Concetta Carrà Genere e Costituzione Il ruolo delle donne nella
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Concetta Carrà Genere e Costituzione Il ruolo delle donne nella
Concetta Carrà Genere e Costituzione Il ruolo delle donne nella stesura del Testo Costituzionale «Il giorno in cui, con il mio bel vestito azzurro a fianco di Velio, entrai a Montecitorio, ero un po’ impacciata. Vicino all’ingresso c’erano giornalisti e curiosi. Cercavo di apparire disinvolta e dignitosa. Avevamo appena superato i primi gradini, quando Velio mi piantò in asso, attraversò con due salti tutto l’atrio e si voltò commosso e affettuosamente ironico per assistere al mio ingresso. In quel momento, dietro a me, udii un commesso che mi si rivolgeva con queste parole: “Pss pss ma dove va Lei?”. Timidamente risposi che dovevo entrare perché ero appena stata eletta. “Anche lei!” fu il commento del commesso e non ho mai capito cosa volesse dire, se in lui prevalesse lo stupore o la sufficienza»1. Con queste parole la comunista Nadia Spano, scomparsa il 19 gennaio 2006 all’età di 89 anni, ha ricordato il suo primo giorno da deputata. Velio è suo marito; all’interno della Costituente sono presenti infatti cinque coppie di coniugi: gli Spano, comunisti, altre due coppie di comunisti, Teresa Noce e Luigi Longo e Palmiro Togliatti e Rita Montagnana, e due coppie di democristiani, Mario e Angela Cingolani e Angelo e Maria Jervolino, genitori di Rosa Russo Jervolino, attuale sindaco di Napoli. Com’è noto, l’Assemblea Costituente viene eletta il 2 giugno del 1946, si insedia il 25 dello stesso mese e rimane in carica circa un anno e mezzo per scrivere la Costituzione Repubblicana. Al suo interno sono presenti 21 donne, su un totale di 556 componenti.2 In realtà si sono sempre considerate 20, in quanto la ventunesima, Ottavia Penna, eletta nelle liste del Fronte dell’Uomo Qualunque, non l’hanno mai considerata facente parte del gruppo. Nostalgica della N. Spano, Mabrúk. Ricordi di un’inguaribile ottimista, AM&D, Cagliari, 2005, p. 261. Le costituenti elette sono le democristiane Bianchini Laura, Conci Elisabetta, De Unterrichter Jervolino Maria, Delli Castelli Filomena, Federici Maria, Gotelli Angela, Guidi Cingolani Angela Maria, Nicotra Fiorini Maria, Titomanlio Vittoria; le comuniste Bei Adele, Iotti Leonilde, Mattei Teresa, Minella Angela, Montagnana Togliatti Rita, Noce Longo Teresa, Pollastrini Elettra, Rossi Maria Maddalena, Gallico Spano Nadia; le socialiste Bianchi Bianca, Merlin Angelina e la qualunquista Penna Buscemi Ottavia. Cfr. I 556 deputati all’Assemblea Costituente, La Navicella, Roma, 1946. 1 2 -1- monarchia, si presentava sempre in Aula con lo stemma dei Savoia, rimanendo volutamente e provocatoriamente in disparte. Le Costituenti rappresentano una minoranza quantificabile intorno al 3,5%; sono le prime donne entrate a far parte di un’assemblea elettiva nazionale, avendo appena ottenuto il diritto di votare e di essere elette. Si tratta di un gruppo molto giovane, in quanto l’età media è di 40 anni; la più giovane è la comunista Teresa Mattei (25) e la più anziana la socialista Angelina Merlin (65). Prevalentemente appartenente alla classe media, vanta una preparazione culturale molto elevata, in quanto più della metà è laureata.3 È una “pattuglia”, come loro stesse si definiranno negli anni successivi, arrivata alla Costituente con un curriculum intenso e una preparazione politica molto solida, maturata in contesti diversi, in base alla propria appartenenza partitica. Si tratta di una minoranza che ripropone al suo interno i rapporti tra le tre forze politiche che all’interno dell’Assemblea hanno ottenuto il maggior numero di seggi: Dc (207), Psi (115) e Pci (104). Le nove democristiane sono un gruppo omogeneo per quanto riguarda la provenienza, dal momento che hanno tutte un passato trascorso nelle associazioni cattoliche, in cui hanno ricoperto incarichi sia a livello di dirigenza che di presidenza, in particolare nella Fuci (Federazione universitaria cattolici italiani) e nell’Azione cattolica, che era stata molto attiva nell’organizzare convegni e riunioni al fine di sensibilizzare le donne verso le problematiche sociali. Sono figure di rilievo che hanno cominciato ad occuparsi di politica sin da giovanissime. Angela Guidi Cingolani, ad esempio, ispettrice del