Internazionalizzazione

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Internazionalizzazione
Corso di
STRATEGIE D’IMPRESA
La crescita internazionale dell’impresa
Angelo Riviezzo
[email protected]
19 Febbraio 2006
La spinta crescente all’apertura internazionale
I cambiamenti epocali degli ultimi anni impressi da fenomeni
quali la globalizzazione e la terziarizzazione delle
economie avanzate – che hanno comportato, da un lato, il
progressivo annullamento delle distanze ed il conseguente
avvicinamento delle aree geografiche di tutto il mondo e,
dall’altro, una crescente dematerializzazione delle attività
produttive a favore dei servizi - nonché la digitalizzazione
- che è alla base, ormai da decenni, di una straordinaria
ondata di innovazione tecnologica – e l'affermazione di
forme reticolari d'organizzazione aziendale, hanno
condotto ad una progressiva e costante spinta alla
“mobilità” internazionale delle imprese.
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La spinta crescente all’apertura internazionale
I mutamenti rivoluzionari e congiunti nelle comunicazioni, nei
trasporti e nei sistemi informativi hanno facilitato la crescente
mobilità dei beni, dei servizi, delle tecnologie, dei capitali e
delle persone attraverso i confini territoriali.
Prima di tali cambiamenti, le imprese erano solite svolgere la
loro attività produttiva insediandosi in aree ben precise; nel
nuovo scenario globale, le imprese si spostano con grande
mobilità da un’area all’altra per produrre beni/servizi o svolgere
singole fasi del processo di produzione.
Man mano che i confini territoriali si dileguano e le attività
produttive si dematerializzano, le imprese hanno la possibilità
di “scegliere” periodicamente il territorio in cui localizzarsi. Ed
esse, in genere, vi permangono solo se questo è
costantemente in grado di erogare un’offerta infrastrutturale,
tecnologica, scientifica, umana ed ambientale di buona qualità.
La spinta crescente all’apertura internazionale
Queste nuove forme di nomadismo provocano una sorta di
destrutturazione dell’economia e delle forme organizzative
collaudate delle grandi imprese. Persino i gruppi più
internazionali si qualificavano come “multi-nazionali”, per
riflettere la loro articolazione organizzativa paese per
paese.
I
continui
sviluppi
tecnologici
hanno
progressivamente sgretolato le barriere esistenti, originando
un’unica arena competitiva che coincide con l’intero globo.
Le multinazionali erano in passato «come piramidi costruite
per durare nei secoli. Oggi assomigliano piuttosto a tende
da piantare, elevare in fretta, ma facilmente abbattibili»
(Ohmae, 1998). In questo processo i confini non hanno più
ruolo e le imprese si emancipano dai vincoli dello spazio.
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L’espansione internazionale delle imprese
In generale, è possibile ricondurre le strategie di
espansione internazionale delle imprese alternativamente a
(Camagni, 1999):
l’internazionalizzazione, che attiene al commercio
mondiale di beni e servizi e rappresenta «un processo che
obbedisce a una logica di scambio»;
| la
multinazionalizzazione, che attiene ai flussi di
investimenti diretti
e rappresenta «un processo che
obbedisce a una logica di produzione e localizzazione»;
| la globalizzazione propriamente detta, ossia l’integrazione
planetaria delle informazioni e delle competenze
tecnologiche e produttive, che attiene agli scambi di
informazioni e di competenze ed «obbedisce a una logica di
innovazione».
|
L’espansione internazionale delle imprese
Gli investimenti diretti esteri (IDE) rappresentano il
canale privilegiato di espansione internazionale delle
imprese.
Occorre operare una distinzione tra:
|
|
investimenti greenfield, cioè costruzione di nuove
unità produttive all’estero
investimenti
brownfield,
cioè
investimenti
all’estero su unità produttive già esistenti, tramite
acquisizioni o partecipazioni dirette
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Il peso degli IDE sull’economia mondiale
Gli investimenti diretti esteri svolgono un ruolo
fondamentale nell’economia mondiale e le filiali di
imprese estere costituiscono una presenza rilevantissima
per le realtà locali scelte come sedi per la loro
localizzazione.
