Condanna di 8 anni confermata per il tentato
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Condanna di 8 anni confermata per il tentato
4 Corriere di Novara SABATO 25 OTTOBRE 2014 CRONACA DONNA DI CERANO È RITENUTA LA MANDANTE DI UN SUO AMICO CHE AGÌ IN CASA DENUNCIATI DALLA POLIZIA Condanna di 8 anni confermata per il tentato omicidio del marito In 17 alla sbarra per gli incidenti di Novara-Torino nHa chiarito i fatti avvenuti all’alba del 23 novembre 2012, ammettendo in qualche modo una minima partecipazione all’aggressione del marito, che finì in ospedale. Questo, però, non è bastato ai giudici della Corte d’Appello di Torino, che non hanno fatto sconti a Sara Brunacci, 32 anni di Cerano, alla sbarra con l’accusa di concorso in tentato omicidio aggravato dal legame famigliare e dalla premeditazione. Quel giorno il marito della donna, Jahlil Sahli, era stato accoltellato durante un’aggressione al piano terra della loro abitazione di via Moro. La vittima stava dormendo, ma, fortunatamente, si era svegliato di soprassalto ed era rimasto colpito solo di striscio, cercando anche di rincorrere l’aggressore, individuato dopo alcuni mesi in un 21enne albanese. La moglie, stando alle indagini, sarebbe stata la presunta mandante del tentato delitto. Dapprima, infatti, i Carabinieri avevano identificato il presunto aggressore, quindi, esaminando i tabulati telefonici, emerse la ‘conoscenza’ tra la donna e il 21enne. Da qui l’ipotesi dell’accusa che la moglie, che in precedenza pare avesse denunciato il consorte per maltrattamenti, si fosse accordata con l’albanese per dargli una “lezione”. Processata a Novara, in primo grado, con rito abbreviato, era stata condannata a 8 anni. Identico il risultato rimediato in Appello negli scorsi giorni. Per i giudici torinesi la donna è la mandante di quell’aggressione. Stabilito anche un risarcimento di 15mila euro per il nordafricano, assistito dall’avvocato Fabrizio Cardinali (danno che sarà poi liquidato in sede civile). La donna è difesa dall’avvocato Andrea La Francesca, che aveva chiesto l’asso- n In 17 sono alla sbarra, in Tribunale a Novara, per gli incidenti allo stadio Piola avvenuti il 14 febbraio 2011, pochi minuti prima della partita di calcio di serie B Novara-Torino, match vinto dagli azzurri 1 a 0. L’ultima udienza si è tenuta mercoledì mattina davanti al giudice monoractico Fabrizia Pironti di Campagna. Stando all’accusa, il gruppo si era presentato all’ingresso dello stadio senza biglietto. I soggetto in questione avrebbero poi sfondato il tornello per l’accesso alla Curva Sud, quella dedicata agli ospiti. E uno avrebbe anche colpito uno steward allo stadio con l’asta di una bandiera. Quindici sono tifosi granata e due sono supporter azzurri: sono accusati, a vario titolo, dei reati previsti dagli articoli 6 bis e 6 ter della legge 401 del 1989 (lancio di materiale pericoloso, possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportivi e scavalcamento e invasione di campo), resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Uno degli azzurri era stato trovato con un fumogeno e, quindi, denunciato. I torinesi era stati inizialmente individuati dalla Polizia novarese con l’ausilio delle riprese video, e raggiunti poi dal cosiddetto Daspo. Alla sbarra ci sono Lorenzo De Filippis e Andrea Buffrini (tifosi azzurri, il primo è il supporter trovato a quanto pare con un fumogeno) e i granata Massimiliano Rodio, Gianni Piccione, Dario Gravina, Luca Facciano, Pier Domenico Buat Albania, Mauro Coppola Tropeano, Nicodemo Camarda, Lorenzo Giuseppe Stillitano, Filippo Pastore, Dario De Leo, Savino La Saponara, Davide Machet, Alessandro Ajres, Massimiliano Fenza e Marco Bertasi. In aula hanno raccontato i fatti alcuni agenti della Polizia in servizio quel giorno allo stadio. L’udienza è stata quindi aggiornata a metà luglio del prossimo anno mo.c. L’abitazione a Cerano dove avvenne l’aggressione Le tracce di sangue della vittima luzione, dopo aver consegnato un breve ‘memoriale’, in cui la sua assistita chiariva i fatti di quel giorno. «L’Appello - spiega - ha confermato gli 8 anni. Le motivazioni saranno depositate tra 15 giorni. Rispettiamo le decisioni dei giudici, ma attendiamo di leggerle e sicuramente ricorreremo in Cassazione. La mia assistita ha chiarito i fatti. Ha spiegato che la sua colpa è stata