eredità cateriniana negli ambienti piagnoni a roma nel primo

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Alessio Assonitis
EREDITÀ CATERINIANA NEGLI AMBIENTI PIAGNONI
A ROMA NEL PRIMO CINQUECENTO
Una lapide, posta sul pilastro sinistro dell’arco d’ingresso della cappella di
S. Caterina, nella chiesa di S. Silvestro al Quirinale, ricorda la visita di Clemente
VII nell’ottobre del 1530 e la concessione di cinquecento giorni d’indulgenze
plenarie a chiunque visitasse tale luogo (Fig. 1). Oggetto di un violento ridimensionamento agli inizi del Seicento, il piccolo sacello è una tra le poche testimonianze supestiti della breve ma intensa storia domenicana di questo complesso
conventuale.1
Nel 1507, infatti, la fatiscente chiesetta medievale di S. Silvestro “a Monte
Cavallo”, così chiamata in virtù delle statue di Castore e Polluce con i loro cavalli rimaste sul Quirinale sin dall’antichità, fu concessa per volontà di Giulio
II ai frati di S. Marco in Firenze, ai quali fu data licenza – come si legge nella
bolla dello stesso anno – «unam Domum cum claustro, refectorio, dormitorio,
hortis, hortalitiis, et aliis necessariis officinis, ad instar aliarum Domorum dictae
Congregationis construi, et aedificari faciendi».2 Fino al 1540, anno in cui i domenicani lasciarono il convento per accasarsi definitivamente a S. Maria sopra
Minerva, S. Silvestro servì da avamposto romano dei frati savonaroliani.3
Fonti domenicane e teatine – Paolo IV cedette la chiesa e il convento ai
suoi confratelli nel 1555 – indicano come S. Silvestro fosse restaurata e decorata
notevolmente nel corso dei primi decenni del Cinquecento, fino a divenire «una
Desidero ringraziare Mara de Meo e Nicoletta Baldini per aver letto, commentato e
corredato di preziosi suggerimenti il presente saggio.
Sulla chiesa e convento di S. Silvestro al Quirinale, si vedano A. Zucchi, San Silvestro
a Montecavallo, in «Roma domenicana», 2 (1940), pp. 197-210; E. Iezzi, San Silvestro al
Quirinale, Roma 1975; B. Torresi, Un’architettura scomparsa del primo Cinquecento
romano: la facciata di San Silvestro al Quirinale, in «Palladio», 57 (1994), pp. 167-180;
A. Assonitis, Art and Savonarolan Reform at San Silvestro a Monte Cavallo, in «Archivum
Fratrum Praedicatorum», 73 (2003), pp. 205-288: 248-253.
2
Bullarium Ordinis FF. Praedicatorum, IV, 247.
3
È da sottolineare come il frate domenicano Ambrogio Catarino Politi continuasse a
frequentare S. Silvestro anche dopo il 1540, come si evince da una sua lettera scritta il 5
gennaio 1543 (1544). Siena, Archivio di Stato, Balia 669, f. 29r.
1
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chiesina poi di avorio, lavorata di straforo, et attorno profumata et abbellita con
molte cose divote».4
Artefice principale di questo fortunato ripristino architettonico fu fra Mariano Fetti, segnalato nella bolla del papa della Rovere come a capo del cantiere di
Monte Cavallo. Personaggio assai controverso, ma anche ingiustamente condannato da fallaci intrepretazioni storiografiche, Mariotto di Piero Fetti prese l’abito
di frate converso da Girolamo Savonarola nel 1496, partecipando in prima persona alle tragiche giornate che precedettero il rogo di piazza della Signoria.5 Prima
di entrare nell’ordine, egli era stato intimo di casa Medici tanto da sostenere, in
una lettera a Lorenzo de’ Medici, duca d’Urbino, di essere stato il «primo cristiano che vi vedessi quando voi nascesti».6
Dopo la morte del Savonarola, di fra Mariano si persero le tracce. Riapparve
otto anni dopo, nel 1506, quando un breve di Giulio II gli permise di prendere
possesso, assieme ad uno sparuto gruppo di frati e con il placet dei suoi superiori,
di qualsiasi chiesa parrocchiale che rimanesse al di fuori della sua congregazione.7 Ebbe così inizio una delle carriere più esaltanti della storia dell’ordine
fondato da san Domenico. In breve tempo, questo frate converso – barbiere del
convento di S. Marco8 – divenne buffone di Leone X e, dopo la morte di Donato
Bramante nel 1514, piombatore apostolico, con tanto di lauto stipendio di 800
ducati d’oro e la cocolla cistercense, come era prerogativa di questo ufficio.9
Fra Mariano è soprattutto noto alle cronache per le sue burle, per i suoi capricci e le sue facezie, rese famose negli scritti di Baldassare Castiglione, Ludo4
Lettera di fra Mariano Fetti a Federico Gonzaga (1519), in A. Luzio, Federico Gonzaga
ostaggio alla corte di Giulio II, in «Archivio della R. Società romana di storia patria», 9
(1886), p. 574.
5
Su fra Mariano Fetti, si vedano D. Gnoli, La cappella di Fra Mariano del Piombo
in Roma, in «Archivio storico dell’arte», 4 (1891), pp. 117-126; A. Graf, Attraverso il
Cinquecento, Torino 1888, pp. 367-394; Luzio, Federico Gonzaga ostaggio, pp. 509-582; G.
