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ATTAC ITALIA - www.attac.it - Sezione Articoli
Carrelli intelligenti
di François Misser – www.negrizia.it
(data di pubblicazione su www.attac.it 22 aprile 2003)
Boicottaggi e controboicottaggi. In Italia come nel resto del mondo prende piede la "guerra fredda" del
consumo responsabile.
Dalle multinazionali del petrolio ai Mc Donalds, dalle sigarette alle bibite, i boicottaggi hanno diverse
motivazioni, ma sono tutti rivolti contro l'imperialismo economico del made in Usa e stanno già ottenendo
crescenti adesioni, sopratutto nei paesi arabi.
Per produrre effetti significativi il boicottaggio deve durare nel tempo. Comunque la sua forza sta nel fatto
che è inafferrabile. Nessun cacciabombardiere può costringere un cittadino qualsiasi in un angolo di mondo
qualsiasi a riempire il suo carrello di "made in Usa".
L'imperialismo è una tigre di carta? Cioè, senza scomodare Mao Tse-Tung e il suo linguaggio fiorito,
l'imperialismo è vulnerabile? C'è chi pensa, o spera, di sì. È il caso dell'eterogeneo insieme di movimenti e
gruppi che, in tutto il mondo, hanno scelto la via del boicottaggio dei prodotti Usa (unica potenza imperiale
rimasta) per protestare contro la guerra mossa dall'amministrazione Bush all'Iraq.
Questa campagna antiguerra si unisce e si sovrappone ad altre campagne di boicottaggio del made in Usa
lanciate dai movimenti per la difesa dell'ambiente in seguito alla decisione del presidente Bush di non
ratificare, nel marzo 2001, il protocollo di Kyoto che ha lo scopo limitare l'emissione di gas ad effetto serra,
responsabili del surriscaldamento del pianeta. Così da tempo sono finite nella lista nera aziende quali
Motorola, General Eletric, Del Monte, Cocacola Co., Pepsico, Mars Co., Nike, Calvin Klein, Levi Strauss, Ford,
Exxon, Boeing…
Alcune organizzazioni non governative, come la britannica Ecra (www.ethicalconsumer.org), hanno preferito
indicare il boicottaggio delle venti principali aziende che hanno finanziato la campagna elettorale di Bush e
dei repubblicani (www.boycottbush.net). Tra le altre: Enron, Philip Morris, Pfizer, Walt Disney, Chevron
Texaco, Microsoft, Bristol-Myers Squibb, Citigroup.
Iniziative simili sono state condotte contro la Exxon da Greenpeace e da Friends of the Earth (Amici della
terra). In Italia è attiva la campagna Stop Esso War (www.stopessowar.org) lanciata, oltre che da
Greenpeace, da Rete di Lilliput, Centro nuovo modello di sviluppo, Associazione botteghe del mondo e Bilanci
di giustizia. In Francia José Bové e la Confederazione contadina boicottano McDonald's, simbolo della cattiva
alimentazione, e le industrie agroalimentari che fanno uso di organismi geneticamente modificati.
Con l'offensiva portata da Washington contro il regime dei talebani in Afghanistan nell'ottobre del 2001, in
seguito agli attentati alle Torri Gemelle, si è aperto un nuovo fronte: quello delle comunità musulmane (un
miliardo di consumatori potenziali). In alcuni paesi arabi come l'Egitto e in Sudafrica, associazioni, sindacati e
anche capi religiosi hanno invitato i consumatori a non comprare i prodotti Usa. Il boicottaggio ha cominciato
ad assumere un certo peso a partire dalla primavera dello scorso anno.
Alcuni diplomatici hanno stimato nell'aprile 2002 una caduta dal 10 al 15% delle esportazioni statunitensi in
Arabia Saudita. Nella regione mediorientale si è constatato un calo dal 20 al 30% del fatturato dei fast food.