quella di non aver impedito all’aggressore, un suo amico, di procedere. Ha ammesso, cosa che prima non aveva fatto, di aver lasciato la porta aperta, affinché l’amico potesse entrare. Ha riferito anche di aver tentato di dissuaderlo dal gesto, ma non ce l’ha fatta. Una partecipazione, quindi, di livello minore. Un comportamento ammissivo per il quale mi attendevo una riduzione della pena, per una donna depressa e maltrattata». Nel ricorso in Appello il difensore aveva sostenuto come non fosse stato un tentativo di uccidere, bensì un ferimento accidentale con un colpo leggero che, anziché, tramortire, aveva svegliato la vittima. Dapprima era stato colpito parrebbe con il manico di un martello e poi da un coltello. «Quei colpi per il pm sarebbero serviti a tramortire il marito della mia assistita - continua l’avvocato - ma c’è una perizia che dimostra che non è così». L’aggressione era avvenuta intorno alle 4,30. Sahli, una volta soccorso, aveva riferito di essere stato colpito in camera da letto e che aveva inseguito l’aggressore sino a via Matteotti, dove aveva suonato a diversi campanelli in cerca di aiuto prima di svenire. Portato in ospedale, era stato operato e poi si era gradualmente ripreso dalle ferite riportate. I Carabinieri identificarono l’aggressore in Edmir Gjergji, albanese di 21 anni, che, dopo i fatti, era fuggito in Albania, dove è rimasto coinvolto in un incidente. E’ stato estradato in Italia lo scorso febbraio. Per lui il processo, in primo grado, è fissato in abbreviato il prossimo 13 novembre. Difeso dall’avvocato Enrico Aina, nega gli addebiti. Monica Curino AL CONVEGNO DI LIBERA I PERICOLI CHE CORRE IL NOVARESE NEL MIRINO DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA «Normative carenti: i cavatori disonesti vengono qui» n Una normativa nazionale chiara e al passo con i tempi, capace di aiutare Comuni e cavatori onesti. E una cultura dell’ambiente. Questa la ricetta per difendersi dalla criminalità (vedi “ Corriere” di lunedì 20) e impedire che la malavita organizzata, quella che vede coinvolgere anche cavatori in questo caso disonesti, possa infiltrarsi nel settore. Un mondo, questo, che da tempo ha a che fare con infiltrazioni criminali. A dimostrarlo, molte indagini antimafia, da “Minotauro” a “Infinito” sino a “Colpo di coda”. Tra i territori più a rischio, nel Novarese, c’è Romentino. Una zona che, come riferito dal suo primo cittadino, Alessio Biondo, sabato, al convegno “Il Far West delle cave”, promosso da Libera, «è ormai ampiamente infiltrata. Siamo la ‘Terra dei fuochi’. Vogliamo sconfiggere il fenomeno. Ma noi Comuni non possiamo farlo da soli. Serve l’aiuto di tutti». A sottolineare la necessità di norme più chiare e moderne (l’ultima normativa nazionale sulle cave è del 1927), norme capaci di fermare la criminalità che approfitta proprio delle attuali lacune, il vice comandante del Corpo forestale dello Stato, Alessandra Stefani, per oltre 10 anni comandante provinciale a Novara. «L’obiettivo è sconfiggere chi vuole solo lucrare, provocando gravi danni all’ambiente - ha detto - I cavatori onesti ovviamente ci sono, ma esistono anche soggetti che fanno concorrenza sleale e non si fanno problemi davanti a nulla. Le norme attuali rendono difficile l’opporsi a tutto questo. Abbiamo bisogno di norme nazionali. E poi, tutti insieme, diffondere una cultura dell’ambiente. La situazione è complicata anche dal fatto che non tutte le Regioni si sono dotate di piani idonei a questo settore. Nove Regioni sono ancora sprovviste dei Prae (Piano regionale attività estrattive)». Ogni Regione fa un po’ a sé: «Ci sono anche casi dove questi piani sono a ‘metà strada’, come in Piemonte. In Lombardia, invece, sono stati in grado di stringere molto le ‘maglie’ delle leggi. Una situazione che fa sì che chi vuol usare le cave in maniera non lecita ‘emigri’ nel Novarese. I piani sono importanti per togliere soggettività e lacune». Servono anche sanzioni penali, non solo pecuniarie. Queste ultime esistono, ma sono irrisorie. Nella mattinata, moderata dal responsabile di Libera, Mattia Anzaldi, l’intervento di Marina De Maio, docente al Politecnico di Torino e dei suoi collaboratori Simone Orioli e Nicole Nota. I tre hanno sostenuto la necessità di un incremento dei controlli: dal 1970 a oggi, il numero delle cave è più che quadruplicato. mo.c.