PDF (Tesi Colonnello)
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INDICE CAPITOLO PRIMO INTERNET E I DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA 1.1 La tutela dei diritti fondamentali nell’era di Internet 1.2 Internet, libertà di espressione e diritto alla riservatezza CAPITOLO SECONDO DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTI DELLA PERSONALITA’ 2.1. Nozione di diritto all’oblio 2.2 Fondamento del diritto all’oblio 2.3 Il rapporto tra il diritto all’oblio e le altre “libertà” 2.4 L’evoluzione giurisprudenziale e “di prassi” del diritto all’oblio 1 CAPITOLO TERZO DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTI DELLA PERSONALITA’ 3.2 L’evoluzione del diritto all'oblio alla luce degli ultimi pronuciamenti del Garante, della Cassazione del 2012 e della Corte di Giustizia del 2014 3.1 L’emersione di nuovi diritti della personalità: in particolare, il diritto ad essere dimenticato 3.3 Gli strumenti di tutela del diritto all'oblio 3.4 La responsabilità degli internet provider. L’applicabilità degli strumenti di tutela in ambito sovranazionale. CAPITOLO QUARTO DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTO ALL’INFORMAZIONE 4.1 Il diritto all’informazione nella duplice prospettiva del 2 diritto di informare e del diritto ad essere informati 4.2 Diritto di informazione, libertà di manifestazione del pensiero e libertà di stampa 4.3 Il bilanciamento tra il diritto di sapere della collettività e il diritto di occultare del singolo 4.4 Diritto di cronaca, interesse pubblico e diritto all’oblio CAPITOLO QUINTO OBLIO E ANONIMATO 5.1 Il diritto all’anonimato su Internet 5.2 Il diritto all’oblio quale diritto (di ritorno) all’anonimato CAPITOLO PRIMO 3 1 INTERNET E I DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA 1.1 La tutela dei diritti fondamentali nell’era di Internet La rete è un illimitato collettore e diffusore di conoscenza dalle potenzialità senza precedenti, nel cui ambito le informazioni vengono raccolte, archiviate, veicolate e rese disponibili in assenza, ad oggi, di una chiara forma di regolamentazione che ne disciplini l'utilizzo o la durata nel tempo della loro conservazione: il mondo del cyberspazio, infatti, per sua natura non conosce limiti né di tempo, né di spazio e si alimenta dei dati immessi dagli utenti1. Ogni dato inserito nella rete è destinato a vagare a tempo indeterminato nell'universo immateriale internettiano: anche se viene cancellato da un determinato sito, potrà sempre essere rintracciato e nuovamente utilizzato2. In Internet viene modificata non solo la quantità, ma anche la natura della comunicazione: le numerosissime informazioni, facilmente reperibili, sono per lo più prive di contestualizzazione, cioè di collegamenti alla fonte originaria e ad 1 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 2 BRUGNATELLI F., “Privacy, diritto all’informazione e diritti della personalità”, in Giustizia civile 2005, pt. 1, p. 1385 e ss. 4 altre notizie che completino il quadro3. Nella memoria globale di Internet passato e presente convergono e si livellano su una sorta di presente perenne, dove ogni azione è simultanea, rendendo così estremamente difficile classificare e ordinare i fatti nella loro corretta sequenza logicotemporale e finendo, sotto certi aspetti, per condizionare anche il futuro4. Il sistema virtuale di comunicazioni elettroniche rappresenta senza dubbio un potente strumento di sviluppo che, eludendo il principio di territorialità del diritto , ha scardinato le prospettive tradizionali della regolazione affidata agli Stati e difetta di un sistema normativo in grado di tutelare i diritti degli utenti in modo efficace 5. L'interconnessione delle reti telematiche gode di un'estensione globale, senza confini territoriali, per cui le norme eventualmente previste nei singoli ordinamenti risultano facilmente aggirabili attraverso la connessione e la trasmissione effettuata in un altro territorio dalla disciplina meno restrittiva. Non è poi una novità che 3 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf 4 CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss. 5 SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 5 il sistema6 delle relazioni interpersonali assume in Internet connotazioni poliedriche, dove la continua esposizione virtuale alle opinioni altrui rischia di attirare su di sé conseguenze indesiderate7. È, infatti, soprattutto l'identità del singolo che può essere messa a repentaglio nel web: le informazioni che si riferiscono a persone o eventi immesse da chiunque nella rete, senza alcun tipo di filtro, possono anche non corrispondere a verità o, seppur veritiere, distorcere la vera e concreta essenza dell'individuo laddove siano lontane dal rappresentare l'attuale identità del soggetto8. I concetti appena sopra menzionati: la riservatezza, l’identità personale, che potremmo definire diritti di “nuova emersione”, sono l’espressione di quelle posizioni soggettive relative a tratti essenziali della persona che proprie dell’attuale assetto socio politico e culturale. Esse non avevano cittadinanza nella civiltà greca e in quella romana, ove il valore dell’individuo era riconosciuto soltanto in funzione della sua appartenenza alla collettività; ed anzi erano CARRERA L., “Informazione e minore età tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza”, in Dir. Rad. Tev., 2000, p. 329 e ss. 7 CORRIAS LUCENTE G., “Le recenti prescrizioni del Garante sulla pubblicazione di atti di pro- cedimenti penali e la cronaca giudiziaria. Rigide interferenze tra privacy e libertà d’informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2007, p. 593 e ss.; 6 CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss. 8 6 concepite addirittura come un contrasto all’essenza dell’uomo, animale sociale proiettato verso il raggiungimento del fine predominante, quello del bene comune . Un embrionale antecedente dal riconoscimento dei valori propri della persona è stato suggestivamente ravvisato da qualche Autore9 nell’actio iniurarum del diritto romano, che colpiva alcune offese alla persona, quali l’ingiuria, la diffamazione, la violazione di domicilio e il sequestro di personale. In realtà, è soltanto con l’avvento del cristianesimo che si pone in risalto la persona come individuo10, assumendone la dignità come tratto imprescindibile. In epoca medievale, con l’affermazione del diritto comune accanto al diritto romano e al diritto canonico, si fa strada una concezione di privacy riferita al diritto reale della proprietà intesa come libera da intrusioni esterne: lo jus excludendi alios. Il processo evolutivo che tende a trasferire la privacy dalla proprietà sino alla persona trova una prima affermazione, poi, nella RAVO’ P., I diritti sulla propria persona nella scienza e nella filosofia del diritto, Torino, 1901 9 10 GROSSI P., l’ordine giuridico medievale, Bari, 1995. P. 76 7 Magna Charta del 1215 in Inghilterra, con la proclamazione a livello costituzionale di un limite al potere del sovrano. Ma il riconoscimento più incisivo del “diritto della persona” prende corpo in epoca rinascimentale con la esaltazione della posizione individuale in contrapposizione alle entità di appartenenza e con l’affermazione, quindi, del “diritto di di proprietà sulla propria persona”, come diceva Locke, concepito come potere di escludere interferenze nella libertà oltre che nella proprietà11 . Si delinea la matrice dei diritti che saranno proclamati nella Dichiarazione francese e in quella americana del XVIII secolo. Il successivo percorso culturale approda al concetto di riservatezza che emerge dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, laddove all’art. 12 è sancito che “nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie della sua vita privata”. Tuttavia, la riservatezza, in quanto connotata dalla “esclusione dalle interferenze” è ancora concepita in senso negativo, come in una sorta di contrapposizione all’entità statale. A differenza dei paesi anglosassoni, dove l’esigenza di tutela della privacy individuale ha cominciato ad essere avvertita sul finire 11 DONATI A. “Giusnaturalismo e diritto europeo”, Milano, 2002, pp. 33 - 34 8 del secolo XIX°, in Italia il dibattito intorno al concetto di riservatezza e all’esigenza di una specifica protezione della stessa in quanto diritto autonomo della personalità ha inizio soltanto negli anni cinquanta del Novecento12, con un vasto dibattito in dottrina . Al contempo prende l’avvio in giurisprudenza un inter interpretativo (Cass. sent. 990/63 – caso Claretta Petacci) che avrà la conclusione nella pronuncia (sent. 38 del 12-4-1973) della Corte Costituzionale che colloca il diritto alla privacy tra i diritti inviolabili di cui all’art. 2 della Costituzione; mentre in campo normativo si erano già avuti i primi limitati interventi in alcuni settori; in tema di notizie raccolte in sede di rilevazione statistica (R.D.L. 1285/29) in tema di riservatezza circa la paternità nei registri di stato civile (R.D.L. 1238/39, abrogato da D.P.R. 396/2000), in tema di pubblicazione di corrispondenza o memorie riferibili alla vita privata (L. 633/41). E ‘ comunque la Costituzione il documento di riferimento al fine di intendere la portata del diritto alla riservatezza nell’ordinamento italiano. Proprio l’entrata in vigore della 12 Il codice civile del 1942, modellato sullo schema del Codice napoleonico,non aveva previsto particolare attenzione ai valori fondamentali della persona e, quindi, ai diritti della personalità. Manca in esso una esplicita disciplina del diritto alla riservatezza, ed anche le disposizioni del libro primo dedicate alle persone e alla famiglia sottolineano gli aspetti prevalentemente riconducibili alla patrimonialità. Cfr. FERRARA, SANTAMARIA M., Il diritto all’illesa intimità privata, in Rivista del Diritto Privato, I, vol. VII, 2008 pp. 168-191 9 Costituzione ha sancito il primato dei valori della persona, come diritti della personalità inviolabili. D’altro canto lo Stato perde il connotato della sovranità, che viene attribuita al popolo, e si pone rispetto al cittadino-persona come strumento di tutela e non più come apparato sovraordinato alla persona. La dottrina italiana ha cominciato, come detto, soltanto dal secondo dopoguerra, anche per l’influenza dei valori costituzionali, a seguire le esperienze straniere in materia di privacy, cercando di dare fondamento a questo diritto anche nel nostro sistema, ancorandosi alle scarne disposizioni di legge esistenti, sia di livello internazionale, che costituzionale e ordinario13. L’apporto giurisprudenziale è stato comunque determinante, dal momento che tale diritto, al di là delle elaborazioni teoriche, ha potuto nascere e svilupparsi grazie alle decisioni dei giudici.14 Al fine di comprendere al meglio la ratio dell’evoluzione legislativa che stiamo esaminando sarebbe utile fare riferimento al fatto che proprio da un punto di vista giurisprudenziale il diritto alla riservatezza trova le sue radici e fondamento nell'ampio dibattito che negli anni Cinquanta e Sessanta 13 BALDASSARRE A., voce Diritti inviolabili, in Enciclopedia giuridica Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1995, Roma, p. 236 e ss. 14 Cassazione 22 dicembre 1956, n. 4487, in Giurisprudenza Italiana, 1957, I, p. 366, 10 ha visto la dottrina divisa15 fra coloro che negavano l'esistenza stessa del diritto alla riservatezza16 e coloro che ne affermano il riconoscimento17 e la tutela da parte dell'ordinamento18. Le argomentazioni offerte dai giuristi aderenti a quest'ultimo indirizzo hanno particolare rilievo in quanto successivamente sono state spesso fatte proprie dai giudici; in particolare è stata accolta la teoria19 che desumeva l'esistenza di una generale protezione della vita privata dagli artt. 96 e 97 l. 22 aprile 1941, n. 633, e dell'art. 10 c.c.20 . Questi riferimenti normativi sono stati considerati il "chiaro 15 Il diritto al riserbo della vita privata" era stato oggetto di studio già alla fine degli anni Trenta, come uno dei diversi diritti della personalità, distinto dal semplice interesse al rispetto del segreto: seppure solamente la segretezza fosse espressamente tutelata dall'ordinamento, si riteneva che sussistesse "una grande affinità" in grado di unire "le varie figure del diritto alla segretezza con altre distinte figure di diritti personalissimi, in cui non si tratta veramente di segreto o di segretezza, ma più propriamente di riservatezza" FERRARA SANTAMARIA, voce Persona (diritti della), in Nuovo dig. it., IX, Torino, 1939, p. 923. L'esistenza del diritto alla riservatezza veniva tuttavia asserita senza individuare i riferimenti normativi, indicando solamente un generico "collegamento" fra il riserbo ed il diritto all'immagine. Cfr. BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della persona. Il conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss. 16 PUGLIESE, Il diritto alla riservatezza nel quadro dei diritti della personalità, in Riv. dir. civ., 1963, I, p. 605 ss 17 BARBERA A., Principi fondamentali. Art. 2, in BRANCA G. (a cura di), Commentario alla Costituzione, Zanichelli, Bologna e Roma, 1975, pp. 50-122. 18 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf 19 CARNELUTTI, Diritto alla vita privata (contributo alla teoria di stampa), in Riv. trim. dir. pubbl., 1955, p. 3 ss 20 La dottrina opposta ha ritenuto che dette disposizioni tutelino solamente specifici e distinti aspetti della personalità che, seppure in armonia fra loro, non configurano un unico autonomo diritto Pugliese, Una messa a punto, cit., c. 367 ss., 11 fondamento di diritto positivo" della difesa del riserbo, individuando nelle disposizioni a tutela del diritto all'immagine un'implicita protezione del riserbo, essendo il diritto all'immagine "manifestazione del diritto alla riservatezza"21. A questo indirizzo dottrinale, poi recepito dalla giurisprudenza maggioritaria, si sono affiancate anche altre tesi che, con diverse argomentazioni22, hanno dimostrato l'esistenza di un autonomo diritto alla tutela della vita privata23 . Parte della dottrina24 ha infatti dubitato dell'esistenza di ed in precedenza Santoro- Passarelli, Istituzioni di diritto civile, Napoli, 1945, p. 29). È stata quindi denunciata l'assenza di fondamenti di diritto positivo a favore della protezione della riservatezza e sono stati definiti "assunti moralistici o sociologici che potrebbero valere tutt'al più de lege ferenda" gli argomenti utilizzati dai sostenitori della tesi opposta (cfr. Pugliese, Il preteso diritto alla riservatezza e le indicazioni cinematografiche, in Foro it., 1954, I, c. 117; in tal senso anche Ondei, I diritti di libertà. L'arte, la cronaca e la storiografia, Milano, 1955, p. 28). Secondo la stessa dottrina al riconoscimento del diritto alla riservatezza non si può nemmeno giungere mediante l'estensione analogica dei divieti contenuti negli artt. 10 c.c., 96 e 97 l. dir. aut., poiché un'interpretazione analogica di queste norme è inammissibile, trattandosi di disposizioni caratterizzate da eccezionalità, essendo derogatorie della libertà di parola e di divulgazione del pensiero riconosciute dall'art. 21 della costituzione. Per tali ragioni, in assenza di violazioni di segreti tutelati ex lege, la divulgazione delle altrui vicende doveva ritenersi "in sé e per sé perfettamente lecita". Cfr. CORRIAS LUCENTE G., “Le recenti prescrizioni del Garante sulla pubblicazione di atti di pro- cedimenti penali e la cronaca giudiziaria. Rigide interferenze tra privacy e libertà d’informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2007, p. 593 e ss.; 21 In particolare si è osservato che se "attraverso l'immagine della persona il diritto tutela proprio la riservatezza stessa della persona" è assurdo rifiutare la tutela di questo bene "in ipotesi, e rispetto e figure, che quella tutela reclamano con pari, o maggiore, intensità". Cfr. BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della persona. Il conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss. 22 BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A. CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61 23 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 12 precise norme poste a garanzia della riservatezza, o a tal fine utilizzabili in via analogica , ritenendo che il riserbo andasse comunque difeso quale "naturale aspirazione della persona", sulla base dell'unicità del diritto della personalità25. Alcuni autori26 hanno, invece, considerato la riservatezza come un a priori, una condizione iniziale della persona umana, riconosciuta nei princìpi dell'ordinamento, indipendentemente dalla presenza o meno di specifiche norme di riferimento27; altri hanno affermato che ogni individuo ha una "signoria" sugli atti che compie, per cui nessuno può dare a tali atti "una destinazione diversa da quella che egli ha voluto e per ciò trarli fuori, senza il consenso di lui, dalla sfera privata; altri ancora hanno sostenuto che la riservatezza, quale attributo dell'individuo, è "naturalmente inviolabile, in quanto la sua violazione equivarrebbe alla violazione della personalità umana28. Stimolati da queste elaborazioni dottrinali, già negli anni Cinquanta SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 25 VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347 26 CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss. 27 BONAZZI E., Privacy e trasparenza nell’amministrazione locale: qualche verifica empirica, in La legge italiana sulla privacy: un bilancio dopo i primi cinque anni, a cura di M.G. LOSANO, Laterza, Bari, 2001, pp. 381-422. 28 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 24 13 alcuni giudici di merito29 si sono discostati dal tradizionale orientamento della suprema Corte30, emblematicamente stimmatizzato dalla pronuncia sul noto caso "Caruso"31, in cui si 29 Nel '53 il Tribunale di Milano ha affermato che il diritto al riserbo consiste nella "facoltà giuridica di escludere ogni invadenza nella sfera della propria intimità familiare" e che può essere limitato solamente per esigenze di ordine pubblico e di superiore interesse sociale, e non anche in nome della libertà di pensiero e di parola (Trib. Milano, 24 settembre 1953, in Mon. trib., 1954, p. 106). Successivamente anche il Tribunale di Roma ha riconosciuto l'esistenza del diritto alla riservatezza, ritenendo che l'ordinamento giuridico tuteli il riserbo attraverso la difesa delle sue principali espressioni, costituite dal diritto all'immagine e dal diritto al segreto (Trib. Roma, 23 febbraio 1955, in Foro it., 1955, I, c. 918 ss.). V. anche, nello stesso senso: App. Milano, 26 agosto 1960, in Foro it., 1961, I, c. 43 ss.; App. Milano, 5 dicembre 1958, in Giust. civ., 1959, I, p. 1811 ss.; App. Napoli, 20 agosto 1958, in Giust. civ., 1959, I, p. 1811 ss., Trib. Roma, (ord.), 2 aprile 1955, in Rass. dir. cinem., 1955, p. 88; Trib. Roma, 25 febbraio 1955, in Foro it., 1956, I, c. 1384 ss. 30 La Corte di Cassazione, fino al 1975, nei pochi casi sottoposti al suo esame, ha sempre negato l'esistenza di un diritto soggettivo avente per oggetto la riservatezza della vita privata, ammettendo solamente la tutela del singolo individuo ove la divulgazione di immagini fosse avvenuta senza il consenso dell'interessato, ovvero sussistesse una violazione del segreto epistolare. Cfr. PAPA A., Espressione e diffusione del pensiero in Internet: tutela dei diritti e progresso tecnologico, Torino, 2009, 308 31 Cass., 22 dicembre 1956, n. 4487, in Giur. it., 1957, I, 1, c. 366 ss., con nota di Pugliese, Una messa a punto, cit., c. 462, con nota di Ligi, "Status libertatis vel societatis", cit., c. 4 ss.; ivi, c. 232 ss., con nota di DeCupis, Sconfitta in Cassazione del diritto alla riservatezza; in Giust. civ., 1957, I, p. 214 ss., con nota di Schermi, Diritto alla riservatezza ed opera bibliografica; in Dir. e giur., 1957, p. 197 ss., con nota di Marcello, Ancora sul diritto, cit., p. 200 ss.; in Foro pad., 1957, I, c. 1 ss. I familiari del defunto tenore Caruso avevano intentato causa contro la "Tirrenia film", in séguito alla produzione da parte di quest'ultima di un'opera cinematografica sulla vita di Enrico Caruso, considerando il film lesivo del diritto "al nome, all'immagine del cantante ed alla riservatezza familiare". Il Pretore di Roma, con ordinanza del 19 novembre 1951 (pubblicata in Foro it., 1952, I, c. 149 ss.), aveva respinto la richiesta attorea di inibire la programmazione del filmato, con un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., non ravvisando alcun pregiudizio imminente ed irreparabile. Lo stesso pretore aveva tuttavia affermato l'esistenza "non solo di un diritto soggettivo all'immagine ma anche di quello alla illesa intimità della vita privata". Successivamente il Tribunale di Roma (sent. 14 settembre 1953, pubblicata in Giur. it., 1954, I, 2, c. 532 ss.) riteneva legittima la diffusione della pellicola, essendo la tutela del diritto alla riservatezza derogabile nel caso di persone celebri. La Corte d'appello di Roma (sent. 17 maggio 1955, pubblicata in Foro it., 1956, I, c. 793 ss.), invece, pur reputando che "l'esistenza del diritto alla riservatezza nel nostro 14 legge che "il semplice desiderio di riserbo non è stato ritenuto dal legislatore un interesse tutelabile; chi non ha saputo o voluto tener celati fatti della propria vita, non può pretendere che il segreto sia mantenuto dalla discrezione altrui"32. L’evoluzione giurisprudenziale in questa fase evidenzia il tentativo dei giudici di colmare una lacuna del nostro ordinamento facendo ricorso a diversi strumenti interpretativi, tutti volti, comunque, a consentire un ambito di autonoma determinazione della sfera privata, e soprattutto, a limitare lo sfruttamento, a fini di lucro, di codesta sfera ordinamento è per lo meno dubbia, per quanto un insieme di norme di codici e leggi speciali collegate tra loro in tal modo da rivelare l'esistenza di un concetto più generale ed unificante, può far fondamentalmente ritenere che il diritto alla riservatezza non sia estraneo al nostro diritto positivo", risolveva la controversia non sulla base del diritto al riserbo, ma applicando le norme in materia di tutela dell'immagine. Anche nel secondo grado di giudizio veniva comunque riconosciuta l'esistenza di un pregiudizio risarcibile in capo ai familiari di Caruso. 32 Cass., 22 dicembre 1956, n. 4487, in Foro it., 1957, I, c. 10. I giudici della suprema Corte sono giunti a questa conclusione dopo aver considerato che "nessuna disposizione di legge autorizza a ritenere che sia sancito, come principio generale, il rispetto assoluto all'intimità della vita privata [...] sono soltanto riconosciuti e tutelati, in modi diversi, singoli diritti soggettivi della persona", in particolare, con riferimento agli artt. 96 - 97 l. dir. aut., la Corte ha negato esplicitamente ogni possibile estensione analogica di tali norme. L'indirizzo seguìto dalla Cassazione è stato fatto proprio anche da diversi giudici di merito, che hanno negato la possibilità di un'estensione analogica sia dell'art. 10 c.c. e degli artt. 96 - 97 l. dir. aut., sia, in generale, di tutte quelle disposizioni invocate a sostegno dell'esistenza del diritto alla riservatezza. In alcune di queste pronunce non si è ammessa una specifica protezione alla vita privata, ove questa venga violata mediante la diffusione di fotografie, considerando il fatto come pregiudizievole solamente del diritto all'immagine (cfr. Pret. Roma, (ord.), 10 dicembre 1955, in Dir. aut., 1956, p. 80 ss.). Altrove si è invece affermato che l'autorità giudiziaria non può sostituirsi al legislatore creando nuovi diritti soggettivi, e si è sottolineato come i diritti della personalità siano solamente quelli tipici riconosciuti dall'ordinamento, senza alcuna possibilità di dedurre dalla loro frammentarietà l'esistenza di un unico diritto alla riservatezza (cfr. Trib. Milano, 12 novembre 1959, in Giur. it., 1960, I, 2, c. 4 ss.). 15 da parte di soggetti estranei33 Quanto alla natura giuridica, la riservatezza è configurata, in origine, come quel modo di essere della persona il quale consiste nell’esclusione dall’altrui conoscenza di quanto ha riferimento alla persona medesima34. Il concetto di riservatezza come diritto di escludere i terzi dalla conoscenza della propria sfera privata, si determina nell’individuazione della linea di demarcazione che separa l’individuo dalla società35. Esso, almeno in origine, è luogo di scontro tra due interessi: quello individuale all’essere lasciati soli e quello della collettività a ricevere le informazioni necessarie riguardo ad ognuno di noi. Il profilo preminente in questa prima fase è quello della segretazione. In Italia, dunque, si guarda, inizialmente, non già al rapporto informazioni circolanti e persona, ma a quello tra intrusione non autorizzata nella sfera personale e diffusione delle notizie. E’ una visione di stampo individualistico, figlia di un modello ricostruttivo di tipo proprietario36. Non si è preso in considerazione, forse perché la 33 CERRI A., Telecomunicazioni e diritti fondamentali, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1996, p. 90 ss 34 DE CUPIS A., voce Riservatezza e segreto (diritto), in Novissimo Digesto Italiano, XVI, Utet, Torino, 1969, p. 115 35 MAZZIOTTI DI CELSO M., Lezioni di diritto costituzionale, Milano, 1993,p. 85 e ss. 36 DE GIACOMO C., Diritto, libertà e privacy nel mondo della comunicazione globale. Il contributo della teoria generale del diritto allo studio della 16 società del tempo non ne coglieva l’importanza, il profilo relazionale, che si caratterizza per lo scambio continuo di informazioni riguardanti un individuo, il quale, a sua volta, può essere condizionato e avere il potere di condizionare gli altri. Secondo il dettato Costituzionale, quindi, il riconoscimento del diritto alla privacy, come già osservato, passa non solo e non tanto attraverso il momento individualistico bensì soprattutto attraverso la collocazione dell’individuo all’interno della società37. Per tale profilo, si è posta l’attenzione su particolari interessi (o diritti) della personalità: in particolare, si è parlato nella dottrina anglosassone di un “Right of publicity”, mentre nella dottrina italiana è stato coniato il c.d. diritto all’identità personale38. In particolare, il diritto all’identità personale esprime quel bene-valore costituito dalla protezione sociale della personalità dell’individuo, cui si correla l’interesse del soggetto ad essere rappresentato, nella sua vita di relazione, con la sua vera identità, a non vedere quindi, all’esterno, modificato, offuscato o comunque alterato il proprio patrimonio normativa sulla tutela dei dati personali, Giuffrè, Milano, 1999, p. 126 e ss. 37 MESSINETTI D., voce Personalità (dir. della), in Enciclopedia del diritto, XXXIII, Giuffrè, Milano, 1993, pp. 380-397. 38 FERRI G.B., Persona e privacy, in Il riserbo e la notizia, Atti del Convegno di Studio, Macerata, 5-6 marzo 1982, ESI, 1983, .p 89 e ss. 17 intellettuale, ideologico e politico, etico, religioso, professionale, quale già estrinsecatosi nell’ambiente sociale secondo indici di previsione costituiti da circostanze obiettive ed univoche39. Circa il fondamento e la natura giuridica di tale diritto, la giurisprudenza di legittimità nel corso degli anni si è cimentata con successo nell’ambizioso compito di darne un preciso inquadramento sistematico40. Premessa di questo approfondimento operato dalla giurisprudenza, è l’esplicita adesione alla concezione monistica dei diritti della personalità la quale considera la persona umana in tutte le sue manifestazioni come centro di un’unitaria sfera di protezione41. Il riconoscimento di questo diritto, a livello giurisprudenziale, come autonomo attributo della personalità è avvenuto a partire dagli anni ottanta, prima da parte della giurisprudenza di merito e poi da parte di quella di legittimità42. Infine anche la Corte costituzionale si è occupata dei diritti d’identità 39 DOGLIOTTI M., Le persone fisiche, in Trattato di diritto privato, diretto da P. RESCIGNO, I, Utet, Torino, 1999, p. 36 e ss. 40 GIANNANTONIO E., LOSANO M.G., ZENO ZENCOVICH V. (a cura di), La tutela dei dati personali – Commentario alla L. 675/1996, Cedam, Padova, 1997. 41 LAGHEZZA P., Il diritto all’oblio esiste (e si vede). Nota a sentenza Cassazione civile, Sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, in <<Il Foro Italiano>>, 1998, I, p. 1834-1840. 42 Cassazione, 5 dicembre 1992, n. 12951, in Foro it., 1994, I, 561 18 personale43. Sia la giurisprudenza di legittimità, sia quella costituzionale, sono concordi nell’ancorare il diritto all’identità personale al precetto dell’articolo 2 della Costituzione, di cui si propugna una lettura “aperta” alla luce dell’obiettivo del pieno sviluppo della persona umana sancito dall’art. 3 Cost44. La specificità dell’interesse ad essere se stesso, anche in riferimento alla propria storia personale, è stata colta in parallelo anche con altri attributi della personalità. Seppure ad essi strettamente collegato, l’interesse al rispetto dell’identità personale si configura in modo del tutto autonomo e peculiare rispetto sia all’interesse ai segni distintivi (nome, pseudonimo)45, che identificano il soggetto sul piano dell’esistenza materiale e della condizione civile; sia al diritto all’immagine che richiama unicamente le sembianze fisiche; sia all’onore che ha una dimensione più spiccatamente soggettiva; sia alla reputazione, la cui lesione postula l’attribuzione di fatti suscettibili di causare un giudizio di disvalore; sia alla riservatezza cui si riconnette un obiettivo negativo di non rappresentazione 43 Corte costituzionale, 3 febbraio 1994, n. 13, in <<Giurisprudenza Costituzionale>>, 1994, pp. 33 ss.; Corte costituzionale, 11 maggio 2001, n. 120, in <<Giurisprudenza Costituzionale>>, 2001, 2317 44 Ibidem, p. 2317 e ss. 45 MAZZIOTTI DI CELSO M., Lezioni di diritto costituzionale, Milano, 1993,p. 85 e ss. 19 all’esterno delle proprie vicende personali, rispetto a quello positivo, di fedeltà nella rappresentazione, che connota l’identità personale46. Con tali premesse si può sostenere come proprio la Costituzione garantisce diverse libertà fondamentali che possono atteggiarsi a limite della riservatezza stessa in caso di conflitto con quest’ultimo diritto47. La ricerca di un fondamento costituzionale al diritto alla riservatezza, è stata perpetrata soprattutto per evitare che questo diritto, quand’anche riconosciuto in via ordinaria, fosse destinato a ritrarsi incondizionatamente davanti al contrasto con libertà di rango costituzionale, senza possibilità di poter attuare eventuali bilanciamenti48. Ma, una volta compiuto il riconoscimento, è logica conseguenza ritenere che il rapporto tra la riservatezza e le altre libertà costituzionali (in particolare quella di manifestare il proprio pensiero)49 si svolga su un piede di parità, aprendo la strada a reciproche limitazioni, e questo è stato forse il maggior motivo di resistenza all’inclusione nel sistema costituzionale del diritto alla 46 LORITO E., Informazione e libertà. Privacy e tutela della persona, Cues, Salerno, 2001., p. 47 e ss. 47 MESSINETTI D., voce Personalità (dir. della), in Enciclopedia del diritto, XXXIII, Giuffrè, Milano, 1993, pp. 380-397. 48 LAGHEZZA P., Il diritto all’oblio esiste (e si vede). Nota a sentenza Cassazione civile, Sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, in <<Il Foro Italiano>>, 1998, I, p. 1834-1840. 49 MAZZIOTTI DI CELSO M., Lezioni di diritto costituzionale, Milano, 1993,p. 85 e ss. 20 riservatezza50. Occorre poi sottolineare come tra le diverse norme norme costituzionali addotte come indici a sostegno del riconoscimento del diritto in esame, gli artt. 2 e 3 Cost. si prestano ad un discorso di respiro più generale rispetto alle norme successive che hanno invece un contenuto più definito e circoscritto a singoli aspetti della personalità umana. La possibilità di fondare il rango costituzionale della riservatezza sull’art. 2 è stata in vario modo avversata da studiosi di spessore quali il Mortati, Lavagna, Grossi. Per poter ricondurre il fondamento costituzionale della riservatezza all’art. 2 bisognerebbe affermare che questa disposizione, laddove riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo non contiene, per quanto concerne l’individuazione di tali diritti, una mera norma di rinvio ai successivi articoli della Costituzione, ma una norma sostanziale dalla quale sia possibile desumere quali, concretamente, siano tali diritti51. E’ facile osservare che l’esclusione di un contenuto sostanziale della formula <<diritti inviolabili>>, deriva dalla presenza nel testo costituzionale di una serie di minuziose disposizioni in tema di diritti di libertà le quali, pur non essendo 50 DOGLIOTTI M., Le persone fisiche, in Trattato di diritto privato, diretto da P. RESCIGNO, I, Utet, Torino, 1999, p. 36 e ss. 51 MORTATI C., Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969, p. 96 LAVAGNA C., Istituzioni di diritto pubblico, Torino 1973, p. 74 e ss. 21 tassative, costituiscono senz’altro la fonte più appropriata cui si debba far ricorso per stabilire quali siano i diritti che l’art. 2 dichiara inviolabili. Se è accettabile l’interessante punto di vista secondo cui l’art. 2 sarebbe una norma aperta e non una semplice disposizione di rinvio alle altre che seguono, tuttavia non sembra che esso possa di per sé funzionare come fonte per il riconoscimento di situazioni giuridiche soggettive la cui tutela costituzionale non sia dimostrabile anche con riferimento a basi più specifiche52. Il problema ruota, in pratica, intorno alla natura e alla funzione dell’art. 2. L’attributo dell’inviolabilità sancisce l’appartenenza dei diritti che di tale carattere partecipano, all’essenza stessa della Costituzione, “un nucleo che si ritiene sia in ogni caso intangibile ed immodificabile: immodificabile cioè anche di fronte allo stesso potere di revisione costituzionale”, con riferimento all’essenza dei diritti stessi53. Facendo così attenzione soprattutto alle conseguenze dell’inclusione del diritto alla riservatezza nell’ordine costituzionale, l’autore lo condiziona all’accertamento positivo sull’inviolabilità, concludendo che la riservatezza sembra non possedere un tale attributo. Un 52 MAZZIOTTI DI CELSO M., Lezioni di diritto costituzionale, Milano, 1993,p. 85 e ss. 53 NERVI A., Il contenuto dell’attività di trattamento dei dati personali, in CUFFARO V., RICCIUTO V. (a cura di), La disciplina del trattamento dei dati personali, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 61-96. 22 sicuro sostegno alla tesi positiva sull’utilizzabilità dell’art. 2 si può trovare, invece, allontanandosi dalle concezioni troppo formalistiche o da quelle che concentrano l’analisi sul momento degli effetti, piuttosto che sul nucleo effettivo del problema. Innanzi tutto sembra opportuno evidenziare il carattere fortemente personalistico della Costituzione italiana, che si risolve in una maggiore considerazione e dignità dei diritti della personalità umana, rispetto ad altri interessi che pur ricevono tutela costituzionale54. Partendo da questa impostazione di fondo sui valori di base cui la Costituzione è intimamente informata, si apre la prospettiva di una valutazione dell’art. 2 da un punto di vista sostanziale, mantenendo in subordine i criteri formalistici e di rigida analisi testuale55. La rilevanza pratica della ricerca del fondamento cosituzionale del diritto alla riservatezza, deriva in particolare dal fatto che il riconoscimento di tale diritto si pone come alternativa ad un altro diritto, questo si espressamente riconosciuto costituzionalmente, 54 PANEBIANCO M., Libertà di comunicare tra Costituzione e nuove fonti, Dipartimento di diritto dei rapporti civili ed economici nei sistemi giuridici comparati dell PIZZORUSSO A., Lezioni di diritto costituzionale, in Foro italiano, Roma, 1984, p. 87.’Università di Salerno, 2002, p. 23 e ss. 55 RAO G., Informatica, banche dei dati e principi costituzionali, in AA.VV., Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Scritti in onore di P. Barile, Cedam, Padova, 1990, pp. 473-511. 23 che è il diritto di cronaca, il quale trova fondamento nell’art. 21 Cost. Quindi mentre il diritto alla riservatezza ha come contenuto l’aspirazione a che certi fatti concernenti un determinato soggetto, non siano divulgati, il diritto di cronaca ha come suo contenuto l’opposta aspirazione di un altro individuo a divulgare, per varie finalità, i fatti di cui egli sia comunque venuto a conoscenza, compresi eventualmente quelli che riguardano il primo soggetto56. E’ evidente quindi che, se al diritto alla riservatezza fosse riconosciuto un fondamento derivante solo da legge ordinaria, l’operatività pratica di tale fondamento risulterebbe seriamente minacciata dalla prospettiva che le norme che a quel fondamento si riconducono, sarebbero travolte da sicura dichiarazione di incostituzionalità per contrasto con l’art. 21 Cost. nella parte in cui riconosce il diritto di cronaca; ciò renderebbe impossibile qualunque lettura di esse volta a dedurne il riconoscimento del diritto alla riservatezza57. A tale ragionamento si potrebbe contrapporre anche il contenuto dell’articolo 3 sempre della Carta Costituzionale. L’articolo 3 potrebbe essere utilizzato proprio per attribuire cittadinanza 56 RAO G., Informatica, banche dei dati e principi costituzionali, in AA.VV., Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Scritti in onore di P. Barile, Cedam, Padova, 1990, pp. 473-511. 57 RESCIGNO P., Manuale del diritto privato italiano, Jovene, Napoli, 1991, p. 258 e ss. 24 costituzionale al diritto alla riservatezza, essendo la sua operatività relegata ad un ambito per così dire di secondo grado, una volta risolta positivamente, ma per altra via, la questione dell'esistenza costituzionale del diritto in oggetto. Le altre critiche, varie ed eterogenee, sono di tipo sostanziale. Da parte di alcuni si lamenta l'eccessiva genericità della disposizione58. Altri si interrogano sulla reale natura di ostacolo allo sviluppo della persona rappresentato dalla conoscenza di notizie private e dall’"attacco alla sfera privata da parte soprattutto dei grandi mezzi di comunicazione di massa"59. Altri ancora fanno appello alla marcata dimensione sociale cui l'art. 3 sarebbe ispirato: gli interessi da esso tutelati, dignità e sviluppo della persona, andrebbero visti in un'ottica eminentemente sociale, che non può non contrapporsi alla dimensione individuale in cui si esplicano la vita privata e la riservatezza60. L'esattezza di tali affermazioni deve tuttavia essere ridiscussa alla luce delle mutate caratteristiche del problema in relazione all'avvento della c.d. 58 FOIS S, Questioni sul fondamento costituzionale del diritto all'«identità personale» , in AAVV, L'informazione e i diritti della persona, Jovene, Napoli, 1983, p. 167 59 BRICOLA F, Prospettive e limiti della tutela penale della riservatezza, in AAVV, Il diritto alla riservatezza e la sua tutela penale, Atti del terzo simposio di studi di diritto e procedura penali, Varenna, Villa Monastero, 5 - 7 settembre 1967/ promosso dalla Fondazione "Avv. Angelo Luzzani" di Como - Milano, Giuffrè, 1970, p. 84 60 RODOTÀ S., Tecnologie e diritti, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 29 ss. 25 "società dei computer" e, nello specifico, alle conseguenti modificazioni a cui il concetto di privacy è andato incontro, per cui non è più possibile, né opportuna, una precisa separazione tra individualità e collettività, se non si vuole incorrere in una falsa e incompleta rappresentazione del problema. Infine, il riferimento alla dignità sociale contenuto nel I comma dell'art. 3 è giudicato improprio da parte di chi evidenzia come il concetto di dignità miri a tutelare in via diretta interessi diversi dalla riservatezza, che sono identificabili nel decoro e nella reputazione della persona61. Dalla combinata analisi di tali articoli si intravede una delle prospettive tipiche dello Stato contemporaneo che non si limita solo a riconoscere formalmente l’eguaglianza giuridica e i diritti inviolabili individuali e collettivi, ma che si impegna positivamente a rimuovere quegli ostacoli che di fatto impediscono ai consociati di poter godere effettivamente dell’eguaglianza e della libertà secondo la sostanziale identità di ciascuno (art. 3, comma 2), l’ottica va necessariamente ribaltata. L’ago della bilancia, infatti, non pende più verso la sfera dell’autorità, ma verso il perno della libertà, nel senso che l’impostazione personalistica seguita dal nostro 61 VALENTI A.M., La dignità umana quale diritto inviolabile dell'uomo, Perugia, 1995, pp. 9 ss. 26 costituente a differenza di altre concezioni che assegnavano un primato sistematico alla “norma” o alla “istituzione”, riconosce per contro, un primato assoluto alla persona umana, la quale si pone come fondamento primo e, nello stesso tempo, come fine ultimo della vita politicamente organizzata. Ciò implica che lo Stato è strumentalmente funzionale alla persona e non viceversa. Il principio personalista, ricavabile dal combinato disposto dell’art. 2 e 3, comma 2 della Costituzione, nonché da altre norme costituzionali, comporta, quindi, l’affermazione del primato dell’uomo come valore etico in sé, dell’uomo come fine e non come mezzo; tale principio si pone come caratterizzante l’intero sistema, che viene a ruotare intorno al fulcro della persona umana considerata nella sua dimensione non solo individuale ma anche sociale62. Nella dottrina contemporanea, dunque, la intangibilità della sfera personale si espande fino a racchiudere in sé una nuova dimensione63. Essa non è più composta soltanto dal principio del to be let alone, ma acquista un ulteriore contenuto, quello della autodeterminazione in una prospettiva “fortemente dinamica della 62 63 RODOTA’ S., Società dell’informazione. Tutela della riservatezza, Atti del Convegno di Stresa, 16-17 maggio 1997, Milano, 1998, pp. 38 ss RODOTA’ S., Repertorio di fine secolo, Roma – Bari, 1999, p. 201 27 privacy”64. Posto che altrui interferenze nella vita privata possono condizionare l’esercizio della libertà di scelte che pervengono dal proprio patrimonio ideale, etico ed emotivo, la esclusione dalle stesse esprime il potere di autodeterminarsi in ordine alle proprie condizioni di vita. Al binomio “libertà – proprietà” inteso come “libera proprietà del proprio corpo”, subentra quello di “libertà – dignità”, inteso come potere di autodeterminarsi senza condizionamenti65. Si affianca, insomma, all’habeas corpus l’habeas mentem. Ciò sottintende, ovviamente, la necessità di un controllo sui dati e sulle informazioni personali che possono entrare nei circuiti di informazione dal momento che “lasciamo tracce quando ci vengono forniti beni e servizi, quando cediamo informazioni, quando ci muoviamo nello spazio reale e virtuale”66 e i dati, d’altro canto, non possono essere tout court rifiutati perché altrimenti rimarrebbe 64 Cfr. nota precedente BALDASSARRE A., Privacy e Costituzione, l’esperienza statunitense, Roma 1974, p. 458 65 66 RODOTA’ S. “Il diritto di avere diritti”, Laterza, p. 396 28 precluso l’accesso ad “un numero crescente di processi sociali, all’accesso alla conoscenza, alla fornitura di beni e servizi”67. Ove non fosse controllata la gestione delle informazioni relative alla propria vita privata ci si ritroverebbe sotto la osservazione di un “grande fratello” con l’orecchio perennemente in ascolto, con la conseguenza di una pressione dall’esterno sugli indirizzi e i percorsi della propria volontà e quindi di una lesione del valore “libertà – dignità” posto a base della riservatezza. “The man… whose every need, toght, desire, or grafication in subject to public securiy has been deprived of his individualità and human dignity”68 Ed è appunto la dignità il valore al quale fa riferimento lo stesso codice per la protezione dei dati personali laddove esso sancisce che il trattamento dei dati debba aver luogo nel rispetto “della dignità dell’interessato” (art. 2). 