Secondo l’ultimo Rapporto dell’UNCTAD, nel 2005
l’ammontare complessivo di IDE a livello mondiale ha
raggiunto la cifra di 916 miliardi di dollari, in costante
aumento (+29% rispetto al 2004), anche se lontano dal
picco raggiunto nel 2001 (1.4 milioni di miliardi di dollari).
La crescita più significativa è quella degli investimenti
brownfield, con ben 6.134 accordi di fusione e/o
acquisizione internazionale siglati nel 2005, per un valore
di 716 miliardi di dollari.
Il peso degli IDE sull’economia mondiale
Fusioni e Acquisizioni Internazionali nel 2004/2005
Fonte: UNCTAD, World Investment Report, 2006.
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Il peso degli IDE sull’economia mondiale
Le prime 25 imprese al mondo per investimenti all’estero nel 2005
(in milioni di dollari e numero di addetti)
Fonte: UNCTAD, World Investment Report, 2006.
Le componenti finanziarie degli IDE
I flussi di IDE comprendono capitali forniti da un
investitore estero ad una impresa locale; gli investimenti
diretti esteri hanno tre componenti:
|
|
|
equity capital, ovvero l’acquisto di quote di proprietà
di un’impresa da parte di un investitore estero
reinvested earnings, ovvero quote di profitti non
distribuiti come dividendi o non rimessi all’investitore
ma reinvestiti
intra-company loans, ovvero prestiti a breve o lungo
termine tra investitori e imprese affiliate
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Le motivazioni degli IDE
In base alla motivazione prevalente degli IDE distinguiamo:
|
|
|
investimenti labour seeking, diretti a ricercare
manodopera disponibile a minor costo (l’esempio
tipico è quello degli investimenti nei paesi in via di
sviluppo o nell’Est Europa)
investimenti market seeking, diretti a superare le
restrizioni alle importazioni applicate a determinati
mercati, ma con una ridotta quota di input acquistati
nel paese ospitante, alto livello di rientro dei profitti e
abuso del “transfer pricing” su input commercializzati
tra le diverse filiali delle aziende estere
investimenti efficiency-seeking, per i quali le
imprese estere puntano alla razionalizzazione delle
attività internazionali, per migliorarne la competitività
globale (ogni unità di business diventa fonte di
capacità a vantaggio dell’intera multinazionale)
Le motivazioni degli IDE
Gli IDE da parte delle imprese possono essere spiegati da
una molteplicità di circostanze: la ricerca di economie di
scala a livello globale, la volontà di conseguire il controllo
su una fonte estera di materie prime o su un mercato
estero di sbocco, la disponibilità di capitali ad interesse
agevolato e/o incentivi, la ricerca di costi favorevoli dei
fattori produttivi, il conseguimento di vantaggi logistici,
l’esigenza di adeguare i sistemi di offerta alle specificità dei
singoli mercati, la volontà di sfruttare all’estero conoscenze
produttive e capacità manageriali, la necessità di
accrescere il patrimonio di risorse, competenze e relazioni.
Tali investimenti consentono all’impresa l’acquisizione di
vantaggi competitivi all’esterno, spesse volte in presenza di
svantaggi comparativi nazionali o locali.
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Le principali teorie degli IDE:
L’impresa multinazionale e l’internazionalizzazione
(Buckley e Casson, 1976)
L’assunto di partenza è che l’impresa, volta al raggiungimento di
obiettivi di efficienza, sostituisce il mercato nell’organizzare le
transazioni economiche ogni qual volta i costi interni di
coordinamento sono inferiori ai costi d’uso del mercato (Coase,
1937). Allorquando il processo di internalizzazione dei mercati
supera i confini nazionali si origina l’impresa multinazionale.
Secondo Buckley e Casson i fattori rilevanti per la scelta di
internalizzare alcuni stadi della produzione sono classificabili in
quattro gruppi:
| i fattori industry – specific, ossia relativi alla natura del sistema
di offerta e alla struttura del mercato estero;
| i fattori region – specific, ossia relativi alle caratteristiche
geografiche, economiche e sociali delle regioni collegate al
mercato;
| i fattori nation – specific, ossia relativi ai rapporti specifici tra
le nazioni coinvolte;
| i fattori firm – specific, ossia relativi alle capacità e alle abilità
del management nell’organizzare un mercato interno.
