st vincent - Lo Spettacolo del Veneto

Transcript

st vincent - Lo Spettacolo del Veneto
Federazione
[email protected]
Italiana
Cinema
d’Essai
INTERPRETI: Bill
Murray, Naomi Watts,
Melissa McCarthy,
Jaeden Lieberher, Chris
O'Dowd, Terrence
Howard, Scott Adsit,
Lenny Venito, Kimberly
Quinn, Katharina Damm
SCENEGGIATURA:
Ted Melfi
FOTOGRAFIA:
John Lindley
MONTAGGIO:
Sarah Flack
SCENOGRAFIA:
Inbal Weinberg
DISTRIBUZIONE:
Eagle Pictures
NAZIONALITÀ:
Usa, 2014
DURATA: 102 min.
[email protected]
wwww.spettacoloveneto.it
Associazione
Generale
Italiana
dello Spettacolo
di Theodore Melfi
PRESENTAZIONE E CRITICA
Vincent è un misantropo col vizio della bottiglia, delle
scommesse ai cavalli e delle cattive maniere. Ruvido e
scostante, Vincent non piace alla gente e a Vincent non piace la
gente. Fanno eccezione Daka, una prostituta russa incinta con
cui intrattiene una relazione economico-affettiva e Oliver, un
ragazzino di pochi anni che si è appena trasferito con la madre
nella casa adiacente alla sua. Maggie, separata e in affanno col
lavoro, chiede a Vincent di occuparsi di Oliver in sua assenza.
Prima riluttante e poi convinto dal compenso, Vincent accetta di
dedicarsi al ragazzo, a cui rivelerà suo malgrado il suo cuore
grande. Perché Vincent da molti anni ormai si prende cura della
moglie, colpita da demenza senile, e di Daka, a cui paga gli
esami per la gravidanza. Chiamato dal suo insegnante a raccontare la storia di una
persona conosciuta e in odore di santità, Oliver sceglierà proprio Vincent, contribuendo col
suo amore ad addomesticarne il cattivo umore.
ST. VINCENT è una commedia convenzionale, di quelle che escono sotto Natale e che si
inseriscono in un filone molto sfruttato senza rivoluzionarne gli schemi. Costruito intorno
all'amicizia tra un adulto e un bambino, naturalmente capace di regalare tenerezze a un
uomo chiuso in se stesso e dalla lingua tagliente, nondimeno St. Vincent riserva qualche
sorpresa e quasi tutte a carico di Bill Murray, ragion d'essere e garanzia emotiva del film.
Cool e immoto, Murray lavora sul filo dell'understatement e produce un personaggio
sigillato nella sua bolla di narcisismo e invitato a riconsiderare la propria esistenza da un
ragazzino amabile, che ha il volto e il talento fresco di Jaeden Lieberher. Il suo nuovo se
stesso, non necessariamente più autentico, ma certo più funzionale richiama poi uno dei
personaggi più celebri di Murray (Ricomincio da capo), riproponendone il carattere
asociale e lo spirito acre. Diversamente da Phil Connors, metereologo cinico e sarcastico
vittima di un rompicapo temporale, Vincent ha un passato e una vita affettiva al riparo dal
mondo, che gli vale l'ideale canonizzazione del titolo. Perché Vincent, a suo modo, è un
santo e dei santi ha la sollecitudine e l'abnegazione. Almeno per Oliver che lo propone a
imitazione dei fedeli e alla gloria eterna, se non di al di là, certamente al di qua del cielo.
Il trionfo di buoni sentimenti, che offrono leziose pause di riflessioni, gli elementi sdolcinati
e la dimensione tutta fiabesca imposta da Theodore Melfi, cedono gradualmente sotto i
colpi degli attori. Appoggiata al loro mestiere, il disarmante e comico spessore di Bill Murry
e Melissa McCarthy, la commedia di Melfi si ricompone nel volto di gomma di Murray e in
quello morbido della McCarthy. Outsider di misura, Melissa McCarthy interpreta una madre
affettuosa, mettendo da parte il gusto scatologico dei suoi personaggi più celebri e
rivelando un interessante registro drammatico. Registro che accusa un rigurgito di
(irresistibile) comicità bastarda in un'unica occasione, il colloquio con i professori-sacerdoti
________________________________________________________________________________
di Olivier Dahan
del figlio, trasformando ancora una volta il suo eccesso in espressione artistica. I confronti,
diretti e indiretti, tra gli attori sono allora il valore aggiunto a una commedia natalizia, che
alla fine non mancherà di commuovere per le sue fragilità e per la virile insicurezza del suo
protagonista, St. Vincent di Van Nuys. Un santo da imitare e un attore inimitabile.
