PDF (Tesi Colonnello)

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INDICE
CAPITOLO PRIMO
INTERNET E I DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA
1.1 La tutela dei diritti fondamentali nell’era di Internet
1.2 Internet, libertà di espressione e diritto alla riservatezza
CAPITOLO SECONDO
DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTI DELLA PERSONALITA’
2.1. Nozione di diritto all’oblio
2.2 Fondamento del diritto all’oblio
2.3
Il rapporto tra il diritto all’oblio e le altre “libertà”
2.4 L’evoluzione giurisprudenziale e “di prassi” del diritto
all’oblio
1
CAPITOLO TERZO
DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTI DELLA PERSONALITA’
3.2 L’evoluzione del diritto all'oblio alla luce degli ultimi
pronuciamenti del Garante, della Cassazione del 2012 e della
Corte di Giustizia del 2014
3.1
L’emersione di nuovi diritti della personalità: in
particolare, il diritto ad essere dimenticato
3.3 Gli strumenti di tutela del diritto all'oblio
3.4 La responsabilità degli internet provider. L’applicabilità
degli strumenti di tutela in ambito sovranazionale.
CAPITOLO QUARTO
DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTO ALL’INFORMAZIONE
4.1
Il diritto all’informazione nella duplice prospettiva del
2
diritto di informare e del diritto ad essere informati
4.2
Diritto di informazione, libertà di manifestazione del
pensiero e libertà di stampa
4.3
Il bilanciamento tra il diritto di sapere della collettività e
il diritto di occultare del singolo
4.4
Diritto di cronaca, interesse pubblico e diritto all’oblio
CAPITOLO QUINTO
OBLIO E ANONIMATO
5.1
Il diritto all’anonimato su Internet
5.2
Il diritto all’oblio quale diritto (di ritorno) all’anonimato
CAPITOLO PRIMO
3
1 INTERNET E I DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA
1.1
La tutela dei diritti fondamentali nell’era di Internet
La rete è un illimitato collettore e diffusore di conoscenza dalle
potenzialità senza precedenti, nel cui ambito le informazioni
vengono raccolte, archiviate, veicolate e rese disponibili in assenza,
ad oggi, di una chiara forma di regolamentazione che ne disciplini
l'utilizzo o la durata nel tempo della loro conservazione: il mondo
del cyberspazio, infatti, per sua natura non conosce limiti né di
tempo, né di spazio e si alimenta dei dati immessi dagli utenti1. Ogni
dato inserito nella rete è destinato a vagare a tempo indeterminato
nell'universo immateriale internettiano: anche se viene cancellato da
un determinato sito, potrà sempre essere rintracciato e nuovamente
utilizzato2. In Internet viene modificata non solo la quantità, ma
anche
la
natura
della
comunicazione:
le
numerosissime
informazioni, facilmente reperibili, sono per lo più prive di
contestualizzazione, cioè di collegamenti alla fonte originaria e ad
1
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
2
BRUGNATELLI F., “Privacy, diritto all’informazione e diritti della
personalità”, in Giustizia civile 2005, pt. 1, p. 1385 e ss.
4
altre notizie che completino il quadro3.
Nella memoria globale di Internet passato e presente
convergono e si livellano su una sorta di presente perenne, dove
ogni azione è simultanea, rendendo così estremamente difficile
classificare e ordinare i fatti nella loro corretta sequenza logicotemporale e finendo, sotto certi aspetti, per condizionare anche il
futuro4.
Il
sistema
virtuale
di
comunicazioni
elettroniche
rappresenta senza dubbio un potente strumento di sviluppo che,
eludendo il principio di territorialità del diritto , ha scardinato le
prospettive tradizionali della regolazione affidata agli Stati e difetta
di un sistema normativo in grado di tutelare i diritti degli utenti in
modo efficace 5.
L'interconnessione delle reti telematiche gode di un'estensione
globale, senza confini territoriali, per cui le norme eventualmente
previste nei singoli ordinamenti risultano facilmente aggirabili
attraverso la connessione e la trasmissione effettuata in un altro
territorio dalla disciplina meno restrittiva. Non è poi una novità che
3
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf
4
CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa,
radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss.
5
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss
5
il sistema6 delle relazioni interpersonali assume in Internet
connotazioni poliedriche, dove la continua esposizione virtuale alle
opinioni altrui rischia di attirare su di sé conseguenze indesiderate7.
È, infatti, soprattutto l'identità del singolo che può essere messa
a repentaglio nel web: le informazioni che si riferiscono a persone o
eventi immesse da chiunque nella rete, senza alcun tipo di filtro,
possono anche non corrispondere a verità o, seppur veritiere,
distorcere la vera e concreta essenza dell'individuo laddove siano
lontane dal rappresentare l'attuale identità del soggetto8.
I concetti appena sopra menzionati: la riservatezza, l’identità
personale, che potremmo definire diritti di “nuova emersione”, sono
l’espressione di quelle posizioni soggettive relative a tratti essenziali
della persona che proprie dell’attuale assetto socio politico e
culturale. Esse non avevano cittadinanza nella civiltà greca e in
quella romana, ove il valore dell’individuo era riconosciuto soltanto
in funzione della sua appartenenza alla collettività; ed anzi erano
CARRERA L., “Informazione e minore età tra diritto di cronaca e diritto alla
riservatezza”, in Dir. Rad. Tev., 2000, p. 329 e ss.
7
CORRIAS LUCENTE G., “Le recenti prescrizioni del Garante sulla
pubblicazione di atti di pro- cedimenti penali e la cronaca giudiziaria. Rigide
interferenze tra privacy e libertà d’informazione”, in Il Diritto dell’informazione e
dell’informatica 2007, p. 593 e ss.;
6
CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa,
radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss.
8
6
concepite addirittura come un contrasto all’essenza dell’uomo,
animale sociale proiettato verso il raggiungimento del fine
predominante, quello del bene comune .
Un embrionale antecedente dal riconoscimento dei valori
propri della persona è stato suggestivamente ravvisato da qualche
Autore9 nell’actio iniurarum del diritto romano, che colpiva alcune
offese alla persona, quali l’ingiuria, la diffamazione, la violazione di
domicilio e il sequestro di personale.
In realtà, è soltanto con l’avvento del cristianesimo che si pone
in risalto la persona come individuo10, assumendone la dignità come
tratto imprescindibile.
In epoca medievale, con l’affermazione del diritto comune
accanto al diritto romano e al diritto canonico, si fa strada una
concezione di privacy riferita al diritto reale della proprietà intesa
come libera da intrusioni esterne: lo jus excludendi alios.
Il processo evolutivo che tende a trasferire la privacy dalla
proprietà sino alla persona trova una prima affermazione, poi, nella
RAVO’ P., I diritti sulla propria persona nella scienza e nella filosofia del
diritto, Torino, 1901
9
10
GROSSI P., l’ordine giuridico medievale, Bari, 1995. P. 76
7
Magna Charta del 1215 in Inghilterra, con la proclamazione a livello
costituzionale di un limite al potere del sovrano.
Ma il riconoscimento più incisivo del “diritto della persona”
prende corpo in epoca rinascimentale con la esaltazione della
posizione
individuale
in
contrapposizione
alle
entità
di
appartenenza e con l’affermazione, quindi, del “diritto di di proprietà
sulla propria persona”, come diceva Locke, concepito come potere di
escludere interferenze nella libertà oltre che nella proprietà11 .
Si delinea la matrice dei diritti che saranno proclamati nella
Dichiarazione francese e in quella americana del XVIII secolo. Il
successivo percorso culturale approda al concetto di riservatezza
che emerge dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del
1948, laddove all’art. 12 è sancito che “nessun individuo potrà
essere sottoposto ad interferenze arbitrarie della sua vita privata”.
Tuttavia, la riservatezza, in quanto connotata dalla “esclusione dalle
interferenze” è ancora concepita in senso negativo, come in una
sorta di contrapposizione all’entità statale.
A differenza dei paesi anglosassoni, dove l’esigenza di tutela
della privacy individuale ha cominciato ad essere avvertita sul finire
11
DONATI A. “Giusnaturalismo e diritto europeo”, Milano, 2002, pp. 33 - 34
8
del secolo XIX°, in Italia il dibattito intorno al concetto di
riservatezza e all’esigenza di una specifica protezione della stessa in
quanto diritto autonomo della personalità ha inizio soltanto negli
anni cinquanta del Novecento12, con un vasto dibattito in dottrina .
Al contempo prende l’avvio in giurisprudenza un inter interpretativo
(Cass. sent. 990/63 – caso Claretta Petacci) che avrà la conclusione
nella pronuncia (sent. 38 del 12-4-1973) della Corte Costituzionale
che colloca il diritto alla privacy tra i diritti inviolabili di cui all’art. 2
della Costituzione; mentre in campo normativo si erano già avuti i
primi limitati interventi in alcuni settori; in tema di notizie raccolte
in sede di rilevazione statistica (R.D.L. 1285/29) in tema di
riservatezza circa la paternità nei registri di stato civile (R.D.L.
1238/39, abrogato da D.P.R. 396/2000), in tema di pubblicazione di
corrispondenza o memorie riferibili alla vita privata (L. 633/41).
E ‘ comunque la Costituzione il documento di riferimento al
fine di intendere la
portata del diritto alla riservatezza
nell’ordinamento italiano. Proprio l’entrata in vigore della
12
Il codice civile del 1942, modellato sullo schema del Codice napoleonico,non
aveva previsto particolare attenzione ai valori fondamentali della persona e, quindi,
ai diritti della personalità. Manca in esso una esplicita disciplina del diritto alla
riservatezza, ed anche le disposizioni del libro primo dedicate alle persone e alla
famiglia sottolineano gli aspetti prevalentemente riconducibili alla patrimonialità.
Cfr. FERRARA, SANTAMARIA M., Il diritto all’illesa intimità privata, in Rivista
del Diritto Privato, I, vol. VII, 2008 pp. 168-191
9
Costituzione ha sancito il primato dei valori della persona, come
diritti della personalità inviolabili. D’altro canto lo Stato perde il
connotato della sovranità, che viene attribuita al popolo, e si pone
rispetto al cittadino-persona come strumento di tutela e non più
come apparato sovraordinato alla persona. La dottrina italiana ha
cominciato, come detto, soltanto dal secondo dopoguerra, anche per
l’influenza dei valori costituzionali, a seguire le esperienze straniere
in materia di privacy, cercando di dare fondamento a questo diritto
anche nel nostro sistema, ancorandosi alle scarne disposizioni di
legge esistenti, sia di livello internazionale, che costituzionale e
ordinario13.
L’apporto
giurisprudenziale
è
stato
comunque
determinante, dal momento che tale diritto, al di là delle
elaborazioni teoriche, ha potuto nascere e svilupparsi grazie alle
decisioni dei giudici.14
Al fine di comprendere al meglio la ratio
dell’evoluzione legislativa che stiamo esaminando sarebbe utile fare
riferimento
al
fatto
che
proprio
da
un
punto
di
vista
giurisprudenziale il diritto alla riservatezza trova le sue radici e
fondamento nell'ampio dibattito che negli anni Cinquanta e Sessanta
13
BALDASSARRE A., voce Diritti inviolabili, in Enciclopedia giuridica
Treccani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1995, Roma, p. 236 e ss.
14
Cassazione 22 dicembre 1956, n. 4487, in Giurisprudenza Italiana, 1957, I, p.
366,
10
ha visto la dottrina divisa15 fra coloro che negavano l'esistenza
stessa del diritto alla riservatezza16 e coloro che ne affermano il
riconoscimento17 e la tutela da parte dell'ordinamento18. Le
argomentazioni offerte dai giuristi aderenti a quest'ultimo indirizzo
hanno particolare rilievo in quanto successivamente sono state
spesso fatte proprie dai giudici; in particolare è stata accolta la
teoria19 che desumeva l'esistenza di una generale protezione della
vita privata dagli artt. 96 e 97 l. 22 aprile 1941, n. 633, e dell'art. 10
c.c.20 . Questi riferimenti normativi sono stati considerati il "chiaro
15
Il diritto al riserbo della vita privata" era stato oggetto di studio già alla fine
degli anni Trenta, come uno dei diversi diritti della personalità, distinto dal semplice
interesse al rispetto del segreto: seppure solamente la segretezza fosse espressamente
tutelata dall'ordinamento, si riteneva che sussistesse "una grande affinità" in grado di
unire "le varie figure del diritto alla segretezza con altre distinte figure di diritti
personalissimi, in cui non si tratta veramente di segreto o di segretezza, ma più
propriamente di riservatezza" FERRARA SANTAMARIA, voce Persona (diritti
della), in Nuovo dig. it., IX, Torino, 1939, p. 923. L'esistenza del diritto alla
riservatezza veniva tuttavia asserita senza individuare i riferimenti normativi,
indicando solamente un generico "collegamento" fra il riserbo ed il diritto
all'immagine. Cfr. BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della
persona. Il conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità
personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss.
16
PUGLIESE, Il diritto alla riservatezza nel quadro dei diritti della personalità,
in Riv. dir. civ., 1963, I, p. 605 ss
17
BARBERA A., Principi fondamentali. Art. 2, in BRANCA G. (a cura di),
Commentario alla Costituzione, Zanichelli, Bologna e Roma, 1975, pp. 50-122.
18
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf
19
CARNELUTTI, Diritto alla vita privata (contributo alla teoria di stampa), in
Riv. trim. dir. pubbl., 1955, p. 3 ss
20
La dottrina opposta ha ritenuto che dette disposizioni tutelino solamente
specifici e distinti aspetti della personalità che, seppure in armonia fra loro, non
configurano un unico autonomo diritto Pugliese, Una messa a punto, cit., c. 367 ss.,
11
fondamento di diritto positivo" della difesa del riserbo, individuando
nelle disposizioni a tutela del diritto all'immagine un'implicita
protezione
del
riserbo,
essendo
il
diritto
all'immagine
"manifestazione del diritto alla riservatezza"21. A questo indirizzo
dottrinale, poi recepito dalla giurisprudenza maggioritaria, si sono
affiancate anche altre tesi che, con diverse argomentazioni22, hanno
dimostrato l'esistenza di un autonomo diritto alla tutela della vita
privata23 . Parte della dottrina24 ha infatti dubitato dell'esistenza di
ed in precedenza Santoro- Passarelli, Istituzioni di diritto civile, Napoli, 1945, p. 29).
È stata quindi denunciata l'assenza di fondamenti di diritto positivo a favore della
protezione della riservatezza e sono stati definiti "assunti moralistici o sociologici
che potrebbero valere tutt'al più de lege ferenda" gli argomenti utilizzati dai
sostenitori della tesi opposta (cfr. Pugliese, Il preteso diritto alla riservatezza e le
indicazioni cinematografiche, in Foro it., 1954, I, c. 117; in tal senso anche Ondei, I
diritti di libertà. L'arte, la cronaca e la storiografia, Milano, 1955, p. 28). Secondo la
stessa dottrina al riconoscimento del diritto alla riservatezza non si può nemmeno
giungere mediante l'estensione analogica dei divieti contenuti negli artt. 10 c.c., 96 e
97 l. dir. aut., poiché un'interpretazione analogica di queste norme è inammissibile,
trattandosi di disposizioni caratterizzate da eccezionalità, essendo derogatorie della
libertà di parola e di divulgazione del pensiero riconosciute dall'art. 21 della
costituzione. Per tali ragioni, in assenza di violazioni di segreti tutelati ex lege, la
divulgazione delle altrui vicende doveva ritenersi "in sé e per sé perfettamente
lecita". Cfr. CORRIAS LUCENTE G., “Le recenti prescrizioni del Garante sulla
pubblicazione di atti di pro- cedimenti penali e la cronaca giudiziaria. Rigide
interferenze tra privacy e libertà d’informazione”, in Il Diritto dell’informazione e
dell’informatica 2007, p. 593 e ss.;
21
In particolare si è osservato che se "attraverso l'immagine della persona il
diritto tutela proprio la riservatezza stessa della persona" è assurdo rifiutare la tutela
di questo bene "in ipotesi, e rispetto e figure, che quella tutela reclamano con pari, o
maggiore, intensità". Cfr. BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i
diritti della persona. Il conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza,
l’identità personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss.
22
BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A.
CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61
23
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
12
precise norme poste a garanzia della riservatezza, o a tal fine
utilizzabili in via analogica , ritenendo che il riserbo andasse
comunque difeso quale "naturale aspirazione della persona", sulla
base dell'unicità del diritto della personalità25. Alcuni autori26 hanno,
invece, considerato la riservatezza come un a priori, una condizione
iniziale
della
persona
umana,
riconosciuta
nei
princìpi
dell'ordinamento, indipendentemente dalla presenza o meno di
specifiche norme di riferimento27; altri hanno affermato che ogni
individuo ha una "signoria" sugli atti che compie, per cui nessuno
può dare a tali atti "una destinazione diversa da quella che egli ha
voluto e per ciò trarli fuori, senza il consenso di lui, dalla sfera
privata; altri ancora hanno sostenuto che la riservatezza, quale
attributo dell'individuo, è "naturalmente inviolabile, in quanto la sua
violazione equivarrebbe alla violazione della personalità umana28.
Stimolati da queste elaborazioni dottrinali, già negli anni Cinquanta
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss
25
VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati
personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347
26
CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa,
radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss.
27
BONAZZI E., Privacy e trasparenza nell’amministrazione locale: qualche
verifica empirica, in La legge italiana sulla privacy: un bilancio dopo i primi cinque
anni, a cura di M.G. LOSANO, Laterza, Bari, 2001, pp. 381-422.
28
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
24
13
alcuni giudici di merito29 si sono discostati dal tradizionale
orientamento
della
suprema
Corte30,
emblematicamente
stimmatizzato dalla pronuncia sul noto caso "Caruso"31, in cui si
29
Nel '53 il Tribunale di Milano ha affermato che il diritto al riserbo consiste
nella "facoltà giuridica di escludere ogni invadenza nella sfera della propria intimità
familiare" e che può essere limitato solamente per esigenze di ordine pubblico e di
superiore interesse sociale, e non anche in nome della libertà di pensiero e di parola
(Trib. Milano, 24 settembre 1953, in Mon. trib., 1954, p. 106). Successivamente
anche il Tribunale di Roma ha riconosciuto l'esistenza del diritto alla riservatezza,
ritenendo che l'ordinamento giuridico tuteli il riserbo attraverso la difesa delle sue
principali espressioni, costituite dal diritto all'immagine e dal diritto al segreto (Trib.
Roma, 23 febbraio 1955, in Foro it., 1955, I, c. 918 ss.). V. anche, nello stesso senso:
App. Milano, 26 agosto 1960, in Foro it., 1961, I, c. 43 ss.; App. Milano, 5 dicembre
1958, in Giust. civ., 1959, I, p. 1811 ss.; App. Napoli, 20 agosto 1958, in Giust. civ.,
1959, I, p. 1811 ss., Trib. Roma, (ord.), 2 aprile 1955, in Rass. dir. cinem., 1955, p.
88; Trib. Roma, 25 febbraio 1955, in Foro it., 1956, I, c. 1384 ss.
30
La Corte di Cassazione, fino al 1975, nei pochi casi sottoposti al suo esame,
ha sempre negato l'esistenza di un diritto soggettivo avente per oggetto la
riservatezza della vita privata, ammettendo solamente la tutela del singolo individuo
ove la divulgazione di immagini fosse avvenuta senza il consenso dell'interessato,
ovvero sussistesse una violazione del segreto epistolare. Cfr. PAPA A., Espressione e
diffusione del pensiero in Internet: tutela dei diritti e progresso tecnologico, Torino,
2009, 308
31
Cass., 22 dicembre 1956, n. 4487, in Giur. it., 1957, I, 1, c. 366 ss., con nota
di Pugliese, Una messa a punto, cit., c. 462, con nota di Ligi, "Status libertatis vel
societatis", cit., c. 4 ss.; ivi, c. 232 ss., con nota di DeCupis, Sconfitta in Cassazione
del diritto alla riservatezza; in Giust. civ., 1957, I, p. 214 ss., con nota di Schermi,
Diritto alla riservatezza ed opera bibliografica; in Dir. e giur., 1957, p. 197 ss., con
nota di Marcello, Ancora sul diritto, cit., p. 200 ss.; in Foro pad., 1957, I, c. 1 ss. I
familiari del defunto tenore Caruso avevano intentato causa contro la "Tirrenia film",
in séguito alla produzione da parte di quest'ultima di un'opera cinematografica sulla
vita di Enrico Caruso, considerando il film lesivo del diritto "al nome, all'immagine
del cantante ed alla riservatezza familiare". Il Pretore di Roma, con ordinanza del 19
novembre 1951 (pubblicata in Foro it., 1952, I, c. 149 ss.), aveva respinto la richiesta
attorea di inibire la programmazione del filmato, con un provvedimento d'urgenza ex
art. 700 c.p.c., non ravvisando alcun pregiudizio imminente ed irreparabile. Lo stesso
pretore aveva tuttavia affermato l'esistenza "non solo di un diritto soggettivo
all'immagine ma anche di quello alla illesa intimità della vita privata".
Successivamente il Tribunale di Roma (sent. 14 settembre 1953, pubblicata in Giur.
it., 1954, I, 2, c. 532 ss.) riteneva legittima la diffusione della pellicola, essendo la
tutela del diritto alla riservatezza derogabile nel caso di persone celebri. La Corte
d'appello di Roma (sent. 17 maggio 1955, pubblicata in Foro it., 1956, I, c. 793 ss.),
invece, pur reputando che "l'esistenza del diritto alla riservatezza nel nostro
14
legge che "il semplice desiderio di riserbo non è stato ritenuto dal
legislatore un interesse tutelabile; chi non ha saputo o voluto tener
celati fatti della propria vita, non può pretendere che il segreto sia
mantenuto
dalla
discrezione
altrui"32.
L’evoluzione
giurisprudenziale in questa fase evidenzia il tentativo dei giudici di
colmare una lacuna del nostro ordinamento facendo ricorso a
diversi strumenti interpretativi, tutti volti, comunque, a consentire
un ambito di autonoma determinazione della sfera privata, e
soprattutto, a limitare lo sfruttamento, a fini di lucro, di codesta sfera
ordinamento è per lo meno dubbia, per quanto un insieme di norme di codici e leggi
speciali collegate tra loro in tal modo da rivelare l'esistenza di un concetto più
generale ed unificante, può far fondamentalmente ritenere che il diritto alla
riservatezza non sia estraneo al nostro diritto positivo", risolveva la controversia non
sulla base del diritto al riserbo, ma applicando le norme in materia di tutela
dell'immagine. Anche nel secondo grado di giudizio veniva comunque riconosciuta
l'esistenza di un pregiudizio risarcibile in capo ai familiari di Caruso.
32
Cass., 22 dicembre 1956, n. 4487, in Foro it., 1957, I, c. 10. I giudici della
suprema Corte sono giunti a questa conclusione dopo aver considerato che "nessuna
disposizione di legge autorizza a ritenere che sia sancito, come principio generale, il
rispetto assoluto all'intimità della vita privata [...] sono soltanto riconosciuti e tutelati,
in modi diversi, singoli diritti soggettivi della persona", in particolare, con
riferimento agli artt. 96 - 97 l. dir. aut., la Corte ha negato esplicitamente ogni
possibile estensione analogica di tali norme. L'indirizzo seguìto dalla Cassazione è
stato fatto proprio anche da diversi giudici di merito, che hanno negato la possibilità
di un'estensione analogica sia dell'art. 10 c.c. e degli artt. 96 - 97 l. dir. aut., sia, in
generale, di tutte quelle disposizioni invocate a sostegno dell'esistenza del diritto alla
riservatezza. In alcune di queste pronunce non si è ammessa una specifica protezione
alla vita privata, ove questa venga violata mediante la diffusione di fotografie,
considerando il fatto come pregiudizievole solamente del diritto all'immagine (cfr.
Pret. Roma, (ord.), 10 dicembre 1955, in Dir. aut., 1956, p. 80 ss.). Altrove si è
invece affermato che l'autorità giudiziaria non può sostituirsi al legislatore creando
nuovi diritti soggettivi, e si è sottolineato come i diritti della personalità siano
solamente quelli tipici riconosciuti dall'ordinamento, senza alcuna possibilità di
dedurre dalla loro frammentarietà l'esistenza di un unico diritto alla riservatezza (cfr.
Trib. Milano, 12 novembre 1959, in Giur. it., 1960, I, 2, c. 4 ss.).
15
da parte di soggetti estranei33
Quanto alla natura giuridica, la
riservatezza è configurata, in origine, come quel modo di essere della
persona il quale consiste nell’esclusione dall’altrui conoscenza di
quanto ha riferimento alla persona medesima34.
Il concetto di
riservatezza come diritto di escludere i terzi dalla conoscenza della
propria sfera privata, si determina nell’individuazione della linea di
demarcazione che separa l’individuo dalla società35. Esso, almeno in
origine, è luogo di scontro tra due interessi: quello individuale
all’essere lasciati soli e quello della collettività a ricevere le
informazioni necessarie riguardo ad ognuno di noi. Il profilo
preminente in questa prima fase è quello della segretazione. In Italia,
dunque, si guarda, inizialmente, non già al rapporto informazioni
circolanti e persona, ma a quello tra intrusione non autorizzata nella
sfera personale e diffusione delle notizie. E’ una visione di stampo
individualistico,
figlia
di
un
modello
ricostruttivo di
tipo
proprietario36. Non si è preso in considerazione, forse perché la
33
CERRI A., Telecomunicazioni e diritti fondamentali, in Diritto
dell’informazione e dell’informatica, 1996, p. 90 ss
34
DE CUPIS A., voce Riservatezza e segreto (diritto), in Novissimo Digesto
Italiano, XVI, Utet, Torino, 1969, p. 115
35
MAZZIOTTI DI CELSO M., Lezioni di diritto costituzionale, Milano,
1993,p. 85 e ss.
36
DE GIACOMO C., Diritto, libertà e privacy nel mondo della comunicazione
globale. Il contributo della teoria generale del diritto allo studio della
16
società del tempo non ne coglieva l’importanza, il profilo relazionale,
che si caratterizza per lo scambio continuo di informazioni
riguardanti un individuo, il quale, a sua volta, può essere
condizionato e avere il potere di condizionare gli altri. Secondo il
dettato Costituzionale, quindi, il riconoscimento del diritto alla
privacy, come già osservato, passa non solo e non tanto attraverso il
momento
individualistico
bensì
soprattutto
attraverso
la
collocazione dell’individuo all’interno della società37. Per tale profilo,
si è posta l’attenzione su particolari interessi (o diritti) della
personalità: in particolare, si è parlato nella dottrina anglosassone di
un “Right of publicity”, mentre nella dottrina italiana è stato coniato
il c.d. diritto all’identità personale38.
In particolare, il diritto
all’identità personale esprime quel bene-valore costituito dalla
protezione sociale della personalità dell’individuo, cui si correla
l’interesse del soggetto ad essere rappresentato, nella sua vita di
relazione, con la sua vera identità, a non vedere quindi, all’esterno,
modificato, offuscato o comunque alterato il proprio patrimonio
normativa
sulla tutela dei dati personali, Giuffrè, Milano, 1999, p. 126 e ss.
37
MESSINETTI D., voce Personalità (dir. della), in Enciclopedia del diritto,
XXXIII, Giuffrè, Milano, 1993, pp. 380-397.
38
FERRI G.B., Persona e privacy, in Il riserbo e la notizia, Atti del Convegno
di Studio, Macerata, 5-6 marzo 1982, ESI, 1983, .p 89 e ss.
17
intellettuale, ideologico e politico, etico, religioso, professionale,
quale già estrinsecatosi nell’ambiente sociale secondo indici di
previsione costituiti da circostanze obiettive ed univoche39. Circa il
fondamento e la natura giuridica di tale diritto, la giurisprudenza di
legittimità nel corso degli anni si è cimentata con successo
nell’ambizioso compito di darne un preciso inquadramento
sistematico40. Premessa di questo approfondimento operato dalla
giurisprudenza, è l’esplicita adesione alla concezione monistica dei
diritti della personalità la quale considera la persona umana in tutte
le sue manifestazioni come centro di un’unitaria sfera di
protezione41. Il riconoscimento di questo diritto, a livello
giurisprudenziale, come autonomo attributo della personalità è
avvenuto a partire dagli anni ottanta, prima da parte della
giurisprudenza di merito e poi da parte di quella di legittimità42.
Infine anche la Corte costituzionale si è occupata dei diritti d’identità
39
DOGLIOTTI M., Le persone fisiche, in Trattato di diritto privato, diretto da
P. RESCIGNO, I, Utet, Torino, 1999, p. 36 e ss.
40
GIANNANTONIO E., LOSANO M.G., ZENO ZENCOVICH V. (a cura di),
La tutela dei dati personali – Commentario alla L. 675/1996, Cedam, Padova, 1997.
41
LAGHEZZA P., Il diritto all’oblio esiste (e si vede). Nota a sentenza
Cassazione civile, Sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, in <<Il Foro Italiano>>, 1998, I, p.
1834-1840.
42
Cassazione, 5 dicembre 1992, n. 12951, in Foro it., 1994, I, 561
18
personale43. Sia la giurisprudenza di legittimità, sia quella
costituzionale, sono concordi nell’ancorare il diritto all’identità
personale al precetto dell’articolo 2 della Costituzione, di cui si
propugna una lettura “aperta” alla luce dell’obiettivo del pieno
sviluppo della persona umana sancito dall’art. 3 Cost44. La specificità
dell’interesse ad essere se stesso, anche in riferimento alla propria
storia personale, è stata colta in parallelo anche con altri attributi
della personalità. Seppure ad essi strettamente collegato, l’interesse
al rispetto dell’identità personale si configura in modo del tutto
autonomo e peculiare rispetto sia all’interesse ai segni distintivi
(nome, pseudonimo)45, che identificano il soggetto sul piano
dell’esistenza materiale e della condizione civile; sia al diritto
all’immagine che richiama unicamente le sembianze fisiche; sia
all’onore che ha una dimensione più spiccatamente soggettiva; sia
alla reputazione, la cui lesione postula l’attribuzione di fatti
suscettibili di causare un giudizio di disvalore; sia alla riservatezza
cui si riconnette un obiettivo negativo di non rappresentazione
43
Corte costituzionale, 3 febbraio 1994, n. 13, in <<Giurisprudenza
Costituzionale>>, 1994, pp. 33 ss.; Corte costituzionale, 11 maggio 2001, n. 120, in
<<Giurisprudenza Costituzionale>>, 2001, 2317
44
Ibidem, p. 2317 e ss.
45
MAZZIOTTI DI CELSO M., Lezioni di diritto costituzionale, Milano,
1993,p. 85 e ss.
19
all’esterno delle proprie vicende personali, rispetto a quello positivo,
di fedeltà nella rappresentazione, che connota l’identità personale46.
Con tali premesse si può sostenere come proprio la Costituzione
garantisce diverse libertà fondamentali che possono atteggiarsi a
limite della riservatezza stessa in caso di conflitto con quest’ultimo
diritto47. La ricerca di un fondamento costituzionale al diritto alla
riservatezza, è stata perpetrata soprattutto per evitare che questo
diritto, quand’anche riconosciuto in via ordinaria, fosse destinato a
ritrarsi incondizionatamente davanti al contrasto con libertà di
rango costituzionale, senza possibilità di poter attuare eventuali
bilanciamenti48. Ma, una volta compiuto il riconoscimento, è logica
conseguenza ritenere che il rapporto tra la riservatezza e le altre
libertà costituzionali (in particolare quella di manifestare il proprio
pensiero)49 si svolga su un piede di parità, aprendo la strada a
reciproche limitazioni, e questo è stato forse il maggior motivo di
resistenza all’inclusione nel sistema costituzionale del diritto alla
46
LORITO E., Informazione e libertà. Privacy e tutela della persona, Cues,
Salerno, 2001., p. 47 e ss.
47
MESSINETTI D., voce Personalità (dir. della), in Enciclopedia del diritto,
XXXIII, Giuffrè, Milano, 1993, pp. 380-397.
48
LAGHEZZA P., Il diritto all’oblio esiste (e si vede). Nota a sentenza
Cassazione civile, Sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, in <<Il Foro Italiano>>, 1998, I, p.
1834-1840.
49
MAZZIOTTI DI CELSO M., Lezioni di diritto costituzionale, Milano,
1993,p. 85 e ss.
20
riservatezza50. Occorre poi sottolineare come tra le diverse norme
norme
costituzionali
addotte
come
indici
a
sostegno
del
riconoscimento del diritto in esame, gli artt. 2 e 3 Cost. si prestano
ad un discorso di respiro più generale rispetto alle norme successive
che hanno invece un contenuto più definito e circoscritto a singoli
aspetti della personalità umana. La possibilità di fondare il rango
costituzionale della riservatezza sull’art. 2 è stata in vario modo
avversata da studiosi di spessore quali il Mortati, Lavagna, Grossi.
Per poter ricondurre il fondamento costituzionale della riservatezza
all’art. 2 bisognerebbe affermare che questa disposizione, laddove
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo non contiene, per
quanto concerne l’individuazione di tali diritti, una mera norma di
rinvio ai successivi articoli della Costituzione, ma una norma
sostanziale dalla quale sia possibile desumere quali, concretamente,
siano tali diritti51. E’ facile osservare che l’esclusione di un contenuto
sostanziale della formula <<diritti inviolabili>>, deriva dalla
presenza nel testo costituzionale di una serie di minuziose
disposizioni in tema di diritti di libertà le quali, pur non essendo
50
DOGLIOTTI M., Le persone fisiche, in Trattato di diritto privato, diretto da
P. RESCIGNO, I, Utet, Torino, 1999, p. 36 e ss.
51
MORTATI C., Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1969, p. 96
LAVAGNA C., Istituzioni di diritto pubblico, Torino 1973, p. 74 e ss.
21
tassative, costituiscono senz’altro la fonte più appropriata cui si
debba far ricorso per stabilire quali siano i diritti che l’art. 2 dichiara
inviolabili. Se è accettabile l’interessante punto di vista secondo cui
l’art. 2 sarebbe una norma aperta e non una semplice disposizione di
rinvio alle altre che seguono, tuttavia non sembra che esso possa di
per sé funzionare come fonte per il riconoscimento di situazioni
giuridiche soggettive la cui tutela costituzionale non sia dimostrabile
anche con riferimento a basi più specifiche52. Il problema ruota, in
pratica, intorno alla natura e alla funzione dell’art. 2. L’attributo
dell’inviolabilità sancisce l’appartenenza dei diritti che di tale
carattere partecipano, all’essenza stessa della Costituzione, “un
nucleo che si ritiene sia in ogni caso intangibile ed immodificabile:
immodificabile cioè anche di fronte allo stesso potere di revisione
costituzionale”, con riferimento all’essenza dei diritti stessi53.
Facendo così attenzione soprattutto alle conseguenze dell’inclusione
del diritto alla riservatezza nell’ordine costituzionale, l’autore lo
condiziona all’accertamento positivo sull’inviolabilità, concludendo
che la riservatezza sembra non possedere un tale attributo. Un
52
MAZZIOTTI DI CELSO M., Lezioni di diritto costituzionale, Milano,
1993,p. 85 e ss.
53
NERVI A., Il contenuto dell’attività di trattamento dei dati personali, in
CUFFARO V., RICCIUTO V. (a cura di), La disciplina del trattamento dei dati
personali, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 61-96.