lavoro, prende parte alla ricostituzione del partito e successivamente sarà la prima donna a far parte di una compagine di governo: nel 1951 diventerà infatti Sottosegretario all’Industria e al commercio nel Governo guidato da De Gasperi. Filomena Delli Castelli partecipa all’apertura della sede locale del partito a Città S. Angelo, il paese in cui era nata, in provincia di Pescara. Maria Federici, definita negli anni successivi la “voce delle deputate”, particolarmente combattiva e determinata, è la prima presidente del Cif (Centro italiano femminile), l’associazione femminile nata tra il ’44 e il ’45 con lo scopo di coinvolgere le donne nella vita politica, in vista dell’imminente riconoscimento del diritto di voto. Le nove comuniste e le due socialiste sono accomunate dall’aver vissuto l’esperienza di una dura attività antifascista trascorsa in clandestinità, che per qualcuna ha significato lunghi anni di carcere, com’è successo, ad esempio a Nadia Spano, o di confino politico, come nel caso di Angelina Merlin, figura storica del socialismo italiano. Altre, tra cui Teresa Noce, sono state deportate in Germania; altre ancora, come Teresa Mattei e Nilde Iotti, sono state attive partigiane e si sono direttamente occupate dei Gruppi di Difesa della Donna, organismi politici nati subito dopo l’armistizio del ’43 con lo scopo di La maggior parte ha una laurea in lettere (Conci, De Unterrichter, Delli Castelli, Federici, Gotelli, Iotti, Minella); o in filosofia (Bianchini, Mattei), una è laureata in filosofia e pedagogia (Bianchi); una in letterature slave (Cingolani), una in lingue straniere (Merlin), una in chimica (Rossi), cosa molto innovativa perché all’epoca erano ancora poche le donne laureate in discipline scientifiche. Altre sono operaie (Bei, Noce); una è sarta (Montagnana), una impiegata (Pollastrini), una insegnante (Titomanlio); due, infine, sono casalinghe (Nicotra, Penna). Cfr. I 556 deputati all’Assemblea Costituente, La Navicella, Roma, 1946. 3 -2- convogliare tutte le energie femminili, indipendentemente dalle appartenenze partitiche, all’interno della lotta di liberazione nazionale. Alcune sono figure di spessore, come Rita Montagnana, che fa parte del Partito Comunista fin dalla sua costituzione e che in seguito sarà tra le fondatrici dell’Udi (Unione donne italiane), l’altra associazione femminile nata nell’immediato dopoguerra. Si tratta quindi di una rappresentanza femminile altamente qualificata, dotata di esperienza, cresciuta nella lotta quotidiana e nell’assistenza, che era stata appunto candidata dal proprio partito per l’esperienza maturata direttamente sul campo e per l’elevata competenza. Durante la campagna elettorale ha appena avuto modo di entrare in contatto con i problemi della popolazione, in particolare con i bisogni e le esigenze delle donne, anche perché la forte competizione tra le candidature maschili e femminili aveva spinto i partiti ad affidare ai candidati gli argomenti più strettamente politici e alle candidate quelli inerenti la ricostruzione. E’ una minoranza che, pur essendo consapevole di essere stata eletta in nome dei rispettivi partiti di appartenenza, sente di rappresentare tutte le donne italiane, a prescindere da impostazioni ideologiche e indipendentemente dal credo religioso. Riesce quindi, tranne le questioni sull’indissolubilità del matrimonio e sui finanziamenti statali alla scuola privata, su cui prevalgono le divisioni di partito, a formare un fronte trasversale che accanto ai tre tradizionali (centro, destra e sinistra) si presenta forte, combattivo e ricco di proposte concrete, imponendo ai colleghi, molti dei quali pur non essendo contrari all’affermazione di un’ottica paritaria non vogliono che la stessa venga affermata in modo radicale, il riconoscimento e la tutela della mutata condizione della donna. Pur non rinunciando ad intervenire sulle questioni cosiddette “generali”, in cui hanno modo di dimostrare la loro preparazione in materie specifiche, gli argomenti su cui il loro ruolo è stato più incisivo e determinante sono stati quelli riguardanti la famiglia, i rapporti tra i coniugi, la maternità, l’infanzia e il lavoro femminile. Tralasciando le astratte enunciazioni di principio, le deputate dimostrano un accentuato senso di concretezza, prospettando in modo dettagliato situazioni specifiche. In tema