(www.mymovies.it)
Vincent è un buono? Malgrado tutto, manco per sogno. Vince è un sarcastico misantropo,
solo e al verde per giunta. Cosa c’è dunque di speciale in lui? Nulla, se non proprio la sua
normalità. In ST. VINCENT Theodore Melfi propone esattamente questo, ovvero un elogio,
forse tardivo, dell’uomo medio, quello con una storia che c’è ma troppo spesso si
sconosce. Perché nessuno nasce “fatto”, bensì “si fa” nel corso degli anni, accumulando
esperienze, vivendo la vita e bla bla bla. Starete già contando tutte le volte che avete
sentito certe cose, in una salsa o nell’altra. Ed allora è bene dirlo subito che anche qui il
discorso è più o meno quello: proporre una forma di santità quanto più laica e accessibile,
per poi sforzarsi in tutti i modi di renderla appetibile, con o senza lacrime. Di solito certe
considerazioni giungono alla fine, dopo avere più o meno circostanziato, preparato il
campo insomma, ad affermazioni così nette e lapidarie. Non stavolta. Perché stavolta ci
pare più opportuno offrire prima il l’amaro e poi il dolce. Oramai, e lo sappiamo, l’attore di
origini irlandesi predilige questo tipo di operazioni, che sono un po’ un discorso su sé
stesso. Di chi, consapevole dell’incedere degli anni, sente il bisogno (ma non il desiderio)
di tirare le somme. E poiché recitare è ciò che Murray sa fare meglio, è attraverso
l’esercizio di tale pratica che tenta di ragionare. Il suo Vincent MacKenna è uno scorbutico
ma estremamente simpatico individuo, che ogni tanto alza un po’ il gomito perché, vabbé,
effettivamente la vita ha più tolto che dato. Finché non arrivano Maggie e suo figlio Oliver,
che come biglietto da visita fanno cadere un grosso ramo sulla sua non più recente
automobile. Per necessità (Maggie fa la radiologa) Oliver comincia a frequentare casa
MacKenna, e così il vecchio stronzo si ricicla in baby-sitter a ore. Tra puntate ai cavalli,
sbronze, lezioni di vita e puttane, Oliver acquisisce un bagaglio di esperienze notevoli. Ma
soprattutto utili. Ed in fondo St. Vincent molto si concentra su tale rapporto, quello tra
Vince ed Oliver. Ma ciò da cui davvero il film viene risucchiato è lui, principalmente lui,
quasi soltanto lui: Bill Murray. Si capisce perché prima andava somministrato l’amaro:
perché come si fa a tessere le lodi di quest’attore e poi parlar male del suo film?! Un film
che nella misura in cui può essere definito “suo”, vola sulle ali dell’entusiasmo, per un
attore – più che maturo, oseremmo dire stagionato – il quale lascia già un vuoto. Prima del
tempo, sì. La sua interpretazione di uno dei profili più inflazionati del cinema (ma forse
anche della letteratura, se già si pensa al solo Scrooge di dickensiana memoria) è
magnifica. Ma soprattutto personale.
Quasi ce lo si immagina così il buon vecchio Bill, a spostarsi dal divano di casa allo
sportello di banca nella piccola cittadina in cui abita con indosso un paio di calze sotto le
pantofole. Il suo è un personaggio decisamente attuale; lo è nel disincanto, nel sarcasmo
che dissimula un malcelato disprezzo, nel totale disinteresse (scambiato per egoismo)
verso tutto ciò che non ama. Ecco appunto, cosa ne è di ciò che ama?
Ad un certo punto gli vengono rivolte delle condoglianze, al che lui risponde: «Che parola
è questa?! Perché alla gente non passa mai per la testa di chiederti “come stai” oppure
“quanto ti manca quella persona”?» Le domande che la storia, un po’ pelosa a dire il vero,
non pone, Vince le lascia trapelare attraverso se stesso. Cose come: «è ancora possibile
amare, oggi?». Se sì, «come?».
(www.cineblog.it)
________________________________________________________________________________
di Olivier Dahan
Theodor Melfi scrive e dirige il suo esordio alla regia, ST. VINCENT, storia tratta da un
esperienza biografica che ha adattato sul grande schermo per dare vita ad una commedia
con al centro il classico rapporto generazionale tra anziani e bambini. Difatti il film di Melfi
rientra ampiamente nello schema di alcune pellicole quali Il Vecchio e il bambino, Gran
Torino fino ad arrivare Up in cui troviamo il vecchio burbero dal passato doloroso che è
diventato diffidente e furbo nei confronti del mondo che pian piano si aprirà grazie
all’innocenza e la fragilità del ragazzo che farà leva sui ricordi e i sentimenti dell’uomo. Ciò
che getta una luce differente in questo schema classico, è lo stile che adotta il regista, una
commedia ambientata nei sobborghi americani che da ampio respiro al film e che non
cerca di cadere facilmente nel sentimentalismo ma che emoziona attraverso la comicità
spontanea delle maschere che sono ben descritte e che fanno nascere e crescere
spontaneamente la risata del pubblico, senza ricorrere a facili forzature. La seconda giusta
intuizione arriva grazie al cast: Murray riesce a tenere da solo l’intero film tagliando
trasversalmente tutte le corde della pellicola, regalando così l’ennesima interpretazione,
che se in qualche modo sembra già vista, è pur sempre originale e spassosa.
Contemporaneamente, in ruoli invertiti, assistiamo alle trasformazioni della Watts e della
McCarthy, la prima in veste comica e la seconda in quella drammatica, che riescono a
confermare le indiscusse doti artistiche e a caratterizzare il film con interessanti gag. Bravi
anche Chris’ODowd nel ruolo di padre Geraghty, un insolito reverendo della scuola di
Oliver, ed ovviamente Lieberher che riesce a tenere la scena e i tempi comici di un mostro
sacro come Murray.
ST. VINCENT è un film che riesce ad utilizzare una struttura nota al cinema, il divario
generazionale, per parlare dei rapporti umani e di come questi siano associati ai pregiudizi
e alle prime impressioni. Infatti la pellicola gioca attraverso il registro della commedia sul
punto di vista, passando dalla visione generale che si ha del personaggio Murray per poi
unirsi alla visione del piccolo Lieberher che senza i filtri sociali e morali riesce a dare una
giusta prospettiva al suo baby-sitter lanciando definitivamente l’inevitabile l’happy ending.
(www.cinefilos.it)
________________________________________________________________________________