22
sicuro sostegno alla tesi positiva sull’utilizzabilità dell’art. 2 si può
trovare, invece, allontanandosi dalle concezioni troppo formalistiche
o da quelle che concentrano l’analisi sul momento degli effetti,
piuttosto che sul nucleo effettivo del problema. Innanzi tutto sembra
opportuno evidenziare il carattere fortemente personalistico della
Costituzione italiana, che si risolve in una maggiore considerazione
e dignità dei diritti della personalità umana, rispetto ad altri
interessi che pur ricevono tutela costituzionale54. Partendo da
questa impostazione di fondo sui valori di base cui la Costituzione è
intimamente informata, si apre la prospettiva di una valutazione
dell’art. 2 da un punto di vista sostanziale, mantenendo in subordine
i criteri formalistici e di rigida analisi testuale55.
La rilevanza pratica della ricerca del fondamento cosituzionale
del diritto alla riservatezza, deriva in particolare dal fatto che il
riconoscimento di tale diritto si pone come alternativa ad un altro
diritto, questo si espressamente riconosciuto costituzionalmente,
54
PANEBIANCO M., Libertà di comunicare tra Costituzione e nuove fonti,
Dipartimento di diritto dei rapporti civili ed economici nei sistemi giuridici
comparati dell PIZZORUSSO A., Lezioni di diritto costituzionale, in Foro
italiano, Roma, 1984, p. 87.’Università di Salerno, 2002, p. 23 e ss.
55
RAO G., Informatica, banche dei dati e principi costituzionali, in AA.VV.,
Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Scritti in onore di P. Barile, Cedam,
Padova, 1990, pp. 473-511.
23
che è il diritto di cronaca, il quale trova fondamento nell’art. 21 Cost.
Quindi mentre
il diritto alla riservatezza ha come contenuto
l’aspirazione a che certi fatti concernenti un determinato soggetto,
non siano divulgati, il diritto di cronaca ha come suo contenuto
l’opposta aspirazione di un altro individuo a divulgare, per varie
finalità, i fatti di cui egli sia comunque venuto a conoscenza,
compresi eventualmente quelli che riguardano il primo soggetto56. E’
evidente quindi che, se al diritto alla riservatezza fosse riconosciuto
un fondamento derivante solo da legge ordinaria, l’operatività
pratica di tale fondamento risulterebbe seriamente minacciata dalla
prospettiva che le norme che a quel fondamento si riconducono,
sarebbero travolte da sicura dichiarazione di incostituzionalità per
contrasto con l’art. 21 Cost. nella parte in cui riconosce il diritto di
cronaca; ciò renderebbe impossibile qualunque lettura di esse volta
a dedurne il riconoscimento del diritto alla riservatezza57. A tale
ragionamento si
potrebbe contrapporre anche il contenuto
dell’articolo 3 sempre della Carta Costituzionale. L’articolo 3
potrebbe essere utilizzato proprio per attribuire cittadinanza
56
RAO G., Informatica, banche dei dati e principi costituzionali, in AA.VV.,
Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Scritti in onore di P. Barile, Cedam,
Padova, 1990, pp. 473-511.
57
RESCIGNO P., Manuale del diritto privato italiano, Jovene, Napoli, 1991, p.
258 e ss.
24
costituzionale al diritto alla riservatezza, essendo la sua operatività
relegata ad un ambito per così dire di secondo grado, una volta
risolta positivamente, ma per altra via, la questione dell'esistenza
costituzionale del diritto in oggetto. Le altre critiche, varie ed
eterogenee, sono di tipo sostanziale. Da parte di alcuni si lamenta
l'eccessiva genericità della disposizione58. Altri si interrogano sulla
reale natura di ostacolo allo sviluppo della persona rappresentato
dalla conoscenza di notizie private e dall’"attacco alla sfera privata
da parte soprattutto dei grandi mezzi di comunicazione di massa"59.
Altri ancora fanno appello alla marcata dimensione sociale cui
l'art. 3 sarebbe ispirato: gli interessi da esso tutelati, dignità e
sviluppo della persona, andrebbero visti in un'ottica eminentemente
sociale, che non può non contrapporsi alla dimensione individuale in
cui si esplicano la vita privata e la riservatezza60. L'esattezza di tali
affermazioni deve tuttavia essere ridiscussa alla luce delle mutate
caratteristiche del problema in relazione all'avvento della c.d.
58
FOIS S, Questioni sul fondamento costituzionale del diritto all'«identità
personale» , in AAVV, L'informazione e i diritti della persona, Jovene,
Napoli, 1983, p. 167
59
BRICOLA F, Prospettive e limiti della tutela penale della riservatezza, in
AAVV, Il diritto alla riservatezza e la sua tutela penale, Atti del terzo simposio di
studi di diritto e procedura penali, Varenna, Villa Monastero, 5 - 7 settembre 1967/
promosso dalla Fondazione "Avv. Angelo Luzzani" di Como - Milano, Giuffrè,
1970, p. 84
60
RODOTÀ S., Tecnologie e diritti, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 29 ss.
25
"società dei computer" e, nello specifico, alle conseguenti
modificazioni a cui il concetto di privacy è andato incontro, per cui
non è più possibile, né opportuna, una precisa separazione tra
individualità e collettività, se non si vuole incorrere in una falsa e
incompleta rappresentazione del problema.
Infine, il riferimento alla dignità sociale contenuto nel I comma
dell'art. 3 è giudicato improprio da parte di chi evidenzia come il
concetto di dignità miri a tutelare in via diretta interessi diversi dalla
riservatezza, che sono identificabili nel decoro e nella reputazione
della persona61. Dalla combinata analisi di tali articoli si intravede
una delle prospettive tipiche dello Stato contemporaneo che non si
limita solo a riconoscere formalmente l’eguaglianza giuridica e i
diritti inviolabili individuali e collettivi, ma che si impegna
positivamente a rimuovere quegli ostacoli che di fatto impediscono
ai consociati di poter godere effettivamente dell’eguaglianza e della
libertà secondo la sostanziale identità di ciascuno (art. 3, comma 2),
l’ottica va necessariamente ribaltata. L’ago della bilancia, infatti, non
pende più verso la sfera dell’autorità, ma verso il perno della libertà,
nel senso che l’impostazione personalistica seguita dal nostro
61
VALENTI A.M., La dignità umana quale diritto inviolabile dell'uomo,
Perugia, 1995, pp. 9 ss.
26
costituente a differenza di altre concezioni che assegnavano un
primato sistematico alla “norma” o alla “istituzione”, riconosce per
contro, un primato assoluto alla persona umana, la quale si pone
come fondamento primo e, nello stesso tempo, come fine ultimo
della vita politicamente organizzata. Ciò implica che lo Stato è
strumentalmente funzionale alla persona e non viceversa.
Il
principio personalista, ricavabile dal combinato disposto dell’art. 2 e
3, comma 2 della Costituzione, nonché da altre norme costituzionali,
comporta, quindi, l’affermazione del primato dell’uomo come valore
etico in sé, dell’uomo come fine e non come mezzo; tale principio si
pone come caratterizzante l’intero sistema, che viene a ruotare
intorno al fulcro della persona umana considerata nella sua
dimensione non solo individuale ma anche sociale62.
Nella dottrina contemporanea, dunque, la intangibilità della
sfera personale si espande fino a racchiudere in sé una nuova
dimensione63. Essa non è più composta soltanto dal principio del to
be let alone, ma acquista un ulteriore contenuto, quello della
autodeterminazione in una prospettiva “fortemente dinamica della
62
63
RODOTA’ S., Società dell’informazione. Tutela della riservatezza, Atti del
Convegno di Stresa, 16-17 maggio 1997, Milano, 1998, pp. 38 ss
RODOTA’ S., Repertorio di fine secolo, Roma – Bari, 1999, p. 201
27
privacy”64.
Posto che altrui interferenze nella vita privata possono
condizionare l’esercizio della libertà di scelte che pervengono dal
proprio patrimonio ideale, etico ed emotivo, la esclusione dalle
stesse esprime il potere di autodeterminarsi in ordine alle proprie
condizioni di vita.
Al binomio “libertà – proprietà” inteso come “libera proprietà
del proprio corpo”, subentra quello di “libertà – dignità”, inteso
come potere di autodeterminarsi senza condizionamenti65.
Si affianca, insomma, all’habeas corpus l’habeas mentem. Ciò
sottintende, ovviamente, la necessità di un controllo sui dati e sulle
informazioni personali che possono entrare nei circuiti di
informazione dal momento che “lasciamo tracce quando ci vengono
forniti beni e servizi, quando cediamo informazioni, quando ci
muoviamo nello spazio reale e virtuale”66 e i dati, d’altro canto, non
possono essere tout court rifiutati perché altrimenti rimarrebbe
64
Cfr. nota precedente
BALDASSARRE A., Privacy e Costituzione, l’esperienza statunitense,
Roma 1974, p. 458
65
66
RODOTA’ S. “Il diritto di avere diritti”, Laterza, p. 396
28
precluso l’accesso ad “un numero crescente di processi sociali,
all’accesso alla conoscenza, alla fornitura di beni e servizi”67.
Ove non fosse controllata la gestione delle informazioni
relative alla propria vita privata ci si ritroverebbe sotto la
osservazione di un “grande fratello” con l’orecchio perennemente
in ascolto, con la conseguenza di una pressione dall’esterno sugli
indirizzi e i percorsi della propria volontà e quindi di una lesione
del valore “libertà – dignità” posto a base della riservatezza.
“The man… whose every need, toght, desire, or grafication in
subject to public securiy has been deprived of his individualità and
human dignity”68
Ed è appunto la dignità il valore al quale fa riferimento lo
stesso codice per la protezione dei dati personali laddove esso
sancisce che il trattamento dei dati debba aver luogo nel rispetto
“della dignità dell’interessato” (art. 2).
67
Cfr. nota precedente
68
BLUOUSTEIN E. J. Bluoustein, Privacy as an aspect of human dignity: an
answer to Dean Prasser.
29
1.2
Internet,
libertà
di
espressione
e
diritto
alla
riservatezza
30
Il momento storico che stiamo vivendo si caratterizza per una
diffusa incertezza forse mai avvertita prima nelle società moderne:
nell'epoca della globalizzazione si registra una progressiva, dunque
inesorabile, erosione dei sistemi giuridici tradizionali e della
sovranità nazionale69, che sotto certi aspetti non trovano più il
medesimo sostegno e la stessa legittimazione di cui godevano un
tempo nel sentire comune dei cittadini proprio perché gli Stati, e con
essi la comunità internazionale, non riescono a dotarsi di un sistema
sovranazionale per governare adeguatamente, attraverso regole
condivise, una serie di fenomeni tra i quali anche quelli legati
all'avvento delle moderne tecnologie come Internet70. Una tale
asimmetria tra gli assetti istituzionali tradizionali e la coscienza
civica dei consociati richiede, preliminarmente, una riflessione sulla
portata di Internet che da mezzo di indubbia civiltà può trasformarsi
anche in uno strumento pesantemente invasivo della sfera privata
delle persone71.
69
PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
70
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss
71
CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa,
radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss.
31
Se è innegabile che nella rete la libertà di espressione e il diritto
all'informazione devono trovare analoga protezione a quella
garantita nel mondo reale72, si rende però necessario individuare
criteri per evitare un suo utilizzo improprio che possa determinare
effetti negativi per il singolo la libertà individuale di immissione di
contenuti in Internet, che un tempo era mediata sia pure non via
esclusiva, attraverso la ponderazione degli organi di stampa, non
rispecchia
concettualmente
le
tradizionali
categorie
costituzionalmente tutelate della manifestazione del pensiero, del
diritto di cronaca, di stampa, del diritto a informare e ad essere
informati Spesso ciò che viene immesso nel web risulta di difficile
definizione alla luce delle tradizionali categorie dogmatiche
elaborate per un mondo che viveva esclusivamente in una realtà
materiale73.
La privacy ha assunto nel corso degli ultimi anni
connotati molteplici, ma che convergono tutti in unico denominatore
comune, rappresentato dal riconoscimento in capo alla persona del
diritto ad autodeterminarsi nella propria sfera privata senza subire
72
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
73
VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati
personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347
32
intromissioni dall’esterno74. Questa possibilità di compiere delle
scelte indipendenti passa attraverso i concetti di riservatezza ed
intimità. Configurare tali concetti, significa stabilire i confini tra sfera
privata e sfera pubblica, o, ancora meglio, tra l’individuo e il sociale.
L’individuo
negozia
continuamente
le
proprie
informazioni
personali, le quali diventano il principale bene di scambio per poter
accedere a determinati servizi. Il singolo è perciò posto davanti alla
scelta di quali e quanti dati personali è disposto a privarsi per
partecipare alla società civile, e conseguire i propri interessi.
L’accesso a ogni tipo di servizio è, dunque, condizionato al rilascio di
determinati dati. Tutto ciò offre la possibilità a chi acquisisce tali dati
di catalogare informazioni e creare una pluralità di schede personali.
In sostanza vengono ad esistere agenti che raccolgono e gestiscono
banche dati, suscettibili di interessi da parte di molti. In questo
quadro, compito del diritto e ancor di più del giurista, è quello di
tutelare l’individuo dal condizionamento psicologico, predisponendo
un adeguato sistema di protezione della libera capacità di
autodeterminazione dell’individuo in modo tale da consentirgli la
volontaria partecipazione alla società nella misura da lui stesso
74
ANTANIELLO G., Il sistema delle garanzie della privacy, in La tutela della
riservatezza, fa parte di Trattato di diritto amministrativo, a cura di G.Santaniello-A.
Loiodice, Cedam, Padova, 2000, pp. 3-31.
33
stabilita. Come accennato, la larga diffusione di Internet ha
modificato il concetto di privacy: l’utente della rete nutre due
esigenze fondamentali di tutela: la segretezza della propria
corrispondenza informatica e, soprattutto, evitare che altri si
introducano nella propria banca dati informatizzata. Il concetto di
riservatezza, pertanto, assume rispetto al fenomeno, altri connotati.
La tecnologia informatica ha cominciato a giocare un’importante
ruolo, spesso vitale, in tutti i settori della società organizzata, tanto
da costituire un settore autonomo dell’economia.
Le nuove necessità di tutela soggettiva nell’ambito delle
molteplici applicazioni dell’ICT ha favorito nei singoli paesi europei
la creazione di istituzioni ad hoc che cercano di vigilare, controllare
e modificare i comportamenti dei soggetti pubblici e privati che
detengono, acquisiscono o gestiscono i dati personali attraverso la
rete. Queste autorità fanno ormai parte integrante dell’evoluzione
della realtà, contribuiscono a plasmarla e, adeguandosi al contesto
normativo ed istituzionale nazionale, favoriscono anche la nascita e
lo sviluppo di nuovi soggetti collettivi e di inediti settori di politiche
pubbliche. Quando nel 1997 il Garante per la tutela dei dati personali
e della privacy è stato istituito con legge nazionale (l. n. 675 del 31
34
dicembre 1996) in applicazione di una direttiva comunitaria
(95/46/CE), uno dei principali problemi che si è trovato ad
affrontare è stato, senza dubbio, la quasi assoluta novità del tema
della privacy nel contesto culturale, amministrativo e politico
italiano75. Alla nuova Autorità si
pose l’esigenza di legittimarsi
presso l’opinione pubblica e di far conoscere ai cittadini quale fosse
il proprio ambito operativo e la propria sfera di competenza in
qualità di garante di nuovi diritti soggettivi76. Attraverso questo
prioritario compito educativo e informativo il Garante si è fatto
carico direttamente di definire i contenuti Stessi di concetti quali
riservatezza, tutela dei dati personali perlopiù sconosciuti al grande
pubblico77. Tale processo comunicativo ha subito nel tempo
un’evoluzione che, come vedremo, accompagna l’evoluzione stessa
degli stili e delle strategie regolative dell’Authority78.
Se la tutela
75
VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati
personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347
76
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
77
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf
78
Tutelando in rete i dati personali e la privacy il Garante di fatto bilancia la
libertà personale, la libertà d’espressione e di circolazione in rete cercando
coniugazioni con le esigenze di sicurezza interna e internazionale, con le regole già
esistenti per settori analoghi (la televisione), con questioni delicate come quelle
legate alla ricerca genetica, al settore del credito ed alle telecomunicazioni, al
funzionamento del mercato e all’organizzazione dell’impresa, al sistema dei media e
al rapporto tra tecnologie e politica. Cfr. SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e
35
della privacy oggi va ad aggiungersi a un altro ambito di tutela
limitrofo ma non sovrapponibile cioè la tutela dei dati personali, ciò
si deve agli epocali cambiamenti intervenuti nel modo di intendere
la soggettività ed il sistema di relazioni tra individui nell’era dello
sviluppo tecnologico e di internet79. Sintetizzando possiamo dire che
gli stadi di sviluppo che decretano il passaggio dal concetto di
privacy a quello di dati personali sono tre: a) la privacy intesa come
diritto di isolarsi dagli altri e di difendersi dalle altrui interferenze,
come diritto all’oblio; b) la privacy come data protection cioè diritto
di poter controllare tutte le informazioni personali raccolte da altri
non solo per funzioni di sorveglianza ma soprattutto per poter
godere di una serie di beni o servizi. c) infine, l’ultimo passaggio, che
sintetizza i due precedenti, è principalmente legato all’evoluzione
tecnologica e alla sua applicazione al funzionamento del web, dai
social networks ai mercati elettronici fino all’immissione in rete
delle amministrazioni pubbliche: si tratta della tutela della libertà
personale e soprattutto della tutela dell’identità elettronica, e non
solo fisica, nell’ambito di processi crescenti di globalizzazione
libertà di informazione”, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p.
459 e ss
79
CORRIAS LUCENTE G., Internet e libertà di manifestazione del pensiero,
in questa Rivista, 2000, 4/5, 597
36
dell’economia, della comunicazione e della governance80. La tutela
della privacy e dei dati personali erompe come tema del dibattito
pubblico con il crescere della rilevanza attribuita alla difesa dei
singoli individui nei confronti di organizzazioni pubbliche e/o
private che hanno il potere di condizionare l’accesso e la fruizione di
beni o servizi: lo sviluppo della telefonia, dell’e-government e dell’ecommerce, le applicazioni di internet e dell’ICT alle attività
pubbliche e private, nonché lo sviluppo della biotecnologia, aprono
nuove frontiere del diritto e dei diritti. Come è stato osservato, il
problema dell’individuo non è solo quello di impedire la diffusione
di determinate informazioni, ma anche quello di non perdere il
controllo sulla massa di dati che lo riguardano e che si trovano ormai
contenute in una miriade di banche dati81.
Nonostante le distinzioni semantiche, si assiste a un fenomeno
di giustapposizione dei significati di privacy e data protection. Per
esempio la questione della regolamentazione della vita e della morte
dei dati in possesso dei social network è diventata una questione
fondamentale sia della tutela della privacy (diritto di difesa dalle
80
VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati
personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347
81
PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
37
interferenze altrui) sia della tutela dei dati personali (diritto al
controllo sull’uso che altri possono fare dei nostri dati). In effetti, il
richiamo già fatto all’articolo 2 della Costituzione
consente di
delineare la dimensione non solo individuale, ma anche sociale della
privacy, dal momento che il riconoscimento e la garanzia dei diritti
inviolabili dell’uomo si inserisce in un quadro in cui la rilevanza del
profilo individuale trova il suo completamento nelle formazioni
sociali, all’interno delle quali si sviluppa la personalità. Infatti, come
si è già sottolineato, la privacy nel suo aspetto dinamico di controllo
sulle informazioni personali non si presenta come momento di
rottura del legame sociale, ma come via per ricostruire tale legame, a
partire dal controllo sui detentori delle informazioni, in una
prospettiva caratterizzata da redistribuzione di potere sociale e da
una conseguente trasparenza sociale. Tutto questo porta ad un
integrale recupero della sovranità su di sé, facendo così della
pienezza della sfera privata anche la condizione della pienezza della
sfera pubblica82.
In questa dimensione il
diritto alla riservatezza ha una
vocazione essenzialmente protettiva del soggetto essendo volto a
RODOTA’ S., Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla
protezione dei dati personali, in Rivista critica del Diritto Privato, 4/1997, p. 590.
82
38
preservare l’intimità della vita personale e familiare contro
divulgazioni all’esterno di quanto attiene alla sfera privata. Per tale
ragione, secondo la terminologia impiegata nei sistemi di Common
Law, esso si definisce anche diritto alla privacy83. La protezione di
tale diritto non ha una giustificazione strumentale84. Non si tutela
cioè la privacy per impedire la lesione dell’onore o del decoro del
soggetto, ma la non diffusione di informazioni veritiere circa
situazioni intime e personali è considerata un valore da difendere in
quanto tale85. Infatti, informazioni vere, che in certi casi potrebbero
aumentare l’onore, non devono essere diffuse se il soggetto a cui si
riferiscono non lo desidera86.
Il diritto alla riservatezza è una
specificazione del diritto alla libertà negativa che affonda le sue
radici filosofiche nelle teorie giusnaturalistiche che riconobbero
carattere fondamentale al diritto alla vita, alla libertà e alla
proprietà87.
La rivendicazione di tali diritti fu giustificata
83
FINOCCHIARO G., Voce Identità personale (diritto alla), in Digesto delle
discipline privatistiche, Sez. civ., Agg., Torino, 2010
84
CORRIAS LUCENTE G., Internet e libertà di manifestazione del pensiero,
in questa Rivista, 2000, 4/5, 597
85
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf
86
CORRIAS LUCENTE G., Internet e libertà di manifestazione del pensiero,
in questa Rivista, 2000, 4/5, 597
87
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
39
dall’esigenza di rintracciare dei limiti, e solo all’autoritarismo dei
sovrani, in virtù della nascita e della diffusione in Europa della nuova
forma di organizzazione del potere rappresentata dallo Stato88. Il
crisma dell’assolutezza tipico delle moderne monarchie portò ad una
reazione volta a contenere il potere sovrano, rivendicando nei
confronti d’esso spazi di autonomia, di libertà e di immunità. Infatti,
nel momento in cui o Stato divenne una presenza familiare, e pretese
di monopolizzare il potere, allora, si poté vederlo come un possibile
nemico delle libertà e immaginare di ridimensionarlo, come farà il
liberalismo, se non di abbatterlo, come faranno l’anarchismo e il
comunismo89. Utile al fine di comprendere i problemi che tutt’ora la
dottrina e la giurisprudenza lasciano trasparire nel legame tra
informazione e riservatezza sarebbe utile richiamare anche delle
nozioni fondamentali introdotte dal D.Lgs. 196/2003. Esse, infatti,
costituiscono lo ‘sfondo normativo’ su cui si muovono tutte le
concrete
operazioni
di
bilanciamento
effettuate
dalla
giurisprudenza. In particolare si ricorda che, sul piano definitorio,
l’art. 4, comma 1 lett. a), Codice della privacy stabilisce che il
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf
88
PANETTA R. (a cura di), Libera circolazione e protezione dei dati personali,
Milano, 2006, Tomo I, 257
89
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss
40
trattamento dei dati personali consiste in “qualunque operazione o
complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti
elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione,
la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione,
la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il
blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la
distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati”. E,
sempre secondo l’art. 4, comma 1 lett. b), D.Lgs. n. 196/2003, è dato
personale “qualunque informazione relativa a persona fisica,
persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili,
anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra
informazione,
ivi
compreso
un
numero
di
identificazione
personale”90. Nonché è ancora lo stesso articolo del Codice della
privacy a definire come dati sensibili, quei “dati personali idonei a
rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose,
filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti,
sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso,
filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a
rivelare lo stato di salute e la vita sessuale” (cfr. art. 4, comma 1, lett.
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss
90
41
d). Al fine di ottenere una corretta ricostruzione della disciplina
generale dell’istituto si ricorda che il Codice della privacy provvede a
dettare specifiche regole sul trattamento dei dati personali,
introducendo all’art. 13 l’istituto della c.d. ‘informativa’, in forza del
quale il soggetto intenzionato ad operare un trattamento debba
preventivamente informare colui al quale i dati si riferiscono circa
finalità, limiti e conseguenze del trattamento stesso, nonché debba
conseguirne il consenso ai sensi dell’art. 2391. Per quanto concerne
poi il trattamento dei dati sensibili si prevede, oltre al consenso
scritto dell’interessato, la necessità che esso sia espressamente
previsto dalla legge o da uno specifico provvedimento autorizzativo
del Garante. Pare opportuno segnalare in tale quadro normativo
l’importante eccezione costituita dagli artt. 18, comma 2 e 20 del
Codice, ai sensi dei quali, è previsto rispettivamente che gli enti
pubblici non economici siano dispensati dall’osservare la regola del
consenso per il trattamento di ogni dato personale, che tuttavia è da
eseguirsi
esclusivamente
“per
lo
svolgimento
di
funzioni
istituzionali”, nonché per il trattamento dei dati sensibili se e nella
misura in cui ciò sia disciplinato da una norma di legge o da un
91
CERRI A. , Il diritto di informazione e i diritti della persona: il conflitto della
libertà di pensiero con l'onore, la riservatezza, l'identità personale, 2 ed., Milano,
2006, 308
42
provvedimento del Garante92.
Norme particolari sono quelle
stabilite per il trattamento dei dati personali compiuto dai
giornalisti, le quali consentono di definire le coordinate minime
entro
cui
si
deve
svolgere
il
bilanciamento
tra
diritto
all’informazione e diritto alla riservatezza quando la divulgazione
delle notizie o delle immagini viene posta in essere nell’esercizio di
una specifica attività professionale a ciò deputata. La principale
deroga rispetto al regime ordinario prima descritto risiede nel fatto
che in questo caso non è necessario (nemmeno con riferimento al
trattamento dei dati sensibili) né che il giornalista ottenga il
consenso dell’interessato, né che sia prevista alcun tipo di
autorizzazione del Garante (art. 137, commi 1 e 2, codice della
privacy), fermo restando, comunque, l’obbligo per il giornalista di
rendere ugualmente l’informativa di cui all’art. 13 del Codice. A ben
vedere, però, anche quest’ultimo profilo risulta attenuato, se non
addirittura svuotato di portata precettiva, in quanto è già lo stesso
Codice della privacy all’art. 139 a prevedere che il codice di
deontologia professionale dei giornalisti possa adottare “forme
semplificate per le informative di cui all’art. 13”. E di tali forme
92
PARODI C., Tecnologie telematiche e tutela della riservatezza, in Diritto
penale e processo, 2001, 11, 1430
43
semplificate vi è traccia all’art. 2 del codice deontologico, che impone
al giornalista, ad esempio, di rendere nota al soggetto cui i dati si
riferiscono soltanto “la propria identità, la propria professione e le
finalità della raccolta” ed al contempo autorizza il giornalista a non
identificarsi e a non mettere a conoscenza l’interessato della finalità
della raccolta dei dati quando “ciò comporti rischi per la sua
incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione
informativa”.
L’appena
accennata
ricostruzione
risulta
particolarmente interessante dal punto di vista ricostruttivo perché
consente di evidenziare che il giornalista gode di una libertà di
azione addirittura maggiore di quella riconosciuta agli enti pubblici
che, infatti, devono rendere un’informativa integrale ed hanno il
limite dello “svolgimento delle funzioni istituzionali” per il
trattamento senza consenso dei dati personali, nonché necessitano
sempre dell’autorizzazione di legge o di specifico provvedimento del
Garante quando il trattamento riguarda dati sensibili o giudiziari.
Tale tipologia di riflessioni assume una rilevanza ancora più
pronunciata se si pensa alla rapida evoluzione che caratterizza il
mondo dell’informatica. Ad esempio molteplici problematiche
giuridiche
potrebbero
essere
sollevate
dalla
presenza
di
44
apparecchiature che accompagnano gli individui durante le azioni
quotidiane e che garantiscono la continua accessibilità ai contenuti
virtuali93. Quanto affermato conferma il fatto che proprio il diritto
alla riservatezza si è trasfuso nel più ampio “diritto alla protezione
dei dati personali”, con cui è stata riconosciuta la pretesa ad una
tutela a tutto campo dei dati personali, non più limitata alla
riservatezza nei suoi termini essenziali (rectius al diritto ad essere
lasciato solo e non subire ingerenze illecite nella propria
individualità), ma che si estende alla persona nel suo complesso, e
che si traduce anche nella c.d. autodeterminazione informativa,
intesa
quale
diritto
ad
una
corretta
(ri)costruzione
o
rappresentazione della propria identità, che non può essere
soddisfatta con il semplice diritto alla riservatezza, ma viene
93
Si pensi ad esempio ai dispostivi wearable bio-medicali sono oggi sempre
più diffusi e rappresentano una vasta tipologia di strumentazioni utilizzate per il
monitoraggio a distanza e continuativo delle condizioni fisiche di pazienti a rischio o
affetti da particolari patologie; essi si sono rivelati utili soprattutto nel campo della
medicina sportiva, nel cui ambito vengono utilizzati per monitorare la performance
degli atleti professionisti impegnati nei programmi di allenamento (es. fascette
indossabili per la rilevazione della frequenza cardiaca, misuratori di distanza GPS
nelle scarpe, ecc.).
Accanto a questi dispositivi, complici l'abbassamento dei costi e il crescente
interesse del mercato nei confronti di supporti mobile sempre più versatili, sono stati
perfezionati dispositivi con una vocazione più spiccatamente commerciale,
utilizzabili dagli utenti nella normale vita quotidiana, nel tempo libero oppure come
supporto ad attività pratiche di vario genere (lavoro, fitness, ecc.). Questo secondo
ambito, meno tecnico ma molto più vasto, è quello che probabilmente sarà
interessato nei prossimi anni dalla più forte diffusione dei dispositivi, non solo per il
crescente numero di fruitori, ma anche per l'ampiezza di gamma dell'offerta
45
incrementata con nuove facoltà volte a controllare la forma, la
consistenza e la circolazione delle informazioni personali, che
devono
rispecchiare
esattamente
la
attuale
identità
dell'interessato94.
Il diritto alla riservatezza, dunque, da libertà negativa,
consistente nel diritto a essere dimenticato, nel corso del tempo è
stato ampliato, cioè declinato anche in termini di libertà positiva,
intesa come potere di controllo sui propri dati personali. Il diritto
alla protezione dei dati personali si è evoluto ed arricchito
nell'elaborazione giuridica: non più limitato alla mera tutela della
94
Alla luce di quanto sopra illustrato, sorgono numerosi quesiti ancora
sostanzialmente insoluti: le soluzioni tecnologiche e la disciplina vigente
garantiscono la correttezza del trattamento dei dati del fruitore? Quali privacy
policies sono state predisposte dai produttori dei devices, quali regole osservano tali
soggetti ed eventuali terze parti coinvolte, direttamente o indirettamente, nell'accesso
alle informazioni riguardanti i fruitori dei dispositivi? Quale è la quantità e natura dei
dati raccolti automaticamente dal device , la finalità della raccolta e le modalità del
loro successivo trattamento?
Già per quanto riguarda devices mobili “tradizionali”, come smartphone e
tablet, sono stati manifestati dubbi riguardo la gestione della privacy in relazione alle
informazioni sugli utenti , quando si scaricano e utilizzano app , o per quanto
riguarda il trattamento dei dati da remoto e la geolocalizzazione . Si pensi, ad
esempio, ad un'eventuale raccolta di dati sulla posizione e gli spostamenti del
fruitore , effettuata magari anche a sua insaputa, per poi essere condivisi tramite i
social networks o il web e le conseguenti implicazioni legate alla diffusione di tali
informazioni che, peraltro, possono rivelare abitudini personali e informazioni
riguardanti la sfera più intima della persona. Problemi, questi, che possono essere
amplificati se si considerano le potenziali funzionalità del wearable devices. Lo
scenario sopra delineato impone quindi una prima individuazione di alcune regole
fondamentali applicabili per assicurare un corretto trattamento dei dati personali
riguardanti il fruitore alla luce del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (recante il Codice in
materia di protezione dei dati personali). Cfr. BEVERE A., CERRI A., Il diritto di
informazione e i diritti della persona. Il conflitto della libertà di pensiero con l’onore,
la riservatezza, l’identità personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss
46
riservatezza, ma si è esteso fino a ricomprendere anche l'identità
personale, cioè l'interesse del soggetto ad una esatta percezione
sociale della propria personalità, che trova concreta attuazione nella
libertà di mantenere il controllo sul flusso dei dati e sulle
informazioni che riguardano e identificano l'individuo (concezione
dinamica)95 . Ciò in modo che l'informazione oggetto di trattamento
costituisca una fedele, e quindi corretta, rappresentazione
dell'attuale, integrale ed effettiva identità personale dell'interessato,
aggiornata secondo l'immagine riverberata dallo stesso nel mondo
delle relazioni sociali nel corso della propria esistenza . Tale
risvolto del diritto alla privacy è diventato una componente
prevalente delle azioni di tutela esercitate dagli interessati, anche a
seguito
del
soprattutto,
consolidamento
di
Internet
degli
dove
strumenti
confluiscono
informatici
e,
numerosissime
informazioni, per lo più prive di contestualizzazione, cioè di
collegamenti alla fonte originaria e ad altre notizie in grado di
completare e riflettere il profilo attuale di una persona. Le
95
Sul concetto e la portata dell'identità personale si è anche espressa la Corte
Costituzionale evidenziando che essa è un bene ex se, indipendentemente dalla
condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti dell'interessato. Essa si esplicita
nel diritto ad essere sé stesso, che esige il rispetto dell'immagine di partecipe alla vita
associata di ognuno, con il relativo bagaglio di idee ed esperienze, convinzioni
ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso
qualificano, l'individuo. V. Corte Costituzionale, sentenza 24 gennaio-3 febbraio
1994, n. 13.
47
argomentazioni riportate hanno inteso delineare uno statuto della
libertà alla luce dei potenziali conflitti che possono insorgere nella
dimensione pratica del diritto96. Tanto nel caso della pubblicazione
delle intercettazioni telefoniche quanto in quello dei blog su Internet
il conflitto si dispiega nell’alveo del medesimo valore di libertà. Ciò
in ragione del fatto che il vivere in società implica un costante
confronto con l’altro, le cui ragioni, rivendicazioni e pretese non
sono inferiori alle proprie e tali da non dover essere prese in
considerazione97. La rivendicazione di un diritto fondamentale deve
fare i conti con le altrettante rivendicazioni degli altrui diritti. Ci
troviamo in sostanza dinnanzi ad una costrizione logica ad
universalizzare i diritti che rivendichiamo per noi, poiché alla luce
della “relazione di rinvio” tra diritto e obbligo, ci troveremmo
obbligati dai diritti altrui98. Le libertà fondamentali, poi, “non solo si
limitano l’una con l’altra ma sono anche autolimitanti” poiché, se
ciascuno rivendi- casse una libertà senza limiti, allora nessuno
96
BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della persona. Il
conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità
personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss.
97
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss.
98
FIORAVANTI M., Costituzione e popolo sovrano. La Costituzione italiana nella storia del costituzionalismo moderno. Bologna: Il Mulino, 2004, p.
58 e ss.
48
potrebbe praticamente fruirne. E dunque tradotto ciò nei termini di
una teoria della democrazia, risulta abbastanza evidente che questa,
se procede per discussioni e deliberazioni, deve avere dei
fondamenti tali che non possano essere travolti dalla mera volontà
di uno o più partecipanti. Se la democrazia è deliberativa, essa ha
oltre che un carattere volitivo un certo carattere cognitivo. Questo
ovviamente risulta indisponibile alla mera volontà dei soggetti99. Ma
se così è, non si può parlare di veri e propri limiti alla libertà.