Le principali teorie degli IDE:
Il paradigma eclettico
(Dunning, 1974, 1980)
Il paradigma eclettico sostiene che la produzione internazionale,
ossia la produzione finanziata da investimenti esteri e realizzata
da imprese multinazionali, è determinata, sotto il profilo
dell’estensione, della forma e dell’andamento, da tre condizioni
necessarie e sequenziali (OLI):
| il possesso di vantaggi competitivi specifici o vantaggi di
proprietà (ownership advantages), derivanti dal controllo
proprietario di particolari risorse trasferibili all’estero a basso
costo; tali vantaggi si distinguono in asset advantages e
transaction advantages;
| il
conseguimento
di
vantaggi
di
internalizzazione
(internalization advantages), ossia la convenienza dell’impresa
a sfruttare su scala internazionale i vantaggi di proprietà di cui
dispone internamente alla propria organizzazione, piuttosto che
venderli o concedere la licenza d’uso a imprese estere;
| i vantaggi di localizzazione (location advantages), ossia i
vantaggi specifici derivanti dalla localizzazione degli impianti in
un paese estero, si tratta di vantaggi connessi a specifici fattori
di produzione localizzati nei paesi di destinazione.
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Le principali teorie degli IDE:
Il paradigma eclettico
(Dunning, 1974, 1980)
Barriere artificiali, culturali, linguistiche,
politiche
Costi dell’energia, dei materiali,
componenti e prodotti semi finiti
Location
Specific
Variables
Distribuzione geografica delle risorse
naturali
Sistema dei trasporti internazionali e
delle comunicazioni
Qualità e produttività dei fattori della
produzione
Incentivi agli investimenti, politica
economica del governo
Le principali teorie degli IDE:
Il modello del diamante
(Porter, 1990)
Caso
Strategia,
Strategia,
struttura
struttura ee
rivalità
rivalità delle
delle
imprese
imprese
Condizioni
Condizioni
dei
dei fattori
fattori
Condizioni
Condizioni
della
della domanda
domanda
Settori
Settori industriali
industriali
correlati
correlati ee di
di
supporto
supporto
Governo
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Il Modello del Diamante:
Condizioni dei fattori
La dotazione dei fattori produttivi si riferisce alla disponibilità di
risorse quali:
risorse umane: la quantità, le competenze professionali – da
quelle più comuni a quelle più sofisticate – e il costo del
personale;
‰ risorse fisiche: abbondanza, qualità, accessibilità e costo della
terra, delle acque, delle fonti primarie d’energia e delle altre
caratteristiche fisiche;
‰ risorse di conoscenza: conoscenze scientifiche, tecniche e di
mercato sviluppate nelle università, nelle istituzioni di ricerca,
nelle imprese o in qualunque altro tipo di organizzazione;
‰ risorse di capitale: quantità e costo dei capitali disponibili
(capitale azionario, capitale di credito disponibile per mutui,
capitale obbligazionario, ecc.);
‰ risorse infrastrutturali: disponibilità, qualità e costi dei sistemi
di trasporto (strade, ferrovie, idrovie, linee aere, sistema dei
porti), di quelli di comunicazione, assistenza sanitaria, ecc..
‰
Il Modello del Diamante:
Condizioni dei fattori
I fattori della produzione si distribuiscono in un’ampia gamma
di risorse che possono influire in modo più o meno
determinante
sull’esito
positivo
delle
strategie
di
internazionalizzazione delle imprese.
Tale varietà include:
fattori di base (risorse naturali, tra cui clima, fonti di materie
prime, posizione geografica; risorse umane non qualificate;
conoscenze tecnologiche generiche e infrastrutture) o risorse
generiche;
‰
fattori avanzati (risorse umane qualificate e conoscenze
tecnologiche sofisticate, istituzioni scientifiche, infrastrutture
avanzate) o risorse specializzate.