67 Cfr. nota precedente 68 BLUOUSTEIN E. J. Bluoustein, Privacy as an aspect of human dignity: an answer to Dean Prasser. 29 1.2 Internet, libertà di espressione e diritto alla riservatezza 30 Il momento storico che stiamo vivendo si caratterizza per una diffusa incertezza forse mai avvertita prima nelle società moderne: nell'epoca della globalizzazione si registra una progressiva, dunque inesorabile, erosione dei sistemi giuridici tradizionali e della sovranità nazionale69, che sotto certi aspetti non trovano più il medesimo sostegno e la stessa legittimazione di cui godevano un tempo nel sentire comune dei cittadini proprio perché gli Stati, e con essi la comunità internazionale, non riescono a dotarsi di un sistema sovranazionale per governare adeguatamente, attraverso regole condivise, una serie di fenomeni tra i quali anche quelli legati all'avvento delle moderne tecnologie come Internet70. Una tale asimmetria tra gli assetti istituzionali tradizionali e la coscienza civica dei consociati richiede, preliminarmente, una riflessione sulla portata di Internet che da mezzo di indubbia civiltà può trasformarsi anche in uno strumento pesantemente invasivo della sfera privata delle persone71. 69 PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 70 SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 71 CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss. 31 Se è innegabile che nella rete la libertà di espressione e il diritto all'informazione devono trovare analoga protezione a quella garantita nel mondo reale72, si rende però necessario individuare criteri per evitare un suo utilizzo improprio che possa determinare effetti negativi per il singolo la libertà individuale di immissione di contenuti in Internet, che un tempo era mediata sia pure non via esclusiva, attraverso la ponderazione degli organi di stampa, non rispecchia concettualmente le tradizionali categorie costituzionalmente tutelate della manifestazione del pensiero, del diritto di cronaca, di stampa, del diritto a informare e ad essere informati Spesso ciò che viene immesso nel web risulta di difficile definizione alla luce delle tradizionali categorie dogmatiche elaborate per un mondo che viveva esclusivamente in una realtà materiale73. La privacy ha assunto nel corso degli ultimi anni connotati molteplici, ma che convergono tutti in unico denominatore comune, rappresentato dal riconoscimento in capo alla persona del diritto ad autodeterminarsi nella propria sfera privata senza subire 72 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 73 VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347 32 intromissioni dall’esterno74. Questa possibilità di compiere delle scelte indipendenti passa attraverso i concetti di riservatezza ed intimità. Configurare tali concetti, significa stabilire i confini tra sfera privata e sfera pubblica, o, ancora meglio, tra l’individuo e il sociale. L’individuo negozia continuamente le proprie informazioni personali, le quali diventano il principale bene di scambio per poter accedere a determinati servizi. Il singolo è perciò posto davanti alla scelta di quali e quanti dati personali è disposto a privarsi per partecipare alla società civile, e conseguire i propri interessi. L’accesso a ogni tipo di servizio è, dunque, condizionato al rilascio di determinati dati. Tutto ciò offre la possibilità a chi acquisisce tali dati di catalogare informazioni e creare una pluralità di schede personali. In sostanza vengono ad esistere agenti che raccolgono e gestiscono banche dati, suscettibili di interessi da parte di molti. In questo quadro, compito del diritto e ancor di più del giurista, è quello di tutelare l’individuo dal condizionamento psicologico, predisponendo un adeguato sistema di protezione della libera capacità di autodeterminazione dell’individuo in modo tale da consentirgli la volontaria partecipazione alla società nella misura da lui stesso 74 ANTANIELLO G., Il sistema delle garanzie della privacy, in La tutela della riservatezza, fa parte di Trattato di diritto amministrativo, a cura di G.Santaniello-A. Loiodice, Cedam, Padova, 2000, pp. 3-31. 33 stabilita. Come accennato, la larga diffusione di Internet ha modificato il concetto di privacy: l’utente della rete nutre due esigenze fondamentali di tutela: la segretezza della propria corrispondenza informatica e, soprattutto, evitare che altri si introducano nella propria banca dati informatizzata. Il concetto di riservatezza, pertanto, assume rispetto al fenomeno, altri connotati. La tecnologia informatica ha cominciato a giocare un’importante ruolo, spesso vitale, in tutti i settori della società organizzata, tanto da costituire un settore autonomo dell’economia. Le nuove necessità di tutela soggettiva nell’ambito delle molteplici applicazioni dell’ICT ha favorito nei singoli paesi europei la creazione di istituzioni ad hoc che cercano di vigilare, controllare e modificare i comportamenti dei soggetti pubblici e privati che detengono, acquisiscono o gestiscono i dati personali attraverso la rete. Queste autorità fanno ormai parte integrante dell’evoluzione della realtà, contribuiscono a plasmarla e, adeguandosi al contesto normativo ed istituzionale nazionale, favoriscono anche la nascita e lo sviluppo di nuovi soggetti collettivi e di inediti settori di politiche pubbliche. Quando nel 1997 il Garante per la tutela dei dati personali e della privacy è stato istituito con legge nazionale (l. n. 675 del 31 34 dicembre 1996) in applicazione di una direttiva comunitaria (95/46/CE), uno dei principali problemi che si è trovato ad affrontare è stato, senza dubbio, la quasi assoluta novità del tema della privacy nel contesto culturale, amministrativo e politico italiano75. Alla nuova Autorità si pose l’esigenza di legittimarsi presso l’opinione pubblica e di far conoscere ai cittadini quale fosse il proprio ambito operativo e la propria sfera di competenza in qualità di garante di nuovi diritti soggettivi76. Attraverso questo prioritario compito educativo e informativo il Garante si è fatto carico direttamente di definire i contenuti Stessi di concetti quali riservatezza, tutela dei dati personali perlopiù sconosciuti al grande pubblico77. Tale processo comunicativo ha subito nel tempo un’evoluzione che, come vedremo, accompagna l’evoluzione stessa degli stili e delle strategie regolative dell’Authority78. Se la tutela 75 VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347 76 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 77 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf 78 Tutelando in rete i dati personali e la privacy il Garante di fatto bilancia la libertà personale, la libertà d’espressione e di circolazione in rete cercando coniugazioni con le esigenze di sicurezza interna e internazionale, con le regole già esistenti per settori analoghi (la televisione), con questioni delicate come quelle legate alla ricerca genetica, al settore del credito ed alle telecomunicazioni, al funzionamento del mercato e all’organizzazione dell’impresa, al sistema dei media e al rapporto tra tecnologie e politica. Cfr. SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e 35 della privacy oggi va ad aggiungersi a un altro ambito di tutela limitrofo ma non sovrapponibile cioè la tutela dei dati personali, ciò si deve agli epocali cambiamenti intervenuti nel modo di intendere la soggettività ed il sistema di relazioni tra individui nell’era dello sviluppo tecnologico e di internet79. Sintetizzando possiamo dire che gli stadi di sviluppo che decretano il passaggio dal concetto di privacy a quello di dati personali sono tre: a) la privacy intesa come diritto di isolarsi dagli altri e di difendersi dalle altrui interferenze, come diritto all’oblio; b) la privacy come data protection cioè diritto di poter controllare tutte le informazioni personali raccolte da altri non solo per funzioni di sorveglianza ma soprattutto per poter godere di una serie di beni o servizi. c) infine, l’ultimo passaggio, che sintetizza i due precedenti, è principalmente legato all’evoluzione tecnologica e alla sua applicazione al funzionamento del web, dai social networks ai mercati elettronici fino all’immissione in rete delle amministrazioni pubbliche: si tratta della tutela della libertà personale e soprattutto della tutela dell’identità elettronica, e non solo fisica, nell’ambito di processi crescenti di globalizzazione libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 79 CORRIAS LUCENTE G., Internet e libertà di manifestazione del pensiero, in questa Rivista, 2000, 4/5, 597 36 dell’economia, della comunicazione e della governance80. La tutela della privacy e dei dati personali erompe come tema del dibattito pubblico con il crescere della rilevanza attribuita alla difesa dei singoli individui nei confronti di organizzazioni pubbliche e/o private che hanno il potere di condizionare l’accesso e la fruizione di beni o servizi: lo sviluppo della telefonia, dell’e-government e dell’ecommerce, le applicazioni di internet e dell’ICT alle attività pubbliche e private, nonché lo sviluppo della biotecnologia, aprono nuove frontiere del diritto e dei diritti. Come è stato osservato, il problema dell’individuo non è solo quello di impedire la diffusione di determinate informazioni, ma anche quello di non perdere il controllo sulla massa di dati che lo riguardano e che si trovano ormai contenute in una miriade di banche dati81. Nonostante le distinzioni semantiche, si assiste a un fenomeno di giustapposizione dei significati di privacy e data protection. Per esempio la questione della regolamentazione della vita e della morte dei dati in possesso dei social network è diventata una questione fondamentale sia della tutela della privacy (diritto di difesa dalle 80 VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347 81 PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 37 interferenze altrui) sia della tutela dei dati personali (diritto al controllo sull’uso che altri possono fare dei nostri dati). In effetti, il richiamo già fatto all’articolo 2 della Costituzione consente di delineare la dimensione non solo individuale, ma anche sociale della privacy, dal momento che il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo si inserisce in un quadro in cui la rilevanza del profilo individuale trova il suo completamento nelle formazioni sociali, all’interno delle quali si sviluppa la personalità. Infatti, come si è già sottolineato, la privacy nel suo aspetto dinamico di controllo sulle informazioni personali non si presenta come momento di rottura del legame sociale, ma come via per ricostruire tale legame, a partire dal controllo sui detentori delle informazioni, in una prospettiva caratterizzata da redistribuzione di potere sociale e da una conseguente trasparenza sociale. Tutto questo porta ad un integrale recupero della sovranità su di sé, facendo così della pienezza della sfera privata anche la condizione della pienezza della sfera pubblica82. In questa dimensione il diritto alla riservatezza ha una vocazione essenzialmente protettiva del soggetto essendo volto a RODOTA’ S., Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali, in Rivista critica del Diritto Privato, 4/1997, p. 590. 82 38 preservare l’intimità della vita personale e familiare contro divulgazioni all’esterno di quanto attiene alla sfera privata. Per tale ragione, secondo la terminologia impiegata nei sistemi di Common Law, esso si definisce anche diritto alla privacy83. La protezione di tale diritto non ha una giustificazione strumentale84. Non si tutela cioè la privacy per impedire la lesione dell’onore o del decoro del soggetto, ma la non diffusione di informazioni veritiere circa situazioni intime e personali è considerata un valore da difendere in quanto tale85. Infatti, informazioni vere, che in certi casi potrebbero aumentare l’onore, non devono essere diffuse se il soggetto a cui si riferiscono non lo desidera86. Il diritto alla riservatezza è una specificazione del diritto alla libertà negativa che affonda le sue radici filosofiche nelle teorie giusnaturalistiche che riconobbero carattere fondamentale al diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà87. La rivendicazione di tali diritti fu giustificata 83 FINOCCHIARO G., Voce Identità personale (diritto alla), in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. civ., Agg., Torino, 2010 84 CORRIAS LUCENTE G., Internet e libertà di manifestazione del pensiero, in questa Rivista, 2000, 4/5, 597 85 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf 86 CORRIAS LUCENTE G., Internet e libertà di manifestazione del pensiero, in questa Rivista, 2000, 4/5, 597 87 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in 39 dall’esigenza di rintracciare dei limiti, e solo all’autoritarismo dei sovrani, in virtù della nascita e della diffusione in Europa della nuova forma di organizzazione del potere rappresentata dallo Stato88. Il crisma dell’assolutezza tipico delle moderne monarchie portò ad una reazione volta a contenere il potere sovrano, rivendicando nei confronti d’esso spazi di autonomia, di libertà e di immunità. Infatti, nel momento in cui o Stato divenne una presenza familiare, e pretese di monopolizzare il potere, allora, si poté vederlo come un possibile nemico delle libertà e immaginare di ridimensionarlo, come farà il liberalismo, se non di abbatterlo, come faranno l’anarchismo e il comunismo89. Utile al fine di comprendere i problemi che tutt’ora la dottrina e la giurisprudenza lasciano trasparire nel legame tra informazione e riservatezza sarebbe utile richiamare anche delle nozioni fondamentali introdotte dal D.Lgs. 196/2003. Esse, infatti, costituiscono lo ‘sfondo normativo’ su cui si muovono tutte le concrete operazioni di bilanciamento effettuate dalla giurisprudenza. In particolare si ricorda che, sul piano definitorio, l’art. 4, comma 1 lett. a), Codice della privacy stabilisce che il http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf 88 PANETTA R. (a cura di), Libera circolazione e protezione dei dati personali, Milano, 2006, Tomo I, 257 89 SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 40 trattamento dei dati personali consiste in “qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati”. E, sempre secondo l’art. 4, comma 1 lett. b), D.Lgs. n. 196/2003, è dato personale “qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”90. Nonché è ancora lo stesso articolo del Codice della privacy a definire come dati sensibili, quei “dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale” (cfr. art. 4, comma 1, lett. SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 90 41 d). Al fine di ottenere una corretta ricostruzione della disciplina generale dell’istituto si ricorda che il Codice della privacy provvede a dettare specifiche regole sul trattamento dei dati personali, introducendo all’art. 13 l’istituto della c.d. ‘informativa’, in forza del quale il soggetto intenzionato ad operare un trattamento debba preventivamente informare colui al quale i dati si riferiscono circa finalità, limiti e conseguenze del trattamento stesso, nonché debba conseguirne il consenso ai sensi dell’art. 2391. Per quanto concerne poi il trattamento dei dati sensibili si prevede, oltre al consenso scritto dell’interessato, la necessità che esso sia espressamente previsto dalla legge o da uno specifico provvedimento autorizzativo del Garante. Pare opportuno segnalare in tale quadro normativo l’importante eccezione costituita dagli artt. 18, comma 2 e 20 del Codice, ai sensi dei quali, è previsto rispettivamente che gli enti pubblici non economici siano dispensati dall’osservare la regola del consenso per il trattamento di ogni dato personale, che tuttavia è da eseguirsi esclusivamente “per lo svolgimento di funzioni istituzionali”, nonché per il trattamento dei dati sensibili se e nella misura in cui ciò sia disciplinato da una norma di legge o da un 91 CERRI A. , Il diritto di informazione e i diritti della persona: il conflitto della libertà di pensiero con l'onore, la riservatezza, l'identità personale, 2 ed., Milano, 2006, 308 42 provvedimento del Garante92. Norme particolari sono quelle stabilite per il trattamento dei dati personali compiuto dai giornalisti, le quali consentono di definire le coordinate minime entro cui si deve svolgere il bilanciamento tra diritto all’informazione e diritto alla riservatezza quando la divulgazione delle notizie o delle immagini viene posta in essere nell’esercizio di una specifica attività professionale a ciò deputata. La principale deroga rispetto al regime ordinario prima descritto risiede nel fatto che in questo caso non è necessario (nemmeno con riferimento al trattamento dei dati sensibili) né che il giornalista ottenga il consenso dell’interessato, né che sia prevista alcun tipo di autorizzazione del Garante (art. 137, commi 1 e 2, codice della privacy), fermo restando, comunque, l’obbligo per il giornalista di rendere ugualmente l’informativa di cui all’art. 13 del Codice. A ben vedere, però, anche quest’ultimo profilo risulta attenuato, se non addirittura svuotato di portata precettiva, in quanto è già lo stesso Codice della privacy all’art. 139 a prevedere che il codice di deontologia professionale dei giornalisti possa adottare “forme semplificate per le informative di cui all’art. 13”. E di tali forme 92 PARODI C., Tecnologie telematiche e tutela della riservatezza, in Diritto penale e processo, 2001, 11, 1430 43 semplificate vi è traccia all’art. 2 del codice deontologico, che impone al giornalista, ad esempio, di rendere nota al soggetto cui i dati si riferiscono soltanto “la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta” ed al contempo autorizza il giornalista a non identificarsi e a non mettere a conoscenza l’interessato della finalità della raccolta dei dati quando “ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa”. L’appena accennata ricostruzione risulta particolarmente interessante dal punto di vista ricostruttivo perché consente di evidenziare che il giornalista gode di una libertà di azione addirittura maggiore di quella riconosciuta agli enti pubblici che, infatti, devono rendere un’informativa integrale ed hanno il limite dello “svolgimento delle funzioni istituzionali” per il trattamento senza consenso dei dati personali, nonché necessitano sempre dell’autorizzazione di legge o di specifico provvedimento del Garante quando il trattamento riguarda dati sensibili o giudiziari. Tale tipologia di riflessioni assume una rilevanza ancora più pronunciata se si pensa alla rapida evoluzione che caratterizza il mondo dell’informatica. Ad esempio molteplici problematiche giuridiche potrebbero essere sollevate dalla presenza di 44 apparecchiature che accompagnano gli individui durante le azioni quotidiane e che garantiscono la continua accessibilità ai contenuti virtuali93. Quanto affermato conferma il fatto che proprio il diritto alla riservatezza si è trasfuso nel più ampio “diritto alla protezione dei dati personali”, con cui è stata riconosciuta la pretesa ad una tutela a tutto campo dei dati personali, non più limitata alla riservatezza nei suoi termini essenziali (rectius al diritto ad essere lasciato solo e non subire ingerenze illecite nella propria individualità), ma che si estende alla persona nel suo complesso, e che si traduce anche nella c.d. autodeterminazione informativa, intesa quale diritto ad una corretta (ri)costruzione o rappresentazione della propria identità, che non può essere soddisfatta con il semplice diritto alla riservatezza, ma viene 93 Si pensi ad esempio ai dispostivi wearable bio-medicali sono oggi sempre più diffusi e rappresentano una vasta tipologia di strumentazioni utilizzate per il monitoraggio a distanza e continuativo delle condizioni fisiche di pazienti a rischio o affetti da particolari patologie; essi si sono rivelati utili soprattutto nel campo della medicina sportiva, nel cui ambito vengono utilizzati per monitorare la performance degli atleti professionisti impegnati nei programmi di allenamento (es. fascette indossabili per la rilevazione della frequenza cardiaca, misuratori di distanza GPS nelle scarpe, ecc.). Accanto a questi dispositivi, complici l'abbassamento dei costi e il crescente interesse del mercato nei confronti di supporti mobile sempre più versatili, sono stati perfezionati dispositivi con una vocazione più spiccatamente commerciale, utilizzabili dagli utenti nella normale vita quotidiana, nel tempo libero oppure come supporto ad attività pratiche di vario genere (lavoro, fitness, ecc.). Questo secondo ambito, meno tecnico ma molto più vasto, è quello che probabilmente sarà interessato nei prossimi anni dalla più forte diffusione dei dispositivi, non solo per il crescente numero di fruitori, ma anche per l'ampiezza di gamma dell'offerta 45 incrementata con nuove facoltà volte a controllare la forma, la consistenza e la circolazione delle informazioni personali, che devono rispecchiare esattamente la attuale identità dell'interessato94. Il diritto alla riservatezza, dunque, da libertà negativa, consistente nel diritto a essere dimenticato, nel corso del tempo è stato ampliato, cioè declinato anche in termini di libertà positiva, intesa come potere di controllo sui propri dati personali. Il diritto alla protezione dei dati personali si è evoluto ed arricchito nell'elaborazione giuridica: non più limitato alla mera tutela della 94 Alla luce di quanto sopra illustrato, sorgono numerosi quesiti ancora sostanzialmente insoluti: le soluzioni tecnologiche e la disciplina vigente garantiscono la correttezza del trattamento dei dati del fruitore? Quali privacy policies sono state predisposte dai produttori dei devices, quali regole osservano tali soggetti ed eventuali terze parti coinvolte, direttamente o indirettamente, nell'accesso alle informazioni riguardanti i fruitori dei dispositivi? Quale è la quantità e natura dei dati raccolti automaticamente dal device , la finalità della raccolta e le modalità del loro successivo trattamento? Già per quanto riguarda devices mobili “tradizionali”, come smartphone e tablet, sono stati manifestati dubbi riguardo la gestione della privacy in relazione alle informazioni sugli utenti , quando si scaricano e utilizzano app , o per quanto riguarda il trattamento dei dati da remoto e la geolocalizzazione . Si pensi, ad esempio, ad un'eventuale raccolta di dati sulla posizione e gli spostamenti del fruitore , effettuata magari anche a sua insaputa, per poi essere condivisi tramite i social networks o il web e le conseguenti implicazioni legate alla diffusione di tali informazioni che, peraltro, possono rivelare abitudini personali e informazioni riguardanti la sfera più intima della persona. Problemi, questi, che possono essere amplificati se si considerano le potenziali funzionalità del wearable devices. Lo scenario sopra delineato impone quindi una prima individuazione di alcune regole fondamentali applicabili per assicurare un corretto trattamento dei dati personali riguardanti il fruitore alla luce del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (recante il Codice in materia di protezione dei dati personali). Cfr. BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della persona. Il conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss 46 riservatezza, ma si è esteso fino a ricomprendere anche l'identità personale, cioè l'interesse del soggetto ad una esatta percezione sociale della propria personalità, che trova concreta attuazione nella libertà di mantenere il controllo sul flusso dei dati e sulle informazioni che riguardano e identificano l'individuo (concezione dinamica)95 . Ciò in modo che l'informazione oggetto di trattamento costituisca una fedele, e quindi corretta, rappresentazione dell'attuale, integrale ed effettiva identità personale dell'interessato, aggiornata secondo l'immagine riverberata dallo stesso nel mondo delle relazioni sociali nel corso della propria esistenza . Tale risvolto del diritto alla privacy è diventato una componente prevalente delle azioni di tutela esercitate dagli interessati, anche a seguito del soprattutto, consolidamento di Internet degli dove strumenti confluiscono informatici e, numerosissime informazioni, per lo più prive di contestualizzazione, cioè di collegamenti alla fonte originaria e ad altre notizie in grado di completare e riflettere il profilo attuale di una persona. Le 95 Sul concetto e la portata dell'identità personale si è anche espressa la Corte Costituzionale evidenziando che essa è un bene ex se, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti dell'interessato. Essa si esplicita nel diritto ad essere sé stesso, che esige il rispetto dell'immagine di partecipe alla vita associata di ognuno, con il relativo bagaglio di idee ed esperienze, convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l'individuo. V. Corte Costituzionale, sentenza 24 gennaio-3 febbraio 1994, n. 13. 47 argomentazioni riportate hanno inteso delineare uno statuto della libertà alla luce dei potenziali conflitti che possono insorgere nella dimensione pratica del diritto96. Tanto nel caso della pubblicazione delle intercettazioni telefoniche quanto in quello dei blog su Internet il conflitto si dispiega nell’alveo del medesimo valore di libertà. Ciò in ragione del fatto che il vivere in società implica un costante confronto con l’altro, le cui ragioni, rivendicazioni e pretese non sono inferiori alle proprie e tali da non dover essere prese in considerazione97. La rivendicazione di un diritto fondamentale deve fare i conti con le altrettante rivendicazioni degli altrui diritti. Ci troviamo in sostanza dinnanzi ad una costrizione logica ad universalizzare i diritti che rivendichiamo per noi, poiché alla luce della “relazione di rinvio” tra diritto e obbligo, ci troveremmo obbligati dai diritti altrui98. Le libertà fondamentali, poi, “non solo si limitano l’una con l’altra ma sono anche autolimitanti” poiché, se ciascuno rivendi- casse una libertà senza limiti, allora nessuno 96 BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della persona. Il conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss. 97 SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss. 98 FIORAVANTI M., Costituzione e popolo sovrano. La Costituzione italiana nella storia del costituzionalismo moderno. Bologna: Il Mulino, 2004, p. 58 e ss. 48 potrebbe praticamente fruirne. E dunque tradotto ciò nei termini di una teoria della democrazia, risulta abbastanza evidente che questa, se procede per discussioni e deliberazioni, deve avere dei fondamenti tali che non possano essere travolti dalla mera volontà di uno o più partecipanti. Se la democrazia è deliberativa, essa ha oltre che un carattere volitivo un certo carattere cognitivo. Questo ovviamente risulta indisponibile alla mera volontà dei soggetti99. Ma se così è, non si può parlare di veri e propri limiti alla libertà. Quest’ultimi, infatti, tradotti sul piano operativo, si presentano piuttosto come pre-condizioni che, invece di limitare la libertà, individuano la strada per renderla effettivamente fruibile. I diritti, allora, non sono qui solo “rules of obligation” alla maniera di Hart, o “rules of just conduct” alla maniera di Hayek, ma anche “rules of power” (nella terminologia di Hart) o “rules of organization” (nel lessico di Hayek)100. Ciò significa che la controversia e la deliberazione di cui si compone la politica devono darsi come attività mediante le quali i diritti vengono resi operativi e il loro 99 BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della persona. Il conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss. 100 Citato da LA TORRE M., Cittadinanza e ordine politico. Diritti, crisi della sovra- nità e sfera pubblica: una prospettiva europea, 2004, Torino Giappichelli, p. 125 e ss. 49 reciproco riconoscimento riprodotto e precisato101. I diritti fondamentali non varranno così solo nei rapporti tra autorità pubbliche (Stato) e cittadini (privati), ma anche nei rapporti tra privati e persino all’interno della struttura dello Stato102. Dentro il recinto della respublica non può esserci in via di principio nessuno spazio opaco ai diritti e impenetrabile ad essi. E dunque, in conclusione, soltanto se i diritti trovano limitazioni in altrettanti diritti, potremmo affermare, nei casi in questa sede trattati, di poter ancora respirare, come diceva Norberto Bobbio103, l’alito della libertà che impedisce di poter accettare supinamente che “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza. 101 FIORAVANTI M., Costituzione e popolo sovrano. La Costituzione italiana nella storia del costituzionalismo moderno. Bologna: Il Mulino, 2004, p. 58 e ss. 102 CONTE G. A., Regola costitutiva, condizione, antinomia. In Uberto carpelli (a cura di), La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio. Milano, Comunità., 1983, p. 36 e ss. 103 Citato da LA TORRE M., Cittadinanza e ordine politico. Diritti, crisi della sovra- nità e sfera pubblica: una prospettiva europea, 2004, Torino Giappichelli, p. 125 e ss. 50 CAPITOLO SECONDO 2 DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTI DELLA PERSONALITA’ 2.1. Nozione di diritto all’oblio Il diritto all’oblio, così comunemente definito secondo un 51 lemma mutuato dalla cultura giuridica francese104, è sostanziato dall’interesse dell’individuo a che le vicende personali vissute in passato, legittimamente divulgate all’epoca del loro accadimento, non costituiscano oggetto di rievocazione che, non giustificata da un attuale interesse sociale alla notizia, possa ledere la sfera di riservatezza e/o possa proiettare in ambito sociale una immagine della persona che non coincide con quella evolutasi nel corso del tempo105. Per diritto all’oblio s’intende dunque il diritto di essere dimenticati da quella dimensione che si era resa legittimamente pubblica. Questo diritto presuppone il progressivo degrado del ricordo legato alla distanza temporale del fatto. Obliare o dimenticare è una posizione dello spirito, un atteggiamento della mente, una caduta della memoria, e questo fatto, essendo in sé incoercibile, si potrebbe pensare che non si presti ad essere 104 LINDON R., Les droits de la personannalitè, Paris, 1983, p. 21 105 In dottrina, sul diritto all’oblio si vedano: AA.VV., Il diritto all’oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997, GABRIELLI (a cura di), Napoli, 1999; AULETTA, Diritto alla riservatezza e “droit à l’oubli”, in ALPA-BESSONE-BONESCHICAIAZZA (a cura di), L’informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983, p. 127 e ss.; FERRI, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in RDC, 1990, p. 801 e ss.; MORELLI, voce Oblio (diritto all’), in Enc. dir. Agg., VI, Milano, 2002; da ultimo, MEZZANOTTE, Il diritto all’oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Napoli, 2009. 52 valutato giuridicamente, né ad essere incasellato nelle categorie del diritto o del dovere. Si potrebbe pensare che, trattandosi di notizie e fatti già diffusi, sarebbe impossibile invocare per essi una tutela, arrivando così alla conclusione che il diritto all’oblio non sarebbe un vero e proprio diritto, in quanto riguarderebbe interessi privi di tutela. Tuttavia un fatto rimane nella sfera privata della persona, non solo quando la notizia, il documento o l’immagine circolano da privato a privato, ma anche quando la notizia abbia avuto un ambito di diffusione e di notorietà ben più ampio. Si tratta in altre parole di distinguere l’area privatistica attinente la persona, da quella di rilevanza pubblica, in quanto solo dove si possa riconoscere un interesse sociale o una rilevanza pubblica alla diffusione delle notizie, è possibile l’intrusione nella sfera privata dell’interessato anche senza il suo consenso. Il diritto all’oblio prevede che non si possano riferire nomi e cognomi, relativi a un fatto di cronaca avvenuto anni prima: coloro che abbiano scontato la propria pena e che si siano riabilitati, hanno diritto di essere dimenticati. Ma la dimenticanza è un fatto temporaneo, contingente, mentre l’oblio è un fatto duraturo, di scomparsa del ricordo dalla memoria. 53 La riproposizione di un fatto passato, non fa altro che attualizzare nuovamente il fatto stesso, anche se la persona è talmente cambiata da non essere più la stessa che ha compiuto il fatto. La lontana imputazione per fatti ormai passati, non più attuali non possono divenire segni indelebili di un’identità. Riproporli all’attenzione pubblica esige il rispetto dei principi di finalità e pertinenza, in un contesto in cui assumono rilevanza primaria la correttezza dell’informazione e, soprattutto, la dignità della persona. Il passato di una persona, quando non rappresenti la premessa necessaria per definirne l’attuale sua presenza sociale, deve restare nell’oblio, soprattutto quando l’evocazione di esso possa alterare la posizione presente del soggetto. Dall’applicazione del diritto all’oblio può dipendere la libertà di determinarsi autonomamente, di potersi dispiegare pienamente le potenzialità di ognuno; la liberazione dal passato diviene anche il modo per ricostruire condizioni di imprevedibilità. A nessuno deve essere negata la possibilità del ravvedimento e del riscatto, di cui è prova sociale il mancato ripetersi nel tempo di comportamenti incriminati. Il diritto all’oblio rende reale questa possibilità, ponendo davanti agli occhi altrui un velo di ignoranza al riparo dal 54 quale si può tornare ad agire come se quel passato non fosse mai stato. Come il diritto all’identità personale, così il diritto all’oblio, che da quello è gemmato, è figlio della comunicazione. Il diritto all’identità personale è il diritto ad esercitare una forma di controllo sulla propria immagine sociale, che può giungere fino a pretendere che alcuni eventi siano dimenticati. Ma nato dalla cronaca, vive una nuova vita su Internet. Infatti, la ripubblicazione non è più necessaria, dal momento che, per la sua stessa struttura, difficilmente la Rete dimentica106. Le raccolte elettroniche di informazioni personali, i motori di ricerca che consentono di rintracciare su Internet qualsiasi dato rilevante, costituiscono un’insostituibile fonte di conoscenza, ma pure il luogo dove nulla si perde o viene dimenticato, dove il passato non passa mai. Qui la prospettiva è radicalmente diversa. Non si tratta solo o necessariamente di una ripubblicazione dell’informazione, piuttosto di una permanenza della stessa. Non si tratta di una 106 FINOCCHIARO G., la memoria della rete e il diritto all’oblio, p. 7 55 notizia o di una foto ripubblicate, bensì di una notizia o di una foto che permangono sempre accessibili. Allora l’oblio assume una prospettiva diversa: non si può fare riferimento al tempo trascorso fra un evento e l’altro, ma invece al tempo di permanenza dell’informazione. Non si tratta di un evento che si ripropone all’attenzione del pubblico, bensì di un evento che potenzialmente non è mai uscito dall’attenzione del medesimo. Siamo di fronte ad un continuum temporale107. Il rapporto tempo/informazione è di durata e non più puntuale e quindi richiede una nuova e diversa declinazione. Il diritto all’oblio su Internet non pone più il problema del diritto a dimenticare, poc’anzi menzionato, ma del diritto dunque a cancellare, o quanto meno a contestualizzare. Ma cosa vuol dire diritto a cancellare? Si tratta di un diritto di del soggetto a controllare sempre, in modo assoluto, quali informazioni siano reperibili in rete e di richiederne in ogni momento l’eliminazione? O è necessaria la lesione della sua identità personale o della sua riservatezza affinchè possa invocarsi diritto all’oblio? E’ quindi il 107 FINOCCHIARO G., op. cit. p.10 56 diritto all’oblio un diritto a sé stante o è il derivato, la conseguenza naturale della lesione di uno dei due diritti menzionati? Come si cercherà di dimostrare nella presente trattazione, il diritto all’oblio in Rete deve, esattamente come il diritto all’oblio fuori dalla Rete, necessariamente bilanciarsi con altre esigenze, quali per esempio quelle del diritto di cronaca e di informazione nel momento attuale. 