Intercettazione di conversazioni presidenziali: ancora si naviga “a

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Intercettazione di conversazioni presidenziali: ancora si naviga “a
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Intercettazione di conversazioni presidenziali:
ancora si naviga “a vista”
di Chiara Gabrielli
Ancora oggi il punto di riferimento per l’autorità giudiziaria che nel corso di intercettazioni telefoniche
si imbatta nelle conversazioni intrattenute dal Capo dello Stato è rappresentato dalle indicazioni fornite
dal Giudice delle leggi nella pronuncia n. 1 del 2013.
Si tratta di indicazioni imperniate, tuttavia, su una discutibile esegesi sistematica, che non soltanto conducono a esiti costituzionalmente opinabili – sacrificando il principio del contraddittorio, la parità fra le
parti e il diritto di difesa – ma risultano anche difficili da interpretare in modo univoco; condizioni che
rendono tali coordinate sia di problematica applicazione da parte dell’operatore sia incapaci di guidare
il legislatore nel porre mano alla materia.
1. «Tutte le cose derivano dal fato, sí che il fato
attribuisce loro una piena necessità».
L’affermazione, attribuita a Democrito, sembra
valere anche per l’esigenza di regolamentare la sorte delle captazioni occasionali dei colloqui del presidente della Repubblica; un’esigenza che il legislatore
finora non aveva avvertito – avendo disciplinato le
sole intercettazioni intenzionalmente rivolte alle sue
conversazioni con riguardo ai reati di cui all’art. 90
Cost.1 – ma della quale la fortuita registrazione dei
dialoghi telefonici fra il capo dello Stato e un noto ex
senatore, le cui utenze erano state poste sotto controllo nell’ambito dell’inchiesta penale concernente la cd.
“trattativa Stato mafia”, ha dimostrato l’ineludibilità.
In tale occasione toccò alla Corte costituzionale, investita di un «imbarazzante»2 conflitto di attribuzione, rimediare al silenzio legislativo e pronunciarsi sul
destino processuale delle registrazioni, concludendo
che «non spettava» alla procura della Repubblica di
Palermo «omettere di chiedere al giudice l’immediata distruzione» delle stesse «senza sottoposizione al
contraddittorio»3. Malgrado siano trascorsi oltre due
anni, quella discussa decisione «presidenzialmente
orientata»4 rappresenta ancora oggi l’unico punto di
riferimento in una materia che richiederebbe, invece, «un oculato e complesso intervento» normativo,
«prima costituzionale, poi ordinario»5. L’augurio è
che quest’ultimo sia stato soltanto differito, forse nella
Sulla base dei commi 2 e 3 dell’art. 7 legge n. 219 del 1989 tali captazioni possono essere disposte dal Comitato formato dai membri delle
Giunte parlamentari competenti per le autorizzazioni, previa sospensione dell’interessato dalla carica, ad opera della Corte costituzionale.
1
2
L. Carlassare, La riservatezza del Presidente fra ragioni del caso e salvaguardia dei principi, in Giur. cost., 2013, 59.
3
http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2013&numero=1
L’espressione è di S. Meloni, La distruzione delle intercettazioni del P.d.R. nell’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 271, in Dir.
pen. proc., 2014, 175.
4
E. Marzaduri, La ricostruzione del ruolo del Capo dello Stato nel sistema costituzionale italiano e la garanzia della riservatezza assoluta delle comunicazioni presidenziali, in Leg. pen., 2013, 960; per alcune osservazioni sul “rango” della relativa disciplina v. infra § 5.
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del sistema» che, «sebbene non sempre (…) enunciate
dalla Costituzione in norme esplicite», emergono comunque in modo evidente, là dove non ci si limiti alla
«mera esegesi testuale».
Al convincimento che le conversazioni presidenziali debbano “per principio” essere sottratte agli
ascolti la Corte è disposta a pagare un prezzo elevato:
abbandonare, con un discutibile overruling, quella
salutare diffidenza verso discipline derogatorie del
trattamento giuridico comune a tutti i consociati che
in precedenza l’aveva indotta a richiedere a fondamento degli stessi una «precisa copertura costituzionale»10. Pronunciandosi sulla legittimità della «sospensione del processo penale nei confronti delle alte
cariche dello Stato» introdotta dalla legge n. 124 del
2008, la Consulta aveva definito «la disciplina delle
prerogative contenute nel testo della Costituzione»
come «uno specifico sistema normativo» che «non
è consentito al legislatore ordinario alterare né in
peius, né in melius»11: il timore era, in quest’ultimo
caso, l’indebita estensione di quelle tutele a fattispecie non meritevoli, secondo il legislatore costituzionale, di una protezione ad hoc. A ben vedere, la strada
dell’«interpretazione sistematica» che la Corte questa
volta ha ritenuto di percorrere, affermando che l’inderogabilità della privacy presidenziale discende direttamente «dalla posizione e dal ruolo del Capo dello
Stato nel sistema costituzionale italiano», presenta
rischi non dissimili.
Com’è stato opportunamente ricordato, l’interpretazione sistematica è una tecnica esegetica «dai contorni piuttosto sfuggenti» e, soprattutto, una «leva
assai potente per operare rimaneggiamenti e aggiunte
nei testi normativi»12, caratteristiche che dovrebbero
convinzione che l’accidentale coinvolgimento del capo
dello Stato negli ascolti sia un’evenienza “di scuola”,
verosimilmente non replicabile; più preoccupante se
il legislatore si ritenesse ormai dispensato dal prendere posizione al riguardo, avendo già provveduto la
Corte costituzionale a individuare «un divieto probatorio, il tipo di sanzione processuale e la procedura da
seguire per la relativa declaratoria»6. L’impressione,
infatti, è che le istruzioni fornite dalla pronuncia n.