‰
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Il Modello del Diamante:
Condizioni della domanda
Anche le caratteristiche della domanda, ossia la sua dimensione
quantitativa e la composizione e gli aspetti qualitativi del mercato
interno, rappresentano uno stimolo decisivo per lo sviluppo ed il
rafforzamento della base del vantaggio competitivo delle imprese.
Nell'ambito di esse, assumono una particolare rilevanza le
esigenze innovative ed il grado di sofisticatezza dei benefici
ricercati dai consumatori.
La presenza di acquirenti esigenti esercita, infatti, una pressione
sulle imprese affinché esse innovino più rapidamente e
conseguano vantaggi competitivi più duraturi e difendibili dei loro
rivali esteri.
I consumatori più difficili e incontentabili, attraverso le loro
richieste anticipano e/o a volte addirittura determinano nuovi
comportamenti di acquisto e consumo in altri paesi; in tale
direzione essi aprono una “finestra sul mondo” e spronano le
imprese a migliorarsi e rinnovarsi.
Il Modello del Diamante:
Settori collegati e di supporto
La disponibilità di fornitori interni competitivi consente alle
imprese acquirenti l’accesso rapido ed efficiente a risorse
importanti per il processo produttivo.
Le imprese, grazie a forme di coordinamento e contatti diretti
con i propri fornitori, possono originare un costante flusso
d’informazioni e di scambi di idee che favoriscono
l’innovazione.
La possibilità di dare vita ad un processo continuo
d’innovazione può, inoltre, dipendere dalle relazioni che
coinvolgono le imprese operanti in settori industriali collegati,
intendendo per tali «o i settori dove si ottengono prodotti
complementari (come, ad esempio, il software rispetto ai
personal computer) o i settori nei quali le imprese possono
collaborare e condividere le attività (di marketing, di sviluppo
tecnologico, logistiche, ecc.) della catena del valore di imprese
di altri settori» (Rispoli, 1995).
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Il Modello del Diamante:
Sistemi di management e competizione
Una giusta tensione competitiva sul mercato interno,
spingendo le imprese verso alti livelli qualitativi di prodotto e
di servizio è ritenuta condizione essenziale ai fini dello
sviluppo delle capacità competitive delle imprese nella
competizione globale.
«La concorrenza interna, come qualsiasi altra forma di
concorrenza, induce le imprese a rinnovarsi e migliorarsi. I
concorrenti interni si stimolano a vicenda a ridurre i costi,
aumentare la qualità, l’assistenza, a creare nuovi prodotti e
nuovi processi per essere più competitivi» (Porter, 1990).
Il Modello del Diamante:
I determinanti del vantaggio nazionale
I quattro determinanti analizzati interagendo formano il
diamante del vantaggio nazionale. Gli angoli del diamante si
sostengono a vicenda e formano un sistema.
Due gli elementi che hanno la proprietà di trasformare il
diamante in un sistema:
‰ la concorrenza interna, perché promuove lo sviluppo degli
altri tre fattori
‰ la concentrazione geografica, perché nobilita ed esalta le
interazioni tra i quattro fattori.
Una concorrenza particolarmente dinamica può contribuire ad
accrescere la domanda interna e, soprattutto, a promuovere
l’insorgere di nuovi settori collegati e di supporto.
I concorrenti in molti settori industriali di successo
internazionale sono localizzati spesse volte in una sola città o in
una regione all’interno di una nazione.
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I determinanti del vantaggio nazionale:
La concentrazione geografica: i cluster
Clusters are geographic concentrations of interconnected
companies and institutions in a particular field. Clusters
encompass an array of linked industries and other entities
important to competition. They include, for example, suppliers
of specialized inputs such as components, machinery, and
services, and providers of specialized infrastructure. Clusters
also often extend downstream to channels and customers and
laterally to manufacturers of complementary products and to
companies in industries related by skills, technologies, or
common inputs. Finally, many clusters include governmental
and other institution – such as universities, standards-setting
agencies, think tanks, vocational training providers, and trade
associations – that provide specialized training, education,
information, research, and technical support” (Porter, 1998a).