2.2 Fondamento del diritto all’oblio Il diritto all’oblio trova il suo fondamento, secondo il prevalente orientamento della dottrina108, come tutti gli altri diritti della persona, nell’art. 2 della Costituzione, inteso come clausola “aperta” immediatamente precettiva, in grado di apprestare tutela a tutti i valori che, secondo la tesi monistica, sono riconducibili alla persona e che emergono in un processo in continua evoluzione, secondo una concezione per così dire dinamica che ha indotto la 108 DE CUPIS, Bilancio di una esperienza: diritto all’identità personale, in AA.VV., Milano, 1985, pp. 189 ss.; MACIOCE “Tutela civile della persona e identità personale”, Padova, 1984, p. 9 57 Corte Costituzionale a ricondurre nell’alveo della inviolabilità di cui all’art. 2 della Costituzione anche il diritto all’abitazione109, nonché il diritto dei figli incestuosi al riconoscimento della paternità110. Un ulteriore pregnante riferimento normativo appare ravvisabile nel principio di libertà sancito dall’art. 3 della Carta costituzionale. E’ infatti tale libertà, intesa ovviamente come condizione della persona nell’insieme del suo patrimonio spirituale, che costituisce il presupposto del potere di autodeterminarsi secondo la propria identità e che costituisce, quindi, il fulcro dello stesso diritto all’oblio che, appunto, di tali valori si compone. La rete di informazioni che emergono nel raffronto tra le diverse banche dati può proiettare in ambito sociale una immagine dell’individuo che non coincide con quella reale. L’identità in questione non è ovviamente quella, per così dire, oggettiva, costituita dall’insieme dei dati, per lo più anagrafici che 109 Corte Costituzionale, sent. N. 559/89 110 Corte Costituzionale, sent. N. 494/02 58 valgono, a fini evidentemente pubblici, a contraddistinguere ciascun cittadino, ma è quella disegnata dal “modo con cui un soggetto viene presentato agli occhi del pubblico attraverso l’insieme delle informazioni che lo riguardano111 e che corrispondono alla esigenza dell’uomo di vedersi riconosciuto in seno alla collettività per i propri autentici valori etici, ideologici e professionali112. E’, in negativo, l’esigenza a che non vengano disconosciuti i propri comportamenti e a che non ne vengano attribuiti altri che non facciano parte della propria individualità. Ciò in una proiezione dell’immagine che l’individuo ha di sé, ma soprattutto nell’immagine enucleabile dall’insieme dei comportamenti oggettivamente riferibili al soggetto percepiti o percepibili dalla società113. Il diritto all’identità personale114, nel quale il diritto all’oblio 111 RODOTA’ S., Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, p. 109 112 Cassazione 978/96 – 2575/90 e Corte Costituzionale sent. N. 13/94 113 RICCIUTO A., Diritto di rettifica, identità personale 114 ZENO ZENCOVICH, Voce Identità personale, in D.I. Sez. Civ., IX, Torino, 1995, p. 295 59 affonda le proprie radici, protegge il bene giuridico della “proiezione sociale dell’identità personale”. Il diritto all’identità personale è diritto che nasce nell’epoca delle comunicazioni di massa ed è diritto figlio della comunicazione115. La proiezione sociale di un soggetto è moltiplicata nella società della comunicazione, dove la relazione sociale diviene la comunicazione di massa. Un vero e proprio diritto all’identità è stato riconosciuto per la prima volta nella sentenza con la quale il Pretore di Roma, il 6 maggio 1974, affermava l’esistenza del diritto a “non vedersi travisare la propria personalità individuale”; successivamente, la Cassazione riconosceva l’esistenza dell’interesse del soggetto… di essere rappresentato nella vita di relazione con la sua vera identità”.116 Alcuni studiosi attribuiscono a detto interesse una posizione 115 Così ROPPO, Un diritto dei mezzi di comunicazione di massa?, in RCDP, 1983, p. 75 ss. Svolge analoghe considerazioni in relazione alla nascita del diritto alla riservatezza, AULETTA, “Riservatezza e tutela della personalità”, Milano, 1978, p. 4 ss. 116 Cassazione 3769/89 60 soggettiva autonoma117 ed altri ritengono che, mancando una base testuale, si tratta, invece, di un mero risvolto di altri diritti. La lesione del diritto all’identità ha luogo, come accennato, allorquando vengono attribuiti al soggetto profili ed eventi che alla sua personalità non siano riferibili, anche se in un tempo passato lo siano stati. Infatti, circostanza che nella considerazione sociale caratterizzano un individuo in una determinata fase della vita non risultano a tanto idonee in una fase temporale successiva, nel corso della quale siano intervenuti mutamenti, come, ad esempio, quando l’autore di condotte riprovevoli, successivamente si ravveda e perciò si adoperi in attività eticamente commendevoli. E’ evidente che la divulgazione di vicende trascorse, già di pubblica conoscenza ma con il passare del tempo non più oggetto di attenzione da parte della collettività, rappresenta una immagine sociale alterata dell’individuo, non corrispondente alla veridica identità. Inoltre, risulta aggredita la sfera di riservatezza in quanto soltanto a questa appartengono i fatti pregressi ormai cancellati 117 DE CUPIS La verità nel diritto, Firenze, 1952, p. 223 e ZENOZENCOVICH “Identità personale” in Digesto civ. IX, Torino, 1995 61 dalla memoria della collettività. L’esigenza di evitare che i propri dati possano essere elaborati da terzi diviene ancora più incalzante allorché i dati siano inseriti nella rete. Con tale strumento le informazioni circa la vita privata degli utenti vengono immagazzinate senza limiti temporali e spaziali e vengono fatti circolare velocemente a livello planetario e, pertanto, diventano tendenzialmente insuscettibili di controllo da parte degli interessati. Anzi, possono costituire oggetto di intercettazione da parte di soggetti non autorizzati; tanto che si è reso necessario l’intervento del legislatore che ha approntato (L. 547/93) una specifica disciplina di natura penale circa le comunicazioni elettroniche e il cosiddetto domicilio informatico, sanzionando l’attività sia di colui che diffonda virus nel sistema, sia di colui che intercetti messaggi o, come nel caso dei cosiddetti hackers, acceda ad un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantenga contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto ad escluderlo (art. 615 c.p.). 62 In realtà, gli operatori internet registrano, a vario titolo, le informazioni relative al soggetto che “naviga” in rete, anche in maniera occulta mediante l’elaborazione dei cosiddetti “dati di traffico” e conservano la raccolta ai fini di marketing, rivendendola a società pubblicitarie. In tale situazione, soltanto l’esercizio del controllo sui propri dati, sino ad ottenerne la cancellazione, può garantire118 che non venga lesa la riservatezza, ma anche la stessa identità personale: siamo, così all’habeas data. L’interesse a che non venga pregiudicata la persona sotto il duplice profilo come ora evidenziato, della riservatezza e della identità, sostanzia il cosiddetto diritto all’oblio. La configurabilità, al riguardo, di una autonoma posizione giuridica, non è pacifica tra gli studiosi. Alla posizione di coloro che annoverano un autonomo diritto all’oblio tra i diritti “inviolabilità”, di cui all’art. 2 della Costituzione119, si contrappone quella degli studiosi che 118 RODOTA’ S., Una scommessa impegnativa sul terreno dei diritti in www.interlex.it/675rodotà6htm 119 PERLINGERI P., La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli, 63 riconducono il diritto all’oblio alla categoria della identità personale120 o che identificano il diritto all’oblio con il diritto alla riservatezza121, o che intendono il diritto all’oblio come diritto all’onore122. In realtà, il diritto all’oblio, come detto, è riferibile senza dubbio sia all’area del diritto alla riservatezza, sia nell’area del diritto all’identità, ma da entrambi si distingue per l’elemento specializzante costituito dall’oblio che consegue allo scorrere del tempo. Il diritto all’oblio non ha per oggetto, così come è per il diritto alla riservatezza, la sfera privata in generale, bensì una peculiare riservatezza che potremmo definire “ricostruita” o, se si preferisce”, “a tempo”, ovvero quella che consta dei fatti privati un tempo pubblicizzati e, successivamente, sepolti nei meandri dell’oblio. Parimenti, rileva il fattore tempo, per quanto concerne il profilo dell’identità personale dal momento che questo, essendo 1972 120 CRIPPA L., Il diritto all’oblio alla ricerca di una autonoma definizione 121 CASSANO G.,Il diritto all’oblio: è diritto alla riservatezza 122 MAZZARACCHIA A., Sul c.d. diritto all’oblio, in Giust. Cost. 1997 64 “costruzione continua”, secondo una espressione del Rodotà123, va considerata per i valori124 che emergono dopo che i fatti pregressi sono stati coperti dal manto dell’oblio, secondo una massima che la Scolastica ha mutato da Aristotele: motus denominatur magis a termino ad quem quam a termino a quo. La definizione comunemente usata per il diritto in argomento appare lessicalmente impropria, o quanto meno, inadeguata. La preposizione “all’” posta a precedere il termine “oblio” sta a significare una pretesa a che i terzi dimentichino. Si tratta, tuttavia, di un evidente paradosso, in quanto l’oblio, essendo un impulso fisiologico spontaneo, non rientra nella sfera di volontarietà dell’azione in ordine alla quale possa essere configurato un potere autoritativo. Più propriamente, si tratta di un diritto alla non riesumazione di fatti sottoposti al processo ablatorio determinato dall’oblio. Non può non evidenziarsi, inoltre, una indeterminatezza dei contorni stessi del diritto. 123 RODOTA’ S., Persona, riservatezza, identità, prime note sistematiche sulla protezione dei dati personali, pag. 607 124 Cassazione 978/96 65 Il diritto all’oblio è in dipendenza, come riferito innanzi, di un elemento positivo, quello del decorso di un lasso di tempo che importi oblio, nonché in dipendenza di un elemento negativo, quello della insussistenza di un apprezzabile interesse sociale alla notizia. Ma il lasso di tempo che importi oblio non ha una dimensione normativamente definita, a differenza di quanto avviene per altre fattispecie nelle quali l’ordinamento collega al decorso di un tempo stabilito il perfezionamento di un determinato effetto. Così come accade, ad esempio, in materia di lavoro ove è previsto l’oblio dei dati del lavoratore (art. 7 del codice in materia di protezione dei dati personali) dal momento che costui ha diritto di ottenere la cancellazione delle informazioni contenute nella banca dati aziendale allo spirare di un termine, quello di prescrizione dei diritti nascenti dal contratto di lavoro. Parimenti, in ambito penale, l’oblio del reato e della pena è regolato sulla scorta del termine delle relative prescrizioni previste, rispettivamente, negli articoli 157 e seguenti del codice penale e 172-173 del medesimo codice. Ancora ad un termine certo è legato l’oblio costituito dalla 66 riabilitazione del condannato, di cui all’art. 178 del codice penale, a quello costituito dalla cancellazione dalla lista protesti. E nemmeno esistono parametri certi per la valutazione del livello di oblio essendo indeterminata la dimensione temporale che, si ripete, ne è il presupposto, nonché per la valutazione della serietà dell’interesse s ociale alla notizia, essendo artefici di tale compito, paradossalmente, spesso gli stessi giornalisti. In tale situazione, si impone la necessità di una oculata ponderazione da parte dell’interprete, delle circostanze di fatto relative alla varie fattispecie di oblio, ivi comprese le circostanze date dal livello di notorietà della persona coinvolta e dalla natura del mezzo di divulgazione adoperato nel caso, essendo evidente la diversità di incidenza nella memoria della notizia fornita da un quotidiano anziché da un libro. 2.3 Il rapporto tra il diritto all’oblio e le altre “libertà” 67 In una società proiettata nell'era dell'innovazione telematica, una adeguata protezione dei dati personali costituisce l'unica garanzia idonea a scongiurare il pericolo che le tecnologie emergenti si traducano in strumenti potenzialmente lesivi della riservatezza delle persone. Tale esigenza è stata avvertita soprattutto con riferimento all'attività giornalistica e, più in generale, alla libera manifestazione del pensiero, che trovano entrambe un riconoscimento costituzionale nell'art. 21 della Carta fondamentale . A fronte di tali libertà si situa, in posizione in parte antitetica, il diritto alla protezione dei dati personali, anch'esso annoverato tra i diritti di rango costituzionale, in quanto espressione dei diritti e delle libertà inviolabili di ogni essere umano ai sensi dell'art. 2 della Costituzione 125: ed è proprio questo ancoraggio costituzionale che 125 Tale disposizione ha assunto le sembianze di "clausola aperta", a salvaguardia dei diritti emergenti dell'individuo, indispensabili al libero e completo svolgimento della personalità umana, anche se non espressamente disciplinati nella Carta costituzionale. La riservatezza trova comunque completamento, a livello costituzionale, negli artt. 13 sulla libertà individuale, 14 su quella domiciliare, 15 sulla segretezza della corrispondenza, 21 sulla libertà di manifestazione del pensiero, e si configura come un diritto esperibile nei confronti di chiunque tratti dati personali, sia esso soggetto pubblico o privato. Tale indirizzo interpretativo discende da una crescente valorizzazione degli esseri umani, nonché dei diritti e dei doveri ad essi correlati, che si traduce in una visione antropocentrica dei testi normativi a tutto vantaggio del singolo. In effetti, una tale concezione sembra aver ispirato anche il legislatore all'atto della stesura del D.Lgs. n. 196/2003, che ha significativamente 68 consente di operare un bilanciamento tra le due posizioni giuridiche in conflitto. Nell’articolo 21 della Costituzione, come detto, è tutelata la libertà di manifestazione, nonché di diffusione del pensiero quale che sia la natura dei mezzi adoperati, quando anche questi vengano concretizzati attraverso una mera presenza corporea come, ad esempio, nell’ipotesi dei sit-in; e la tutela è anche in senso negativo, nella forma del silenzio, nel senso del generale diritto di tacere, al quale si sottrae soltanto colui che ha la veste di testimone, nei limiti, ovviamente, di cui agli artt. 199 e segg. del codice di procedura penale. Si tratta della stessa tutela proclamata dall’art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo per questa forma di libertà, che la Corte Costituzionale ha definito “pietra angolare rubricato l'art. 1 come "Diritto alla protezione dei dati personali", evidenziando così una tutela a tutto campo dei dati personali, non più limitata alla riservatezza nei suoi termini essenziali (rectius nel diritto ad essere lasciato solo), ma che si estende alla persona nel suo complesso. Ciò si traduce nella c.d. autodeterminazione informativa, intesa quale diritto ad una corretta (ri)costruzione o rappresentazione della propria identità, che non può essere soddisfatta con il semplice diritto alla riservatezza, ma si arricchisce con ulteriori facoltà volte a controllare la forma, la consistenza e la circolazione delle informazioni personali (v. infra). Per ulteriori approfondimenti, si consulti MODUGNO F, I "nuovi diritti" nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995, 20; S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 102 69 dell’ordine democratico”, evidentemente nella prospettiva secondo la quale tutte le libertà previste non avrebbero significato se non fosse, innanzitutto, garantita la libera circolazione delle idee, dei sentimenti, delle valutazioni che orientano le scelte di vita. La tutela è anche nei confronti delle persone giuridiche e, per assetto giurisprudenziale, ovviamente anche nei confronti degli stranieri. L’ampiezza della tutela è corroborata dalla previsione del divieto di imporre autorizzazioni o censure per la stampa (principale mezzo di informazione all’epoca del varo della Costituzione), nonché dal divieto, che era già stato previsto invero, dal d.lgs. 561/46, di sequestro salvo che nel caso di delitto a mezzo stampa espressamente previsto; l’unico limite è costituito dal divieto di “manifestazioni contrarie al buon costume”. Tale vincolo è stato oggetto di ampie discussioni volte a definirne la portata, inevitabilmente condizionata dalle evoluzioni etiche del tempo e, tuttavia, immutata la lettera della norma, l’orientamento della Corte Costituzionale è nel senso di ricondurre la nozione di “buon costume” essenzialmente alla sfera del pudore sessuale. 70 Ulteriore limite, oltre a quello della contrarietà al buon costume posto dalla Costituzione in via preventiva e in generale, sono, secondo quanto di seguito, intrinseci alle varie forme di manifestazione del pensiero. La cronaca costituisce una delle possibili estrinsecazioni della libertà sancita nell’art. 21 della Costituzione. Essa risponde ad un interesse della collettività all’informazione, tanto da poter essere considerata come servizio oggettivamente pubblico o di pubblico interesse . Le condizioni per l’esercizio della cronaca sono date fondamentalmente dall’esigenza che la notizia sia autentica e veridica, che esista un interesse pubblico alla divulgazione dei fatti, che le espressioni usate siano corrette, come posto in evidenza dalla famosa spentamente della Cassazione nota come “decalogo del giornalista“ . Quanto alla veridicità e autenticità della notizia, premesso che il rispetto di tale requisito costituisce un “obbligo inderogabile” per il giornalista, secondo il disposto dell’art. 2 comma 1 della legge 69/63, obbligo da ritenersi esteso, ex art. 137 del codice in materia 71 di protezione dei dati personali, a chiunque manifesti il proprio pensiero sui mezzi di diffusione, va evidenziato che il giornalista è tenuto ad operare una scelta oculata delle fonti informative e ad effettuare una valutazione rigorosa circa la loro attendibilità, anche interpellando, quando possibile e necessario, la persona che dalla pubblicazione potrebbe essere lesa, onde poter attingere dalla stessa eventuali spiegazioni e precisazioni. Soltanto in seguito a tale diligente comportamento appare giustificabile la cosiddetta verità putativa in luogo di quella reale. Coessenziale alla “verità” della notizia è la completezza della stessa, in quanto “una notizia monca od incompleta (…) può ledere l’onorabilità dell’interessato e la proiezione sociale della sua personalità” e, tra l’altro, vanificare la legittima aspettativa dei cittadini di ricevere informazioni corrette. La notizia, perché possa esserne lecita la diffusione, deve rispondere all’esigenza di un interesse pubblico alla conoscenza, secondo il principio cosiddetto della “pertinenza”, nel senso che l’interesse deve avere una effettiva rilevanza sociale sotto il profilo politico, storico, culturale, scientifico, etc. e non essere quello diretto a soddisfare piccole curiosità. 72 La “pertinenza” va accertata, ovviamente, secondo il parametro della contemporaneità (ossia dell’attualità) tra fatto e informazione nonché secondo criteri desumibili dalle concrete circostanze, tra le quali, non ultima, la posizione rivestita dalle persone coinvolte. E’ evidente, infatti, che l’informazione può assumere una dimensione diversa quando essa riguardi, ad esempio, uomini politici. Costoro non agiscono uti singuli, ma come rappresentanti delle istituzioni e, pertanto, l’informazione circa il loro operato, purché ovviamente attinente alla carica ricoperta, non può avere zone d’ombra stante l’interesse del cittadino a giudicare circa la serietà con la quale viene svolto il mandato. In quest’ottica appare lecita anche la pubblicazione di intercettazioni telefoniche disposte per fini investigativi, secondo le modalità, tuttavia, imposte dal Garante della privacy e nei limiti richiamati dallo stesso Garante, derivanti dal disposto di cui agli articoli 114 e 329 del codice di procedura penale. Con riferimento alla accennata necessità che la esposizione dei fatti sia strettamente funzionale alla ricostruzione degli stessi secondo un criterio di essenzialità , va evidenziato che malgrado 73 possa essere attinti dati senza il consenso dell’interessato quando essi provengano da “pubblici registri, elenchi e documenti conoscibili da chiunque” , malgrado le deroghe di cui all’art. 1 del codice di deontologia dei giornalisti, deroghe già previste dall’art. 9 della direttiva CE 95/46, relative al trattamento dei dati senza il consenso dell’interessato, peraltro sempre indispensabile per i dati “super sensibili” (salute e orientamento sessuale), è da evitare la pubblicazione dei dati identificativi dei protagonisti ove questi non rilevino ai fini della comprensione della vicenda e che comunque, vi è “indisponibilità” della informazione in ragione delle finalità di cui all’art. 6 comma 1 del codice di deontologia dei giornalisti, che deriva dall’attuazione della direttiva CE ultimamente richiamata. I limiti e gli obblighi connessi al diritto di cronaca, ora riferiti, tralasciando di considerare, nell’economia della presente trattazione, gli altri dati dall’istituto della proprietà letteraria, artistica e industriale, da segreti d’indole pubblicistica, da tutela dell’ordine pubblico, sono quelli che, per la loro interferenza con i diritti della persona, costituiscono una barriera di protezione per tali diritti, in particolare per la sfera di riservatezza personale. In tale ottica, appare sancito l’obbligo di rettifica che incombe 74 sul giornalista, già previsto dall’art. 8 della legge sulla stampa (L. 47/48) come modificato dalla legge 416/81, esteso, poi alla radiotelevisione mediante l’art. 10 della L. 223/90. La cronaca, allorché di natura giudiziaria, per le sue peculiarità, induce una sorta di compressione sul diritto all’oblio. Questo diritto trae la sua ragion d’essere dal fatto che notizie personali divenute pubbliche in un determinato momento cessano di essere tali poiché caducate dall’oblio, ma le vicende oggetto di procedimento penale non perdono la caratteristica della pubblicità, nemmeno dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Anche gli atti relativi a procedimento celebrato a porte chiuse che siano stati sottoposti dal Giudice a divieto di pubblicazione e relegati negli archivi, sono comunque pubblici in una proiezione temporale permanente dopo la scadenza del termine previsto dalla legge sugli archivi di Stato (art. 21 DPR 1409/63). Va anche evidenziato che la cronaca giudiziaria, oltre a rispondere ai requisiti di verità, di pertinenza, di continenza della forma, deve essere ispirata al principio costituzionale (art. 27 della Costituzione) di non colpevolezza dell’imputato e che, tuttavia, dilagano sempre più frequentemente, purtroppo, ricostruzioni spettacolari di vicende 75 giudiziarie attraverso il mezzo televisivo e internet, ove nel “foro mediatico” viene addirittura elaborato il materiale probatorio ad opera di personaggi più o meno noti, sino al punto che la “verità virtuale” diventa dominante in sprezzo del ricordato principio di non colpevolezza. Diversamente dal diritto di cronaca, imperniato essenzialmente sulla narrazione dei fatti, la critica presuppone valutazioni e giudizi che necessariamente, per la loro intrinseca natura, non possono essere obiettivi. Pertanto, purché non si tratti di mere aggressioni gratuite in danno del soggetto interessato, i giudizi di dissenso, quand’anche inquietanti perché contenenti “toni aspri e di disapprovazione pungenti ed incisivi” , vanno ritenuti ammissibili in ragione del principio di pluralismo delle idee proprio di una società democratica. Il compito di bilanciamento si impone all’interprete, ovviamente, soprattutto e con estrema delicatezza, nell’ipotesi di confliggenza dei diritti della persona con le varie forme di manifestazione del pensiero. Trattasi di diritti, in entrambi i casi, di rilievo costituzionale e 76 manca una regola precostituita per il relativo coordinamento. Soccorre, allora, un giudizio di valore circa la preminenza di uno dei diritti rispetto ad altri, basato sull’analisi degli elementi di fatto in una ottica di tendenziale oggettività. Nell’ipotesi della cronaca, nel giudizio di valore appare rilevante il grado di verità del quale è permeata la notizia. Infatti, la cronaca ha in sé la giustificazione rappresentata dal fine al quale essa è preordinata: quello della narrazione dei fatti nella loro realtà. Ciò posto, va considerato se la cronaca, ove non imperniata sulla cosiddetta verità oggettiva, riguardi la persona nella sua globalità oppure soltanto aspetti marginali della stessa, tanto da poter essere ritenuto, secondo il tenore di numerosa giurisprudenza, preminente, in quest’ultimo caso, il diritto di cronaca. Più difficile appare l’opera di bilanciamento con riferimento al diritto di critica, avendo tale diritto confini molto ampi. Non soccorre, nella fattispecie, il criterio della veridicità della notizia se non come fatto presupposto alla critica. L’unico parametro di riferimento è dato dal valutare se il giudizio del critico è fondato o meno, su una premeditata alterazione 77 dei fatti o sulla attribuzione di fatti non veri o veri ma decontestualizzati, con volontario intento denigratorio. Per quanto concerne la satira, va premesso che essa ha natura ibrida in quanto costituisce per un verso espressione della libertà di manifestazione del pensiero, mentre, per altro verso, essa appare un aspetto della libertà di creazione artistica; pertanto si riscontrano, corrispondentemente, posizioni dottrinarie contrastanti. Secondo alcuni autori la satira sottintende comunque un messaggio ed è, pertanto, assimilabile alla critica, mentre, per altri essa non può essere percepita come fonte di informazione stante la evidente inverosimiglianza e deformazione delle rappresentazioni. In realtà, può esservi talvolta uno stretto collegamento tra la satira e l’informazione ove, ad esempio, bersaglio diretto della satira è la notizia rappresentata in un articolo di giornale e, in tal caso, il criterio di bilanciamento è dato dalla valutazione della verità della notizia. Ove, invece, prevalga l’opera di elaborazione artistica, è la libertà creativa dell’artista che assume preminenza. Tuttavia, occorre precisare anche che la elaborazione artistica può, a sua volta, talora assumere i tondi della denuncia, come nel 78 caso dei documentari, nei quali la realtà si interseca con la fantasia senza distinzione tra verità verosimiglianza. Risulta allora fondamentale accertare se, e con quanta incidenza, alla base della rappresentazione artistica siano assunti fatti non veri o se, invece, l’opera sia frutto prevalente di fantasia con richiami marginali delle vicende reali. I criteri secondo i quali può essere operato dall’interprete il bilanciamento tra il diritto all’oblio e la libertà con la quale è manifestato il pensiero nelle varie forme possibili sono intrinsecamente indeterminati. Ciò rende arduo il compito della ricerca del punto di equilibrio tra i contrapposti interessi, considerato che ciascuno di questi è, con pari grado di intensità, fattore propulsivo del “pieno sviluppo” (art. 3 della Costituzione) dell’individuo nella collettività, essendo il bene valore della persona fondato senza dubbio sull’interesse alla riservatezza e all’oblio ma non di meno sulla libertà di manifestazione e diffusione del pensiero nell’ambito sociale, del quale si è necessariamente partecipi e che costituisce il cardine del regime di democrazia. 79 Nel settore della comunicazione emerge dunque il problema di determinare l'oscillante limite intercorrente tra la tutela della privacy e il diritto all'informazione: diritti speculari e riconosciuti anche a livello europeo e internazionale (a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dalla CEDU fino alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, solo per citare gli strumenti più rappresentativi) in quanto espressione di una società democratica, che nella realtà sono in continua tensione. Il diritto dei cittadini ad essere informati, così come il diritto di informare, ineludibile corollario della libertà di espressione, ed anche la trasparenza della pubblica amministrazione, non possono degradare il diritto alla protezione dei dati personali. Diritto, peraltro, che non esaurisce semplicemente nella pretesa erga omnes a proteggere e mantenere riservata una sfera intangibile di intimità dell'individuo da possibili ingerenze altrui non giustificate da superiori interessi (concezione statica), ma si estende ben oltre gli angusti confini di quella che comunemente si definisce privacy. La protezione dei dati personali di distingue concettualmente e non si esaurisce nella tutela della riservatezza, essendo volta a preservare anche l'identità personale, cioè l'interesse del soggetto ad una esatta 80 percezione sociale della propria personalità che si concretizza nella libertà di mantenere il controllo sul flusso dei dati e delle informazioni che riguardano e identificano l'individuo (concezione dinamica)126, in modo che l'informazione oggetto di trattamento rispecchi fedelmente e, quindi, correttamente, l'attuale, integrale ed effettiva identità personale dell'interessato, aggiornata secondo l'immagine dallo stesso proiettata nel mondo delle relazioni sociali. In tale quadro, assume rilevanza l'esigenza dell'interessato a non vedere riprodotte nel tempo informazioni che lo riguardano, il cui ricordo ha progressivamente assunto contorni evanescenti fino a sbiadire dalla memoria collettiva: emerge cioè il problema di dirimere il conflitto insorgente tra l'interesse di chi è stato oggetto di attenzione mediatica, e intende ritornare nell'anonimato, perché è quella rappresentazione di se stesso che corrisponde alla sua attuale identità, e l'interesse pubblico. In effetti, sebbene sia tutelata la 126 L'identità personale costituisce quindi "un bene per sé medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata". Essa si esplicita nel diritto ad essere se stesso, che esige il rispetto dell'immagine di partecipe alla vita associata, con il bagaglio di idee ed esperienze, convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l'individuo, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, sentenza 24 gennaio-3 febbraio 1994, n. 13. Sul concetto di identità personale e la sua evoluzione nel tempo, si rinvia più diffusamente a FINOCCHIARO G., Voce Identità personale (diritto alla), in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. civ., Agg., Torino, 2010 81 possibilità di diffondere informazioni attraverso il mezzo informatico, una determinata notizia specialmente se riproposta attraverso dei meccanismi tipici della rete internet su diversi motori di ricerca e su copiosi siti internet, rimane all’interno della rete un tempo effettivamente imprecisato. Gli algoritmi utilizzati dai motori di ricerca di ultima generazione di cui Google rappresenta l’esempio più lampante riescono ad individuare all’interno della rete notizie o più in generale contenuti durante un intervallo di tempo decisamente molto lungo. Esistono poi delle copie127 degli stessi siti 127 Con il termine copia chache, nello specifico, si fa riferimento ad una copia del sito internet che viene archiviata e consente la visualizzazione di un sito internet prima di eventuali modifiche avvenute sul sito internet stesso o, ad esempio, anche dopo la rimozione di un determinato contenuto. La cache è un archivio, nel quale sono conservate copie di altri documenti. Tutti i programmi con cui ci colleghiamo a internet, cioè i browser come Internet Explorer, Firefox e Chrome, ne hanno una e la usano per conservare una copia di tutte le pagine che visitiamo: in questo modo, se torniamo a un sito già visitato in precedenza, il browser potrà sfruttare la copia nella cache per caricarlo più velocemente. A noi, però, non interessa la cache dei browser, almeno oggi, per cui possiamo procedere oltre e arrivare alla cache di Google. Google utilizza la propria cache per archiviare una copia di tutte le pagine presenti nel suo indice: la cache è quindi un archivio di tutti i documenti che Google è in grado di cercare. Il funzionamento è piuttosto semplice. Google al momento è il principale motore di ricerca della Rete; per poter cercare, però, ha bisogno prima di tutto di conoscere il contenuto della Rete: i nomi dei siti presenti, il contenuto delle loro pagine e così via. Per ottenere queste informazioni, Google utilizza alcuni programmi automatici, i bot (detti anche "ragni", per ovvia analogia con il Web), che eseguono un "censimento" della Rete: saltando da una pagina all'altra, ne copiano il contenuto e lo inoltrano a Google stesso. Una volta arrivato a destinazione, il contenuto delle pagine è indicizzato, ossia è catalogato nell'archivio di Google in base a elementi come argomento, parole chiave e così via. Quando noi eseguiamo una ricerca, Google sfoglia il contenuto del suo archivio e ci restituisce le pagine che più si avvicinano a ciò che noi staimo cercando, in base alle informazioni in suo 82 internet in grado di memorizzare dei dati anche se questi vengano rimossi da un determinato portale. Da qui la genesi delle problematiche che verranno trattate nel corso del presente elaborato. L’individuo se da un lato deve esercitare il suo diritto ad informare ed essere informato deve vedere rispettato anche il diritto alla riservatezza che potrebbe sostanziarsi quasi sicuramente anche nel diritto a essere dimenticato, ovvero alla rimozione di alcune notizie nel momento in cui le stesse non risultano essere eclatanti o comunque si riferiscano a dei momenti che hanno caratterizzato l’esistenza di un determinato soggetto diverso tempo addietro. 2.4 L’evoluzione giurisprudenziale e “di prassi” del diritto all’oblio Il diritto all’oblio è sempre stato all'attenzione del Garante per la protezione dei dati personali fin dalla sua istituzione. All'esito possesso. 83 della trattazione di un ricorso relativo alla persistenza in rete, amplificata dai motori di ricerca, di notizie pregiudizievoli per l'attività di un soggetto imprenditoriale che era stato destinatario di una sanzione per pubblicità ingannevole, il Garante nel 2004 prescrisse al titolare del trattamento l'adozione di accorgimenti tecnici per mitigare gli effetti della pubblicazione online di notizie sulle sanzioni comminate 128 quando la finalità originaria della pubblicazione online, ammonitoria e informativa, era venuta meno. Scopo del provvedimento del Garante era evitare che si realizzasse una sorta di gogna permanente, laddove la pubblicazione per estratto di certe decisioni o sentenze viene tuttora prevista, nel nostro ordinamento, quale pena accessoria, in presenza di un lungo periodo di tempo trascorso dalla sanzione e dal ravvedimento dell'operatore economico. In base al principio del diritto all'oblio sono stati poi trattati dall'Autorità italiana numerosi casi relativi alla ripubblicazione di notizie negli “archivi storici online” dei maggiori quotidiani nazionali. 128 http://www.gpdp.it/web/guest/home/docweb/-/docwebdisplay/docweb/1116068. 84 Nei provvedimenti in tema di diritto all'oblio qui citati, e in altri nel tempo adottati, il Garante ha prescritto quale strumento tecnico per adempiere il ricorso al Robots Exclusion Protocol129, misura idonea, nella maggior parte dei casi, a sottrarre all'indicizzazione da parte dei motori di ricerca le informazioni riferibili a interessati la cui diffusione doveva essere limitata. Sono stati trattati così dei casi di pubblicazione di archivi storici di quotidiani e riviste, di diffusione di informazioni personali da parte di soggetti pubblici sulla base di interpretazioni estensive delle norme in tema di trasparenza in ambito pubblico, di pubblicazione di notizie inaccurate o non aggiornate, e perciò lesive della dignità di persone, su quotidiani o riviste online. 129 Il REP non è un vero protocollo, né standard cui l'industria del software debba necessariamente attenersi. Non vi è quindi garanzia, pur in presenza di una corretta configurazione del robots.txt, che una certa pagina non venga indicizzata da un qualsiasi motore di ricerca, se la si vuole mantenere comunque accessibile via web a un pubblico indeterminato. D'altra parte, anche i più avanzati motori di ricerca non rispettano pienamente il REP, limitando in molti casi l'efficacia dello strumento e sminuendone l'importanza. Per quanto riguarda Google, le azioni per limitare l'indicizzazione dei contenuti di siti online si sono basate sulla conformità del motore di ricerca al REP, anche se il livello di compliance è stato soltanto parziale. Probabilmente un'applicazione più rigorosa e più efficace del REP avrebbe permesso una più agevole modulazione della visibilità di alcune informazioni nei risultati di ricerca e avrebbe consentito all'azienda di non subire gli effetti di una decisione molto severa e di difficile attuazione come quella recente della Corte di giustizia UE con cui l'azienda americana, insieme ad altre parimenti interessate, si sta confrontando in queste settimane. 85 Il diritto all’oblio si configura quindi come il diritto di un soggetto a non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende, già legittimamente pubblicate, rispetto all'accadimento delle quali è trascorso un notevole lasso di tempo. Il diritto all'oblio, in questa accezione, è relativo a vicende che hanno costituito fatti di cronaca o comunque in relazione alle quali la pubblicizzazione, cioè la fuoruscita dalla sfera della riservatezza degli interessati, era da considerarsi lecita. Il problema è “se la persona o le vicende legittimamente pubblicizzate possano sempre costituire oggetto di nuova pubblicizzazione o se, invece, il trascorrere del tempo e il mutamento delle situazioni non la rendano illecita”130. Il diritto all'oblio, come magistralmente è stato scritto, appartiene “alle ragioni e ‘alle regioni' del diritto alla riservatezza” 131. Il tempo gioca un ruolo importante anche qualora non si tratti di eventi di cronaca, ma di eventi in relazione ai quali un periodo significativo sia ormai trascorso e invece manchino elementi di contestualizzazione nel tempo. In questi casi, la giurisprudenza ha ravvisato la violazione del diritto all'identità personale. 130 AA.VV., Il diritto all'oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997, Gabrielli (a cura di), Napoli, 1999 131 MORELLI, voce Oblio (diritto all'), in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002; 86 Questa nozione chiaramente muta a seguito della continua evoluzione tecnologica. Infatti, in Rete la ripubblicazione non è più necessaria, dal momento che per la stessa organizzazione dell'informazione nella Rete l'informazione non è cancellata, ma permane disponibile o quanto meno astrattamente disponibile. In altri termini, non si tratta solo o necessariamente di una ripubblicazione dell'informazione, ma piuttosto di una permanenza della stessa nella Rete. Muta dunque il ruolo che gioca il tempo e muta l'esigenza che si vuole soddisfare. Il tempo da considerare non è più quello trascorso tra la pubblicazione dell'informazione e la ripubblicazione, ma quello trascorso dal tempo della pubblicazione che perdura. Occorre sottolineare come l'incertezza di giurisdizione e la possibilità di sovrapposizione e conflitto tra differenti giurisdizioni hanno fatto considerare per anni poco praticabile l'imposizione in capo ai gestori dei motori di ricerca di obblighi di espungere dai rispettivi indici i riferimenti a notizie che permangano online, pur ledendo diritti degli interessati cui si riferiscono, su sistemi di pubblicazione sottratti alla capacità di intervento delle DPA europee. D'altra parte l'orientamento delle autorità europee di protezione dei 87 dati personali, riunite nel Working Party istituito dall'Art. 29 della direttiva 46/95/EU (WP29), rispetto alla titolarità del trattamento dei dati personali è stato costantemente in favore dell'assenza di responsabilità del motore di ricerca, essendo la titolarità del trattamento incardinata sul soggetto che pubblica il contenuto online nella sua forma originaria Lo stesso articolo 14 della Direttiva 95/46/CE disciplina il diritto di opposizione della persona interessata e dispone che “gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto: a) almeno nei casi di cui all'articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale. In caso di opposizione giustificata il trattamento effettuato dal responsabile non può più riguardare tali dati”132 Come detto poc’anzi, dall’applicazione del diritto all’oblio può Così l'art. 7:“Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando: e) è necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il responsabile del trattamento o il terzo a cui vengono comunicati i dati, oppure f) è necessario per il perseguimento dell'interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano l'interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata, che richiedono tutela ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1”. 