Quest’ultimi, infatti, tradotti sul piano operativo, si presentano
piuttosto come pre-condizioni che, invece di limitare la libertà,
individuano la strada per renderla effettivamente fruibile. I diritti,
allora, non sono qui solo “rules of obligation” alla maniera di Hart, o
“rules of just conduct” alla maniera di Hayek, ma anche “rules of
power” (nella terminologia di Hart) o “rules of organization” (nel
lessico di Hayek)100. Ciò significa che la controversia e la
deliberazione di cui si compone la politica devono darsi come
attività mediante le quali i diritti vengono resi operativi e il loro
99
BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della persona. Il
conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità
personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss.
100
Citato da LA TORRE M., Cittadinanza e ordine politico. Diritti, crisi della
sovra- nità e sfera pubblica: una prospettiva europea, 2004, Torino Giappichelli, p.
125 e ss.
49
reciproco riconoscimento riprodotto e precisato101. I diritti
fondamentali non varranno così solo nei rapporti tra autorità
pubbliche (Stato) e cittadini (privati), ma anche nei rapporti tra
privati e persino all’interno della struttura dello Stato102. Dentro il
recinto della respublica non può esserci in via di principio nessuno
spazio opaco ai diritti e impenetrabile ad essi. E dunque, in
conclusione, soltanto se i diritti trovano limitazioni in altrettanti
diritti, potremmo affermare, nei casi in questa sede trattati, di poter
ancora respirare, come diceva Norberto Bobbio103, l’alito della
libertà che impedisce di poter accettare supinamente che “la guerra
è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.
101
FIORAVANTI M., Costituzione e popolo sovrano. La Costituzione italiana
nella storia del costituzionalismo moderno. Bologna: Il Mulino, 2004, p. 58 e ss.
102
CONTE G. A., Regola costitutiva, condizione, antinomia. In Uberto carpelli
(a cura di), La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a
Norberto Bobbio. Milano, Comunità., 1983, p. 36 e ss.
103
Citato da LA TORRE M., Cittadinanza e ordine politico. Diritti, crisi della
sovra- nità e sfera pubblica: una prospettiva europea, 2004, Torino Giappichelli, p.
125 e ss.
50
CAPITOLO SECONDO
2
DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTI DELLA PERSONALITA’
2.1. Nozione di diritto all’oblio
Il diritto all’oblio, così comunemente definito secondo un
51
lemma mutuato dalla cultura giuridica francese104, è sostanziato
dall’interesse dell’individuo a che le vicende personali vissute in
passato, legittimamente divulgate all’epoca del loro accadimento,
non costituiscano oggetto di rievocazione che, non giustificata da
un attuale interesse sociale alla notizia, possa ledere la sfera di
riservatezza e/o possa proiettare in ambito sociale una immagine
della persona che non coincide con quella evolutasi nel corso del
tempo105.
Per diritto all’oblio s’intende dunque il diritto di essere
dimenticati da quella dimensione che si era resa legittimamente
pubblica. Questo diritto presuppone il progressivo degrado del
ricordo legato alla distanza temporale del fatto. Obliare o
dimenticare è una posizione dello spirito, un atteggiamento della
mente, una caduta della memoria, e questo fatto, essendo in sé
incoercibile, si potrebbe pensare che non si presti ad essere
104
LINDON R., Les droits de la personannalitè, Paris, 1983, p. 21
105
In dottrina, sul diritto all’oblio si vedano: AA.VV., Il diritto all’oblio. Atti del
Convegno di Studi del 17 maggio 1997, GABRIELLI (a cura di), Napoli, 1999;
AULETTA, Diritto alla riservatezza e “droit à l’oubli”, in ALPA-BESSONE-BONESCHICAIAZZA (a cura di), L’informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983, p. 127 e
ss.; FERRI, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in RDC, 1990, p. 801 e ss.;
MORELLI, voce Oblio (diritto all’), in Enc. dir. Agg., VI, Milano, 2002; da ultimo,
MEZZANOTTE, Il diritto all’oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Napoli,
2009.
52
valutato giuridicamente, né ad essere incasellato nelle categorie del
diritto o del dovere. Si potrebbe pensare che, trattandosi di notizie
e fatti già diffusi, sarebbe impossibile invocare per essi una tutela,
arrivando così alla conclusione che il diritto all’oblio non sarebbe
un vero e proprio diritto, in quanto riguarderebbe interessi privi di
tutela. Tuttavia un fatto rimane nella sfera privata della persona,
non solo quando la notizia, il documento o l’immagine circolano da
privato a privato, ma anche quando la notizia abbia avuto un
ambito di diffusione e di notorietà ben più ampio. Si tratta in altre
parole di distinguere l’area privatistica attinente la persona, da
quella di rilevanza pubblica, in quanto solo dove si possa
riconoscere un interesse sociale o una rilevanza pubblica alla
diffusione delle notizie, è possibile l’intrusione nella sfera privata
dell’interessato anche senza il suo consenso. Il diritto all’oblio
prevede che non si possano riferire nomi e cognomi, relativi a un
fatto di cronaca avvenuto anni prima: coloro che abbiano scontato
la propria pena e che si siano riabilitati, hanno diritto di essere
dimenticati. Ma la dimenticanza è un fatto temporaneo,
contingente, mentre l’oblio è un fatto duraturo, di scomparsa del
ricordo dalla memoria.
53
La riproposizione di un fatto passato, non fa altro che
attualizzare nuovamente il fatto stesso, anche se la persona è
talmente cambiata da non essere più la stessa che ha compiuto il
fatto. La lontana imputazione per fatti ormai passati, non più attuali
non possono divenire segni indelebili di un’identità. Riproporli
all’attenzione pubblica esige il rispetto dei principi di finalità e
pertinenza, in un contesto in cui assumono rilevanza primaria la
correttezza dell’informazione e, soprattutto, la dignità della
persona. Il passato di una persona, quando non rappresenti la
premessa necessaria per definirne l’attuale sua presenza sociale,
deve restare nell’oblio, soprattutto quando l’evocazione di esso
possa alterare la posizione presente del soggetto. Dall’applicazione
del diritto all’oblio può dipendere la libertà di determinarsi
autonomamente, di potersi dispiegare pienamente le potenzialità di
ognuno; la liberazione dal passato diviene anche il modo per
ricostruire condizioni di imprevedibilità. A nessuno deve essere
negata la possibilità del ravvedimento e del riscatto, di cui è prova
sociale il mancato ripetersi nel tempo di comportamenti
incriminati. Il diritto all’oblio rende reale questa possibilità,
ponendo davanti agli occhi altrui un velo di ignoranza al riparo dal
54
quale si può tornare ad agire come se quel passato non fosse mai
stato.
Come il diritto all’identità personale, così il diritto all’oblio, che
da quello è gemmato, è figlio della comunicazione. Il diritto
all’identità personale è il diritto ad esercitare una forma di
controllo sulla propria immagine sociale, che può giungere fino a
pretendere che alcuni eventi siano dimenticati. Ma nato dalla
cronaca, vive una nuova vita su Internet. Infatti, la ripubblicazione
non è più necessaria, dal momento che, per la sua stessa struttura,
difficilmente la Rete dimentica106.
Le raccolte elettroniche di informazioni personali, i motori di
ricerca che consentono di rintracciare su Internet qualsiasi dato
rilevante, costituiscono un’insostituibile fonte di conoscenza, ma
pure il luogo dove nulla si perde o viene dimenticato, dove il
passato non passa mai.
Qui la prospettiva è radicalmente diversa. Non si tratta solo o
necessariamente
di
una
ripubblicazione
dell’informazione,
piuttosto di una permanenza della stessa. Non si tratta di una
106
FINOCCHIARO G., la memoria della rete e il diritto all’oblio, p. 7
55
notizia o di una foto ripubblicate, bensì di una notizia o di una foto
che permangono sempre accessibili. Allora l’oblio assume una
prospettiva diversa: non si può fare riferimento al tempo trascorso
fra un evento e l’altro, ma invece al tempo di permanenza
dell’informazione. Non si tratta di un evento che si ripropone
all’attenzione del pubblico, bensì di un evento che potenzialmente
non è mai uscito dall’attenzione del medesimo. Siamo di fronte ad
un continuum temporale107.
Il rapporto tempo/informazione è di durata e non più
puntuale e quindi richiede una nuova e diversa declinazione. Il
diritto all’oblio su Internet non pone più il problema del diritto a
dimenticare, poc’anzi menzionato, ma del diritto dunque a
cancellare, o quanto meno a contestualizzare. Ma cosa vuol dire
diritto a cancellare? Si tratta di un diritto di del soggetto a
controllare sempre, in modo assoluto, quali informazioni siano
reperibili in rete e di richiederne in ogni momento l’eliminazione?
O è necessaria la lesione della sua identità personale o della sua
riservatezza affinchè possa invocarsi diritto all’oblio? E’ quindi il
107
FINOCCHIARO G., op. cit. p.10
56
diritto all’oblio un diritto a sé stante o è il derivato, la conseguenza
naturale della lesione di uno dei due diritti menzionati?
Come si cercherà di dimostrare nella presente trattazione, il
diritto all’oblio in Rete deve, esattamente come il diritto all’oblio
fuori dalla Rete, necessariamente bilanciarsi con altre esigenze,
quali per esempio quelle del diritto di cronaca e di informazione nel
momento attuale.
2.2 Fondamento del diritto all’oblio
Il diritto all’oblio trova il suo fondamento, secondo il
prevalente orientamento della dottrina108, come tutti gli altri diritti
della persona, nell’art. 2 della Costituzione, inteso come clausola
“aperta” immediatamente precettiva, in grado di apprestare tutela
a tutti i valori che, secondo la tesi monistica, sono riconducibili alla
persona e che emergono in un processo in continua evoluzione,
secondo una concezione per così dire dinamica che ha indotto la
108
DE CUPIS, Bilancio di una esperienza: diritto all’identità personale, in
AA.VV., Milano, 1985, pp. 189 ss.; MACIOCE “Tutela civile della persona e identità
personale”, Padova, 1984, p. 9
57
Corte Costituzionale a ricondurre nell’alveo della inviolabilità di cui
all’art. 2 della Costituzione anche il diritto all’abitazione109, nonché
il diritto dei figli incestuosi al riconoscimento della paternità110.
Un
ulteriore
pregnante
riferimento
normativo
appare
ravvisabile nel principio di libertà sancito dall’art. 3 della Carta
costituzionale.
E’ infatti tale libertà, intesa ovviamente come condizione della
persona nell’insieme del suo patrimonio spirituale, che costituisce
il presupposto del potere di autodeterminarsi secondo la propria
identità e che costituisce, quindi, il fulcro dello stesso diritto
all’oblio che, appunto, di tali valori si compone.
La rete di informazioni che emergono nel raffronto tra le
diverse banche dati può proiettare in ambito sociale una immagine
dell’individuo che non coincide con quella reale.
L’identità in questione non è ovviamente quella, per così dire,
oggettiva, costituita dall’insieme dei dati, per lo più anagrafici che
109
Corte Costituzionale, sent. N. 559/89
110
Corte Costituzionale, sent. N. 494/02
58
valgono, a fini evidentemente pubblici, a contraddistinguere
ciascun cittadino, ma è quella disegnata dal “modo con cui un
soggetto viene presentato agli occhi del pubblico attraverso
l’insieme
delle
informazioni
che
lo
riguardano111
e
che
corrispondono alla esigenza dell’uomo di vedersi riconosciuto in
seno alla collettività per i propri autentici valori etici, ideologici e
professionali112.
E’, in negativo, l’esigenza a che non vengano disconosciuti i
propri comportamenti e a che non ne vengano attribuiti altri che
non facciano parte della propria individualità.
Ciò in una proiezione dell’immagine che l’individuo ha di sé,
ma
soprattutto
nell’immagine
enucleabile
dall’insieme
dei
comportamenti oggettivamente riferibili al soggetto percepiti o
percepibili dalla società113.
Il diritto all’identità personale114, nel quale il diritto all’oblio
111
RODOTA’ S., Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, p. 109
112
Cassazione 978/96 – 2575/90 e Corte Costituzionale sent. N. 13/94
113
RICCIUTO A., Diritto di rettifica, identità personale
114
ZENO ZENCOVICH, Voce Identità personale, in D.I. Sez. Civ., IX, Torino, 1995,
p. 295
59
affonda le proprie radici, protegge il bene giuridico della
“proiezione sociale dell’identità personale”. Il diritto all’identità
personale è diritto che nasce nell’epoca delle comunicazioni di
massa ed è diritto figlio della comunicazione115. La proiezione
sociale di un soggetto è moltiplicata nella società della
comunicazione, dove la relazione sociale diviene la comunicazione
di massa.
Un vero e proprio diritto all’identità è stato riconosciuto per la
prima volta nella sentenza con la quale il Pretore di Roma, il 6
maggio 1974, affermava l’esistenza del diritto a “non vedersi
travisare la propria personalità individuale”; successivamente, la
Cassazione riconosceva l’esistenza dell’interesse del soggetto… di
essere rappresentato nella vita di relazione con la sua vera
identità”.116
Alcuni studiosi attribuiscono a detto interesse una posizione
115
Così ROPPO, Un diritto dei mezzi di comunicazione di massa?, in RCDP,
1983, p. 75 ss. Svolge analoghe considerazioni in relazione alla nascita del diritto
alla riservatezza, AULETTA, “Riservatezza e tutela della personalità”, Milano, 1978,
p. 4 ss.
116
Cassazione 3769/89
60
soggettiva autonoma117 ed altri ritengono che, mancando una base
testuale, si tratta, invece, di un mero risvolto di altri diritti.
La lesione del diritto all’identità ha luogo, come accennato,
allorquando vengono attribuiti al soggetto profili ed eventi che alla
sua personalità non siano riferibili, anche se in un tempo passato lo
siano stati.
Infatti,
circostanza
che
nella
considerazione
sociale
caratterizzano un individuo in una determinata fase della vita non
risultano a tanto idonee in una fase temporale successiva, nel corso
della quale siano intervenuti mutamenti, come, ad esempio, quando
l’autore di condotte riprovevoli, successivamente si ravveda e
perciò si adoperi in attività eticamente commendevoli.
E’ evidente che la divulgazione di vicende trascorse, già di
pubblica conoscenza ma con il passare del tempo non più oggetto di
attenzione da parte della collettività, rappresenta una immagine
sociale alterata dell’individuo, non corrispondente alla veridica
identità. Inoltre, risulta aggredita la sfera di riservatezza in quanto
soltanto a questa appartengono i fatti pregressi ormai cancellati
117
DE CUPIS La verità nel diritto, Firenze, 1952, p. 223 e ZENOZENCOVICH “Identità personale” in Digesto civ. IX, Torino, 1995
61
dalla memoria della collettività.
L’esigenza di evitare che i propri dati possano essere elaborati
da terzi diviene ancora più incalzante allorché i dati siano inseriti
nella rete.
Con tale strumento le informazioni circa la vita privata degli
utenti vengono immagazzinate senza limiti temporali e spaziali e
vengono fatti circolare velocemente a livello planetario e, pertanto,
diventano tendenzialmente insuscettibili di controllo da parte degli
interessati.
Anzi, possono costituire oggetto di intercettazione da parte di
soggetti non autorizzati; tanto che si è reso necessario l’intervento
del legislatore che ha approntato (L. 547/93) una specifica
disciplina di natura penale circa le comunicazioni elettroniche e il
cosiddetto domicilio informatico, sanzionando l’attività sia di colui
che diffonda virus nel sistema, sia di colui che intercetti messaggi o,
come nel caso dei cosiddetti hackers, acceda ad un sistema
informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi
si mantenga contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto ad
escluderlo (art. 615 c.p.).
62
In realtà, gli operatori internet registrano, a vario titolo, le
informazioni relative al soggetto che “naviga” in rete, anche in
maniera occulta mediante l’elaborazione dei cosiddetti “dati di
traffico” e conservano la raccolta ai fini di marketing, rivendendola
a società pubblicitarie.
In tale situazione, soltanto l’esercizio del controllo sui propri
dati, sino ad ottenerne la cancellazione, può garantire118 che non
venga lesa la riservatezza, ma anche la stessa identità personale:
siamo, così all’habeas data.
L’interesse a che non venga pregiudicata la persona sotto il
duplice profilo come ora evidenziato, della riservatezza e della
identità, sostanzia il cosiddetto diritto all’oblio.
La configurabilità, al riguardo, di una autonoma posizione
giuridica, non è pacifica tra gli studiosi.
Alla posizione di coloro che annoverano un autonomo diritto
all’oblio tra i diritti “inviolabilità”, di cui all’art. 2 della
Costituzione119,
si
contrappone
quella
degli
studiosi
che
118
RODOTA’ S., Una scommessa impegnativa sul terreno dei diritti in
www.interlex.it/675rodotà6htm
119
PERLINGERI P., La personalità umana nell’ordinamento giuridico, Napoli,
63
riconducono il diritto all’oblio alla categoria della identità
personale120 o che identificano il diritto all’oblio con il diritto alla
riservatezza121, o che intendono il diritto all’oblio come diritto
all’onore122.
In realtà, il diritto all’oblio, come detto, è riferibile senza
dubbio sia all’area del diritto alla riservatezza, sia nell’area del
diritto all’identità, ma da entrambi si distingue per l’elemento
specializzante costituito dall’oblio che consegue allo scorrere del
tempo.
Il diritto all’oblio non ha per oggetto, così come è per il diritto
alla riservatezza, la sfera privata in generale, bensì una peculiare
riservatezza che potremmo definire “ricostruita” o, se si preferisce”,
“a tempo”, ovvero quella che consta dei fatti privati un tempo
pubblicizzati e, successivamente, sepolti nei meandri dell’oblio.
Parimenti, rileva il fattore tempo, per quanto concerne il
profilo dell’identità personale dal momento che questo, essendo
1972
120
CRIPPA L., Il diritto all’oblio alla ricerca di una autonoma definizione
121
CASSANO G.,Il diritto all’oblio: è diritto alla riservatezza
122
MAZZARACCHIA A., Sul c.d. diritto all’oblio, in Giust. Cost. 1997
64
“costruzione continua”, secondo una espressione del Rodotà123, va
considerata per i valori124 che emergono dopo che i fatti pregressi
sono stati coperti dal manto dell’oblio, secondo una massima che la
Scolastica ha mutato da Aristotele: motus denominatur magis a
termino ad quem quam a termino a quo.
La definizione comunemente usata per il diritto in argomento
appare lessicalmente impropria, o quanto meno, inadeguata.
La preposizione “all’” posta a precedere il termine “oblio” sta a
significare una pretesa a che i terzi dimentichino. Si tratta, tuttavia,
di un evidente paradosso, in quanto l’oblio, essendo un impulso
fisiologico spontaneo, non rientra nella sfera di volontarietà
dell’azione in ordine alla quale possa essere configurato un potere
autoritativo.
Più propriamente, si tratta di un diritto alla non riesumazione
di fatti sottoposti al processo ablatorio determinato dall’oblio.
Non può non evidenziarsi, inoltre, una indeterminatezza dei
contorni stessi del diritto.
123
RODOTA’ S., Persona, riservatezza, identità, prime note sistematiche sulla
protezione dei dati personali, pag. 607
124
Cassazione 978/96
65
Il diritto all’oblio è in dipendenza, come riferito innanzi, di un
elemento positivo, quello del decorso di un lasso di tempo che
importi oblio, nonché in dipendenza di un elemento negativo,
quello della insussistenza di un apprezzabile interesse sociale alla
notizia. Ma il lasso di tempo che importi oblio non ha una
dimensione normativamente definita, a differenza di quanto
avviene per altre fattispecie nelle quali l’ordinamento collega al
decorso di un tempo stabilito il perfezionamento di un determinato
effetto.
Così come accade, ad esempio, in materia di lavoro ove è
previsto l’oblio dei dati del lavoratore (art. 7 del codice in materia
di protezione dei dati personali) dal momento che costui ha diritto
di ottenere la cancellazione delle informazioni contenute nella
banca dati aziendale allo spirare di un termine, quello di
prescrizione dei diritti nascenti dal contratto di lavoro.
Parimenti, in ambito penale, l’oblio del reato e della pena è
regolato sulla scorta del termine delle relative prescrizioni previste,
rispettivamente, negli articoli 157 e seguenti del codice penale e
172-173 del medesimo codice.
Ancora ad un termine certo è legato l’oblio costituito dalla
66
riabilitazione del condannato, di cui all’art. 178 del codice penale, a
quello costituito dalla cancellazione dalla lista protesti.
E nemmeno esistono parametri certi per la valutazione del
livello di oblio essendo indeterminata la dimensione temporale che,
si ripete, ne è il presupposto, nonché per la valutazione della
serietà dell’interesse s ociale alla notizia, essendo artefici di tale
compito, paradossalmente, spesso gli stessi giornalisti.
In tale situazione, si impone la necessità di una oculata
ponderazione da parte dell’interprete, delle circostanze di fatto
relative alla varie fattispecie di oblio, ivi comprese le circostanze
date dal livello di notorietà della persona coinvolta e dalla natura
del mezzo di divulgazione adoperato nel caso, essendo evidente la
diversità di incidenza nella memoria della notizia fornita da un
quotidiano anziché da un libro.
2.3
Il rapporto tra il diritto all’oblio e le altre “libertà”
67
In una società proiettata nell'era dell'innovazione telematica,
una adeguata protezione dei dati personali costituisce l'unica
garanzia idonea a scongiurare il pericolo che le tecnologie emergenti
si traducano in strumenti potenzialmente lesivi della riservatezza
delle persone. Tale esigenza è stata avvertita soprattutto con
riferimento all'attività giornalistica e, più in generale, alla libera
manifestazione
del
pensiero,
che
trovano
entrambe
un
riconoscimento costituzionale nell'art. 21 della Carta fondamentale .
A fronte di tali libertà si situa, in posizione in parte antitetica, il
diritto alla protezione dei dati personali, anch'esso annoverato tra i
diritti di rango costituzionale, in quanto espressione dei diritti e
delle libertà inviolabili di ogni essere umano ai sensi dell'art. 2 della
Costituzione
125:
ed è proprio questo ancoraggio costituzionale che
125
Tale disposizione ha assunto le sembianze di "clausola aperta", a
salvaguardia dei diritti emergenti dell'individuo, indispensabili al libero e completo
svolgimento della personalità umana, anche se non espressamente disciplinati nella
Carta costituzionale. La riservatezza trova comunque completamento, a livello
costituzionale, negli artt. 13 sulla libertà individuale, 14 su quella domiciliare, 15
sulla segretezza della corrispondenza, 21 sulla libertà di manifestazione del pensiero,
e si configura come un diritto esperibile nei confronti di chiunque tratti dati
personali, sia esso soggetto pubblico o privato. Tale indirizzo interpretativo discende
da una crescente valorizzazione degli esseri umani, nonché dei diritti e dei doveri ad
essi correlati, che si traduce in una visione antropocentrica dei testi normativi a tutto
vantaggio del singolo. In effetti, una tale concezione sembra aver ispirato anche il
legislatore all'atto della stesura del D.Lgs. n. 196/2003, che ha significativamente
68
consente di operare un bilanciamento tra le due posizioni giuridiche
in conflitto.
Nell’articolo 21 della Costituzione, come detto, è tutelata la
libertà di manifestazione, nonché di diffusione del pensiero quale
che sia la natura dei mezzi adoperati, quando anche questi vengano
concretizzati attraverso una mera presenza corporea come, ad
esempio, nell’ipotesi dei sit-in; e la tutela è anche in senso negativo,
nella forma del silenzio, nel senso del generale diritto di tacere, al
quale si sottrae soltanto colui che ha la veste di testimone, nei limiti,
ovviamente, di cui agli artt. 199 e segg. del codice di procedura
penale.
Si tratta della stessa tutela proclamata dall’art. 10 della
Convenzione Europea dei diritti dell’uomo per questa forma di
libertà, che la Corte Costituzionale ha definito
“pietra angolare
rubricato l'art. 1 come "Diritto alla protezione dei dati personali", evidenziando così
una tutela a tutto campo dei dati personali, non più limitata alla riservatezza nei suoi
termini essenziali (rectius nel diritto ad essere lasciato solo), ma che si estende alla
persona nel suo complesso. Ciò si traduce nella c.d. autodeterminazione informativa,
intesa quale diritto ad una corretta (ri)costruzione o rappresentazione della propria
identità, che non può essere soddisfatta con il semplice diritto alla riservatezza, ma si
arricchisce con ulteriori facoltà volte a controllare la forma, la consistenza e la
circolazione delle informazioni personali (v. infra). Per ulteriori approfondimenti, si
consulti MODUGNO F, I "nuovi diritti" nella giurisprudenza costituzionale, Torino,
1995, 20; S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 102
69
dell’ordine democratico”, evidentemente nella prospettiva secondo
la quale tutte le libertà previste non avrebbero significato se non
fosse, innanzitutto, garantita la libera circolazione delle idee, dei
sentimenti, delle valutazioni che orientano le scelte di vita.
La tutela è anche nei confronti delle persone giuridiche e, per
assetto giurisprudenziale, ovviamente anche nei confronti degli
stranieri.
L’ampiezza della tutela è corroborata dalla previsione del
divieto di imporre autorizzazioni o censure per la stampa (principale
mezzo di informazione all’epoca del varo della Costituzione), nonché
dal divieto, che era già stato previsto invero, dal d.lgs. 561/46, di
sequestro salvo che nel caso di delitto a mezzo stampa
espressamente previsto; l’unico limite è costituito dal divieto di
“manifestazioni contrarie al buon costume”.
Tale vincolo è stato oggetto di ampie discussioni volte a
definirne la portata, inevitabilmente condizionata dalle evoluzioni
etiche del tempo e, tuttavia, immutata la lettera della norma,
l’orientamento della Corte Costituzionale è nel senso di ricondurre la
nozione di “buon costume” essenzialmente alla sfera del pudore
sessuale.
70
Ulteriore limite, oltre a quello della contrarietà al buon costume
posto dalla Costituzione in via preventiva e in generale, sono,
secondo quanto di seguito, intrinseci alle varie forme di
manifestazione del pensiero.
La cronaca costituisce una delle possibili estrinsecazioni della
libertà sancita nell’art. 21 della Costituzione.
Essa risponde ad un interesse della collettività all’informazione,
tanto da poter essere considerata come servizio oggettivamente
pubblico o di pubblico interesse .
Le condizioni per l’esercizio della cronaca sono date
fondamentalmente dall’esigenza che la notizia sia autentica e
veridica, che esista un interesse pubblico alla divulgazione dei fatti,
che le espressioni usate siano corrette, come posto in evidenza dalla
famosa spentamente della Cassazione nota come “decalogo del
giornalista“ .
Quanto alla veridicità e autenticità della notizia, premesso che il
rispetto di tale requisito costituisce un “obbligo inderogabile” per il
giornalista, secondo il disposto dell’art. 2 comma 1 della legge
69/63, obbligo da ritenersi esteso, ex art. 137 del codice in materia
71
di protezione dei dati personali, a chiunque manifesti il proprio
pensiero sui mezzi di diffusione, va evidenziato che il giornalista è
tenuto ad operare una scelta oculata delle fonti informative e ad
effettuare una valutazione rigorosa circa la loro attendibilità, anche
interpellando, quando possibile e necessario, la persona che dalla
pubblicazione potrebbe essere lesa, onde poter attingere dalla stessa
eventuali spiegazioni e precisazioni.
Soltanto in seguito a tale diligente comportamento appare
giustificabile la cosiddetta verità putativa in luogo di quella reale.
Coessenziale alla “verità” della notizia è la completezza della
stessa, in quanto “una notizia monca od incompleta (…) può ledere
l’onorabilità dell’interessato e la proiezione sociale della sua
personalità”
e, tra l’altro, vanificare la legittima aspettativa dei
cittadini di ricevere informazioni corrette.
La notizia, perché possa esserne lecita la diffusione, deve
rispondere all’esigenza di un interesse pubblico alla conoscenza,
secondo il principio cosiddetto della “pertinenza”, nel senso che
l’interesse deve avere una effettiva rilevanza sociale sotto il profilo
politico, storico, culturale, scientifico, etc. e non essere quello diretto
a soddisfare piccole curiosità.
72
La “pertinenza” va accertata, ovviamente, secondo il parametro
della contemporaneità (ossia dell’attualità) tra fatto e informazione
nonché secondo criteri desumibili dalle concrete circostanze, tra le
quali, non ultima, la posizione rivestita dalle persone coinvolte.
E’ evidente, infatti, che l’informazione può assumere una
dimensione diversa quando essa riguardi, ad esempio, uomini
politici.
Costoro non agiscono uti singuli, ma come rappresentanti delle
istituzioni e, pertanto, l’informazione circa il loro operato, purché
ovviamente attinente alla carica ricoperta, non può avere zone
d’ombra stante l’interesse del cittadino a giudicare circa la serietà
con la quale viene svolto il mandato.
In quest’ottica appare lecita anche la pubblicazione di
intercettazioni telefoniche disposte per fini investigativi, secondo le
modalità, tuttavia, imposte dal Garante della privacy e nei limiti
richiamati dallo stesso Garante, derivanti dal disposto di cui agli
articoli 114 e 329 del codice di procedura penale.
Con riferimento alla accennata necessità che la esposizione dei
fatti sia strettamente funzionale alla ricostruzione degli stessi
secondo un criterio di essenzialità , va evidenziato che malgrado
73
possa essere attinti dati senza il consenso dell’interessato quando
essi provengano da “pubblici registri, elenchi e documenti
conoscibili da chiunque” , malgrado le deroghe di cui all’art. 1 del
codice di deontologia dei giornalisti, deroghe già previste dall’art. 9
della direttiva CE 95/46, relative al trattamento dei dati senza il
consenso dell’interessato, peraltro sempre indispensabile per i dati
“super sensibili” (salute e orientamento sessuale), è da evitare la
pubblicazione dei dati identificativi dei protagonisti ove questi non
rilevino ai fini della comprensione della vicenda e che comunque, vi
è “indisponibilità” della informazione in ragione delle finalità di cui
all’art. 6 comma 1 del codice di deontologia dei giornalisti, che
deriva dall’attuazione della direttiva CE ultimamente richiamata.
I limiti e gli obblighi connessi al diritto di cronaca, ora riferiti,
tralasciando
di
considerare,
nell’economia
della
presente
trattazione, gli altri dati dall’istituto della proprietà letteraria,
artistica e industriale, da segreti d’indole pubblicistica, da tutela
dell’ordine pubblico, sono quelli che, per la loro interferenza con i
diritti della persona, costituiscono una barriera di protezione per tali
diritti, in particolare per la sfera di riservatezza personale.
In tale ottica, appare sancito l’obbligo di rettifica che incombe
74
sul giornalista, già previsto dall’art. 8 della legge sulla stampa (L.
47/48) come modificato dalla legge 416/81, esteso, poi alla
radiotelevisione mediante l’art. 10 della L. 223/90.
La cronaca, allorché di natura giudiziaria, per le sue peculiarità,
induce una sorta di compressione sul diritto all’oblio.
Questo diritto trae la sua ragion d’essere dal fatto che notizie
personali divenute pubbliche in un determinato momento cessano di
essere tali poiché caducate dall’oblio, ma le vicende oggetto di
procedimento penale non perdono la caratteristica della pubblicità,
nemmeno dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
Anche gli atti relativi a procedimento celebrato a porte chiuse
che siano stati sottoposti dal Giudice a divieto di pubblicazione e
relegati negli archivi, sono comunque pubblici in una proiezione
temporale permanente dopo la scadenza del termine previsto dalla
legge sugli archivi di Stato (art. 21 DPR 1409/63). Va anche
evidenziato che la cronaca giudiziaria, oltre a rispondere ai requisiti
di verità, di pertinenza, di continenza della forma, deve essere
ispirata al principio costituzionale (art. 27 della Costituzione) di non
colpevolezza dell’imputato e che, tuttavia, dilagano sempre più
frequentemente, purtroppo, ricostruzioni spettacolari di vicende
75
giudiziarie attraverso il mezzo televisivo e internet, ove nel “foro
mediatico” viene addirittura elaborato il materiale probatorio ad
opera di personaggi più o meno noti, sino al punto che la “verità
virtuale” diventa dominante in sprezzo del ricordato principio di
non colpevolezza.
Diversamente dal diritto di cronaca, imperniato essenzialmente
sulla narrazione dei fatti, la critica presuppone valutazioni e giudizi
che necessariamente, per la loro intrinseca natura, non possono
essere obiettivi. Pertanto, purché non si tratti di mere aggressioni
gratuite in danno del soggetto interessato, i giudizi di dissenso,
quand’anche inquietanti perché contenenti “toni aspri e di
disapprovazione pungenti ed incisivi” , vanno ritenuti ammissibili in
ragione del principio di pluralismo delle idee proprio di una società
democratica.
Il
compito
di
bilanciamento
si
impone
all’interprete,
ovviamente, soprattutto e con estrema delicatezza, nell’ipotesi di
confliggenza dei diritti della persona con le varie forme di
manifestazione del pensiero.
Trattasi di diritti, in entrambi i casi, di rilievo costituzionale e
76
manca una regola precostituita per il relativo coordinamento.
Soccorre, allora, un giudizio di valore circa la preminenza di uno
dei diritti rispetto ad altri, basato sull’analisi degli elementi di fatto
in una ottica di tendenziale oggettività.
Nell’ipotesi della cronaca, nel giudizio di valore appare rilevante
il grado di verità del quale è permeata la notizia.
Infatti, la cronaca ha in sé la giustificazione rappresentata dal
fine al quale essa è preordinata: quello della narrazione dei fatti
nella loro realtà.
Ciò posto, va considerato se la cronaca, ove non imperniata
sulla cosiddetta verità oggettiva, riguardi la persona nella sua
globalità oppure soltanto aspetti marginali della stessa, tanto da
poter essere ritenuto, secondo il tenore di numerosa giurisprudenza,
preminente, in quest’ultimo caso, il diritto di cronaca.
Più difficile appare l’opera di bilanciamento con riferimento al
diritto di critica, avendo tale diritto confini molto ampi.
Non soccorre, nella fattispecie, il criterio della veridicità della
notizia se non come fatto presupposto alla critica.
L’unico parametro di riferimento è dato dal valutare se il
giudizio del critico è fondato o meno, su una premeditata alterazione
77
dei fatti o sulla attribuzione di fatti non veri o veri ma
decontestualizzati, con volontario intento denigratorio.
Per quanto concerne la satira, va premesso che essa ha natura
ibrida in quanto costituisce per un verso espressione della libertà di
manifestazione del pensiero, mentre, per altro verso, essa appare un
aspetto della libertà di creazione artistica; pertanto si riscontrano,
corrispondentemente, posizioni dottrinarie contrastanti.
Secondo alcuni autori la satira sottintende comunque un
messaggio ed è, pertanto, assimilabile alla critica, mentre, per altri
essa non può essere percepita come fonte di informazione stante la
evidente inverosimiglianza e deformazione delle rappresentazioni.
In realtà, può esservi talvolta uno stretto collegamento tra la
satira e l’informazione ove, ad esempio, bersaglio diretto della satira
è la notizia rappresentata in un articolo di giornale e, in tal caso, il
criterio di bilanciamento è dato dalla valutazione della verità della
notizia.
Ove, invece, prevalga l’opera di elaborazione artistica, è la
libertà creativa dell’artista che assume preminenza.