Taormina, Un frate alla corte di Leon X, Palermo 1890; C. Stollhans, Fra Mariano, Peruzzi
and Polidoro da Caravaggio: A New Look at Religious Landscapes in Rome, in «Sixteenth
Century Journal», 23 (1992), pp. 506-525; G. Romei, Fetti (Felti), Mariano, in Dizionario
biografico degli italiani, 47, Roma 1997, pp. 313-316; Assonitis, Art and Savonarolan Reform,
205-288; L. Sickel, Die Testamente des Fra Mariano Fetti, in «Quellen und Forschungen aus
italienischen Archiven und Bibliotheken», 84 (2004), pp. 497-508.
6
Lettera di fra Mariano Fetti a Lorenzo di Piero de’ Medici (1515) in V. Cian, Un buffone
del secolo XVI, in «La Cultura», I/20 (1891), pp. 650-655.
7
R. Creytens, Les Actes capitulaires de la Congregation Toscano-Romaine O.P. (14961530), in «Archivum Fratrum Praedicatorum», 40 (1970), pp. 125-230: 223.
8
A. F. Verde, La Congregazione di San Marco dell’Ordine dei Frati predicatori. Il ‘reale’
della predicazione savonaroliana, in «Memorie Domenicane», 14 (1983), pp. 151-237: 185.
9
D. Gnoli, La Roma di Leone X, Milano 1938, pp. 217-265.
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vico Ariosto, e Pietro Aretino. Egli non rimase immune dalle pasquinate dell’epoca, che erano solite stigmatizzare sardonicamante le sue cene dissacratorie con
cardinali e cortigiane ed i suoi scherzi irriverenti, molti dei quali videro Leone X
come uno dei suoi bersagli preferiti.10
Al contempo, fra Mariano fu anche un abile catalizzatore culturale, dal momento che ospitò in S. Silvestro riformatori quali Paolo Giustiniani e Pietro Querini, studiosi quali Giano Lascari e Marco Musuro, artisti del calibro di Baldassarre Peruzzi, Mariotto Albertinelli, Polidoro da Caravaggio, Luca della Robbia
il Giovane, e fra Bartolomeo; e, infine, personaggi di rilievo della Roma leonina,
uomini prestigiosi e autorevoli come Federico Gonzaga, Pietro Bembo e Bernardo Dovizi da Bibbiena.11
Meno noto agli storici del Rinascimento, forse proprio a causa della sua indole buffonesca e bizzarra, è il suo vincolo di fede verso l’ideale savonaroliano.
Sia nel Trattato dei miracoli – un compendio miracolistico compilato da uno o
diversi seguaci del Frate – sia nella Pulcherrima Questio di Zaccaria di Lunigiana – una defensio che ambiva a confutare la accuse di eresia e scisma promulgate
nel 1515 da Leone X nei confronti del Savonarola e di altri predicatori dell’epoca
– fra Mariano emerge quale fedele sostenitore della causa piagnona.12 Lo stesso
Vincenzo Mainardi, il cui vasto epistolario, pubblicato da Armando Verde ed
Elettra Giaconi, chiarisce molti aspetti di vita piagnona, considerava il frate di
S. Silvestro, già nel 1512, una figura fondamentale per la sopravvivenza dei frati
di S. Marco.13 Tale posizione è confermata anche da fonti archivistiche meno
partigiane quali la corrispondenza fra il Bibbiena e Giulio de’ Medici, futuro Clemente VII.14 Si deve peraltro ricordare che Mariano non fu l’unico frate che da S.
Marco si trasferì a S. Silvestro per cercar fortuna e favori nell’opulenta corte di
Leone X, in apparente antitesi con quella ricerca di simplicitas che contraddistinse l’esperienza osservante voluta dal Savonarola.15
Romei, Fetti (Felti), Mariano, p. 316; Assonitis, Art and Savonarolan Reform, pp. 210-
10
211.
Assonitis, Art and Savonarolan Reform, pp. 253-281.
Sul Trattato dei miracoli, si veda P. Ginori Conti - R. Ridolfi, La vita del beato Ieronimo
Savonarola, scritta da un anonimo del sec. XVI e già attribuita a Fra Pacifico Burlamacchi,
Firenze 1937, pp. 239-240. Su Zaccaria di Lunigiana, si vedano C. Vasoli, La difesa del
Savonarola di Fra Zaccaria di Lunigiana, in «Studi in onore di A. d’Addario», Lecce 1995,
III, pp. 843-888; L. Polizzotto, The Elect Nation: The Savonarolan Movement in Florence
1494-1545, Oxford 1994, p. 297.
13
A.F. Verde – E. Giaconi, Epistolario di Fra Vincenzo Mainardi da San Gimignano
domenicano 1481-1527, in «Memorie Domenicane», 23 (1992), p. 164.
14
G.L. Moncallero, Epistolario di Bernardo Dovizi da Bibbiena, Firenze 1955-65, I, p.
512.
15
Assonitis, Art and Savonarolan Reform, pp. 225-231.
11
12
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Fra Mariano nutrì anche una particolare devozione per Caterina, che si manifestò in questa chiesa tanto piagnona quanto medicea, sia nella sua espressione
artistica, sia in quella squisitamente religioso-culturale dei suoi residenti. Un’attenta ricostruzione di tale groviglio di stretti legami religiosi e frequentazioni
culturali meriterebbe ulteriori approfondimenti. L’impeto cateriniano in S. Silvestro non si esaurì con fra Mariano, che morì nel 1531, ma ebbe risvolti inaspettati
grazie ad un altro frate, Ambrogio Catarino Politi, la cui fede savonaroliana iniziò
a vacillare nel tempo del suo soggiorno al Quirinale.