132 88 dipendere la libertà di determinarsi autonomamente, di potersi dispiegare pienamente le potenzialità di ognuno; la liberazione dal passato diviene anche il modo per ricostruire condizioni di imprevedibilità. A nessuno deve essere negata la possibilità del ravvedimento e del riscatto, di cui è prova sociale il mancato ripetersi nel tempo di comportamenti incriminati. Il diritto all’oblio rende reale questa possibilità, ponendo davanti agli occhi altrui un velo di ignoranza al riparo dal quale si può tornare ad agire come se quel passato non fosse mai stato. CAPITOLO TERZO 3 DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTI DELLA PERSONALITA’ 89 3.1 L’emersione di nuovi diritti della personalità: in particolare, il diritto ad essere dimenticato In una società proiettata nell'era dell'innovazione telematica, una adeguata protezione dei dati personali costituisce l'unica garanzia idonea a scongiurare il pericolo che le tecnologie emergenti si traducano in strumenti potenzialmente lesivi della riservatezza delle persone. Tale esigenza è stata avvertita soprattutto con riferimento all'attività giornalistica e, più in generale, alla libera manifestazione del pensiero, che trovano entrambe un riconoscimento costituzionale nell'art. 21 della Carta fondamentale . A fronte di tali libertà si situa, in posizione in parte antitetica, il diritto alla protezione dei dati personali, anch'esso annoverato tra i diritti di rango costituzionale, in quanto espressione dei diritti e delle libertà inviolabili di ogni essere umano ai sensi dell'art. 2 della Costituzione 133: ed è proprio questo ancoraggio costituzionale che 133 Tale disposizione ha assunto le sembianze di "clausola aperta", a salvaguardia dei diritti emergenti dell'individuo, indispensabili al libero e completo svolgimento della personalità umana, anche se non espressamente disciplinati nella Carta costituzionale. La riservatezza trova comunque completamento, a livello costituzionale, negli artt. 13 sulla libertà individuale, 14 su quella domiciliare, 15 sulla segretezza della corrispondenza, 21 sulla libertà di manifestazione del pensiero, e si configura come un diritto esperibile nei confronti di chiunque tratti dati personali, sia esso soggetto pubblico o privato. Tale indirizzo interpretativo discende da una crescente valorizzazione degli esseri umani, nonché dei diritti e dei doveri ad 90 consente di operare un bilanciamento tra le due posizioni giuridiche in conflitto. Nel settore della comunicazione emerge dunque il problema di determinare l'oscillante limite intercorrente tra la tutela della privacy e il diritto all'informazione: diritti speculari e riconosciuti anche a livello europeo e internazionale (a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dalla CEDU fino alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, solo per citare gli strumenti più rappresentativi) in quanto espressione di una società democratica, che nella realtà sono in continua tensione. Il diritto dei cittadini ad essere informati, così come il diritto di informare, ineludibile corollario della libertà di espressione, ed anche la trasparenza della pubblica amministrazione, non possono degradare il diritto alla protezione dei dati personali. Diritto, peraltro, che non esaurisce semplicemente nella pretesa erga omnes essi correlati, che si traduce in una visione antropocentrica dei testi normativi a tutto vantaggio del singolo. In effetti, una tale concezione sembra aver ispirato anche il legislatore all'atto della stesura del D.Lgs. n. 196/2003, che ha significativamente rubricato l'art. 1 come "Diritto alla protezione dei dati personali", evidenziando così una tutela a tutto campo dei dati personali, non più limitata alla riservatezza nei suoi termini essenziali (rectius nel diritto ad essere lasciato solo), ma che si estende alla persona nel suo complesso. Ciò si traduce nella c.d. autodeterminazione informativa, intesa quale diritto ad una corretta (ri)costruzione o rappresentazione della propria identità, che non può essere soddisfatta con il semplice diritto alla riservatezza, ma si arricchisce con ulteriori facoltà volte a controllare la forma, la consistenza e la circolazione delle informazioni personali (v. infra). Per ulteriori approfondimenti, si consulti MODUGNO F, I "nuovi diritti" nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995, 20; S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 102 91 a proteggere e mantenere riservata una sfera intangibile di intimità dell'individuo da possibili ingerenze altrui non giustificate da superiori interessi (concezione statica), ma si estende ben oltre gli angusti confini di quella che comunemente si definisce privacy. La protezione dei dati personali di distingue concettualmente e non si esaurisce nella tutela della riservatezza, essendo volta a preservare anche l'identità personale, cioè l'interesse del soggetto ad una esatta percezione sociale della propria personalità che si concretizza nella libertà di mantenere il controllo sul flusso dei dati e delle informazioni che riguardano e identificano l'individuo (concezione dinamica)134, in modo che l'informazione oggetto di trattamento rispecchi fedelmente e, quindi, correttamente, l'attuale, integrale ed effettiva identità personale dell'interessato, aggiornata secondo l'immagine dallo stesso proiettata nel mondo delle relazioni sociali. In tale quadro, assume rilevanza l'esigenza dell'interessato a non 134 L'identità personale costituisce quindi "un bene per sé medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata". Essa si esplicita nel diritto ad essere se stesso, che esige il rispetto dell'immagine di partecipe alla vita associata, con il bagaglio di idee ed esperienze, convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l'individuo, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, sentenza 24 gennaio-3 febbraio 1994, n. 13. Sul concetto di identità personale e la sua evoluzione nel tempo, si rinvia più diffusamente a FINOCCHIARO G., Voce Identità personale (diritto alla), in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. civ., Agg., Torino, 2010 92 vedere riprodotte nel tempo informazioni che lo riguardano, il cui ricordo ha progressivamente assunto contorni evanescenti fino a sbiadire dalla memoria collettiva: emerge cioè il problema di dirimere il conflitto insorgente tra l'interesse di chi è stato oggetto di attenzione mediatica, e intende ritornare nell'anonimato, perché è quella rappresentazione di se stesso che corrisponde alla sua attuale identità, e l'interesse pubblico. In effetti, sebbene sia tutelata la possibilità di diffondere informazioni attraverso il mezzo informatico, una determinata notizia specialmente se riproposta attraverso dei meccanismi tipici della rete internet su diversi motori di ricerca e su copiosi siti internet, rimane all’interno della rete un tempo effettivamente imprecisato. Gli algoritmi utilizzati dai motori di ricerca di ultima generazione di cui Google rappresenta l’esempio più lampante riescono ad individuare all’interno della rete notizie o più in generale contenuti durante un intervallo di tempo decisamente molto lungo. Esistono poi delle copie135 degli stessi siti 135 Con il termine copia chache, nello specifico, si fa riferimento ad una copia del sito internet che viene archiviata e consente la visualizzazione di un sito internet prima di eventuali modifiche avvenute sul sito internet stesso o, ad esempio, anche dopo la rimozione di un determinato contenuto. La cache è un archivio, nel quale sono conservate copie di altri documenti. Tutti i programmi con cui ci colleghiamo a internet, cioè i browser come Internet Explorer, Firefox e Chrome, ne hanno una e la usano per conservare una copia di tutte le pagine che visitiamo: in questo modo, se torniamo a un sito già visitato in precedenza, il browser potrà sfruttare la copia nella cache per caricarlo più velocemente. A noi, però, non interessa la cache dei browser, 93 internet in grado di memorizzare dei dati anche se questi vengano rimossi da un determinato portale. Da qui la genesi delle problematiche che verranno trattate nel corso del presente elaborato. L’individuo se da un lato deve esercitare il suo diritto ad informare ed essere informato deve vedere rispettato anche il diritto alla riservatezza che potrebbe sostanziarsi quasi sicuramente anche nel diritto a essere dimenticato, ovvero alla rimozione di alcune notizie nel momento in cui le stesse non risultano essere eclatanti o comunque si riferiscano a dei momenti che hanno caratterizzato l’esistenza di un determinato soggetto diverso tempo addietro. Proprio il diritto all’oblio è sempre stato all'attenzione del Garante per la protezione dei dati personali fin dalla sua istituzione. All'esito della trattazione di un ricorso relativo alla persistenza in rete, almeno oggi, per cui possiamo procedere oltre e arrivare alla cache di Google. Google utilizza la propria cache per archiviare una copia di tutte le pagine presenti nel suo indice: la cache è quindi un archivio di tutti i documenti che Google è in grado di cercare. Il funzionamento è piuttosto semplice. Google al momento è il principale motore di ricerca della Rete; per poter cercare, però, ha bisogno prima di tutto di conoscere il contenuto della Rete: i nomi dei siti presenti, il contenuto delle loro pagine e così via. Per ottenere queste informazioni, Google utilizza alcuni programmi automatici, i bot (detti anche "ragni", per ovvia analogia con il Web), che eseguono un "censimento" della Rete: saltando da una pagina all'altra, ne copiano il contenuto e lo inoltrano a Google stesso. Una volta arrivato a destinazione, il contenuto delle pagine è indicizzato, ossia è catalogato nell'archivio di Google in base a elementi come argomento, parole chiave e così via. Quando noi eseguiamo una ricerca, Google sfoglia il contenuto del suo archivio e ci restituisce le pagine che più si avvicinano a ciò che noi staimo cercando, in base alle informazioni in suo possesso. 94 amplificata dai motori di ricerca, di notizie pregiudizievoli per l'attività di un soggetto imprenditoriale che era stato destinatario di una sanzione per pubblicità ingannevole, il Garante nel 2004 prescrisse al titolare del trattamento l'adozione di accorgimenti tecnici per mitigare gli effetti della pubblicazione online di notizie sulle sanzioni comminate 136 quando la finalità originaria della pubblicazione online, ammonitoria e informativa, era venuta meno. Scopo del provvedimento del Garante era evitare che si realizzasse una sorta di gogna permanente, laddove la pubblicazione per estratto di certe decisioni o sentenze viene tuttora prevista, nel nostro ordinamento, quale pena accessoria, in presenza di un lungo periodo di tempo trascorso dalla sanzione e dal ravvedimento dell'operatore economico. In base al principio del diritto all'oblio sono stati poi trattati dall'Autorità italiana numerosi casi relativi alla ripubblicazione di notizie negli “archivi storici online” dei maggiori quotidiani nazionali. Nei provvedimenti in tema di diritto all'oblio qui citati, e in altri nel tempo adottati, il Garante ha prescritto quale strumento tecnico per 136 http://www.gpdp.it/web/guest/home/docweb/-/docwebdisplay/docweb/1116068. 95 adempiere il ricorso al Robots Exclusion Protocol137, misura idonea, nella maggior parte dei casi, a sottrarre all'indicizzazione da parte dei motori di ricerca le informazioni riferibili a interessati la cui diffusione doveva essere limitata. Sono stati trattati così dei casi di pubblicazione di archivi storici di quotidiani e riviste, di diffusione di informazioni personali da parte di soggetti pubblici sulla base di interpretazioni estensive delle norme in tema di trasparenza in ambito pubblico, di pubblicazione di notizie inaccurate o non aggiornate, e perciò lesive della dignità di persone, su quotidiani o riviste online. Il diritto all’oblio si configura quindi come il diritto di un soggetto a non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende, già 137 Il REP non è un vero protocollo, né standard cui l'industria del software debba necessariamente attenersi. Non vi è quindi garanzia, pur in presenza di una corretta configurazione del robots.txt, che una certa pagina non venga indicizzata da un qualsiasi motore di ricerca, se la si vuole mantenere comunque accessibile via web a un pubblico indeterminato. D'altra parte, anche i più avanzati motori di ricerca non rispettano pienamente il REP, limitando in molti casi l'efficacia dello strumento e sminuendone l'importanza. Per quanto riguarda Google, le azioni per limitare l'indicizzazione dei contenuti di siti online si sono basate sulla conformità del motore di ricerca al REP, anche se il livello di compliance è stato soltanto parziale. Probabilmente un'applicazione più rigorosa e più efficace del REP avrebbe permesso una più agevole modulazione della visibilità di alcune informazioni nei risultati di ricerca e avrebbe consentito all'azienda di non subire gli effetti di una decisione molto severa e di difficile attuazione come quella recente della Corte di giustizia UE con cui l'azienda americana, insieme ad altre parimenti interessate, si sta confrontando in queste settimane. 96 legittimamente pubblicate, rispetto all'accadimento delle quali è trascorso un notevole lasso di tempo. Il diritto all'oblio, in questa accezione, è relativo a vicende che hanno costituito fatti di cronaca o comunque in relazione alle quali la pubblicizzazione, cioè la fuoruscita dalla sfera della riservatezza degli interessati, era da considerarsi lecita. Il problema è “se la persona o le vicende legittimamente pubblicizzate possano sempre costituire oggetto di nuova pubblicizzazione o se, invece, il trascorrere del tempo e il mutamento delle situazioni non la rendano illecita”138. Il diritto all'oblio, come magistralmente è stato scritto, appartiene “alle ragioni e ‘alle regioni' del diritto alla riservatezza” 139. Il tempo gioca un ruolo importante anche qualora non si tratti di eventi di cronaca, ma di eventi in relazione ai quali un periodo significativo sia ormai trascorso e invece manchino elementi di contestualizzazione nel tempo. In questi casi, la giurisprudenza ha ravvisato la violazione del diritto all'identità personale. Questa nozione chiaramente muta a seguito della continua evoluzione tecnologica. Infatti, in Rete la ripubblicazione non è più 138 AA.VV., Il diritto all'oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997, Gabrielli (a cura di), Napoli, 1999 139 MORELLI, voce Oblio (diritto all'), in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002; 97 necessaria, dal momento che per la stessa organizzazione dell'informazione nella Rete l'informazione non è cancellata, ma permane disponibile o quanto meno astrattamente disponibile. In altri termini, non si tratta solo o necessariamente di una ripubblicazione dell'informazione, ma piuttosto di una permanenza della stessa nella Rete. Muta dunque il ruolo che gioca il tempo e muta l'esigenza che si vuole soddisfare. Il tempo da considerare non è più quello trascorso tra la pubblicazione dell'informazione e la ripubblicazione, ma quello trascorso dal tempo della pubblicazione che perdura. Non si può fare riferimento al tempo trascorso fra un evento e l'altro, ma invece al tempo di permanenza dell'informazione. Non si tratta di un evento che si ripropone all'attenzione del pubblico, bensì di un evento che potenzialmente non è mai uscito dall'attenzione del medesimo. Siamo di fronte ad un continuum temporale e non più a due eventi puntuali. Occorre sottolineare come l'incertezza di giurisdizione e la possibilità di sovrapposizione e conflitto tra differenti giurisdizioni hanno fatto considerare per anni poco praticabile l'imposizione in capo ai gestori dei motori di ricerca di obblighi di espungere dai 98 rispettivi indici i riferimenti a notizie che permangano online, pur ledendo diritti degli interessati cui si riferiscono, su sistemi di pubblicazione sottratti alla capacità di intervento delle DPA europee. D'altra parte l'orientamento delle autorità europee di protezione dei dati personali, riunite nel Working Party istituito dall'Art. 29 della direttiva 46/95/EU (WP29), rispetto alla titolarità del trattamento dei dati personali è stato costantemente in favore dell'assenza di responsabilità del motore di ricerca, essendo la titolarità del trattamento incardinata sul soggetto che pubblica il contenuto online nella sua forma originaria Lo stesso articolo 14 della Direttiva 95/46/CE disciplina il diritto di opposizione della persona interessata e dispone che “gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto: a) almeno nei casi di cui all'articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale. In caso di opposizione giustificata il trattamento effettuato dal responsabile non può più riguardare tali dati”140 Così l'art. 7:“Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando: e) è necessario per l'esecuzione di un compito 140 99 Dall’applicazione del diritto all’oblio può dipendere la libertà di determinarsi autonomamente, di potersi dispiegare pienamente le potenzialità di ognuno; la liberazione dal passato diviene anche il modo per ricostruire condizioni di imprevedibilità. A nessuno deve essere negata la possibilità del ravvedimento e del riscatto, di cui è prova sociale il mancato ripetersi nel tempo di comportamenti incriminati. Il diritto all’oblio rende reale questa possibilità, ponendo davanti agli occhi altrui un velo di ignoranza al riparo dal quale si può tornare ad agire come se quel passato non fosse mai stato. 3.2 L’evoluzione del diritto all'oblio alla luce degli ultimi pronunciamenti del Garante, della Cassazione del 2012 e della Corte di Giustizia del 2014 Tanto nell’Unione Europea quanto negli Usa si assiste ad una sorta di tendenza verso l’approvazione di normative normative che hanno esteso la capacità di controllo in capo ai soggetti pubblici, di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il responsabile del trattamento o il terzo a cui vengono comunicati i dati, oppure f) è necessario per il perseguimento dell'interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano l'interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata, che richiedono tutela ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1”. 100 soprattutto alla luce della sinergia fra pubblico e privato caratterizzante le moderne forme di sorveglianza sociale. Estese raccolte di dati, obblighi di conservazione delle informazioni nel tempo, uniti a poteri di indagine e di accesso in capo alle autorità pubbliche, hanno creato un contesto in cui i cittadini hanno perso la percezione del confine fra la raccolta dei loro dati per scopi commerciali ed il riuso degli stessi per diverse finalità di controllo o monitoraggio sociale141. Di questa strategia, come ormai noto, hanno fatto parte anche le imprese private, la cui promozione di un modello incentrato sull'accesso alle informazioni dell'utente era in linea con gli intenti dei governi, che a tali ricchi forzieri di dati potevano accedere in varia maniera e solitamente all'insaputa degli interessati e della collettività in generale142. In questo più vasto panorama, il diritto alla cancellazione non è più dunque solo il soddisfacimento dell'interesse di un singolo, ma diviene un tassello di una più ampia e, auspicabilmente, nuova strategia che potrebbe portare ad un ecosistema meno connotato da AULETTA, Diritto alla riservatezza e “droit à l'oubli”, in Alpa-BessoneBoneschi-Caiazza (a cura di), L'informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983, p. 127 142 AA.VV., Il diritto all'oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997, Gabrielli (a cura di), Napoli, 1999,p. 124 e ss. 141 101 un'eccessiva raccolta di dati personali. La necessità di un simile mutamento è oggi tanto più avvertita, a fronte dei nuovi scenari aperti dai Big Data analytics che, per converso, incrementano i rischi di un monitoraggio esteso ed invasivo143. Il dibattito dottrinale rispetto al diritto all’oblio, dibattito che si arricchisce di sfumature diverse in seguito all’evoluzione giurisprudenziale che caratterizza sia i giudici nazionali che i giudici europei, si concentra ormai da qualche anno sulla questione relativa al considerare lo stesso un nuovo diritto afferente la sfera personale dell’individuo oppure un derivato legato all’identità personale e alla legittima protezione della stessa. Autorevole dottrina alla quale faremo riferimento anche nel corso del presente elaborato ha sostenuto come non sia opportuno, del resto, procedere alla creazione di un nuovo diritto dal momento che i diritti già consolidati sono idonei ad accogliere le esigenze nuove144. Si contrappongono del resto una visione145 che configura il diritto 143 AA.VV., Il caso del diritto all'oblio, PIZZETTI (a cura di), Torino, 2013, p. 21 e ss. 144 PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain: più problemi che soluzioni, http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=26322&dpath=docume nt&dfile=10062014174108.pdf&content=La+decisione+della+Corte+di+gi ustizia+sul+caso+Google+Spain:+pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+stato++dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014. 145 AA.VV., Il caso del diritto all'oblio, PIZZETTI (a cura di), Torino, 2013, p. 102 all’oblio come strumentale e derivato diretto del diritto all’identità personale e quindi lo stesso sia una sorta di garanzia nel non vedere ripubblicata l'informazione rispetto alla cui prima pubblicazione è trascorso un rilevante periodo di tempo, qualora la riproposizione della notizia non sia di attuale interesse e una ulteriore accezione dello stesso che lo riconduce alla contestualizzazione dell'informazione. Il bene giuridico tutelato è in entrambi i casi quello dell'identità personale. Si tratta del diritto a non vedere travisata la propria immagine sociale. Ed è un fatto, che non abbisogna di dimostrazioni, che il motore di ricerca crei l'immagine online di un soggetto, non meno vera solo perché si trova su Internet. Certo non è questa la finalità del trattamento dei dati effettuato dal motore di ricerca, finalità piuttosto costituita dal rendere l'informazione reperibile su Internet. Tuttavia la creazione di un'immagine online è certamente un effetto dell'attività svolta dal motore di ricerca. Autorevole dottrina ha poi ipotizzato che tale tipologia di contrapposizione non ha motivo di esistere in quanto il diritto all’oblio risulterebbe essere una sorta di specificazione del diritto della personalità e della riservatezza146. Creare una nuova 21 e ss 146 FINOCCHIARO G, voce Identità personale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 103 categoria giuridica risulterebbe decisamente molto complicato oltre che forzato. Ben diversa è la questione relativa alla cancellazione dei dati in quanto in questo specifico caso il diritto all’oblio non riguarderebbe in modo univoco la persona ma sicuramente i dati personali. Tale tipologia di schematizzazione ricalca, in effetti, lo schema – seppur ormai vetusto – della legislazione comunitaria. Infatti, in questo prospettiva ripresa anche dalla legge italiana dalla proposta di regolamento europeo, nonché dalla decisione della Corte di giustizia in commento, il bene giuridico considerato è quello della protezione dei dati personali. In questo caso, il diritto a cancellare è strumentale al diritto alla protezione dei dati personali. Il dato personale può essere cancellato, come afferma la Corte, se non è più adeguato, aggiornato o pertinente147. Vero è che i due diritti in considerazione, il diritto all'identità personale e il diritto alla protezione dei dati personali sono diritti molto vicini e volti a tutelare un unico bene: quello dell'identità della persona. Infatti, lo scenario e la prospettiva non sono quelli del dato personale contenuto nel singolo archivio, bensì quelli della tutela Torino, 2010, p. 721 e ss 147 MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se 104 della persona nella rete Internet, che non è un archivio ma un deposito 148, la quale crea, attraverso i motori di ricerca l'immagine della persona. Come scrive la Cassazione nella celebre ed innovativa sentenza n. 5525/2012149 che analizzeremo in dettaglio nelle pagine che seguono150: “La notizia, originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera” . Si intravede in tale giudizio una “nuova” visione del diritto all’oblio all’interno del quale rileva non tanto la semplice rivendicazione all’essere dimenticati151. Si parla di una sorta di obbligo di contestualizzazione all’interno del quale 152. L'esigenza non è tanto quella di cancellare, ma piuttosto quella di 148 Cass. civ., 5 aprile 2012, n. 5525, cit., in corsivo nel testo della sentenza. 149 I fatti della sentenza possono essere sintetizzati come segue. Un politico e` imputato di corruzione nel 1993. La notizia e` correttamente riportata dai quotidiani dell’epoca. Egli e` successivamente assolto. Tuttavia, se si effettua una ricerca, risulta la notizia dell’imputazione e non anche quella dell’assoluzione. Egli chiede il blocco dei dati personali contenuti nell’articolo del quotidiano pubblicato nell’archivio storico del quotidiano on line. La domanda di blocco e` respinta sia dall’Autorita` Garante per la protezione dei dati personali che dal Tribunale di Milano sulla base, a quanto si evince dalla sentenza in commento, di due argomenti che si possono cosı` riassumere. Cfr. FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss 150 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss 151 PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain: più problemi che soluzioni, http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=26322&dpath=docume nt&dfile=10062014174108.pdf&content=La+decisione+della+Corte+di+gi ustizia+sul+caso+Google+Spain:+pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+stato++dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014. 152 Cass. 5 aprile 2012, n. 5525, in Cass. Civ., 2012, III, 48 e ss. 105 attribuire un peso all'informazione nell'ambito di uno scenario complessivo che vede l'identità come protagonista. In effetti la ricostruzione che nella sentenza appena citata viene operata è decisamente innovativa rispetto al passato e nel tentativo di definizione dei contorni del diritto all’oblio. Nella prospettiva prima accennata la sentenza in esame non rappresenta una pronuncia rientrante sulla materia della privacy o della protezione dei dati personali , né tantomeno costituisce una pronuncia rispetto il diritto all’oblio153. In tale sentenza “ si afferma un nuovo diritto o meglio, si riafferma un diritto noto154, il diritto all’identità personale, con riguardo ad una particolare fattispecie, quella relativa alle informazioni non aggiornate reperibili su Internet”155. Quindi non un nuovo diritto da intendere come diverso o comunque affiancabile a quelli già tutelati dalla normativa sulla privacy o più in generale della personalità156. Si tratta di una sorta di diritto contestualizzato ad un particolarissimo caso che è quello delle informazioni 153 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss. 154 PARDOLESI, “Gooooglelaw”. Del ricorso alla disciplina antitrust per colpire il tiranno benevolente, in Foro it., 2013, V, 18 ss. 155 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss. 156 RESTA, Anonimato, responsabilità, identificazione: prospettive di diritto comparato, in questa Rivista, 2, 2014, 196 ss 106 aggiornate su internet. Il percorso logico seguito dalla Corte è innovativo in quanto non si riferisce al dato personale ma alla tutela della persona all’interno del sistema di notizie e relazioni che si creano all’interno della Rete che viene intesa come un unico archivio in grado di dare delle informazioni senza nessuna forma di limite. L’articolo del 1993 riguardante la condotta del politico per i fatti successi venti anni orsono era stata fatta nel rispetto della normativa vigente cosi come corretta deve essere considerata la pubblicazione dell’archivio on line, effettuata per finalità di natura storica, le quali costituiscono una modalità all’informazione157. Ma non può sfuggire che ha avuto luogo una lesione: che l’interessato trova la sua immagine attuale travisata e collegata ad una informazione solo parzialmente vera nello scorrere del tempo e dunque produttiva di uno sviamento della sua immagine sociale. Attualmente però la questione problematica riguarda il fatto che adesso non risulta più attuale e cosi come presentata potrebbe ledere in modo molto pesante ed illegittimo l’immagine del politico che in effetti potrebbe apparire ulteriormente danneggiata soprattutto se lo stesso ha 157 RESTA, Anonimato, responsabilità, identificazione: prospettive di diritto comparato, in questa Rivista, 2, 2014, 196 ss 107 scontato regolarmente la sua pena158. La questione quindi assume una luce nuova soprattutto con riferimento al fatto che proprio la protezione dei dati personali assume una luce decisamente molto diversa. La forza propulsiva del diritto all'oblio che è progressivamente maturata in relazione al diritto di cronaca ha trovato un immediato riflesso sulla diffusione via web degli archivi storici dei giornali anche nella giurisprudenza. Il caso che ha offerto alla Suprema Corte l'opportunità di pronunciarsi in ordine al peculiare diritto all'oblio su Internet in relazione a fatti oggetto di attività giornalistica trae origine da un episodio di cronaca giudiziaria conclusosi con l'assoluzione dell'imputato, evento di cui non veniva fatta menzione nell'articolo contenuto nell'archivio storico on-line di un quotidiano. Va evidenziato che l'esigenza di aggiornamento della notizia di cronaca giudiziaria, specie se il prosieguo si è risolto in senso favorevole all'interessato, trova riscontro in taluni atti adottati a livello internazionale159, così anche nella Carta dei doveri del 158 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss. 159 Raccomandazione (2003)13 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, adottata il 10 luglio 2003, recante Principi relativi alle informazioni fornite attraverso i mezzi di comunicazione in rapporto a procedimenti penali; Gruppo di lavoro ex art. 29 Direttiva 95/46/CE, WP 148 - Parere 1/2008 sugli aspetti della 108 giornalista dell'8 luglio 1993 che stabilisce la necessità di attribuire un "appropriato rilievo" in caso di assoluzione di un soggetto imputato. Specifiche cautele sono state altresì individuate dal Garante in relazione ai soggetti interessati da vicende giudiziarie i ci dati siano oggetto di trattamento a fini giornalistici. Così il diritto all'identità personale consiste nel diritto di vietare un travisamento dell'immagine sociale di un soggetto; il diritto di rettifica comporta una forma di controllo sull'immagine sociale di un soggetto e il diritto, per questi, “di fare correggere le pubblicazioni lesive o contrarie a verità; il diritto alla riservatezza comporta un controllo del soggetto sulle vicende e sulle informazioni che lo riguardano; il diritto alla reputazione tutela la stima sociale di un soggetto; il diritto al nome va inteso come strumento di identificazione di un soggetto e quindi, per traslato, strumento di tutela dell'identità160; il diritto all'immagine può anche essere inteso in senso lato, come tutela dell'immagine sociale, oltre che dell'immagine fisica di un soggetto”161 . Il bene giuridico complessivamente tutelato è uno solo, quello dell'identità, declinata nei suoi molteplici aspetti e nelle protezione dei dati connessi ai motori di ricerca, 4 aprile 2008 160 GIANNONE CODIGLIONE, Illeciti su Internet e rimedi nel diritto d'autore (Tesi di dottorato), Università di Salerno, 2014, spec. 99 ss. e 158 ss 161 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss. 109 sue molteplici forme. E un ulteriore elemento di complessità è oggi aggiunto dalla possibilità di manifestare l'identità anche con mezzi digitali e di assumere, nel mondo virtuale, molteplici identità 162. Ma se l'identità è sintesi dei tanti elementi di natura diversa che la compongono, essa non è certo una sintesi statica. Il tempo gioca un ruolo essenziale: la persona è ciò che è in un determinato momento storico e l'identità muta col tempo. Divengono essenziali la contestualizzazione e la storicizzazione. Eventi occorsi in una certa epoca possono non corrispondere più alla personalità di un soggetto in un diverso momento storico. Sul terreno di questo conflitto, fra la verità della storia e l'identità attuale, nasce il diritto all'oblio. Naturalmente, tale diritto deve essere oggetto di bilanciamento con altri diritti, quali il diritto all'informazione. La Corte di giustizia ha affermato due anni più tardi, come vedremo nel corso del presente paragrafo che in linea generale il diritto alla protezione della vita privata e il diritto alla protezione dei dati personali devono prevalere, salvo che si tratti di soggetti che ricoprono un ruolo pubblico163, ma questa affermazione appare apodittica e destinata a 162 RODOTÀ, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2006. Così la decisione: “Dato che l'interessato può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che l'informazione in 163 110 trovare molte correzioni e precisazioni. In effetti, il motore di ricerca americano si è impegnato nelle scorse settimane per adeguare i propri servizi alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea pronunciata il 13 maggio 2014 riguardo alla causa “Google Spain SL, Google Inc. / Agencia de Protección de Datos (AEPD), Mario Costeja González” (Causa C-131/12) 164. La corte europea ha infatti individuato nell'attività di elaborazione delle informazioni svolta dal motore di ricerca un trattamento autonomo, rispetto al quale la società riveste il ruolo di titolare (data controller)165. La sentenza europea ha costretto Google (e conseguentemente altri operatori che si ritrovino nelle stesse condizioni individuate nella decisione dei giudici europei) ad adottare procedure per cancellare dai propri indici informazioni che possono continuare a essere presenti sul sito di originaria pubblicazione o su altri siti che questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull'interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull'interesse di tale pubblico ad accedere all'informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l'ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall'interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dell'inclusione summenzionata, all'informazione di cui trattasi”. 164 http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=152065&doclang =IT 165 RESTA, Anonimato, responsabilità, identificazione: prospettive di diritto comparato, in questa Rivista, 2, 2014, 196 ss 111 provvedono autonomamente alla loro ripubblicazione o citazione166. A tal fine, per consentire agli utenti di richiedere la rimozione di talune notizie che li riguardino dai propri indici, Google ha messo a disposizione un modulo online nella pagina intitolata “Search removal request under data protection law in Europe” raggiungibile all'indirizzo seguente: https://support.google.com/legal/contact/ lr_eudpa?product=websearch Affinché una richiesta da parte di un utente venga presa in considerazione la società richiede che siano verificate tre condizioni: a) siano indicati gli indirizzi URL dei link da rimuovere; b) sia giustificata la pertinenza delle pagine a cui viene fatto riferimento nell'indice alla persona che presenta la richiesta; c) sia spiegato perché quei collegamenti nei risultati di ricerca siano irrilevanti, non aggiornati o in qualsiasi modo inappropriati. Dal punto di vista tecnico si evidenzia la particolare difficoltà di riconoscere in un richiedente la cancellazione un legittimo interessato cui facciano riferimento dati personali pubblicati online e indicizzati dal motore di ricerca. A questo proposito Google chiede che il richiedente trasmetta copia di un documento idoneo al 166 GIANNONE CODIGLIONE, Illeciti su Internet e rimedi nel diritto d'autore (Tesi di dottorato), Università di Salerno, 2014, spec. 99 ss. e 158 ss 112 riconoscimento di sé o dell'interessato per conto del quale viene presentata la richiesta. L'adeguamento alla sentenza Google Spain pone problemi che vanno ben oltre il mero fatto tecnico, al punto che la società ha annunciato di essersi dotata di un team di esperti tecnici e legali di comprovata competenza, che dovrebbe esaminare le richieste di cancellazione da parte di cittadini europei167. La decisione della Corte per un verso, relativo alle responsabilità del motore di ricerca, va molto oltre quanto disposto in passato dal Garante italiano con propri provvedimenti che indubbiamente tenevano conto dell'incertezza sulla giurisdizione, oggi risolta con la sentenza europea. Ma le decisioni del Garante riflettevano anche un bilanciamento di interessi tra il diritto all'informazione e alla manifestazione del pensiero, da una parte, e il diritto alla protezione dei dati personali, dall'altra, avendo effetti anche sui siti di originaria pubblicazione168. Gli effetti della cancellazione ai sensi della sentenza Google Spain appaiono comunque, al momento, parziali: questa è limitata alle 167 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss. 168 RESTA, Anonimato, responsabilità, identificazione: prospettive di diritto comparato, in questa Rivista, 2, 2014, 196 ss 113 versioni del search engine rivolte a utenti europei, accessibili attraverso l'uso dei domini Google nazionali (google.it, google.fr...). Alcune informazioni potrebbero quindi essere rimosse o, meglio, non presentate tra i risultati di ricerca a un utente europeo, ma continuare a essere visualizzabili nella versione internazionale del servizio, accessibile nel dominio google. com. La modalità di adempimento di Google appare quindi giocata sulla presentazione dei risultati, e non su radicali interventi sui database su cui è costruito l'indice del motore di ricerca169. Il ristretto intervallo di tempo trascorso dalla decisione della Corte di giustizia UE non consente al momento di valutare pienamente la soluzione che Google (ed eventualmente altri search engines) ha messo in atto, poiché è presumibile che questa debba essere ancora affinata e migliorata, sia relativamente all'efficacia della rimozione sia nei criteri di riconoscimento degli interessati e della loro connessione a determinate notizie o dati personali pubblicati ma possibilmente riferibili a una pluralità di differenti soggetti. Analogamente si presta a controversie la decisione di Google di notificare agli amministratori o webmaster le richieste di rimozione 169 PIZZETTI F, I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 114 di link e notizie che si riferiscano a contenuti pubblicati su siti da questi controllati. La scelta è dichiaratamente volta a garantire un equilibrato esercizio dei diritti degli interessati, ai sensi della sentenza Google Spain, migliorando il processo decisionale interno alla Società e la resa per gli utenti, ma viene criticata per la possibile violazione della privacy di chi si rivolge a Google per la rimozione di notizie dall'indice di ricerca170. A margine occorre puntualizzare come la disciplina che stiamo esaminando e quindi la direttiva di riferimento risalga ad un'epoca profondamente diversa dalla presente in termine di diffusione ed utilizzo delle reti di comunicazione elettronica 171. In particolare l'esistente quadro normativo porta necessariamente a scindere i due rapporti delineati all'inizio del presente paragrafo, mentre la peculiarità delle fattispecie in esame dovrebbe indurre ad esaminarli in maniera congiunta. Occorre nei fatti sottolineare come a livello Europeo esistono diverse accezioni del diritto all’oblio. La gia accennata direttiva 95/46/CE dispone, in effetti dispone, con riguardo al diritto di 170 PIZZETTI F, I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 171 BEVERE A. ZENO-ZENCOVICH V, La rete e il diritto sanzionatorio. Una visione d'insieme, in questa Rivista, 2011, 3, 375 115 accesso ai dati da parte della persona interessata, e in particolare nell'art. 12, dedicato al diritto di accesso, che “gli Stati membri garantiscono a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento: a) liberamente e senza costrizione, ad intervalli ragionevoli e senza ritardi o spese eccessivi (...) b) a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della presente direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati”172. Nello specifico pare corretta la qualificazione del gestore del motore di ricerca quale titolare del trattamento asserita dalla Corte, con il relativi corollari in termini di esercizio del diritto di rettifica e cancellazione in capo agli interessati173. Le criticità concernono però la regola operativa, che esclude dalla dinamica volta alla rimozione gli altri soggetti (fornitore del 172 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss. 173 Con riguardo all'esperienza italiana, Cass., sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 836 ss., con nota di MANTELERO A, FINOCCHIARO G, La memoria della rete e il diritto, Diri. Inform. 2010, 391 ss.;FROSINI T.E., Il diritto all'oblio e la libertà informatica, ibid., 911; DI MAJO A., Il tempo siamo noi..., in Corr. giur., 2012, 769 ss., F. Di Ciommo-R. Pardolesi, Dal diritto all'oblio in Internet alla tutela dell'identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e resp., 2012, 701 ss 116 contenuto rimosso e utenti) che vantano interessi autonomi inerenti agli ambiti del diritto ad informare e ad essere informati. Non pare infatti oggetto di discussione, specie in Europa, la necessità di affermare soluzioni nell'ambito dell'attività dei media che concilino il diritto all'oblio del singolo con il diritto alla conoscenza storica delle vicende, laddove l'oblio concerne il rischio di indebita rievocazione della vicenda e non la rimozione della stessa dalla conoscenza storica174. Diversamente, le criticità emergono laddove sul piano operativo la rimozione dei contenuti ad opera del gestore del motore di ricerca su istanza dell'interessato, benché in conformità al vigente quadro normativo, avviene in maniera non adeguatamente calibrata rispetto alla valutazione delle potenziali ricadute sulla libertà di espressione. Nello specifico, come rilevato in precedenza , non può in prima battuta essere un soggetto privato a porre in essere un bilanciamento di interessi rispetto al quale non ha le capacità e competenze necessarie. Non può un motore di ricerca conoscere nel dettaglio le vicende, valutare il delicato bilanciamento di interessi e rendere una sorta di universale giudizio su cosa debba essere o 174 MANTELERO, Right to be forgotten ed archivi storici dei giornali. La Cassazione travisa il diritto all'oblio, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 543-549 117 non essere reso pubblico. A riguardo la Corte175 ha tentato di conciliare quanto, nel vigente contesto normativo, pare difficilmente conciliabile, facendo esplicito riferimento alla possibilità di adire le data protection authorities. Tuttavia, stante la natura individuale del diritto in questione, specie laddove il gestore del motore di ricerca decida di dar corso autonomamente alla richiesta dell'interessato, il titolare del sito web rimane del tutto estraneo alla vicenda 176, né — per quanto detto in precedenza — ha alcun titolo per poter adire l'autorità giudiziaria ed ottenere il ripristino dell'indicizzazione. Il quadro si presenta dunque come complesso e necessita di un'opportuna una soluzione ad hoc che tenga conto della peculiarità dell'interazione esistente fra attività dei motori di ricerca, diritti degli interessati, fornitore di contenuti ed interesse collettivo alla conoscenza delle informazioni. Tuttavia proprio il contemperamento di tali diversi interessi, anche in ragione del rango degli stessi, 175 DI CIOMMO F., PARDOLESI R, Dal diritto all'oblio in Internet alla tutela dell'identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e resp., 2012, 701 ss 176 ZITTRAIN J, The right to be forgotten ruling leaves nagging doubts, in Financial time, July 13, 2014 (“But here state power is being exercised without the involvement of the state: Google decides how to handle redaction requests. If a search engine declines to alter its results, the claimant might appeal to a national data protection authority. But if the request is agreed to, there is no mechanism for review. Under the court's decision, the public's right to know is to be balanced against a claimant's right to privacy - but there is no easy way for the public to remonstrate against poor balancing.”). 