Europa 2020: riflessioni di medio termine

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Europa 2020: riflessioni di medio termine
Europa 2020: riflessioni
di medio termine
di Enikö Györi
Segretario di Stato
per gli affari europei
dell’Ungheria, presidente
di turno dell’UE
(1 gennaio - 30 giugno 2011)
L’Ungheria ha assunto la Presidenza di turno dell’Unione europea in un momento in
cui analisi e previsioni sulla crisi economica apparivano contraddittorie. Vi erano
chiari segnali di ripresa e le cifre mostravano un aumento della produzione industriale. Ma le cifre non dicono tutto, neppure in economia, e l’esultanza è del tutto
fuori luogo. Durante il periodo che ha preceduto la Presidenza ungherese, mi è
spesso capitato di fare una battuta cattiva: ogni presidenza recente si è ritrovata
uno Stato membro da salvare. A chi toccherà nel nostro mandato? Mentre scrivo,
non è ancora chiaro se la mia sia stata solo una battuta o una specie di profezia.
Occorre affrontare la crisi dalle radici: difficile non essere d’accordo con questa affermazione. Ma quali sono queste radici?
Compito di una Presidenza dell’Unione europea non è certo fornire una risposta accademica, ma proporre un programma che, nel caso della Presidenza ungherese, riserva un posto centrale ai temi socio-economici.
Quando il 19 gennaio il primo ministro Viktor Orbán ha presentato il programma
della nostra Presidenza al Parlamento, in seduta plenaria, ha indicato come causa
principale del problema l’attuale elevato livello di indebitamento che affligge le
economie di numerosi stati membri, compresa l’Ungheria. L’attuazione di una governance corretta risulta, quindi, essenziale per rendere fiscalmente sostenibile la
crescita economica. Una delle massime priorità della Presidenza ungherese è l’adozione delle sei proposte legislative su questa materia avanzate della Commissione,
il cosiddetto “six-pack”, già approvate dall’Ecofin e dal Consiglio d’Europa. Si tratta
di un importante successo della nostra Presidenza, che tuttavia non è ancora stato
confermato dal Parlamento europeo.
Mi capita spesso, frequentando il Parlamento, di sentire affermazioni del seguente
tenore: tutto molto bello, ma, se approviamo il six-pack, rischiamo di frenare o addirittura azzerare la crescita economica prima ancora che inizi. In genere mi limito
a rispondere che la governance economica è solo una condizione preliminare, non
l’origine della ripresa, che va ricercata altrove.
Una ripresa senza nuova occupazione è inutile
Orbán ha inoltre affermato che l’economia dovrebbe basarsi sul lavoro e che dovremmo misurare il successo della risposta alla crisi dal numero e dalla qualità dei
posti di lavoro creati. Una ripresa che non produca nuovi posti di lavoro è inutile,
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mentre una maggiore occupazione non rappresenta solo un risultato, ma genera
ulteriore crescita, in quanto innesca un circolo virtuoso.
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La garanzia di uno sviluppo durevole e sostenibile è quindi rappresentata dalla
creazione delle condizioni per il tasso occupazionale più elevato possibile. Ciò non
significa solo il mantenimento dei traguardi raggiunti dall’Europa sociale, ma una
loro ottimizzazione, nell’interesse della crescita economica.
È stato lusinghiero incassare la conferma di queste idee da parte dell’Unione europea. Nonostante vari scambi di vedute fra i capi di Stato e di Governo sulla strategia Europa 2020 (il cui sottotitolo recita «per una crescita intelligente, sostenibile e
solidale»), gli obiettivi quantitativi della strategia e le relative linee guida integrate,
sommati alle iniziative prioritarie che ne favoriscono l’implementazione, assicurano
una struttura adeguata a dare una spinta all’economia e alla società. A differenza
della strategia di Lisbona, la strategia Europa 2020 non interessa solo l’economia
ma introduce un certo numero di obiettivi e finalità decisamente più ambiziosi,
come nel caso della Piattaforma europea contro la povertà e l’emarginazione1.
Durante la nostra Presidenza, presteremo particolare attenzione a un’implementazione graduale della strategia nei primi sei mesi. Grazie al dibattito approfondito
sulle iniziative prioritarie, come nel caso di Youth on the Move (Gioventù in movimento) o Nuove competenze per nuovi lavori, ogni formazione del Consiglio esercita la priorità nel supportare gli Stati membri per l’affronto delle sfide nazionali in
conformità con quanto stabilito per l’intera UE. Dal maggio del 2009, le somme
prelevate dalle casse del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione2 sono
aumentate in maniera considerevole3, soprattutto a causa dei massicci licenziamenti nei settori automobilistico, tessile ed edile.