Ma procediamo per ordine, partendo proprio da fra Mariano e la sua committenza artistica. Il viaggio romano di fra Bartolomeo della Porta, che si svolse
intorno al 1513-14, rimane ancora avvolto da un sottile alone di mistero.16 Sono
da chiarire, infatti, la durata precisa e le vicissitudini del soggiorno, assieme al
percorso di studio che intraprese nella città dei papi, che parzialmente si può
probabilmente ricostruire tramite la sua vasta opera grafica. Tuttavia, anche un
occhio poco avvezzo a radicali sviluppi stilistici coglierebbe quanto il frate-pittore, negli anni immediatamente successivi a questo viaggio, rimase schiavo della
gravitas formale della Sistina e della ricerca classicheggiante di Raffaello. Questa ascendenza, secondo il Vasari perniciosa, emerge in maniera perentoria nel
San Pietro e nel San Paolo, coppia di dipinti commissionati da fra Mariano per
l’altare maggiore di S. Silvestro. Sia il Vasari sia fonti domenicane mettono addirittura in dubbio la paternità del San Pietro, adducendo un intervento di Raffaello
stesso che, perfezionandolo, lo terminò.17
Prima di arrivare Roma, fra Bartolomeo proveniva da un periodo fiorentino
particolarmente proficuo, puntellato da committenze ecclesiastiche e cittadine,
in parte condivise con il suo socio Mariotto Albertinelli. Fra le opere più signifactive, in prevalenza pale d’altare, spiccano il Dio Padre fra Maria Maddalena
e santa Caterina, la pala non completata – detta della Signoria o del Gran Consiglio – la Pala Carandolet, la Sacra conversazione di S. Marco, ed le Nozze
mistiche di santa Caterina, quella del Louvre e quella comunemente chiamata
Pala Pitti (Fig. 2).
Vorrei soffermarmi proprio su queste due grandi pale d’altare per cercare di
ricostruire un altro dipinto commissionato da fra Mariano per la sua chiesa; Vasa16
L. Borgo, Fra Bartolomeo e Raffaello: l’incontro romano del 1513, in Studi su Raffaello.
Atti del Congresso internazionale di studi (Urbino, 6-14 aprile 1984), a cura di M. Sambucco
Hamoud - M. L. Strocchi, Urbino 1987, pp. 499-507:502-504; P. Turi, Il viaggio verso Roma
di Fra Bartolomeo nel 1513: L’affresco di Ponzano e la tavola di Viterbo, in «Memorie
Domenicane», 25 (1994), pp. 293-298; Assonitis, Art and Savonarolan Reform, pp. 273-278.
17
G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, a cura di
G. Milanesi, Firenze 1879, IV, pp. 187-188; F. Titi, Descrizioni delle Pitture, Sculture, e
Architetture esposte al pubblico in Roma, Roma 1763, p. 280; Roma, Archivio di San Silvestro
al Quirinale, Libro del prefetto della Sacrestia istruito di S. Silvestro al Qurinale, ff. 5v-6r.
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ri riferisce che Mariotto Albertinelli lasciò tempestivamente il convento piagnone di S. Maria della Quercia a Viterbo per recarsi a S. Silvestro dove «fece una tavola a olio entrovi Cristo che sposa Santa Caterina, con altre figure di bonissima
maniera».18 Di tale opera, presumibilmente dipinta nei primissimi mesi del 1515,
non si ha più notizia. Si deve, dunque, chiarire quale sia la sua collocazione originaria all’interno della chiesa, sebbene Raffaello Borghini, Filippo Titi, Giovanni
Antonio Bruzio e Niccolò Pio ne confermino erroneamente la presenza sopra
l’altare della cappella di S. Caterina.19 Questi autori hanno sicuramente confuso
lo Sposalizio albertinelliano con una sacra conversazione tardo cinquecentesca,
che a tutt’oggi si trova in questa cappella.
L’opera del pittore fiorentino, vista dal Vasari probabilmente quando scendeva il Qurinale per far visita a Michelangelo nella sua casa-studio di via Macel de’
Corvi, assunse sicuramente come modello le due nozze mistiche citate poc’anzi,
entrambe destinate per la cappella di S. Caterina sita in S. Marco. Infatti, la Pala
Pitti sostituì quella che attualmente si trova al Louvre e che fu acquistata dal governo repubblicano e regalata all’ambasciatore francese Jacques Hurault20 (Fig. 3).
Mi permetto di soffermarmi brevemente su queste due pale; si tratta di una
riflessione su cui si tornerà nella parte finale del saggio, quando trarrò le mie
conclusioni riguardo all’importanza dell’iconografia caterinana in seno al movimento piagnone.
Fra Bartolomeo fece parte di una frangia piagnona moderata, che tentò di
ricucire i rapporti con persone ed istituzioni che, al tempo del frate ferrarese, erano considerate nemiche. Nell’inventario di dipinti del pittore, redatto nel 1516,
si nota come un cospicuo numero di opere fosse stato dato in regalo a membri
del governo repubblicano e della famiglia Medici.21 A tale processo di normalizzazione parteciparono frati piagnoni quali Zanobi Acciauoli, Giovanni Maria
Canigiani, Niccolò Schömberg, Tommaso e Filippo Strozzi, tutti residenti a S.