Tuttavia, occorre precisare anche che la elaborazione artistica
può, a sua volta, talora assumere i tondi della denuncia, come nel
78
caso dei documentari, nei quali la realtà si interseca con la fantasia
senza distinzione tra verità verosimiglianza.
Risulta allora fondamentale accertare se, e con quanta
incidenza, alla base della rappresentazione artistica siano assunti
fatti non veri o se, invece, l’opera sia frutto prevalente di fantasia con
richiami marginali delle vicende reali.
I criteri secondo i quali può essere operato dall’interprete il
bilanciamento tra il diritto all’oblio e la libertà con la quale è
manifestato
il
pensiero
nelle
varie
forme
possibili
sono
intrinsecamente indeterminati.
Ciò rende arduo il compito della ricerca del punto di equilibrio
tra i contrapposti interessi, considerato che ciascuno di questi è, con
pari grado di intensità, fattore propulsivo del “pieno sviluppo” (art. 3
della Costituzione) dell’individuo nella collettività, essendo il bene
valore della persona fondato senza dubbio sull’interesse alla
riservatezza e all’oblio ma non di meno sulla libertà di
manifestazione e diffusione del pensiero nell’ambito sociale, del
quale si è necessariamente partecipi e che costituisce il cardine del
regime di democrazia.
79
Nel settore della comunicazione emerge dunque il problema di
determinare l'oscillante limite intercorrente tra la tutela della
privacy e il diritto all'informazione: diritti speculari e riconosciuti
anche a livello europeo e internazionale (a partire dalla
Dichiarazione universale dei diritti umani e dalla CEDU fino alla
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, solo per citare gli
strumenti più rappresentativi) in quanto espressione di una società
democratica, che nella realtà sono in continua tensione.
Il diritto dei cittadini ad essere informati, così come il diritto di
informare, ineludibile corollario della libertà di espressione, ed
anche la trasparenza della pubblica amministrazione, non possono
degradare il diritto alla protezione dei dati personali. Diritto,
peraltro, che non esaurisce semplicemente nella pretesa erga omnes
a proteggere e mantenere riservata una sfera intangibile di intimità
dell'individuo da possibili ingerenze altrui non giustificate da
superiori interessi (concezione statica), ma si estende ben oltre gli
angusti confini di quella che comunemente si definisce privacy. La
protezione dei dati personali di distingue concettualmente e non si
esaurisce nella tutela della riservatezza, essendo volta a preservare
anche l'identità personale, cioè l'interesse del soggetto ad una esatta
80
percezione sociale della propria personalità che si concretizza nella
libertà di mantenere il controllo sul flusso dei dati e delle
informazioni che riguardano e identificano l'individuo (concezione
dinamica)126, in modo che l'informazione oggetto di trattamento
rispecchi fedelmente e, quindi, correttamente, l'attuale, integrale ed
effettiva identità personale dell'interessato, aggiornata secondo
l'immagine dallo stesso proiettata nel mondo delle relazioni sociali.
In tale quadro, assume rilevanza l'esigenza dell'interessato a
non vedere riprodotte nel tempo informazioni che lo riguardano, il
cui ricordo ha progressivamente assunto contorni evanescenti fino a
sbiadire dalla memoria collettiva: emerge cioè il problema di
dirimere il conflitto insorgente tra l'interesse di chi è stato oggetto di
attenzione mediatica, e intende ritornare nell'anonimato, perché è
quella rappresentazione di se stesso che corrisponde alla sua attuale
identità, e l'interesse pubblico. In effetti, sebbene sia tutelata la
126
L'identità personale costituisce quindi "un bene per sé medesima,
indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del
soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia
preservata". Essa si esplicita nel diritto ad essere se stesso, che esige il rispetto
dell'immagine di partecipe alla vita associata, con il bagaglio di idee ed esperienze,
convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo
stesso qualificano, l'individuo, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, sentenza
24 gennaio-3 febbraio 1994, n. 13. Sul concetto di identità personale e la sua
evoluzione nel tempo, si rinvia più diffusamente a FINOCCHIARO G., Voce
Identità personale (diritto alla), in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. civ.,
Agg., Torino, 2010
81
possibilità
di
diffondere
informazioni
attraverso
il
mezzo
informatico, una determinata notizia specialmente se riproposta
attraverso dei meccanismi tipici della rete internet su diversi motori
di ricerca e su copiosi siti internet, rimane all’interno della rete un
tempo effettivamente imprecisato. Gli algoritmi utilizzati dai motori
di ricerca di ultima generazione di cui Google rappresenta l’esempio
più lampante riescono ad individuare all’interno della rete notizie o
più in generale contenuti durante un intervallo di tempo
decisamente molto lungo. Esistono poi delle copie127 degli stessi siti
127
Con il termine copia chache, nello specifico, si fa riferimento ad una copia
del sito internet che viene archiviata e consente la visualizzazione di un sito internet
prima di eventuali modifiche avvenute sul sito internet stesso o, ad esempio, anche
dopo la rimozione di un determinato contenuto. La cache è un archivio, nel quale
sono conservate copie di altri documenti. Tutti i programmi con cui ci colleghiamo a
internet, cioè i browser come Internet Explorer, Firefox e Chrome, ne hanno una e la
usano per conservare una copia di tutte le pagine che visitiamo: in questo modo, se
torniamo a un sito già visitato in precedenza, il browser potrà sfruttare la copia nella
cache per caricarlo più velocemente. A noi, però, non interessa la cache dei browser,
almeno oggi, per cui possiamo procedere oltre e arrivare alla cache di Google.
Google utilizza la propria cache per archiviare una copia di tutte le pagine presenti
nel suo indice: la cache è quindi un archivio di tutti i documenti che Google è in
grado di cercare. Il funzionamento è piuttosto semplice. Google al momento è il
principale motore di ricerca della Rete; per poter cercare, però, ha bisogno prima di
tutto di conoscere il contenuto della Rete: i nomi dei siti presenti, il contenuto delle
loro pagine e così via. Per ottenere queste informazioni, Google utilizza alcuni
programmi automatici, i bot (detti anche "ragni", per ovvia analogia con il Web), che
eseguono un "censimento" della Rete: saltando da una pagina all'altra, ne copiano il
contenuto e lo inoltrano a Google stesso. Una volta arrivato a destinazione, il
contenuto delle pagine è indicizzato, ossia è catalogato nell'archivio di Google in
base a elementi come argomento, parole chiave e così via. Quando noi eseguiamo
una ricerca, Google sfoglia il contenuto del suo archivio e ci restituisce le pagine che
più si avvicinano a ciò che noi staimo cercando, in base alle informazioni in suo
82
internet in grado di memorizzare dei dati anche se questi vengano
rimossi da un determinato portale. Da qui la genesi delle
problematiche che verranno trattate nel corso del presente
elaborato. L’individuo se da un lato deve esercitare il suo diritto ad
informare ed essere informato deve vedere rispettato anche il diritto
alla riservatezza che potrebbe sostanziarsi quasi sicuramente anche
nel diritto a essere dimenticato, ovvero alla rimozione di alcune
notizie nel momento in cui le stesse non risultano essere eclatanti o
comunque si riferiscano a dei momenti che hanno caratterizzato
l’esistenza di un determinato soggetto diverso tempo addietro.
2.4 L’evoluzione giurisprudenziale e “di prassi” del diritto
all’oblio
Il diritto all’oblio è sempre stato all'attenzione del Garante per
la protezione dei dati personali fin dalla sua istituzione. All'esito
possesso.
83
della trattazione di un ricorso relativo alla persistenza in rete,
amplificata dai motori di ricerca, di notizie pregiudizievoli per
l'attività di un soggetto imprenditoriale che era stato destinatario di
una sanzione per pubblicità ingannevole, il Garante nel 2004
prescrisse al titolare del trattamento l'adozione di accorgimenti
tecnici per mitigare gli effetti della pubblicazione online di notizie
sulle sanzioni comminate 128
quando la finalità originaria della
pubblicazione online, ammonitoria e informativa, era venuta meno.
Scopo del provvedimento del Garante era evitare che si
realizzasse una sorta di gogna permanente, laddove la pubblicazione
per estratto di certe decisioni o sentenze viene tuttora prevista, nel
nostro ordinamento, quale pena accessoria, in presenza di un lungo
periodo di tempo trascorso dalla sanzione e dal ravvedimento
dell'operatore economico.
In base al principio del diritto all'oblio sono stati poi trattati
dall'Autorità italiana numerosi casi relativi alla ripubblicazione di
notizie negli “archivi storici online” dei maggiori quotidiani
nazionali.
128
http://www.gpdp.it/web/guest/home/docweb/-/docwebdisplay/docweb/1116068.
84
Nei provvedimenti in tema di diritto all'oblio qui citati, e in altri
nel tempo adottati, il Garante ha prescritto quale strumento tecnico
per adempiere il ricorso al Robots Exclusion Protocol129, misura
idonea, nella maggior parte dei casi, a sottrarre all'indicizzazione da
parte dei motori di ricerca le informazioni riferibili a interessati la
cui diffusione doveva essere limitata. Sono stati trattati così dei casi
di pubblicazione di archivi storici di quotidiani e riviste, di diffusione
di informazioni personali da parte di soggetti pubblici sulla base di
interpretazioni estensive delle norme in tema di trasparenza in
ambito pubblico, di pubblicazione di notizie inaccurate o non
aggiornate, e perciò lesive della dignità di persone, su quotidiani o
riviste online.
129
Il REP non è un vero protocollo, né standard cui l'industria del software
debba necessariamente attenersi. Non vi è quindi garanzia, pur in presenza di una
corretta configurazione del robots.txt, che una certa pagina non venga indicizzata da
un qualsiasi motore di ricerca, se la si vuole mantenere comunque accessibile via
web a un pubblico indeterminato.
D'altra parte, anche i più avanzati motori di ricerca non rispettano pienamente
il REP, limitando in molti casi l'efficacia dello strumento e sminuendone
l'importanza.
Per quanto riguarda Google, le azioni per limitare l'indicizzazione dei
contenuti di siti online si sono basate sulla conformità del motore di ricerca al REP,
anche se il livello di compliance è stato soltanto parziale. Probabilmente
un'applicazione più rigorosa e più efficace del REP avrebbe permesso una più
agevole modulazione della visibilità di alcune informazioni nei risultati di ricerca e
avrebbe consentito all'azienda di non subire gli effetti di una decisione molto severa
e di difficile attuazione come quella recente della Corte di giustizia UE con cui
l'azienda americana, insieme ad altre parimenti interessate, si sta confrontando in
queste settimane.
85
Il diritto all’oblio si configura quindi come il diritto di un
soggetto a non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende,
già legittimamente pubblicate, rispetto all'accadimento delle quali è
trascorso un notevole lasso di tempo.
Il diritto all'oblio, in questa accezione, è relativo a vicende che
hanno costituito fatti di cronaca o comunque in relazione alle quali la
pubblicizzazione, cioè la fuoruscita dalla sfera della riservatezza
degli interessati, era da considerarsi lecita. Il problema è “se la
persona o le vicende legittimamente pubblicizzate possano sempre
costituire oggetto di nuova pubblicizzazione o se, invece, il
trascorrere del tempo e il mutamento delle situazioni non la
rendano illecita”130. Il diritto all'oblio, come magistralmente è stato
scritto, appartiene “alle ragioni e ‘alle regioni' del diritto alla
riservatezza” 131.
Il tempo gioca un ruolo importante anche qualora non si tratti
di eventi di cronaca, ma di eventi in relazione ai quali un periodo
significativo sia ormai trascorso e invece manchino elementi di
contestualizzazione nel tempo. In questi casi, la giurisprudenza ha
ravvisato la violazione del diritto all'identità personale.
130
AA.VV., Il diritto all'oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997,
Gabrielli (a cura di), Napoli, 1999
131
MORELLI, voce Oblio (diritto all'), in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002;
86
Questa nozione chiaramente muta a seguito della continua
evoluzione tecnologica. Infatti, in Rete la ripubblicazione non è più
necessaria, dal momento che per la stessa organizzazione
dell'informazione nella Rete l'informazione non è cancellata, ma
permane disponibile o quanto meno astrattamente disponibile. In
altri termini, non si tratta solo o necessariamente di una
ripubblicazione dell'informazione, ma piuttosto di una permanenza
della stessa nella Rete. Muta dunque il ruolo che gioca il tempo e
muta l'esigenza che si vuole soddisfare.
Il tempo da considerare non è più quello trascorso tra la
pubblicazione dell'informazione e la ripubblicazione, ma quello
trascorso dal tempo della pubblicazione che perdura.
Occorre sottolineare come l'incertezza di giurisdizione e la
possibilità di sovrapposizione e conflitto tra differenti giurisdizioni
hanno fatto considerare per anni poco praticabile l'imposizione in
capo ai gestori dei motori di ricerca di obblighi di espungere dai
rispettivi indici i riferimenti a notizie che permangano online, pur
ledendo diritti degli interessati cui si riferiscono, su sistemi di
pubblicazione sottratti alla capacità di intervento delle DPA europee.
D'altra parte l'orientamento delle autorità europee di protezione dei
87
dati personali, riunite nel Working Party istituito dall'Art. 29 della
direttiva 46/95/EU (WP29), rispetto alla titolarità del trattamento
dei dati personali è stato costantemente in favore dell'assenza di
responsabilità del motore di ricerca, essendo la titolarità del
trattamento incardinata sul soggetto che pubblica il contenuto online
nella sua forma originaria Lo stesso articolo 14 della Direttiva
95/46/CE disciplina il diritto di opposizione della persona
interessata e dispone che “gli Stati membri riconoscono alla persona
interessata il diritto: a) almeno nei casi di cui all'articolo 7, lettere e)
e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e
legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di
dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla
normativa nazionale. In caso di opposizione giustificata il
trattamento effettuato dal responsabile non può più riguardare tali
dati”132 Come detto poc’anzi, dall’applicazione del diritto all’oblio può
Così l'art. 7:“Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali
può essere effettuato soltanto quando: e) è necessario per l'esecuzione di un compito
di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il
responsabile del trattamento o il terzo a cui vengono comunicati i dati, oppure f) è
necessario per il perseguimento dell'interesse legittimo del responsabile del
trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che
non prevalgano l'interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona
interessata, che richiedono tutela ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1”.
132
88
dipendere la libertà di determinarsi autonomamente, di potersi
dispiegare pienamente le potenzialità di ognuno; la liberazione dal
passato diviene anche il modo per ricostruire condizioni di
imprevedibilità. A nessuno deve essere negata la possibilità del
ravvedimento e del riscatto, di cui è prova sociale il mancato
ripetersi nel tempo di comportamenti incriminati. Il diritto all’oblio
rende reale questa possibilità, ponendo davanti agli occhi altrui un
velo di ignoranza al riparo dal quale si può tornare ad agire come se
quel passato non fosse mai stato.
CAPITOLO TERZO
3 DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTI DELLA PERSONALITA’
89
3.1
L’emersione
di
nuovi
diritti
della
personalità:
in
particolare, il diritto ad essere dimenticato
In una società proiettata nell'era dell'innovazione telematica, una
adeguata protezione dei dati personali costituisce l'unica garanzia
idonea a scongiurare il pericolo che le tecnologie emergenti si
traducano in strumenti potenzialmente lesivi della riservatezza delle
persone. Tale esigenza è stata avvertita soprattutto con riferimento
all'attività giornalistica e, più in generale, alla libera manifestazione
del
pensiero,
che
trovano
entrambe
un
riconoscimento
costituzionale nell'art. 21 della Carta fondamentale .
A fronte di tali libertà si situa, in posizione in parte antitetica, il
diritto alla protezione dei dati personali, anch'esso annoverato tra i
diritti di rango costituzionale, in quanto espressione dei diritti e
delle libertà inviolabili di ogni essere umano ai sensi dell'art. 2 della
Costituzione
133:
ed è proprio questo ancoraggio costituzionale che
133
Tale disposizione ha assunto le sembianze di "clausola aperta", a
salvaguardia dei diritti emergenti dell'individuo, indispensabili al libero e completo
svolgimento della personalità umana, anche se non espressamente disciplinati nella
Carta costituzionale. La riservatezza trova comunque completamento, a livello
costituzionale, negli artt. 13 sulla libertà individuale, 14 su quella domiciliare, 15
sulla segretezza della corrispondenza, 21 sulla libertà di manifestazione del pensiero,
e si configura come un diritto esperibile nei confronti di chiunque tratti dati
personali, sia esso soggetto pubblico o privato. Tale indirizzo interpretativo discende
da una crescente valorizzazione degli esseri umani, nonché dei diritti e dei doveri ad
90
consente di operare un bilanciamento tra le due posizioni giuridiche
in conflitto.
Nel settore della comunicazione emerge dunque il problema di
determinare l'oscillante limite intercorrente tra la tutela della
privacy e il diritto all'informazione: diritti speculari e riconosciuti
anche a livello europeo e internazionale (a partire dalla
Dichiarazione universale dei diritti umani e dalla CEDU fino alla
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, solo per citare gli
strumenti più rappresentativi) in quanto espressione di una società
democratica, che nella realtà sono in continua tensione.
Il diritto dei cittadini ad essere informati, così come il diritto di
informare, ineludibile corollario della libertà di espressione, ed
anche la trasparenza della pubblica amministrazione, non possono
degradare il diritto alla protezione dei dati personali. Diritto,
peraltro, che non esaurisce semplicemente nella pretesa erga omnes
essi correlati, che si traduce in una visione antropocentrica dei testi normativi a tutto
vantaggio del singolo. In effetti, una tale concezione sembra aver ispirato anche il
legislatore all'atto della stesura del D.Lgs. n. 196/2003, che ha significativamente
rubricato l'art. 1 come "Diritto alla protezione dei dati personali", evidenziando così
una tutela a tutto campo dei dati personali, non più limitata alla riservatezza nei suoi
termini essenziali (rectius nel diritto ad essere lasciato solo), ma che si estende alla
persona nel suo complesso. Ciò si traduce nella c.d. autodeterminazione informativa,
intesa quale diritto ad una corretta (ri)costruzione o rappresentazione della propria
identità, che non può essere soddisfatta con il semplice diritto alla riservatezza, ma si
arricchisce con ulteriori facoltà volte a controllare la forma, la consistenza e la
circolazione delle informazioni personali (v. infra). Per ulteriori approfondimenti, si
consulti MODUGNO F, I "nuovi diritti" nella giurisprudenza costituzionale, Torino,
1995, 20; S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 102
91
a proteggere e mantenere riservata una sfera intangibile di intimità
dell'individuo da possibili ingerenze altrui non giustificate da
superiori interessi (concezione statica), ma si estende ben oltre gli
angusti confini di quella che comunemente si definisce privacy. La
protezione dei dati personali di distingue concettualmente e non si
esaurisce nella tutela della riservatezza, essendo volta a preservare
anche l'identità personale, cioè l'interesse del soggetto ad una esatta
percezione sociale della propria personalità che si concretizza nella
libertà di mantenere il controllo sul flusso dei dati e delle
informazioni che riguardano e identificano l'individuo (concezione
dinamica)134, in modo che l'informazione oggetto di trattamento
rispecchi fedelmente e, quindi, correttamente, l'attuale, integrale ed
effettiva identità personale dell'interessato, aggiornata secondo
l'immagine dallo stesso proiettata nel mondo delle relazioni sociali.
In tale quadro, assume rilevanza l'esigenza dell'interessato a non
134
L'identità personale costituisce quindi "un bene per sé medesima,
indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del
soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia
preservata". Essa si esplicita nel diritto ad essere se stesso, che esige il rispetto
dell'immagine di partecipe alla vita associata, con il bagaglio di idee ed esperienze,
convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo
stesso qualificano, l'individuo, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, sentenza
24 gennaio-3 febbraio 1994, n. 13. Sul concetto di identità personale e la sua
evoluzione nel tempo, si rinvia più diffusamente a FINOCCHIARO G., Voce
Identità personale (diritto alla), in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. civ.,
Agg., Torino, 2010
92
vedere riprodotte nel tempo informazioni che lo riguardano, il cui
ricordo ha progressivamente assunto contorni evanescenti fino a
sbiadire dalla memoria collettiva: emerge cioè il problema di
dirimere il conflitto insorgente tra l'interesse di chi è stato oggetto di
attenzione mediatica, e intende ritornare nell'anonimato, perché è
quella rappresentazione di se stesso che corrisponde alla sua attuale
identità, e l'interesse pubblico. In effetti, sebbene sia tutelata la
possibilità
di
diffondere
informazioni
attraverso
il
mezzo
informatico, una determinata notizia specialmente se riproposta
attraverso dei meccanismi tipici della rete internet su diversi motori
di ricerca e su copiosi siti internet, rimane all’interno della rete un
tempo effettivamente imprecisato. Gli algoritmi utilizzati dai motori
di ricerca di ultima generazione di cui Google rappresenta l’esempio
più lampante riescono ad individuare all’interno della rete notizie o
più in generale contenuti durante un intervallo di tempo
decisamente molto lungo. Esistono poi delle copie135 degli stessi siti
135
Con il termine copia chache, nello specifico, si fa riferimento ad una copia
del sito internet che viene archiviata e consente la visualizzazione di un sito internet
prima di eventuali modifiche avvenute sul sito internet stesso o, ad esempio, anche
dopo la rimozione di un determinato contenuto. La cache è un archivio, nel quale
sono conservate copie di altri documenti. Tutti i programmi con cui ci colleghiamo a
internet, cioè i browser come Internet Explorer, Firefox e Chrome, ne hanno una e la
usano per conservare una copia di tutte le pagine che visitiamo: in questo modo, se
torniamo a un sito già visitato in precedenza, il browser potrà sfruttare la copia nella
cache per caricarlo più velocemente. A noi, però, non interessa la cache dei browser,
93
internet in grado di memorizzare dei dati anche se questi vengano
rimossi da un determinato portale. Da qui la genesi delle
problematiche che verranno trattate nel corso del presente
elaborato. L’individuo se da un lato deve esercitare il suo diritto ad
informare ed essere informato deve vedere rispettato anche il diritto
alla riservatezza che potrebbe sostanziarsi quasi sicuramente anche
nel diritto a essere dimenticato, ovvero alla rimozione di alcune
notizie nel momento in cui le stesse non risultano essere eclatanti o
comunque si riferiscano a dei momenti che hanno caratterizzato
l’esistenza di un determinato soggetto diverso tempo addietro.
Proprio il diritto all’oblio è sempre stato all'attenzione del Garante
per la protezione dei dati personali fin dalla sua istituzione. All'esito
della trattazione di un ricorso relativo alla persistenza in rete,
almeno oggi, per cui possiamo procedere oltre e arrivare alla cache di Google.
Google utilizza la propria cache per archiviare una copia di tutte le pagine presenti
nel suo indice: la cache è quindi un archivio di tutti i documenti che Google è in
grado di cercare. Il funzionamento è piuttosto semplice. Google al momento è il
principale motore di ricerca della Rete; per poter cercare, però, ha bisogno prima di
tutto di conoscere il contenuto della Rete: i nomi dei siti presenti, il contenuto delle
loro pagine e così via. Per ottenere queste informazioni, Google utilizza alcuni
programmi automatici, i bot (detti anche "ragni", per ovvia analogia con il Web), che
eseguono un "censimento" della Rete: saltando da una pagina all'altra, ne copiano il
contenuto e lo inoltrano a Google stesso. Una volta arrivato a destinazione, il
contenuto delle pagine è indicizzato, ossia è catalogato nell'archivio di Google in
base a elementi come argomento, parole chiave e così via. Quando noi eseguiamo
una ricerca, Google sfoglia il contenuto del suo archivio e ci restituisce le pagine che
più si avvicinano a ciò che noi staimo cercando, in base alle informazioni in suo
possesso.
94
amplificata dai motori di ricerca, di notizie pregiudizievoli per
l'attività di un soggetto imprenditoriale che era stato destinatario di
una sanzione per pubblicità ingannevole, il Garante nel 2004
prescrisse al titolare del trattamento l'adozione di accorgimenti
tecnici per mitigare gli effetti della pubblicazione online di notizie
sulle sanzioni comminate 136
quando la finalità originaria della
pubblicazione online, ammonitoria e informativa, era venuta meno.
Scopo del provvedimento del Garante era evitare che si realizzasse
una sorta di gogna permanente, laddove la pubblicazione per
estratto di certe decisioni o sentenze viene tuttora prevista, nel
nostro ordinamento, quale pena accessoria, in presenza di un lungo
periodo di tempo trascorso dalla sanzione e dal ravvedimento
dell'operatore economico.
In base al principio del diritto all'oblio sono stati poi trattati
dall'Autorità italiana numerosi casi relativi alla ripubblicazione di
notizie negli “archivi storici online” dei maggiori quotidiani
nazionali.
Nei provvedimenti in tema di diritto all'oblio qui citati, e in altri nel
tempo adottati, il Garante ha prescritto quale strumento tecnico per
136
http://www.gpdp.it/web/guest/home/docweb/-/docwebdisplay/docweb/1116068.
95
adempiere il ricorso al Robots Exclusion Protocol137, misura idonea,
nella maggior parte dei casi, a sottrarre all'indicizzazione da parte
dei motori di ricerca le informazioni riferibili a interessati la cui
diffusione doveva essere limitata. Sono stati trattati così dei casi di
pubblicazione di archivi storici di quotidiani e riviste, di diffusione di
informazioni personali da parte di soggetti pubblici sulla base di
interpretazioni estensive delle norme in tema di trasparenza in
ambito pubblico, di pubblicazione di notizie inaccurate o non
aggiornate, e perciò lesive della dignità di persone, su quotidiani o
riviste online.
Il diritto all’oblio si configura quindi come il diritto di un soggetto a
non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende, già
137
Il REP non è un vero protocollo, né standard cui l'industria del software
debba necessariamente attenersi. Non vi è quindi garanzia, pur in presenza di una
corretta configurazione del robots.txt, che una certa pagina non venga indicizzata da
un qualsiasi motore di ricerca, se la si vuole mantenere comunque accessibile via
web a un pubblico indeterminato.
D'altra parte, anche i più avanzati motori di ricerca non rispettano pienamente
il REP, limitando in molti casi l'efficacia dello strumento e sminuendone
l'importanza.
Per quanto riguarda Google, le azioni per limitare l'indicizzazione dei
contenuti di siti online si sono basate sulla conformità del motore di ricerca al REP,
anche se il livello di compliance è stato soltanto parziale. Probabilmente
un'applicazione più rigorosa e più efficace del REP avrebbe permesso una più
agevole modulazione della visibilità di alcune informazioni nei risultati di ricerca e
avrebbe consentito all'azienda di non subire gli effetti di una decisione molto severa
e di difficile attuazione come quella recente della Corte di giustizia UE con cui
l'azienda americana, insieme ad altre parimenti interessate, si sta confrontando in
queste settimane.
96
legittimamente pubblicate, rispetto all'accadimento delle quali è
trascorso un notevole lasso di tempo.
Il diritto all'oblio, in questa accezione, è relativo a vicende che hanno
costituito fatti di cronaca o comunque in relazione alle quali la
pubblicizzazione, cioè la fuoruscita dalla sfera della riservatezza
degli interessati, era da considerarsi lecita. Il problema è “se la
persona o le vicende legittimamente pubblicizzate possano sempre
costituire oggetto di nuova pubblicizzazione o se, invece, il
trascorrere del tempo e il mutamento delle situazioni non la
rendano illecita”138. Il diritto all'oblio, come magistralmente è stato
scritto, appartiene “alle ragioni e ‘alle regioni' del diritto alla
riservatezza” 139.
Il tempo gioca un ruolo importante anche qualora non si tratti di
eventi di cronaca, ma di eventi in relazione ai quali un periodo
significativo sia ormai trascorso e invece manchino elementi di
contestualizzazione nel tempo. In questi casi, la giurisprudenza ha
ravvisato la violazione del diritto all'identità personale.
Questa nozione chiaramente muta a seguito della continua
evoluzione tecnologica. Infatti, in Rete la ripubblicazione non è più
138
AA.VV., Il diritto all'oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997,
Gabrielli (a cura di), Napoli, 1999
139
MORELLI, voce Oblio (diritto all'), in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002;
97
necessaria, dal momento che per la stessa organizzazione
dell'informazione nella Rete l'informazione non è cancellata, ma
permane disponibile o quanto meno astrattamente disponibile. In
altri termini, non si tratta solo o necessariamente di una
ripubblicazione dell'informazione, ma piuttosto di una permanenza
della stessa nella Rete. Muta dunque il ruolo che gioca il tempo e
muta l'esigenza che si vuole soddisfare.
Il tempo da considerare non è più quello trascorso tra la
pubblicazione dell'informazione e la ripubblicazione, ma quello
trascorso dal tempo della pubblicazione che perdura.
Non si può fare riferimento al tempo trascorso fra un evento e
l'altro, ma invece al tempo di permanenza dell'informazione. Non si
tratta di un evento che si ripropone all'attenzione del pubblico, bensì
di un evento che potenzialmente non è mai uscito dall'attenzione del
medesimo. Siamo di fronte ad un continuum temporale e non più a
due eventi puntuali.
Occorre sottolineare come l'incertezza di giurisdizione e la
possibilità di sovrapposizione e conflitto tra differenti giurisdizioni
hanno fatto considerare per anni poco praticabile l'imposizione in
capo ai gestori dei motori di ricerca di obblighi di espungere dai
98
rispettivi indici i riferimenti a notizie che permangano online, pur
ledendo diritti degli interessati cui si riferiscono, su sistemi di
pubblicazione sottratti alla capacità di intervento delle DPA europee.
D'altra parte l'orientamento delle autorità europee di protezione dei
dati personali, riunite nel Working Party istituito dall'Art. 29 della
direttiva 46/95/EU (WP29), rispetto alla titolarità del trattamento
dei dati personali è stato costantemente in favore dell'assenza di
responsabilità del motore di ricerca, essendo la titolarità del
trattamento incardinata sul soggetto che pubblica il contenuto
online nella sua forma originaria Lo stesso articolo 14 della
Direttiva 95/46/CE disciplina il diritto di opposizione della persona
interessata e dispone che “gli Stati membri riconoscono alla persona
interessata il diritto: a) almeno nei casi di cui all'articolo 7, lettere e)
e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e
legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di
dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla
normativa nazionale. In caso di opposizione giustificata il
trattamento effettuato dal responsabile non può più riguardare tali
dati”140 Così l'art. 7:“Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali
può essere effettuato soltanto quando: e) è necessario per l'esecuzione di un compito
140
99
Dall’applicazione del diritto all’oblio può dipendere la libertà di
determinarsi autonomamente, di potersi dispiegare pienamente le
potenzialità di ognuno; la liberazione dal passato diviene anche il
modo per ricostruire condizioni di imprevedibilità. A nessuno deve
essere negata la possibilità del ravvedimento e del riscatto, di cui è
prova sociale il mancato ripetersi nel tempo di comportamenti
incriminati. Il diritto all’oblio rende reale questa possibilità, ponendo
davanti agli occhi altrui un velo di ignoranza al riparo dal quale si
può tornare ad agire come se quel passato non fosse mai stato.
3.2 L’evoluzione del diritto all'oblio alla luce degli ultimi
pronunciamenti del Garante, della Cassazione del 2012 e della
Corte di Giustizia del 2014
Tanto nell’Unione Europea quanto negli Usa si assiste ad una sorta di
tendenza verso l’approvazione di normative normative che hanno
esteso la capacità di controllo in capo ai soggetti pubblici,
di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il
responsabile del trattamento o il terzo a cui vengono comunicati i dati, oppure f) è
necessario per il perseguimento dell'interesse legittimo del responsabile del
trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che
non prevalgano l'interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona
interessata, che richiedono tutela ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1”.
100
soprattutto alla luce della sinergia fra pubblico e privato
caratterizzante le moderne forme di sorveglianza sociale. Estese
raccolte di dati, obblighi di conservazione delle informazioni nel
tempo, uniti a poteri di indagine e di accesso in capo alle autorità
pubbliche, hanno creato un contesto in cui i cittadini hanno perso la
percezione del confine fra la raccolta dei loro dati per scopi
commerciali ed il riuso degli stessi per diverse finalità di controllo o
monitoraggio sociale141.
Di questa strategia, come ormai noto, hanno fatto parte anche le
imprese private, la cui promozione di un modello incentrato
sull'accesso alle informazioni dell'utente era in linea con gli intenti
dei governi, che a tali ricchi forzieri di dati potevano accedere in
varia maniera e solitamente all'insaputa degli interessati e della
collettività in generale142.
In questo più vasto panorama, il diritto alla cancellazione non è più
dunque solo il soddisfacimento dell'interesse di un singolo, ma
diviene un tassello di una più ampia e, auspicabilmente, nuova
strategia che potrebbe portare ad un ecosistema meno connotato da
AULETTA, Diritto alla riservatezza e “droit à l'oubli”, in Alpa-BessoneBoneschi-Caiazza (a cura di), L'informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983,
p. 127
142
AA.VV., Il diritto all'oblio. Atti del Convegno di Studi del 17 maggio 1997,
Gabrielli (a cura di), Napoli, 1999,p. 124 e ss.
141
101
un'eccessiva raccolta di dati personali. La necessità di un simile
mutamento è oggi tanto più avvertita, a fronte dei nuovi scenari
aperti dai Big Data analytics che, per converso, incrementano i rischi
di un monitoraggio esteso ed invasivo143.
Il dibattito dottrinale rispetto al diritto all’oblio, dibattito che si
arricchisce
di
sfumature
diverse
in
seguito
all’evoluzione
giurisprudenziale che caratterizza sia i giudici nazionali che i giudici
europei, si concentra ormai da qualche anno sulla questione relativa
al considerare lo stesso un nuovo diritto afferente la sfera personale
dell’individuo oppure un derivato legato all’identità personale e alla
legittima protezione della stessa. Autorevole dottrina alla quale
faremo riferimento anche nel corso del presente elaborato ha
sostenuto come non sia opportuno, del resto, procedere alla
creazione di un nuovo diritto dal momento che i diritti già
consolidati sono idonei ad accogliere le esigenze nuove144. Si
contrappongono del resto una visione145 che configura il diritto
143
AA.VV., Il caso del diritto all'oblio, PIZZETTI (a cura di), Torino, 2013, p.
21 e ss.
144
PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain:
più
problemi
che
soluzioni,
http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=26322&amp;dpath=docume
nt&amp;dfile=10062014174108.pdf&amp;content=La+decisione+della+Corte+di+gi
ustizia+sul+caso+Google+Spain:+pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+stato++dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014.
145
AA.VV., Il caso del diritto all'oblio, PIZZETTI (a cura di), Torino, 2013, p.