1 del 2013 non soltanto si fondino su premesse piuttosto discutibili sul piano costituzionale, ma siano
anche difficili da interpretare in modo univoco per
l’autorità giudiziaria che, imbattutasi nell’ascolto di
colloqui presidenziali, a quelle autorevoli coordinate
intenda attenersi7; ripercorrere gli snodi della decisione, dunque, significa anche mettere a fuoco alcuni
dei profili problematici che l’operatore è chiamato ad
affrontare.
2. Cardine della disciplina elaborata dalla Corte
rispetto alle captazioni riguardanti le conversazioni del
capo dello Stato è un’articolata «ricostruzione per principi»8 della figura presidenziale, intesa quale «garante
dell’equilibrio costituzionale» e quale «magistratura di
influenza»; un ruolo di stimolo, di moderazione e di
persuasione destinato a svolgersi soprattutto mediante
«attività informali», per l’efficacia delle quali la discrezione e la riservatezza delle conversazioni intrattenute
sarebbero condizioni «coessenziali» e quindi «imprescindibili». In questa prospettiva – peraltro non del
tutto pacifica in dottrina9 – l’assoluta impenetrabilità
della sfera delle comunicazioni presidenziali rappresenterebbe dunque una di quelle «esigenze intrinseche
6
Ancora E. Marzaduri, La ricostruzione del ruolo del Capo dello Stato, cit., 962.
Secondo M. Mengozzi, Intercettazioni casuali del Capo dello Stato, in Proc. pen. e giust., 2014, n. 4, 139, tale decisione, «intimamente
contraddittoria», lascia «aperti diversi interrogativi, sia sul piano pratico-processuale, sia su quello più teorico, relativo al corretto rapporto tra posizioni giuridiche tutte dotate di rango costituzionale».
7
F. Sorrentino, La distruzione delle intercettazioni del Presidente della Repubblica tra giusto processo e principio di eguaglianza, in
Giur. cost., 2013, 55.
8
9
Perplesso rispetto all’idea di una riservatezza assoluta per gli atti informali del Capo dello Stato, «che rischia di essere configurato
come una specie di “grande tutore occulto della Costituzione”», M. Olivetti, Quella sentenza fa storia (ma rafforza qualche dubbio), in
Avvenire, 27 gennaio 2013, 2. Dubita, prima ancora, che le attività presidenziali di moderazione e di stimolo debbano svolgersi, anziché
attraverso atti tipici, «nell’ambito di un’informalità di cui è, invero, difficile scorgere il fondamento» F. Sorrentino, La distruzione delle
intercettazioni, cit., 55 s.
10
Dunque, un fondamento che, ove anche sia implicito, risulti «congruo, cioè effettivamente preciso e quindi frutto di un procedimento
interpretativo con il più basso tasso di opinabilità» (A. Anzon Demming, Prerogative costituzionali implicite e principio della pari sottoposizione alla giurisdizione, in Giur. cost., 2013, 73).
11
Corte cost., 19 ottobre 2009, n. 262, in Giur. cost., 2009, 3645 ss.
P. Ferrua, La sentenza sulle intercettazioni “casuali” del Presidente Napolitano. I non sequitur della Corte costituzionale, in Giur. cost.,
2013, 1292.
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sconsigliarne l’impiego in particolar modo quando si
abbia a che fare con istituti che derogano ai principi
di eguaglianza e di obbligatorietà dell’azione penale.
Né rassicura che la Corte ne riconosca l’impraticabilità di fronte a «insuperabili barriere testuali», quando
poi trovi abilmente il modo di renderle inoffensive. A
rigore, l’assenza di una disposizione che individui un
soggetto istituzionale competente ad autorizzare le
intercettazioni a carico delle utenze presidenziali dovrebbe comportarne l’assoggettamento, ove si proceda per reati diversi da quelli elencati all’art. 90 Cost.,
alla disciplina generale dell’art. 15 Cost., che rinvia ai
«casi» e alle «garanzie stabiliti dalla legge» processuale. Con un suggestivo ribaltamento di prospettiva,
invece, la pronuncia vi ravvisa la «presupposizione
logica (…) dell’intangibilità della sfera di comunicazione del supremo garante dell’equilibrio tra i poteri
dello Stato», intesa come prerogativa costituzionale
implicitamente preesistente. D’altra parte, a giudizio
della Corte, se così non fosse si finirebbe per riconoscere alla figura presidenziale «una tutela inferiore»
rispetto a quella accordata ai parlamentari dall’art.
68, comma 3, Cost. e ai membri del Governo dall’art.
10 legge cost. n. 1 del 1989, circostanza che susciterebbe rilievi, non infondati, in punto di ragionevolezza.
Ma ad ammettere che per impedire una simile «paradossale conseguenza» si possa ricorrere ad
un’ardita interpretazione sistematica, ci si sarebbe
allora dovuti orientare nel senso di estendere al caso
di specie il meccanismo autorizzativo previsto per le
captazioni rivolte alle conversazioni dei membri del
Governo. È un passo che la decisione non si arrischia
a compiere, affidando l’individuazione dell’organo
competente a rilasciare tale autorizzazione ad «una
norma di rango costituzionale, non surrogabile da alcun tipo di fonte né, tanto meno, da una pronuncia»
del Giudice delle Leggi. L’atteggiamento di self-restraint potrebbe essere apprezzabile, se non preludesse – come sappiamo – a una conclusione ancora
più radicale, ovvero l’assoluta impenetrabilità della
sfera di comunicazione presidenziale, ritenuta «soluzione costituzionalmente obbligata», pur nel silenzio
della Carta fondamentale.
