Alla sinistra di Giove - Monica Granchi.indd
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La notte era alta. Senza vento. L’aria mite rendeva intensi gli odori. Nella velocità della corsa, Dakota non distingueva più il suo corpo da quello dello splendido puledro eccitato e indomito che ansimava sotto di lei. Alle loro spalle, un branco di cavalli galoppava come se fosse allo stato brado; un gruppo di cavalieri li montava a pelo in una sensazione di unisono governata solo dall’istinto. Erano uomini forti e robusti coi dorsi nudi e la pelle scura; sulle spalle potenti dondolava una treccia di capelli corvini. Rudimentali cosciali di pelle proteggevano le gambe e tenevano ferma alla vita la guaina del pugnale. Dakota era inebriata dalle emozioni. Le narici erano aperte ad accogliere ogni minimo segnale olfattivo proveniente dal bosco fitto eppure ordinato che stavano attraversando in quella folle corsa che sembrava protenderla verso qualcosa. O magari metterla in salvo. Questo non lo sapeva. Sentiva solo l’adrenalina. Che si trattasse di una ricerca o di una fuga, aveva poca importanza. Durante il galoppo aveva notato, con la coda degli occhi, bagliori di luce che, ai lati del sentiero, parevano accompagnarla. Piccole argentee punte luminose che, a intermittenza, facevano capolino nella fitta vegetazione riempiendo quelle selve di un senso di ignoto. Più avanti, in lontananza, si avvicinava una radura rischiarata dalla luce della luna. La sagoma imponente di un uomo sembrava attenderla. Quando fu vicina, il cavallo si arrestò. Con lui tutto il branco fece sosta. Gli uomini rimasero sul dorso dei loro 64 animali mentre la ragazza scese per avvicinarsi a quella figura che era più del doppio della sua. La sua esile corporatura si accostò a quella dello straniero. “Bentornata nei vostri boschi, Dama Errante” disse l’uomo accompagnando la voce profonda con un impercettibile ma deciso cenno del capo e portandosi la mano destra al petto. Aveva la pelle scura. Il torace era scoperto, come quello degli altri. Le spalle, grandi, erano potenziate da una muscolatura prepotente e i fianchi, stretti, erano sorretti da gambe forti. Era l’aspetto di un capo. Anche i suoi capelli, neri, erano raccolti sulla schiena; in una lunga coda, però. I vestimenti erano essenziali ma arricchiti da ornamenti che nessun altro possedeva: due grandi bracciali di pelle segnavano i polsi e al collo pendeva una catena con un grande dente aguzzo, probabilmente di lupo o di un qualche felino. Gli occhi chiari, sotto le sopracciglia marcate, erano ombreggiati da una specie di trucco nero. Magnetici. Solo in quel momento Dakota si accorse di essere vestita più o meno come lui. Solo i bracciali erano doppi: quasi a proteggere maggiormente le braccia. Il seno era coperto appena da una fascia di pelle su cui risaltava l’avorio del dente. I capelli erano tirati indietro ma non erano più gli stessi. Lanosi e crespi. Voluminosi. Erano raccolti in grosse trecce, montate una sull’altra sulle tempie dove poi si scioglievano, fin quasi a mezza vita, in una nuvola canuta che rendeva giustizia all’aspetto selvaggio della sua nuova natura. Il biondo, discreto, si era trasformato in bianco argentato restituendo ai Regni una perfetta creatura lunare. Sulla parte sinistra del viso e del corpo portava tatuati arabeschi di cui ancora non conosceva il significato; erano di un profondo colore blu. Sentì il peso leggero della faretra sulle spalle. Ne fu rassicurata. Alla sua cintura pendevano due pugnali. Quando 65 si guardarono negli occhi, alla ragazza parve di scorgere in quelli dell’uomo un lampo di desiderio. “Ero sicuro che sareste tornata” le disse lui infine sollevando lo sguardo al cielo. La luna era bassa. Obliqua. E tagliata perfettamente a metà. “Sarà una luna blu” riprese tornando a posare su di lei gli occhi profondi “L’aspettavamo da tempo”. “Portate qui i prigionieri e legateli agli alberi” disse poi a qualcuno nascosto dalla notte alle sue spalle. Mentre aspettava il destino che stava per compiersi, Dakota riconobbe i bagliori che le avevano segnato la strada lungo la corsa. Erano cervi. Animali speciali sacri alla Dea. Splendide, eleganti creature dalle corna color dell’argento. Si erano avvicinati alla radura rischiarandola ulteriormente con i loro ornamenti incantati. I fusti dei severi cipressi mostrarono in quel momento le chiome affusolate. Fu stregata da tanta bellezza. “Col favore della luna crescente, mia Signora, possiamo trasformare queste prede nei vostri nuovi Cacciatori” disse ancora l’uomo riportandola a quanto stava accadendo. Sei uomini, completamente nudi, erano stati in effetti legati agli alberi che delimitavano quello spazio vuoto. Avevano il terrore nei volti e pelle di capra nella bocca. “Lasciate che lo faccia io per voi, in segno della mia devozione” disse il guerriero chinando la testa un po’ di più, stavolta. Il silenzio della ragazza fu come un assenso e l’uomo estrasse un affilato pugnale dalla guaina. Una specie di sorriso gli passò sul volto. Dakota capì all’improvviso cosa sarebbe accaduto: li avrebbe evirati. Chiuse gli occhi. Per la paura, 66 forse. O per disgusto. Ma anche se non voleva ammetterlo, un’insolita eccitazione aveva preso a scorrerle addosso. Era come sangue nelle vene: non c’era posto in cui non sarebbe arrivata. 67