102
all’oblio come strumentale e derivato diretto del diritto all’identità
personale e quindi lo stesso sia una sorta di garanzia nel non vedere
ripubblicata l'informazione rispetto alla cui prima pubblicazione è
trascorso un rilevante periodo di tempo, qualora la riproposizione
della notizia non sia di attuale interesse e una ulteriore accezione
dello
stesso
che
lo
riconduce
alla
contestualizzazione
dell'informazione. Il bene giuridico tutelato è in entrambi i casi
quello dell'identità personale. Si tratta del diritto a non vedere
travisata la propria immagine sociale. Ed è un fatto, che non
abbisogna di dimostrazioni, che il motore di ricerca crei l'immagine
online di un soggetto, non meno vera solo perché si trova su
Internet. Certo non è questa la finalità del trattamento dei dati
effettuato dal motore di ricerca, finalità piuttosto costituita dal
rendere l'informazione reperibile su Internet. Tuttavia la creazione
di un'immagine online è certamente un effetto dell'attività svolta dal
motore di ricerca. Autorevole dottrina ha poi ipotizzato che tale
tipologia di contrapposizione non ha motivo di esistere in quanto il
diritto all’oblio risulterebbe essere una sorta di specificazione del
diritto della personalità e della riservatezza146. Creare una nuova
21 e ss
146
FINOCCHIARO G, voce Identità personale, in Dig. disc. priv., Sez. civ.,
103
categoria giuridica risulterebbe decisamente molto complicato oltre
che forzato. Ben diversa è la questione relativa alla cancellazione dei
dati in quanto in questo specifico caso il diritto all’oblio non
riguarderebbe in modo univoco la persona ma sicuramente i dati
personali. Tale tipologia di schematizzazione ricalca, in effetti, lo
schema – seppur ormai vetusto – della legislazione comunitaria.
Infatti, in questo prospettiva ripresa anche dalla legge italiana dalla
proposta di regolamento europeo, nonché dalla decisione della Corte
di giustizia in commento, il bene giuridico considerato è quello della
protezione dei dati personali. In questo caso, il diritto a cancellare è
strumentale al diritto alla protezione dei dati personali. Il dato
personale può essere cancellato, come afferma la Corte, se non è più
adeguato, aggiornato o pertinente147.
Vero è che i due diritti in considerazione, il diritto all'identità
personale e il diritto alla protezione dei dati personali sono diritti
molto vicini e volti a tutelare un unico bene: quello dell'identità della
persona.
Infatti, lo scenario e la prospettiva non sono quelli del dato
personale contenuto nel singolo archivio, bensì quelli della tutela
Torino, 2010, p. 721 e ss
147
MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se
104
della persona nella rete Internet, che non è un archivio ma un
deposito 148,
la quale crea, attraverso i motori di ricerca l'immagine
della persona. Come scrive la Cassazione nella celebre ed innovativa
sentenza n. 5525/2012149 che analizzeremo in dettaglio nelle pagine
che seguono150: “La notizia, originariamente completa e vera, diviene
non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto
sostanzialmente non vera” . Si intravede in tale giudizio una
“nuova” visione del diritto all’oblio all’interno del quale rileva non
tanto la semplice rivendicazione all’essere dimenticati151. Si parla di
una sorta di obbligo di contestualizzazione all’interno del quale
152.
L'esigenza non è tanto quella di cancellare, ma piuttosto quella di
148
Cass. civ., 5 aprile 2012, n. 5525, cit., in corsivo nel testo della sentenza.
149
I fatti della sentenza possono essere sintetizzati come segue. Un politico e`
imputato di corruzione nel 1993. La notizia e` correttamente riportata dai quotidiani
dell’epoca. Egli e` successivamente assolto. Tuttavia, se si effettua una ricerca,
risulta la notizia dell’imputazione e non anche quella dell’assoluzione. Egli chiede il
blocco dei dati personali contenuti nell’articolo del quotidiano pubblicato
nell’archivio storico del quotidiano on line. La domanda di blocco e` respinta sia
dall’Autorita` Garante per la protezione dei dati personali che dal Tribunale di
Milano sulla base, a quanto si evince dalla sentenza in commento, di due argomenti
che si possono cosı` riassumere. Cfr. FINOCCHIARO G., Identità personale
su internet: il diritto alla contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III,
383 e ss
150
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss
151
PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain:
più
problemi
che
soluzioni,
http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=26322&amp;dpath=docume
nt&amp;dfile=10062014174108.pdf&amp;content=La+decisione+della+Corte+di+gi
ustizia+sul+caso+Google+Spain:+pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+stato++dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014.
152
Cass. 5 aprile 2012, n. 5525, in Cass. Civ., 2012, III, 48 e ss.
105
attribuire un peso all'informazione nell'ambito di uno scenario
complessivo che vede l'identità come protagonista.
In effetti la ricostruzione che nella sentenza appena citata viene
operata è decisamente innovativa rispetto al passato e nel tentativo
di definizione dei contorni del diritto all’oblio. Nella prospettiva
prima accennata la sentenza in esame non rappresenta una
pronuncia rientrante sulla materia della privacy o della protezione
dei dati personali , né tantomeno costituisce una pronuncia rispetto
il diritto all’oblio153. In tale sentenza “ si afferma un nuovo diritto o
meglio, si riafferma un diritto noto154, il diritto all’identità personale,
con riguardo ad una particolare fattispecie, quella relativa alle
informazioni non aggiornate reperibili su Internet”155. Quindi non un
nuovo diritto da intendere come diverso o comunque affiancabile a
quelli già tutelati dalla normativa sulla privacy o più in generale
della personalità156. Si tratta di una sorta di diritto contestualizzato
ad un particolarissimo caso che è quello delle informazioni
153
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss.
154
PARDOLESI, “Gooooglelaw”. Del ricorso alla disciplina antitrust per
colpire il tiranno benevolente, in Foro it., 2013, V, 18 ss.
155
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss.
156
RESTA, Anonimato, responsabilità, identificazione: prospettive di diritto
comparato, in questa Rivista, 2, 2014, 196 ss
106
aggiornate su internet.
Il percorso logico seguito dalla Corte è
innovativo in quanto non si riferisce al dato personale ma alla tutela
della persona all’interno del sistema di notizie e relazioni che si
creano all’interno della Rete che viene intesa come un unico archivio
in grado di dare delle informazioni senza nessuna forma di limite.
L’articolo del 1993 riguardante la condotta del politico per i fatti
successi venti anni orsono era stata fatta nel rispetto della normativa
vigente cosi come corretta deve essere considerata la pubblicazione
dell’archivio on line, effettuata per finalità di natura storica, le quali
costituiscono una modalità all’informazione157. Ma non può sfuggire
che ha avuto luogo una lesione: che l’interessato trova la sua
immagine attuale travisata e collegata ad una informazione solo
parzialmente vera nello scorrere del tempo e dunque produttiva di
uno sviamento della sua immagine sociale. Attualmente però la
questione problematica riguarda il fatto che adesso non risulta più
attuale e cosi come presentata potrebbe ledere in modo molto
pesante ed illegittimo l’immagine del politico che in effetti potrebbe
apparire ulteriormente danneggiata soprattutto se lo stesso ha
157
RESTA, Anonimato, responsabilità, identificazione: prospettive di diritto
comparato, in questa Rivista, 2, 2014, 196 ss
107
scontato regolarmente la sua pena158. La questione quindi assume
una luce nuova soprattutto con riferimento al fatto che proprio la
protezione dei dati personali assume una luce decisamente molto
diversa.
La
forza
propulsiva
del
diritto
all'oblio
che
è
progressivamente maturata in relazione al diritto di cronaca ha
trovato un immediato riflesso sulla diffusione via web degli archivi
storici dei giornali anche nella giurisprudenza. Il caso che ha offerto
alla Suprema Corte l'opportunità di pronunciarsi in ordine al
peculiare diritto all'oblio su Internet in relazione a fatti oggetto di
attività giornalistica trae origine da un episodio di cronaca
giudiziaria conclusosi con l'assoluzione dell'imputato, evento di cui
non veniva fatta menzione nell'articolo contenuto nell'archivio
storico on-line di un quotidiano.
Va evidenziato che l'esigenza di aggiornamento della notizia di
cronaca giudiziaria, specie se il prosieguo si è risolto in senso
favorevole all'interessato, trova riscontro in taluni atti adottati a
livello internazionale159, così anche nella Carta dei doveri del
158
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss.
159
Raccomandazione (2003)13 del Comitato dei Ministri del Consiglio
d'Europa, adottata il 10 luglio 2003, recante Principi relativi alle informazioni fornite
attraverso i mezzi di comunicazione in rapporto a procedimenti penali; Gruppo di
lavoro ex art. 29 Direttiva 95/46/CE, WP 148 - Parere 1/2008 sugli aspetti della
108
giornalista dell'8 luglio 1993 che stabilisce la necessità di attribuire
un "appropriato rilievo" in caso di assoluzione di un soggetto
imputato. Specifiche cautele sono state altresì individuate dal
Garante in relazione ai soggetti interessati da vicende giudiziarie i ci
dati siano oggetto di trattamento a fini giornalistici. Così il diritto
all'identità personale consiste nel diritto di vietare un travisamento
dell'immagine sociale di un soggetto; il diritto di rettifica comporta
una forma di controllo sull'immagine sociale di un soggetto e il
diritto, per questi, “di fare correggere le pubblicazioni lesive o
contrarie a verità; il diritto alla riservatezza comporta un controllo
del soggetto sulle vicende e sulle informazioni che lo riguardano; il
diritto alla reputazione tutela la stima sociale di un soggetto; il
diritto al nome va inteso come strumento di identificazione di un
soggetto e quindi, per traslato, strumento di tutela dell'identità160; il
diritto all'immagine può anche essere inteso in senso lato, come
tutela dell'immagine sociale, oltre che dell'immagine fisica di un
soggetto”161 . Il bene giuridico complessivamente tutelato è uno
solo, quello dell'identità, declinata nei suoi molteplici aspetti e nelle
protezione dei dati connessi ai motori di ricerca, 4 aprile 2008
160
GIANNONE CODIGLIONE, Illeciti su Internet e rimedi nel diritto d'autore
(Tesi di dottorato), Università di Salerno, 2014, spec. 99 ss. e 158 ss
161
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss.
109
sue molteplici forme. E un ulteriore elemento di complessità è oggi
aggiunto dalla possibilità di manifestare l'identità anche con mezzi
digitali e di assumere, nel mondo virtuale, molteplici identità 162.
Ma se l'identità è sintesi dei tanti elementi di natura diversa che la
compongono, essa non è certo una sintesi statica. Il tempo gioca un
ruolo essenziale: la persona è ciò che è in un determinato momento
storico e l'identità muta col tempo. Divengono essenziali la
contestualizzazione e la storicizzazione. Eventi occorsi in una certa
epoca possono non corrispondere più alla personalità di un soggetto
in un diverso momento storico. Sul terreno di questo conflitto, fra la
verità della storia e l'identità attuale, nasce il diritto all'oblio.
Naturalmente, tale diritto deve essere oggetto di bilanciamento con
altri diritti, quali il diritto all'informazione. La Corte di giustizia ha
affermato due anni più tardi, come vedremo nel corso del presente
paragrafo che in linea generale il diritto alla protezione della vita
privata e il diritto alla protezione dei dati personali devono
prevalere, salvo che si tratti di soggetti che ricoprono un ruolo
pubblico163, ma questa affermazione appare apodittica e destinata a
162
RODOTÀ, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, 2006.
Così la decisione: “Dato che l'interessato può, sulla scorta dei suoi diritti
fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che l'informazione in
163
110
trovare molte correzioni e precisazioni. In effetti, il motore di ricerca
americano si è impegnato nelle scorse settimane per adeguare i
propri servizi alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione
Europea pronunciata il 13 maggio 2014 riguardo alla causa “Google
Spain SL, Google Inc. / Agencia de Protección de Datos (AEPD),
Mario Costeja González” (Causa C-131/12) 164.
La corte europea ha
infatti individuato nell'attività di elaborazione delle informazioni
svolta dal motore di ricerca un trattamento autonomo, rispetto al
quale la società riveste il ruolo di titolare (data controller)165.
La sentenza europea ha costretto Google (e conseguentemente altri
operatori che si ritrovino nelle stesse condizioni individuate nella
decisione dei giudici europei) ad adottare procedure per cancellare
dai propri indici informazioni che possono continuare a essere
presenti sul sito di originaria pubblicazione o su altri siti che
questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua
inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra
prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull'interesse economico del gestore
del motore di ricerca, ma anche sull'interesse di tale pubblico ad accedere
all'informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa
persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il
ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che l'ingerenza nei suoi diritti
fondamentali è giustificata dall'interesse preponderante del pubblico suddetto ad
avere accesso, in virtù dell'inclusione summenzionata, all'informazione di cui
trattasi”.
164
http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=152065&amp;doclang =IT
165
RESTA, Anonimato, responsabilità, identificazione: prospettive di diritto
comparato, in questa Rivista, 2, 2014, 196 ss
111
provvedono autonomamente alla loro ripubblicazione o citazione166.
A tal fine, per consentire agli utenti di richiedere la rimozione di
talune notizie che li riguardino dai propri indici, Google ha messo a
disposizione un modulo online nella pagina intitolata “Search
removal request under data protection law in Europe” raggiungibile
all'indirizzo seguente: https://support.google.com/legal/contact/
lr_eudpa?product=websearch
Affinché una richiesta da parte di un utente venga presa in
considerazione la società richiede che siano verificate tre condizioni:
a) siano indicati gli indirizzi URL dei link da rimuovere; b) sia
giustificata la pertinenza delle pagine a cui viene fatto riferimento
nell'indice alla persona che presenta la richiesta; c) sia spiegato
perché quei collegamenti nei risultati di ricerca siano irrilevanti, non
aggiornati o in qualsiasi modo inappropriati.
Dal punto di vista tecnico si evidenzia la particolare difficoltà di
riconoscere in un richiedente la cancellazione un legittimo
interessato cui facciano riferimento dati personali pubblicati online
e indicizzati dal motore di ricerca. A questo proposito Google chiede
che il richiedente trasmetta copia di un documento idoneo al
166
GIANNONE CODIGLIONE, Illeciti su Internet e rimedi nel diritto d'autore
(Tesi di dottorato), Università di Salerno, 2014, spec. 99 ss. e 158 ss
112
riconoscimento di sé o dell'interessato per conto del quale viene
presentata la richiesta.
L'adeguamento alla sentenza Google Spain pone problemi che vanno
ben oltre il mero fatto tecnico, al punto che la società ha annunciato
di essersi dotata di un team di esperti tecnici e legali di comprovata
competenza, che dovrebbe esaminare le richieste di cancellazione da
parte di cittadini europei167.
La decisione della Corte per un verso, relativo alle responsabilità del
motore di ricerca, va molto oltre quanto disposto in passato dal
Garante italiano con propri provvedimenti che indubbiamente
tenevano conto dell'incertezza sulla giurisdizione, oggi risolta con la
sentenza europea. Ma le decisioni del Garante riflettevano anche un
bilanciamento di interessi tra il diritto all'informazione e alla
manifestazione del pensiero, da una parte, e il diritto alla protezione
dei dati personali, dall'altra, avendo effetti anche sui siti di originaria
pubblicazione168.
Gli effetti della cancellazione ai sensi della sentenza Google Spain
appaiono comunque, al momento, parziali: questa è limitata alle
167
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss.
168
RESTA, Anonimato, responsabilità, identificazione: prospettive di diritto
comparato, in questa Rivista, 2, 2014, 196 ss
113
versioni del search engine rivolte a utenti europei, accessibili
attraverso l'uso dei domini Google nazionali (google.it, google.fr...).
Alcune informazioni potrebbero quindi essere rimosse o, meglio,
non presentate tra i risultati di ricerca a un utente europeo, ma
continuare a essere visualizzabili nella versione internazionale del
servizio, accessibile nel dominio google. com. La modalità di
adempimento di Google appare quindi giocata sulla presentazione
dei risultati, e non su radicali interventi sui database su cui è
costruito l'indice del motore di ricerca169.
Il ristretto intervallo di tempo trascorso dalla decisione della Corte
di giustizia UE non consente al momento di valutare pienamente la
soluzione che Google (ed eventualmente altri search engines) ha
messo in atto, poiché è presumibile che questa debba essere ancora
affinata e migliorata, sia relativamente all'efficacia della rimozione
sia nei criteri di riconoscimento degli interessati e della loro
connessione a determinate notizie o dati personali pubblicati ma
possibilmente riferibili a una pluralità di differenti soggetti.
Analogamente si presta a controversie la decisione di Google di
notificare agli amministratori o webmaster le richieste di rimozione
169
PIZZETTI F, I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
114
di link e notizie che si riferiscano a contenuti pubblicati su siti da
questi controllati. La scelta è dichiaratamente volta a garantire un
equilibrato esercizio dei diritti degli interessati, ai sensi della
sentenza Google Spain, migliorando il processo decisionale interno
alla Società e la resa per gli utenti, ma viene criticata per la possibile
violazione della privacy di chi si rivolge a Google per la rimozione di
notizie dall'indice di ricerca170.
A margine occorre puntualizzare come la disciplina che stiamo
esaminando e quindi la direttiva di riferimento risalga ad un'epoca
profondamente diversa dalla presente in termine di diffusione ed
utilizzo delle reti di comunicazione elettronica 171.
In particolare l'esistente quadro normativo porta necessariamente a
scindere i due rapporti delineati all'inizio del presente paragrafo,
mentre la peculiarità delle fattispecie in esame dovrebbe indurre ad
esaminarli in maniera congiunta.
Occorre nei fatti sottolineare come a livello Europeo esistono
diverse accezioni del diritto all’oblio. La gia accennata direttiva
95/46/CE dispone, in effetti dispone, con riguardo al diritto di
170
PIZZETTI F, I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
171
BEVERE A. ZENO-ZENCOVICH V, La rete e il diritto sanzionatorio. Una
visione d'insieme, in questa Rivista, 2011, 3, 375
115
accesso ai dati da parte della persona interessata, e in particolare
nell'art. 12, dedicato al diritto di accesso, che “gli Stati membri
garantiscono a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal
responsabile del trattamento:
a) liberamente e senza costrizione, ad intervalli ragionevoli e
senza ritardi o spese eccessivi (...)
b) a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il
congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle
disposizioni della presente direttiva, in particolare a causa del
carattere incompleto o inesatto dei dati”172.
Nello specifico pare corretta la qualificazione del gestore del motore
di ricerca quale titolare del trattamento asserita dalla Corte, con il
relativi corollari in termini di esercizio del diritto di rettifica e
cancellazione in capo agli interessati173.
Le criticità concernono però la regola operativa, che esclude dalla
dinamica volta alla rimozione gli altri soggetti (fornitore del
172
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss.
173
Con riguardo all'esperienza italiana, Cass., sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525, in
Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 836 ss., con nota di MANTELERO A,
FINOCCHIARO G, La memoria della rete e il diritto, Diri. Inform. 2010, 391
ss.;FROSINI T.E., Il diritto all'oblio e la libertà informatica, ibid., 911; DI MAJO A.,
Il tempo siamo noi..., in Corr. giur., 2012, 769 ss., F. Di Ciommo-R. Pardolesi, Dal
diritto all'oblio in Internet alla tutela dell'identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in
Danno e resp., 2012, 701 ss
116
contenuto rimosso e utenti) che vantano interessi autonomi inerenti
agli ambiti del diritto ad informare e ad essere informati. Non pare
infatti oggetto di discussione, specie in Europa, la necessità di
affermare soluzioni nell'ambito dell'attività dei media che concilino
il diritto all'oblio del singolo con il diritto alla conoscenza storica
delle vicende, laddove l'oblio concerne il rischio di indebita
rievocazione della vicenda e non la rimozione della stessa dalla
conoscenza storica174.
Diversamente, le criticità emergono laddove sul piano operativo la
rimozione dei contenuti ad opera del gestore del motore di ricerca
su istanza dell'interessato, benché in conformità al vigente quadro
normativo, avviene in maniera non adeguatamente calibrata rispetto
alla valutazione delle potenziali ricadute sulla libertà di espressione.
Nello specifico, come rilevato in precedenza , non può in prima
battuta essere un soggetto privato a porre in essere un
bilanciamento di interessi rispetto al quale non ha le capacità e
competenze necessarie. Non può un motore di ricerca conoscere nel
dettaglio le vicende, valutare il delicato bilanciamento di interessi e
rendere una sorta di universale giudizio su cosa debba essere o
174
MANTELERO, Right to be forgotten ed archivi storici dei giornali. La
Cassazione travisa il diritto all'oblio, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 543-549
117
non essere reso pubblico.
A riguardo la Corte175 ha tentato di conciliare quanto, nel vigente
contesto normativo, pare difficilmente conciliabile, facendo esplicito
riferimento alla possibilità di adire le data protection authorities.
Tuttavia, stante la natura individuale del diritto in questione, specie
laddove il gestore del motore di ricerca decida di dar corso
autonomamente alla richiesta dell'interessato, il titolare del sito web
rimane del tutto estraneo alla vicenda 176,
né — per quanto detto in
precedenza — ha alcun titolo per poter adire l'autorità giudiziaria ed
ottenere il ripristino dell'indicizzazione.
Il quadro si presenta dunque come complesso e necessita di
un'opportuna una soluzione ad hoc che tenga conto della peculiarità
dell'interazione esistente fra attività dei motori di ricerca, diritti
degli interessati, fornitore di contenuti ed interesse collettivo alla
conoscenza delle informazioni. Tuttavia proprio il contemperamento
di tali diversi interessi, anche in ragione del rango degli stessi,
175
DI CIOMMO F., PARDOLESI R, Dal diritto all'oblio in Internet alla tutela
dell'identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e resp., 2012, 701 ss
176
ZITTRAIN J, The right to be forgotten ruling leaves nagging doubts, in
Financial time, July 13, 2014 (“But here state power is being exercised without the
involvement of the state: Google decides how to handle redaction requests. If a
search engine declines to alter its results, the claimant might appeal to a national data
protection authority. But if the request is agreed to, there is no mechanism for
review. Under the court's decision, the public's right to know is to be balanced
against a claimant's right to privacy - but there is no easy way for the public to
remonstrate against poor balancing.”).
118
richiede la definizione di un modello di rimozione basato su
decisioni adottate dalle autorità garanti o dalle corti, in cui il
bilanciamento di interessi così rilevanti non è affidato al giudizio di
un'impresa privata.
A fronte di una pretesa lesione del diritto all'oblio è infatti possibile
addivenire alla rimozione delle informazioni solo a seguito di un
preventivo bilanciamento fra gli interessi collettivi alla conoscenza
dei fatti e quello individuale alla cancellazione delle informazioni.
Bilanciamento che tradizionalmente compete ai media i quali, per
ruolo professionale e per la conoscenza dei fatti concreti, sono nella
posizione migliore per farvi fronte177.
L'apparire dei nuovi intermediari della comunicazione ha invece
creato un ulteriore livello nella circolazione delle informazioni in
precedenza sconosciuto. Mentre in passato era il giornalista a fare da
intermediario tra i fatti (e la tutela dei diritti di coloro che in essi
erano coinvolti) e la collettività, ora invece tale ruolo è in parte
esercitato dagli intermediari della Rete. I motori di ricerca (ma la
riflessione potrebbe estendersi anche ad altri aggregatori di
177
DYER C, Accused solicitor stands for office, in The Guardian, Friday 28
June
2002,
in
The
Guardian,
in
http://www.theguardian.com/uk/2002/jun/28/claredyer
119
contenuti) consentono infatti un accesso diffuso alla notizia,
favorendone la propalazione, senza però esercitare alcun controllo
editoriale sui contenuti, come invece avviene nella mediazione
giornalistica. Da qui la tensione emersa nei casi inerenti il diritto
all'oblio allorquando l'interessato scelga la via breve consistente
nell'agire direttamente contro il gestore del motore di ricerca
piuttosto che contro la testata giornalistica. Ove ciò avvenga, la
normativa sui dati personali finisce per richiedere al motore di
ricerca di porre in essere un bilanciamento di interessi178 che esula
dal proprio ruolo e dalle proprie competenze, mancando sia la
diretta conoscenza delle vicende sia la specifica professionalità.
Questo non implica che il motore di ricerca debba necessariamente
essere escluso dal processo di rimozione dei contenuti e che il
destinatario della pretesa debba essere solamente il soggetto che ha
pubblicato originariamente la notizia. Laddove si verta in materia di
libertà di
informazione,
parrebbe tuttavia utile
introdurre
opportune disposizioni che prevedano l'attivarsi del motore di
ricerca ai fini della rimozione solo a fronte di una valutazione
proveniente dall'autorità giudiziario o dall'autorità per la protezione
178
Cfr. art. 17 (ca), proposta di regolamento comunitario in materia di tutela dei
dati personali.
120
dei dati o, quantomeno, in seguito ad istanza del gestore del sito che
ospitava i contenuti rimossi 179.
I casi appena citati dimostrano
come obiettivo delle istituzioni comunitarie e conseguentemente di
quelle nazionali sia stato quello di mettere in tensione l’attuale
assetto normativo al fine di far convogliare gli organismi europei e
gli Stati Membri verso una riforma generale. Il caso Google Spain al
quale abbiamo accennato, in effetti, ha dimostrato come un
intervento normativo sia necessario a causa dell’eccessiva grandezza
e del grosso potere di mercato che ormai possiedono proprio i
motori di ricerca180. Nel caso specifico di Google, il quale può essere
ritenuto il motore di ricerca per eccellenza e quindi il vero detentore
del potere all’interno della Rete, si delinea una strategia di impresa
che formalmente adempiendo alla pronuncia ne mina di fatto il
fondamento, favorendo in tal maniera le opinioni critiche circa le
179
HENLEY J., Paris's Post-it wars, in The Guardian, Tuesday 30 August 2011,
in http://www.theguardian.com/artanddesign/2011/aug/30/paris-post-it-wars-french.
180
Esemplare pare essere il caso che ha coinvolto un articolo di commento sulla
vicenda finanziaria della Merrill Lynch pubblicato sul sito della BBC (“Merrill's
mess”), laddove la richiesta di rimozione (i cui termini non sono noti) proveniva non
dal soggetto interessato dalla notizia , bensì da una persona che aveva postato un
commento all'articolo. Nella specie la notorietà della notizia escludeva qualsiasi
questione circa il diritto all'oblio rispetto all'attività dei media e la richiesta di
cancellazione proveniente dal commentatore non poteva certo giustificare la deindicizzazione del contenuto dell'articolo cui il singolo commento si riferiva. La
reazione da parte di Google è dunque apparsa quantomeno contrastante con il
principio di proporzionalità che connota, tra le altre, anche la materia della data
protection.
121
ragioni e l'attualità del diritto alla cancellazione ed all'oblio nel
moderno contesto delle comunicazioni online 181.
In primo luogo il gestore del motore di ricerca ha deciso di creare
uno spazio online ad hoc per consentire a tutti gli utenti di inoltrare
una richiesta di cancellazione182. Trattasi di un adempimento non
richiesto dalla Corte, che pare inoltre un unicum rispetto alle molte
altre tipologie di comportamenti illeciti che possono essere posti
online e che risultano correlati ai servizi erogati da Google. Non si
coglie poi la ragione di tale mutamento delle modalità di gestione
delle richieste in questione, posto che da anni Google riceve simili
istanze, attraverso le vie ordinarie previste per l'esercizio dei diritti
riconosciuti dalle normative locali in attuazione dell'art. 12, Dir.
95/46/CE. È invece del tutto evidente come tale “servizio”,
immediatamente pubblicizzato dai media di tutto il mondo, favorisca
(anche per le più agevoli modalità) un picco di domande. L'effetto di
questo picco è molteplice: dimostra l'onere derivante dalla sentenza
in capo al gestore del servizio, paventa eventuali conseguenze
rilevanti in termini di cancellazione di informazioni dalla Rete,
181
ROSEN J, The Right to Be Forgotten, in 64 Stan. L. Rev. Online 88,
February 13, 2012, p. 258 e ss.
182
Il modello di “Richiesta di rimozione di risultati di ricerca ai sensi della
legge europea per la protezione dei dati”, disponibile al seguente indirizzo:
https://support.google.com/legal/contact/lr_eudpa?product=websearch
122
accresce la funzione valutativa in capo a Google, consente a
quest'ultimo un'ampia discrezionalità nella scelta di quali richieste
privilegiare. Il tutto senza che tale inusuale procedimento sia
assistito da un adeguato grado di trasparenza che permetta di
comprendere esattamente quale tipologia di richieste è stata
avanzata e da quali categorie di soggetti esse provengono, onde
poter valutare se i primi provvedimenti di rimozione adottati dalla
società risultino coerenti con la normalità delle richieste o
costituiscano ipotesi del tutto eccentriche rispetto ad essa183.
Prima di esaminare tali casi di rimozione, va sin da subito
sottolineato come siano proprio i limiti dell'esistente dettato
normativo a favorire un'ampia discrezionalità di azione in capo ad
un soggetto imprenditoriale che detiene il 90% del market share
europeo nel settore dei motori di ricerca. In quest'ottica, l'analisi dei
casi merita indubbia attenzione e può fornire elementi per una
possibile lettura della politica adottata dal destinatario della
pronuncia in esame. Analizzando la posizione del motore di ricerca
in effetti occorre dire che nel procedimento di deindicizzazione di un
risultato dalle SERP, nell'impianto prefigurato dalla Corte di
183
DI CIOMMO F., PARDOLESI R, Dal diritto all'oblio in Internet alla tutela
dell'identità dinamica. È la Rete, bellezza!, in Danno e resp., 2012, 701 ss
123
giustizia, un ruolo di centralità assoluta è indubbiamente affidato al
gestore del motore di ricerca, chiamato ad operare, prima ancora (o,
meglio, al posto) di qualsivoglia autorità di matrice pubblicistica, il
balancing tra il diritto invocato dall'istante ed il configgente diritto
alla conoscenza degli utenti della Rete, soddisfatto dalla immediata
accessibilità della pagina sorgente in contestazione 184.
Siffatta centralità discende direttamente dal passaggio decisivo della
decisione in commento che identifica nel service provider il
responsabile del trattamento dei dati rappresentati dalle pagine
indicizzate e, poi, rese disponibili, al momento della ricerca, in favore
dell'utente. Secondo la Corte di giustizia, siamo dinanzi ad un
trattamento distinto e separato rispetto a quello posto in essere
dalle pagine sorgente, cioè quelle ove è materialmente caricata
l'informazione che l'interessato vuol rendere irraggiungibile tramite
il motore di ricerca.
D'altronde, si è visto come l'istanza di oscuramento ipotizzata dalla
Corte non abbia ad oggetto la rimozione dell'informazione dalla
Rete, bensì la semplice limitazione della accessibilità alla stessa,
restringendone la possibilità di visualizzazione tramite un dato
184
Cfr. anche van Der Sloot - Zuiderveen Borgesius, Google and Personal Data
Protection, in Lopez-Tarruella (ed.), Google and the Law. Empirical Approaches to
Legal Aspects of Knowledge-Economy Business Models, Springer, 2012, 75 ss.
124
motore di ricerca ed a fronte di una ricerca basata sul nome
dell'interessato.
Non a caso si discorre di diritto alla deindicizzazione, piuttosto che
di diritto alla cancellazione dell'informazione.
Dunque, il soggetto al centro del procedimento di rimozione,
chiamato a valutare l'istanza ed a porre in essere l'operazione di
oscuramento, non può che essere il responsabile del trattamento,
cioè il motore di ricerca.
Quello del gestore del motore di ricerca nel procedimento di
rimozione è un ruolo decisamente problematico, dal momento che,
per un verso, non si può ragionevolmente immaginare che un
operatore di mercato muti la propria natura a fronte delle istanze
degli utenti, ma, per un altro, l'impianto procedurale delineato dalla
Corte di giustizia si fonda tutto, almeno in prima istanza, sulla delega
al privato del giudizio di contemperamento tra diritti di rango
costituzionale185.
In altre parole, nel compito affidato al gestore del motore di ricerca
dalla Corte di giustizia pare di poter scorgere un tentativo (tutto
teorico, invero) di “ibridarne” la natura: in astratto, questi dovrebbe
185
PAPA E, Espressione e diffusione del pensiero in Internet: tutela dei diritti e
progresso tecnologico, Torino, 2009, 308
125
ergersi a sorta di paladino della libertà di accesso all'informazione in
Rete, rigettando l'istanza dell'interessato nell'ottica della tutela di un
interesse collettivo alla conoscenza ed anche contro il proprio
interesse d'impresa (che dovrebbe ragionevolmente indurre alla
opposta soluzione del generalizzato accoglimento delle istanze con
minimizzazione dei costi di procedura come dei rischi di sanzioni e
di richieste risarcitorie) 186.
In realtà, come accennato, una aspettativa di questo tipo è
assolutamente illusoria: non si può pretendere da un operatore di
mercato privato di anteporre al proprio interesse d'impresa quello
della collettività alla conoscenza, soprattutto allorquando ciò possa
comportare esternalità negative non preventivabili o difficilmente
sostenibili.
Del resto lo stesso Decreto Legislativo 196/2003 che disciplina in
Italia la materia della riservatezza recepisce le prescrizioni della
Direttiva sopra citata e dispone in modo chiaro che la cancellazione,
la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in
violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la
conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati
186
PAPA E, Espressione e diffusione del pensiero in Internet: tutela dei diritti e
progresso tecnologico, Torino, 2009, 308
126
raccolti o successivamente trattati. Tali disposizioni contenute
nell’articolo 7 sono completate dal quarto comma che dispone come
l’interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi
legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano,
ancorché pertinenti allo scopo della raccolta.
Sia a livello comunitario che a livello nazionale inquadrano il diritto
alla cancellazione dei dati solamente nel momento in cui proprio la
diffusione della notizia configuri un illecito. La dottrina187 precisa
poi come analizzando in modo dettagliato la proposta di
regolamento del Parlamento e del Consiglio riguardante la tutela
delle persone fisiche in relazione alla circolazione dei dati del 2012 il
quadro descritto non muti visto che “all'art. 17 si disciplinano il
diritto all'oblio e il diritto alla cancellazione dei dati, benché nei
commenti la previsione concernente il diritto all'oblio sia stata molto
evidenziata ed enfatizzata”188.
Secondo tale impostazione i presupposti per richiedere la
cancellazione secondo l’articolo 17 sono legati alla non necessarietà
dei dati rispetto la finalità per la quale erano stati pubblicati e
187
PAPA E, La disciplina della libertà di stampa alla prova delle nuove
tecnologie, in questa Rivista, 2011, 3, 477
188
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss
127
sicuramente la revoca del consenso per il trattamento degli stessi.
Tale cancellazione deve essere realizzata se l’interessato revoca il
consenso e se il trattamento dei dati non risulta essere conforme al
regolamento stesso.
Rispetto al tradizionale impianto normativo l’innovazione risiede nel
nsecondo comma dell'art. 17 ove si configura una nuova
responsabilità del titolare del trattamento, prevedendo che il titolare
del trattamento debba informare i terzi che stanno trattando i dati
della richiesta dell'interessato di cancellare qualsiasi link, copia o
riproduzione dei suoi dati personali e che, se il titolare ha
autorizzato un terzo a pubblicare dati personali, è ritenuto
responsabile di tale pubblicazione. Tuttavia giova ricordare che un
analogo obbligo del titolare di informare i terzi era già presente nella
legge italiana. La cancellazione
189
è quindi definibile come una
operazione che esclude la possibile conservazione degli stessi dati.
L’oblio in tale prospettiva appare una ulteriore specificazione che
accentua il dovere stesso di cancellazione attraverso un possibile
blocco ad eventuali fruizioni future dei contenuti.
Del resto la Corte di Giustizia in merito al diritto all’oblio con
189
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss
128
sentenza del 13 maggio 2014190, specificando in via preliminare che
con
riferimento
alle
problematiche
legate
all’indicizzazione
all’interno dei motori di ricerca applicazione diretta hanno le
normative in vigore all’interno dei Paesi Membri e che in linea di
principio i motori di ricerca sono “titolari del trattamento e pertanto
che l'interessato ha il diritto di richiedere che sia rimossa
l'indicizzazione direttamente al motore di ricerca, a prescindere da
ogni richiesta al gestore del sito web che ha pubblicato
l'informazione, anche nel caso in cui l'informazione sia stata e sia
legittimamente pubblicata sul sito web.