Le conseguenze degli IDE
Il giudizio sull’impatto degli investimenti diretti
dall’estero, in termini di opportunità e minacce, è ancora
molto vivo e si ricollega al più ampio tema degli effetti
della globalizzazione.
L’impatto positivo degli IDE sull’economia è valutato in
termini di vantaggi “statici” e “dinamici”.
L’impatto negativo degli IDE sull’economia è valutato in
termini di perdita di sovranità o controllo nazionale e di
dimensioni etiche ed ambientali del fenomeno.
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Le conseguenze degli IDE
L’impatto positivo:
Si possono identificare tre grandi categorie di impatto
positivo sull’economia:
|
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|
gli effetti sull’occupazione
gli effetti sulla bilancia dei pagamenti
gli effetti di spillover
Le conseguenze degli IDE
L’impatto positivo sull’occupazione:
L’impatto
degli
investimenti
diretti
dall’estero
sull’occupazione è triplice, considerando l’occupazione
diretta, quella indiretta creata nelle fabbriche e negli uffici
dei fornitori e quella indotta come risultato della spesa
derivante dal reddito prodotto da tali investimenti. Va
tuttavia evidenziato come i posti di lavoro creati dalle
imprese estere non sono necessariamente posti
addizionali per l’area, perché possono anche sostituire
lavoratori delle imprese nazionali.
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L’impatto degli IDE sull’occupazione
Nuova occupazione
Diretta
Indiretta
Stabilimenti
Imprese fornitrici
Imprese locali
Affiliate estere
di altre IM
Indotta
Contributo
all’aumento
della produzione
e del reddito
Le conseguenze degli IDE
L’impatto positivo sulla bilancia dei pagamenti:
L’investimento diretto estero contribuisce all’equilibrio della
bilancia dei pagamenti compensando un eventuale deficit del
conto delle partite correnti, sia che i flussi di capitale siano
utilizzati per costruire nuovi impianti che per acquistarne di
esistenti. Si osserva un duplice effetto: da una parte sui
movimenti di capitale con un’unica operazione di segno positivo,
dall’altra sulle partite correnti con un effetto diversificato. Dal lato
delle partite correnti, vanno inseriti sia i redditi ottenuti con gli
investimenti realizzati, che tornano nel paese di origine, sotto la
voce “interessi, dividendi e altri redditi da capitale” (con segno
negativo), sia gli eventuali effetti sulla bilancia commerciale, che
risultano positivi nel caso in cui l’impresa estera esporti o
produca beni prima importati.
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Le conseguenze degli IDE
L’impatto positivo in termini di spillover:
Gli investimenti realizzati, siano essi in nuove strutture
produttive o nell’acquisizione di impianti esistenti, hanno
effetti combinati sull’economia in generale, con ricadute
indirette sui fornitori, sulla forza lavoro, sui concorrenti
locali e sui clienti, con possibili incrementi di produttività e
miglioramento delle capacità tecnologiche dell’economia
nel suo complesso.
Le piccole e medie imprese locali apprendono attraverso
l’interazione con i produttori esteri come modificare i processi
produttivi per migliorare la propria capacità come fornitori
(upstream effects) e gli stessi clienti delle imprese di proprietà
estera beneficiano della migliore qualità degli input e dei flussi
di conoscenza tecnologica che derivano dalle loro relazioni
con i loro fornitori (downstream effects)
Le conseguenze degli IDE
L’impatto negativo:
Alcuni autori sottolineano i “fattori critici” del processo di
globalizzazione e dei fenomeni di investimenti diretti,
enfatizzando le dimensioni trascurate dagli approcci
neoliberisti:
la sostenibilità ambientale
| la solidarietà internazionale
| il senso delle culture locali e le nuove dimensioni della
cittadinanza
| la necessità di opporsi a tutte le forme evidenti o
nascoste di sfruttamento della manodopera a minor costo
nei paesi poveri.
|
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I Paesi che attraggono di più
I primi venti paesi al mondo destinatari di IDE nel 2005
(in miliardi di dollari)
Fonte: UNCTAD, World Investment Report, 2006.