di famiglia, ad esempio, (gli articoli di riferimento sono il 29, il 30 e 31) si soffermano, come fa la democristiana Maria Federici, sulla situazione dei “nuclei familiari irregolari” (oggi diremmo delle “famiglie di fatto”) o su quella delle “madri nubili” (oggi diremmo ragazze madri), entrambe molto numerose dopo la guerra, sottolineando come, trattandosi di categorie deboli e particolarmente bisognose di aiuto, sia necessario adottare misure specifiche e realizzare interventi mirati in modo da assicurare alle prime tutte le tutele previste per le famiglie “tradizionali” e alle seconde la garanzia di un lavoro che permetta loro di mantenere i figli. La comunista Teresa Noce si sofferma invece sulle condizioni delle casalinghe, e sull’elevato tasso di mortalità delle gestanti. Evidenzia come per le prime, escluse dai benefici della previdenza sociale, sia necessario prevedere forme di assistenza, e alle seconde debba essere assicurata la possibilità, qualunque sia la loro situazione sociale e giuridica, «di procreare in buone condizioni economiche, igieniche e sanitarie» specificando come la -3- maternità, “funzione naturale nobilissima della donna” vada sempre difesa e tutelata, perché riguarda il futuro dell’intera collettività.4 Si ritrovano poi unite nell’affermare la parità dei rapporti tra i coniugi, l’esercizio della potestà congiunta sui figli, affermando che la moglie, al pari del marito, non è soltanto titolare di doveri, ma anche di diritti, e contrastando decisamente le posizioni dei colleghi, alcuni dei quali sostengono di non voler «sconvolgere il diritto della famiglia ad avere un capo», che, per la natura stessa della famiglia, deve essere il padre.5 Le deputate replicano sottolineando, come fa la Iotti, la “fisionomia per certi aspetti antidemocratica” della famiglia italiana, dovuta proprio al fatto che, come afferma, «la donna, era ed è tuttora legata a condizioni arretrate che la pongono in stato di inferiorità e fanno si che la vita familiare sia per essa un peso e non fonte di gioia e aiuto per lo sviluppo della propria persona»6. Nadia Spano sottolinea invece che se proprio ci deve essere un “capo” all’interno della famiglia, questo “capo” non può che essere la donna, data la forza con cui è stata in grado di mandarla avanti e di tenerla unita, come hanno ampiamente dimostrato le donne italiane durante la guerra.7 Le deputate sostengono anche la necessità della parificazione tra figli legittimi e naturali, contestando ancora le posizioni di alcuni colleghi che temono la parificazione comporti una minaccia per il patrimonio e l’eredità. Qualcuno, come il democristiano Giuseppe Togni, arriva a sostenere che i figli illegittimi, come si chiamavano allora, vadano tutelati soltanto «per un sentimento di solidarietà umana».8 Con sensibilità e tenerezza non di donne, ma di madri, le deputate ricordano invece come la parificazione scaturisca per logica coerenza dal principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’articolo 3, e quindi non debba essere dettata né dalla pietà, né dalla compassione, in quanto, come nota Nadia Spano, «nell’articolo 3 non si è detto che vi era una categoria di cittadini che aveva diritto soltanto alla pietà e non alla eguaglianza di tutti i diritti; si è detto che tutti sono eguali di fronte alla legge».9 Credono inoltre che la parificazione assicuri in primo luogo il diritto al nome, «in modo che si cancelli quell’N.N. infamante», sostiene ancora la Spano, «che i figli illegittimi debbono sopportare per tutta la vita».10 Cfr. Commissione per la Costituzione, Terza Sottocommissione, sedute dell’11, 13 e 18 settembre 1946, in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. VIII, sedute dal 26 luglio 1946 al 26 ottobre 1946, Segretariato Generale, Roma, 1970. 5 Cfr. l’intervento del democristiano C. Corsanego nella seduta del 30 ottobre 1946, Commissione per la Costituzione, Prima Sottocommissione, in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. VI, sedute dal 26 luglio 1946 al 19 dicembre 1946, Segretariato Generale, Roma, 1970. 6 “Relazione dell’on. Signora Iotti Leonilde sulla famiglia”, Commissione per la Costituzione, Prima Sottocommissione, in Assemblea Costituente. Atti della Commissione per la Costituzione, vol. II, Relazioni e proposte, Segretariato Generale della Camera dei Deputati, Roma, 1947, p. 55. 