118 richiede la definizione di un modello di rimozione basato su decisioni adottate dalle autorità garanti o dalle corti, in cui il bilanciamento di interessi così rilevanti non è affidato al giudizio di un'impresa privata. A fronte di una pretesa lesione del diritto all'oblio è infatti possibile addivenire alla rimozione delle informazioni solo a seguito di un preventivo bilanciamento fra gli interessi collettivi alla conoscenza dei fatti e quello individuale alla cancellazione delle informazioni. Bilanciamento che tradizionalmente compete ai media i quali, per ruolo professionale e per la conoscenza dei fatti concreti, sono nella posizione migliore per farvi fronte177. L'apparire dei nuovi intermediari della comunicazione ha invece creato un ulteriore livello nella circolazione delle informazioni in precedenza sconosciuto. Mentre in passato era il giornalista a fare da intermediario tra i fatti (e la tutela dei diritti di coloro che in essi erano coinvolti) e la collettività, ora invece tale ruolo è in parte esercitato dagli intermediari della Rete. I motori di ricerca (ma la riflessione potrebbe estendersi anche ad altri aggregatori di 177 DYER C, Accused solicitor stands for office, in The Guardian, Friday 28 June 2002, in The Guardian, in http://www.theguardian.com/uk/2002/jun/28/claredyer 119 contenuti) consentono infatti un accesso diffuso alla notizia, favorendone la propalazione, senza però esercitare alcun controllo editoriale sui contenuti, come invece avviene nella mediazione giornalistica. Da qui la tensione emersa nei casi inerenti il diritto all'oblio allorquando l'interessato scelga la via breve consistente nell'agire direttamente contro il gestore del motore di ricerca piuttosto che contro la testata giornalistica. Ove ciò avvenga, la normativa sui dati personali finisce per richiedere al motore di ricerca di porre in essere un bilanciamento di interessi178 che esula dal proprio ruolo e dalle proprie competenze, mancando sia la diretta conoscenza delle vicende sia la specifica professionalità. Questo non implica che il motore di ricerca debba necessariamente essere escluso dal processo di rimozione dei contenuti e che il destinatario della pretesa debba essere solamente il soggetto che ha pubblicato originariamente la notizia. Laddove si verta in materia di libertà di informazione, parrebbe tuttavia utile introdurre opportune disposizioni che prevedano l'attivarsi del motore di ricerca ai fini della rimozione solo a fronte di una valutazione proveniente dall'autorità giudiziario o dall'autorità per la protezione 178 Cfr. art. 17 (ca), proposta di regolamento comunitario in materia di tutela dei dati personali. 120 dei dati o, quantomeno, in seguito ad istanza del gestore del sito che ospitava i contenuti rimossi 179. I casi appena citati dimostrano come obiettivo delle istituzioni comunitarie e conseguentemente di quelle nazionali sia stato quello di mettere in tensione l’attuale assetto normativo al fine di far convogliare gli organismi europei e gli Stati Membri verso una riforma generale. Il caso Google Spain al quale abbiamo accennato, in effetti, ha dimostrato come un intervento normativo sia necessario a causa dell’eccessiva grandezza e del grosso potere di mercato che ormai possiedono proprio i motori di ricerca180. Nel caso specifico di Google, il quale può essere ritenuto il motore di ricerca per eccellenza e quindi il vero detentore del potere all’interno della Rete, si delinea una strategia di impresa che formalmente adempiendo alla pronuncia ne mina di fatto il fondamento, favorendo in tal maniera le opinioni critiche circa le 179 HENLEY J., Paris's Post-it wars, in The Guardian, Tuesday 30 August 2011, in http://www.theguardian.com/artanddesign/2011/aug/30/paris-post-it-wars-french. 180 Esemplare pare essere il caso che ha coinvolto un articolo di commento sulla vicenda finanziaria della Merrill Lynch pubblicato sul sito della BBC (“Merrill's mess”), laddove la richiesta di rimozione (i cui termini non sono noti) proveniva non dal soggetto interessato dalla notizia , bensì da una persona che aveva postato un commento all'articolo. Nella specie la notorietà della notizia escludeva qualsiasi questione circa il diritto all'oblio rispetto all'attività dei media e la richiesta di cancellazione proveniente dal commentatore non poteva certo giustificare la deindicizzazione del contenuto dell'articolo cui il singolo commento si riferiva. La reazione da parte di Google è dunque apparsa quantomeno contrastante con il principio di proporzionalità che connota, tra le altre, anche la materia della data protection. 121 ragioni e l'attualità del diritto alla cancellazione ed all'oblio nel moderno contesto delle comunicazioni online 181. In primo luogo il gestore del motore di ricerca ha deciso di creare uno spazio online ad hoc per consentire a tutti gli utenti di inoltrare una richiesta di cancellazione182. Trattasi di un adempimento non richiesto dalla Corte, che pare inoltre un unicum rispetto alle molte altre tipologie di comportamenti illeciti che possono essere posti online e che risultano correlati ai servizi erogati da Google. Non si coglie poi la ragione di tale mutamento delle modalità di gestione delle richieste in questione, posto che da anni Google riceve simili istanze, attraverso le vie ordinarie previste per l'esercizio dei diritti riconosciuti dalle normative locali in attuazione dell'art. 12, Dir. 95/46/CE. È invece del tutto evidente come tale “servizio”, immediatamente pubblicizzato dai media di tutto il mondo, favorisca (anche per le più agevoli modalità) un picco di domande. L'effetto di questo picco è molteplice: dimostra l'onere derivante dalla sentenza in capo al gestore del servizio, paventa eventuali conseguenze rilevanti in termini di cancellazione di informazioni dalla Rete, 181 ROSEN J, The Right to Be Forgotten, in 64 Stan. L. Rev. Online 88, February 13, 2012, p. 258 e ss. 182 Il modello di “Richiesta di rimozione di risultati di ricerca ai sensi della legge europea per la protezione dei dati”, disponibile al seguente indirizzo: https://support.google.com/legal/contact/lr_eudpa?product=websearch 122 accresce la funzione valutativa in capo a Google, consente a quest'ultimo un'ampia discrezionalità nella scelta di quali richieste privilegiare. Il tutto senza che tale inusuale procedimento sia assistito da un adeguato grado di trasparenza che permetta di comprendere esattamente quale tipologia di richieste è stata avanzata e da quali categorie di soggetti esse provengono, onde poter valutare se i primi provvedimenti di rimozione adottati dalla società risultino coerenti con la normalità delle richieste o costituiscano ipotesi del tutto eccentriche rispetto ad essa183. Prima di esaminare tali casi di rimozione, va sin da subito sottolineato come siano proprio i limiti dell'esistente dettato normativo a favorire un'ampia discrezionalità di azione in capo ad un soggetto imprenditoriale che detiene il 90% del market share europeo nel settore dei motori di ricerca. In quest'ottica, l'analisi dei casi merita indubbia attenzione e può fornire elementi per una possibile lettura della politica adottata dal destinatario della pronuncia in esame. Analizzando la posizione del motore di ricerca in effetti occorre dire che nel procedimento di deindicizzazione di un risultato dalle SERP, nell'impianto prefigurato dalla Corte di 183 DI CIOMMO F., PARDOLESI R, Dal diritto all'oblio in Internet alla tutela dell'identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e resp., 2012, 701 ss 123 giustizia, un ruolo di centralità assoluta è indubbiamente affidato al gestore del motore di ricerca, chiamato ad operare, prima ancora (o, meglio, al posto) di qualsivoglia autorità di matrice pubblicistica, il balancing tra il diritto invocato dall'istante ed il configgente diritto alla conoscenza degli utenti della Rete, soddisfatto dalla immediata accessibilità della pagina sorgente in contestazione 184. Siffatta centralità discende direttamente dal passaggio decisivo della decisione in commento che identifica nel service provider il responsabile del trattamento dei dati rappresentati dalle pagine indicizzate e, poi, rese disponibili, al momento della ricerca, in favore dell'utente. Secondo la Corte di giustizia, siamo dinanzi ad un trattamento distinto e separato rispetto a quello posto in essere dalle pagine sorgente, cioè quelle ove è materialmente caricata l'informazione che l'interessato vuol rendere irraggiungibile tramite il motore di ricerca. D'altronde, si è visto come l'istanza di oscuramento ipotizzata dalla Corte non abbia ad oggetto la rimozione dell'informazione dalla Rete, bensì la semplice limitazione della accessibilità alla stessa, restringendone la possibilità di visualizzazione tramite un dato 184 Cfr. anche van Der Sloot - Zuiderveen Borgesius, Google and Personal Data Protection, in Lopez-Tarruella (ed.), Google and the Law. Empirical Approaches to Legal Aspects of Knowledge-Economy Business Models, Springer, 2012, 75 ss. 124 motore di ricerca ed a fronte di una ricerca basata sul nome dell'interessato. Non a caso si discorre di diritto alla deindicizzazione, piuttosto che di diritto alla cancellazione dell'informazione. Dunque, il soggetto al centro del procedimento di rimozione, chiamato a valutare l'istanza ed a porre in essere l'operazione di oscuramento, non può che essere il responsabile del trattamento, cioè il motore di ricerca. Quello del gestore del motore di ricerca nel procedimento di rimozione è un ruolo decisamente problematico, dal momento che, per un verso, non si può ragionevolmente immaginare che un operatore di mercato muti la propria natura a fronte delle istanze degli utenti, ma, per un altro, l'impianto procedurale delineato dalla Corte di giustizia si fonda tutto, almeno in prima istanza, sulla delega al privato del giudizio di contemperamento tra diritti di rango costituzionale185. In altre parole, nel compito affidato al gestore del motore di ricerca dalla Corte di giustizia pare di poter scorgere un tentativo (tutto teorico, invero) di “ibridarne” la natura: in astratto, questi dovrebbe 185 PAPA E, Espressione e diffusione del pensiero in Internet: tutela dei diritti e progresso tecnologico, Torino, 2009, 308 125 ergersi a sorta di paladino della libertà di accesso all'informazione in Rete, rigettando l'istanza dell'interessato nell'ottica della tutela di un interesse collettivo alla conoscenza ed anche contro il proprio interesse d'impresa (che dovrebbe ragionevolmente indurre alla opposta soluzione del generalizzato accoglimento delle istanze con minimizzazione dei costi di procedura come dei rischi di sanzioni e di richieste risarcitorie) 186. In realtà, come accennato, una aspettativa di questo tipo è assolutamente illusoria: non si può pretendere da un operatore di mercato privato di anteporre al proprio interesse d'impresa quello della collettività alla conoscenza, soprattutto allorquando ciò possa comportare esternalità negative non preventivabili o difficilmente sostenibili. Del resto lo stesso Decreto Legislativo 196/2003 che disciplina in Italia la materia della riservatezza recepisce le prescrizioni della Direttiva sopra citata e dispone in modo chiaro che la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati 186 PAPA E, Espressione e diffusione del pensiero in Internet: tutela dei diritti e progresso tecnologico, Torino, 2009, 308 126 raccolti o successivamente trattati. Tali disposizioni contenute nell’articolo 7 sono completate dal quarto comma che dispone come l’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta. Sia a livello comunitario che a livello nazionale inquadrano il diritto alla cancellazione dei dati solamente nel momento in cui proprio la diffusione della notizia configuri un illecito. La dottrina187 precisa poi come analizzando in modo dettagliato la proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio riguardante la tutela delle persone fisiche in relazione alla circolazione dei dati del 2012 il quadro descritto non muti visto che “all'art. 17 si disciplinano il diritto all'oblio e il diritto alla cancellazione dei dati, benché nei commenti la previsione concernente il diritto all'oblio sia stata molto evidenziata ed enfatizzata”188. Secondo tale impostazione i presupposti per richiedere la cancellazione secondo l’articolo 17 sono legati alla non necessarietà dei dati rispetto la finalità per la quale erano stati pubblicati e 187 PAPA E, La disciplina della libertà di stampa alla prova delle nuove tecnologie, in questa Rivista, 2011, 3, 477 188 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss 127 sicuramente la revoca del consenso per il trattamento degli stessi. Tale cancellazione deve essere realizzata se l’interessato revoca il consenso e se il trattamento dei dati non risulta essere conforme al regolamento stesso. Rispetto al tradizionale impianto normativo l’innovazione risiede nel nsecondo comma dell'art. 17 ove si configura una nuova responsabilità del titolare del trattamento, prevedendo che il titolare del trattamento debba informare i terzi che stanno trattando i dati della richiesta dell'interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali e che, se il titolare ha autorizzato un terzo a pubblicare dati personali, è ritenuto responsabile di tale pubblicazione. Tuttavia giova ricordare che un analogo obbligo del titolare di informare i terzi era già presente nella legge italiana. La cancellazione 189 è quindi definibile come una operazione che esclude la possibile conservazione degli stessi dati. L’oblio in tale prospettiva appare una ulteriore specificazione che accentua il dovere stesso di cancellazione attraverso un possibile blocco ad eventuali fruizioni future dei contenuti. Del resto la Corte di Giustizia in merito al diritto all’oblio con 189 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss 128 sentenza del 13 maggio 2014190, specificando in via preliminare che con riferimento alle problematiche legate all’indicizzazione all’interno dei motori di ricerca applicazione diretta hanno le normative in vigore all’interno dei Paesi Membri e che in linea di principio i motori di ricerca sono “titolari del trattamento e pertanto che l'interessato ha il diritto di richiedere che sia rimossa l'indicizzazione direttamente al motore di ricerca, a prescindere da ogni richiesta al gestore del sito web che ha pubblicato l'informazione, anche nel caso in cui l'informazione sia stata e sia legittimamente pubblicata sul sito web. La stessa Corte di Giustizia ribadisce come l’interessato ha diritto a che l'informazione riguardante la sua persona non venga più collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome e che nel valutare i presupposti di applicazione di tali disposizioni, si deve verificare in particolare se l'interessato abbia diritto a che l'informazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che 190 Corte di Giustizia, 13 maggio 2014, 2014, 129 l'inclusione dell'informazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato. La portata innovativa della sentenza in esame è sicuramente quella che riguarda l’intepretazione sempre della Direttiva 95/46/CE agli articoli 12 e 14 che riguardano poi l’accesso ai dati e l’opposizione al trattamento. determinato L’articolo 12 stabilisce testualmente che un Stato Membro garantisce a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento: (...) a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della presente direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati” e dell'art. 14, primo comma, lett. a) ove si dispone che “gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto: (...) almeno nei casi di cui all'articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale”. Dunque il contenuto del diritto all'oblio indagato è quello relativo a quella rivendicazione inerente la cancellazione o il congelamento dei dati con conseguente opposizione al trattamento. 130 Nella specifica sentenza191 si faceva, nei fatti, riferimento ad un diritto alla cancellazione implicante per il soggetto la possibilità di interloquire con i motori di ricerca per impedire l'indicizzazione delle informazioni riguardanti la sua persona pubblicate su pagine web di terzi, facendo valere la propria volontà che tali informazioni non siano conosciute dagli utenti di Internet, ove egli reputi che la loro divulgazione possa arrecargli pregiudizio o desideri che tali informazioni siano dimenticate, anche quando si tratti di informazioni pubblicate da terzi lecitamente. Si pone il problema, come sottolineato dalla dottrina192 , se un soggetto può rivolgersi direttamente al motore di ricerca che indicizza oppure al soggetto titolare del sito o blog indicizzato. La Corte di Giustizia193 ha precisato che il motore di ricerca è titolare del trattamento dei dati. In relazione al secondo quesito la Corte ritiene che “quanto all'articolo 12, lettera b), della direttiva 95/46, la cui applicazione è subordinata alla condizione che il trattamento di dati personali sia incompatibile con la direttiva stessa, occorre ricordare che, come si è rilevato al punto 72 della presente sentenza, 191 Corte di Giustizia, 13 maggio 2014, in Giur it, 2014, III, 478 e FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss 193 Corte di Giustizia, 13 maggio 2014, in Giur iT, 2014,III, 478 192 131 un'incompatibilità siffatta può derivare non soltanto dal fatto che tali dati siano inesatti, ma anche segnatamente dal fatto che essi siano inadeguati, non pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento, che non siano aggiornati, oppure che siano conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario, a meno che la loro conservazione non si imponga per motivi storici, statistici o scientifici”. Tale situazione si configura in particolare nel caso in cui i dati risultino inadeguati, non siano o non siano più pertinenti, ovvero siano eccessivi in rapporto alle finalità suddette e al tempo trascorso. E conclude che “l'inclusione nell'elenco di risultati — che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome — dei link verso pagine web, legittimamente pubblicate da terzi e contenenti informazioni veritiere relative alla sua persona, è, allo stato attuale, incompatibile con il citato articolo 6, paragrafo 1, lettere da c) a e), a motivo del fatto che tali informazioni appaiono, alla luce dell'insieme delle circostanze caratterizzanti il caso di specie, inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti, ovvero eccessive in rapporto alle finalità del trattamento in questione realizzato dal gestore del motore di ricerca, le informazioni e i link in parola di cui al suddetto elenco di risultati 132 devono essere cancellati” 133 3.3 Gli strumenti di tutela del diritto all'oblio Al fine di costruire una riflessione rispetto gli strumenti di tutela afferenti il diritto all’oblio occorre sottolineare come storicamente la giurisprudenza, ma anche la dottrina, ha inteso il diritto all’oblio come una sorta di punto di equilibrio tra il diritto di cronaca quale esimente della lesione del diritto all'onore e alla reputazione per diffamazione di cui all'art. 51 c.p., e la tutela dei diritti della personalità, focalizzando il proprio ragionamento sulla verifica della sussistenza, a fronte della rivendicazione del diritto all'oblio dell'interessato, di un interesse pubblico alla (ri)pubblicazione della notizia194. L'orientamento dei giudici di merito si inizialmente è dimostrato 194 Tra i precedenti, si ricorda la presa di posizione espressa dai giudici di merito secondo i quali un evento che sia stato oggetto di cronaca trent'anni prima non può essere riproposto, a meno che non sorga un interesse pubblico alla sua rievocazione, requisito la cui mancanza genera nella condotta del quotidiano una responsabilità per diffamazione. Tra l'altro, l'atteggiamento del giornale può risultare ancora più deplorevole, se si considera che la lesione − nel caso sul quale l'autorità giudiziaria era stata chiamata ad esprimersi − si era verificata nell'ambito di un gioco promozionale a premi, ideato al solo scopo di incrementare le vendite del quotidiano. È questo il ragionamento seguito dal Trib. Roma (sent. 15 maggio 1995), che non nomina propriamente il diritto all'oblio, ma evidentemente è ad esso che fa riferimento. Per una disamina della sentenza si consulti CASSANO, Il dirittoall'oblio esiste (ma non si dice), in Dir. Inf, 1996, 3, 427; idem, Il diritto dall'oblioesiste: è diritto alla riservatezza, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1998, 1, 84. 134 oscillante. Dopo alcuni casi sporadici195, l'occasione per pronunciarsi in merito ed aprire la strada a un dibattito sul diritto all'oblio è derivata, in un primo momento, dalla preannunciata messa in onda da parte della RAI di una serie televisiva basata sulla ricostruzione di alcuni grandi processi del recente passato, che a suo tempo avevano destato grande interesse nell'opinione pubblica. Il Tribunale di Roma fu investito da una serie di istanze cautelari, con cui imputati e parti lese di quei processi chiedevano un'inibitoria nei confronti dell'emittente radiotelevisiva per impedire la riproposizione al pubblico delle vicende di cui gli istanti erano stati protagonisti, in quanto avrebbe arrecato irreparabili danni faticosamente emancipatisi dai drammatici trascorsi196. Tale richiamo storico, nonostante nel paragrafo precedente si siano affrontate questioni decisamente molto più recenti, serve per 195 Ad esempio si consulti Pret. Roma, 2 gennaio 1985 (in For. It, 1985, 2, con nota di NAZZICONE L), con cui è stato stabilito che la riproduzione di un'immagine osé di un'attrice, a distanza di tempo, fosse giustificata dal prevalente intento informativo, rispetto al diritto alla tutela della mutata identità personale, di fornire al pubblico notizie sugli esordi artistici di una persona nota. Considerazioni sul rapporto tra l'identità personale e la privacy dei soggetti celebri sono rinvenibili in CAVALLA Z, Osservazioni sulla commerciabilità dei diritti della personalità, in Contratto e impresa, 2010, 3, 650. 196 CRIPPA L, Il diritto all'oblio: alla ricerca di un'autonoma definizione, Nota a ord. Trib. Roma 27 novembre 1996, ord. Trib. Roma 20 novembre 1996, ord. Trib. Roma 21 novembre 1996, ord. Trib. Roma 8 novembre 1996, in Giustizia civile, 1997, 7-8, 1990; G. Napolitano, Richiami di dottrina e giurisprudenza, inDir. Inf., 1997, 2, 342. 135 sottolineare come proprio con riferimento al diritto all’oblio non si può certamente adottare, ai fini di fornire un quadro rispetto gli strumenti di tutela in mano al soggetto che vuole vedere riconosciuto il diritto ad essere dimenticato. In generale si può affermare come un soggetto, ove veda disattesa la propria istanza dal gestore del motore di ricerca, può rivolgersi all'autorità di controllo nazionale in materia di privacy o, in alternativa, all'autorità giudiziaria, affinché queste — quasi a guisa di organi di secondo grado — verifichino la correttezza della posizione assunta dal responsabile del trattamento ed, eventualmente, ordinino allo stesso l'adozione di misure precise conseguenti197. L’analisi condotta ha dimostrato anche come nel nostro ordinamento il diritto all’oblio non forma oggetto di una disciplina normativa specifica, anche se nel nostro ordinamento si rinvengono disposizioni che indirettamente alludono alla tutela dell'interesse sostanziale a celare informazioni della propria vita passata, suscettibili di rappresentare in una falsa luce l'attuale identità personale del soggetto interessato. Esso rappresenta, secondo parte 197 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss 136 della dottrina198, dunque, il frutto di una operazione di creazione giurisprudenziale, che ha prodotto l'emersione di una situazione soggettiva definita nei suoi principali elementi costitutivi e che si è avvalsa dei contributi della dottrina e delle esperienze analoghe di ordinamenti stranieri, seguendo un procedimento di selezione casistica, più consono ad adattare la risposta giudiziaria alle esigenze di tutela provenienti dalla società. L'ingresso, per via giurisprudenziale, del diritto all'oblio nel novero delle situazioni soggettive tutelabili secondo le categorie dell'inviolabilità propria dei diritti fondamentali della persona, rappresenta un esempio di applicazione diretta delle norme costituzionali nelle relazioni intersoggettive, secondo i principi della drittwirkung, non espressamente prevista dalla nostra costituzione, ma a cui i giudici di merito hanno fatto sovente ricorso199, nel caso di mancanza di norme ordinarie attuative di principi costituzionali, 198 Art. 5 l. 14 aprile 1982, n. 164, a norma del quale le attestazioni dello stato civile relative alla persona, nei cui confronti è stata disposta la rettificazione dell'identità sessuale in via giudiziale, vengono rilasciate esclusivamente con l'indicazione del nuovo nome e del nuovo sesso; art. 5 comma 2, lett. d), d.P.R. n. 313 del 2002, in riferimento a C. cost. n. 287 del 2010 cit.; art. 11, lett. e), d.lg. n. 196 del 2003, che impone un limite temporale nella conservazione dei dati identificativi del soggetto titolare. 199 MANGANO, Il giudice e l'applicazione diretta delle norme costituzionali di garanzia dei diritti inviolabili della persona. Recenti ipotesi di « drittwirkung » , Relazione al seminario organizzato dal C.S.M. sul tema Il giudice e la Costituzione, Frascati 11-13 dicembre 1997. Quaderni del C.S.M. 137 comunque efficaci nel nostro ordinamento come valori formanti le relazioni tra i consociati. Del resto anche dall’analisi della recente Cassazione si evince come il percorso che viene seguito dai giudici italiani per il riconoscimento del diritto all'oblio, come situazione soggettiva destinataria di una tutela specifica e distinta, rispetto agli altri diritti della persona, pur nella originalità delle sue sequenze, appare assimilabile, almeno in questa prima fase, al procedimento selettivo adoperato nei sistemi di common law, certamente perché in tal caso la regola di giudizio è tratta da un bilanciamento di valori costituzionali. Il fattore tempo rappresenta, quindi, un elemento relazionale del bilanciamento operato attraverso il criterio discretivo dell'interesse sociale della notizia; esso agisce, in rapporto inversamente proporzionale con la gravità del fatto e con il ruolo dei soggetti coinvolti, per la verifica della sussistenza attuale della prevalenza dell'interesse alla divulgazione del fatto, e della conseguente legittimità del sacrificio dell'interesse individuale dei protagonisti. La categoria di quei soggetti o protagonisti (minori, vittime ecc.) che in ragione delle loro qualità personali e del ruolo svolto nella vicenda devono godere di una protezione più accentuata, e in 138 relazione ai quali il giudizio di proporzionalità del sacrificio alla loro esigenza di anonimato, riservatezza o di richiesta di oblio, spiega un'efficacia più marcata. Di ciò la dottrina dà atto, nel segnalare che il diritto all'oblio emerge in tutte le ipotesi nelle quali si controverte non tanto sul fatto in sé considerato, quanto, piuttosto, del coinvolgimento della persona che di quel fatto sia protagonista200 Un criterio di giudizio pienamente confermato nella decisione con cui il Garante per la Privacy, chiamato alcuni anni dopo e nella vigenza del d.lg. n. 196 del 2003, a decidere sulla messa in onda di un programma già trasmesso alcuni anni addietro e riguardante un processo per omicidio volontario, stigmatizza il mancato rispetto del canone dell'essenzialità dell'informazione, in riferimento alle riprese che ritraggono il pubblico presente al giudizio, tra cui una donna all'epoca legata affettivamente ad uno degli imputati e della quale venivano riprese le reazioni emotive al verdetto, ledendo in tal modo «il suo diritto a non essere ricordata pubblicamente a distanza di anni» e «il diritto dell'interessata di veder rispettata la propria rinnovata dimensione sociale e affettiva come si è venuta definendo CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss. 200 139 successivamente....»201. Del resto tramite il ricorso al Garante nazionale o all'autorità giudiziaria, l'interessato, facendo accertare la violazione dei propri diritti o, comunque, la prevalenza degli stessi sul diritto alla conoscenza degli utenti del web, potrà cercare di ottenere quanto negato in prima istanza dal gestore del motore di ricerca, cioè la cancellazione, dall'elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal proprio nome, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni a sé relative202. Tale risultato prescinde completamente dalla cancellazione dalla Rete della medesima pagina ove le informazioni sono state pubblicate in origine o di altri link che comunque alle stesse rimandino. Ritornando alla problematica sollevata dalla Corte di Giustizia nell’analisi del caso Google Spain nella già analizzata sentenza della Corte di Giustizia non solo ha riconosciuto il diritto dell'interessato a richiedere la cancellazione dei propri dati personali che si trovavano nella titolarità di Google, ma — per la prima volta — ha sancito il principio che le richieste di cancellazione possono essere 201 202 Decisione Garante Privacy 7 luglio2005, in www.garanteprivacy.it. AZZARITI G, Internet e costituzione, in Politica del diritto, 2011, 3, 367 140 avanzate anche direttamente al gestore del motore di ricerca, ancorché le relative informazioni siano state originariamente pubblicate su altri siti e successivamente indicizzate da Google203. È di tutta evidenza che tale pronuncia solleva problematiche di particolare complessità e delicatezza a causa delle sue molteplici e significative implicazioni, ivi comprese quelle inerenti le misure da adottare per la gestione delle richieste di cancellazione. Su tale ultimo aspetto in particolare sarebbe auspicabile l'individuazione, prima, e l'adozione, poi, di linee guida in grado di sviluppare un approccio comune delle Autorità di protezione dei dati europee riguardo l'implementazione della decisione della Corte e che — soprattutto — siano di ausilio per le Autorità Garanti nell'individuazione di una modalità di risposta uniforme alle richieste degli interessati nel caso in cui il motore di ricerca non proceda alla cancellazione dei contenuti la cui rimozione sia stata oggetto di richiesta204. Peraltro, il Garante per la Privacy nazionale, proprio in considerazione della particolare innovatività della materia e della « BRUGNATELLI F., “Privacy, diritto all’informazione e diritti della personalità”, in Giustizia civile 2005, pt. 1, p. 1385 e ss. 204 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 203 141 complessità delle implicazioni connesse all'adempimento delle prescrizioni della Corte di giustizia in materia di richieste di cancellazione di dati personali relativi ai risultati delle ricerche effettuate attraverso la funzionalità del motore di ricerca al ricorrere dei presupposti per l'esercizio del diritto all'oblio », ha ritenuto opportuno « astenersi in questa fase dall'imporre a Google prescrizioni non ancora vagliate né da una prima esperienza, né dal conseguimento di un assetto comune condiviso da tutte le Autorità di protezione dati interessate dalle nuove regole »205. Il Garante ha preso spunto dall’esame di conformità al Codice della privacy italiano della nuova privacy policy di Google (che dal 1° Marzo 2012 ha unificato in un solo documento le circa 70 diverse policies fino ad allora in vigore) per prescrivere una serie di regole a tutela degli utenti italiani fruitori di servizi Google206. Per tale ragione, dunque, il Garante, pur riservandosi qualsiasi tipo di intervento « ritenuto opportuno al fine di garantire agli utenti la più ampia tutela dei propri diritti nel solco della recentissima pronuncia di carattere interpretativo resa dalla Corte di giustizia », ha inteso « limitare in 205 Garante Privacy, Provvedimento prescrittivo nei confronti di Google Inc. sulla conformità al Codice dei trattamenti di dati personali effettuati ai sensi della nuova privacy policy - Parere 10 luglio 2014, n. 3283078, in www.garanteprivacy.it. 206 SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 142 questa fase l'esplicazione dei propri poteri prescrittivi a tutti i casi nei quali le richieste di cancellazione dei dati personali nella titolarità di Google siano formulate da un utente registrato, cioè che dispone di un account. Ciò in quanto l'accoglimento, appunto, di una tale richiesta di cancellazione consente fin d'ora non soltanto l'identificazione certa, da parte della società, dell'identità del richiedente, ma anche l'individuazione specifica delle informazioni che possono costituirne oggetto, in quanto automaticamente riferibili all'account del richiedente e, di riflesso, non assoggettabili ad alcun processo di valutazione arbitraria »207. In merito proprio alla contestualizzazione, secondo quanto previsto dal Garante, google dovrà definire empi certi di conservazione dei dati sulla base delle norme del Codice privacy, sia per quanto riguarda quelli mantenuti sui sistemi cosiddetti "attivi", sia successivamente archiviati su sistemi di "back up"208. Per quanto riguarda “la cancellazione di dati personali, il Garante ha imposto a Google che richieste provenienti dagli utenti che dispongono di un account (e sono quindi facilmente identificabili) siano soddisfatte al massimo CORRIAS LUCENTE G., “Le recenti prescrizioni del Garante sulla pubblicazione di atti di pro- cedimenti penali e la cronaca giudiziaria. Rigide interferenze tra privacy e libertà d’informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2007, p. 593 e ss.; 208 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 207 143 entro due mesi se i dati sono conservati sui sistemi "attivi" ed entro sei mesi se i dati sono archiviati sui sistemi di back up. Per quanto riguarda, invece, le richieste di cancellazione che interessano l'utilizzo del motore di ricerca, ha ritenuto opportuno attendere gli sviluppi applicativi della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea sul diritto all'oblio”209. Il garante era del resto intervenuto in questo senso anche precedentemente con riferimento alla pubblicazione on line degli archivi storici dei giornali e ha ritenuto legittima la messa a disposizione per la consultazione dei dati personali on line attraverso il sito dell'editore, precisando tuttavia che la pagina web che contiene i dati personali deve essere sottratta all'indicizzazione dei motori di ricerca esterni. La soluzione del problema, allo stato attuale, incontra anche dei limiti di natura tecnologica che rendono ancora incerta l'effettività del provvedimento210. Su Internet cambia non solo la quantità ma anche la natura della 209 Cfr. http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docwebdisplay/docweb/3283483 210 Autorità Garante per la protezione dei dati personali: decisioni 11 dicembre 2008 [doc. web n. 1583162], 11 dicembre 2008 [doc. web n. 1582866], e 19 dicembre 2008 [doc. web n. 1583152]. Sul diritto all'oblio si veda anche il Rapporto e Linee-Guida in materia di privacy nei servizi di social network - Memorandum di Roma, adottato dall'International Working Group on data protection in telecommunications, 3-4 marzo 2008, http: //www.garanteprivacy.it - doc. web n. 1567124. 144 comunicazione211: le informazioni non solo sono moltissime, ma sono facilmente reperibili, sovente prive di contestualizzazione e spesso prive di fonte che consenta di attribuire ad esse un peso. Sono, per così dire, appiattite. Mentre la fonte dell'informazione può di per sé conferire un peso all'informazione stessa (si pensi alla testata giornalistica più o meno affidabile), ciò, allo stato attuale, non sempre accade con riguardo ai siti Internet e certamente non accade quando la ricerca è effettuata mediante motori di ricerca212. Il problema qui è l'effettività del modello disegnato dalla legge sulla protezione dei dati personali e l'adeguamento della tecnologia. Il diritto al controllo può dunque essere esercitato nei limiti definiti dal diritto all'oblio e dal diritto alla protezione dei dati personali, anche nella Rete. Questo esercizio non è scevro da problematiche giuridiche, ma non pare necessaria una radicale revisione del modello, bensì un adattamento, e lo sviluppo di idonee tecnologie per garantirlo213. 211 BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della persona. Il conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss. 212 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss 213 VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347 145 Certo l'effettività è in parte minata da alcune criticità nella protezione dati personali. Bisognerebbe ripensare il modello della legge sulla protezione dei dati personali e basare non solo sul consenso dell'interessato, ma anche su una maggiore responsabilità del titolare, il diritto alla protezione dei dati personali. Non solo il consenso ma anche una forma di accountability, e quindi di trust, del titolare del trattamento, che dovrebbe comunque essere responsabile per un trattamento le cui caratteristiche sono normativamente predeterminate, o in alternativa definite in un modello negoziale basato sull'accountability che consenta per i titolari che ad esso aderiscano un trattamento di maggiore favore. E in questo modello certamente potrebbe rientrare la definizione del tempo di trattamento dei dati personali214. 3.4 La responsabilità degli internet provider. L’applicabilità degli strumenti di tutela in ambito sovranazionale La memoria della Rete è un tema di enorme suggestione e oggi 214 146 all'attenzione di studiosi di diverse discipline Dati, immagini, audio, frammenti di informazione vanno incontro al navigatore, in una dimensione spaziale avvertita come del tutto nuova che pare ignorare la dimensione temporale. Per la sua stessa struttura, difficilmente la Rete dimentica. Non è, infatti, diffusa la pratica di cancellare da siti Internet i dati, né tale operazione di cancellazione risulta facilmente effettuabile. I dati sono replicati in altri siti e nelle cache, per renderli più facilmente fruibili nel momento della richiesta. Quindi, normalmente i dati pubblicati in Rete sono poi successivamente rintracciabili e raramente cancellati. Un'attività di cancellazione non è comunemente praticata e risulta tecnicamente difficoltosa. Si costituisce quindi un deposito di dimensioni globali. Antropomorficamente, la percezione è che la Rete travalichi i confini dell'umano e sia una divinità o un mostro: un'entità unica dotata di memoria infinita e senza tempo. Questa sensazione è palesemente avvertita quando si utilizzano i motori di ricerca. Digitando un nome, si è raggiunti da un insieme affollato di informazioni correlate a quel nome, le quali non hanno necessariamente tutte rilevanza, qualità o affidabilità. La peculiarità 147 dei casi giurisprudenziali esaminati, cosi come le opinioni dottrinali che abbiamo preso in considerazione, sottolineano come la particolarità delle fattispecie in esame è data dal contrasto fra il rapporto bilaterale che caratterizza l'esercizio del diritto di cancellazione, coinvolgente l'interessato ed il titolare del trattamento, ed il rapporto multi-laterale su cui incide il processo di rimozione dei contenuti, cui prendono parte anche il fornitore del contenuto rimosso e la collettività in genere . A ciò si aggiunga che, mentre nel primo caso è possibile attuare una ben precisa pretesa giuridica, riguardo al secondo rapporto né il fornitore di contenuti né la collettività possono vantare una pretesa giuridicamente rilevante verso un soggetto privato quale il gestore del motore di ricerca, che non ha obbligo alcuno di indicizzare qualsiasi contenuto disponibile online, salvi i limiti di comportamenti rilevanti sul piano concorrenziale215. Non è dunque forse un caso che i garanti di diversi Paesi abbiano risolto le vicende in materia di diritto all'oblio ed alla cancellazione agendo direttamente su coloro i quali avevano pubblicato le notizie 215 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss ltre ricordato come l'indicizzazione dei contenuti da parte di Google non avvenga sulla base di un algoritmo pubblicamente noto 148 oggetto di controversia e solo indirettamente sul motore di ricerca, imponendo ai primi di non rendere indicizzabili i contenuti meritevoli di tutela e raggiungendo in tal modo un equo bilanciamento di interessi216. Tale approccio, come la più generale esperienza giurisprudenziale inerente il rapporto fra media e tutela della persona, sottolineano la centralità del metodo del bilanciamento degli interessi principio di proporzionalità e del 217. Va inoltre rilevato come non possa essere caricato sull'interessato tutto il peso di ricercare e chiedere la rimozione delle informazioni disponibili in Rete dove la riproducibilità dei contenuti è la norma. Dove v'è il rischio concreto di amplificare a dismisura nello spazio e nel tempo la visibilità di una notizia e dove la dimensione globale può rendere assai difficile la tutela nel caso di contenuti riprodotti in Paesi al di fuori dell'Unione, talora anche ad opera di soggetti difficilmente identificabili. Rispetto a tale contesto è inevitabile che l'interessato reclami una 216 FINOCCHIARO G., Il convitato di pietra nella recente sentenza Google della CGUE del 13 maggio 2014: il diritto all'identità personale, in giustiziacivile.com, 21 giugno 2014 217 Tale centralità pare essere stata colta dal legislatore comunitario nell'avanzare la proposta di riforma della data protection. Cfr. art. 17 (3) (a) proposta di regolamento comunitario in materia di tutela dei dati personali. 