Silvestro e clientes di Leone X. Lorenzo Polizzotto, nel suo fondamantale studio
Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, IV, p. 225.
R. Borghini, Il riposo, Firenze 1584, p. 67; F. Titi, Studio di Pittura scoltura et
architettura nelle Chiese di Roma, Roma 1674, p. 289. N. Pio, Le vite di pittori, scultori et
architetti [Cod. ms. Capponi 257], a cura di C. Enggass – R. Enggass, Città del Vaticano 1977,
p. 182.
20
A. Assonitis, Fra Bartolomeo della Porta: Patronage and Clientelism at San Marco in
the Early Cinquecento, in «Memorie Domenicane», 42 (2011), pp. 433-447: 439.
21
V. Marchese, Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani con
l’aggiunta di alcuni scritti intorno alle Belle Arti, Firenze 1845-46, II, pp. 158-165; P. Scapecchi,
Bartolomeo frate e pittore nella Congregazione di San Marco, in L’età di Savonarola: Fra’
Bartolomeo e la Scuola di S. Marco, a cura di S. Padovani, Venezia 1996, pp. 19-27; Assonitis,
Fra Bartolomeo della Porta, pp. 444-445.
18
19
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sui piagnoni, distinse questa categoria di savonaroliani dalle frange più eversive
ed isolazioniste e da figure che, ispirandosi ai sermoni del frate di Ferrara, professavano un’indole spiccatamente mistica.22
Nel clima di riavvicinamento politico-religioso si devono inquadrare le figure di san Francesco e san Domenico, raffigurate nell’atto di abbracciarsi nella
pala del Louvre, ed entrambi intenti, nella Pala Pitti, ad un amabile scambio verbale. Nei disegni preparatori per la pala parigina, inoltre, fra Bartolomeo metteva
ulteriormente in risalto l’abbraccio, ponendolo al centro dell’opera, e che, in un
secondo tempo, fu relegato sullo sfondo della composizione, forse per impedire
che esso potesse offuscare la figura di Caterina23 (Fig. 4).
La conciliazione dei due santi, tanto auspicata da sant’Antonino e spesso
rappresentata dal Beato Angelico, si deve interpretare, da parte dei frati di S.
Marco, come un gesto di pacificazione dopo anni di astio e tensione. A tal proposito, è inevitabile ricordare non soltanto le provocazioni dei francescani di S.
Croce nei confronti del Savonarola, che si conclusero con l’episodio – o meglio,
con il mancato episodio – della Prova del Fuoco,24 ma anche le esternazioni dal
pulpito di Domenico da Ponzo e Samuele Cascini.25 Nel contesto cateriniano,
anche se di poco precedente all’apostolato del Savonarola a Firenze, si devono,
inoltre, menzionare le contestazioni da parte dei francescani sulla questione delle
stimmate della santa e la bolla di Sisto IV che ne vietava la rappresentazione.
Forse non è proprio un caso, anche se meriterebbe un’analisi più approfondita,
la concomitanza storica fra le pale di fra Bartolomeo e la predicazione filo-savonaroliana dei francescani amadeiti Antonio da Cremona e Francesco da Montepulciano (tuttavia i piagnoni, in un secondo momento, presero le distanze da
quest’ultimo).26
Polizzotto, The Elect Nation, pp. 139-167, 239-317.
C. Fischer, Remarques sur le Mariage Mistique de Sainte Catherine de Sienne par Fra
Bartolomeo, in «Revue du Louvre et des Musées de France», 33 (1982), pp. 167-180; Id., Fra
Bartolommeo et son atelier. Dessins et peintures des collections françaises. 104e exposition
du Cabinet des dessins, Musée du Louvre 17. nov. 1994-13. fev. 1995, Paris 1994, pp. 99-103;
Id., Fra Bartolommeo: Master Draughtsman of the High Renaissance, Rotterdam 1990, pp.
186-199.
24
B. Luschino, Vulnera diligentis, a cura di S. Dall’Aglio, Firenze 2002, pp. 95-122;
Ginori Conti, La vita del beato Ieronimo Savonarola, pp. 140-154; S. Filipepi, Estratto della
cronaca di Simone Filipepi, in Scelta di prediche e scritti di Fra Girolamo Savonarola, a cura
P. Villari - E. Casanova, Firenze 1898, pp. 481-482.
25
R. Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, Firenze 1997, pp. 39, 41, 89, 310, 351;
Polizzotto, The Elect Nation, pp. 58-59, 61, 79-82.
26
Su Antonio da Cremona, si veda G. Tognetti, Un episodio inedito di repressione
della predicazione post-savonaroliana (Firenze 1509), in «Bibliotheque d’Humanisme et
Renaissance, 24 (1962), pp. 190-199. Su Francesco da Montepulciano, si veda Polizzotto,
22
23
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S. Silvestro fu, dunque, lo snodo principale di piagnoni che decisero di intrattenere ambiziose relazioni con la corte di Leone X e, al tempo stesso, di tentare di riformare la Chiesa dall’interno. Vestiti e professati dal Savonarola in persona, Zanobi Acciaioli e Giovanni Maria Canigiani, dopo aver ricevuto da questo
favori di vario tipo, tessero le lodi del papa mediceo ricorrendo a componimenti
adulatori. Contemporeanemente, almeno per un certo periodo, la loro adesione
alla causa savonaroliana rimase immutata.27
Attorno a questo cenobio, gravitarono anche i monaci camaldolesi Pietro
Querini e Paolo Giustiniani; il primo si spense proprio a S. Silvestro nel settembre del 1514, dopo aver lì risieduto per oltre un anno. I due riformatori veneziani
presentarono a Leone X il noto Libellus, in cui esortavano il pontefice ad intraprendere un processo di renovatio, che condivideva molti aspetti della riforma
del Frate.28 Vale la pena notare come Querini e Giustiniani facessero parte del
cosiddetto “circolo di Murano”, che annoverava tra le sue fila anche Aldo Manuzio, Pietro Bembo, e Gaspare Contarini.29 Questi mantennero, anche in seguito,
stretti contatti con i domenicani di S. Pietro in Murano, in particolare con il loro
priore, l’antiborgiano Bartolomeo d’Alzano. Grazie a tali convergenze di ambienti e sodalizi possiamo ricostruire un percorso di devozione cateriniana che