7 Cfr. l’intervento di Nadia Spano nella seduta antimeridiana del 17 aprile 1947 in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. II, sedute dal 17 aprile 1947 al 19 maggio 1947, Segretariato Generale, Roma, 1970. 8 Cosi si esprime il democristiano Giuseppe Togni nella seduta del 18 settembre 1946, Commissione per la Costituzione, Terza Sottocommissione, in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. VIII, cit. 9 Cfr. l’intervento di Nadia Spano nella seduta antimeridiana del 17 aprile 1947 in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. II, cit. 10 Ivi. 4 -4- In tema di lavoro femminile, nonostante le democristiane siano a favore del salario familiare, in modo tale che la donna si occupi della cura dei figli e della casa e le comuniste e le socialiste sostengano invece la nascita di una società di servizi che piuttosto la aiuti a conciliare, come diremmo oggi, famiglia e lavoro, concordano nel sostenere sia la piena parità d’accesso che di trattamento. Riguardo la parità di trattamento, sancita dall’articolo 37, che recita che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”, ancora una volta devono contraddire le posizioni dei colleghi, alcuni dei quali credono non sia opportuno adottare diciture che facciano riferimento allo stesso trattamento economico tra lavoratori e lavoratrici, in quanto, come sostiene il democristiano Umberto Merlin, «le lavoratrici interpreteranno la formula nel senso che esse debbono avere il salario che spetta al lavoratore maschio, mentre in pratica questo non avviene mai»,11 dal momento che, continua ancora il deputato, «la donna farà un lavoro più leggero e più confacente alla sua natura, e perciò il salario sarà proporzionato al minor rendimento».12 Maria Federici replica al suo collega di partito facendogli notare un dato ovvio, e cioè il fatto che «da qui a pochi anni, noi dovremo perfino meravigliarci di aver introdotto questo articolo nel testo costituzionale; e non perché esso non riguardi materia puramente costituzionale –da questo punto di vista dovremmo meravigliarci d’aver introdotto troppi articoli del genere– ma piuttosto per avere dovuto sancire nella Carta costituzionale che a due lavoratori di diverso sesso, ma che compiono lo stesso lavoro, spetta un’uguale retribuzione».13 Riguardo la parità d’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive, cosi come viene stabilito dall’ articolo 51, i colleghi sostengono come si debba disciplinare l’accesso dei cittadini e delle cittadine inserendo la frase “conformemente alle loro attitudini, secondo le norme stabilite dalla legge”. Le deputate credono invece che il termine “attitudini”, al pari di “facoltà” o “capacità”, introduca un criterio di valutazione arbitrario e discriminante tra uomo e donna, escludendo quest’ultima da determinati lavori e quindi non provando mai, come afferma la Federici, la sua «attitudine a compierli». La democristiana continua sostenendo come sia invece opportuno parlare di requisiti, dal momento che i requisiti, al contrario delle attitudini, non possono essere fissati in modo arbitrario, ma vengono stabiliti secondo criteri oggettivi dalla legge.14 Inoltre, anticipando il dibattito che poi sarebbe continuato nel corso degli anni, la deputata sottolinea come «il sesso non deve più essere un fattore discriminante per il godimento dei diritti civili e sociali».15 La Federici esprime in questo modo un sentimento molto radicato tra le colleghe, su cui due di esse si soffermano nell’elaborazione dell’articolo 3, che Cfr. l’intervento del democristiano Umberto Merlin nella seduta dell’8 ottobre 1946, Commissione per la Costituzione, Prima Sottocommissione, in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. VI, cit. 12 Ivi. 13 Intervento di Maria Federici nella seduta antimeridiana del 10 maggio 1947, in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. II, cit. . 14 Cfr. l’intervento di Maria Federici nella seduta del 22 maggio 1947, in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. III, sedute dal 20 maggio 1947 al 28 luglio 1947, Segretariato Generale, Roma, 1970. 