3. Due le conseguenze che la Corte ricava da tali
premesse ricostruttive: il divieto di disporre intercettazioni a carico delle utenze telefoniche in uso al
presidente della Repubblica ogniqualvolta si proceda
per reati diversi da quelli previsti dall’art. 90 Cost.,
in quanto coinvolgerebbero, «in modo inevitabile e
indistinto», anche le conversazioni «necessarie per lo
svolgimento delle sue funzioni istituzionali»; l’esigenza, ove i colloqui intrattenuti dal capo dello Stato siano rimasti accidentalmente “impigliati” negli ascolti,
«di non aggravare il vulnus alla sfera di riservatezza»
presidenziale e di adottare «tutte le misure necessarie
e utili per impedire la diffusione del [loro] contenuto». Misure individuate dalla pronuncia nell’obbligo
per la procura della Repubblica di «chiedere al giudice l’immediata distruzione della documentazione
relativa alle intercettazioni indicate, ai sensi dell’art.
271 comma 3» cpp, da realizzarsi «senza sottoposizione … al contraddittorio tra le parti e con modalità
idonee ad assicurare la segretezza del contenuto delle
conversazioni intercettate».
Gli esiti cui la Corte è approdata sul versante “processuale” sembrano ancor meno persuasivi di quelli,
pure opinabili, raggiunti nel ricostruire la trama costituzionale delle prerogative presidenziali. Pare rispondere, anzitutto, a una forzatura interpretativa il
riferimento della pronuncia all’art. 271, comma 3, cpp,
il quale presuppone, prima ancora, che gli ascolti occasionali delle conversazioni del capo dello Stato rientrino nell’«ampia previsione» delle intercettazioni «eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge» ex comma
113. In quest’ultima categoria potrebbero al più collocarsi le captazioni intenzionalmente rivolte alle utenze
presidenziali, in quanto – stando alle premesse esegetiche poste dalla Corte – violerebbero una di quelle
«fattispecie preclusive (…) ricavabili anche e in primo
luogo dalla Costituzione»; mentre non vi rientrano le
captazioni legittimamente eseguite a carico dell’utenza
telefonica di un soggetto terzo, neppure se questi abbia
interloquito con il Presidente: a qualificarle come captazioni contra legem non può bastare il timore che la
conoscenza dei loro contenuti possa compromettere la
sfera di riservatezza che dovrebbe circondare le attività
presidenziali; d’altra parte, ove si trattasse di intercettazioni «eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge»,
resterebbe da spiegare perché la Corte costituzionale
abbia respinto la richiesta del ricorrente di «dichiarare
che non spettava agli inquirenti interrompere la registrazione delle conversazioni».
Quanto al procedimento per la distruzione, per
un verso la Corte non tiene conto del dato normativo,
Secondo F. Modugno, Tanto rumore per nulla (o per poco)?, in Giur. cost., 2013, 1279, la Corte avrebbe dovuto invece sospendere il
giudizio di attribuzione per sollevare davanti a sé una questione di costituzionalità relativa agli artt. 268, 269 e 271 cpp, «riscrivendo le
disposizioni codicistiche in modo tale che, ogni volta che intercettate (anche casualmente) fossero le conversazioni del capo dello Stato non
aventi rilevanza penale, la documentazione ad essa relativa venisse distrutta nel più breve tempo possibile». L’esito del conflitto non sarebbe cambiato, ma ne sarebbe «uscito rafforzato il principio di legalità», osserva A. Camon, La decisione del conflitto fra il capo dello Stato
e la Procura di Palermo: qualche incertezza sul piano tecnico, grande equilibrio su quello politico-istituzionale, in Leg. pen., 2013, 940.
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per l’altro presta scarsa attenzione ai profili sistematici. Per tutte le captazioni disposte dall’autorità giudiziaria – con la sola espressa eccezione delle ipotesi
di cui all’art. 270-bis cpp – l’art. 268 cpp contempla
una precisa sequenza, che comprende il deposito delle stesse presso la segreteria del pm, la facoltà per le
parti private di prenderne cognizione, il diritto dei difensori di partecipare allo stralcio delle registrazioni
e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione. Il codice
di rito li intende come passaggi indefettibili; la Corte
li ammette per le sole intercettazioni «inutilizzabili
per vizi di ordine procedurale», mentre li esclude per
quelle «non utilizzabili per ragioni sostanziali», che
postulano «una protezione “assoluta” del colloquio
per la qualità degli interlocutori o per la pertinenza
del suo oggetto»; difficile non ravvisare in questo inedito «doppio binario»14 una distinzione arbitraria,
che, obbedendo a pragmatiche ragioni di opportunità15, tradisce la «logica di sistema» che lega l’art. 271
cpp alle disposizioni limitrofe16.