149 diversa, più estesa ed incisiva tutela rispetto alla memoria della Rete. Per converso, la rimozione di contenuti, specie quando riguarda i media online, va accuratamente bilanciata con la libertà di informazione e di essere informati. Ad oggi tale bilanciamento non pare del tutto agevole, stante il quadro normativo delineato dalla dir. 95/46/EC. Da un punto di vista strettamente tecnico le attuali tecniche di deindicizzazione ex post o di prevenzione dell'indicizzazione sono al momento rudimentali, e tali permangono dalla metà degli anni '90. Strumenti più efficaci del Robots Exclusion Protocol sono quelli che prevedono l'utilizzo di fasi di interazione umana con i contenuti online prima della loro fruizione da parte degli utenti, in modo da disincentivare, se non escludere del tutto, l'azione di agenti automatizzati di ricerca. Tuttavia tali accorgimenti non hanno una diffusa accettazione in quanto incidono negativamente sulla esperienza d'uso della rete, oggi caratterizzata da una diffusione di dispositivi mobili di ridotte dimensioni e dalla conseguente necessità di garantire una maggiore semplicità d'uso attraverso una semplificazione delle interfacce uomo-macchina. Altro possibile approccio è quello basato sul paradigma del web 150 semantico per la tipizzazione delle informazioni e la definizione di una disciplina del loro utilizzo, anche con riferimento agli aspetti di protezione dati. Tale approccio richiederebbe però un radicale mutamento delle tecniche di pubblicazione online, dei formati dei documenti e una conseguente compliance da parte dei search engines. Tutto ciò lascia pensare che, qualora si intenda limitare la conoscenza di informazioni l'unico strumento davvero efficace sia la radicale misura della rinuncia alla loro pubblicazione. La presenza sul web di una notizia la candida comunque, nonostante le possibili azioni tecniche mitigatrici, a conoscere in misura più o meno rilevante l'indesiderata diffusione, nonostante interventi di legislatori e decisioni giudiziarie che hanno comunque efficacia limitatamente alla giurisdizione esercitabile, in un contesto di fenomeni tecnologici di tipo transnazionale. In dottrina218 ci si interroga quindi se occorra rassegnarsi a un mondo tecnologico in cui il passato di ogni individuo possa riemergere con poche o nessuna possibilità di controllo, la sua vita 218 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss 151 privata possa essere registrata in una sorte di memoria permanente della rete o nell'insieme di strumenti di ricerca e sistemi di memorizzazione, sharing di dati o social networks disponibili online sulla rete. Segnali incoraggianti vengono dallo sviluppo di tecnologie di ricerca di tipo semantico che, oltre a essere più accurate ed efficaci, presuppongono tuttavia modifiche sostanziali alla modalità di presentazione e di elaborazione delle informazioni. Il successo di qualsiasi iniziativa volta a concretizzare anche in prodotti tecnologici i principi della protezione dei dati dipenderà dalla capacità di affermarli e promuoverli tra la vasta platea costituita dalla comunità di utenti e sviluppatori della rete, in un'era in cui i valori della privacy e della protezione dei dati personali vanno incontro a un'altalena di percezioni e considerazioni anche da parte del pubblico, dei legislatori e, più in generale, dei policy makers, in un conflittuale rapporto tra libertà di espressione, diritto di conoscere da parte del pubblico e diritto dell'individuo di sottrarsi all'azione invasiva delle tecnologie della rete. Lo stesso processo davanti alla Corte di Giustizia è stato caratterizzato dalla partecipazione di diversi attori, portatori di diversi valori e interessi, che hanno assunto posizioni contrastanti. L'avvocato generale 152 Jaaskinen219 aveva proposto una decisione antitetica rispetto a quella adottata dalla Corte: egli non solo aveva escluso che Google potesse essere responsabile, ma aveva considerato la stessa immune rispetto a ordini di rimozione, quando si fosse limitata a svolgere la propria fisiologica funzione di indicizzare tutti i contenuti in rete, non essendo, in tale ruolo, titolare di un'elaborazione di dati personali. Inoltre, la preminenza della libertà di espressione, secondo la tradizione nordeuropea, più vicina in questo riguardo all'esperienza statunitense, conduceva Jaaskinen a ritenere che la responsabilizzazione del motore di ricerca avrebbe indotto lo stesso alla rimozione dei link a ogni materiale contestato, e che ciò avrebbe comportato un inammissibile pregiudizio alla libertà di espressionecomunicazione di chi avesse pubblicato un'informazione on-line220. Anche i pareri degli Stati membri divergevano su importanti questioni. I governi spagnolo, italiano e polacco, nonché la Commissione, ritenevano che “l'autorità nazionale possa ordinare direttamente al gestore di un motore di ricerca di rimuovere dai propri indici e dalla propria memoria intermedia informazioni 219 Conclusioni dell'Avvocato Generale Niilo Jaaskinen, presentate il 25 giugno 2013 (1), nella Causa C-131/12 Google Spain SL e Google Inc.contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González 220 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss 153 contenenti dati personali pubblicati da terzi, senza doversi rivolgere previamente o simultaneamente all'editore della pagina web nella quale compaiono tali informazioni”. Invece il governo polacco escludeva la legittimità della rimozione dagli indici di un motore di ricerca di informazioni lecitamente pubblicate su Internet 221. Google pur criticando la decisione della Corte, ha iniziato a dar seguito a essa, offrendo un'interfaccia web nella quale gli interessati possano esprimere le proprie doglianze, e procedendo a rimuovere i link contestati, molti dei quali riguardano informazioni di apparente interesse pubblico. Questo esito censorio è stato interpretato da alcuni come una conferma dell'assurdità della decisione da Corte, che obbliga i provider a esercitare un ruolo improprio, e da altri invece come cinica scelta tattica di Google, che rifiuta di essere selettiva nelle proprie scelte di rimozione, al fine di screditare la decisione dei giudici e ridurre i propri costi . Non si vede peraltro perché Google dovrebbe procedere a rimozioni più selettive, sottoponendosi al rischio di possibili sanzioni nel caso che le proprie valutazioni non dovessero coincidere con l'eventuale successiva 221 Corte di Giustizia, Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 13 maggio 2014), nella Causa C-131/12, 154 decisione autoritativa222. Sembra indubbio che questa decisione contribuirà ad accrescere il divario tra Europa e Stati Uniti in materia di protezione dei dati. Infatti, la costruzione della Corte sembra del tutto incompatibile con alcuni principi fondamentali dell'ordinamento giuridico statunitense. Essa è in evidente conflitto con la libertà di parola garantita dalla costituzione statunitense: non solo la Corte afferma che la privacy può limitare la libertà di espressione, ma attribuisce alla prima un ruolo almeno presuntivamente prevalente sulla seconda. Inoltre la tesi della Corte appare incompatibile con l'idea dell'immunità del provider rispetto alle informazioni prodotte da terzi, immunità conferita dal Communication Decency Act (CDA) statunitense e interpretata in modo assai esteso dai giudici americani. Nella decisione della Corte manca anzi ogni riferimento 222 Sul tema è intervenuto recentemente Jimmy Wales, il fondatore di Wikipedia, il quale ha qualificato l'esercizio del diritto a essere dimenticato come “profondamente immorale”, poiché “la storia è un diritto umano e una delle peggiori cose che una persona possa fare è cercare di tacitare un altro” (73). Secondo Lila Tretikov, direttore esecutivo della Wikimedia Foundation (l'ente che gestisce Wikipedia) “la Corte europea ha abbandonato la sua responsabilità di difendere uno dei diritti più importanti e universali, il diritto di cercare, ricevere e trasmettere informazione”, e di conseguenza “risultati di ricerche accurate stanno sparendo in Europa senza spiegazione pubblica, senza prova reale e senza esame giudiziale, di modo che ne risulta un'Internet crivellata di buchi di memoria alla Orwell” . Cfr. Notizia riportata in Owen. Right to be forgotten: Google accused of deliberately misinterpreting court decision to stoke public anger (2014). The Independent, 3 giugno 155 alle limitazioni della responsabilità del provider stabilite dalla Direttiva sul commercio elettronico, benché tali limitazioni siano state ribadite, anche rispetto alla violazione delle norme sulla privacy, nell'Articolo 2, comma 3 della proposta di Regolamento Generale sulla Protezione dei dati 223. CAPITOLO QUARTO 4 DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTO ALL’INFORMAZIONE Secondo il quale il regolamento si applicherà “without prejudice to the application of Directive 2000/31/EC, in particular of the liability rules of intermediary service providers in Articles 12 to 15 of that Directive”. 223 156 4.1 Il diritto all’informazione nella duplice prospettiva del diritto di informare e del diritto ad essere informati La disciplina del trattamento dei dati personali nell'ambito dell'attività giornalistica, o comunque nel più generico ambito della manifestazione del pensiero, pone delicati problemi di bilanciamento di interessi e di diritti parimenti costituzionalmente protetti e potenzialmente confliggenti, venendo in risalto da un lato i diritti della persona (e tra questi primariamente quelli alla riservatezza ed all'identità personale) e, dall'altro, la libertà di manifestazione del pensiero ed il diritto all'informazione224. Il primo riconoscimento del diritto alla riservatezza è avvenuto nell’ordinamento giuridico statunitense alla fine del XIX secolo in virtù di un caso concreto che aveva riguardato il senatore Warren, spesso bersagliato dai giornali di cronaca locali, non tanto per documentare la sua attività politica, quanto per rendere conto del suo stile di vita brillante, del suo coinvolgimento nella vita mondana, 224 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 157 delle sue amicizie con importanti esponenti dell’economia225. In tal modo si lasciava sottointendere la possibilità che il senatore fosse influenzato, nell’espletamento dei suoi compiti, proprio da questo stile di vita e dalle sue amicizie. Indignato da tale prassi, il senatore sostenne, attraverso un pamphlet, l’opportunità di tutelare la sfera privata. Egli pubblicò infatti, con il contributo del giudice Brandeis, un saggio in cui la lesione della privacy veniva concepita come vero e proprio atto illecito (tort) e nel quale si sottolineava che, se originariamente il diritto alla vita e alla libertà potevano essere concepiti come esigenza di protezione contro attacchi sul corpo della persona provenienti da azioni violente o arbitrarie, col passare del tempo, l’esigenza di protezione si è aperta, come un ventaglio, fino a comprendere nuove aspettative di tutela. In effetti l’aggressione alla persona si manifesta anche attraverso il semplice uso della parola che, a seconda della modalità di utilizzo, può ben tradursi in un’arma ancor più pericolosa di quelle materiali recidendo, talvolta irrimediabilmente, i legami di fiducia, amicizia e stima che il soggetto ha creato e curato nel corso della sua esistenza226. Al diritto BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A. CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61 226 BRUGNATELLI F., “Privacy, diritto all’informazione e diritti della personalità”, in Giustizia civile 2005, pt. 1, p. 1385 e ss. 225 158 alla riservatezza si contrappone il diritto di cronaca che concretizza, sotto più profili, l’interesse della collettività a conoscer e che assume una posizione azimutale e irremovibile negli ordinamenti basati su princìpi liberali e democratici227. Nell’ordinamento giuridico italiano esso trova espresso riconoscimento negli articoli 2, 3 (comma 2), 15 e 21 della Costituzione che delineano l’esigenza fondamentale della persona alla libera manifestazione del pensiero. In chiave politica, tale diritto si avvalora allorché i governati siano messi nelle condizioni di valutare una serie di informazioni sui propri rappresentanti, che appariranno utili soprattutto al momento delle elezioni e durante l’esercizio della carica. L'art. 21 della Costituzione afferma infatti solennemente la libertà di manifestazione del pensiero alla quale si riconducono “la libertà di informazione, di espressione, di opinione, di stampa; la libertà e il diritto di cronaca e di critica nonché il diritto all'informazione”228. È stata la Corte Costituzionale, nella sentenza 15 giugno 1972, n. 105, a definire espressamente il lato attivo della libertà di manifestazione del pensiero come “libertà di dare e divulgare notizie, opinioni, BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A. CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61 228 FILIPPI, C., I trattamenti di dati personali nel mondo dell'informazione, in R. Acciai (cur.), Il diritto alla protezione dei dati personali: la disciplina sulla privacy alla luce del nuovo Codice, p. 798. 227 159 commenti” e il lato passivo come “interesse generale, anch'esso indirettamente protetto dall'art. 21, alla informazione; il quale in un regime di libera democrazia implica pluralità di fonti di informazioni, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione di notizie e di idee”. La dottrina229 ha individuato come criterio atto a distinguere la sfera di applicabilità dell’art. 15 da quella dell’art. 21 Cost. risiede, oltre che nel carattere di attua- lità della comunicazione, soprattutto nella sua intersubiettività230. Tale secondo requisito consiste in ciò che, a differenza che nella seconda fattispecie, le espressioni di pensiero cui si riferisce la prima devono essere formulate da un soggetto mittente (persona fisica o giuridica) al fine di farle pervenire nella sfera di conoscenza (o conoscibilità) di uno o più soggetti destinatari previamente individuati. In senso conforme alla dottrina dominante, la Corte costituzionale ha precisato che la distinzione in parola «si incentra nell’essere la comunicazione, nella prima ipotesi, diretta a destinatari predeterminati e tendente alla segretezza e, nell’altra, CARRERA L., “Informazione e minore età tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza”, in Dir. Rad. Tev., 2000, p. 329 e ss. 230 BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A. CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61 229 160 rivolta invece a una pluralità indeterminata di soggetti»231. Tale ricostruzione rinveniva un fondato appoggio nell’assetto delle telecomunicazioni, incentrato sulla coincidenza tra il mezzo utilizzato e il servizio che per il suo tramite era trasmesso, cosicché sulla base del mezzo concretamente impiegato era possibile desumere con sufficiente certezza il carattere intersoggettivo o meno della comunicazione. Tale struttura era ben esplicitata nella definizione adoperata nelle Convenzioni internazionali di Madrid del 6 dicembre 1932 e di Buenos Aires del 22 dicembre 1952, secondo cui «per telecomunicazioni si intende ogni emissione, trasmissione o ricezione di segni, di segnali, di scritti, di immagini, di suoni o di informazioni di qualsiasi natura, per filo, radioelettrica, ottica o a mezzo di altri sistemi elettromagnetici». L’innovazione realizzatasi nelle tecnologie comunicative, con particolare valenza nell’ultimo decennio, ha reso questa definizione e le distinzioni che ne derivano del tutto inadeguate232. La difficoltà di individuare una soluzione normativa equilibrata per contemperare i diversi interessi meritevoli di tutela aveva in passato dato luogo alla travagliata Corte cost., sent. n. 1030/1988, in Giur. cost., 1988, 5000, ove l’espressione «tendente alla segretezza» pare appunto assegnare a questa un carattere meramente eventuale, quale elemento naturale ma non necessario della comunicazione ex art. 15. 232 SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 231 161 vicenda dell'art. 25 della legge 675/1996. Il comma 1° dell'art. 25, a poco più di un anno dall'entrata in vigore della legge, era stato integralmente sostituito in forza dell'art. 12, comma 3°, del d.lgs. n. 171/1998. Nel complesso si era trattato di un intervento diretto a ridurre i limiti posti all'attività giornalistica; spiccava tra le modifiche la previsione di una disciplina unitaria per il trattamento in ambito giornalistico di tutti i dati sensibili e giudiziari233 (mentre il testo precedente stabiliva un regime differenziato per i dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale). Un'ulteriore modifica era stata in precedenza introdotta dall'art. 2 del d.lgs. 123/1997, che rendeva l'art. 25 applicabile non solo ai giornalisti professionisti ma, con loro, anche a pubblicisti e praticanti, nonché ai “trattamenti temporanei finalizzati esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi ed altre manifestazioni del pensiero”234. Queste scelte apparivano corrette ove si consideri che, con il disposto dell'art. 25, il legislatore italiano aveva inteso dare attuazione alla direttiva 95/46/CE; la quale, all'art. 9, ammette appunto esenzioni e deroghe alla disciplina generale del trattamento BRUGNATELLI F., “Privacy, diritto all’informazione e diritti della personalità”, in Giustizia civile 2005, pt. 1, p. 1385 e ss. 234 FERRARA, SANTAMARIA M., Il diritto all’illesa intimità privata, in Rivista del Diritto Privato, I, vol. VII, 2008 pp. 168-191 233 162 quando sia effettuato “esclusivamente a scopi giornalistici o di espressione artistica o letteraria” e le stesse “si rivelino necessarie per conciliare il diritto alla vita privata con le norme sulla libertà di espressione”235. La direttiva comunitaria, come confermato nel preambolo dalle previsioni del 17° e del 37° considerando ha voluto garantire la libertà di espressione nel suo significato più ampio, e non solamente la libertà dell'informazione giornalistica236. Il Capo I nel Titolo XII della Parte II del Codice delinea i profili generali dei settori del giornalismo e dell'espressione letteraria ed artistica, riordinando la materia disciplinata dalla legge n. 675/1996 ed inserendo in un corpus omogeneo disposizioni che erano collocate in più parti della medesima legge (a seconda che riguardassero il trattamento di dati comuni, di dati sensibili o altri aspetti). Con riferimento all’attività del giornalista tali discorsi assumono una valenza particolare. Il giornalista non si limita ad esprimere il proprio pensiero, ma adempie ad un pubblico servizio, la cui finalità è quella di fornire notizie e commenti in maniera adeguata e sufficiente per orientare la pubblica opinione, per consentire al CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss. 236 BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A. CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61 235 163 cittadino di far scelte consapevoli dei propri rappresentanti cui delegare la gestione della cosa pubblica. n sostanza, come sottolineato dagli interpreti, “all’informazione è riconosciuta la funzione maieutica di pensieri, opinioni, censure e di coerenti scelte etiche e politiche”: a) del limite della verità del fatto narrato e/o commentato, con la precisazione che può trattarsi anche di verità putativa; b) del limite della continenza sostanziale: le notizie vanno diffuse entro l’ambito del tema della pubblicazione, senza indugiare su dettagli della vita del soggetto idonei a soddisfare non l’interesse all’informazione ma piccole curiosità, immeritevoli di tutela costituzionale, ex art. 21. Stando all’analisi sino a questo momento accennata pone come evidente una sorta diimpredicabilità in termini generali, di un identico diritto ad essere informato quali che siano il mezzo di diffusione e la natura giuridica del- l’operatore informativo. Deve poi distinguersi l’informazione a seconda che essa provenga dai quotidiani e dai periodici a stampa oppure da emittenti radiotelevisive o ancora dal mezzo elettronico. In effetti proprio la convergenza multimediale sottopone a stress le costruzioni concettuali adottate in letteratura e ne revoca in dubbio l’idoneità a svolgere una reale funzione conoscitiva237. 237 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista 164 4.2 Diritto di informazione, libertà di manifestazione del pensiero e libertà di stampa La libertà di manifestazione del pensiero238, che costituisce uno dei pilastri di ogni ordinamento democratico, è prevista nell'art. 21 della Costituzione che garantisce ad ogni soggetto la facoltà di esteriorizzare “…il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione…”. Tale libertà viene concretamente esercitata attraverso una pluralità di mezzi tra i quali: la stampa, la telediffusione, la radio diffusione, la pubblica affissione, gli spettacoli pubblici, etc. L'impiego di questi mezzi concreta quel particolare aspetto del diritto sancito dall'art. 21, denominato “libertà di informazione”239. In particolare, volendosi soffermare sul mezzo stampa, l'art. 21 Cost. nei capoversi successivi al primo, sancisce i telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in http://www.ctr.it/back_end/files_news/799. 238 ANGIOLINI, “Riserva di giurisdizione e libertà costituzionali”, ed. CEDAM, 1992. 239 Il principio di libertà di informazione deve, inoltre, considerarsi giuridicamente vigente in Italia per effetto dell’art. 19 della “Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo” (Assemblea Generale ONU, 10/12/1948, ratificata dall’Italia), nel quale si riconosce ad ogni individuo il diritto di ricercare informazioni e notizie servendosi di qualsiasi mezzo, anche oltrepassando le frontiere nazionali. 165 seguenti principi: · esclusione di ogni forma di autorizzazione preventiva (infatti, chi intende pubblicare un libro o uno stampato non deve chiedere alcun consenso preventivo per poterlo diffondere ex art.21, comma 2°); · esclusione di ogni forma di censura successiva alla redazione dello stampato, ma antecedente alla sua pubblicazione (art.21, comma 2°); · disciplina legislativa delle ipotesi di sequestro dello stampato (questa misura repressiva posta in essere per impedirne la diffusione, dunque, deve seguire particolari procedure a garanzia della libertà di stampa); · possibilità di stabilire con legge, dei controlli sui mezzi di finanziamento della stampa periodica (Art.21, comma 5°); · previsione delle facoltà del legislatore di adottare controlli preventivi e mezzi repressivi contro la stampa che offenda il buon costume (art. 21, ultimo comma). La libertà di informazione, anche se costituzionalmente tutelata, può tuttavia confliggere con altri valori tutelati dalla nostra Carta fondamentale. L'unico limite esplicito alla libertà di diffondere notizie citato dall'art. 21 è quello del buon costume, ma si può desumere dalla Costituzione (art. 2 e 3) che numerosi altri valori di rilevanza costituzionale possono porre dei limiti al diritto di cronaca. Tra i conflitti più frequenti vi è quello tra il diritto ad informare e i 166 diritti della personalità, quali quelli all'onore o alla riservatezza. Tale scontro tra valori costituzionalmente tutelati si sostanzia frequentemente nel reato diffamazione (articolo 595 del Codice Penale)240. Attualmente, abolita l'autorizzazione per la pubblicazione di stampati, è stato adottato un sistema di registrazione dei periodici presso la Cancelleria del Tribunale, nel cui circondario deve avvenire la pubblicazione241. Questa registrazione non incide comunque sulla libertà di stampa, in quanto costituisce un atto dovuto che non implica alcuna valutazione discrezionale da parte del Tribunale. Lo scopo della registrazione, infatti è solo quello di consentire l'identificazione dei responsabili della Testata nel caso in cui siano commessi dei reati attraverso lo stampato. La legge sulla Stampa n. 47 del 8 febbraio 1948 prevede il divieto della stampa anonima242 in quanto essa si pone in contrasto con i principi e le libertà Costituzionali, essendo finalizzata ad occultare la responsabilità 240 MANZINI, Trattato di diritto penale, VIII, Torino, 1995. BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A. CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61 242 La facoltà dell’autore di pubblicare la sua opera in forma anonima è regolata all’art. 126 della L.633/41, che definisce a carico dell’editore, tra gli altri, il dovere di “riprodurre e porre in vendita l’opera col nome dell’autore, ovvero autonoma o pseudonima, se ciò è previsto nel contratto”. L’editore che si è contrattualmente obbligato a pubblicare l’opera in forma anonima (o con pseudonimo-maschera), nel caso in cui mediante la stessa venga commesso un reato, si trova nella condizione di non poter rivelare il nome dell’autore, pena il suo inadempimento contrattuale per la violazione dell’impegno alla segretezza assunto nei confronti dell’autore. 241 167 relativa ad eventuali illeciti penali in essa contenuti. Per questo motivo tutte le pubblicazioni devono riportare le generalità ed il domicilio dello stampatore e dell'editore. Per la definizione di stampa e di stampato, occorre avere riguardo al contenuto dell’art. 1 L. 8 febbraio 1948 n. 47, che dispone: “Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”. Il reato può pertanto considerarsi commesso con il mezzo della stampa se ricorrono due condizioni: una oggettiva, relativa alla modalità di formazione dello scritto (mezzi tipografici o fisico-chimici), tali da garantire la riproduzione di un testo in più copie uguali tra loro, e una soggettiva, relativa alla destinazione alla pubblicazione, cioè alla divulgazione ad un numero indeterminati di soggetti. Autorevole dottrina 243 ha sempre sostenuto che, nel momento stesso in cui si dà all’art. 21 Cost. il significato di una garanzia della libertà di informare, abbiamo già compiuto un salto qualitativo rispetto alla semplice libertà di manifestare il proprio pensiero, perché abbiamo già caratterizzato il dettato costituzionale non semplicemente in funzione dell’interesse di chi utilizza il mezzo di diffusione, ma altresì in funzione dell’utilità 243 168 di un prevedibile destinatario della comunicazione. La norma costituzionale avrebbe riguardo ad una manifestazione del pensiero che diventa veicolo di un messaggio immediato, strumento di coesione e di crescita della collettività. Si potrebbe al contrario sostenere come il nostro ordinamento costituzionale non riconosce un’autonoma libertà d’informare distinta dalla libertà di manifestazione del pensiero (come invece accade, ad esempio, nell’ordinamento spagnolo), ne segue che, avendo la Corte costituzionale, nella scia della pressocchè unanime dottrina costituzionalistica, desunto la libertà d’informare dall’art. 21 Cost., quest’ultimo diritto di libertà non può avere una struttura e una disciplina giuridico-costituzionale diverse dalla struttura e dalla disciplina costituzionale del diritto «individualistico» di manifestare liberamente il proprio pensiero, proclamato nell’art. 21 Cost., nel cui capace alveo la libertà di cronaca e di informazione trova riconoscimento. Pertanto, se la libertà di manifestazione del pensiero ha la struttura di un diritto assoluto (in quanto situazione giuridica soggettiva «attiva» attribuita ai soggetti privati), anche la libertà d’informazione dovrà conseguentemente avere la stessa struttura. Sarebbe perciò contraddittorio – in tale ottica – dedurre 169 dallo stesso enunciato normativo tanto un diritto di libertà dell’operatore dell’informazione quanto un contrapposto diritto dei destinatari ad una informazione obiettiva, imparziale e completa, in quest’ultimo diritto verrebbe a porre surrettiziamente dei limiti alla «libertà» di informare che la stessa disposizione garantisce. Ciò però non significa che, pur partendo da tale impostazione, non siano predicabili, nel nostro ordinamento costituzionale, specifici diritti ad essere informati. Essi però non hanno una valenza generale (simmetrica alla valenza «generale» della proclamazione di libertà contenuta nell’art. 21 Cost.), ma si identificano con diritti a prestazioni informative, desumibili da specifiche disposizioni costituzionali (ad esempio, gli artt. 32 e 41, co. 2, Cost.), dalle quali sia appunto inequivocabilmente deducibile la possibilità di imporre obblighi di informazione a carico di privati in favore di altri privati. Infatti quando vengono in gioco situazioni giuridiche soggettive costituzionalmente riconosciute, il legislatore non è libero di imporre ai privati divieti ed obblighi che ne possano menomare l’esercizio e, quindi, il contenuto244 La previsione, a carico dei pubblici poteri, del dovere di informare i terzi che ne facciano 244 DE CUPIS A., voce Riservatezza e segreto (diritto), in Novissimo Digesto Italiano, XVI, Utet, Torino, 1969, p. 115 170 richiesta – con conseguente enucleazione di un diritto ad essere informati nei confronti di essi – non trova invece ostacoli di principio nella normativa costituzionale. Ne segue che specifici diritti ad essere informati dai pubblici poteri (talvolta riconosciuti ai soli cittadini) sono stati più volte giustamente previsti dal legislatore ordinario, praticamente senza limiti. Anzi, il fatto che la nostra Costituzione imponga alla Repubblica italiana, proprio perché democratica, di ampliare la partecipazione politica, economica e sociale dei cittadini (artt. 1 e 3); garantisca il loro più ampio accesso agli uffici pubblici (art. 51, co. 1) e, per il tramite del principio di imparzialità amministrativa (art. 97), pretenda che «le mura degli uffici [pubblici] dovrebbero essere di vetro», impone – e non soltanto facoltizza – la previsione di costanti prestazioni informative da parte dello Stato e degli altri enti pubblici (territoriali, locali, autonomi ...)245. A livello internazionale, il diritto all’informazione, non è privo di riferimenti istituzionali di rilievo non tutti nuovissimi e molti dei quali lontani nel tempo ma niente affatto cancellati dal tempo, a cominciare dall’articolo della Dichiarazione Universale dell’ONU del 1948, laddove si riconosce come diritto fondamentale BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A. CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61 245 171 di tutti i cittadini del mondo quello di cercare, ottenere e diffondere informazioni. Questa rimane ancora una formula estremamente felice, integrata poi dalla lungimirante indicazione “senza tenere conto di frontiere”, che allora aveva un significato sul quale non voglio oggi insistere, ma che ancora oggi fotografa, riflette e ci dà modo di comprendere la dimensione del “senza frontiere”, che è quella della rete globale con la quale noi in ogni momento facciamo i conti. Questo ha avuto ricadute nello stesso anno 1948, anzi nella stesura del 1947 della nostra Costituzione, all’art. 21, dove si ritrova un elemento significativo, quello cioè della possibilità di rendere pubbliche le forme di finanziamento della stampa. Ancora nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000, questa linea viene confermata. Queste indicazioni fanno del cittadino una persona titolare del diritto fondamentale all’informazione. Per quanto riguarda l’impossibilità di ridurre la garanzia soltanto alla non-ingerenza pubblica, si comprende come questa indicazione, che ancora si trova nella Carta dei Diritti Fondamentali, abbia una sua ragione storica e mantenga una certa ragione di attualità nella questione della censura. Grande problema dal momento in cui la stampa è stata inventata e poi per tutto il 172 diciannovesimo e il ventesimo secolo, la questione della censura è tutt’altro che risolta, tutt’altro che legata ai media tradizionali246. 4.3 Il bilanciamento tra il diritto di sapere della collettività e il diritto di occultare del singolo La difficoltà di una ricostruzione sistematica della libertà di informazione, in mancanza di una disciplina positiva risultante dal dettato costituzionale sono molteplici. In primo luogo, è in discussione l’esistenza stessa di una simile libertà, nonché la delineazione della sua natura e dei suoi limiti. In secondo luogo, una volta ammessa la sua esistenza è necessario stabilire se essa debba configurarsi come una specificazione della libertà di manifestazione del pensiero oppure come una entità autonoma e distinta. Dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale247sono emersi alcuni principi fondamentali in tema di informazione. Il primo di tali principi può essere individuato nella stretta connessione esistente, 246 Basta guardare a ciò che sta avvenendo in questo momento in Cina, dove grandi operatori come Google e Yahoo! danno man forte alla censura per ragioni commerciali, in un’alleanza tra mercato e censura. BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A. CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61 247 173 nel nostro sistema, tra la libertà di informazione e la forma di Stato, dal momento che la predetta libertà costituisce uno strumento indispensabile in un regime democratico. Ed è proprio in questa sua strumentalità, che rinviene il suo fondamento positivo: all’informazione viene, infatti, riconosciuta l’idoneità ad assicura la realizzazione dei principi cardine del sistema. Un secondo principio è racchiuso nel concetto di pluralismo, inteso quale concorrenza di più soggetti realmente differenziati, quanto alla gestione dei vari tipi di mezzi informativi. Solo attraverso una pluralità di fonti di informazione si può garantire il corretto formarsi della pubblica opinione. Dalla combinazione dei suddetti principi si evince la necessità di una informazione corretta. A tale proposito, assume notevole rilievo il modo di presentazione dalla notizia: essa viene selezionata e disposta secondo un ordine prestabilito, che è frutto di una scelta effettuata del soggetto emittente248. Ciò implica, innanzitutto la decisione circa la sua collocazione nel contesto di un determinato sito internet e, in secondo luogo, la scelta del titolo che sempre più spesso assolve ad una funzione pubblicitaria piuttosto che informativa per cui l’effetto di attrazione sul lettore prevale di CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa, radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss. 248 174 gran lunga su quello della esatta rappresentazione dei fatti. D’altro canto la scrittura giornalistica non può essere considerata al di fuori dei suoi supporti materiali: i titoli, l’impaginazione, l’esecuzione tipografica fanno parte dell’informazione. Pertanto si avverte l’esigenza di regolamentazioni giuridiche in grado di disciplinare l’attività informativa, tutelando la presenza e l’indipendenza delle varie fonti di informazione e garantendo la trasparenza e la correttezza nello svolgimento del rapporto informativo249. La libertà di informare viene considerata dalla dottrina prevalente250 a volte come la massima espressione della libertà di manifestazione del pensiero altre volte viene invece identificata con la libertà di stampa. Questa duplice assimilazione tra informazione e manifestazione del pensiero e tra informazione e stampa ha un fondamento storico. Il lungo processo evolutivo che portò al superamento dello Stato assoluto e che ebbe inizio nel XVIII secolo fu contraddistinto proprio da una progressiva identificazione della libertà di espressione con la libertà di stampa al punto che esse vennero considerate l’una il risvolto dell’altra dal momento che entrambe concernevano il 249 DE CUPIS A., voce Riservatezza e segreto (diritto), in Novissimo Digesto Italiano, XVI, Utet, Torino, 1969, p. 115 250 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 175 medesimo oggetto anche se nella diversa prospettiva del contenuto dei mezzi.251 Non è causale, d’altra parte, il collocamento della disciplina della stampa nella medesima disposizione costituzionale che proclama solennemente la libertà di manifestazione del pensiero252. La stampa è infatti l'unico mezzo di informazione che il Costituente ha inteso regolare in maniera specifica, in considerazione non solo del fatto che essa rappresenta lo strumento di comunicazione più diffuso ed efficace, ma anche per l’esigenza di eliminare l’arcaica formula contenuta nell’art. 28 dello Statuto Albertino che, dopo, aver proclamato la libertà di stampa rimandava alla legge la repressione degli abusi, lasciando cosi ampia discrezionalità al legislatore. E’ da segnalare, tuttavia che all’articolo 21 Cost. viene attribuito un diverso significato a seconda che i vari autori e la stessa Corte Costituzionale sottolineino la specialità della disciplina della stampa o piuttosto la sua esemplarità rispetto agli altri mezzi di informazione. In realtà la controversia di fondo riguarda l’intera portata della garanzia costituzionale; si discute, in altri termini, se essa si limiti alla sola stampa oppure si estenda 251 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 252 VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati personali, in Dir Inf., 2007, 2, 347 176 anche agli altri mezzi di comunicazione. Controversa è anche la questione relativa alla inclusione, tra i mezzi di manifestazione del pensiero, della stampa periodica. Parte della dottrina, propende per la soluzione positiva riservando, però, soltanto alla stampa periodica la particolare disciplina prevista dai commi 4 e 5 dell’articolo 21 della Costituzione. In base a quanto osservato l’impostazione che appare più consona alla ratio del testo costituzionale, ma anche a un’interpretazione evolutiva condotta alla luce del dinamismo sociale, è quella proposta da chi, presupponendo l’inscindibilità del rapporto tra libertà e segretezza della comunicazione ex art. 15, ritiene che la linea di confine tra le comunicazioni rivolte alla generalità e quelle intersoggettive riservate risieda nelle modalità di espressione concretamente utilizzate253. Seguendo questa linea di pensiero è da dirsi, infatti, che affinché una comunicazione possa dirsi riservata non è sufficiente che sia formalmente indirizzata a soggetti scientemente individuati, ma che le stesse modalità attraverso le quali è trasmessa siano tali da non renderla manifesta a 253 DE GIACOMO C., Diritto, libertà e privacy nel mondo della comunicazione globale. Il contributo della teoria generale del diritto allo studio della normativa sulla tutela dei dati personali, Giuffrè, Milano, 1999, p. 126 e ss 177 terzi, quanto meno in via di principio254. In questo senso, l’infungibilità che caratterizza le comunicazioni riservate non è data soltanto dalla determinatezza dei destinatari, ma anche dalla segretezza assicurata dalle modalità di trasmissione. Libertà e segretezza costituiscono infatti una unica situazione soggettiva, in quanto «la particolare disciplina dell’art. 15 trova la sua ragione d’essere nella segretezza, e la segretezza rinviene la sua giustificazione nella libertà». Per citare un esempio, rispetto la soggettività della tutela, si potrebbero pensare agli articoli 136 e 137, come accennato, prendono in considerazione sia i trattamenti effettuati nell'ambito dell'attività giornalistica (professionale o quale pubblicista o praticante), sia quelli temporanei finalizzati esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi o altre manifestazioni del pensiero. Si tratta di attività che, pur costituendo entrambe forme di esercizio della libertà di espressione, presentano caratteristiche eterogenee e pongono problemi in parte diversi. Il comma 3° dell'art. 137 si chiude con la precisazione che il giornalista conserva comunque la possibilità di trattare “i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti LAGHEZZA P., Il diritto all’oblio esiste (e si vede). Nota a sentenza Cassazione civile, Sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, in <<Il Foro Italiano>>, 1998, I, p. 1834-1840 254 178 direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico”, anche qualora l'informazione non sia essenziale rispetto a fatti di interesse pubblico255. Potrebbe risultare oscuro dove si collochi la “soglia della notorietà” cui la norma allude. Secondo la soluzione prospettata dalla dottrina il fatto non può venir reso noto mediante semplice comunicazione a soggetti determinati; la “notorietà” del dato postula, infatti, che vi sia stata “diffusione in senso tecnico” della notizia: che ne sia stata data conoscenza, cioè, ad una generalità di soggetti indeterminati256. La scelta del legislatore nostrano di impostare il rapporto tra tutela dei dati e diritto di cronaca secondo lo schema delle esenzioni e delle deroghe alla normativa generale implica che il trattamento dei dati nell'esercizio dell'attività informativa rimanga, per tutti gli aspetti non coinvolti dalle deroghe, assoggettato alla disciplina del Codice. Trovano dunque applicazione sia le norme concernenti le informazioni che devono essere rese al momento della raccolta, sia quelle relative alle facoltà dell'interessato di conoscere ed ottenere la rettifica o l'aggiornamento dei dati, oltre alle disposizioni in tema di sicurezza NERVI A., Il contenuto dell’attività di trattamento dei dati personali, in CUFFARO V., RICCIUTO V. (a cura di), La disciplina del trattamento dei dati personali, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 61-96. 