Solo la partecipazione attiva dello stato e dell’UE può aiutare a incrementare i livelli occupazionali del dopo crisi e solo a un ritmo molto più lento. Esiste il rischio
reale che chi ha perso il lavoro sperimenti difficoltà sempre maggiori nel rientrare
nel mercato del lavoro. Ogni Stato membro dovrà quindi introdurre con la massima
lungimiranza incentivi alla creazione di posti di lavoro, sfruttandone l’effetto volano ai fini del rafforzamento della coesione sociale e migliorando nel contempo la
produttività delle singole aziende. Mentre a cavallo tra gli anni Novanta e il nuovo
secolo la competitività rappresentava la priorità per economisti e responsabili delle
decisioni, nell’Europa post-crisi dovrebbe risultare ovvio che la coesione sociale non
solo non è antitetica alla concorrenza, ma addirittura la favorisce. Il dilemma rimane tuttavia di difficile soluzione e probabilmente ci accompagnerà ben oltre la
durata della presidenza ungherese.
Gli effetti negativi della crisi economica raggiungono il mercato del lavoro con un
ritardo di fase, ma provocano danni più duraturi e gravi di quelli causati nel settore
finanziario. La nostra disponibilità a intervenire non deve tuttavia limitarsi ai problemi direttamente innescati dalla crisi, in quanto questi hanno rivelato alcuni processi insostenibili intrinseci alla situazione demografica europea e alla frequente
carenza di coordinamento delle misure di politica economica.
A questo riguardo, il maggior obiettivo quantitativo della strategia Europa 2020 è
l’innalzamento al 75% del tasso di occupazione a livello europeo. Nell’UE, al mo-
mento, il tasso di disoccupazione si attesta al 9% mentre quello occupazionale
raggiunge una media del 64,6%. Ciò significa che si contano 23,1 milioni di cittadini in età lavorativa disoccupati nei 27 stati membri. Sconfiggere la disoccupazione strutturale è uno dei compiti più difficili e impegnativi che ci spettano, uno
sforzo che gli orientamenti per le politiche occupazionali contenuti nella Strategia
ci impongono di compiere.
La sfida più
impellente consiste
nell’individuare,
sull’onda della crisi,
un nuovo tipo di
struttura
dell’occupazione, la
cui trasformazione
rappresenta l’unica
possibilità di
riuscita a lungo
termine.
La sfida più impellente consiste nell’individuare, sull’onda della crisi, un nuovo tipo
di struttura dell’occupazione, la cui trasformazione rappresenta l’unica possibilità
di riuscita a lungo termine. Vale la pena sottolineare che il costo unitario del lavoro
è sceso del 2% nell’UE dalla metà del 2009: ma non c’è nulla da festeggiare. Faremo meglio a resistere alla cronica tentazione di competere con la forza lavoro di
altre parti del mondo attraverso una progressiva riduzione dei costi, a meno di non
voler imboccare una spirale discendente.
Sviluppare competenze e conoscenze competitive
Dobbiamo cercare di creare impiego per le persone non qualificate o con capacità
fuori mercato. Ciò significa salvaguardare lavori non competitivi? La soluzione appare invece quella di dotare i disoccupati di competenze concorrenziali. Si tratta di
un compito estremamente complesso poiché competenze e conoscenze possono rivelarsi obsolete o non competitive per un’infinita serie di ragioni.
Dobbiamo gestire separatamente coloro che non hanno mai avuto l’opportunità di
acquisire conoscenze competitive. In tal senso, è importante sottolineare l’obiettivo
quantitativo e le linee guida correlate, che puntano alla riduzione della povertà e
dell’abbandono scolastico al 10%. L’unica possibilità per ridurre progressivamente la
disoccupazione per i giovani al di sotto dei 25 anni, attualmente al 20,4%4, consiste
nell’attuazione di misure per l’occupazione e l’istruzione ben definite e armonizzate.
Durante un riunione ministeriale, organizzata in modo informale per discutere le
potenzialità dell’occupazione giovanile, i Ministri del Lavoro hanno potuto scambiarsi le best practices. I nostri Ministri dell’Istruzione concordano nell’affermare la
necessità dell’istruzione della prima infanzia, nonché dello sviluppo di competenze
minime, in modo che la loro applicazione assicuri la mobilità occupazionale.
Oltre a garantire l’inserimento professionale, è necessario assicurarsi che il numero
e le conoscenze degli studenti universitari, particolarmente di ingegneria, il settore
attualmente più competitivo, rispondano alle esigenze delle aziende europee. Riteniamo essenziale che la percentuale di giovani che ottengono una laurea salga al
40% entro il 2020.
Insieme ai giovani, anche gli ultracinquantenni rappresentano un importante obiettivo per la creazione di posti di lavoro. La formazione permanente può assicurare la
principale via d’uscita dall’inattività.
Incoraggiare l’imprenditorialità rappresenta anche un investimento redditizio, ma
l’assistenza richiede un approccio su più fronti: educazione delle capacità imprenditoriali, assistenza finanziaria per lo start-up, con l’ausilio di prestiti agevolati o
capitali a rischio, e know-how.