15 Ivi. 11 -5- sancisce i principi di uguaglianza formale e sostanziale. Al primo comma si legge infatti “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Non è un caso se il sesso appare come prima e fondamentale tra le distinzioni. L’inserimento dell’inciso “di sesso” viene proposto infatti dalla socialista Merlin, che ai colleghi che le fanno notare come sia superfluo, dal momento che con le parole “tutti i cittadini” si indicano uomini e donne risponde: «Onorevoli colleghi, molti di voi sono insigni giuristi e io no, però conosco la storia. Nel 1789 furono solennemente proclamati in Francia i diritti dell’uomo e del cittadino, e le costituzioni degli altri paesi si uniformarono a quella proclamazione che, in pratica, fu solamente platonica, perché cittadino è considerato solo l’uomo con i calzoni, e non le donne, anche se oggi la moda consente loro di portare i calzoni».16 Al secondo comma l’articolo continua: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E’ la comunista Teresa Mattei ad insistere perché venga inserito l’inciso “di fatto”, che rappresenta, appunto, l’effettiva pienezza della cittadinanza da poco ottenuta. L’espressione “di fatto” è importante perché sta a significare , come afferma la deputata, che «le conquiste giuridiche non possono essere realizzate pienamente nella vita, se non sono accompagnate da altre conquiste, da conquiste di carattere sociale, economico, se non sono accompagnate, cioè, da una completa legislazione in proposito».17 La discussione più aspra e accesa riguardo la parità d’accesso è quella sull’ammissione della donne alla Magistratura, in relazione alla quale emergono compatte le voci contrarie dei colleghi, soprattutto di destra. È opportuno dividere infatti le posizioni dei colleghi tra favorevoli, parzialmente favorevoli e contrari. Sono favorevoli i deputati di sinistra, tra cui i socialisti Di Giovanni e Targetti e il comunista Farini, che sottolineano come sia il caso di abbandonare antichi pregiudizi dal momento che le donne, che già ricoprono degnamente cattedre universitarie, anche in facoltà scientifiche, possono benissimo ricoprire gli uffici giudiziari, avendo acquisito, con il diritto di voto, la piena cittadinanza. I favorevoli sottolineano inoltre come, se si vuole veramente dare una Costituzione democratica al Paese, non si può e non si deve escludere da alcuni incarichi più della metà della sua popolazione. I parzialmente favorevoli sono invece quei colleghi, tra cui Scalfaro, che ritengono la donna, proprio perché dotata di maggiore sensibilità, capace di ricoprire quelle funzioni giudiziarie L. Merlin, La mia vita, a cura di E. Marinucci, Giunti, Firenze, 1989, pp. 93-94. Intervento pomeridiano del 18 marzo 1947, in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. I, sedute dal 25 giugno 1946 al 16 aprile 1947, Segretariato Generale, Roma, 1970. 16 17 -6- considerate prosecuzione della funzione materna; chi sostiene questa tesi, infatti, è a favore dell’ingresso delle donne nei Tribunali per i minorenni o nelle giurie popolari, cioè in quegli ambiti in cui viene considerato essenziale l’apporto femminile. Tra i contrari alcuni, come il democratico del lavoro Enrico Molè, sostenendo lapidariamente che la donna non abbia la capacità di giudicare, richiamano in causa le differenze fisiologiche tra uomini e donne e giustificano tali affermazioni sostenendo come sia stato già affermato nel diritto romano e in seguito dimostrato scientificamente che la donna, in determinati periodi della sua vita, non sia in grado di lavorare.18 Altri, tra cui il democristiano Giovanni Leone, futuro presidente della Repubblica, credono che le donne siano emotivamente più influenzabili dell’uomo, e quindi non in grado di giudicare in maniera obiettiva; pensano inoltre che non si tratti di un problema sentito dalla coscienza popolare e che sia il caso di affrontare la questione eventualmente dopo una consultazione referendaria.19 Tra i democristiani c’è anche chi sostiene, come Giuseppe Codacci Pisanelli, che la donna non abbia la necessaria resistenza fisica, lo stesso tipo di resistenza richiesta per il servizio militare, per sopportare discussioni che si prolungano per molte ore.20 Particolare contrarietà viene espressa dal liberale Bruno Villabruna, che sostiene che ammettere le donne alla carriera giudiziaria sia «una innovazione estremamente ardita», e, affidandosi al buonsenso delle donne, si augura che non si lascino prendere da quella che definisce «una frenesia di nuovo genere», evitando che invadano il «sacro