore già deceduto: non si trattava peraltro di una eccezione al principio della irretroattività
delle norme successorie, ma di una conseguenza della normale retroattività del
riconoscimento e della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità17.
Vale la pena di aggiungere che la qualità di parente non costituisce uno status, ma è solo un
effetto riflesso dell’accertamento del rapporto di filiazione. Se lo status è quella condizione
della persona destinata a durare, che la pone in rapporto ad un gruppo, una comunità, e che è
capace di dar vita a prerogative e doveri18, a questa definizione corrispondono, nell’ambito del
diritto familiare, soltanto gli status di coniuge e di figlio; e sono questi gli status per i quali è
apprestata la garanzia costituzionale degli artt. 29 e 30 Cost., pur se, per i figli non
matrimoniali, nei limiti della compatibilità con i diritti dei membri della famiglia fondata sul
matrimonio19. Il vincolo di parentela, invece, non implica diritti e doveri, non costituisce, di
per sé, un rapporto giuridico, non se ne può pretendere autonomamente l’accertamento. Esso è
solo una qualità alla quale, in presenza di altri fattori, vengono ricollegati effetti giuridici:
secondo una incisiva definizione, la parentela non appartiene al mondo degli effetti giuridici,
ma a quello delle fattispecie20.
Fatte queste precisazioni, occorre chiedersi se il sacrificio della certezza delle situazioni
giuridiche già acquisite, che verrebbero messe in discussione dalla retroattività delle
disposizioni successorie di cui all’art. 104, può essere giustificato dall’esigenza di perseguire
valori di pari, o maggior, rilievo. La risposta non può che essere negativa, poiché la scelta del
legislatore delegato va oltre l’esigenza, costituzionalmente rilevante, di rimuovere ogni
discriminazione tra i figli, derivante dall’origine del rapporto di filiazione, per approdare ad
una sorta di parificazione retroattiva tra tutti i parenti, priva di qualsiasi fondamento
costituzionale. L’irragionevolezza della scelta legislativa induce a dubitare della
costituzionalità delle disposizioni di diritto intertemporale in materia successoria21.
Dubbi di costituzionalità sono stati sollevati anche sotto un altro profilo, quello dell’eccesso
di delega. Secondo questa tesi, la formulazione della delega in materia successoria, contenuta
nell’art. 2, 1° co., lett. l), L. 219/201222, benché di difficile comprensione, non sembrava
avesse inteso consentire al legislatore delegato di prevedere, del tutto eccezionalmente, la
retroattività delle nuove disposizioni in materia di parentela e, quindi, di consentire la
chiamata dei parenti “naturali” alle successioni apertesi prima del 1° gennaio 2013, ma
17
Così anche SESTA, L’unicità dello stato di filiazione, cit., p. 239 ss
RESCIGNO, Situazione e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ., 1973, I, p. 212
19
La L, 219/2012 aveva previsto che la eliminazione di ogni discriminazione tra i figli dovesse avvenire nel
rispetto dell’art. 30 della Costituzione (art. 2, 1° co., prima parte). La tutela dei membri della famiglia legittima
rileva in casi sempre più limitati, poiché è sempre più chiaro che lo scopo da perseguire non è quello di tutelare
l’istituzione, ma piuttosto quello di non turbare la vita di una specifica famiglia e la serenità dei singoli membri:
ad esempio, è stato mantenuto, pur con alcune modificazioni, l’art. 252 c.c., che subordina ad alcune condizioni
l’inserimento del figlio, nato fuori del matrimonio, nella famiglia legittima del genitore, nella quale sono già
presenti figli nati dal matrimonio
20
CATTANEO (aggiornamento di Dossetti), La parentela e l'affinità, in Tratt. Bonilini, Cattaneo, I, Famiglia e
matrimonio, 2ª ed., Torino, 2007,p. 43
21
Cfr. SESTA, Stato unico di filiazione, cit., p. 28 ss.
22
Art. 2, 1° co., L. 10.12.2012, n. 219, lett. l) - adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni
al principio di unicità dello stato di figlio, prevedendo, anche in relazione ai giudizi pendenti, una disciplina che
assicuri la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale
premorto o deceduto nelle more del riconoscimento e conseguentemente l'estensione delle azioni di petizione di
cui agli articoli 533 e seguenti del codice civile.
18
12
sembrava voler ribadire il principio giurisprudenziale secondo il quale, in forza della
retrocessione degli effetti del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale al momento
della nascita del figlio, “anche” i suoi discendenti/parenti (“aventi causa” nel testo della
delega) avrebbero potuto agire in petizione di eredità anche con riguardo a successioni
apertesi prima dell’accertamento dello status 23. In realtà, la delega, benché formulata in modo
certamente non perspicuo, sembrava proprio richiedere che venissero ammessi a far valere i
loro diritti successori non solo i discendenti del figlio, ma anche coloro per i quali, in seguito
all’accertamento del rapporto di filiazione, si stabilivano vincoli di parentela fino ad allora
non rilevanti.
23
cfr. SESTA, Stato unico di filiazione, cit., p. 30 ss.
13