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Infine, ma non meno importante, permettetemi di sottolineare un’altra priorità
della Presidenza ungherese: un Quadro europeo di riferimento per le strategie nazionali di inclusione dei Rom che la Commissione presenterà in aprile. La Presidenza ungherese punta a discuterlo in Consiglio e approvarlo durante il Consiglio
europeo di giugno. Gestire la situazione, sovente drammatica, della minoranza europea per eccellenza è una sfida formidabile, ma anche una grande opportunità che
la Presidenza ungherese è decisa a cogliere.
Dal nostro punto di vista, si tratta di un problema più sociale che etnico. Quindi la
chiave per risolverlo è duplice: lavoro e istruzione. Si tratta di una correzione di
rotta rispetto alla lotta contro la discriminazione, che rimane tuttavia necessaria.
Aiutare i Rom richiede un impegno multiforme, del quale, ai fini di questo articolo,
vorrei sottolineare un solo aspetto: i potenziali lavoratori, o magari anche datori di
lavoro Rom, rivestono un ruolo speciale nell’ambito della politica sull’occupazione.
Riforme mirate e armoniche delle politiche di istruzione e occupazione possono
produrre risultati impressionanti.
Secondo un sondaggio della Banca Mondiale, l’ingresso nel mondo del lavoro dei
Rom potrebbe far lievitare il tasso dell’occupazione dell’UE del 5-10% e il suo PIL
anche del 4-5%. Ma non si tratta solo di una questione economica quanto piuttosto di un test case in grado di mostrare che l’Europa ha un cuore, per dirla ancora
con le parole del Primo Ministro ungherese.
Un enorme potenziale, uno strumento per la ripresa
Al termine di questa breve riflessione, permettetemi di ritornare al Parlamento Europeo di cui sono stata membro per un solo anno prima di assumere il mio attuale
incarico. Tuttora vi trascorro molto tempo, dedicandomi a trattative formali e informali per conto della Presidenza ungherese e, in definitiva, del Consiglio. Mi capita spesso di udire membri del Parlamento, e non solo di sinistra, lamentarsi
dell’atteggiamento del Consiglio rispetto a squilibri nelle risposte che gli Stati
membri forniscono alla crisi: l’unica preoccupazione sembrano le spese mentre
viene trascurata la crescita, l’unica fonte possibile di guadagno per lo Stato.
Ne consegue che tutte le politiche e le misure rigorose come il six-pack e il meccanismo europeo di stabilità sono dedicate ai temi monetari e mirate a contenere la
spesa pubblica. Al contrario, l’economia reale deve fare i conti con la strategia Europa 2020 che è sufficientemente ambiziosa, ma, dopo tutto, rappresenta solo un
pugno di provvedimenti indicativi, la cui attuazione non è quindi vincolante.
È come se la politica economica dell’UE si fondasse su due pilastri, il primo di
marmo e il secondo di semplice cera. Devo ammettere che queste critiche possono
avere un senso ed è importante tenerne conto quando inizieremo a trattare con il
Parlamento europeo le sei proposte legislative sulla governance economica. Tuttavia non posso essere completamente d’accordo con tali critiche: la strategia Europa
2020, insieme con l’Atto per il mercato unico, più ortodosso sotto il profilo metodologico e legislativo, può fornire un enorme potenziale e un solido strumento per
la ripresa. Sta a noi essere all’altezza delle nostre ambizioni. E non dovremmo disprezzare la cera perché prodotta delle api, eterno simbolo di operosità e zelo.
1
L’inclusione di obiettivi sociali nella strategia Europa 2020 è inizialmente stata contrastata. Alcuni degli Stati membri più
forti e influenti l’hanno respinta ritenendo che la competenza in materia di politica sociale, appartenente agli Stati membri,
non dovesse cambiare.
2
Il Fondo supporta provvedimenti per il mercato del lavoro che sostengono i disoccupati che hanno perso il posto a causa
della globalizzazione, ad esempio in conseguenza delle delocalizzazioni. Tali provvedimenti prevedono assistenza per la
ricerca di un nuovo lavoro, orientamento professionale, corsi di formazione su misura, servizi di ricollocamento, promozione
dell’imprenditorialità e assistenza ai lavoratori autonomi.
3
Nel giugno del 2010 il Fondo ha ricevuto quattro richieste di intervento per attenuare gli effetti di circa 9.000 posti di la-
voro tagliati a fronte di una sola richiesta nel maggio 2008. Nel 2007 le richieste pervenute al Fondo sono state 8, per un totale di 10.679 posti perduti mentre la Commissione ne aveva ricevute 29 con un taglio di 28.909 posti di lavoro. Fonte dei
dati: http://ec.europa.eu/egf.
4
Dati ricavati dal Rapporto congiunto sull’occupazione.
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