L’estromissione delle parti private dalla fase di distruzione delle registrazioni completa il disegno, tenacemente perseguito dalla Corte, di impedire che la
privacy presidenziale risulti «irrimediabilmente vanificata»; l’esclusione della «ordinaria procedura camerale, nel contraddittorio fra le parti», viene giustificata facendo appello al mancato rinvio nell’art. 271,
comma 3, cpp all’art. 127 cpp, che invece figura richiamato nel contiguo art. 269 cpp. In realtà, l’argomento
è piuttosto debole: da un lato, quell’omissione non ha
impedito in passato alla Suprema corte di affermare
che «ove la questione sorga davanti al gip e sia costui
competente ad ordinare la distruzione (avendo dichiarato l’inutilizzabilità) la procedura … non può che
essere quella camerale ex art. 127 cpp», perché l’unica
14
in grado di «garantire il più ampio contraddittorio fra
le parti e dal quale non si può prescindere stante la
particolare rilevanza ed importanza della decisione
che il giudice deve assumere»17. Dall’altro, la stessa
Corte costituzionale è costretta ad ammettere che
l’art. 271, comma 3, cpp «non impone la fissazione di
una udienza camerale “partecipata”», ma «neppure
la esclude». L’ambiguità legislativa si sarebbe, allora, dovuta sciogliere avendo come “stella polare” non
la «protezione assoluta» della privacy presidenziale,
ma la sintonia con i principi costituzionali; la lettura
che ne ha offerto la Consulta, invece, ne disattende
vistosamente più di uno18.
Schivando l’«errore prospettico»19 in cui pareva incorso il ricorrente, la Corte chiarisce che la distruzione dei supporti fonici deve avvenire «sotto il
controllo del giudice», inteso come «garanzia di legalità con riguardo anzitutto alla effettiva riferibilità
delle conversazioni intercettate al capo dello Stato»,
e non può essere affidata alle unilaterali valutazioni
del pubblico ministero. La supervisione dell’organo
giurisdizionale non vale, però, a colmare la profonda
distanza fra la distruzione inaudita altera parte e il
nostro assetto costituzionale, inequivocamente improntato al principio processuale del contraddittorio (art. 111, commi 2 e 4, Cost.). Sorprende che quel
canone fondamentale, oggi solidamente radicato nel
dettato costituzionale, sia stato derubricato dalla
Corte ad «astratta simmetria processuale» e, come
tale, ritenuto valore cedevole rispetto ad esigenze di
riservatezza della sfera di comunicazione presidenziale, peraltro «induttivamente immesse nella Costituzione a colpi di interpretazione sistematica»20.
Stupisce che il coinvolgimento dialettico delle parti
venga contrapposto ai «principi tutelati dalla Costi-
A. Zappulla, Segreti versus contraddittorio in materia di intercettazioni, in Cass. pen., 2014, 4327.
15
Condivisibilmente critici al riguardo I. Abrusci, Il destino processuale dei dialoghi con il presidente della Repubblica, in Aa. Vv., “Incontri ravvicinati” con la prova penale, a cura di L. Marafioti-G. Paolozzi, Torino, 2014, 23; R. Orlandi, Distruggete quelle registrazioni,
in Cass. pen., 2013, 1356.
16
S. Meloni, La distruzione delle intercettazioni, cit., 174.
17
Cass., 26 maggio 2009, Pulcini ed a., in C.e.d. Cass., n. 244153.
18
Sulla incostituzionalità di quel «fantasma normativo», cfr. F. Cordero, Un Presidente ancien régime, in Repubblica, 18 gennaio
2013, 31.
D. Vicoli, Immunità del Presidente della Repubblica e intercettazioni “casuali”: silenzi normativi e previsioni espresse, in www.forumcostituzionale.it.
19
20
P. Ferrua, La sentenza sulle intercettazioni “casuali”, cit., 1297. Ben altra considerazione quel principio ha ricevuto nella sentenza costituzionale n. 173 del 2009, chiamata a pronunciarsi sulla procedura di distruzione degli «atti relativi ad intercettazioni illegali»; intendendo
il contraddittorio come «garanzia insostituibile nell’ordinamento processuale di uno Stato di diritto», la Corte riteneva insoddisfacente ad
assicurarne la compiuta realizzazione il modello processuale di cui all’art. 127 cpp, al quale veniva preferita la più «rigorosa prescrizione»
contenuta nell’art. 401, commi 1 e 2, cpp. Di tale precedente “ingombrante”, efficacemente evocato dalla Procura resistente, la decisione n.
1 del 2013 si è liberata in poche battute, limitandosi a constatare l’inapplicabilità a quella diversa materia dell’art. 271, comma 3, cpp.
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tuzione», anziché essere ricompreso fra essi; premessa che consente alla Corte di sottrarsi all’onere di
un bilanciamento fra valori equiordinati, infliggendo
un «drastico e incondizionato sacrificio»21 alla dialettica processuale e assicurando al pubblico ministero,
con buona pace del principio di parità fra le parti,
l’accesso “in esclusiva” alle informazioni ricavabili
dalle captazioni destinate alla distruzione; vantaggio non certo di poco conto, rispetto a una difesa che
non è «destinataria di alcuna comunicazione relativa all’esistenza della registrazione e alla generalità
dei colloquianti»22. A questo pare aggiungersi, forse
per un infortunio sintattico, la possibilità per il pm
di governare con una certa discrezionalità i tempi
della richiesta di soppressione delle intercettazioni. A rigore, là dove la Corte costituzionale afferma
che «non spettava alla stessa procura della Repubblica di omettere di chiedere al giudice l’immediata
distruzione della documentazione relativa alle intercettazioni», si limita a prescrivere all’organo giurisdizionale di provvedere a quell’adempimento con
la massima rapidità, non appena sia stato investito
della richiesta23. Il pm potrebbe quindi sollecitare la
distruzione non appena prenda atto di aver intercettato una comunicazione presidenziale oppure optare
per una richiesta “cumulativa” riferita a tutte le conversazioni del capo dello Stato registrate nel periodo
di ascolto dell’utenza del suo interlocutore; ma viene da chiedersi se l’assenza di indicazioni temporali
vincolanti non gli permetta anche di differire quella
richiesta oltre tale scadenza senza esporsi a responsabilità disciplinari: non perché speri di fondare propri provvedimenti sul loro contenuto, trattandosi di
intercettazioni ricostruite dalla decisione come «eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge» e dunque
inutilizzabili, ma perché reputi utile non privarsi
della disponibilità di quel materiale fonico, i cui contenuti potrebbero fornirgli ulteriori spunti investigativi ove posti in opportuno collegamento con nuovi
elementi di indagine nel frattempo acquisiti.