tempio della giustizia» (gli replica la socialista Merlin affermando che le donne non sono affatto delle nemiche) dal momento che, sostiene ancora, non c’è Costituzione che possa avere la pretesa di «violentare le leggi della natura».21 Il dibattito sulla Magistratura dimostra, forse più di altri, come le deputate siano riuscite ad evitare che negli articoli fossero presenti elementi lesivi della dignità femminile. Hanno preteso, infatti, che nell’articolo 106, che stabilisce che “le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso” non venisse aggiunta la frase “possono esservi nominate anche le donne nei casi previsti dall’ordinamento giudiziario”. È Maria Federici a sottolineare come la proposta di voler inserire commi che specifichino i casi in cui la donna possa diventare magistrato, significa ricorrere ad argomentazioni deboli e superficiali che offendono la giustizia e generano in tutte le donne un senso di mortificazione. La deputata continua ancora rimarcando come l’art. 51 appena approvato contenga in sé le garanzie necessarie per l’accesso a tutte le carriere e professioni, dal momento che stabilisce come gli unici criteri discriminanti debbano essere il merito e la preparazione. Afferma infatti: Cfr. gli interventi del 20 settembre 1946, del 10 e 31 gennaio 1947, rispettivamente in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, voll.. VIII e VI, cit. 19 Cfr. Ibidem. 20 Cfr. Ibidem. 21 Intervento del 7 novembre 1947 in Camera dei Deputati, La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, vol. V, sedute dal 6 novembre 1947 al 22 dicembre 1947, Segretariato Generale, Roma, 1970. 18 -7- «Onorevoli colleghi, in relazione alla discussione sull’ammissione delle donne alla Magistratura, abbiamo sentito citare argomenti di puro valore accademico che molto spesso mi hanno fatto ripensare a quella accolta di illustri accademici che perse il suo tempo per discutere se un pesce vivo pesasse più di un pesce morto! Si trattava di fare una semplice prova e di rimettersi alla bilancia. Ora anche qui, onorevoli colleghi, facciamo la prova, vediamo se la donna è veramente in grado di coprire le cariche che sono inerenti all’alto esercizio della Magistratura […]. E se qualcuno che siede qui ha la propria moglie che in casa fa la calza, non ritenga questo un argomento valido per invogliare una donna che chiede una toga ad accettare anziché una toga una calza».22 Muove poi un’accusa particolare ai suoi colleghi di partito che apostrofa cosi: «Se una donna ha ricevuto dalla Provvidenza talenti speciali, che la Provvidenza è ben lieta di seppellire in un cervello femminile, quale diritto avete voi per impedire che questa donna possa sfruttare i talenti che ha ricevuto e che è suo dovere mettere a profitto?»23 La comunista Maria Maddalena Rossi, invece, sottolinea come la presenza femminile in un’Assemblea in cui si discute e decide su questioni che riguardano il destino di un Paese intero sia una ragione più che valida per considerare la donna, al pari dell’uomo, in grado di prendere decisioni riguardanti una sola persona o di giudicare fatti d’importanza infinitamente minore. Accusa inoltre i colleghi di arretratezza, ricordando la vicenda descritta da Shakespeare nel “Mercante di Venezia”, in cui proprio una donna, Porzia, era stata chiamata ad esprimere il suo giudizio su una questione complicata, riuscendo a risolverla con grande successo.24 Il merito principale che deve essere riconosciuto alle Costituenti è quello di aver puntato l’attenzione sulla condizione femminile, imponendo ai leaders e ai colleghi di partito di occuparsi delle questioni cosiddette “femminili”. Sono riuscite a fare in modo che il Testo Costituzionale fosse in sintonia con la mutata condizione della donna, attraverso il riconoscimento e la tutela del suo ruolo di madre, moglie e lavoratrice, evidenziando come i tre aspetti non fossero inconciliabili ma concorressero all’affermazione della totalità della persona. Con tenacia e passione hanno applicato, nella stesura degli articoli, quella che oggi chiameremmo un’ottica di genere, volta all’elaborazione di formulazioni che non fossero di ambigua interpretazione o che contenessero elementi implicitamente o esplicitamente discriminatori della condizione femminile. Maria Federici, alcuni anni dopo la fase della Costituente, ha affermato infatti che «la donna non avrebbe nella Costituzione il posto che di fatto vi ha, se non ci fosse stato alla Costituente quel gruppo di donne che il suffragio universale e l’esercizio dell’elettorato passivo, oltre che attivo, aveva portato nell’aula di Montecitorio».25 Intervento antimeridiano del 26 novembre 1947, in Ibidem. Ivi. 24 Ivi. 25 M. Federici, “L’evoluzione socio-giuridica della donna alla Costituente”, in AA.VV. Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, vol. II, Le libertà civili e politiche, Vallecchi, Firenze, 1969, p. 211. 22 23 -8- Da più parti la nostra Costituzione è stata definita presbite, perché nata guardando lontano, indicando non tanto o non solo soluzioni per gli immediati problemi del dopoguerra, ma soprattutto stabilendo il quadro dei principi di fondo idonei a sorreggere e guidare nel lungo termine il cammino dell’Italia sulla strada del consolidamento democratico e che avrebbero dovuto guidare il legislatore nel rendere effettivamente operanti i principi paritari. Alcune delle Costituenti, infatti, sono state elette nelle prime legislature repubblicane e hanno avuto modo di continuare a lavorare affinché la legislazione ordinaria rendesse effettivamente paritaria la condizione della donna, sia nella sfera giuridica che in quella politico-sociale. Non a caso le prime leggi emanate in favore della condizione femminile sono state definite leggi di attuazione costituzionale, appunto perché i principi che le ispirano sono stati sanciti nelle loro basi dall’instancabile e intenso lavoro svolto dalle deputate. Tra le più significative si possono ricordare la legge n. 860 del 26 agosto 1950, sulla tutela fisica ed economica della lavoratrice madre; la n. 1441 del 27 dicembre del 1956, sulla partecipazione della donna all’amministrazione della giustizia nelle Corti di assise e nei Tribunali dei minorenni; quella che, di fatto, apre alla donna la via della Magistratura, la n. 66 del 9 febbraio 1963, sull’ammissione della donna ai pubblici uffici e alle professioni; quella che vieta il licenziamento delle lavoratrici che si sposano, la n. 7 del 9 gennaio del 1963; la riforma del diritto di famiglia, approvata nel 1975, attraverso cui la donna ottiene la parità di diritti e doveri con il coniuge (legge n. 151 del 19 maggio 1975) e la legge n. 903 del 9 dicembre 1977, sulla parità di trattamento tra uomo e donna in materia di lavoro. Per non parlare della legge che può considerarsi una vittoria personale della socialista Angelina Merlin, la n. 75 del 20 febbraio 1958, sull’abolizione della regolamentazione della prostituzione. A distanza di quasi sessant’anni, infine, il ruolo delle Costituenti è tornato alla ribalta quando con la legge costituzionale n. 1 del 30 maggio 2003 il testo dell’articolo 51 è stato modificato con l’aggiunta di un comma che, seppure stabilendo in forma generica che la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini , si prefigge di colmare una lacuna costituzionale soprattutto nel settore della rappresentanza politica. Questo conferma, ancora una volta, come la voce delle Costituenti non si sia affatto spenta. Ho iniziato riportando le parole di Nadia Spano; voglio concludere con lei: «Al momento dell’approvazione definitiva del testo costituzionale, Giorgio La Pira propose di farlo precedere dalle parole “In nome di Dio e del popolo italiano. Anche il suo gruppo aveva delle perplessità, perché la proposta rischiava di introdurre una divisione in un momento in cui la massima unità era auspicata da tutti. Tra i vari argomenti che garbatamente vennero opposti credo che il più forte sia stato che “non si poteva votare su Dio”. In un clima di grande emozione e di rispettoso silenzio La Pira ritirò la sua proposta. Poco dopo, tutti i deputati in piedi salutavano la Costituzione con un lungo applauso. Poi l’aula si vuotò lentamente e ognuno uscì portando con sé il ricordo di un’esperienza straordinaria».26 26 N. Spano, Mabrúk. Ricordi di un’inguaribile ottimista, cit., p. 278. -9- La donna presente nella foto è Teresa Mattei, la più giovane fra le Costituenti e colei che ha inventato il simbolo della mimosa per la festività dell’8 marzo. La foto è tratta dal volume (R)ESISTENZE. Il passaggio della staffetta, curato da Laura Fantone e Ippolita Franciosi, Morgana Edizioni, Firenze, 2005, p. 41. - 10 -