La stessa Corte di Giustizia ribadisce come l’interessato ha diritto a
che l'informazione riguardante la sua persona non venga più
collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito
di una ricerca effettuata a partire dal suo nome e che nel valutare i
presupposti di applicazione di tali disposizioni, si deve verificare in
particolare se l'interessato abbia diritto a che l'informazione in
questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato
attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a
seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per
questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che
190
Corte di Giustizia, 13 maggio 2014, 2014,
129
l'inclusione dell'informazione in questione in tale elenco arrechi un
pregiudizio a detto interessato.
La portata innovativa della sentenza in esame è sicuramente quella
che riguarda l’intepretazione sempre della Direttiva 95/46/CE agli
articoli 12 e 14 che riguardano poi l’accesso ai dati e l’opposizione al
trattamento.
determinato
L’articolo 12 stabilisce testualmente che un
Stato
Membro
garantisce
a
qualsiasi
persona
interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento:
(...) a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento
dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della
presente direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o
inesatto dei dati” e dell'art. 14, primo comma, lett. a) ove si dispone
che “gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto:
(...) almeno nei casi di cui all'articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in
qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla
sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano,
salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale”.
Dunque il contenuto del diritto all'oblio indagato è quello relativo a
quella rivendicazione inerente la cancellazione o il congelamento dei
dati con conseguente opposizione al trattamento.
130
Nella specifica sentenza191 si faceva, nei fatti, riferimento ad un
diritto alla cancellazione implicante per il soggetto la possibilità di
interloquire con i motori di ricerca per impedire l'indicizzazione
delle informazioni riguardanti la sua persona pubblicate su pagine
web di terzi, facendo valere la propria volontà che tali informazioni
non siano conosciute dagli utenti di Internet, ove egli reputi che la
loro divulgazione possa arrecargli pregiudizio o desideri che tali
informazioni siano dimenticate, anche quando si tratti di
informazioni pubblicate da terzi lecitamente.
Si pone il problema, come sottolineato dalla dottrina192 , se un
soggetto può rivolgersi direttamente al motore di ricerca che
indicizza oppure al soggetto titolare del sito o blog indicizzato. La
Corte di Giustizia193 ha precisato che il motore di ricerca è titolare
del trattamento dei dati. In relazione al secondo quesito la Corte
ritiene che “quanto all'articolo 12, lettera b), della direttiva 95/46, la
cui applicazione è subordinata alla condizione che il trattamento di
dati personali sia incompatibile con la direttiva stessa, occorre
ricordare che, come si è rilevato al punto 72 della presente sentenza,
191
Corte di Giustizia, 13 maggio 2014, in Giur it, 2014, III, 478 e
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss
193
Corte di Giustizia, 13 maggio 2014, in Giur iT, 2014,III, 478
192
131
un'incompatibilità siffatta può derivare non soltanto dal fatto che
tali dati siano inesatti, ma anche segnatamente dal fatto che essi
siano inadeguati, non pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità
del trattamento, che non siano aggiornati, oppure che siano
conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario, a
meno che la loro conservazione non si imponga per motivi storici,
statistici o scientifici”. Tale situazione si configura in particolare
nel caso in cui i dati risultino inadeguati, non siano o non siano più
pertinenti, ovvero siano eccessivi in rapporto alle finalità suddette e
al tempo trascorso. E conclude che “l'inclusione nell'elenco di
risultati — che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire
dal suo nome — dei link verso pagine web, legittimamente
pubblicate da terzi e contenenti informazioni veritiere relative alla
sua persona, è, allo stato attuale, incompatibile con il citato articolo
6, paragrafo 1, lettere da c) a e), a motivo del fatto che tali
informazioni appaiono, alla luce dell'insieme delle circostanze
caratterizzanti il caso di specie, inadeguate, non pertinenti o non più
pertinenti, ovvero eccessive in rapporto alle finalità del trattamento
in questione realizzato dal gestore del motore di ricerca, le
informazioni e i link in parola di cui al suddetto elenco di risultati
132
devono essere cancellati”
133
3.3 Gli strumenti di tutela del diritto all'oblio
Al fine di costruire una riflessione rispetto gli strumenti di tutela
afferenti il diritto all’oblio occorre sottolineare come storicamente la
giurisprudenza, ma anche la dottrina, ha inteso il diritto all’oblio
come una sorta di punto di equilibrio tra il diritto di cronaca quale
esimente della lesione del diritto all'onore e alla reputazione per
diffamazione di cui all'art. 51 c.p., e la tutela dei diritti della
personalità, focalizzando il proprio ragionamento sulla verifica della
sussistenza, a fronte della rivendicazione del diritto all'oblio
dell'interessato, di un interesse pubblico alla (ri)pubblicazione della
notizia194.
L'orientamento dei giudici di merito si inizialmente è dimostrato
194
Tra i precedenti, si ricorda la presa di posizione espressa dai giudici di merito
secondo i quali un evento che sia stato oggetto di cronaca trent'anni prima non può
essere riproposto, a meno che non sorga un interesse pubblico alla sua rievocazione,
requisito la cui mancanza genera nella condotta del quotidiano una responsabilità per
diffamazione. Tra l'altro, l'atteggiamento del giornale può risultare ancora più
deplorevole, se si considera che la lesione − nel caso sul quale l'autorità giudiziaria
era stata chiamata ad esprimersi − si era verificata nell'ambito di un gioco
promozionale a premi, ideato al solo scopo di incrementare le vendite del quotidiano.
È questo il ragionamento seguito dal Trib. Roma (sent. 15 maggio 1995), che non
nomina propriamente il diritto all'oblio, ma evidentemente è ad esso che fa
riferimento. Per una disamina della sentenza si consulti
CASSANO, Il
dirittoall'oblio esiste (ma non si dice), in Dir. Inf, 1996, 3, 427; idem, Il diritto
dall'oblioesiste: è diritto alla riservatezza, in Il diritto di famiglia e delle persone,
1998, 1, 84.
134
oscillante. Dopo alcuni casi sporadici195, l'occasione per pronunciarsi
in merito ed aprire la strada a un dibattito sul diritto all'oblio è
derivata, in un primo momento, dalla preannunciata messa in onda
da parte della RAI di una serie televisiva basata sulla ricostruzione di
alcuni grandi processi del recente passato, che a suo tempo avevano
destato grande interesse nell'opinione pubblica. Il Tribunale di
Roma fu investito da una serie di istanze cautelari, con cui imputati e
parti lese di quei processi chiedevano un'inibitoria nei confronti
dell'emittente radiotelevisiva per impedire la riproposizione al
pubblico delle vicende di cui gli istanti erano stati protagonisti, in
quanto
avrebbe
arrecato
irreparabili
danni
faticosamente
emancipatisi dai drammatici trascorsi196.
Tale richiamo storico, nonostante nel paragrafo precedente si siano
affrontate questioni decisamente molto più recenti, serve
per
195
Ad esempio si consulti Pret. Roma, 2 gennaio 1985 (in For. It, 1985, 2, con
nota di NAZZICONE L), con cui è stato stabilito che la riproduzione di un'immagine
osé di un'attrice, a distanza di tempo, fosse giustificata dal prevalente intento
informativo, rispetto al diritto alla tutela della mutata identità personale, di fornire al
pubblico notizie sugli esordi artistici di una persona nota. Considerazioni sul
rapporto tra l'identità personale e la privacy dei soggetti celebri sono rinvenibili in
CAVALLA Z, Osservazioni sulla commerciabilità dei diritti della personalità, in
Contratto e impresa, 2010, 3, 650.
196
CRIPPA L, Il diritto all'oblio: alla ricerca di un'autonoma definizione, Nota a
ord. Trib. Roma 27 novembre 1996, ord. Trib. Roma 20 novembre 1996, ord. Trib.
Roma 21 novembre 1996, ord. Trib. Roma 8 novembre 1996, in Giustizia civile,
1997, 7-8, 1990; G. Napolitano, Richiami di dottrina e giurisprudenza, inDir. Inf.,
1997, 2, 342.
135
sottolineare come proprio con riferimento al diritto all’oblio non si
può certamente adottare, ai fini di fornire un quadro rispetto gli
strumenti di tutela in mano al soggetto che vuole vedere
riconosciuto il diritto ad essere dimenticato. In generale si può
affermare come un soggetto, ove veda disattesa la propria istanza
dal gestore del motore di ricerca, può rivolgersi all'autorità di
controllo nazionale in materia di privacy o, in alternativa, all'autorità
giudiziaria, affinché queste — quasi a guisa di organi di secondo
grado — verifichino la correttezza della posizione assunta dal
responsabile del trattamento ed, eventualmente, ordinino allo stesso
l'adozione di misure precise conseguenti197. L’analisi
condotta
ha
dimostrato
anche
come
nel
nostro
ordinamento il diritto all’oblio non forma oggetto di una disciplina
normativa specifica, anche se nel nostro ordinamento si rinvengono
disposizioni che indirettamente alludono alla tutela dell'interesse
sostanziale a celare informazioni della propria vita passata,
suscettibili di rappresentare in una falsa luce l'attuale identità
personale del soggetto interessato. Esso rappresenta, secondo parte
197
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss
136
della dottrina198, dunque, il frutto di una operazione di creazione
giurisprudenziale, che ha prodotto l'emersione di una situazione
soggettiva definita nei suoi principali elementi costitutivi e che si è
avvalsa dei contributi della dottrina e delle esperienze analoghe di
ordinamenti stranieri, seguendo un procedimento di selezione
casistica, più consono ad adattare la risposta giudiziaria alle
esigenze di tutela provenienti dalla società.
L'ingresso, per via giurisprudenziale, del diritto all'oblio nel novero
delle
situazioni
soggettive
tutelabili
secondo
le
categorie
dell'inviolabilità propria dei diritti fondamentali della persona,
rappresenta un esempio di applicazione diretta delle norme
costituzionali nelle relazioni intersoggettive, secondo i principi della
drittwirkung, non espressamente prevista dalla nostra costituzione,
ma a cui i giudici di merito hanno fatto sovente ricorso199, nel caso di
mancanza di norme ordinarie attuative di principi costituzionali,
198
Art. 5 l. 14 aprile 1982, n. 164, a norma del quale le attestazioni dello stato
civile relative alla persona, nei cui confronti è stata disposta la rettificazione
dell'identità sessuale in via giudiziale, vengono rilasciate esclusivamente con
l'indicazione del nuovo nome e del nuovo sesso; art. 5 comma 2, lett. d), d.P.R. n.
313 del 2002, in riferimento a C. cost. n. 287 del 2010 cit.; art. 11, lett. e), d.lg. n.
196 del 2003, che impone un limite temporale nella conservazione dei dati
identificativi del soggetto titolare.
199
MANGANO, Il giudice e l'applicazione diretta delle norme costituzionali di
garanzia dei diritti inviolabili della persona. Recenti ipotesi di « drittwirkung » ,
Relazione al seminario organizzato dal C.S.M. sul tema Il giudice e la Costituzione,
Frascati
11-13
dicembre
1997.
Quaderni
del
C.S.M.
137
comunque efficaci nel nostro ordinamento come valori formanti le
relazioni tra i consociati. Del resto anche dall’analisi della recente
Cassazione si evince come il percorso che viene seguito dai giudici
italiani per il riconoscimento del diritto all'oblio, come situazione
soggettiva destinataria di una tutela specifica e distinta, rispetto agli
altri diritti della persona, pur nella originalità delle sue sequenze,
appare assimilabile, almeno in questa prima fase, al procedimento
selettivo adoperato nei sistemi di common law, certamente perché
in tal caso la regola di giudizio è tratta da un bilanciamento di valori
costituzionali. Il fattore tempo rappresenta, quindi, un elemento
relazionale del bilanciamento operato attraverso il criterio
discretivo dell'interesse sociale della notizia; esso agisce, in rapporto
inversamente proporzionale con la gravità del fatto e con il ruolo dei
soggetti coinvolti, per la verifica della sussistenza attuale della
prevalenza dell'interesse alla divulgazione del fatto, e della
conseguente legittimità del sacrificio dell'interesse individuale dei
protagonisti.
La categoria di quei soggetti o protagonisti (minori, vittime ecc.) che
in ragione delle loro qualità personali e del ruolo svolto nella
vicenda devono godere di una protezione più accentuata, e in
138
relazione ai quali il giudizio di proporzionalità del sacrificio alla loro
esigenza di anonimato, riservatezza o di richiesta di oblio, spiega
un'efficacia più marcata. Di ciò la dottrina dà atto, nel segnalare che
il diritto all'oblio emerge in tutte le ipotesi nelle quali si controverte
non tanto sul fatto in sé considerato, quanto, piuttosto, del
coinvolgimento della persona che di quel fatto sia protagonista200 Un
criterio di giudizio pienamente confermato nella decisione con cui il
Garante per la Privacy, chiamato alcuni anni dopo e nella vigenza del
d.lg. n. 196 del 2003, a decidere sulla messa in onda di un
programma già trasmesso alcuni anni addietro e riguardante un
processo per omicidio volontario, stigmatizza il mancato rispetto del
canone dell'essenzialità dell'informazione, in riferimento alle riprese
che ritraggono il pubblico presente al giudizio, tra cui una donna
all'epoca legata affettivamente ad uno degli imputati e della quale
venivano riprese le reazioni emotive al verdetto, ledendo in tal modo
«il suo diritto a non essere ricordata pubblicamente a distanza di
anni» e «il diritto dell'interessata di veder rispettata la propria
rinnovata dimensione sociale e affettiva come si è venuta definendo
CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa,
radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss.
200
139
successivamente....»201.
Del resto tramite il ricorso al Garante nazionale o all'autorità
giudiziaria, l'interessato, facendo accertare la violazione dei propri
diritti o, comunque, la prevalenza degli stessi sul diritto alla
conoscenza degli utenti del web, potrà cercare di ottenere quanto
negato in prima istanza dal gestore del motore di ricerca, cioè la
cancellazione, dall'elenco di risultati che appare a seguito di una
ricerca effettuata a partire dal proprio nome, dei link verso pagine
web pubblicate da terzi e contenenti informazioni a sé relative202.
Tale risultato prescinde completamente dalla cancellazione dalla
Rete della medesima pagina ove le informazioni sono state
pubblicate in origine o di altri link che comunque alle stesse
rimandino.
Ritornando alla problematica sollevata dalla Corte di Giustizia
nell’analisi del caso Google Spain nella già analizzata sentenza della
Corte di Giustizia non solo ha riconosciuto il diritto dell'interessato
a richiedere la cancellazione dei propri dati personali che si
trovavano nella titolarità di Google, ma — per la prima volta — ha
sancito il principio che le richieste di cancellazione possono essere
201
202
Decisione Garante Privacy 7 luglio2005, in www.garanteprivacy.it.
AZZARITI G, Internet e costituzione, in Politica del diritto, 2011, 3, 367
140
avanzate anche direttamente al gestore del motore di ricerca,
ancorché le relative informazioni siano state originariamente
pubblicate su altri siti e successivamente indicizzate da Google203.
È di tutta evidenza che tale pronuncia solleva problematiche di
particolare complessità e delicatezza a causa delle sue molteplici e
significative implicazioni, ivi comprese quelle inerenti le misure da
adottare per la gestione delle richieste di cancellazione. Su tale
ultimo aspetto in particolare sarebbe auspicabile l'individuazione,
prima, e l'adozione, poi, di linee guida in grado di sviluppare un
approccio comune delle Autorità di protezione dei dati europee
riguardo l'implementazione della decisione della Corte e che —
soprattutto
—
siano
di
ausilio
per
le
Autorità
Garanti
nell'individuazione di una modalità di risposta uniforme alle
richieste degli interessati nel caso in cui il motore di ricerca non
proceda alla cancellazione dei contenuti la cui rimozione sia stata
oggetto di richiesta204.
Peraltro, il Garante per la Privacy nazionale, proprio in
considerazione della particolare innovatività della materia e della «
BRUGNATELLI F., “Privacy, diritto all’informazione e diritti della
personalità”, in Giustizia civile 2005, pt. 1, p. 1385 e ss.
204
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
203
141
complessità delle implicazioni connesse all'adempimento delle
prescrizioni della Corte di giustizia in materia di richieste di
cancellazione di dati personali relativi ai risultati delle ricerche
effettuate attraverso la funzionalità del motore di ricerca al ricorrere
dei presupposti per l'esercizio del diritto all'oblio », ha ritenuto
opportuno « astenersi in questa fase dall'imporre a Google
prescrizioni non ancora vagliate né da una prima esperienza, né dal
conseguimento di un assetto comune condiviso da tutte le Autorità
di protezione dati interessate dalle nuove regole »205. Il Garante ha
preso spunto dall’esame di conformità al Codice della privacy
italiano della nuova privacy policy di Google (che dal 1° Marzo 2012
ha unificato in un solo documento le circa 70 diverse policies fino ad
allora in vigore) per prescrivere una serie di regole a tutela degli
utenti italiani fruitori di servizi Google206. Per tale ragione, dunque,
il Garante, pur riservandosi qualsiasi tipo di intervento « ritenuto
opportuno al fine di garantire agli utenti la più ampia tutela dei
propri diritti nel solco della recentissima pronuncia di carattere
interpretativo resa dalla Corte di giustizia », ha inteso « limitare in
205
Garante Privacy, Provvedimento prescrittivo nei confronti di Google Inc.
sulla conformità al Codice dei trattamenti di dati personali effettuati ai sensi della
nuova privacy policy - Parere 10 luglio 2014, n. 3283078, in www.garanteprivacy.it.
206
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss
142
questa fase l'esplicazione dei propri poteri prescrittivi a tutti i casi
nei quali le richieste di cancellazione dei dati personali nella
titolarità di Google siano formulate da un utente registrato, cioè che
dispone di un account. Ciò in quanto l'accoglimento, appunto, di una
tale richiesta di cancellazione consente fin d'ora non soltanto
l'identificazione certa, da parte della società, dell'identità del
richiedente, ma anche l'individuazione specifica delle informazioni
che possono costituirne oggetto, in quanto automaticamente
riferibili all'account del richiedente e, di riflesso, non assoggettabili
ad alcun processo di valutazione arbitraria »207. In merito proprio
alla contestualizzazione, secondo quanto previsto dal Garante,
google dovrà definire empi certi di conservazione dei dati sulla base
delle norme del Codice privacy, sia per quanto riguarda quelli
mantenuti sui sistemi cosiddetti "attivi", sia successivamente
archiviati su sistemi di "back up"208. Per quanto riguarda “la
cancellazione di dati personali, il Garante ha imposto a Google che
richieste provenienti dagli utenti che dispongono di un account (e
sono quindi facilmente identificabili) siano soddisfatte al massimo
CORRIAS LUCENTE G., “Le recenti prescrizioni del Garante sulla
pubblicazione di atti di pro- cedimenti penali e la cronaca giudiziaria. Rigide
interferenze tra privacy e libertà d’informazione”, in Il Diritto dell’informazione e
dell’informatica 2007, p. 593 e ss.;
208
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
207
143
entro due mesi se i dati sono conservati sui sistemi "attivi" ed entro
sei mesi se i dati sono archiviati sui sistemi di back up. Per quanto
riguarda, invece, le richieste di cancellazione che interessano
l'utilizzo del motore di ricerca, ha ritenuto opportuno attendere gli
sviluppi applicativi della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione
europea sul diritto all'oblio”209.
Il garante era del resto intervenuto in questo senso anche
precedentemente con riferimento alla pubblicazione on line degli
archivi storici dei giornali e ha ritenuto legittima la messa a
disposizione per la consultazione dei dati personali on line
attraverso il sito dell'editore, precisando tuttavia che la pagina web
che contiene i dati personali deve essere sottratta all'indicizzazione
dei motori di ricerca esterni. La soluzione del problema, allo stato
attuale, incontra anche dei limiti di natura tecnologica che rendono
ancora incerta l'effettività del provvedimento210.
Su Internet cambia non solo la quantità ma anche la natura della
209
Cfr.
http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docwebdisplay/docweb/3283483
210
Autorità Garante per la protezione dei dati personali: decisioni 11 dicembre
2008 [doc. web n. 1583162], 11 dicembre 2008 [doc. web n. 1582866], e 19
dicembre 2008 [doc. web n. 1583152]. Sul diritto all'oblio si veda anche il Rapporto
e Linee-Guida in materia di privacy nei servizi di social network - Memorandum di
Roma, adottato dall'International Working Group on data protection in
telecommunications, 3-4 marzo 2008, http: //www.garanteprivacy.it - doc. web n.
1567124.
144
comunicazione211: le informazioni non solo sono moltissime, ma
sono facilmente reperibili, sovente prive di contestualizzazione e
spesso prive di fonte che consenta di attribuire ad esse un peso.
Sono, per così dire, appiattite. Mentre la fonte dell'informazione può
di per sé conferire un peso all'informazione stessa (si pensi alla
testata giornalistica più o meno affidabile), ciò, allo stato attuale, non
sempre accade con riguardo ai siti Internet e certamente non accade
quando la ricerca è effettuata mediante motori di ricerca212.
Il problema qui è l'effettività del modello disegnato dalla legge sulla
protezione dei dati personali e l'adeguamento della tecnologia. Il
diritto al controllo può dunque essere esercitato nei limiti definiti
dal diritto all'oblio e dal diritto alla protezione dei dati personali,
anche nella Rete. Questo esercizio non è scevro da problematiche
giuridiche, ma non pare necessaria una radicale revisione del
modello, bensì un adattamento, e lo sviluppo di idonee tecnologie
per garantirlo213.
211
BEVERE A., CERRI A., Il diritto di informazione e i diritti della persona. Il
conflitto della libertà di pensiero con l’onore, la riservatezza, l’identità
personale,Milano, Giuffrè., 2006, p. 147 e ss.
212
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss
213
VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati
personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347
145
Certo l'effettività è in parte minata da alcune criticità nella
protezione dati personali. Bisognerebbe ripensare il modello della
legge sulla protezione dei dati personali e basare non solo sul
consenso dell'interessato, ma anche su una maggiore responsabilità
del titolare, il diritto alla protezione dei dati personali. Non solo il
consenso ma anche una forma di accountability, e quindi di trust, del
titolare
del
trattamento,
che
dovrebbe
comunque
essere
responsabile per un trattamento le cui caratteristiche sono
normativamente predeterminate, o in alternativa definite in un
modello negoziale basato sull'accountability che consenta per i
titolari che ad esso aderiscano un trattamento di maggiore favore. E
in questo modello certamente potrebbe rientrare la definizione del
tempo di trattamento dei dati personali214.
3.4 La responsabilità degli internet provider. L’applicabilità
degli strumenti di tutela in ambito sovranazionale
La memoria della Rete è un tema di enorme suggestione e oggi
214
146
all'attenzione di studiosi di diverse discipline Dati, immagini, audio,
frammenti di informazione vanno incontro al navigatore, in una
dimensione spaziale avvertita come del tutto nuova che pare
ignorare la dimensione temporale.
Per la sua stessa struttura, difficilmente la Rete dimentica. Non è,
infatti, diffusa la pratica di cancellare da siti Internet i dati, né tale
operazione di cancellazione risulta facilmente effettuabile. I dati
sono replicati in altri siti e nelle cache, per renderli più facilmente
fruibili nel momento della richiesta. Quindi, normalmente i dati
pubblicati in Rete sono poi successivamente rintracciabili e
raramente
cancellati.
Un'attività
di
cancellazione
non
è
comunemente praticata e risulta tecnicamente difficoltosa. Si
costituisce
quindi
un
deposito
di
dimensioni
globali.
Antropomorficamente, la percezione è che la Rete travalichi i confini
dell'umano e sia una divinità o un mostro: un'entità unica dotata di
memoria infinita e senza tempo.
Questa sensazione è palesemente avvertita quando si utilizzano i
motori di ricerca. Digitando un nome, si è raggiunti da un insieme
affollato di informazioni correlate a quel nome, le quali non hanno
necessariamente tutte rilevanza, qualità o affidabilità. La peculiarità
147
dei casi giurisprudenziali esaminati, cosi come le opinioni dottrinali
che abbiamo preso in considerazione, sottolineano come la
particolarità delle fattispecie in esame è data dal contrasto fra il
rapporto bilaterale che caratterizza l'esercizio del diritto di
cancellazione,
coinvolgente
l'interessato
ed
il
titolare
del
trattamento, ed il rapporto multi-laterale su cui incide il processo di
rimozione dei contenuti, cui prendono parte anche il fornitore del
contenuto rimosso e la collettività in genere . A ciò si aggiunga che,
mentre nel primo caso è possibile attuare una ben precisa pretesa
giuridica, riguardo al secondo rapporto né il fornitore di contenuti
né la collettività possono vantare una pretesa giuridicamente
rilevante verso un soggetto privato quale il gestore del motore di
ricerca, che non ha obbligo alcuno di indicizzare qualsiasi contenuto
disponibile online, salvi i limiti di comportamenti rilevanti sul piano
concorrenziale215.
Non è dunque forse un caso che i garanti di diversi Paesi abbiano
risolto le vicende in materia di diritto all'oblio ed alla cancellazione
agendo direttamente su coloro i quali avevano pubblicato le notizie
215
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss
ltre ricordato come l'indicizzazione dei contenuti da parte di Google non
avvenga sulla base di un algoritmo pubblicamente noto
148
oggetto di controversia e solo indirettamente sul motore di ricerca,
imponendo ai primi di non rendere indicizzabili i contenuti
meritevoli di tutela e raggiungendo in tal modo un equo
bilanciamento di interessi216.
Tale approccio, come la più generale esperienza giurisprudenziale
inerente il rapporto fra media e tutela della persona, sottolineano la
centralità del metodo del bilanciamento degli interessi principio di proporzionalità e del
217.
Va inoltre rilevato come non possa essere caricato sull'interessato
tutto il peso di ricercare e chiedere la rimozione delle informazioni
disponibili in Rete dove la riproducibilità dei contenuti è la norma.
Dove v'è il rischio concreto di amplificare a dismisura nello spazio e
nel tempo la visibilità di una notizia e dove la dimensione globale
può rendere assai difficile la tutela nel caso di contenuti riprodotti in
Paesi al di fuori dell'Unione, talora anche ad opera di soggetti
difficilmente identificabili.
Rispetto a tale contesto è inevitabile che l'interessato reclami una
216
FINOCCHIARO G., Il convitato di pietra nella recente sentenza Google
della CGUE del 13 maggio 2014: il diritto all'identità personale, in
giustiziacivile.com, 21 giugno 2014
217
Tale centralità pare essere stata colta dal legislatore comunitario
nell'avanzare la proposta di riforma della data protection. Cfr. art. 17 (3) (a) proposta
di regolamento comunitario in materia di tutela dei dati personali.
149
diversa, più estesa ed incisiva tutela rispetto alla memoria della Rete.
Per converso, la rimozione di contenuti, specie quando riguarda i
media online, va accuratamente bilanciata con la libertà di
informazione e di essere informati. Ad oggi tale bilanciamento non
pare del tutto agevole, stante il quadro normativo delineato dalla dir.
95/46/EC.
Da un punto di vista strettamente tecnico le attuali tecniche di deindicizzazione ex post o di prevenzione dell'indicizzazione sono al
momento rudimentali, e tali permangono dalla metà degli anni '90.
Strumenti più efficaci del Robots Exclusion Protocol sono quelli che
prevedono l'utilizzo di fasi di interazione umana con i contenuti
online prima della loro fruizione da parte degli utenti, in modo da
disincentivare, se non escludere del tutto, l'azione di agenti
automatizzati di ricerca. Tuttavia tali accorgimenti non hanno una
diffusa accettazione in quanto incidono negativamente sulla
esperienza d'uso della rete, oggi caratterizzata da una diffusione di
dispositivi mobili di ridotte dimensioni e dalla conseguente
necessità di garantire una maggiore semplicità d'uso attraverso una
semplificazione delle interfacce uomo-macchina.
Altro possibile approccio è quello basato sul paradigma del web
150
semantico per la tipizzazione delle informazioni e la definizione di
una disciplina del loro utilizzo, anche con riferimento agli aspetti di
protezione dati. Tale approccio richiederebbe però un radicale
mutamento delle tecniche di pubblicazione online, dei formati dei
documenti e una conseguente compliance da parte dei search
engines.
Tutto ciò lascia pensare che, qualora si intenda limitare la
conoscenza di informazioni l'unico strumento davvero efficace sia la
radicale misura della rinuncia alla loro pubblicazione. La presenza
sul web di una notizia la candida comunque, nonostante le possibili
azioni tecniche mitigatrici, a conoscere in misura più o meno
rilevante
l'indesiderata
diffusione,
nonostante
interventi
di
legislatori e decisioni giudiziarie che hanno comunque efficacia
limitatamente alla giurisdizione esercitabile, in un contesto di
fenomeni tecnologici di tipo transnazionale.
In dottrina218 ci si interroga quindi se occorra rassegnarsi a un
mondo tecnologico in cui il passato di ogni individuo possa
riemergere con poche o nessuna possibilità di controllo, la sua vita
218
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss
151
privata possa essere registrata in una sorte di memoria permanente
della rete
o nell'insieme di strumenti di ricerca e sistemi di
memorizzazione, sharing di dati o social networks disponibili online
sulla rete. Segnali incoraggianti vengono dallo sviluppo di tecnologie
di ricerca di tipo semantico che, oltre a essere più accurate ed
efficaci, presuppongono tuttavia modifiche sostanziali alla modalità
di presentazione e di elaborazione delle informazioni.
Il successo di qualsiasi iniziativa volta a concretizzare anche in
prodotti tecnologici i principi della protezione dei dati dipenderà
dalla capacità di affermarli e promuoverli tra la vasta platea
costituita dalla comunità di utenti e sviluppatori della rete, in un'era
in cui i valori della privacy e della protezione dei dati personali
vanno incontro a un'altalena di percezioni e considerazioni anche da
parte del pubblico, dei legislatori e, più in generale, dei policy
makers, in un conflittuale rapporto tra libertà di espressione, diritto
di conoscere da parte del pubblico e diritto dell'individuo di sottrarsi
all'azione invasiva delle tecnologie della rete. Lo stesso processo
davanti alla Corte di Giustizia è stato caratterizzato dalla
partecipazione di diversi attori, portatori di diversi valori e interessi,
che hanno assunto posizioni contrastanti. L'avvocato generale
152
Jaaskinen219 aveva proposto una decisione antitetica rispetto a
quella adottata dalla Corte: egli non solo aveva escluso che Google
potesse essere responsabile, ma aveva considerato la stessa immune
rispetto a ordini di rimozione, quando si fosse limitata a svolgere la
propria fisiologica funzione di indicizzare tutti i contenuti in rete,
non essendo, in tale ruolo, titolare di un'elaborazione di dati
personali. Inoltre, la preminenza della libertà di espressione,
secondo la tradizione nordeuropea, più vicina in questo riguardo
all'esperienza statunitense, conduceva Jaaskinen a ritenere che la
responsabilizzazione del motore di ricerca avrebbe indotto lo stesso
alla rimozione dei link a ogni materiale contestato, e che ciò avrebbe
comportato un inammissibile pregiudizio alla libertà di espressionecomunicazione di chi avesse pubblicato un'informazione on-line220.
Anche i pareri degli Stati membri divergevano su importanti
questioni. I governi spagnolo, italiano e polacco, nonché la
Commissione, ritenevano che “l'autorità nazionale possa ordinare
direttamente al gestore di un motore di ricerca di rimuovere dai
propri indici e dalla propria memoria intermedia informazioni
219
Conclusioni dell'Avvocato Generale Niilo Jaaskinen, presentate il 25 giugno
2013 (1), nella Causa C-131/12 Google Spain SL e Google Inc.contro Agencia
Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González
220
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss
153
contenenti dati personali pubblicati da terzi, senza doversi rivolgere
previamente o simultaneamente all'editore della pagina web nella
quale compaiono tali informazioni”. Invece il governo polacco
escludeva la legittimità della rimozione dagli indici di un motore di
ricerca di informazioni lecitamente pubblicate su Internet 221.
Google pur criticando la decisione della Corte, ha iniziato a dar
seguito a essa, offrendo un'interfaccia web nella quale gli interessati
possano esprimere le proprie doglianze, e procedendo a rimuovere i
link contestati, molti dei quali riguardano informazioni di apparente
interesse pubblico. Questo esito censorio è stato interpretato da
alcuni come una conferma dell'assurdità della decisione da Corte,
che obbliga i provider a esercitare un ruolo improprio, e da altri
invece come cinica scelta tattica di Google, che rifiuta di essere
selettiva nelle proprie scelte di rimozione, al fine di screditare la
decisione dei giudici e ridurre i propri costi . Non si vede peraltro
perché Google dovrebbe procedere a rimozioni più selettive,
sottoponendosi al rischio di possibili sanzioni nel caso che le proprie
valutazioni non dovessero coincidere con l'eventuale successiva
221
Corte di Giustizia, Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 13 maggio
2014), nella Causa C-131/12,
154
decisione autoritativa222.
Sembra indubbio che questa decisione contribuirà ad accrescere il
divario tra Europa e Stati Uniti in materia di protezione dei dati.
Infatti, la costruzione della Corte sembra del tutto incompatibile con
alcuni
principi
fondamentali
dell'ordinamento
giuridico
statunitense. Essa è in evidente conflitto con la libertà di parola
garantita dalla costituzione statunitense: non solo la Corte afferma
che la privacy può limitare la libertà di espressione, ma attribuisce
alla prima un ruolo almeno presuntivamente prevalente sulla
seconda. Inoltre la tesi della Corte appare incompatibile con l'idea
dell'immunità del provider rispetto alle informazioni prodotte da
terzi, immunità conferita dal Communication Decency Act (CDA)
statunitense e interpretata in modo assai esteso dai giudici
americani. Nella decisione della Corte manca anzi ogni riferimento
222
Sul tema è intervenuto recentemente Jimmy Wales, il fondatore di
Wikipedia, il quale ha qualificato l'esercizio del diritto a essere dimenticato come
“profondamente immorale”, poiché “la storia è un diritto umano e una delle peggiori
cose che una persona possa fare è cercare di tacitare un altro” (73). Secondo Lila
Tretikov, direttore esecutivo della Wikimedia Foundation (l'ente che gestisce
Wikipedia) “la Corte europea ha abbandonato la sua responsabilità di difendere uno
dei diritti più importanti e universali, il diritto di cercare, ricevere e trasmettere
informazione”, e di conseguenza “risultati di ricerche accurate stanno sparendo in
Europa senza spiegazione pubblica, senza prova reale e senza esame giudiziale, di
modo che ne risulta un'Internet crivellata di buchi di memoria alla Orwell” . Cfr.
Notizia riportata in Owen. Right to be forgotten: Google accused of deliberately
misinterpreting court decision to stoke public anger (2014). The Independent, 3
giugno
155
alle limitazioni della responsabilità del provider stabilite dalla
Direttiva sul commercio elettronico, benché tali limitazioni siano
state ribadite, anche rispetto alla violazione delle norme sulla
privacy, nell'Articolo 2, comma 3 della proposta di Regolamento
Generale sulla Protezione dei dati 223.
CAPITOLO QUARTO
4 DIRITTO ALL’OBLIO E DIRITTO ALL’INFORMAZIONE
Secondo il quale il regolamento si applicherà “without prejudice to the
application of Directive 2000/31/EC, in particular of the liability rules of
intermediary service providers in Articles 12 to 15 of that Directive”.