4. Se si fosse limitata alle affermazioni appena
ripercorse, la pronuncia n. 1 del 2013 ci avrebbe consegnato una disciplina degli ascolti presidenziali “soltanto” di dubbia ortodossia costituzionale, perché in
conflitto con i valori del contraddittorio, della parità fra
le parti, del diritto di difesa; la clausola finale, oltre a
rivelare il “disagio culturale” avvertito dalla Corte nel
destinare alla distruzione quelle captazioni fortuite, ne
fa anche una disciplina troppo sibillina per poter guidare con mano ferma l’operatore chiamato ad applicarla.
Ove si prospetti l’esigenza «di evitare il sacrificio di
interessi riferibili a principi costituzionali supremi»,
l’autorità giudiziaria viene legittimata in extremis ad
adottare le «iniziative consentite dall’ordinamento».
Iniziative che, tuttavia, è compito dell’interprete individuare, impiegando anzitutto gli “indizi” forniti
dall’incipit del controverso passaggio finale: da un
lato, le stesse non si possono tradurre nel ripristinare
la procedura camerale “partecipata”, la cui «esclusione» – tiene a precisare la sentenza – resta ferma
«in ogni caso». Dall’altro, nel provvedere, nella fattispecie sottoposta alla sua attenzione, alle valutazioni affidate de futuro all’autorità giudiziaria, la Corte
dichiara «la assoluta inutilizzabilità delle captazioni
che hanno coinvolto il Presidente nel procedimento
da cui ha tratto origine il conflitto»; al di là della difficoltà di decifrare la specifica portata del rafforzativo
«assoluta», l’affermazione lascia intendere che sottrarre le intercettazioni alla distruzione e ammetterne
l’utilizzabilità probatoria – esito invero non proprio
coerente con la premessa che siano state «eseguite
fuori dei casi consentiti dalla legge» – rientri fra le
«iniziative consentite» quando si debba assicurare la
«tutela della vita e della libertà personale e (la) salvaguardia dell’integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica (art. 90 Cost.)»; un elenco che è
preferibile intendere come tassativo, anche sulla base
del riferimento alle «estreme ipotesi», per evitare che
l’ambito di applicazione della deroga possa estendersi
in modo incontrollato24.
Così R. Orlandi, Distruggete quelle registrazioni, cit., 1356, per il quale si tratta, peraltro, di un «sacrificio non necessario»: per garantire
la facoltà delle parti di intervenire con propri argomenti e rilievi sulla scelta della distruzione e al contempo fare salva l’esigenza di impedire la divulgazione del colloquio registrato «sarebbe sufficiente che il giudice secretasse il materiale riservato, vietandone la pubblicazione a
norma dell’art. 114, comma 5, cpp». Dello stesso avviso, E. Marzaduri, La ricostruzione del ruolo del capo dello Stato, cit., 961.
21
22
A. Zappulla, Segreti versus contraddittorio, cit., 4330.
Più vincolante per il pm, semmai, l’iniziale affermazione relativa all’«obbligo per l’autorità giudiziaria procedente di distruggere, nel
più breve tempo, le registrazioni casualmente effettuate di conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica»; affermazione che,
tuttavia, avrebbe consentito di per sé anche una distruzione affidata unilateralmente all’accusa, opportunamente esclusa invece dalla Corte
nei passaggi successivi.
23
Opzione che, sebbene preferibile, induce inevitabilmente a interrogarsi sulla ragionevolezza dell’esclusione di «beni come la salute o la
difesa in giudizio, che sono definiti fondamentali o supremi dalla stessa Costituzione o già dalla più risalente giurisprudenza» (M. Luciani,
La gabbia del presidente, in Giur. cost., 2013, 513). Sulla portata della nozione, esplicitamente richiamata, di libertà personale, v. i dubbi
espressi da A. Anzon Demming, Prerogative costituzionali implicite, cit., 72.