unisce, come una sorta di filo rosso, S. Pietro in Murano, S. Marco in Firenze e
S. Silvestro al Quirinale.
Nel 1495, Paolo Vincenzo, frate del convento veneziano, ringraziò Pandolfo
Rucellai per avergli fornito una raccolta manoscritta di lettere di Caterina.30 Pandolfo, facoltoso mercante e diplomatico fiorentino – molto vicino al Savonarola
– intraprese un percorso religioso che lo portò, proprio nel 1495, a vestire, prendendo il nome Santi Rucellai, l’abito domenicano a S. Marco. L’edizione dell’epistolario cateriniano fu fortemente voluta sia dai frati di Murano sia da quelli di
S. Marco ma fu pubblicata soltanto da Aldo nel 1500, con la curatela proprio di
The Elect Nation, pp. 266-272.
27
A. Assonitis, Fra Zanobi Acciaiuoli’s Oratio in laudem urbis Romae (1518):
Antiquarianism and Savonarolism at the Time of Raphael, in Watching Art: Writings in Honor
of James Beck / Studi in onore di James H. Beck, a cura di L. Catterson – M. Zucker, RomaTodi 2006, pp. 55-63; Assonitis, Art and Savonarolan Reform, pp. 248-253.
28
P. Giustiniani – P. Querini, Lettera al Papa. Libellus ad Leonem X (1513), a cura di G.
Bianchini, Modena 1995; H. Jedin, Vincenzo Quirini e Pietro Bembo, in Miscellanea Giovanni
Mercati, Città del Vaticano 1946, IV, pp. 407-424; S. Bowd, Reform before the Reformation:
Vincenzo Querini and the Religious Renaissance in Italy, Leiden 2001.
29
M. Tafuri, Venezia e il Rinascimento, Venezia 1985, pp. 90-101; Scapecchi, Bartolomeo
frate e pittore, pp. 21-22.
30
A.F. Verde – E. Giaconi, Epistolario di Fra Santi Rucellai, in «Memorie Domenicane»,
34 (2003), pp. 25-26.
462
Bartolomeo d’Alzano31 (Fig 5). I legami che univano il tipografo ai seguaci del
Savonarola erano molteplici: Giovan Francesco Pico, autore di una biografia del
frate, strinse una lunga amicizia con Aldo. Zanobi Acciaiuoli pubblicò nel 1502
presso i tipi di Manuzio la traduzione latina di un testo di Eusebio di Cesarea,
su suggerimento di Giano Lascaris, che poco dopo fondò il suo ginnasio proprio
accanto al convento di fra Mariano.32 Anche lui amico dell’umanista bizantino,
Michele Trivolis (noto anche come Massimo il Greco) prese l’abito a S. Marco
nel 1502, dopo aver lavorato come copista e correttore per la tipografia aldina.33
Un importante episodio, che cementò ulteriormente la particolare affinità
fra i piagnoni fiorentini e quell’ambiente erudito veneziano che si stringe attorno
a Manuzio, a Bembo ed a Querini – una cerchia che in parte si ricostituerà a S.
Silvestro – coinvolse anche questa volta fra Bartolomeo della Porta. Egli, infatti,
fu invitato a Venezia nel 1508 da fra Bartolomeo d’Alzano per dipingere una pala
d’altare per la chiesa di S. Pietro Martire, ricostruita nel 1509 dopo l’incendio del
147434. Il pittore domenicano intraprese il viaggio assieme a Giovanni Battista
Strozzi, priore di diversi conventi piagnoni e fratello di fra Tommaso, anche lui
residente al Quirinale. Ad aspettarlo nella città lagunare vi era Baccio da Montelupo, scultore piagnone che, fuggito da Firenze dopo la morte del Savonarola,
ebbe un rilevante ruolo di mediazione fra committente ed artista. La tela, che fu
eseguita a Firenze, mostra un’iconografia del tutto insolita, persino in ambito domenicano: L’Eterno Padre tra Maria Maddalena e S. Caterina da Siena in estasi
(Fig. 6). Senza entrare in merito al significato del dipinto, almeno per metà ispirato dalla Legenda Maior di Raimondo da Capua, va detto che la santa senese,
sospesa a mezz’aria, stabilisce con Dio Padre un rapporto esclusivo che, nei fatti,
relega la Maddalena ad ruolo di comprimaria e testimone. È certamente curioso
come l’acquisto dell’opera dovesse essere finanziato dalla vendite dell’edizione
aldina delle lettere della santa.35 Malgrado gli sforzi convergenti da entrambi le
parti nell’intento di raggiungere un accordo, ciò, tuttavia, non avvenne. Il dipinto
31
Si veda I caratteri di Caterina: libri e incisioni (secoli 15° - 18°), a cura di M. De
Gregorio – E. Pellegrini, Torrita di Siena 2011.