256 RAO G., Informatica, banche dei dati e principi costituzionali, in AA.VV., Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Scritti in onore di P. Barile, Cedam, Padova, 1990, pp. 473-511 255 179 dei dati, a quelle in materia di responsabilità nonché ai principi generali di liceità e correttezza nella raccolta e diffusione dei dati (che costituiscono un criterio generale per valutare la condotta dell'informatore257. E’ poi noto come uno degli aspetti più controversi della disciplina del diritto alla riservatezza, oggetto di una ricca giurisprudenza di merito, è indubbiamente quello inerente il rapporto fra vicende personali private e fatti che abbiano suscitato un grande interesse nella collettività. In proposito una pronuncia di rilievo è quella riguardante il c.d. caso Trigona258, destinata a diventare un precedente, più volte seguìto e citato dai giudici , per quanto concerne la relazione fra rievocazione storica di eventi noti e diritto al riserbo. Nella sentenza, il Pretore di Roma affermava che si deve negare l'esistenza del diritto alla riservatezza quando vengono rievocati fatti assai conosciuti all'epoca in cui sono accaduti ed oggetto di interesse pubblico, tali da essere significativi 257 PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 258 ret. Roma, 25 gannaio 1979, in Dir. aut., 1979, p. 69 ss. Nel caso di specie la R.A.I. ha trasmesso uno sceneggiato in cui sono state rievocate le vicende del "delitto Paternò", in cui venne uccisa Giulia Trigona; la figlia dei coniugi Trigona ha agito in giudizio a tutela del diritto alla riservatezza dei genitori e della propria immagine 180 dal punto di vista storico ed emblematici di un'epoca. Il pretore ha individuato quelli che sono poi stati i criteri per ammettere la legittimità di molte altre rievocazioni storiche259: la notorietà degli eventi260, l'interesse storico, l'attenzione della collettività per le vicende nel periodo in cui sono accadute e l'attualità dell'interesse generale al riesame dei fatti261. In tal senso, in una successiva sentenza del 1983, il Pretore di Roma, riprendendo letteralmente le argomentazioni del caso Trigona, ha affermato che il diritto alla riservatezza trova "il suo limite nell'interesse sociale alla conoscenza" e che "il diritto dell'individuo all'intimità ed al riserbo 259 Le motivazioni del Pretore di Roma, ora esposte, sono state riproposte in maniera sostanzialmente identica in molte pronunce relative a casi di trasmissioni televisive realizzate dalla R.A.I., rievocanti fatti di cronaca nera (cfr. Trib. Roma, (ord.), 8 novembre 1996, in Giust. civ., 1997, I, p. 1979 ss.; Trib. Roma, (ord.), 20 novembre 1996, ivi; Trib. Roma, (ord.), 27 novembre 1996, ivi; Trib. Roma, 20 settembre 1993, in Dir. informaz. informatica, 1994, p. 331 ss.; Pret. Roma, 25 maggio 1985, in Dir. aut., 1986, p. 181 ss.; Pret. Roma, 7 novembre 1986, in Giur. merito, 1987, I, p. 1190 ss.;Pret. Roma, 6 maggio 1983, in Dir. aut., 1984, p. 78 ss.). 260 In proposito il giudice ha affermato che "la situazione qui considerata è assurta, per la notorietà dei personaggi protagonisti, e per le implicazioni anche politiche [...] ad evento di rilevanza e di interesse nazionali" (cfr. Pret. Roma, 25 gennaio 1979, cit., p. 71). 261 Si fa riferimento all'"interesse generale alla ricostruzione storica [...] di fatti e situazioni resi pubblici e quindi non coperti dalla sfera dell'intimità familiare" (cfr. Pret. Roma, 25 gennaio 1979, cit.). L'aspetto dell'attualità dell'interesse è molto importante, poiché consente di applicare la causa di giustificazione di cui all'art. 97, comma 1°, l. dir. aut., riguardante il caso di "riproduzione [...] collegata a fatti, avvenimenti [...] di interesse pubblico". Per questa ragione i giudici, che dopo il caso "Trigona" hanno negato la lesione del riserbo in fattispecie simili, si sono curati in primo luogo di dimostrare l'inesistenza di una qualsiasi attenzione della collettività per l'evento narrato. 181 incontra una deroga nella sua appartenenza all'attualità, alla storia, alla cronaca". Sulla base delle stesse motivazioni anche la trasposizione storico-creativa di una vicenda familiare che, per il suo svolgimento ed il suo epilogo, aveva cessato di essere privata, ed era divenuta "oggetto di conoscenza e di analisi, a diverso livello, da parte del pubblico"262 è stata considerata legittima dai giudici. Si è tuttavia precisato, in altre pronunce263, che l'interessato mantiene sempre un proprio diritto ad opporsi alla pubblicizzazione di fatti che lo riguardino, qual'ora gli stessi non siano connessi agli eventi noti in cui è stato coinvolto . Più recentemente l'"interesse generale alla notizia" e l'"attualità" del medesimo sono stati nuovamente considerati dal Tribunale di Roma come sufficienti per negare l'esistenza del diritto alla riservatezza264 e, con riguardo ad un caso 262 Pret. Roma, 25 maggio 1985, in Dir. aut., 1986, p. 197; anche in Dir. informaz. informatica, 1985, p. 988. È questa una delle diverse cause intentate da Miriam Petacci a tutela del diritto alla riservatezza, che ha più volte ritenuto violato da rievocazioni storiche della figura della madre e della famiglia Petacci in genere. Nel caso di specie si è trattato dello sceneggiato della R.A.I. intitolato "Io e il Duce", secondo la Petacci lesivo dell'onore, della reputazione e del riserbo sia dei Petacci che di lei stessa. Il Pretore ha respinto il ricorso per l'insussistenza di alcuno dei pregiudizi lamentati. 263 Cfr. Pret. Roma, 7 novembre 1986, in Giur. merito, 1987, I, c. 1190 ss.; anche in Dir. informaz. informatica, 1987, p. 671 ss.; e in Giur. it., 1989, I, 2, c. 488 ss. Si tratta del noto caso "PupettaMaresca", concernente uno sceneggiato R.A.I. in cui è stata rievocata la tragica vicenda di questa giovane donna, colpevole di aver ucciso il mandante dell'omicidio del marito. 264 Trib. Roma, 20 settembre 1993, in Dir. informaz. informatica, 1994, p. 331 ss. Nel caso di specie gli attori richiedevano la concessione di una misura cautelare di carattere inibitorio per impedire la rievocazione di un omicidio e dei conseguenti 182 di trasmissione televisiva di un processo penale, i giudici della Corte di appello di Milano265 hanno affermato che la divulgazione di particolari di una vicenda non rilevanti per l'interesse pubblico costituisce violazione del diritto alla riservatezza della persona cui detti particolari si riferiscono266. Al di fuori della rievocazione in sceneggiati televisivi di vicende passate meritano di essere considerati altri casi in cui la divulgazione è avvenuta a mezzo stampa proprio a dimostrazione del fatto che la problematica dell’oblio sebbene consolidatasi con l’avvento della rete internet esistesse anche prima della diffusione della diffusione capillare delle comunicazioni elettroniche. Storicamente i giudici, per negare ogni lesione del riserbo, hanno fatto ricorso alla "rilevanza sociale della notizia" ed all'interesse pubblico267. Quest'ultimo concetto è stato poi interpretato in giudizi penali. La corte ha rigettato il ricorso in quanto il processo riguardava "una tragica vicenda di sangue che, per il contesto umano e sociale, per il riferimento al conflitto tra coniugi separati, per la presenza di tre figli, non poteva non sollecitare l'attenzione della pubblica opinione alla notizia ed agli esiti processuali connessi". Si è poi addotto, come ulteriore argomento a favore della legittimità della ripresa del dibattimento, la precedente divulgazione del processo di primo grado da parte della stessa emittente (R.A.I.); in quest'ottica la trasmissione del secondo grado sarebbe stata finalizzata ad "una completa informazione ed un approfondito dibattito" sulla vicenda "già ampiamente nota" 265 App. Milano, 14 marzo 1995, in Danno e resp., 1996, p. 629 ss. 266 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 267 Cfr. Pret. Roma, 2 gennaio 1985, in Dir. informaz. informatica, 1985, p. 710 ss.; e anche Giur. it., 1985, I, 2, c. 479 ss. Nel caso di specie la rivista 183 maniera piuttosto estensiva, tanto che il Tribunale di Napoli ha considerato di "interesse pubblico" anche la pubblicazione delle fotografie inedite della figlia infante di un noto calciatore, in quanto atta a soddisfare l'"esigenza di informazione dei lettori" su di un personaggio "al centro dell'immaginario collettivo"268. Proprio in merito alla nozione di "interesse pubblico" quest'ultima sentenza presa in esame assume un notevole rilievo, in quanto è espressione estrema dell'opera di stravolgimento che tale concetto ha subito. I giudici napoletani sono giunti, infatti, ad affermare che a rendere lecita la divulgazione dell'altrui immagine è la partecipazione del "Playmen" aveva pubblicato alcune fotografie diSophia Loren nuda, già divulgate in anni precedenti dalla stessa e da altre riviste, senza alcuna doglianza dell'attrice. Si trattava di fotogrammi e di fotografie di scena di vecchi film degli anni Cinquanta. Il Pretore, in proposito, ha affermato che "è innegabile [...] l'interesse del pubblico, specie giovanile, a conoscere gli esordi (ormai lontani nel tempo) di un'attrice, assurta, poi, al rango di diva di livello internazionale" (cfr. Pret. Roma, 2 gennaio 1985, cit., p. 716). In una fattispecie analoga la Corte d'appello di Roma (App. Roma, 8 settembre 1986, in Foro it., 1987, I, c. 919 ss.; e anche in Arch. civ., 1987, p. 878 ss.; e in Dir. aut., 1987, p. 505 ss.) ha, invece, emesso una pronuncia di segno opposto. È, infatti, stata ritenuta illecita la pubblicazione, da parte della rivista "Playmen", di alcuni fotogrammi tratti dal film "La chiave", ritraenti l'attrice Stefania Sandrelli in pose di nudo integrale, reputandosi che l'operazione soddisfaceva soltanto "l'interesse, evidentemente non tutelato dell'ordinamento, alla conoscenza delle più riposte parti anatomiche dell'attrice" e non l'interesse pubblico. In questo caso sono dunque mancati i fini biografici e "culturali" ravvisati nella vicenda che ha coinvolto la Loren. Molto probabilmente ha inciso sulla decisione dei giudici anche la diversa connotazione erotica dei nudi in questione, dal momento che l'interesse ("pubblico") dei lettori di "Playmen" nel vedere le fotografie delle due dive presumibilmente non differiva. Le stesse considerazioni si possono fare anche in merito alla pronuncia del Pretore di Milano (Pret. Milano, 19 dicembre 1989, in Foro it., 1991, I, c. 2863 ss.) che ha ritenuto inesistenti le esigenze prioritarie di informazione pubblica nel caso di periodici che perseguono fini di lucro attraverso la pubblicazione di fotografie di nudo, intese solo a soddisfare la pubblica curiosità (nella specie si è trattato di immagini dell'attrice Edwige Fenech). 268 Trib. Napoli, 19 maggio 1989, in Dir. aut., 1990, p. 382 ss 184 soggetto "ad un avvenimento che, anche senza essere di interesse pubblico, è tuttavia "interessante" per il pubblico, nel senso, cioè, che si distacchi dalla normalità della vita quotidiana": si è passati dall'interesse della collettività ("interesse pubblico") all'"interessante", comprensivo di qualsiasi informazione atta a soddisfare la curiosità o il pettegolezzo269. Sulla base della giurisprudenza qui analizzata si possono muovere alcune considerazioni sui rapporti esistenti fra fatti noti, interesse pubblico e riserbo e quindi oblio degli stessi dati. La maggior parte dei casi esaminati è riconducibile ad un'unica fattispecie comune: la nuova divulgazione di notizie già rese pubbliche in tempi precedenti, giustificata dall'interesse sociale per gli eventi in questione. Elemento centrale nelle pronunce è quindi l'opportunità, o meno, di tutelare "il diritto al segreto del disonore", per usare una felice locuzione impiegata dalla Corte di Cassazione in una sentenza270 del 269 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 270 Cass., 13 maggio 1958, n. 1563, in Giust. civ., 1958, I, p. 1510 ss. In realtà si dovrebbe far riferimento al diritto all'oblio piuttosto che al riserbo, intendendo tale diritto come legittima pretesa del singolo a ritornare all'anonimato dopo la cessazione della risonanza dei fatti per i quali è divenuto noto (cfr. Auletta, Il diritto alla riservatezza e "droit à l'oublì", in L'informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983, p. 129 ss.). Tuttavia, seppure la dottrina italiana si sia scarsamente interessata al tema del diritto all'oblio, a differenza di quella francese e di quella statunitense, sembra che si possa affermare che l'oblio non costituisce un aspetto distinto rispetto al riserbo, ma solamente una specificazione di quest'ultimo (cfr. autorevolmente G.B. Ferri, Diritto all'informazione e diritto all'oblio, inRiv. dir. civ., 185 1958. I giudici, come si è potuto riscontrare, non hanno riconosciuto ad alcuno il diritto ad essere dimenticato, appellandosi all'"interesse pubblico" per giustificare la rievocazione dei vari "casi del secolo". Nel continuo ricorso alla causa di giustificazione di cui all'art. 97, comma 1°, della legge sul diritto d'autore, la giurisprudenza è andata però "degenerando", dimenticando che "interesse pubblico" non è ciò che interessa al pubblico, ma ciò che risulta rilevante per il bene della collettività intera: sono necessarie precise ragioni culturali, morali, politiche o ideologiche a prova dell'utilità sociale della divulgazione, non il dilagante e morboso interesse per il pettegolezzo271. Alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale del concetto di "interesse pubblico" si possono allora interpretare i riferimenti all'"essenzialità dell'informazione" di cui agli artt. 20 e 25 della l. n. 675/96, nonché le indicazioni degli artt. 5 e 6 del codice deontologico dei giornalisti, 1990, I, p. 801 ss.; in tal senso anche Crippa, Il diritto all'oblio: alla ricerca di un'autonoma definizione, in Giust. civ., 1997, I, p. 1990 ss.). Da ultimo, la stessa Corte di Cassazione ha affermato che deve essere considerato "un nuovo profilo del diritto alla riservatezza, recentemente definito anche come diritto all'oblio, inteso come giusto interesse di ogni persona a non essere indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata" (cfr. Cass., sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, in Danno e resp., 1998, p. 882). 271 PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 186 in base ai quali nel divulgare dati sensibili "il giornalista garantisce il diritto all'informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto dell'essenzialità dell'informazione" e nel diffondere notizie di rilevante interesse pubblico o sociale si limita a fornire le informazioni, anche dettagliate, che siano indispensabili "in ragione dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto"272. Queste disposizioni, che considerate in modo a sé stanti, al di fuori di una prospettiva storica, potrebbero sembrare generiche, costituiscono, tenuto conto dell'intervenuta ipertrofia della nozione di "interesse pubblico", un richiamo per i giudici, affinché vengano ripresi gli orientamenti delle prime pronunce successive al caso Esfandiari273, in cui l'interesse pubblico coincideva con l'interesse generale dei consociati per fatti di effettiva importanza nella vita collettiva. L'introduzione del criterio dell'"essenzialità" assume anche il rilievo di un invito ai media, perché non perdano il loro ruolo di informatori della collettività, impegnati a far conoscere le radici e le ragioni sociali o storiche dei 272 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf 273 Trib. Roma, 24 febbraio 1994, in Dir. informaz. informatica, 1994, p. 731 ss.; Pret. Roma, 7 novembre 1986, in Giur. merito, 1987, I, p. 1190 ss. e Pret. Roma, 25 gennaio 1979, in Dir. aut., 1979, p. 69 ss 187 fatti, nonché la psicologia dei protagonisti, evitando di diventare semplici fonti di intrattenimento o, peggio, di frivolo pettegolezzo. Il riferimento all'"originalità del fatto" e delle sue modalità, è poi conferma di come debbano essere ritenute meritevoli di divulgazioni le sole informazioni personali che abbiano a che fare con eventi effettivamente in grado di catalizzare l'attenzione collettiva 274. Emerge in sintesi un'indicazione da parte del legislatore affinché centro dell'attività giornalistica sia la notizia e non la speculazione sugli eventi attinenti all'altrui vita privata, in conformità con quanto già desumibile dalle indicazioni di parte della giurisprudenza, secondo cui l'interesse pubblico non può diventare una causa di giustificazione onnicomprensiva275. I mezi di comunicazione di massa sono dunque chiamati ad interrogarsi sulla meritevolezza dell'interesse all'informazione prima di divulgarla, distinguendo fra ciò che è socialmente utile e quanto è superfluo che venga reso noto276. 274 PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 275 Pret. Chieri, 3 gennaio 1990, in Dir. informaz. informatica, 1990, p. 523 ss., anche in Dir. fam., 1990, p. 582 ss.; App. Milano, 6 aprile 1984, in Dir. aut., 1985, p. 522 ss., anche in Arch. civ., 1985, p. 191 ss. 276 SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 188 4.4 Diritto di cronaca, interesse pubblico e diritto all’oblio Secondo l’opinione decisamente prevalente, la diffusione di fatti, notizie ed informazioni a favore del pubblico rientra nell’ambito della manifestazione del pensiero, la cui libertà è espressamente garantita dall’art. 21 della Costituzione, derivandone, quindi, una tutela costituzionale della libertà – anche professionalmente esercitata – di cronaca277. La ragione di tale asserzione si fonda sulla ritenuta presenza di una continuità necessaria tra ricerca, narrazione ed interpretazione delle notizie, la quale, sul presupposto per cui ogni descrizione finisce inevitabilmente per essere influenzata da colui che la esprime, conduce a considerare la narrazione dei fatti ed il loro commento difficilmente scindibili e, quindi, a proteggere in uguale misura questi due momenti. Anche se questa ricostruzione non si sottrae ad alcune critiche, visto che provoca quale conseguenza più vistosa quella per cui anche la descrizione del fatto più banale finisce per configurare l’esercizio di un diritto e dispone della stessa significativa quota di tutela accordata all’espressione di un’opinione, essa ha contribuito SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 277 189 largamente all’identificazione delle principali caratteristiche della professione giornalistica che la giurisprudenza ha provveduto a tracciare, vista l’assenza di una tipizzazione normativa al riguardo, descrivendola, per l’appunto, come un’attività che si contraddistingue per la creatività, di colui che, con opera tipicamente, anche se non esclusivamente, intellettuale, raccoglie, elabora o commenta delle notizie destinate a formare oggetto di comunicazione attraverso gli organi d’informazione, mediando tra il fatto di cui acquisisce la conoscenza e la diffusione di esso attraverso un messaggio scritto, verbale, grafico o visivo, necessariamente influenzato dalla personale sensibilità e dalla particolare formazione culturale e ideologica278. Se, quindi, il giornalista, prima di svolgere un’attività professionale, esercita un diritto, va, tuttavia, considerato come lo stesso venga ad essere esercitato, nella maggioranza dei casi, in un contesto, quello dei mezzi di comunicazione di massa – giornali, periodici, radio, televisione, internete – che è organizzato in forma imprenditoriale e con finalità di lucro. Se, come osservato, è toccato alla giurisprudenza assumersi il compito di determinare le condizioni che devono essere osservate affinché la diffusione della 278 PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 190 cronaca possa essere tutelata come diritto, ciò è accaduto, in larga misura, con riferimento al delicato rapporto tra l’informazione ed i diritti della personalità, il cui rispetto, come si ricorderà, è espressamente contemplato tra i doveri del giornalista dal più volte menzionato art. 2 della legge n. 69/1963279. D’altra parte, accade di frequente che la descrizione di determinate vicende possa porsi in contrasto, ad esempio, con la tutela della reputazione di colui che si sente diffamato dalla loro divulgazione, sicché stabilire in conformità a quali caratteristiche la narrazione configuri esercizio del diritto di cronaca assume una importanza fondamentale, poiché equivale a rendere quell’attività non punibile e ad esonerare il giornalista dalle possibili responsabilità penali e/o civili. È in quest’ottica, quindi, che devono essere analizzate le condizioni progressivamente codificate dalla giurisprudenza al cui ricorrere si ritiene che l’attività informativa configuri l’esercizio di un diritto – quello di cronaca, per l’appunto – operando come causa di giustificazione che priva di ogni eventuale antigiuridicità le conseguenze lesive da essa prodotte nella sfera giuridica dei terzi. Queste condizioni, in particolare, consistono nell’utilità sociale 279 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf 191 dell’informazione, nella verità dei fatti narrati, nonché nella forma civile della esposizione dei fatti e della loro valutazione280. Del resto il primo elemento che viene considerato è rappresentato dall’utilità sociale dell’informazione, la quale, sulla scorta della progressiva riflessione formatasi sul tema, sembra attenere all’interesse della collettività ad essere informata su quelle notizie che mettono in luce particolari aspetti dell’organizzazione sociale oppure fatti di costume sintomatici, tali da contribuire alla formazione dell’opinione pubblica su di essi281. Se, quindi, l’accento è posto sull’interesse pubblico che assume la conoscenza di determinate notizie – coerentemente con la riconosciuta esistenza, accanto alla libertà di informare, di un diritto del cittadino ad essere informato – si presenta il problema di tracciare una linea di demarcazione, in verità, non sempre agevole da rinvenire, tra interesse pubblico ed interesse del pubblico, spesso animato da finalità di semplice curiosità, soprattutto quando la notizia riguardi la vita privata di un soggetto noto282. Per questo motivo, l’interesse pubblico dovrebbe 280 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf 281 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 282 PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 192 concentrarsi unicamente sulle notizie e sulle informazioni che attengono all’area del comportamento e del pensiero che esula dalla sfera della riservatezza personale, con esclusione di tutto ciò che, invece, investe la sfera di intimità personale o familiare di una persona, anche se sono necessarie alcune precisazioni in ordine all’esatta delimitazione di questa quota di inviolabilità. Emblematico, al riguardo, è il caso dei personaggi pubblici, intesi come le persone impegnate nella vita politica o sociale, in relazione ai quali si ritiene che la soglia di riservatezza tenda ad abbassarsi, così che potrà risultare di interesse per la collettività essere informata su fatti ed avvenimenti, anche relativi alla loro vita privata, se significativi per finalità di conoscenza e di valutazione indispensabili ad una esatta informazione ed alla corretta formazione dell’opinione pubblica; infatti, quando una persona riveste una funzione socialmente rilevante anche il suo operato come soggetto privato interessa il pubblico, nella misura in cui esso possa incidere in modo pregiudizievole sull’esercizio delle sue funzioni o sull’istituzione che egli rappresenta283. Già da questo, quindi, si comprende come sia assai difficile poter definire aprioristicamente il concetto di utilità 283 VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347 193 sociale dell’informazione, sicché il giornalista – e, in caso di controversia, il giudice – dovrà valutare la sua sussistenza in base alle circostanze oggettive e soggettive che, di volta in volta, qualificano l’evento. Così, l’atto di portare a conoscenza del pubblico dati medici sullo stato di salute di una persona potrebbe rappresentare una violazione della riservatezza personale o, all’opposto, una manifestazione legittima della libertà di cronaca, a seconda che la persona in questione sia, per esempio, un personaggio sportivo oppure un membro del governo284: è evidente come, nel primo caso, questa conoscenza soddisfi solo una mera curiosità del pubblico, mentre nel secondo possa contribuire alla formazione dell’opinione pubblica su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività, quali, ad esempio, le sorti di un governo. Va, però, considerato come, nella realtà, i confini in questione tendano spesso ad essere meno nitidamente distinguibili degli esempi che si sono portati, tanto più che la stessa «opinione pubblica», alla cui formazione la giurisprudenza riserva un’attenzione particolare, identifica un concetto alquanto controverso e che non pare possa 284 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 194 essere impiegato in modo fungibile con quello di collettività285. L’intreccio esistente tra le comunicazioni intersoggettive riservate e le mere manifestazioni del pensiero è apprezzabile anche sotto un’altra angolazione. Deve, infatti, evidenziarsi come la convergenza abbia definitivamente messo in luce quell’affinità strutturale tra gli artt. 15 e 21 che già autorevole dottrina aveva avuto modo di rimarcare, sottolineandone l’identica matrice contenutistica. La neutralità del mezzo rispetto al contenuto, di cui Internet è un paradigma, ha comportato un ampliamento notevole delle potenzialità della comunicazione riservata tra soggetti determinati. Il riferimento è alla tradizionale coincidenza tra forma espressiva e scrittura, con tutte le materiali limitazioni che ne derivavano. Ma la trasformazione del linguaggio scritto in una successione di bit ha determinato tanto un aumento in senso quantitativo delle comunicazioni intersoggettive, quanto un incremento qualitativo delle capacità comunicative dei cittadini. Si pensi alle finalità lato sensu informative delle mailing list chiuse, dei blog (veri e propri diari personali on line) o dell’Internet Relay Chat con procedura 285 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf 195 Direct Client To Client. È evidente che per questa via si relativizza la dicotomia tra comunicazione pubblica e comunica- zione privata. La riconosciuta possibilità di instaurare rapporti comunicativi particolarmente ampi e, a un tempo, la capacità tecnica di mantenerli segreti ai terzi estranei spostano infatti di gran lunga il confine tra intersoggettività e diffusione. Non nel senso di renderlo evanescente, quanto nell’accrescere le capacità di penetrazione sociale delle comunicazioni individuali.286 È per questi motivi che deve essere sottoposta a critica – non certo per sue ipotetiche mende congenite, ma a causa dell’evoluzione sociale e tecno- logica – la tradizionale costruzione che richiede una diversa impostazione a seconda che si tratti di libertà di comunicazione o di manifestazione del pensiero: nel primo caso la tutela del singolo avrebbe una «rilevanza individuale, o meglio “privata”, e sotto un profilo principalmente “negativo” e “inattivo”»; nel secondo invece si sarebbe dinnanzi a una «manifestazione esterna, nel suo aspetto “positivo” e “attivo”, in quanto cioè tende a istituire un dialogo tra i soggetti della comunità politica». In realtà l’ampliamento delle potenzialità comunicative rende superata la mera rilevanza privata 286 FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf 196 delle comunicazioni intersoggettive, di talché appare sempre più chiara- mente che «tra l’ambito di applicabilità dell’art. 15 e quello dell’art. 21 non vi è soluzione di continuità». «reticolare» delle comunicazioni private L’attitudine resa possibile dall’eterogeneità tecnologica dei nuovi mezzi del linguaggio rende effettivo il significato originale del termine comunicare: rendere comune qualcosa con altri conformemente all’etimo latino communicare dal quale deriva. Il prisma attraverso il quale saggiare i punti di contatto tra le due libertà costituzionali è dato dalla libertà d’informazione, intesa come una formula allusiva di esigenze del tutto eterogenee L’affermarsi delle nuove tecnologie determina un parziale superamento dell’impostazione che la collegava all’art. 21. Come è stato osservato, «il fenomeno dell’informazione “reticolare” reagisce sugli stessi mezzi di diffusione «tradizionali», potenziandone i contenuti nel senso dell’interattività con gli utenti e della combinazione tra strumenti comunicativi, ma altresì modificandone alcuni presupposti strutturali. (...) Il paradigma originario dell’art. 21 subisce una sorprendente riscoperta, definendo insieme all’art. 15 un riferimento composito di questa nuova libertà di comunicazione informatica, che si manifesta attraverso 197 modalità comunica- tive plurali»287. La libertà d’informazione perde dunque i tratti di un diritto professionale, per assumere quelli di un diritto per l’appunto «reticolare», esercitabile tanto attraverso manifestazioni del pensiero quanto mediante comunicazioni intersoggettive. La circolazione delle informazioni non è più completamente mediata dagli attori tradizionali, ma in gran parte rimessa alle potenzialità tecno-comunicative del singolo. La conseguenza di più immediata percepibilità è la parziale inadeguatezza dell’impianto normativo attuale, fondato sulla connessione tra mezzi di diffusione e informazione: venuta in parte meno quella osmosi, si tratta di calibrare gli strumenti normativi attuali al fine di valorizzare le peculiarità dell’informazione mediata dalle comunicazioni intersoggettive digitali. Più in particolare, è opportuno predisporre misure adeguate ad arginare quella frammentazione sociale ingenerata dal progressivo venir meno degli intermediari di interesse generale. L’insegnamento secondo cui ogni costituzione è una costruzione che si realizza nel tempo, un’esperienza vivente soggetta a evoluzione e adatta- mento costanti onforta nella conclusione della perdurante 287 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 198 vitalità dell’art. 15 dinnanzi alle nuove tecnologie della comunicazione. La sua «apertura» è tale da permettere un continuo adeguamento alle istanze emergenti a livello sociale purché si concordi sull’idea, invero non pacifica, che «le risposte ai problemi emergenti nella società contemporanea vanno pazientemente rinvenute nelle pieghe dell’articolato costituzionale, saggiando tutte le possibili virtualità interpretative insite nelle disposizioni costituzionali»288. Viceversa, è oggi ancora particolarmente diffuso nella cultura costituzionalistica l’atteggiamento consistente nell’analizzare i problemi attuali della comunicazione attraverso la lente delle categorie dogmatiche tradizionali. Infatti, talvolta si continua a insistere, seppure in termini perplessi, nel riferimento ai mezzi di comunicazione utilizzati, secondo un criterio del quale è stata dimostrata la sterilità scientifica. Altre volte si persevera nel reputare non decisivo l’elemento della segretezza sulla base del rilievo della vulnerabilità dei sistemi comunicativi per effetto dell’evoluzione tecnologica. Infine, si esalta eccessivamente il collegamento tra gli artt. 15 e 21, attraverso un’interpretazione sistematica degli stessi dalla quale ricavare una generica libertà 288 PACE A, Intervento, in AA.VV., I diritti fondamentali oggi, Padova, 1995, 103. 199 della comunicazione, intesa come un fascio complesso in cui confluirebbero le libertà di comunicazione e di manifestazione del pensiero, secondo un disegno organi cistico nel quale i termini della questione risultano sostanzialmente invertiti e le diverse rationes di fatto confuse289. In tal senso l’individuazione dei limiti del diritto di cronaca può operarsi, come suggerisce autorevole dottrina, avendo riguardo in primo luogo al disposto dell'art. 1 della l. 69/1963, secondo cui il diritto di informazione e critica subisce limitazioni dalla tutela dei diritti della personalità dei singoli ed è delimitato dai doveri di lealtà e buona fede e dall'obbligo del rispetto della verità sostanziale dei fatti. In secondo luogo, “il legislatore sembra rinviare al diritto vivente e, quindi, alla giurisprudenza, specie di legittimità, formatasi in materia” a partire dalla pronuncia della Corte di Cassazione 18 ottobre 1984, n. 5259290. Tre erano le condizioni affinchè il diritto di cronaca: l’ utilità sociale dell'informazione” (c.d. pertinenza), che si concreta nell'interesse pubblico alla conoscenza del fatto oggetto di cronaca; “verità oggettiva”, o anche soltanto putativa purché 289 MODUGNO F, I "nuovi diritti" nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995, 20; S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 102 290 Corte di Cassazione 18 ottobre 1984, n. 5259 in Giur. it., 1985, I, pp. 762772 la quale indicava 200 frutto di un diligente lavoro di ricerca; “forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione” (c.d. continenza), che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa indiretta. Per quanto i tre criteri succitati siano stati posti dalla Cassazione con riferimento esclusivo all'ipotesi in cui la pubblicazione di una notizia o di un'immagine leda l'onore o la reputazione dell'interessato, la giurisprudenza successiva è parsa, piuttosto, incline a considerarli operanti ogni qualvolta vi sia contrasto tra esercizio del diritto di cronaca e diritti della personalità. Ad essi si è in seguito aggiunto, quale protezione del c.d. diritto all'oblio, un quarto criterio, consistente nell'attualità dell'interesse pubblico alla conoscenza di una vicenda291. La dottrina, da parte sua, non manca di osservare che “la diversità delle situazioni giuridiche tutelate comporta che i requisiti e lo stesso impianto teorico della 'sentenza-decalogo' non siano del tutto idonei ad orientare il giudizio di bilanciamento quando sia coinvolto il diritto alla riservatezza”292. È infatti pacifico, tanto in dottrina che in giurisprudenza, come non vi sia coincidenza tra il diritto alla reputazione e quello alla riservatezza, ben potendosi configurare 291 Cass. 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro it., 1998, I, c. 1834 MODUGNO F, I "nuovi diritti" nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995, 20; S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 102 292 201 ipotesi di fatti di vita intima che, pur non influendo sulla reputazione, devono restare riservati. Con riferimento specifico al diritto all’oblio la trattazione ha dimostrato come proprio tale diritto nel nostro ordinamento ha avuto una genesi pretoria, ad opera della giurisprudenza e del Garante, la sua piena positivizzazione avverrà nel nuovo quadro giuridico europeo in materia di protezione dei dati che si sta delineando con la proposta presentata dalla Commissione europea di un regolamento che andrà a sostituire la direttiva 95/46/CE in materia di protezione dei dati personali. La proposta di un eventuale regolamento293, si pone, tra gli altri, l'obiettivo di instaurare un quadro giuridico più solido e coerente in materia di protezione dei dati nell'Unione europea che, affiancato da efficaci misure di attuazione, possa consentire anche lo sviluppo della c.d. economia digitale e dei relativi diritti, e sia in grado di rispondere adeguatamente alle sfide emergenti dalla crescente globalizzazione e 293 Va ricordato che ai sensi dell'art. 288 TFUE il regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri, non necessitando di recepimento da parte delle autorità nazionali, a differenza delle direttive. Proprio per le sue caratteristiche normative, l'introduzione di un regolamento in materia ridurrà la frammentazione giuridica e garantirà maggiore certezza e omogeneità alla materia nell'ambito dell'intera Unione europea. Va comunque precisato che la base giuridica del regolamento in questione è rinvenibile nell'art. 16 TFUE, che consente di adottare le norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale da parte degli Stati membri nell'esercizio di attività che rientrano nel campo di applicazione del diritto dell'Unione medesima. 202 dalla natura fortemente innovativa delle tecnologie digitali, nonché dalla radicalità dei loro effetti su economia, società e cultura. Già nel considerando 53 dello schema di regolamento si rinviene un esplicito riferimento al diritto all'oblio dell'interessato, che viene successivamente codificato nell'art. 17, rubricato "diritto all'oblio e alla cancellazione". Gli utenti potranno così esigere dal titolare del trattamento che i propri dati personali siano cancellati e non più diffusi, specie con riferimento alle informazioni pubblicate quando l'interessato era minorenne, se sussistono validi motivi come la revoca del consenso, se l'interessato si oppone al trattamento, se i dati non sono più necessari per il perseguimento delle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati, nel caso di mancata conformità del trattamento ai principi sanciti dal regolamento stesso294. La medesima disposizione sancisce inoltre l'obbligo da parte del soggetto che ha pubblicato i dati di rendere nota la richiesta di cancellazione di qualsiasi link, copia o riproduzione ad altri soggetti che abbiano eventualmente copiato le informazioni o le abbiano linkate. 