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Stando alle scelte semantiche della pronuncia («evitare il sacrificio di interessi», «tutela», «salvaguardia»),
le «iniziative consentite» sembrerebbero dover essere
rivolte a prevenire la lesione degli interessi menzionati. Abbinando l’“utilizzabilità” processuale alle finalità
preventive, l’esempio più immediato riguarda l’eventualità in cui dagli ascolti emergessero elementi in grado di evitare – oppure di sottoporre a revisione – una
condanna a pena detentiva a carico dell’interlocutore
presidenziale; meno scontato, almeno adottando una
lettura ancorata al dato testuale, che si possa evitare
la soppressione delle captazioni contenenti elementi di
segno favorevole all’indagato là dove, anche nell’eventualità di una condanna, non si profilino conseguenze
restrittive sullo status libertatis. In ogni caso, malgrado l’ottimismo di qualche interprete25, sembra poco
probabile che quella «tutela … della libertà personale»
possa essere assicurata in modo soddisfacente dall’organo giurisdizionale, fisiologicamente sprovvisto di
elementi conoscitivi che potrebbero invece risultare
decisivi per soppesare l’attitudine delle intercettazioni
ad impedire quel vulnus.
La vocazione “preventiva” che trapela dalle espressioni della Corte induce a ritenere che fra quelle non
meglio precisate «iniziative» debba essere incluso altresì il dovere per i magistrati che si imbattano nella
progettazione di azioni delittuose contro uno degli
evocati interessi fondamentali di attivarsi per sventarne la consumazione. Si spiegherebbe così – invece
di doverlo ritenere una svista26 – il riferimento della
sentenza all’«autorità giudiziaria», locuzione idonea
a ricomprendere anche il pubblico ministero, il quale,
«per i suoi rapporti con la polizia, è il più adatto a
prendere con prontezza le iniziative necessarie»27 per
impedire che tali reati si realizzino. Da quello stesso
richiamo sembrano scaturire, peraltro, ulteriori implicazioni: proprio in quanto anch’egli «autorità giudiziaria», viene da chiedersi se il pm possa sottrarsi ex
ante all’obbligo di investire il giudice della richiesta
di distruzione, rivendicando la propria legittimazione
ad affermare l’esigenza di tutelare uno degli evocati
«principi costituzionali supremi» ostativa alla sop-
pressione delle captazioni28; per esempio, potrebbe
l’organo d’accusa non sollecitare la soppressione dei
colloqui dai quali emergano elementi in grado di attenuare una gravità indiziaria che lo avrebbe altrimenti
indotto a chiedere l’applicazione di una misura custodiale a carico dell’interlocutore presidenziale? Oppure, là dove ne chiedesse l’applicazione, potrebbe fare
comunque salve quelle conversazioni per trasmetterle
al gip come «elementi a favore dell’imputato» ai sensi
dell’art. 291 cpp, facendosi carico dell’eventualità che
possano indurlo a non disporre la misura restrittiva?
Ci si potrebbe domandare, peraltro, se fra gli «interessi riferibili a principi costituzionali supremi»
per «evitare il sacrificio» dei quali si può prescindere
dalla distruzione delle registrazioni trovi spazio anche l’interesse all’accertamento e alla repressione di
illeciti che si siano già consumati a carico «della vita
e della libertà personale» e «dell’integrità costituzionale delle istituzioni della Repubblica»: ove così fosse, quando i contenuti delle conversazioni telefoniche
intrattenute dal Presidente fornissero elementi utili
all’accertamento dei fatti di reato e delle relative responsabilità penali, le stesse potrebbero sfuggire alla
soppressione per essere utilizzate in chiave probatoria; per esempio – si fa osservare – qualora le captazioni dimostrassero il coinvolgimento del capo dello
Stato nei reati di cui all’art. 90 Cost., «i magistrati dovrebbero presentare una denuncia al presidente della
Camera dei deputati; e non sarebbe eretico pensare
che le prove raccolte potessero poi essere usate nel
processo innanzi alla Corte costituzionale»29.
Piuttosto incerta appare la sorte delle captazioni
presidenziali dalle quali affiori soltanto una notitia
criminis relativa ad un reato lesivo di uno dei beni richiamati dalla decisione. Autorevoli interpreti30 le ritengono sottratte alla distruzione, probabilmente nel
presupposto che, una volta private inaudita altera
parte del loro supporto documentale, le successive determinazioni dell’autorità giudiziaria si troverebbero
più facilmente esposte a sospetti; tuttavia, valorizzando
ancora il richiamo della Consulta alle «estreme ipotesi», si potrebbe obiettare che a conservare traccia della
G.M. Baccari, Conflitto capo dello Stato-procura di Palermo: la Consulta delinea il potere di filtro del pm, in Dir. pen. proc., 2013,
674 ss.
25
26
F. Paiola, La «riservatezza assoluta» delle comunicazioni del capo dello Stato, in Dir. pen. proc., 2013, 689.
27
A. Camon, La decisione del conflitto, cit., 940.
Sul punto v. anche M. Deganello, Presidenza della Repubblica ed intercettazioni fortuitamente apprese: una decisione non sufficientemente meditata dalla Corte costituzionale, in Dir. pen. cont., 25 febbraio 2014.
28
Ancora A. Camon, La decisione del conflitto, cit., 941. Di diverso avviso, L. Filippi, L’immunità assoluta del Presidente della Repubblica
dalle intercettazioni, in Leg. pen., 2013, 944 s.
29
30
A. Pace, Intercettazioni telefoniche fortuite e menomazione delle attribuzioni presidenziali, in Giur. it., 2013, 1267.
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notizia di reato possa essere sufficiente il verbale delle
operazioni di distruzione31. Con maggiore sicurezza,
invece, si può affermare che sfuggano alla distruzione
le captazioni qualificabili come corpo del reato, perché,
ad esempio, abbiano registrato espressioni dal contenuto estorsivo; in questo caso peraltro la conclusione
non discende dalla clausola di salvezza formulata della Corte, bensì direttamente da quella enunciata nella
parte conclusiva dell’art. 271, comma 3, cpp.