223
156
4.1
Il diritto all’informazione nella duplice prospettiva del
diritto di informare e del diritto ad essere informati
La disciplina del trattamento dei dati personali nell'ambito
dell'attività giornalistica, o comunque nel più generico ambito della
manifestazione
del
pensiero,
pone
delicati
problemi
di
bilanciamento di interessi e di diritti parimenti costituzionalmente
protetti e potenzialmente confliggenti, venendo in risalto da un lato i
diritti della persona (e tra questi primariamente quelli alla
riservatezza ed all'identità personale) e, dall'altro, la libertà di
manifestazione del pensiero ed il diritto all'informazione224. Il primo
riconoscimento
del
diritto
alla
riservatezza
è
avvenuto
nell’ordinamento giuridico statunitense alla fine del XIX secolo in
virtù di un caso concreto che aveva riguardato il senatore Warren,
spesso bersagliato dai giornali di cronaca locali, non tanto per
documentare la sua attività politica, quanto per rendere conto del
suo stile di vita brillante, del suo coinvolgimento nella vita mondana,
224
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
157
delle sue amicizie con importanti esponenti dell’economia225. In tal
modo si lasciava sottointendere la possibilità che il senatore fosse
influenzato, nell’espletamento dei suoi compiti, proprio da questo
stile di vita e dalle sue amicizie. Indignato da tale prassi, il senatore
sostenne, attraverso un pamphlet, l’opportunità di tutelare la sfera
privata. Egli pubblicò infatti, con il contributo del giudice Brandeis,
un saggio in cui la lesione della privacy veniva concepita come vero e
proprio atto illecito (tort) e nel quale si sottolineava che, se
originariamente il diritto alla vita e alla libertà potevano essere
concepiti come esigenza di protezione contro attacchi sul corpo della
persona provenienti da azioni violente o arbitrarie, col passare del
tempo, l’esigenza di protezione si è aperta, come un ventaglio, fino a
comprendere nuove aspettative di tutela. In effetti l’aggressione alla
persona si manifesta anche attraverso il semplice uso della parola
che, a seconda della modalità di utilizzo, può ben tradursi in un’arma
ancor più pericolosa di quelle materiali recidendo, talvolta
irrimediabilmente, i legami di fiducia, amicizia e stima che il
soggetto ha creato e curato nel corso della sua esistenza226. Al diritto
BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A.
CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61
226
BRUGNATELLI F., “Privacy, diritto all’informazione e diritti della
personalità”, in Giustizia civile 2005, pt. 1, p. 1385 e ss.
225
158
alla riservatezza si contrappone il diritto di cronaca che concretizza,
sotto più profili, l’interesse della collettività a conoscer e che assume
una posizione azimutale e irremovibile negli ordinamenti basati su
princìpi liberali e democratici227. Nell’ordinamento giuridico italiano
esso trova espresso riconoscimento negli articoli 2, 3 (comma 2), 15
e 21 della Costituzione che delineano l’esigenza fondamentale della
persona alla libera manifestazione del pensiero. In chiave politica,
tale diritto si avvalora allorché i governati siano messi nelle
condizioni di valutare una serie di informazioni sui propri
rappresentanti, che appariranno utili soprattutto al momento delle
elezioni e durante l’esercizio della carica. L'art. 21 della Costituzione
afferma infatti solennemente la libertà di manifestazione del
pensiero alla quale si riconducono “la libertà di informazione, di
espressione, di opinione, di stampa; la libertà e il diritto di cronaca e
di critica nonché il diritto all'informazione”228. È stata la Corte
Costituzionale, nella sentenza 15 giugno 1972, n. 105, a definire
espressamente il lato attivo della libertà di manifestazione del
pensiero come “libertà di dare e divulgare notizie, opinioni,
BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A.
CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61
228
FILIPPI, C., I trattamenti di dati personali nel mondo dell'informazione, in R.
Acciai (cur.), Il diritto alla protezione dei dati personali: la disciplina sulla privacy
alla luce del nuovo Codice, p. 798.
227
159
commenti” e il lato passivo come “interesse generale, anch'esso
indirettamente protetto dall'art. 21, alla informazione; il quale in un
regime di libera democrazia implica pluralità di fonti di
informazioni, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati
ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione di notizie e di
idee”.
La dottrina229 ha individuato come criterio atto a distinguere la sfera
di applicabilità dell’art. 15 da quella dell’art. 21 Cost. risiede, oltre
che nel carattere di attua- lità della comunicazione, soprattutto nella
sua intersubiettività230. Tale secondo requisito consiste in ciò che, a
differenza che nella seconda fattispecie, le espressioni di pensiero
cui si riferisce la prima devono essere formulate da un soggetto
mittente (persona fisica o giuridica) al fine di farle pervenire nella
sfera di conoscenza (o conoscibilità) di uno o più soggetti destinatari
previamente individuati. In senso conforme alla dottrina dominante,
la Corte costituzionale ha precisato che la distinzione in parola «si
incentra nell’essere la comunicazione, nella prima ipotesi, diretta a
destinatari predeterminati e tendente alla segretezza e, nell’altra,
CARRERA L., “Informazione e minore età tra diritto di cronaca e diritto alla
riservatezza”, in Dir. Rad. Tev., 2000, p. 329 e ss.
230
BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A.
CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61
229
160
rivolta invece a una pluralità indeterminata di soggetti»231. Tale
ricostruzione rinveniva un fondato appoggio nell’assetto delle
telecomunicazioni, incentrato sulla coincidenza tra il mezzo
utilizzato e il servizio che per il suo tramite era trasmesso, cosicché
sulla base del mezzo concretamente impiegato era possibile
desumere con sufficiente certezza il carattere intersoggettivo o
meno della comunicazione. Tale struttura era ben esplicitata nella
definizione adoperata nelle Convenzioni internazionali di Madrid del
6 dicembre 1932 e di Buenos Aires del 22 dicembre 1952, secondo
cui «per telecomunicazioni si intende ogni emissione, trasmissione o
ricezione di segni, di segnali, di scritti, di immagini, di suoni o di
informazioni di qualsiasi natura, per filo, radioelettrica, ottica o a
mezzo di altri sistemi elettromagnetici». L’innovazione realizzatasi
nelle tecnologie comunicative, con particolare valenza nell’ultimo
decennio, ha reso questa definizione e le distinzioni che ne derivano
del tutto inadeguate232. La difficoltà di individuare una soluzione
normativa equilibrata per contemperare i diversi interessi
meritevoli di tutela aveva in passato dato luogo alla travagliata
Corte cost., sent. n. 1030/1988, in Giur. cost., 1988, 5000, ove l’espressione
«tendente alla segretezza» pare appunto assegnare a questa un carattere meramente
eventuale, quale elemento naturale ma non necessario della comunicazione ex art. 15.
232
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss
231
161
vicenda dell'art. 25 della legge 675/1996. Il comma 1° dell'art. 25, a
poco più di un anno dall'entrata in vigore della legge, era stato
integralmente sostituito in forza dell'art. 12, comma 3°, del d.lgs. n.
171/1998. Nel complesso si era trattato di un intervento diretto a
ridurre i limiti posti all'attività giornalistica; spiccava tra le
modifiche la previsione di una disciplina unitaria per il trattamento
in ambito giornalistico di tutti i dati sensibili e giudiziari233 (mentre
il testo precedente stabiliva un regime differenziato per i dati idonei
a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale). Un'ulteriore modifica
era stata in precedenza introdotta dall'art. 2 del d.lgs. 123/1997, che
rendeva l'art. 25 applicabile non solo ai giornalisti professionisti ma,
con loro, anche a pubblicisti e praticanti, nonché ai “trattamenti
temporanei
finalizzati
esclusivamente
alla
pubblicazione
o
diffusione occasionale di articoli, saggi ed altre manifestazioni del
pensiero”234. Queste scelte apparivano corrette ove si consideri che,
con il disposto dell'art. 25, il legislatore italiano aveva inteso dare
attuazione alla direttiva 95/46/CE; la quale, all'art. 9, ammette
appunto esenzioni e deroghe alla disciplina generale del trattamento
BRUGNATELLI F., “Privacy, diritto all’informazione e diritti della
personalità”, in Giustizia civile 2005, pt. 1, p. 1385 e ss.
234
FERRARA, SANTAMARIA M., Il diritto all’illesa intimità privata, in
Rivista del Diritto Privato, I, vol. VII, 2008 pp. 168-191
233
162
quando sia effettuato “esclusivamente a scopi giornalistici o di
espressione artistica o letteraria” e le stesse “si rivelino necessarie
per conciliare il diritto alla vita privata con le norme sulla libertà di
espressione”235. La direttiva comunitaria, come confermato nel
preambolo dalle previsioni del 17° e del 37° considerando ha voluto
garantire la libertà di espressione nel suo significato più ampio, e
non solamente la libertà dell'informazione giornalistica236. Il Capo I
nel Titolo XII della Parte II del Codice delinea i profili generali dei
settori del giornalismo e dell'espressione letteraria ed artistica,
riordinando la materia disciplinata dalla legge n. 675/1996 ed
inserendo in un corpus omogeneo disposizioni che erano collocate in
più parti della medesima legge (a seconda che riguardassero il
trattamento di dati comuni, di dati sensibili o altri aspetti). Con
riferimento all’attività del giornalista tali discorsi assumono una
valenza particolare.
Il giornalista non si limita ad esprimere il
proprio pensiero, ma adempie ad un pubblico servizio, la cui finalità
è quella di fornire notizie e commenti in maniera adeguata e
sufficiente per orientare la pubblica opinione, per consentire al
CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa,
radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss.
236
BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A.
CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61
235
163
cittadino di far scelte consapevoli dei propri rappresentanti cui
delegare la gestione della cosa pubblica.
n sostanza, come
sottolineato dagli interpreti, “all’informazione è riconosciuta la
funzione maieutica di pensieri, opinioni, censure e di coerenti scelte
etiche e politiche”:
a) del limite della verità del fatto narrato e/o
commentato, con la precisazione che può trattarsi anche di verità
putativa; b) del limite della continenza sostanziale: le notizie vanno
diffuse entro l’ambito del tema della pubblicazione, senza indugiare
su dettagli della vita del soggetto idonei a soddisfare non l’interesse
all’informazione ma piccole curiosità, immeritevoli di tutela
costituzionale, ex art. 21. Stando all’analisi sino a questo momento
accennata pone come evidente una sorta diimpredicabilità in termini
generali, di un identico diritto ad essere informato quali che siano il
mezzo di diffusione e la natura giuridica del- l’operatore
informativo. Deve poi distinguersi l’informazione a seconda che essa
provenga dai quotidiani e dai periodici a stampa oppure da emittenti
radiotelevisive o ancora dal mezzo elettronico. In effetti proprio la
convergenza multimediale
sottopone a stress le costruzioni
concettuali adottate in letteratura e ne revoca in dubbio l’idoneità a
svolgere una reale funzione conoscitiva237.
237
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
164
4.2
Diritto di informazione, libertà di manifestazione del
pensiero e libertà di stampa
La libertà di manifestazione del pensiero238, che costituisce uno dei
pilastri di ogni ordinamento democratico, è prevista nell'art. 21 della
Costituzione che garantisce ad ogni soggetto la facoltà di
esteriorizzare “…il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione…”.
Tale libertà viene concretamente
esercitata attraverso una pluralità di mezzi tra i quali: la stampa, la
telediffusione, la radio diffusione, la pubblica affissione, gli spettacoli
pubblici, etc. L'impiego di questi mezzi concreta quel particolare
aspetto del diritto sancito dall'art. 21, denominato “libertà di
informazione”239. In particolare, volendosi soffermare sul mezzo
stampa, l'art. 21 Cost. nei capoversi successivi al primo, sancisce i
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.
238
ANGIOLINI, “Riserva di giurisdizione e libertà costituzionali”, ed.
CEDAM, 1992.
239
Il principio di libertà di informazione deve, inoltre, considerarsi
giuridicamente vigente in Italia per effetto dell’art. 19 della “Dichiarazione
universale dei diritti dell’Uomo” (Assemblea Generale ONU, 10/12/1948, ratificata
dall’Italia), nel quale si riconosce ad ogni individuo il diritto di ricercare
informazioni e notizie servendosi di qualsiasi mezzo, anche oltrepassando le frontiere
nazionali.
165
seguenti principi: · esclusione di ogni forma di autorizzazione
preventiva (infatti, chi intende pubblicare un libro o uno stampato
non deve chiedere alcun consenso preventivo per poterlo diffondere
ex art.21, comma 2°); · esclusione di ogni forma di censura
successiva alla redazione dello stampato, ma antecedente alla sua
pubblicazione (art.21, comma 2°); · disciplina legislativa delle ipotesi
di sequestro dello stampato (questa misura repressiva posta in
essere per impedirne la diffusione, dunque, deve seguire particolari
procedure a garanzia della libertà di stampa); · possibilità di
stabilire con legge, dei controlli sui mezzi di finanziamento della
stampa periodica (Art.21, comma 5°); · previsione delle facoltà del
legislatore di adottare controlli preventivi e mezzi repressivi contro
la stampa che offenda il buon costume (art. 21, ultimo comma). La
libertà di informazione, anche se costituzionalmente tutelata, può
tuttavia confliggere con altri valori tutelati dalla nostra Carta
fondamentale. L'unico limite esplicito alla libertà di diffondere
notizie citato dall'art. 21 è quello del buon costume, ma si può
desumere dalla Costituzione (art. 2 e 3) che numerosi altri valori di
rilevanza costituzionale possono porre dei limiti al diritto di cronaca.
Tra i conflitti più frequenti vi è quello tra il diritto ad informare e i
166
diritti della personalità, quali quelli all'onore o alla riservatezza. Tale
scontro
tra
valori
costituzionalmente
tutelati
si
sostanzia
frequentemente nel reato diffamazione (articolo 595 del Codice
Penale)240. Attualmente, abolita l'autorizzazione per la pubblicazione
di stampati, è stato adottato un sistema di registrazione dei periodici
presso la Cancelleria del Tribunale, nel cui circondario deve avvenire
la pubblicazione241. Questa registrazione non incide comunque sulla
libertà di stampa, in quanto costituisce un atto dovuto che non
implica alcuna valutazione discrezionale da parte del Tribunale. Lo
scopo della registrazione, infatti è solo quello di consentire
l'identificazione dei responsabili della Testata nel caso in cui siano
commessi dei reati attraverso lo stampato. La legge sulla Stampa n.
47 del 8 febbraio 1948 prevede il divieto della stampa anonima242 in
quanto essa si pone in contrasto con i principi e le libertà
Costituzionali, essendo finalizzata ad occultare la responsabilità
240
MANZINI, Trattato di diritto penale, VIII, Torino, 1995.
BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A.
CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61
242
La facoltà dell’autore di pubblicare la sua opera in forma anonima è regolata
all’art. 126 della L.633/41, che definisce a carico dell’editore, tra gli altri, il dovere di
“riprodurre e porre in vendita l’opera col nome dell’autore, ovvero autonoma o
pseudonima, se ciò è previsto nel contratto”. L’editore che si è contrattualmente
obbligato a pubblicare l’opera in forma anonima (o con pseudonimo-maschera), nel
caso in cui mediante la stessa venga commesso un reato, si trova nella condizione di
non poter rivelare il nome dell’autore, pena il suo inadempimento contrattuale per la
violazione dell’impegno alla segretezza assunto nei confronti dell’autore.
241
167
relativa ad eventuali illeciti penali in essa contenuti. Per questo
motivo tutte le pubblicazioni devono riportare le generalità ed il
domicilio dello stampatore e dell'editore. Per la definizione di
stampa e di stampato, occorre avere riguardo al contenuto dell’art. 1
L. 8 febbraio 1948 n. 47, che dispone: “Sono considerate stampe o
stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o
comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi
modo destinate alla pubblicazione”. Il reato può pertanto
considerarsi commesso con il mezzo della stampa se ricorrono due
condizioni: una oggettiva, relativa alla modalità di formazione dello
scritto (mezzi tipografici o fisico-chimici), tali da garantire la
riproduzione di un testo in più copie uguali tra loro, e una soggettiva,
relativa alla destinazione alla pubblicazione, cioè alla divulgazione
ad un numero indeterminati di soggetti. Autorevole dottrina
243
ha
sempre sostenuto che, nel momento stesso in cui si dà all’art. 21
Cost. il significato di una garanzia della libertà di informare, abbiamo
già compiuto un salto qualitativo rispetto alla semplice libertà di
manifestare il proprio pensiero, perché abbiamo già caratterizzato il
dettato costituzionale non semplicemente in funzione dell’interesse
di chi utilizza il mezzo di diffusione, ma altresì in funzione dell’utilità
243
168
di un prevedibile destinatario della comunicazione.
La norma
costituzionale avrebbe riguardo ad una manifestazione del pensiero
che diventa veicolo di un messaggio immediato, strumento di
coesione e di crescita della collettività. Si potrebbe al contrario
sostenere come il nostro ordinamento costituzionale non riconosce
un’autonoma
libertà
d’informare
distinta
dalla
libertà
di
manifestazione del pensiero (come invece accade, ad esempio,
nell’ordinamento spagnolo),
ne segue che, avendo la Corte
costituzionale, nella scia della pressocchè unanime dottrina
costituzionalistica, desunto la libertà d’informare dall’art. 21 Cost.,
quest’ultimo diritto di libertà non può avere una struttura e una
disciplina giuridico-costituzionale diverse dalla struttura e dalla
disciplina costituzionale del diritto «individualistico» di manifestare
liberamente il proprio pensiero, proclamato nell’art. 21 Cost.,
nel
cui capace alveo la libertà di cronaca e di informazione trova
riconoscimento.
Pertanto, se la libertà di manifestazione del
pensiero ha la struttura di un diritto assoluto (in quanto situazione
giuridica soggettiva «attiva» attribuita ai soggetti privati), anche la
libertà d’informazione dovrà conseguentemente avere la stessa
struttura. Sarebbe perciò contraddittorio – in tale ottica – dedurre
169
dallo stesso enunciato normativo tanto un diritto di libertà
dell’operatore dell’informazione quanto un contrapposto diritto dei
destinatari ad una informazione obiettiva, imparziale e completa, in
quest’ultimo diritto verrebbe a porre surrettiziamente dei limiti alla
«libertà» di informare che la stessa disposizione garantisce. Ciò però
non significa che, pur partendo da tale impostazione, non siano
predicabili, nel nostro ordinamento costituzionale, specifici diritti ad
essere informati. Essi però non hanno una valenza generale
(simmetrica alla valenza «generale» della proclamazione di libertà
contenuta nell’art. 21 Cost.), ma si identificano con diritti a
prestazioni informative, desumibili da specifiche disposizioni
costituzionali (ad esempio, gli artt. 32 e 41, co. 2, Cost.), dalle quali
sia appunto inequivocabilmente deducibile la possibilità di imporre
obblighi di informazione a carico di privati in favore di altri privati.
Infatti quando vengono in gioco situazioni giuridiche soggettive
costituzionalmente riconosciute, il legislatore non è libero di
imporre ai privati divieti ed obblighi che ne possano menomare
l’esercizio e, quindi, il contenuto244 La previsione, a carico dei
pubblici poteri, del dovere di informare i terzi che ne facciano
244
DE CUPIS A., voce Riservatezza e segreto (diritto), in Novissimo Digesto
Italiano, XVI, Utet, Torino, 1969, p. 115
170
richiesta – con conseguente enucleazione di un diritto ad essere
informati nei confronti di essi – non trova invece ostacoli di
principio nella normativa costituzionale. Ne segue che specifici
diritti ad essere informati dai pubblici poteri (talvolta riconosciuti ai
soli cittadini) sono stati più volte giustamente previsti dal legislatore
ordinario, praticamente senza limiti. Anzi, il fatto che la nostra
Costituzione imponga alla Repubblica italiana, proprio perché
democratica, di ampliare la partecipazione politica, economica e
sociale dei cittadini (artt. 1 e 3); garantisca il loro più ampio accesso
agli uffici pubblici (art. 51, co. 1) e, per il tramite del principio di
imparzialità amministrativa (art. 97), pretenda che «le mura degli
uffici [pubblici] dovrebbero essere di vetro»,
impone – e non
soltanto facoltizza – la previsione di costanti prestazioni informative
da parte dello Stato e degli altri enti pubblici (territoriali, locali,
autonomi ...)245. A livello internazionale, il diritto all’informazione,
non è privo di riferimenti istituzionali di rilievo non tutti nuovissimi
e molti dei quali lontani nel tempo ma niente affatto cancellati dal
tempo, a cominciare dall’articolo della Dichiarazione Universale
dell’ONU del 1948, laddove si riconosce come diritto fondamentale
BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A.
CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61
245
171
di tutti i cittadini del mondo quello di cercare, ottenere e diffondere
informazioni. Questa rimane ancora una formula estremamente
felice, integrata poi dalla lungimirante indicazione “senza tenere
conto di frontiere”, che allora aveva un significato sul quale non
voglio oggi insistere, ma che ancora oggi fotografa, riflette e ci dà
modo di comprendere la dimensione del “senza frontiere”, che è
quella della rete globale con la quale noi in ogni momento facciamo i
conti. Questo ha avuto ricadute nello stesso anno 1948, anzi nella
stesura del 1947 della nostra Costituzione, all’art. 21, dove si ritrova
un elemento significativo, quello cioè della possibilità di rendere
pubbliche le forme di finanziamento della stampa. Ancora nella
Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a
Nizza nel 2000, questa linea viene confermata. Queste indicazioni
fanno del cittadino una persona titolare del diritto fondamentale
all’informazione. Per quanto riguarda l’impossibilità di ridurre la
garanzia soltanto alla non-ingerenza pubblica, si comprende come
questa indicazione, che ancora si trova nella Carta dei Diritti
Fondamentali, abbia una sua ragione storica e mantenga una certa
ragione di attualità nella questione della censura. Grande problema
dal momento in cui la stampa è stata inventata e poi per tutto il
172
diciannovesimo e il ventesimo secolo, la questione della censura è
tutt’altro che risolta, tutt’altro che legata ai media tradizionali246.
4.3
Il bilanciamento tra il diritto di sapere della collettività e
il diritto di occultare del singolo
La difficoltà di una ricostruzione sistematica della libertà di
informazione, in mancanza di una disciplina positiva risultante dal
dettato costituzionale sono molteplici. In primo luogo, è in
discussione l’esistenza stessa di una simile libertà, nonché la
delineazione della sua natura e dei suoi limiti. In secondo luogo, una
volta ammessa la sua esistenza è necessario stabilire se essa debba
configurarsi come una specificazione della libertà di manifestazione
del pensiero oppure come una entità autonoma e distinta.
Dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale247sono emersi
alcuni principi fondamentali in tema di informazione. Il primo di tali
principi può essere individuato nella stretta connessione esistente,
246
Basta guardare a ciò che sta avvenendo in questo momento in Cina, dove
grandi operatori come Google e Yahoo! danno man forte alla censura per ragioni
commerciali, in un’alleanza tra mercato e censura.
BILOTTA F., L’emersione del diritto alla privacy, in Privacy, a cura di A.
CLEMENTE, Cedam, Padova, 1999, pp. 21-61
247
173
nel nostro sistema, tra la libertà di informazione e la forma di Stato,
dal momento che la predetta libertà costituisce uno strumento
indispensabile in un regime democratico. Ed è proprio in questa sua
strumentalità,
che
rinviene
il
suo
fondamento
positivo:
all’informazione viene, infatti, riconosciuta l’idoneità ad assicura la
realizzazione dei principi cardine del sistema. Un secondo principio
è racchiuso nel concetto di pluralismo, inteso quale concorrenza di
più soggetti realmente differenziati, quanto alla gestione dei vari tipi
di mezzi informativi. Solo attraverso una pluralità di fonti di
informazione si può garantire il corretto formarsi della pubblica
opinione. Dalla combinazione dei suddetti principi si evince la
necessità di una informazione corretta. A tale proposito, assume
notevole rilievo il modo di presentazione dalla notizia: essa viene
selezionata e disposta secondo un ordine prestabilito, che è frutto di
una scelta effettuata del soggetto emittente248. Ciò implica,
innanzitutto la decisione circa la sua collocazione nel contesto di un
determinato sito internet e, in secondo luogo, la scelta del titolo che
sempre più spesso assolve ad una funzione pubblicitaria piuttosto
che informativa per cui l’effetto di attrazione sul lettore prevale di
CARETTI P., Diritto dell’informazione e della comunicazione. Stampa,
radiotelevisione, telecomunicazioni, teatro e cinema, Bologna, 2009;, p. 258 e ss.
248
174
gran lunga su quello della esatta rappresentazione dei fatti. D’altro
canto la scrittura giornalistica non può essere considerata al di fuori
dei suoi supporti materiali: i titoli, l’impaginazione, l’esecuzione
tipografica fanno parte dell’informazione. Pertanto si avverte
l’esigenza di regolamentazioni giuridiche in grado di disciplinare
l’attività informativa, tutelando la presenza e l’indipendenza delle
varie fonti di informazione e garantendo la trasparenza e la
correttezza nello svolgimento del rapporto informativo249. La libertà
di informare viene considerata dalla dottrina prevalente250 a volte
come la massima espressione della libertà di manifestazione del
pensiero altre volte viene invece identificata con la libertà di stampa.
Questa duplice assimilazione tra informazione e manifestazione del
pensiero e tra informazione e stampa ha un fondamento storico. Il
lungo processo evolutivo che portò al superamento dello Stato
assoluto e che ebbe inizio nel XVIII secolo fu contraddistinto proprio
da una progressiva identificazione della libertà di espressione con la
libertà di stampa al punto che esse vennero considerate l’una il
risvolto dell’altra dal momento che entrambe concernevano il
249
DE CUPIS A., voce Riservatezza e segreto (diritto), in Novissimo Digesto
Italiano, XVI, Utet, Torino, 1969, p. 115
250
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
175
medesimo oggetto anche se nella diversa prospettiva del contenuto
dei mezzi.251 Non è causale, d’altra parte, il collocamento della
disciplina della stampa nella medesima disposizione costituzionale
che proclama solennemente la libertà di manifestazione del
pensiero252. La stampa è infatti l'unico mezzo di informazione che il
Costituente
ha
inteso
regolare
in
maniera
specifica,
in
considerazione non solo del fatto che essa rappresenta lo strumento
di comunicazione più diffuso ed efficace, ma anche per l’esigenza di
eliminare l’arcaica formula contenuta nell’art. 28 dello Statuto
Albertino che, dopo, aver proclamato la libertà di stampa rimandava
alla legge la repressione degli abusi, lasciando cosi ampia
discrezionalità al legislatore. E’ da segnalare, tuttavia che all’articolo
21 Cost. viene attribuito un diverso significato a seconda che i vari
autori e la stessa Corte Costituzionale sottolineino la specialità della
disciplina della stampa o piuttosto la sua esemplarità rispetto agli
altri mezzi di informazione. In realtà la controversia di fondo
riguarda l’intera portata della garanzia costituzionale; si discute, in
altri termini, se essa si limiti alla sola stampa oppure si estenda
251
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
252
VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati
personali, in Dir Inf., 2007, 2, 347
176
anche agli altri mezzi di comunicazione. Controversa è anche la
questione relativa alla inclusione, tra i mezzi di manifestazione del
pensiero, della stampa periodica. Parte della dottrina, propende per
la soluzione positiva riservando, però, soltanto alla stampa periodica
la particolare disciplina prevista dai commi 4 e 5 dell’articolo 21
della Costituzione. In base a quanto osservato l’impostazione che
appare più consona alla ratio del testo costituzionale, ma anche a
un’interpretazione evolutiva condotta alla luce del dinamismo
sociale, è quella proposta da chi, presupponendo l’inscindibilità del
rapporto tra libertà e segretezza della comunicazione ex art. 15,
ritiene che la linea di confine tra le comunicazioni rivolte alla
generalità e quelle intersoggettive riservate risieda nelle modalità di
espressione concretamente utilizzate253. Seguendo questa linea di
pensiero è da dirsi, infatti, che affinché una comunicazione possa
dirsi riservata non è sufficiente che sia formalmente indirizzata a
soggetti scientemente individuati, ma che le stesse modalità
attraverso le quali è trasmessa siano tali da non renderla manifesta a
253
DE GIACOMO C., Diritto, libertà e privacy nel mondo della comunicazione
globale. Il contributo della teoria generale del diritto allo studio della
normativa
sulla tutela dei dati personali, Giuffrè, Milano, 1999, p. 126 e ss
177
terzi, quanto meno in via di principio254.
In questo senso,
l’infungibilità che caratterizza le comunicazioni riservate non è data
soltanto dalla determinatezza dei destinatari, ma anche dalla
segretezza assicurata dalle modalità di trasmissione.
Libertà e
segretezza costituiscono infatti una unica situazione soggettiva, in
quanto «la particolare disciplina dell’art. 15 trova la sua ragione
d’essere nella segretezza, e la segretezza rinviene la sua
giustificazione nella libertà».
Per citare un esempio, rispetto la
soggettività della tutela, si potrebbero pensare agli articoli 136 e
137, come accennato, prendono in considerazione sia i trattamenti
effettuati nell'ambito dell'attività giornalistica (professionale o quale
pubblicista
o
praticante),
sia
quelli
temporanei
finalizzati
esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di
articoli, saggi o altre manifestazioni del pensiero. Si tratta di attività
che, pur costituendo entrambe forme di esercizio della libertà di
espressione, presentano caratteristiche eterogenee e pongono
problemi in parte diversi. Il comma 3° dell'art. 137 si chiude con la
precisazione che il giornalista conserva comunque la possibilità di
trattare “i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti
LAGHEZZA P., Il diritto all’oblio esiste (e si vede). Nota a sentenza
Cassazione civile, Sez. III, 9 aprile 1998, n. 3679, in <<Il Foro Italiano>>, 1998, I, p.
1834-1840
254
178
direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in
pubblico”, anche qualora l'informazione non sia essenziale rispetto a
fatti di interesse pubblico255.
Potrebbe risultare oscuro dove si
collochi la “soglia della notorietà” cui la norma allude. Secondo la
soluzione prospettata dalla dottrina il fatto non può venir reso noto
mediante semplice comunicazione a soggetti determinati; la
“notorietà” del dato postula, infatti, che vi sia stata “diffusione in
senso tecnico” della notizia: che ne sia stata data conoscenza, cioè, ad
una generalità di soggetti indeterminati256. La scelta del legislatore
nostrano di impostare il rapporto tra tutela dei dati e diritto di
cronaca secondo lo schema delle esenzioni e delle deroghe alla
normativa generale implica che il trattamento dei dati nell'esercizio
dell'attività informativa rimanga, per tutti gli aspetti non coinvolti
dalle deroghe, assoggettato alla disciplina del Codice. Trovano
dunque applicazione sia le norme concernenti le informazioni che
devono essere rese al momento della raccolta, sia quelle relative alle
facoltà dell'interessato di conoscere ed ottenere la rettifica o
l'aggiornamento dei dati, oltre alle disposizioni in tema di sicurezza
NERVI A., Il contenuto dell’attività di trattamento dei dati personali, in
CUFFARO V., RICCIUTO V. (a cura di), La disciplina del trattamento dei dati
personali, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 61-96.
256
RAO G., Informatica, banche dei dati e principi costituzionali, in AA.VV.,
Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Scritti in onore di P. Barile, Cedam,
Padova, 1990, pp. 473-511
255
179
dei dati, a quelle in materia di responsabilità nonché ai principi
generali di liceità e correttezza nella raccolta e diffusione dei dati
(che costituiscono un criterio generale per valutare la condotta
dell'informatore257.
E’ poi noto come uno degli aspetti più controversi della disciplina del
diritto alla riservatezza, oggetto di una ricca giurisprudenza di
merito, è indubbiamente quello inerente il rapporto fra vicende
personali private e fatti che abbiano suscitato un grande interesse
nella collettività. In proposito una pronuncia di rilievo è quella
riguardante il c.d. caso Trigona258, destinata a diventare un
precedente, più volte seguìto e citato dai giudici , per quanto
concerne la relazione fra rievocazione storica di eventi noti e diritto
al riserbo. Nella sentenza, il Pretore di Roma affermava che si deve
negare
l'esistenza
del
diritto
alla
riservatezza
quando vengono rievocati fatti assai conosciuti all'epoca in cui sono
accaduti ed oggetto di interesse pubblico, tali da essere significativi
257
PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
258
ret. Roma, 25 gannaio 1979, in Dir. aut., 1979, p. 69 ss. Nel caso di specie
la R.A.I. ha trasmesso uno sceneggiato in cui sono state rievocate le vicende del
"delitto Paternò", in cui venne uccisa Giulia Trigona; la figlia dei coniugi Trigona ha
agito in giudizio a tutela del diritto alla riservatezza dei genitori e della propria
immagine
180
dal punto di vista storico ed emblematici di un'epoca. Il pretore ha
individuato quelli che sono poi stati i criteri per ammettere la
legittimità di molte altre rievocazioni storiche259: la notorietà degli
eventi260, l'interesse storico, l'attenzione della collettività per le
vicende nel periodo in cui sono accadute e l'attualità dell'interesse
generale al riesame dei fatti261. In tal senso, in una successiva
sentenza del 1983, il Pretore di Roma, riprendendo letteralmente le
argomentazioni del caso Trigona, ha affermato che il diritto alla
riservatezza trova "il suo limite nell'interesse sociale alla
conoscenza" e che "il diritto dell'individuo all'intimità ed al riserbo
259
Le motivazioni del Pretore di Roma, ora esposte, sono state riproposte in
maniera sostanzialmente identica in molte pronunce relative a casi di trasmissioni
televisive realizzate dalla R.A.I., rievocanti fatti di cronaca nera (cfr. Trib. Roma,
(ord.), 8 novembre 1996, in Giust. civ., 1997, I, p. 1979 ss.; Trib. Roma, (ord.), 20
novembre 1996, ivi; Trib. Roma, (ord.), 27 novembre 1996, ivi; Trib. Roma, 20
settembre 1993, in Dir. informaz. informatica, 1994, p. 331 ss.; Pret. Roma, 25
maggio 1985, in Dir. aut., 1986, p. 181 ss.; Pret. Roma, 7 novembre 1986,
in Giur. merito, 1987, I, p. 1190 ss.;Pret. Roma, 6 maggio 1983, in Dir. aut., 1984, p.
78 ss.).
260
In proposito il giudice ha affermato che "la situazione qui considerata è
assurta, per la notorietà dei personaggi protagonisti, e per le implicazioni anche
politiche [...] ad evento di rilevanza e di interesse nazionali" (cfr. Pret. Roma, 25
gennaio 1979, cit., p. 71).
261
Si fa riferimento all'"interesse generale alla ricostruzione storica [...] di fatti e
situazioni resi pubblici e quindi non coperti dalla sfera dell'intimità familiare"
(cfr. Pret. Roma, 25 gennaio 1979, cit.). L'aspetto dell'attualità dell'interesse è molto
importante, poiché consente di applicare la causa di giustificazione di cui all'art. 97,
comma 1°, l. dir. aut., riguardante il caso di "riproduzione [...] collegata a fatti,
avvenimenti [...] di interesse pubblico". Per questa ragione i giudici, che dopo il caso
"Trigona" hanno negato la lesione del riserbo in fattispecie simili, si sono curati in
primo luogo di dimostrare l'inesistenza di una qualsiasi attenzione della collettività
per l'evento narrato.