294 BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511 203 Tale diritto alla cancellazione dei propri dati incontra limiti precisi in ipotesi tassativamente determinate, in particolare laddove il trattamento sia finalizzato all'esercizio della libertà di espressione ovvero per il perseguimento di finalità storiche, statistiche e di ricerca scientifica: viene così salvaguardato anche il "diritto a ricordare", che costituisce un inalienabile contrappeso alla riservatezza in senso lato e tutela l'interesse pubblico alla conoscenza o divulgazione di dati per particolari esigenze di carattere storico, didattico, culturale o giornalistico che giustificano, quindi, il trattamento del dato. Va evidenziato, infine, che alla Commissione europea viene conferito il potere di adottare atti delegati al fine di precisare criteri e requisiti per la cancellazione dei dati nell'ambito di settori e situazioni specifici, individuare le condizioni per la cancellazione di link, copie o riproduzioni di dati personali dai servizi di comunicazione accessibili al pubblico e, da ultimo, per definire le condizioni e i criteri volti a limitare il trattamento dei dati personali nei casi in cui non si proceda alla loro cancellazione (i.e. durante il periodo necessario a verificarne l'esattezza, se devono essere conservati a fini probatori, se l'interessato richiede che ne venga 204 semplicemente limitato l'utilizzo o se chiede di trasmettere i dati a un altro sistema automatizzato)295. Va, peraltro, osservato che il Trattato costituzionale UE, oltre a recepire pedissequamente i principi in materia di libertà di manifestazione del pensiero affermati nella Carta dei diritti, introduce altresì, seppur non all’interno delle disposizioni relative alla libertà di manifestazione del pensiero ma in una norma avente portata più generale296 (art. I-5, I comma), il riferimento, appunto generico, a quei limiti – ordine pubblico, sicurezza nazionale – che, tradizionalmente – ma altresì nella stessa CEDU – si ricollegano all’esercizio del diritto in esame. Sono note le difficoltà e le perplessità circa i termini ed i limiti entro cui possano reputarsi ipotizzabili ed ammissibili tali concetti all’interno dell’ordinamento costituzionale italiano, alla stregua della formulazione dell’art. 21 e della rigidità delle sue garanzie; è nota altresì la faticosità della stessa giurisprudenza costituzionale, specie recente, nella delineazione dei corrispondenti margini d’intervento del legislatore SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss 296 MODUGNO F, I "nuovi diritti" nella giurisprudenza costituzionale, Torino, 1995, 20; S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 102 295 205 e specie avendo riguardo al concetto di ordine pubblico ideale297 A parte tale ultimo accenno, resta il fatto che il riferimento operato dal Trattato costituzionale UE ben difficilmente potrebbe ritenersi afferire all’ambito qui in esame, della libertà di pensiero comunitaria. Ciò, innanzi tutto per il fatto che esso appare troppo generico e «trasversale» – in quanto esteso «una volta per tutte» e a tutti indistintamente i diritti di libertà civile ivi considerati – per possedere una propria adeguata ed immediata attitudine precettiva, da valere, invece, in confronto ad ogni singolo diritto; e, poi, per il fatto che la ratio del riferimento in questione – di cui al cit. art. I-5, I comma, Trattato cost. UE – pare essenzialmente diversa, limitandosi in realtà – la formula in parola – ad effettuare un complessivo inquadramento dei rapporti intercorrenti fra UE e stati membri e, anche letteralmente, volendo riferire i cennati limiti non già al diritto dell’Unione bensì a quello degli stati, ovvero al necessario «rispetto», da parte della UE, delle funzioni di mantenimento delle necessarie, minimali e hobbesiane condizioni di convivenza esercitate dagli stati stessi. Quanto ora detto conferma quella delicata condizione di «assenza» o di vuoto normativo che consegue, nella Carta dei diritti, 297 CORRIAS LUCENTE G., Internet e libertà di manifestazione del pensiero, in Dir. Inf, 2000, 4/5, 597 206 alla mancata previsione di un chiaro «sistema» delimitativo da giustapporre alla mera proclamazione del diritto. Tal situazione fa sì che si determini una sorta di latitudine applicativa in ordine ai modi di esercizio del diritto stesso; ed, altresì, rischia di consentire al legislatore – comunitario ed eventualmente interno, in sede di attuazione del diritto dell’Unione – margini di discrezionalità ben maggiori di quelli che l’interprete è abituato a reputare tollerabili alla stregua dei presidi ormai consolidati dello stato costituzionale di diritto (e rinvenibili nell’art. 21 Cost.)298. E non è detto che la situazione in discorso non produca in futuro, in seno alla giurisprudenza della CGCE, una propensione nel senso ora detto, ovvero una qual certa eccessiva elasticità e duttilità argomentativa in ordine ad una eventuale dinamica confinazione del diritto; potendone, la Corte stessa, derivare i presupposti e la causa legittimante appunto dalla assenza, nella Carta, di positiva ed esplicita marginazione in confronto all’intervento del potere pubblico e, prima di tutto, del legislatore comunitario (fermo, peraltro, l’ossequio agli altri presupposti che la Carta individua ai fini della esplicitazione del regime di garanzia dei singoli diritti, 298 PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 207 primo fra tutti quello delle «tradizioni costituzionali comuni»). Proprio in riferimento a tale ultima considerazione si potrebbe ritenere che il rapporto di necessaria riferibilità ai parametri dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale ex art. I-5, I comma, Trattato cost. UE, potrebbe forse ritenersi valere, per la fonte comunitaria, ma solo in senso indiretto. Nel senso, cioè, della correlabilità dei due limiti (in quanto sussistenti e fatti propri dagli stati membri nei rispettivi ordinamenti) all’altro parametro rappresentato dalle «tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri»299 (art. 6, II comma, Trattato UE; art. I-7, III comma e art. 112, IV comma, Trattato cost.; Preambolo Carta dei diritti). Il che, tuttavia, non dovrebbe rappresentare un appesantimento del regime comunitario di garanzia della libertà di manifestazione del pensiero, sia per il fatto che tali limiti sono, come ricordato, già enunciati dalla CEDU (cui la normazione comunitaria è tenuta a rapportarsi), sia per il fatto che rimangono comunque salvi (ineludibili) i presidi essenziali di garanzia apprestati dall’art. 21 e, in generale, dalla Costituzione; ciò che è ribadito dallo stesso art. 53, Carta dei diritti. In generale si può affermare come l’analisi normativa e 299 MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se 208 giurisprudenziale abbia messo in evidenza come emerga300. CAPITOLO QUINTO 5 OBLIO E ANONIMATO 5.1 Il diritto all’anonimato su Internet 300 PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore, Torino, 2011, 25 e 40 209 Nel momento in cui le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno cominciato ad affacciarsi alla ribalta sono diventate fatto diffuso e hanno modificato le modalità della comunicazione e dell’informazione. Una delle conseguenze è stata quella della disintermediazione. Da quel momento in poi, si sosteneva, tutti avrebbero avuto accesso diretto all’informazione e i mediatori tradizionali sarebbero scomparsi, in primo luogo il giornalismo tradizionale, sostituito dall’accesso diretto di ogni utente alle fonti dell’informazione. Basta riferirsi ai portali per vedere che così non è: oggi l’enorme disponibilità di informazioni in rete sarebbe poco più che una vana promessa, come a dire, un’informazione impossibile, se non ci fosse l’intermediazione dei portali che raccolgono, filtrano, ordinano e rendono in pochi secondi disponibile l’informazione su una certa materia. E’ chiaro come quindi una eventuale definizione di diritto all’oblio si confronta con le enormi potenzialità informative dell'era digitale che, come è stato acutamente rilevato, hanno capovolto il rapporto di regola-eccezione tra l'oblio e la memoria, che ha segnato i progressi della storia dell'uomo. Dimenticare oggi non pare più possibile dinanzi al 210 fenomeno «Internet che rappresenta, in questo momento, il fronte più avanzato di sviluppo delle tecnologie della comunicazione e dell'informazione, nonché, in definitiva, l'emblema stesso della società che, proprio per il medium che sempre più utilizza per comunicare, si definisce digitale». Internet, in quanto rete globale che, interconnettendo una numero infinito di reti settoriali e globali, collega più computer e più network attraverso l'utilizzazione di protocolli comuni, offre un modello di memoria completamente diversa dalla memoria umana, non soltanto dal punto di vista quantitativo, per l'infinita capienza di informazioni, ma anche dal punto di vista qualitativo. Il valore dell'informazione è fortemente incrementato dalla facilità di recupero dell'informazione stessa: certamente la rete non possiede una quantità di informazioni maggiori di quelle affidate ai supporti cartacei, ma estrarre una informazione da un libro è un'operazione non soltanto più complessa, ma anche concettualmente diversa dalla ‘captazione' di una informazione da un supporto digitale, magari attraverso una associazione casuale. L'effetto più evidente è che la memoria di rete, oltre ad apparire sconfinata, appare priva di riferimenti spazio-temporali (che costituiscono i requisiti di umanità 211 e di storicità del dato), sicché le informazioni appaiono appiattite in una dimensione atemporale, di modo che il loro trattamento all'interno di un archivio, vincolato al perseguimento di una finalità specifica, una volta inserito nel collegamento di rete, le accumula, non più in modo ragionato, bensì in un mero deposito indifferenziato301 . La questione che maggiormente evidenzia la tensione che questa precondizione tecnologica produce in relazione con il diritto all'oblio, riguarda il trasferimento in rete, da parte di un sempre maggior numero di testate giornalistiche, degli archivi storici. Rispetto a tale situazione, qualsiasi passaggio sulla carta stampata sia esso oggetto di un articolo di stampa, ma anche di un documento fotografico ritratto in occasione di un evento pubblico o un'inserzione a fini diversi (pubblicazione di provvedimenti giudiziari, pubblicità di eventi familiari, come necrologi o partecipazioni di nascita) diviee perennemente accessibile a chiunque con la propria intatta valenza identificativa, con il bagaglio delle informazioni, sulle condizioni personali, professionali, familiari, anche se ormai appartenenti a tempi remoti della vita di 301 FINOCCHIARO G., Voce Identità personale (diritto alla), in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. civ., Agg., Torino, 2010 212 una persona302. Della complessità del problema esprime chiara consapevolezza, come detto nel corso dei capitoli precedenti, il Garante della Privacy in occasione delle diverse relazioni annuali, la quale si interrogano «se la riproduzione on line di archivi di giornali e di trasmissioni video si configuri in ogni caso come esercizio attuale di una libertà di stampa e di informazione diventata senza tempo, o se invece, specialmente per gli archivi risalenti negli anni, si debba considerare diffusione di documentazione storica, e dunque debba essere attratta sotto la disciplina di protezione di dati applicata a questo tipo di attività». Abbiamo visto nel corso del capitolo precedente come la stessa Corte di Giustizia delinei un doppio canale di trattamento dei dati sul web. Da una parte, riconosce indirettamente la responsabilità del gestore dei siti che contengano informazioni e dati personali, con obbligo di curarne l'aggiornamento, la contestualizzazione ed, in determinati casi, la rimozione. Questo indirizzo è stato accolto, da tempo, dal Garante della privacy nazionale, che in numerose occasioni ha ordinato l'aggiornamento delle 302 pagine contenute negli archivi on-line delle testate MORELLI, voce Oblio (diritto all'), in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002 213 giornalistiche303. D'altra parte, tuttavia, i medesimi dati, provenienti dai c.d. siti sorgente, allorquando sottoposti al processo di raccolta, catalogazione, indicizzazione e memorizzazione temporanea dal motore di ricerca, divengono oggetto di un trattamento “diverso”, poiché avente differenti finalità e modalità di espletamento. Come visto, su questo preciso aspetto, la pronuncia della Corte di giustizia segna una netta linea di demarcazione con gli orientamenti precedenti304. In effetti, se il Garante per la protezione dei dati personali italiano, già in alcuni provvedimenti, aveva riconosciuto l'autonomia del trattamento svolto dai motori di ricerca, sottolineando la diversa efficacia in termini di diffusione dei dati e di incidenza che la percezione degli stessi produce sugli utenti , la Suprema Corte, invece, ha sino ad oggi privilegiato un approccio più cauto sul tema, attribuendo rilevanza esclusiva al profilo di responsabilità gravante sul sito sorgente, nella prospettiva di una posizione non “attiva” del motore di ricerca rispetto al controllo e alla conoscenza dei dati memorizzati anche temporaneamente305. La AULETTA, Diritto alla riservatezza e “droit à l'oubli”, in Alpa-BessoneBoneschi-Caiazza (a cura di), L'informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983, p. 127 304 MORELLI, voce Oblio (diritto all'), in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002 305 Cass. n. 5525/2012, cit., ove si legge che “ il titolare di un organo di informazione è tenuto a garantire la contestualizzazione e l'aggiornamento della notizia di cronaca, successivamente spostata nell'archivio storico anche se pubblicato 303 214 Cassazione, in un'ottica sostanziale non dissimile da quella propria della Corte di giustizia, propone una ricostruzione dinamica della tutela della riservatezza, tesa ad esaltare la dimensione del controllo da parte degli interessati sull'utilizzo e sul destino dei propri dati, ponendo al centro del proprio decisum una netta affermazione del diritto all'oblio. In particolare, la Suprema Corte riconosce che se l'interesse pubblico sotteso al diritto all'informazione (ex art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza (di cui agli artt. 21 e 2 Cost.), “al soggetto cui i dati pertengono è correlativamente attribuito il diritto all'oblio, e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati”306. L'impostazione muta radicalmente allorché la Cassazione italiana cala siffatto principio nel contesto della Rete, proponendo una lettura delle informazioni in essa presenti differente rispetto a quella della Corte di giustizia, fondata sulla distinzione tra archivio e memoria del web . Riassumendo quindi si potrebbe dire che proprio la problematica su internet, al fine di consentire alla medesima di mantenere i caratteri di verità ed esattezza e quindi di liceità e correttezza, a tutela del diritto dell'interessato al trattamento alla propria identità personale o morale nonché a salvaguardia del diritto del cittadino utente di ricevere un'informazione completa e corretta”. 306 Cass. 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro it., 1998, 123 ss 215 relativa al c.d. diritto all'oblio, ossia il diritto a veder delimitata nel tempo la diffusione di informazioni che non sia più giustificata alla luce delle finalità e delle circostanze originarie, presenta profili di particolare complessità laddove le informazioni che si intendano cancellare siano state diffuse in Internet. Entra infatti in gioco, accanto all'originario trattamento dei dati (da parte, p.e., del quotidiano che renda liberamente disponibili online i propri archivi storici), il successivo trattamento effettuato dai motori di ricerca. Per chiarire: informazioni inesatte o non aggiornate, o addirittura trattate in violazione di legge (si pensi alla trascrizione di intercettazioni pubblicate nella fase coperta dal segreto investigativo) possono essere contenute in primo luogo nei “siti sorgente” (p.e. la versione online di un quotidiano). Gli interessati si rivolgeranno dunque in prima battuta ai gestori dei siti, per ottenere la rettifica o la cancellazione delle informazioni: e, nel caso in cui il sito che ha pubblicato il dato sia stabilito in Italia, non ci sono particolari problemi nell'applicazione della normativa. La questione sta nel fatto che la rettifica, l'aggiornamento o la cancellazione effettuati dal gestore del sito non sono sufficienti a tutelare l'interessato: infatti le copie cache dei siti e le relative sintesi (gli 216 abstract che compaiono nelle pagine dei risultati di ricerca) non vengono aggiornate o rettificate automaticamente dai motori di ricerca, anche se sui “siti sorgente” la cancellazione è avvenuta da tempo. Ecco perché la lesione del diritto all’oblio si configura spesso come impossibilità di ritornare all’anonimato ed è resa ancor più grave quando le informazioni riprodotte sulle reti di comunicazione elettronica a distanza di molto tempo (o comunque disponibili in maniera permanente anche se non riprodotte), anche se in origine legittima-mente pubblicate, risultano poi nel tempo incomplete, come nel caso di una persona menzionata in un articolo giornalistico in quanto indagata, ma successivamente assolta senza che di questa positiva evoluzione sia data notizia307. Nel caso della ripubblicazione online di vecchi articoli giornalistici, e posto che il criterio fondamentale indicato dal Garante per pubblicare o meno una notizia è l’esistenza dell’interesse pubblico, chiunque voglia successivamente riproporre e ripubblicare (o semplicemente far permanere) su internet articoli giornalistici contenenti dati personali di terzi deve preventivamente verificare (a 307 PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain: più problemi che soluzioni, http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=26322&dpath=docume nt&dfile=10062014174108.pdf&content=La+decisione+della+Corte+di+gi ustizia+sul+caso+Google+Spain:+pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+stato++dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014. 217 maggior ragione quando l’intendimento è quello di dare diffusione planetaria sul web ai dati personali relativi degli interessati) che tale interesse sussista al momento della ripubblicazione, effettuando una nuova valutazione (rispetto a quella svolta dal giornalista autore della originaria pubblicazione) che tenga in primo luogo nel debito conto – nell’ottica del “diritto all’oblio” - se la persona di cui si vuole riparlare sia un personaggio pubblico oppure no. Nel caso del personaggio noto o del fatto noto si pongono diversi problemi. Nel primo caso si pone il problema del rapporto fra esercizio del diritto di cronaca e rispetto della vita privata dei personaggi noti alla massa, mentre nel secondo caso occorre valutare se davvero la comune conoscenza di un fatto sia di per sé stessa sufficiente a renderne legittima l'indiscriminata divulgazione308. In merito alla notorietà del personaggio si è riscontrata una sostanziale uniformità di indirizzo giurisprudenziale, fin dal primo riconoscimento del diritto alla riservatezza da parte della Cassazione 309: i giudici hanno sempre ritenuto legittima la divulgazione delle vicende private di chi fosse divenuto famoso, a 308 MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se Cass., 27 maggio 1975, n. 2129, in Dir. aut., 1975, p. 358 ss. In questa pronuncia è stato affermato che "non si può ravvisare [...] un diritto di altri soggetti (in genere, cronisti e giornalisti) di controllare e riferire illimitatamente ogni aspetto della vita delle persone divenute, loro malgrado, notorie". 309 218 condizione che sussistesse una stretta connessione fra le notizie riportate e le cause della notorietà, tale da giustificare un interesse della collettività310. È stato infatti più volte affermato nelle sentenze che il diritto alla riservatezza di persone note al pubblico viene necessariamente circoscritto rispetto al diritto alla riservatezza che compete a ciascuno individuo ignoto al di fuori dell'ambiente nel quale vive ; tuttavia si è altrettanto frequentemente precisato che i soggetti "assurti al rango della conoscenza pubblica" non vedono completamente sacrificato il loro diritto, essendo vietato ai media divulgare informazioni attinenti la "sfera intima" della loro vita privata311. In tal modo i giudici hanno delineato una distinzione fra vita privata intesa in senso ampio e vita privata intesa, più limitatamente, come coincidente con gli aspetti più personali dell'esistenza del singolo, non suscettibili di interesse per gli estranei, non essendo connessi all'immagine sociale del personaggio noto312. Esemplificativa di questo indirizzo è la nota pronuncia sul 310 In tal senso v. tra le varie pronunce, Pret. Roma, 2 gennaio 1985, loc. cit. e Pret. Roma, (ord.), 15 luglio 1986, loc. cit. 311 r. Pret. Roma, 6 maggio 1983, cit., p.80. 312 PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain: più problemi che soluzioni, http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=26322&dpath=docume nt&dfile=10062014174108.pdf&content=La+decisione+della+Corte+di+gi ustizia+sul+caso+Google+Spain:+pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+stato++dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014. 219 c.d. caso Loren , in cui il Pretore di Roma ha affermato che anche a chi opera una scelta di vita pubblica o di importanza sociale deve essere riconosciuta "una sfera di riservatezza intoccabile"313, soprattutto in relazione alla vita intima. Merita altresì particolare attenzione una pronuncia del Pretore di Chieri314 nella quale viene dato rilievo ad un aspetto precedentemente trascurato dalla giurisprudenza, ovvero l'opportunità di distinguere fra "notorietà volontariamente raggiunta" e "notorietà involontaria e subìta". Mentre nel primo caso la persona di cui vengono divulgate le notizie non può lamentare una lesione del proprio riserbo, in quanto il suo stesso comportamento finalizzato a far parlare di sé implica una legittimazione alla diffusione di informazioni sulla sua vita privata, almeno per quegli aspetti connessi con la propria fama; non si può presupporre la stessa accondiscendenza da parte di chi sia stato passivamente, e contro la sua volontà, oggetto dell'attenzione 313 Pret. Roma, 2 gennaio 1985, in Dir. informaz. informatica, 1985, p.713. Pret. Chieri, 3 gennaio 1990, in Dir. informaz. informatica, 1990, p. 523 ss.; e anche in Dir. famiglia, 1990, p. 582. Il caso ha riguardato Serena Cruz, bambina diventata nota al pubblico per la vicenda della sua adozione che ha scatenato diverse polemiche in merito alla l. n. 184/83. La bambina è stata fotografata dai reporter durante "una ordinaria occasione della sua normale esistenza" e la famiglia è ricorsa al giudice, a tutela dell'immagine della minore. Seppure il caso sia stato risolto facendo riferimento al solo diritto all'immagine è tuttavia evidente come fosse anche implicito l'intento di assicurare una più generale tutela della vita privata della bambina. Su questa vicenda giudiziaria v. anche la precedente pronuncia Pret. Chieri, 19 dicembre 1989, in Dir. famiglia, 1990, p. 572 ss. (114) Pret. Chieri, 3 gennaio 1990, in Dir. informaz. informatica, 1990, p.527. 314 220 dei media. In quest'ultima ipotesi non è possibile privare il soggetto della legittima aspirazione a guadagnare nuovamente "l'alveo di un'esistenza normale"315, tutelando la sua riservatezza indipendentemente dalla sopraggiunta notorietà. Secondo tale orientamento è quindi legittimo divulgare solamente i fatti di interesse pubblico accaduti a sconosciuti, senza indagare anche sui particolari delle singole esistenze che nulla hanno a che vedere con gli eventi. Di segno opposto sembrano invece quelle pronunce in cui si è sostenuto che la notorietà di un personaggio ha un tale potere "diffusivo" da riverberarsi anche sulle persone a lui collegate, in specie sui familiari. In tal senso il Tribunale di Napoli 316, sulla base di un indirizzo giurisprudenziale già consolidato nel tempo , ha ritenuto che la notorietà "per forza di cose si propaga" anche ai familiari del personaggio famoso, per il fatto stesso che costoro ne condividano le vicende umane, presentandosi anche in pubblico accanto a lui. In merito agli aspetti ora considerati l'intervento della nuova 315 FINOCCHIARO G, voce Identità personale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 2010, p. 721 e ss 316 Trib. Napoli, 19 maggio 1989, in Dir. aut., 1990, p. 382 ss. Nella specie i giudici del Tribunale di Napoli, hanno considerato legittima la pubblicazione delle fotografie inedite della figlia infante del noto calciatore Maradona, in quanto atta a soddisfare l'"esigenza di informazione dei lettori", essendo Maradona "al centro dell'immaginario collettivo". 221 disciplina sul trattamento dei dati personali è avvenuto attraverso le norme del codice di deontologia giornalistica, riprendendo in maniera integrale gli indirizzi della giurisprudenza maggioritaria; in tal senso si è statuito che "la sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica" 317. Sembrano invece nel senso di una minore tutela del riserbo, le indicazioni che emergono dagli artt. 10 e 11 del codice deontologico, in cui si afferma che la divulgazione dei dati clinici e delle informazioni inerenti le abitudini sessuali di una persona avente una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica è legittima, se improntata dell'essenzialità dell'informazione ed al rispetto della dignità dell'individuo . È evidente come tali indicazioni permettano di diffondere indiscrezioni sulla vita privata attinenti quella "sfera intima" che invece, nella maggior parte delle pronunce anteriori all'entrata in vigore della l. n. 675/96, è stata considerata inaccessibile all'occhio indiscreto dei media. V'è dunque all'orizzonte il rischio che interpretazioni elastiche del concetto di "essenzialità dell'informazione", unite all'incremento dell'interesse 317 Così art. 6, comma 2°, codice deontologico dei giornalisti. 222 della massa per lo stato di salute o la vita sessuale delle persone che ricoprono un rilevante ruolo nella società318, portino ad un'involuzione della giurisprudenza riguardo al rapporto fra esercizio del diritto di cronaca e tutela del riserbo. Involuzione assai negativa se si considera che proprio sotto questo aspetto l'indirizzo delle corti si è manifestato costante nel tempo, attestandosi su una posizione di sostanziale difesa della vita privata, nei limiti di un equo contemperamento fra scelta di vita pubblica e rispetto della "sfera intima" della persona. Appare invece più tutelato, dalla nuova normativa, il riserbo di chi vive a fianco di persone famose e per questo è anch'esso sovente oggetto dell'interesse "indiscreto" dei media. In proposito il codice deontologico stabilisce che i giornalisti, nel riportare le vicende, devono astenersi dal far riferimento "a congiunti o altri soggetti non interessati ai fatti"319, ponendo dunque un chiaro limite all'attività divulgativa e, soprattutto, indicando alle corti l'opportunità di abbandonare certi criticabili indirizzi giurisprudenziali 318 Cfr. artt. 10, comma 2°, ed 11, comma 2°, codice deontologico dei giornalisti. 319 ret. Milano, 27 maggio 1986, in Dir. informaz. informatica, 1986, p. 924 ss.; Pret. Roma, 2 gennaio 1985, in Dir. informaz. informatica, 1985, p. 710 ss.; e anche in Giur. it., 1989, I, 2, c. 479 ss. 223 propensi adestendere la notorietà del personaggio a tutti coloro che lo circondano320. Il riferimento all'"essenzialità dell'informazione", che come si è visto, compare più volte sia nella l. n. 675/96, sia nel codice deontologico, dovrebbe inoltre spingere i giudici a rivalutare la distinzione fra "notorietà volontariamente raggiunta" e "notorietà involontaria e subìta", considerando che, quando una persona abbia, suo malgrado, subìto l'attenzione dei media (in connessione dunque a vicende che avrebbe preferito tenere celate), lo spazio concesso alle indiscrezioni deve essere piuttosto esiguo, appena sufficiente a chiarire la dinamica degli eventi riportati. Per quanto concerne invece la "notorietà" intesa come generale conoscenza, o conoscibilità, delle vicende, la dottrina e la giurisprudenza, anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 675/96, reputavano che qualora un aspetto della vita privata di un soggetto fosse reso noto attraverso il suo comportamento, o con il suo consenso, per ciò stesso cessasse di appartenere alla sfera riservata. In virtù di tali ragioni le corti hanno sempre considerato legittima la divulgazione da parte dei media di notizie o immagini già precedentemente pubblicate , salvo il caso in cui l'individuo 320 MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se 224 interessato avesse manifestato un consenso circostanziato che escludesse ogni ulteriore pubblicazione321. Merita tuttavia di essere richiamata una pronuncia del Pretore di Roma322, che ha ritenuto illecita la diffusione a mezzo stampa, assieme ad un periodico, di una cartina topografica di notizie personali riguadanti noti Roma corredata personaggi del da varie mondo dello spettacolo, utili per consentire a chiunque di rintracciarli e di interferire nella loro vita privata. Secondo il giudice la raccolta in un'unica pubblicazione di notizie già note (dunque non più riservate) costituisce "un quid novi" (, caratterizzato dall'aver riunito e sistematizzato informazioni sparse, avente attitudine lesiva. Dall'analisi dell'incidenza del fattore "notorietà" sull'esercizio del diritto di cronaca traggono dunque origine le prime considerazioni giurisprudenziali sul problema della raccolta dei dati personali. A dieci anni di distanza, l'indirizzo innovativo della Pretura di Roma ha avuto piena conferma nel dettato della l. n. 675/1996, tutta incentrata sulla nozione di trattamento del dato personale, dunque proprio sulla possibilità di estrapolarlo e di 321 Trib. Roma, 7 ottobre 1988, cit., p. 1244; Pret. Roma, 12 novembre 1975, in Dir. aut., 1976, p. 148 ss 322 ret. Roma, (ord.), 15 luglio 1986, in Dir. informaz. informatica, 1986, p. 926 ss. 225 confrontarlo con altri, ponendolo al giusto posto in un insieme organizzato diinformazioni. Il legislatore ha tuttavia reputato di derogare alla generale disciplina del trattamento dei dati personali proprio per i giornalisti, affermando che quest'ultimi possono liberamente utilizzare le informazioni rese note direttamente dall'interessato e desumibili dai suoi comportamenti tenuti in pubblico323. Tale disposizione trova la sua ragione nell'implicito consenso alla divulgazione dei dati, manifestato dal soggetto fuoriuscendo dal proprio àmbito di riserbo; è tuttavia indubbio che non è stata sufficientemente considerata la potenzialità strutturale delle banche dati nei media, capaci di gestire una grande mole di notizie e di tracciare profili individuali assai dettagliati. In base all'attuale normativa sembrano dunque non trovare più posto quei limiti ad un'interpretazione troppo estensiva del concetto di notorietà dei fatti suggeriti dall'innovativa pronuncia della Pretura di Roma. Occorre poi sottolineare come da alcuni anni sono ormai diffusi sul web nuovi spazi virtuali, che consentono un uso interattivo della 323 fr. art. 25, comma 1°, l. n. 675/96. In merito a tali dati l'art. 5, comma 2°, del codice deontologico dei giornalisti, fa solamente salvo "il diritto di addurre successivamente motivi legittimi meritevoli di tutela" 226 rete da parte degli utenti come nel caso di forum, blog e social network: la loro caratteristica è quella di consentire agli utenti che vi partecipano di inserire dati o esprimere le proprie opinioni sui vari argomenti di volta in volta proposti, commentando anche in tempo reale le idee manifestate dagli altri partecipanti324. Tali nuovi sistemi di comunicazione e di informazione, fondati sul contributo informativo fornito dai singoli utenti e sulla circolazione interpersonale delle notizie e dei commenti, creano nuove forme di controllo e di denuncia sociale "fai da te" . La rete, oltre a diventare il luogo privilegiato in cui chiunque può autoesporre accadimenti della propria vita privata, che spesso coinvolgono anche terzi (parenti, amici, colleghi) che non hanno a ciò acconsentito, sta diventando la vetrina della trasparenza globale: la pretesa, e in alcuni casi la convinzione, dell'esistenza di un generale diritto a conoscere (ad esempio la condotta di chi ha responsabilità pubbliche) o a diffondere dati e informazioni si estende verso forme di potenziale e pernicioso controllo globale di tutti su tutti. Anche in tal caso le informazioni immesse in rete si cristallizzano nel tempo e diventano immutabili in un presente senza fine. 324 FINOCCHIARO G, voce Identità personale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 2010, p. 721 e ss 227 La peculiarità dei social network rende estremamente difficile la relativa governabilità attraverso le regole tradizionali elaborate dal diritto e dalle norme sulla protezione dati personali: da un lato occorre garantire la libertà di accesso e intervento sulla rete; dall'altro vanno elaborate misure idonee a tutelare i soggetti cui si riferiscono i dati immessi, per lo più da loro stessi, in rete . I pericoli derivanti da un utilizzo poco accorto dei servizi on-line sono incalcolabili: si va dal rischio di perdere il controllo dell'utilizzo dei propri dati una volta pubblicati in rete, alla scarsità di tutela rispetto alla riproduzione dei dati personali contenuti nei profiliutente, che possono essere reperiti tramite motori di ricerca, copiati su altri siti e riprodotti infinite volte nel tempo, con loro conseguente decontestualizzazione o permanenza presso i fornitori del servizio anche dopo la loro cancellazione. Inoltre, non va trascurato il fatto che tali strumenti sono utilizzati da minori, che vengono così esposti ad inusitate forme di adescamento in rete. Peraltro non sempre i dati immessi nel web vengono utilizzati per il perseguimento delle finalità originarie (si pensi ai datori di lavoro che esaminano i profili-utente relativi a candidati all'assunzione o a singoli dipendenti, all'invio di messaggi mirati di marketing da parte 228 dei fornitori di servizi commerciali), mentre si è incrementato il rischio di furti di identità favorito dalla diffusa disponibilità dei dati personali contenuti nei profili-utente325. A fronte di tali problematiche, non si può non condividere il convincimento che il diritto all'oblio, per come si configurerà soprattutto una volta che il regolamento in sostituzione della direttiva 95/46/CE verrà adottato, sicuramente costituirà uno strumento importante per tutelare gli utenti anche da dati e notizie immessi in rete da loro stessi. 5.2 Il diritto all’oblio quale diritto (di ritorno) all’anonimato Il diritto all'oblio dinanzi alla sfida delle nuove tecnologie e alle formidabili potenzialità della memoria digitale risulta notevolmente modificato nella sua struttura e nei suoi elementi costitutivi . La situazione soggettiva unitaria elaborata dalla giurisprudenza e dalla dottrina appare frantumata in una pluralità di fattispecie rilevanti, per le quali si richiedono sistemi di protezione diversificati. Cionondimeno, i valori fondamentali della persona, riconosciuti 325 MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se 229 dall'ordinamento sovranazionale oltre che nazionale, costituiscono il polo unitario di riferimento dei possibili rimedi esperibili, per quanto il «diritto a mantenere il controllo sulle proprie informazioni e di determinare le modalità di costruzione della propria sfera privata» secondo l'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, possa apparire una scommessa impossibile al cospetto della memoria atemporale e decontestualizzata della rete. Anche se, come è stato osservato, il diritto all'oblio si è arricchito di nuove sfaccettature e di sostanziali alterazioni, con riguardo ad alcuni elementi significativi della sua fattispecie originaria, quale, principalmente, la fonte della lesione del diritto, insita nelle stesse caratteristiche strutturali della memoria di rete e non più nella rinnovata divulgazione della notizia, esso dispone tuttora delle potenzialità di tutela non meramente «virtuali», per reagire alla eventualità di una permanente esposizione delle vicende pregresse della propria esperienza personale alla libera accessibilità di chiunque. La ricerca degli strumenti di reazione più adeguati deve districarsi tra limiti tecnici di efficacia e limiti giuridici di valore. La cancellazione del dato non appare una risposta incondizionatamente valida, né sotto l'uno né sotto l'altro dei profili problematici 230 evidenziati. Sotto il profilo dell'efficacia, la cancellazione dei dati si confronta con la esistenza di siti che memorizzano i dati scomparsi da altri siti, prestando un servizio di copia cache o way back machine che ne vanifica l'effetto. Sotto il profilo della rispondenza ai vincoli di valore giuridicamente rilevanti di proporzionalità e di necessità del trattamento informativo, il potere incondizionato di cancellazione può risultare un rimedio più grave del male, poiché rischia di opporre ad una memoria ‘appiattita' una eliminazione dei dati altrettanto appiattita e, dunque, in definitiva discrezionale326. Allo stato, appare necessario calibrare i rimedi in stretta relazione con la natura dei dati, rispettando così il principio di proporzionalità della tutela che appartiene tanto alla configurazione più tradizionale del diritto all'oblio tanto al sistema di protezione dei dati personali delineato dal d.lg. n. 196 del 2003, nell'ambito dei principi comunitari. La cultura dell'»ecologia dell'informazione» con la proposta del dato a scadenza è una soluzione fervida di sviluppi pratici anche per i dati volontariamente inseriti dai soggetti titolari e per i dati comuni. Il termine di scadenza, infatti, può esprimere sia la valutazione in 326 AA.VV., Il caso del diritto all'oblio, PIZZETTI (a cura di), Torino, 2013, p. 21 e ss 231 forma tipica del vincolo di proporzionalità del trattamento in relazione alla finalità perseguita — e ciò nel caso della determinazione della scadenza in via autoritativa e regolamentare — sia concretizzare il potere dispositivo del titolare attraverso la riconferma di un principio consensualistico, che, nel caso dei dati condivisi, può avere una fonte negoziale e formare oggetto di espressa contrattazione tra gli interessati. Inoltre, il termine di scadenza non deve necessariamente essere sanzionato dalla radicale eliminazione del dato, ma, a seconda dei casi, dall'introduzione di un diverso e più limitato regime di accessibilità del dato stesso. D'altro canto, la propensione dinamica dell'archivio, nel rispetto della dimensione attuale della identità personale e morale dei titolari dei dati, deve contemperare la finalità di aggiornamento con l'interesse alla conservazione del dato a fini storici (art. 99). Un vincolo giuridico di non facile realizzazione, anche alla luce delle attuali possibilità tecnologiche di realizzazione attraverso la previsione di link o di sistemi testuali di allarme, i quali, realisticamente, possono funzionare con sufficiente efficacia, soltanto in relazione a dati determinati, suscettibili di aggiornamenti 232 prevedibili e soggetti a fasi e scansioni normativamente predefinite, oltre che oggetto di trattamento da parte di pubblici registri, come nel caso dei dati giudiziari327. Nella sua configurazione di diritto soggettivo di creazione giurisprudenziale, derivato dalla diretta applicazione dell'art. 2 Cost. (28), il diritto all'oblio ha incondizionatamente goduto delle tecniche di tutela tanto inibitoria tanto risarcitoria, coessenziali al regime di inviolabilità di cui partecipa, in ragione della sua natura di diritto fondamentale. La giurisprudenza di merito, principalmente attraverso lo strumento processuale della tutela cautelare urgente e atipica di cui all'art. 700 c.p.c., ha fatto applicazione, allo scopo di paralizzare o prevenire condotte lesive del diritto azionato, tanto delle inibitorie tipiche, disciplinate negli artt. 7 e 10 c.c. a garanzia del diritto al nome e all'immagine, tanto di ordini atipici di interruzione o di prevenzione delle condotte lesive. Altrettanto ampio e generalizzato, il riconoscimento della tutela risarcitoria, intesa come reazione sanzionatoria minima, attuabile sulla base della ricostruzione interpretativa che lega la clausola generale 327 PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain: più problemi che soluzioni, http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=26322&dpath=docume nt&dfile=10062014174108.pdf&content=La+decisione+della+Corte+di+gi ustizia+sul+caso+Google+Spain:+pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+stato++dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014 233 dell'art. 2043 c.c. e dell'art. 2059 c.c., ai diritti fondamentali previsti dalla Costituzione, secondo una lettura costituzionalmente orientata che, avendo preso le mosse dalla sent. n. 186 del 1984, ad oggi ravvivata dagli approfondimenti contenuti nelle sentenze c.d. di San Martino (29), riceve conferma nell'art. 15 d.lg. n. 196 del 2003, anche in riferimento all'art. 11328. Accanto a queste due categorie generali di strumenti di tutela, peraltro pienamente satisfattive nella tradizionale configurazione del diritto all'oblio, le applicazione più recenti hanno utilizzato gli istituti sanzionatori compresi nel sistema di protezione dei dati personali introdotto dalla l. n. 675 del 1996, successivamente sostituita dalle disposizioni del D.Lg. 30 giugno 2003, n. 196, nonché gli strumenti di tutela preventiva, consistenti essenzialmente nel principio del consenso (art. 23), connaturale alla struttura di tutti i diritti della personalità e quindi anche al diritto all'oblio, di cui il codice sulla protezione dei dati personali fornisce una configurazione procedimentalizzata e formalizzata, di comune applicazione nella tutela dei diritti della personalità. Non è seriamente ipotizzabile, per quanto il codice c.d. della privacy non rechi espressa menzione del diritto all'oblio — al quale viene 328 MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se 234 omesso ogni riferimento nella norma generale dedicata alle finalità del testo normativo, consistenti nella garanzia di rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali (art. 2) —, che il sistema di protezione dei dati personali lo escluda dal suo ambito di garanzia, con ciò negando una delle situazioni soggettive che concorrono a definire il complesso dei valori fondamentali della persona. Se non altro perché nella generale definizione del diritto alla protezione dei dati personali disciplinato nell'art. 1 T.U. n. 196 del 2003, può agevolmente sussumersi quella pretesa — che si è detto formare oggetto di un diritto vivente ultraventennale — alla riappropriazione di fatti e vicende della propria vita trascorsa, sui quali in passato si erano accesi i riflettori per un interesse sociale di informazione che, una volta esaurito, accorda ai protagonisti il diritto a riappropriarsi della propria vita privata. A conferma di ciò, nella Relazione annuale del 1997, ossia all'indomani dell'istituzione del Garante con la l. n. 675 del 1996, il diritto all'oblio è stato definito come funzionale alla «libera costruzione della personalità», che sarebbe ostacolata da un «implacabile permanere di ogni 235 informazione che riguardi fatti della vita passata». La norma da cui si deduce il più evidente riferimento al diritto all'oblio è l'art. 11, lett. E) che, nell'elenco delle modalità del trattamento e dei requisiti dei dati, prescrive che l'identificazione dell'interessato in relazione ai dati oggetto del trattamento sia possibile per un periodo di tempo non superiore a quello necessario, con ciò precisando il principio generale di necessità del sacrificio, disciplinato dall'art. 3, con il principio di temporaneità, in relazione alla realizzazione degli scopi in vista dei quali i dati sono stati raccolti e trattati. Riecheggia, dunque, in questa norma l'elemento più caratteristico del diritto all'oblio, ossia il tempo, che in questo caso rappresenta la misura della liceità del trattamento, ponendosi in diretta relazione sia con la sanzione specifica dell'art. 11 ult. comma (inutilizzabilità) sia con la tutela risarcitoria dell'art. 15 comma 2 sia con l'esercizio dei diritti di aggiornamento, rettificazione o integrazione di cui all'art. 7, lett. a) e di cancellazione di cui all'art. 7, lett. b)329. Soprattutto queste ultime forme di tutela corrispondono all'esigenza di adeguare il dato personale rappresentato e conoscibile all'esterno, 329 FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss 236 oltre il tempo strettamente necessario alla finalità del trattamento, alla identità attuale dell'interessato, senza ingiustificata sovrapposizione di una fisionomia non più riconosciuta come propria dal soggetto a cui viene attribuita. Dalla specificità della tutela, segnatamente con riguardo alla possibilità di cancellazione del dato, si deduce, peraltro, che il diritto all'oblio dà copertura ad interessi sostanziali sensibilmente differenti da quelli che ne hanno determinato la positiva emersione ad opera della giurisprudenza sopra rievocata, sicché la verifica della funzionalità della cancellazione dei dati alla tutela del diritto all'oblio, comporta conseguentemente la verifica degli interessi sostanziali che si ambisce a tutelare attraverso il modello concettuale del diritto all'oblio e la fedeltà di tali strumenti di tutela alla originaria configurazione del diritto stesso. 237 BIBLIOGRAFIA AA.VV., Il caso del diritto all'oblio, PIZZETTI (a cura di), Torino, 2013, p. 21 e ss. AA.VV., Il diritto all'oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997, Gabrielli (a cura di), Napoli, 1999 ANGIOLINI, “Riserva di giurisdizione e libertà costituzionali”, 238 ed. CEDAM, 1992. 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