La circostanza che la decisione abbia ricavato la
tutela “postuma” della riservatezza presidenziale
dalla natura delle attribuzioni del capo dello Stato ha
indotto la dottrina, condivisibilmente, a chiedersi se
analoga protezione spetti, per motivi di ragionevolezza, anche ai titolari di altri organi costituzionali,
ove dotati, come il presidente del Consiglio e i Ministri, di «competenze operativamente più importanti di quelle del presidente della Repubblica» e non
meno delicate sul piano «dell’importanza politica,
giudiziaria, economica e finanziaria»32. Di certo, secondo la pronuncia, l’esigenza di impedire l’accesso
delle parti private al contenuto dei colloqui, nel timore che ne divulghino i contenuti, accomuna tutte
le ipotesi di inutilizzabilità riconducibili a «ragioni
di ordine sostanziale», quali la protezione di «valori
e diritti di rilievo costituzionale che si affiancano al
generale interesse alla segretezza delle comunicazioni», individuati dalla Corte, fra gli altri, nella libertà
di religione, nel diritto di difesa, nella riservatezza
di dati sensibili. Pertanto, allorché vengano captate
fortuitamente le conversazioni dei soggetti elencati
dall’art. 200, comma 1, cpp aventi ad oggetto fatti
conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio,
professione, la distruzione, fondata sul combinato
disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 271 cpp, dovrebbe avvenire inaudita altera parte, poiché l’instaurarsi dell’ordinaria procedura camerale risulterebbe
anche in questo caso «antitetica rispetto alla ratio
della tutela», consentendo, esemplifica la Corte, che
la confessione resa ad un ministro del culto sia resa
nota ai terzi, o peggio diffusa mediaticamente, oppure che il colloquio riservato fra l’imputato e il suo
difensore sia portato a conoscenza della parte civile.
È probabile che le prime occasioni di applicazione
della discutibile procedura di distruzione riguarderanno una di queste fattispecie, “periferiche” nell’impianto
della pronuncia, ma ben più comuni rispetto all’eventualità di una nuova captazione fortuita dei colloqui
presidenziali. Non è implausibile, quindi, che proprio
in questo contesto la Corte possa essere investita, dai
giudici richiesti di procedere alla distruzione, di una
eccezione «di incostituzionalità per deliberazione costituzionale»33 a carico dell’art. 271, comma 3, cpp così
come interpretato dalla pronuncia n. 1 del 2013, per
contrasto con le prescrizioni di rango sovraordinato
che tutelano il diritto di difesa, il principio del contraddittorio, la parità fra le parti del processo.
5. Al momento, le chance di vedere regolamentate
in sede legislativa le captazioni presidenziali sembrano affidate al disegno di legge S. 863, che si propone,
più in generale, di assicurare la «tutela delle comunicazioni e della libertà di movimento dei titolari di
guarentigie costituzionali»34. Sebbene non menzioni
espressamente la decisione n. 1 del 2013, manifestando l’intento di «evitare l’operatività della clausola ubi
lex non dixit noluit» la relazione di accompagnamento sembra voler porre rimedio a una delle principali
obiezioni rivolte dalla dottrina al dictum della Corte,
ovvero l’assenza di qualsiasi ancoraggio normativo
rispetto all’affermata inconoscibilità delle captazioni
che coinvolgano il capo dello Stato. È poco probabile,
tuttavia, che l’auspicato fondamento normativo possa
esserle fornito dall’art. 2 del progetto di legge, là dove
vieta l’intercettazione di comunicazioni e conversazioni «nei confronti del presidente della Repubblica
… al di fuori della procedura di cui all’art. 7, comma 3,
della legge 5 giugno 1989, n. 219»35, che – come noto
– attiene a colui che, accusato dei reati ex art. 90 Cost.,
sia stato sospeso dalla carica ad opera della Corte costituzionale. Integrando una deroga al principio di
eguaglianza davanti alla giurisdizione penale, infatti,
la scelta di impedire la captazione delle conversazioni
presidenziali dovrebbe essere affidata a una norma di
rango sovraordinato, e non – come avviene in questo
caso – a una previsione di legge ordinaria; dunque,
se anche la novella venisse approvata, la “copertura
costituzionale” alla deroga de qua continuerebbe con
ogni probabilità a essere rinvenuta nella ricognizione
“di sistema” compiuta dalla decisione n. 1 del 2013.
Peraltro, un legislatore che, doverosamente, si muo-
31
Cfr. P. Ferrua, La sentenza sulle intercettazioni “casuali”, cit., 1300, nota 22.
32
A. Pace, Intercettazioni telefoniche, cit., 1267.
33
A. Zappulla, Segreti versus contraddittorio, cit., 4340.
34
Presentato in data 20 giugno 2013, ad iniziativa dei senatori Buemi, Longo, Nencini.
35
Più corretto probabilmente richiamare la procedura di cui al combinato disposto dei commi 2 e 3 dell’art. 7 l. n. 219 del 1989.
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vesse sul piano costituzionale, recupererebbe anche
“autonomia” rispetto alle prescrizioni ricavate dalla
Consulta attraverso l’interpretazione sistematica di
cui si è detto; potrebbe quindi valutare l’opportunità di adottare soluzioni alternative maggiormente
rispettose dei principi di necessità e di rigorosa proporzionalità che devono governare le prerogative introdotte a favore degli organi istituzionali; soluzioni
come quella – suggerita dalla dottrina – di consentire
l’intercettazione dei colloqui presidenziali previa autorizzazione della Corte costituzionale36.