32
A. Morisi Guerra, Sulle orme del Savonarola. La riscoperta degli apologisti greci
antipagani, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», 45 (1991), pp. 89-109.
33
D. Speranzi, Michele Trivoli e Giano Lascari. Appunti su copisti e manoscritti greci tra
Corfù e Firenze, in «Studi Slavistici», 7 (2010), pp. 263-297.
34
Si vedano R. Steinberg, Fra Bartolomeo, Savonarola and the Divine Image, in
«Mitteilungen des Kunsthistoriches Instituts in Florenz», 18/3 (1974), pp. 319-328; P.
Humphrey, Fra Bartolomeo, Venice, and St. Catherine of Siena, in «The Burlington
Magazine», 132 (1990), pp. 476-483; Fischer, Fra Bartolommeo: Master Draughtsman of the
High Renaissance, pp. 157-169.
35
Scapecchi, Bartolomeo frate e pittore, pp. 21-22.
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fu in seguito regalato a Santi Pagnini, priore di S. Romano in Lucca, come si legge in triste appunto nel sopra citato inventario dei dipinti di fra Bartolomeo, nella
sezione intitolata Dipinture dalle quali non si è cavato danari.36
Compiamo ora un salto di oltre di dieci anni, precisamente al 1524. Il cenobio, dotto e riformatore, di fra Mariano si è sciolto alla fine del primo decennio
del Cinquecento. Querini e Acciaioli erano morti; frati piagnoni quali Niccolò
Schömberg, Filippo e Tommaso Strozzi rimasero sempre più coinvolti nelle
mansioni che le loro cariche ecclesiastiche implicavano. Canigiani, eletto abate
generale Vallombrosano per intercessione di Alfonsina Orsini, malgrado fosse
stato un tempo ligio alla simplicitas savonaroliana, ora sperperava i danari di
quell’ordine, acquistando proprietà nei pressi di S. Silvestro. Anche i fasti della
Roma leonina, che trovarono in fra Mariano un illustre interprete, si spensero.
Una lapide, posta da Leone X nel 1518 in S. Silvestro, sembrerebbe commemorare quelle ore di svago e pazzia che contraddistinsero le pause del pontefice
durante il V Concilio Lateranense. Il barbiere converso del Savonarola, che era
solito allietare la corte del papa mediceo, ora, rivendicando, con il passare degli
anni, la sua speciale devozione per Caterina, si adoperava sia per assicurare beni
ai suoi parenti fiorentini – come conferma il suo testamento – sia per ristrutturare
la sua chiesa.37
Di questo ripristino architettonico del 1524, ci rimane ben poco. I teatini prima, ed i Savoia poi, cambiarono completamente l’assetto e l’aspetto della chiesa.38 Un importante ed interessante prospetto panoramico di Roma dell’artista
fiammingo Anton ven den Wyngaerde sembrebbe essere l’unica testimonianza
superstite dell’elegante facciata, che ci riporta immediatamente ai progetti coevi
di Michelangelo per S. Lorenzo (Fig. 7). Pietro Aretino, addirittura, giunse a
paragonare il giardino del convento a quello dei Chigi in Trastevere,39 mentre Antonio Burlamacchi giurò di aver visto più volte apparire il Savonarola in questo
luogo e che, per tale motivo, prese i voti di frate converso.40
Ma il fiore all’occhiello di fra Mariano fu certamente la cappella funeraria
dedicata alla santa senese, forse iniziata durante il pontificato leonino e terminata in quello clementino; un’opera che subì il maldestro intervento del Cavalier
D’Arpino agli inizi del Seicento (Fig. 1). Della configurazione originale di questo
spazio, che Caterina, come spesso accade nelle iconografie domenicane, dovette
Marchese, Memorie dei più insigni pittori, pp. 158-165.
Assonitis, Art and Savonarolan Reform, pp. 248-253.
38
B. Torresi, Un’architettura scomparsa del primo Cinquecento romano: la facciata di
San Silvestro al Quirinale, in «Palladio», 57 (1994), pp. 167-180.
39
P. Aretino, Sei giornate, a cura di G. Aquilecchia, Bari 1969, p. 325.
40
P. Burlamacchi, Vita di P.F. Girolamo Savonarola, Lucca 1746, p. cxiii; I. Taurisano, I
domenicani in Lucca, Lucca 1914, p. 78.
36
37
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condividere con la Maddalena, rimangono i paesaggi e le figure delle sante di
Polidoro da Caravaggio, i putti affrescati dal suo socio, Maturino da Siena, infine
la pavimentazione in ceramica del piagnone Luca della Robbia Juniore, proveniente da materiale avanzato dalla Loggia di Raffaello o da un’altra cappella
medicea in Roma.41
Polidoro inserì Maddalena e Caterina in un inconsueto contesto paesaggistico, più consono alla figura del S. Bernardo, immortalato sia in un celebre dipinto
di fra Bartolomeo per la Badia fiorentina sia in un affresco di Baldassare Peruzzi
per S. Silvestro, opera andata perduta di cui resta solamente una stampa.42 Le due
sante, infatti, sembrano quasi dissolversi in una natura che tanto ricorda l’allora incontaminata campagna romana43 (Figg. 8-9). Vasari elogiò proprio questo
aspetto: «Polidoro veramente lavorò i paesi o macchie d’alberi e sassi meglio
d’ogni pittore».44 Caterina viene raffigurata due volte nello stesso affresco: a sinistra, si intravvede la santa in compagnia di altre monache domenicane in ginocchio, dinanzi ad Urbano VI, raffigurato seduto sotto un pronao di un tempio
antico che riporta lo stemma mediceo. In alto a destra, invece, vengono celebrate
le nozze mistiche della santa: adagiati su di una nuvola, si riconoscono san Domenico e san Paolo. Si deve notare come l’artista lombardo, o forse lo stesso fra
Mariano, abbia deciso di attribuire analoga importanza sia alla Caterina politica
sia alla Caterina mistica, sia al suo apostolato pubblico, sulla terra, sia al suo
legame divino e privato, nei cieli.