I Paesi che investono di più
I primi venti paesi al mondo di provenienza di IDE
nel 2005 (in miliardi di dollari)
Fonte: UNCTAD, World Investment Report, 2006.
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Un accenno all’analisi dell’attrattività
L’attrattività risulta essere funzione di numerose ed
interrelate variabili.
Oltre a misurare l’attrattività ex post, valutando
l’ammontare di investimenti attratti, è possibile indagare
ex ante quanto un territorio è attrattivo, valutando la
consistenza quali-quantitativa dei fattori maggiormente
in grado di condizionare le scelte di localizzazione delle
imprese.
Con questo approccio metodologico sono stati compiuti
numerosissimi studi ed analisi sull’attrattività del
territorio.
Un accenno all’analisi dell’attrattività
Siemens e Ambrosetti, (2003), Gli indicatori e le politiche
per migliorare il Sistema Italia e la sua attrattività positiva.
La ricerca è stata finalizzata all’individuazione dei fattori
realmente esplicativi della capacità di un sistema territoriale
di attrarre IDE.
I fattori chiave sono stati individuati partendo da un’analisi
dei sistemi territoriali best performer e successivamente
testati con un’analisi multivariata che ha consentito di
verificare la correlazione e l’elasticità tra di loro e/o rispetto
all’ammontare di IDE attratti.
I fattori chiave sono stati utilizzati per confrontare le singole
aree ai vari livelli territoriali (paesi, regioni, province) con altre
aree simili potenziali competitor e messe in relazione al
flusso di IDE attratto in un periodo di cinque anni (19962001).
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Un accenno all’analisi dell’attrattività
Siemens e Ambrosetti, (2003), Gli indicatori e le politiche
per migliorare il Sistema Italia e la sua attrattività positiva.
I fattori chiave emersi dalla ricerca come essenziali sono:
| Immagine e Reputazione pro-business
| Sistema Amministrativo
| Cultura pro-business
| Capitale Umano
| Capitale Tecnologico Innovativo
| Sistema Educativo/Formativo
| Infrastrutture Tecnologiche Avanzate
| Sistema Finanziario
| Infrastrutture di base
| Fiscalità e Incentivi
| Maturità del sistema industriale
| Sistema Giudiziario
| Benessere economico
| Qualità della vita
Un accenno all’analisi dell’attrattività
Siemens e Ambrosetti, (2003), Gli indicatori e le politiche
per migliorare il Sistema Italia e la sua attrattività positiva.
Tra i fattori chiave, che già sono estremamente influenti
sull’attrattività di un territorio, ve ne sono quattro che hanno
un’“elasticità” molto elevata nei confronti dell’attrattività:
|
Immagine e Reputazione pro-business: la percezione –
da parte di potenziali investitori – del territorio come area
affidabile e seria per il proprio business.
|
Cultura pro-business: la volontà e le prassi degli abitanti
del territorio – in tutte le loro espressioni formali e informali –
nel realizzare o agevolare lo svolgimento di un business.
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Un accenno all’analisi dell’attrattività
A.T. Kearney, (2005), FDI Confidence Index.
L’annuale rapporto elaborato da A.T. Kearney sulla
capacità dei diversi paesi del mondo di attrarre
investimenti consente di verificare quali sono le
destinazioni di IDE considerate più convenienti.
La graduatoria del FDI Confidence Index viene stilata in
base ad una ricerca primaria condotta intervistando top
manager e amministratori delegati delle 1.000 più grandi
imprese del mondo. Agli intervistati viene chiesto di
esprimere un parere sull’interesse - alto, medio, basso,
alcuno - che ciascun paese, alla luce della percezione
dell’offerta territoriale complessiva, è in grado di suscitare
per un potenziale investimento da realizzare nei tre anni
successivi.
Quali paesi del mondo sono considerati
più attrattivi?
Fonte: ATKearney, FDI Confidence Index, 2005.
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Quali aree del mondo sono più attrattive
per gli investimenti in R&S?
Fonte: ATKearney, FDI Confidence Index, 2005.
L’importanza degli investimenti in R&S
Fonte: UNCTAD, World Investment Report, 2006.
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Grazie dell’attenzione!
[email protected]
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