Secondo il responsabile di una società americana con sede in Kuwait, rappresentante di Pizza Hut e Baskin
Robbins in Medio Oriente, un calo delle vendite e dei profitti pari al 45% in Giordania, del 40% in Egitto e
del 20% nelle petromonarchie. Si calcola che lo scorso anno in Marocco, McDonald's e Coca Cola abbiano
fatturato la metà rispetto al 2001. Tutto ciò va avanti anche se i governi dei paesi temono l'effetto
boomerang: calo dei consumi significa prima o poi calo dell'occupazione.
Zam Zam Cola
Va detto che finora i boicottaggi non hanno spostato di un millimetro la politica di Washington né sul
protocollo di Kyoto né in Medio Oriente. Anzi si è assistito, negli Usa, a forme di controboicottaggio dei
prodotti di Francia, Germania e Belgio, i cui governi non si sono allineati con Bush.
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Senatori repubblicani hanno chiesto esplicitamente di non acquistare pneumatici Michelin e automobili Bmw.
Alcuni network hanno consigliato ai telespettatori di disertare i ristoranti francesi. Il 26 marzo, una pubblicità
sul New York Times invitava a non comprare i prodotti francesi. Uomini d'affari francesi hanno ammesso di
aver dovuto rinunciare a dei contratti per l'irrigidimento dei partner Usa.
In ogni caso, dall'inizio dell'attacco all'Iraq si sono moltiplicati in Europa gli appelli al boicottaggio. In Belgio
le associazioni America Watchers e For Mother Earth chiedono di non rifornirsi alle pompe di benzina Esso,
ma anche di rifiutare tutti i marchi americani. In Francia succede lo stesso. «Forse non avranno un impatto
economico forte, ma credo ci saranno ricadute politiche», afferma Nelly Maes, deputata europea dei Verdi.
In capo a tre settimane di guerra all'Iraq il movimento del boicottaggio era ben vivo in tutti i continenti. Dal
Québec all'Italia alla Grecia, passando per il Brasile dove i dipendenti della Santos si sono rifiutati per
un'intera giornata di scaricare le navi battenti bandiera americana e britannica. In sciopero contro la guerra,
il 24 marzo, anche i dipendenti belgi dell'azienda Usa Caterpillar. Appelli al boicottaggio dei prodotti
americani e britannici anche a Tokyo, in India, Indonesia, Bali, Nuova Zelanda, Islanda, Argentina e Regno
Unito.
Gli effetti di queste azioni non sono facilmente misurabili, anche per l'eterogeneità del movimento e la
molteplicità delle iniziative. Si può portare qualche dato. Tra marzo e aprile 2003, in Giordania, hanno chiuso
due dei sei ristoranti McDonald's. Lo stesso marchio, nell'Oman, ha avuto un calo di affari del 65% rispetto
allo scorso anno. Mentre prendono piede prodotti alternativi. L'Iran ha lanciato la Zam Zam Cola, bevanda
molto richiesta anche in Arabia Saudita, Kuwait e Bahrein.
In Francia è il booom della Mecca-Cola. Il marchio, inventato da Tawfik Mathlouthi, di origine tunisina, e
lanciato con lo slogan "Non bevete più stupido, bevete impegnato", si sta facendo conoscere anche in Belgio,
Italia, Spagna e Regno Unito. (Mecca-Cola devolve il 10% dei profitti all'infanzia palestinese e altrettanto ad
associazioni europee di solidarietà). Altri prodotti alternativi sono spuntati in Egitto (Yasser Arafat Chips) e
nei territori palestinesi (Star Cola e Hero Chips).
Secondo John Quelch, docente di economia dello sviluppo ad Harvard e alla London Business School, se una
simile tendenza perdurerà, l'effetto sarà disastroso. Infatti se i marchi americani perdono il loro potere
d'attrazione, finiranno per indurre una disaffezione da parte dei distributori. Comunque la storia dimostra che
i boicottaggi fanno sentire i loro effetti non immediatamente. Ci sono voluti decenni perché il boicottaggio a
prodotti del regime dell'apartheid in Sudafrica – arance, carbone, eccetera - modificasse la mentalità
dell'élite bianca al potere.