Un altro aspetto della santa è messo in risalto in questo sacello: la sua castità. Mentre la figura intera della Maddalena – rappresentata con i cappelli sciolti,
i seni pronunciati, ed il collo ed i piedi nudi – accenna ad una sensualità che a
stento rimane compassata, Caterina, avvolta interamente dall’abito, con le braccia conserte e protetta da un possente tomo, ribadisce senza mezzi termini il suo
stato invalicabile di vergine (Figg. 10-11).
Savonarola, in più di un occasione, ebbe modo di denunciare la presenza di
simboli laici negli spazi religiosi; il riferimento era alle imprese dei Medici, che
41
F. Quinterio, Il pavimento robbiano della cappella di Santa Caterina in San Silvestro al
Quirinale, in «Faenza», 74 (1988), pp. 16-31.
42
G. Baglione, Le Vite de’ Pittori, Scultori, Architetti, ed Intagliatori, dal Pontificato
di Gregorio XII. del fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo, nel 1642, Roma 1642, p. 296;
Stollhans, Fra Mariano, Peruzzi and Polidoro da Caravaggio, p. 514.
43
Sugli affreschi di Polidoro a S. Silvestro, si vedano Gnoli, La cappella di Fra Mariano del
Piombo in Roma, pp. 117-126; C. Pacchiotti, Nuove attribuzioni a Polidoro da Caravaggio in
Roma, in «L’Arte», 30 (1927), pp. 189-221; L. Ravelli, Polidoro a San Silvestro al Qurinale,
Bergamo 1987; A. Marabottini, Polidoro da Caravaggio, Roma 1969; P. L. de Castris,
Polidoro da Carvaggio. L’opera completa, Napoli 2001, pp. 212-247.
44
Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, V, pp. 146-147.
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tempestavano sia il convento sia la chiesa di S. Marco.45 L’ammonimento non
fu ascoltato dal Fetti che, al contrario, ricoprì il pavimento della cappella con
piastrelle raffiguranti le palle d’oro, l’anello con tre penne, e la punta di diamante
cioè con una serie di riferimenti alla dinastia medicea (Fig 12). D’altro canto, i
putti classicheggianti possono essere interpretati come una palese contravvenzione alle invettive del frate dirette all’ingerenza del paganesimo nei luoghi sacri;46
si tratta di una vexata questio che fu in seguito ripresa anche da Zanobi Acciaiuoli
nella sua Oratio in laudem urbis Romae, scritta proprio a S. Silvestro e nella
quale venivano esaltati i luoghi della Roma cristiana a scapito di quella pagana.47
Il capitolo conclusivo della storia domenicana di S. Silvestro si svolge quasi
otto anni dopo la morte di fra Mariano. In tale frangente, la presenza dei frati di
S. Marco appariva già considerevolmente affievolita e con essa, forse, i moti di
riforma piagnona sul Quirinale. Una notizia inedita, proveniente dagli archivi dei
granduchi medicei, ci informa come in quegli anni recrudescenze di fuochi savonaroliani si stessero propagando proprio a S. Maria sopra Minerva, ormai sempre
più potente centro di aggregazione dei frati fiorentini.48 Nel suo testamento, fra
Mariano chiese che, dopo la sua morte, la cappella fosse ben tenuta e che vi venissero celebrate messe, spesate dalla vendita di sue proprietà, specialmente nel
giorno in cui si celebrava la santa senese.49
S. Silvestro visse un’ultima ed intensa stagione di gloria. Il calibro dei personaggi che la popolarono è notevole; e, analogamente, è ragguardevole la natura
dei loro incontri, assai lontani, per stile e contenuti, sia dal fare giullaresco del
Fetti sia dal clima riformistico del Querini. Il pittore-umanista Francisco de Hollanda, nei suoi Dialogos de Roma, racconta delle colte discussioni sulla poesia,
arte e religione che in quella sede, cioè «in questa cappella così bene inaffiata, in
questa chiesa così ben chiusa e piacevole» tennero Vittoria Colonna, Lattanzio
Tolomei, e Michelangelo.50 Altre fonti indicano come anche Iacopo Sadoleto, Re G. Savonarola, Prediche sopra Amos e Zaccaria, a cura di P. Ghisleri, Roma 1971-2, II,
p. 26: «Guarda per tutti i luoghi de’ conventi: tutti gli troverai pieni d’arme di chi gli ha murati.
Io alzo il capo là sopra quello uscio; io credo che vi sia un crocefisso, el v’è una arme; va’ più
là, alza il capo: el v’è un’altra arme. Ogni cosa è pieno d’arme».