Quanto all’eventualità che questi ultimi vengano
accidentalmente registrati, mentre il Giudice delle
Leggi, nel presupposto che il divieto preventivo di intercettare il Presidente non fosse applicabile proprio
per l’imprevedibilità della captazione, ne trasferiva la
funzione di tutela «dalla fase anteriore all’intercettazione … a quella posteriore», declinandola come
obbligo di distruzione dei risultati discutibilmente
ricondotto all’art. 271 cpp, il DDL S. 863 opta per una
tutela anticipata, in grado di impedire che tale ascolto
accidentale possa realizzarsi. Ove il titolare del munus istituzionale abbia comunicato al gestore telefonico «l’attuale, esclusiva e personale disponibilità
dell’utenza» a lui intestata, lo stesso dovrebbe negare
l’accesso agli inquirenti ai sensi dell’art. 51 cp, qualora
la stessa venga in contatto con altra utenza sottoposta
a controllo; la captazione accidentale delle conversazioni presidenziali resterebbe invece possibile sulle
utenze in uso al Presidente rispetto alle quali lo stesso
non abbia effettuato tale comunicazione; nondimeno,
ai sensi dell’art. 3 comma 6 DDL S. 863, all’interessato è consentito «dimostrare la non casualità dell’avvenuto accesso da parte dell’operatore di cui all’art.
268» cpp, al fine di far dichiarare l’inutilizzabilità dei
risultati indebitamente conseguiti.
Non sfugge l’accentuata sensibilità verso le ragioni di protezione della sfera di comunicazione presidenziale sottesa all’inedita regolamentazione che si
vorrebbe apprestare, e che si spinge fino ad accettare di fare a meno di risultati che potrebbero rivestire
utilità probatoria nei procedimenti concernenti quei
terzi sottoposti ad ascolto con i quali il titolare del
munus publicum dovesse interloquire. Più che farsi
carico delle ripercussioni processuali delle scelte prefigurate, la Relazione di accompagnamento sembra
soprattutto preoccupata di impedire “aggiramenti”
rispetto alle garanzie presidenziali mediante intercettazioni solo in apparenza fortuite, in realtà intenzionalmente rivolte alle sue conversazioni, e di evitare
quel delicatissimo «test di casualità» che ha determinato il «contenzioso più difficoltoso che abbiano mai
fronteggiato le Giunte di Camera e Senato in prima
battuta, e la stessa Corte costituzionale adita in via di
ricorso». Le non trascurabili controindicazioni della
predetta rinuncia andrebbero, forse, più attentamente ponderate; di certo, comunque, andrebbe rivisto
l’art. 3, comma 5, del progetto di legge, che, malgrado
l’attitudine intrusiva visibilmente differente, prevede
la possibilità di sottrarre alla conoscenza degli inquirenti anche i «dati esterni relativi al caso in cui il soggetto … venga in contatto con l’utenza per la quale è
stato autorizzato il tracciamento delle comunicazioni
telefoniche e telematiche».
In ogni caso, il legislatore che davvero ritenesse
congruo – a tutela delle funzioni assolte dal Presidente
– impedire anche la captazione accidentale delle sue
conversazioni, non dovrebbe subordinare, come invece fa il progetto di legge, l’operare della guarentigia alle
determinazioni dell’interessato, in particolare al fatto
che abbia ritenuto di comunicare al gestore l’esclusiva
disponibilità dell’utenza in questione. Secondo la Relazione di accompagnamento, l’intento sarebbe quello
di evitare che della garanzia beneficino indebitamente
i comuni cittadini che utilizzano utenze intestate ai titolari di cariche istituzionali; ma, anche se così fosse,
la previsione dell’art. 3, comma 2, DDL S. 863 andrebbe
probabilmente riformulata: la locuzione impiegata –
«possono comunicare al gestore» – pare consentire al
riguardo scelte discrezionali; opzione che risulta poco
ragionevole, considerando che la ratio della garanzia è
quella di tutelare le funzioni presidenziali, e non di per
sé la riservatezza del soggetto che le eserciti; a voler
restare nell’ottica del DDL in questione, sarebbe preferibile, allora, rendere obbligatoria la comunicazione al
gestore delle utenze di cui il capo dello Stato sia fruitore esclusivo, come tali destinate ad essere sottratte
a qualsiasi ascolto, anche fortuito; oppure – soluzione
forse ancor più persuasiva – delle utenze di cui sia unico fruitore e che impieghi all’esclusivo fine di esercitare le funzioni presidenziali.
La sensazione è che la disciplina dei colloqui presidenziali sia ancora “a metà del guado”: l’iniziativa
parlamentare di cui si è detto pare indice della consapevolezza di dover superare la controversa ricostruzione offerta in materia dalla Corte costituzionale;
tuttavia, sul piano delle scelte politiche e delle soluzioni tecniche apprestate, l’obiettivo auspicabile di un
soddisfacente assetto legislativo sembrerebbe richiedere un supplemento di riflessione.
Preferibile tale soluzione secondo P. Ferrua, La sentenza sulle intercettazioni “casuali”, cit., 1288, nota 5, nel presupposto che l’immunità assoluta dalle captazioni sia una scelta «alquanto dissonante rispetto al disegno complessivo della nostra Costituzione e, in particolare,
ai principi di uguaglianza e di obbligatorietà dell’azione penale».
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