46
G. Savonarola, Prediche sopra Ezechiele, a cura di R. Ridolfi, Roma 1955, I, pp. 208-209.
Si veda A. Bruschi, La ‘riforma artistica’ di Girolamo Savonarola e la crisi dell’Umanesimo
rinascimentale, in «Quaderni dell’istituto di storia dell’architettura», ?? (1966), pp. 1-7.
47
Z. Acciaiuoli, Oratio in laudem urbis Romae, Roma 1518. Si veda Assonitis, Fra Zanobi
Acciaiuoli’s Oratio in laudem urbis Romae (1518), pp. 55-63.
48
Lettera di Giovanni dell’Antella a Cosimo I de’ Medici (23/06/1540). Firenze, Archivio
di Stato, Mediceo del Principato 3263, f. 62 r-v.
49
Sickel, Die Testamente des Fra Mariano Fetti, p. 506.
50
F. De Hollanda, I dialoghi michelangioleschi, a cura di A. M. Bessone Aurelj, Roma
1926, p. 51.
45
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ginald Pole e Girolamo Fracastoro fossero assidui frequentatori di questo circolo
erudito.51 Forse il solo Pietro Bembo, a cui Paolo III offrì la berretta cardinalizia
proprio nel 1539, fu l’unico sopravvissuto degli anni d’oro del periodo fettiano.
Mentore religioso di questa congrega fu Ambrogio Catarino Politi, prima
fervente seguace del Savonarola, poi implacabile critico del suo palinsesto profetico. Questo frate domenicano espose in S. Silvestro le epistole di san Paolo
durante la quaresima del 1539. Queste discussioni con la Marchesa di Pescara
e il Tolomei vennero poi ricordate in un testo antiereticale pubblicato a breve
distanza; nell’introduzione di esso, il Catarino rimarcava il clima di devozione e
religiosità che, in netta antitesi al lusso ed alla pompa nella casa di Pietro, vigeva
al Qurinale. Prima della sua conversione antisavonaroliana, il domenicano senese
diede alle stampe un volgarizzamento della Vita miracolosa della seraphica Santa Caterina da Siena di Raimondo da Capua, nel quale ebbe modo di soffermarsi,
in maniera non del tutto velata, su questioni di riforma della chiesa e profezia che
permettevano di accomunare la santa con il frate.52
Ho scientemente evitato di trattare della fortuna che il modello cateriniano
ebbe in ambiti religiosi femminili che sposarono la causa riformatrice del Savonarola, tema trattato in maniera esemplare da Gabriella Zarri, Tamar Herzig,
Elettra Giaconi, Adriana Valerio, Isabella Gagliardi e Lorenzo Polizzotto. È indubbio che Caterina ebbe un ruolo fondamentale nella formazione morale delle
monache savonaroliane, nonostante essa compaia raramente nei sermoni, nelle
lettere e nei trattati del frate. Forse è proprio Catarino, che prese l’abito a S. Marco dalle mani di Filippo Strozzi nel 1517, il primo ad intraprendere un’analisi
metodica, anche se non priva di spunti esageratamente apologetici, sul rapporto
caterinismo-savonarolismo. Vorrei, tuttavia, fare un breve accenno su un aspetto
di storia femminile domenicana, collegata a S. Silvestro, e rimasto quasi intermente inesplorato: documenti d’archivio indicano come, a partire dal 1509, il
collegio di terziarie di S. Maria di Monte Magnanapoli fosse posto sotto la cura
del vicario di S. Silvestro.53 Sotto l’osservanza domenicana, il monastero crebbe
fino ad ospitare quasi trenta monache prima del Sacco di Roma. Mi permetto
solamente di ipotizzare, data anche la spiccata devozione di fra Mariano, de facto
51
Si veda G. Caravale, Sulle tracce dell’eresia. Ambrogio Catarino Politi (1484-1553),
Firenze 2007, pp. 96-99.
52
Ibid., pp. 19-21.
53
M. Bevilacqua, Santa Caterina da Siena a Magnanapoli. Arte e storia religiosa romana
nell’età della Controriforma, Roma 1993; C. Valone, Women on the Quirinal Hill: Patronage
in Rome (1560-1630), in «The Art Bulletin», 76 (1994), pp. 129-146. Si veda anche S. De
Angelis, Un monastero savonaroliano nella Roma della Controriforma: Maddalena Orsini
e la fondazione di S. Maria Maddalena al Quirinale (1582), in «Rivista di storia e letteratura
religiosa», 46, 1 (2010), pp. 19-58.
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vicario di S. Silvestro, che questo collegio fosse fortemente indirizzato verso una
formazione cateriniana.54
Simbolicamente sotto l’egida di Caterina, si attua ancora una volta quella sintesi, o quel compromesso, fra Medici e Piagnoni; fra majestas papale e
simplicitas savonaroliana; fra ostentazione dell’antico ed un ritorno verso una
cristianità primitiva che contraddistinse la congregazione di S. Silvestro. Come
nelle pale d’altare di fra Bartolomeo raffiguranti le nozze mistiche della santa e
comprendenti l’abbraccio dei fondatori dei frati minori e dei frati predicatori, la
figura della santa senese sembra quasi ritagliarsi il ruolo di fautrice della riappacificazione delle diverse e complesse espressioni piagnone.
A. De Meyer, Registrum litterarum Fr. Thomae de Vio Caietani O.P. Magistri Ordinis
1508-1513, in Monumenta Ordinis Praedicatorum Historia, XVII, Roma 1935, pp. 114, 13940, 149.
54