181
incontra una deroga nella sua appartenenza all'attualità, alla storia,
alla cronaca". Sulla base delle stesse motivazioni anche la
trasposizione storico-creativa di una vicenda familiare che, per il suo
svolgimento ed il suo epilogo, aveva cessato di essere privata, ed era
divenuta "oggetto di conoscenza e di analisi, a diverso livello, da
parte del pubblico"262 è stata considerata legittima dai giudici. Si è
tuttavia precisato, in altre pronunce263, che l'interessato mantiene
sempre un proprio diritto ad opporsi alla pubblicizzazione di fatti
che lo riguardino, qual'ora gli stessi non siano connessi agli eventi
noti in cui è stato coinvolto . Più recentemente l'"interesse generale
alla notizia" e l'"attualità" del medesimo sono stati nuovamente
considerati dal Tribunale di Roma come sufficienti per negare
l'esistenza del diritto alla riservatezza264 e, con riguardo ad un caso
262
Pret. Roma, 25 maggio 1985, in Dir. aut., 1986, p. 197; anche in
Dir. informaz. informatica, 1985, p. 988. È questa una delle diverse cause intentate
da Miriam Petacci a tutela del diritto alla riservatezza, che ha più volte ritenuto
violato da rievocazioni storiche della figura della madre e della famiglia Petacci in
genere. Nel caso di specie si è trattato dello sceneggiato della R.A.I. intitolato "Io e il
Duce", secondo la Petacci lesivo dell'onore, della reputazione e del riserbo sia dei
Petacci che di lei stessa. Il Pretore ha respinto il ricorso per l'insussistenza di alcuno
dei pregiudizi lamentati.
263
Cfr. Pret. Roma, 7 novembre 1986, in Giur. merito, 1987, I, c. 1190 ss.;
anche in Dir. informaz. informatica, 1987, p. 671 ss.; e in Giur. it., 1989, I, 2, c. 488
ss. Si tratta del noto caso "PupettaMaresca", concernente uno sceneggiato R.A.I. in
cui è stata rievocata la tragica vicenda di questa giovane donna, colpevole di aver
ucciso il mandante dell'omicidio del marito.
264
Trib. Roma, 20 settembre 1993, in Dir. informaz. informatica, 1994, p. 331
ss. Nel caso di specie gli attori richiedevano la concessione di una misura cautelare di
carattere inibitorio per impedire la rievocazione di un omicidio e dei conseguenti
182
di trasmissione televisiva di un processo penale, i giudici della Corte
di appello di Milano265 hanno affermato che la divulgazione di
particolari di una vicenda non rilevanti per l'interesse pubblico
costituisce violazione del diritto alla riservatezza della persona cui
detti particolari si riferiscono266.
Al di fuori della rievocazione in sceneggiati televisivi di vicende
passate meritano di essere considerati altri casi in cui la
divulgazione è avvenuta a mezzo stampa proprio a dimostrazione
del fatto che la problematica dell’oblio sebbene consolidatasi con
l’avvento della rete internet esistesse anche prima della diffusione
della
diffusione
capillare
delle
comunicazioni
elettroniche.
Storicamente i giudici, per negare ogni lesione del riserbo, hanno
fatto ricorso alla "rilevanza sociale della notizia" ed all'interesse
pubblico267. Quest'ultimo concetto è stato poi interpretato in
giudizi penali. La corte ha rigettato il ricorso in quanto il processo riguardava "una
tragica vicenda di sangue che, per il contesto umano e sociale, per il riferimento al
conflitto tra coniugi separati, per la presenza di tre figli, non poteva non sollecitare
l'attenzione della pubblica opinione alla notizia ed agli esiti processuali connessi". Si
è poi addotto, come ulteriore argomento a favore della legittimità della ripresa del
dibattimento, la precedente divulgazione del processo di primo grado da parte della
stessa emittente (R.A.I.); in quest'ottica la trasmissione del secondo grado sarebbe
stata finalizzata ad "una completa informazione ed un approfondito dibattito" sulla
vicenda "già ampiamente nota"
265
App. Milano, 14 marzo 1995, in Danno e resp., 1996, p. 629 ss.
266
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
267
Cfr. Pret. Roma, 2 gennaio 1985, in Dir. informaz. informatica, 1985, p. 710
ss.; e anche Giur. it., 1985, I, 2, c. 479 ss. Nel caso di specie la rivista
183
maniera piuttosto estensiva, tanto che il Tribunale di Napoli ha
considerato di "interesse pubblico" anche la pubblicazione delle
fotografie inedite della figlia infante di un noto calciatore, in
quanto atta a soddisfare l'"esigenza di informazione dei lettori" su di
un personaggio "al centro dell'immaginario collettivo"268. Proprio in
merito alla nozione di "interesse pubblico" quest'ultima sentenza
presa in esame assume un notevole rilievo, in quanto è espressione
estrema dell'opera di stravolgimento che tale concetto ha subito. I
giudici napoletani sono giunti, infatti, ad affermare che a rendere
lecita la divulgazione dell'altrui immagine è la partecipazione del
"Playmen" aveva pubblicato alcune fotografie diSophia Loren nuda, già divulgate in
anni precedenti dalla stessa e da altre riviste, senza alcuna doglianza dell'attrice. Si
trattava di fotogrammi e di fotografie di scena di vecchi film degli anni Cinquanta. Il
Pretore, in proposito, ha affermato che "è innegabile [...] l'interesse del pubblico,
specie giovanile, a conoscere gli esordi (ormai lontani nel tempo) di un'attrice,
assurta, poi, al rango di diva di livello internazionale" (cfr. Pret. Roma, 2 gennaio
1985, cit., p. 716). In una fattispecie analoga la Corte d'appello di Roma (App.
Roma, 8 settembre 1986, in Foro it., 1987, I, c. 919 ss.; e anche in Arch. civ., 1987,
p. 878 ss.; e in Dir. aut., 1987, p. 505 ss.) ha, invece, emesso una pronuncia di segno
opposto. È, infatti, stata ritenuta illecita la pubblicazione, da parte della rivista
"Playmen", di alcuni fotogrammi tratti dal film "La chiave", ritraenti l'attrice Stefania
Sandrelli in pose di nudo integrale, reputandosi che l'operazione soddisfaceva
soltanto "l'interesse, evidentemente non tutelato dell'ordinamento, alla conoscenza
delle più riposte parti anatomiche dell'attrice" e non l'interesse pubblico. In questo
caso sono dunque mancati i fini biografici e "culturali" ravvisati nella vicenda che ha
coinvolto la Loren. Molto probabilmente ha inciso sulla decisione dei giudici anche
la diversa connotazione erotica dei nudi in questione, dal momento che l'interesse
("pubblico") dei lettori di "Playmen" nel vedere le fotografie delle due dive
presumibilmente non differiva. Le stesse considerazioni si possono fare anche in
merito alla pronuncia del Pretore di Milano (Pret. Milano, 19 dicembre 1989, in
Foro it., 1991, I, c. 2863 ss.) che ha ritenuto inesistenti le esigenze prioritarie di
informazione pubblica nel caso di periodici che perseguono fini di lucro attraverso la
pubblicazione di fotografie di nudo, intese solo a soddisfare la pubblica curiosità
(nella specie si è trattato di immagini dell'attrice Edwige Fenech).
268
Trib. Napoli, 19 maggio 1989, in Dir. aut., 1990, p. 382 ss
184
soggetto "ad un avvenimento che, anche senza essere di interesse
pubblico, è tuttavia "interessante" per il pubblico, nel senso, cioè, che
si distacchi dalla normalità della vita quotidiana": si è passati
dall'interesse
della
collettività
("interesse
pubblico")
all'"interessante", comprensivo di qualsiasi informazione atta a
soddisfare la curiosità o il pettegolezzo269.
Sulla base della giurisprudenza qui analizzata si possono muovere
alcune considerazioni sui rapporti esistenti fra fatti noti, interesse
pubblico e riserbo e quindi oblio degli stessi dati. La maggior parte
dei casi esaminati è riconducibile ad un'unica fattispecie comune: la
nuova divulgazione di notizie già rese pubbliche in tempi precedenti,
giustificata dall'interesse sociale per gli eventi in questione.
Elemento centrale nelle pronunce è quindi l'opportunità, o meno, di
tutelare "il diritto al segreto del disonore", per usare una felice
locuzione impiegata dalla Corte di Cassazione in una sentenza270 del
269
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
270
Cass., 13 maggio 1958, n. 1563, in Giust. civ., 1958, I, p. 1510 ss. In realtà si
dovrebbe far riferimento al diritto all'oblio piuttosto che al riserbo, intendendo tale
diritto come legittima pretesa del singolo a ritornare all'anonimato dopo la cessazione
della risonanza dei fatti per i quali è divenuto noto (cfr. Auletta, Il diritto alla
riservatezza e "droit à l'oublì", in L'informazione e i diritti della persona, Napoli,
1983, p. 129 ss.). Tuttavia, seppure la dottrina italiana si sia scarsamente interessata
al tema del diritto all'oblio, a differenza di quella francese e di quella statunitense,
sembra che si possa affermare che l'oblio non costituisce un aspetto distinto rispetto
al riserbo, ma solamente una specificazione di quest'ultimo (cfr.
autorevolmente G.B. Ferri, Diritto all'informazione e diritto all'oblio, inRiv. dir. civ.,
185
1958. I giudici, come si è potuto riscontrare, non hanno riconosciuto
ad alcuno il diritto ad essere dimenticato, appellandosi all'"interesse
pubblico" per giustificare la rievocazione dei vari "casi del secolo".
Nel continuo ricorso alla causa di giustificazione di cui all'art. 97,
comma 1°, della legge sul diritto d'autore, la giurisprudenza è andata
però "degenerando", dimenticando che "interesse pubblico" non è
ciò che interessa al pubblico, ma ciò che risulta rilevante per il bene
della collettività intera: sono necessarie precise ragioni culturali,
morali, politiche o ideologiche a prova dell'utilità sociale della
divulgazione, non il dilagante e morboso interesse per il
pettegolezzo271.
Alla luce dell'evoluzione giurisprudenziale del concetto di "interesse
pubblico" si possono allora interpretare i riferimenti all'"essenzialità
dell'informazione" di cui agli artt. 20 e 25 della l. n. 675/96, nonché
le indicazioni degli artt. 5 e 6 del codice deontologico dei giornalisti,
1990, I, p. 801 ss.; in tal senso anche Crippa, Il diritto all'oblio: alla ricerca di
un'autonoma definizione, in Giust. civ., 1997, I, p. 1990 ss.). Da ultimo, la stessa
Corte di Cassazione ha affermato che deve essere considerato "un nuovo profilo del
diritto alla riservatezza, recentemente definito anche come diritto all'oblio, inteso
come giusto interesse di ogni persona a non essere indeterminatamente esposta ai
danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata
pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata" (cfr. Cass., sez. III,
9 aprile 1998, n. 3679, in Danno e resp., 1998, p. 882).
271
PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
186
in base ai quali nel divulgare dati sensibili "il giornalista garantisce il
diritto all'informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto
dell'essenzialità dell'informazione" e nel diffondere notizie di
rilevante interesse pubblico o sociale si limita a fornire le
informazioni, anche dettagliate, che siano indispensabili "in ragione
dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi
particolari in cui è avvenuto"272. Queste disposizioni, che considerate
in modo a sé stanti, al di fuori di una prospettiva storica, potrebbero
sembrare generiche, costituiscono, tenuto conto dell'intervenuta
ipertrofia della nozione di "interesse pubblico", un richiamo per i
giudici, affinché vengano ripresi gli orientamenti delle prime
pronunce successive al caso Esfandiari273, in cui l'interesse pubblico
coincideva con l'interesse generale dei consociati per fatti di
effettiva importanza nella vita collettiva. L'introduzione del criterio
dell'"essenzialità" assume anche il rilievo di un invito ai media,
perché non perdano il loro ruolo di informatori della collettività,
impegnati a far conoscere le radici e le ragioni sociali o storiche dei
272
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf
273
Trib. Roma, 24 febbraio 1994, in Dir. informaz. informatica, 1994, p. 731
ss.; Pret. Roma, 7 novembre 1986, in Giur. merito, 1987, I, p. 1190 ss. e Pret. Roma,
25 gennaio 1979, in Dir. aut., 1979, p. 69 ss
187
fatti, nonché la psicologia dei protagonisti, evitando di diventare
semplici fonti di intrattenimento o, peggio, di frivolo pettegolezzo. Il
riferimento all'"originalità del fatto" e delle sue modalità, è poi
conferma di come debbano essere ritenute meritevoli di divulgazioni
le sole informazioni personali che abbiano a che fare con eventi
effettivamente in grado di catalizzare l'attenzione collettiva 274.
Emerge
in sintesi
un'indicazione da parte del
legislatore
affinché centro dell'attività giornalistica sia la notizia e non la
speculazione sugli eventi attinenti all'altrui vita privata, in
conformità con quanto già desumibile dalle indicazioni di parte della
giurisprudenza, secondo cui l'interesse pubblico non può diventare
una
causa
di
giustificazione
onnicomprensiva275.
I mezi
di
comunicazione di massa sono dunque chiamati ad interrogarsi
sulla meritevolezza dell'interesse
all'informazione
prima
di
divulgarla, distinguendo fra ciò che è socialmente utile e quanto è
superfluo che venga reso noto276.
274
PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
275
Pret. Chieri, 3 gennaio 1990, in Dir. informaz. informatica, 1990, p. 523 ss.,
anche in Dir. fam., 1990, p. 582 ss.; App. Milano, 6 aprile 1984, in Dir. aut., 1985, p.
522 ss., anche in Arch. civ., 1985, p. 191 ss.
276
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss
188
4.4
Diritto di cronaca, interesse pubblico e diritto all’oblio
Secondo l’opinione decisamente prevalente, la diffusione di fatti,
notizie ed informazioni a favore del pubblico rientra nell’ambito
della manifestazione del pensiero, la cui libertà è espressamente
garantita dall’art. 21 della Costituzione, derivandone, quindi, una
tutela costituzionale della libertà – anche professionalmente
esercitata – di cronaca277. La ragione di tale asserzione si fonda sulla
ritenuta presenza di una continuità necessaria tra ricerca,
narrazione ed interpretazione delle notizie, la quale, sul presupposto
per cui ogni descrizione finisce inevitabilmente per essere
influenzata da colui che la esprime, conduce a considerare la
narrazione dei fatti ed il loro commento difficilmente scindibili e,
quindi, a proteggere in uguale misura questi due momenti. Anche se
questa ricostruzione non si sottrae ad alcune critiche, visto che
provoca quale conseguenza più vistosa quella per cui anche la
descrizione del fatto più banale finisce per configurare l’esercizio di
un diritto e dispone della stessa significativa quota di tutela
accordata all’espressione di un’opinione, essa ha contribuito
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss
277
189
largamente all’identificazione delle principali caratteristiche della
professione giornalistica che la giurisprudenza ha provveduto a
tracciare, vista l’assenza di una tipizzazione normativa al riguardo,
descrivendola,
per
l’appunto,
come
un’attività
che
si
contraddistingue per la creatività, di colui che, con opera
tipicamente, anche se non esclusivamente, intellettuale, raccoglie,
elabora o commenta delle notizie destinate a formare oggetto di
comunicazione attraverso gli organi d’informazione, mediando tra il
fatto di cui acquisisce la conoscenza e la diffusione di esso attraverso
un messaggio scritto, verbale, grafico o visivo, necessariamente
influenzato dalla personale sensibilità e dalla particolare formazione
culturale e ideologica278. Se, quindi, il giornalista, prima di svolgere
un’attività professionale, esercita un diritto, va, tuttavia, considerato
come lo stesso venga ad essere esercitato, nella maggioranza dei
casi, in un contesto, quello dei mezzi di comunicazione di massa –
giornali, periodici, radio, televisione, internete – che è organizzato in
forma imprenditoriale e con finalità di lucro. Se, come osservato, è
toccato alla giurisprudenza assumersi il compito di determinare le
condizioni che devono essere osservate affinché la diffusione della
278
PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
190
cronaca possa essere tutelata come diritto, ciò è accaduto, in larga
misura, con riferimento al delicato rapporto tra l’informazione ed i
diritti della personalità, il cui rispetto, come si ricorderà, è
espressamente contemplato tra i doveri del giornalista dal più volte
menzionato art. 2 della legge n. 69/1963279. D’altra parte, accade di
frequente che la descrizione di determinate vicende possa porsi in
contrasto, ad esempio, con la tutela della reputazione di colui che si
sente diffamato dalla loro divulgazione, sicché stabilire in
conformità a quali caratteristiche la narrazione configuri esercizio
del diritto di cronaca assume una importanza fondamentale, poiché
equivale a rendere quell’attività non punibile e ad esonerare il
giornalista dalle possibili responsabilità penali e/o civili. È in
quest’ottica, quindi, che devono essere analizzate le condizioni
progressivamente codificate dalla giurisprudenza al cui ricorrere si
ritiene che l’attività informativa configuri l’esercizio di un diritto –
quello di cronaca, per l’appunto – operando come causa di
giustificazione che priva di ogni eventuale antigiuridicità le
conseguenze lesive da essa prodotte nella sfera giuridica dei terzi.
Queste condizioni, in particolare, consistono nell’utilità sociale
279
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf
191
dell’informazione, nella verità dei fatti narrati, nonché nella forma
civile della esposizione dei fatti e della loro valutazione280. Del resto
il primo elemento che viene considerato è rappresentato dall’utilità
sociale dell’informazione, la quale, sulla scorta della progressiva
riflessione formatasi sul tema, sembra attenere all’interesse della
collettività ad essere informata su quelle notizie che mettono in luce
particolari aspetti dell’organizzazione sociale oppure fatti di
costume
sintomatici,
tali
da
contribuire
alla
formazione
dell’opinione pubblica su di essi281. Se, quindi, l’accento è posto
sull’interesse pubblico che assume la conoscenza di determinate
notizie – coerentemente con la riconosciuta esistenza, accanto alla
libertà di informare, di un diritto del cittadino ad essere informato –
si presenta il problema di tracciare una linea di demarcazione, in
verità, non sempre agevole da rinvenire, tra interesse pubblico ed
interesse del pubblico, spesso animato da finalità di semplice
curiosità, soprattutto quando la notizia riguardi la vita privata di un
soggetto noto282. Per questo motivo, l’interesse pubblico dovrebbe
280
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf
281
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
282
PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
192
concentrarsi unicamente sulle notizie e sulle informazioni che
attengono all’area del comportamento e del pensiero che esula dalla
sfera della riservatezza personale, con esclusione di tutto ciò che,
invece, investe la sfera di intimità personale o familiare di una
persona, anche se sono necessarie alcune precisazioni in ordine
all’esatta delimitazione di questa quota di inviolabilità. Emblematico,
al riguardo, è il caso dei personaggi pubblici, intesi come le persone
impegnate nella vita politica o sociale, in relazione ai quali si ritiene
che la soglia di riservatezza tenda ad abbassarsi, così che potrà
risultare di interesse per la collettività essere informata su fatti ed
avvenimenti, anche relativi alla loro vita privata, se significativi per
finalità di conoscenza e di valutazione indispensabili ad una esatta
informazione ed alla corretta formazione dell’opinione pubblica;
infatti, quando una persona riveste una funzione socialmente
rilevante anche il suo operato come soggetto privato interessa il
pubblico, nella misura in cui esso possa incidere in modo
pregiudizievole sull’esercizio delle sue funzioni o sull’istituzione che
egli rappresenta283. Già da questo, quindi, si comprende come sia
assai difficile poter definire aprioristicamente il concetto di utilità
283
VIGGIANO M , Navigazione in internet e acquisizione occulta di dati
personali, in questa Rivista, 2007, 2, 347
193
sociale dell’informazione, sicché il giornalista – e, in caso di
controversia, il giudice – dovrà valutare la sua sussistenza in base
alle circostanze oggettive e soggettive che, di volta in volta,
qualificano l’evento. Così, l’atto di portare a conoscenza del pubblico
dati medici sullo stato di salute di una persona potrebbe
rappresentare una violazione della riservatezza personale o,
all’opposto, una manifestazione legittima della libertà di cronaca, a
seconda che la persona in questione sia, per esempio, un
personaggio sportivo oppure un membro del governo284: è evidente
come, nel primo caso, questa conoscenza soddisfi solo una mera
curiosità del pubblico, mentre nel secondo possa contribuire alla
formazione dell’opinione pubblica su fatti oggettivamente rilevanti
per la collettività, quali, ad esempio, le sorti di un governo. Va, però,
considerato come, nella realtà, i confini in questione tendano spesso
ad essere meno nitidamente distinguibili degli esempi che si sono
portati, tanto più che la stessa «opinione pubblica», alla cui
formazione la giurisprudenza riserva un’attenzione particolare,
identifica un concetto alquanto controverso e che non pare possa
284
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
194
essere impiegato in modo fungibile con quello di collettività285.
L’intreccio esistente tra le comunicazioni intersoggettive riservate e
le mere manifestazioni del pensiero è apprezzabile anche sotto
un’altra angolazione. Deve, infatti, evidenziarsi come la convergenza
abbia definitivamente messo in luce quell’affinità strutturale tra gli
artt. 15 e 21 che già autorevole dottrina aveva avuto modo di
rimarcare, sottolineandone l’identica matrice contenutistica.
La
neutralità del mezzo rispetto al contenuto, di cui Internet è un
paradigma, ha comportato un ampliamento notevole delle
potenzialità della comunicazione riservata tra soggetti determinati.
Il riferimento è alla tradizionale coincidenza tra forma espressiva e
scrittura, con tutte le materiali limitazioni che ne derivavano. Ma la
trasformazione del linguaggio scritto in una successione di bit ha
determinato tanto un aumento in senso quantitativo delle
comunicazioni intersoggettive, quanto un incremento qualitativo
delle capacità comunicative dei cittadini. Si pensi alle finalità lato
sensu informative delle mailing list chiuse, dei blog (veri e propri
diari personali on line) o dell’Internet Relay Chat con procedura
285
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf
195
Direct Client To Client. È evidente che per questa via si relativizza la
dicotomia tra comunicazione pubblica e comunica- zione privata. La
riconosciuta
possibilità
di
instaurare
rapporti
comunicativi
particolarmente ampi e, a un tempo, la capacità tecnica di
mantenerli segreti ai terzi estranei spostano infatti di gran lunga il
confine tra intersoggettività e diffusione. Non nel senso di renderlo
evanescente, quanto nell’accrescere le capacità di penetrazione
sociale delle comunicazioni individuali.286 È per questi motivi che
deve essere sottoposta a critica – non certo per sue ipotetiche
mende congenite, ma a causa dell’evoluzione sociale e tecno- logica –
la tradizionale costruzione che richiede una diversa impostazione a
seconda che si tratti di libertà di comunicazione o di manifestazione
del pensiero: nel primo caso la tutela del singolo avrebbe una
«rilevanza individuale, o meglio “privata”, e sotto un profilo
principalmente “negativo” e “inattivo”»; nel secondo invece si
sarebbe dinnanzi a una «manifestazione esterna, nel suo aspetto
“positivo” e “attivo”, in quanto cioè tende a istituire un dialogo tra i
soggetti della comunità politica». In realtà l’ampliamento delle
potenzialità comunicative rende superata la mera rilevanza privata
286
FROSINI T.E., Il diritto costituzionale di accesso a Internet, in Rivista
telematica giuridica dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, 2011, 1, in
http://www.ctr.it/back_end/files_news/799.pdf
196
delle comunicazioni intersoggettive, di talché appare sempre più
chiara- mente che «tra l’ambito di applicabilità dell’art. 15 e quello
dell’art. 21 non vi è soluzione di continuità».
«reticolare»
delle
comunicazioni
private
L’attitudine
resa
possibile
dall’eterogeneità tecnologica dei nuovi mezzi del linguaggio rende
effettivo il significato originale del termine comunicare: rendere
comune qualcosa con altri conformemente all’etimo latino
communicare dal quale deriva. Il prisma attraverso il quale saggiare
i punti di contatto tra le due libertà costituzionali è dato dalla libertà
d’informazione, intesa come una formula allusiva di esigenze del
tutto eterogenee L’affermarsi delle nuove tecnologie determina un
parziale superamento dell’impostazione che la collegava all’art. 21.
Come è stato osservato, «il fenomeno dell’informazione “reticolare”
reagisce
sugli
stessi
mezzi
di
diffusione
«tradizionali»,
potenziandone i contenuti nel senso dell’interattività con gli utenti e
della
combinazione
tra
strumenti
comunicativi,
ma
altresì
modificandone alcuni presupposti strutturali. (...) Il paradigma
originario dell’art. 21 subisce una sorprendente riscoperta, definendo insieme all’art. 15 un riferimento composito di questa nuova
libertà di comunicazione informatica, che si manifesta attraverso
197
modalità comunica- tive plurali»287. La libertà d’informazione perde
dunque i tratti di un diritto professionale, per assumere quelli di un
diritto per l’appunto «reticolare», esercitabile tanto attraverso
manifestazioni del pensiero quanto mediante comunicazioni
intersoggettive. La circolazione delle informazioni non è più
completamente mediata dagli attori tradizionali, ma in gran parte
rimessa alle potenzialità tecno-comunicative del singolo. La
conseguenza di più immediata percepibilità è la parziale
inadeguatezza dell’impianto normativo attuale, fondato sulla
connessione tra mezzi di diffusione e informazione: venuta in parte
meno quella osmosi, si tratta di calibrare gli strumenti normativi
attuali al fine di valorizzare le peculiarità dell’informazione mediata
dalle comunicazioni intersoggettive digitali. Più in particolare, è
opportuno predisporre misure adeguate ad arginare quella
frammentazione sociale ingenerata dal progressivo venir meno degli
intermediari di interesse generale.
L’insegnamento secondo cui ogni costituzione è una costruzione che
si realizza nel tempo, un’esperienza vivente soggetta a evoluzione e
adatta- mento costanti onforta nella conclusione della perdurante
287
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
198
vitalità
dell’art.
15
dinnanzi
alle
nuove
tecnologie
della
comunicazione. La sua «apertura» è tale da permettere un continuo
adeguamento alle istanze emergenti a livello sociale purché si
concordi sull’idea, invero non pacifica, che «le risposte ai problemi
emergenti nella società contemporanea vanno pazientemente rinvenute nelle pieghe dell’articolato costituzionale, saggiando tutte le
possibili
virtualità
interpretative
insite
nelle
disposizioni
costituzionali»288. Viceversa, è oggi ancora particolarmente diffuso
nella
cultura
costituzionalistica
l’atteggiamento
consistente
nell’analizzare i problemi attuali della comunicazione attraverso la
lente delle categorie dogmatiche tradizionali. Infatti, talvolta si
continua a insistere, seppure in termini perplessi, nel riferimento ai
mezzi di comunicazione utilizzati, secondo un criterio del quale è
stata dimostrata la sterilità scientifica. Altre volte si persevera nel
reputare non decisivo l’elemento della segretezza sulla base del
rilievo della vulnerabilità dei sistemi comunicativi per effetto
dell’evoluzione tecnologica. Infine, si esalta eccessivamente il
collegamento tra gli artt. 15 e 21, attraverso un’interpretazione
sistematica degli stessi dalla quale ricavare una generica libertà
288
PACE A, Intervento, in AA.VV., I diritti fondamentali oggi, Padova, 1995,
103.
199
della comunicazione, intesa come un fascio complesso in cui
confluirebbero le libertà di comunicazione e di manifestazione del
pensiero, secondo un disegno organi cistico nel quale i termini della
questione risultano sostanzialmente invertiti e le diverse rationes di
fatto confuse289.
In tal senso l’individuazione dei limiti del diritto di cronaca può
operarsi, come suggerisce autorevole dottrina, avendo riguardo in
primo luogo al disposto dell'art. 1 della l. 69/1963, secondo cui il
diritto di informazione e critica subisce limitazioni dalla tutela dei
diritti della personalità dei singoli ed è delimitato dai doveri di lealtà
e buona fede e dall'obbligo del rispetto della verità sostanziale dei
fatti. In secondo luogo, “il legislatore sembra rinviare al diritto
vivente e, quindi, alla giurisprudenza, specie di legittimità, formatasi
in materia” a partire dalla pronuncia della Corte di Cassazione 18
ottobre 1984, n. 5259290. Tre erano le condizioni affinchè il diritto
di cronaca: l’ utilità sociale dell'informazione” (c.d. pertinenza), che
si concreta nell'interesse pubblico alla conoscenza del fatto oggetto
di cronaca; “verità oggettiva”, o anche soltanto putativa purché
289
MODUGNO F, I "nuovi diritti" nella giurisprudenza costituzionale, Torino,
1995, 20; S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 102
290
Corte di Cassazione 18 ottobre 1984, n. 5259 in Giur. it., 1985, I, pp. 762772 la quale indicava
200
frutto di un diligente lavoro di ricerca; “forma civile dell'esposizione
dei fatti e della loro valutazione” (c.d. continenza), che non ecceda lo
scopo informativo da conseguire e sia improntata a leale chiarezza,
evitando forme di offesa indiretta. Per quanto i tre criteri succitati
siano stati posti dalla Cassazione con riferimento esclusivo
all'ipotesi in cui la pubblicazione di una notizia o di un'immagine
leda l'onore o la reputazione dell'interessato, la giurisprudenza
successiva è parsa, piuttosto, incline a considerarli operanti ogni
qualvolta vi sia contrasto tra esercizio del diritto di cronaca e diritti
della personalità. Ad essi si è in seguito aggiunto, quale protezione
del c.d. diritto all'oblio, un quarto criterio, consistente nell'attualità
dell'interesse pubblico alla conoscenza di una vicenda291.
La
dottrina, da parte sua, non manca di osservare che “la diversità delle
situazioni giuridiche tutelate comporta che i requisiti e lo stesso
impianto teorico della 'sentenza-decalogo' non siano del tutto idonei
ad orientare il giudizio di bilanciamento quando sia coinvolto il
diritto alla riservatezza”292. È infatti pacifico, tanto in dottrina che in
giurisprudenza, come non vi sia coincidenza tra il diritto alla
reputazione e quello alla riservatezza, ben potendosi configurare
291
Cass. 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro it., 1998, I, c. 1834
MODUGNO F, I "nuovi diritti" nella giurisprudenza costituzionale, Torino,
1995, 20; S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 102
292
201
ipotesi di fatti di vita intima che, pur non influendo sulla
reputazione, devono restare riservati. Con riferimento specifico al
diritto all’oblio la trattazione ha dimostrato come proprio tale diritto
nel nostro ordinamento ha avuto una genesi pretoria, ad opera della
giurisprudenza e del Garante, la sua piena positivizzazione avverrà
nel nuovo quadro giuridico europeo in materia di protezione dei dati
che si sta delineando con la proposta presentata dalla Commissione
europea di un regolamento
che andrà a sostituire la direttiva
95/46/CE in materia di protezione dei dati personali. La proposta di
un eventuale regolamento293, si pone, tra gli altri, l'obiettivo di
instaurare un quadro giuridico più solido e coerente in materia di
protezione dei dati nell'Unione europea che, affiancato da efficaci
misure di attuazione, possa consentire anche lo sviluppo della c.d.
economia digitale e dei relativi diritti, e sia in grado di rispondere
adeguatamente alle sfide emergenti dalla crescente globalizzazione e
293
Va ricordato che ai sensi dell'art. 288 TFUE il regolamento è obbligatorio in
tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri, non necessitando
di recepimento da parte delle autorità nazionali, a differenza delle direttive. Proprio
per le sue caratteristiche normative, l'introduzione di un regolamento in materia
ridurrà la frammentazione giuridica e garantirà maggiore certezza e omogeneità
alla materia nell'ambito dell'intera Unione europea. Va comunque precisato che la
base giuridica del regolamento in questione è rinvenibile nell'art. 16 TFUE, che
consente di adottare le norme relative alla protezione delle persone fisiche con
riguardo al trattamento dei dati di carattere personale da parte degli Stati membri
nell'esercizio di attività che rientrano nel campo di applicazione del diritto
dell'Unione medesima.
202
dalla natura fortemente innovativa delle tecnologie digitali, nonché
dalla radicalità dei loro effetti su economia, società e cultura.
Già nel considerando 53 dello schema di regolamento si rinviene un
esplicito riferimento al diritto all'oblio dell'interessato, che viene
successivamente codificato nell'art. 17, rubricato "diritto all'oblio e
alla cancellazione". Gli utenti potranno così esigere dal titolare del
trattamento che i propri dati personali siano cancellati e non più
diffusi, specie con riferimento alle informazioni pubblicate quando
l'interessato era minorenne, se sussistono validi motivi come la
revoca del consenso, se l'interessato si oppone al trattamento, se i
dati non sono più necessari per il perseguimento delle finalità per le
quali sono stati raccolti o altrimenti trattati, nel caso di mancata
conformità del trattamento ai principi sanciti dal regolamento
stesso294.
La medesima disposizione sancisce inoltre l'obbligo da parte del
soggetto che ha pubblicato i dati di rendere nota la richiesta di
cancellazione di qualsiasi link, copia o riproduzione ad altri soggetti
che abbiano eventualmente copiato le informazioni o le abbiano
linkate.
294
BETZU M, Comunicazione, manifestazione del pensiero e tecnologie
polifunzionali, in Quaderni costituzionali, 2006, 3, 511
203
Tale diritto alla cancellazione dei propri dati incontra limiti precisi
in ipotesi tassativamente determinate, in particolare laddove il
trattamento sia finalizzato all'esercizio della libertà di espressione
ovvero per il perseguimento di finalità storiche, statistiche e di
ricerca scientifica: viene così salvaguardato anche il "diritto a
ricordare", che costituisce un inalienabile contrappeso alla
riservatezza in senso lato e tutela l'interesse pubblico alla
conoscenza o divulgazione di dati per particolari esigenze di
carattere storico, didattico, culturale o giornalistico che giustificano,
quindi, il trattamento del dato.
Va evidenziato, infine, che alla Commissione europea viene conferito
il potere di adottare atti delegati
al fine di precisare criteri e
requisiti per la cancellazione dei dati nell'ambito di settori e
situazioni specifici, individuare le condizioni per la cancellazione di
link, copie o riproduzioni di dati personali dai servizi di
comunicazione accessibili al pubblico e, da ultimo, per definire le
condizioni e i criteri volti a limitare il trattamento dei dati personali
nei casi in cui non si proceda alla loro cancellazione (i.e. durante il
periodo necessario a verificarne l'esattezza, se devono essere
conservati a fini probatori, se l'interessato richiede che ne venga
204
semplicemente limitato l'utilizzo o se chiede di trasmettere i dati a
un altro sistema automatizzato)295.
Va, peraltro, osservato che il Trattato costituzionale UE, oltre a
recepire pedissequamente i principi in materia di libertà di
manifestazione del pensiero affermati nella Carta dei diritti,
introduce altresì, seppur non all’interno delle disposizioni relative
alla libertà di manifestazione del pensiero ma in una norma avente
portata più generale296 (art. I-5, I comma), il riferimento, appunto
generico, a quei limiti – ordine pubblico, sicurezza nazionale – che,
tradizionalmente – ma altresì nella stessa CEDU – si ricollegano
all’esercizio del diritto in esame. Sono note le difficoltà e le
perplessità circa i termini ed i limiti entro cui possano reputarsi
ipotizzabili ed ammissibili tali concetti all’interno dell’ordinamento
costituzionale italiano, alla stregua della formulazione dell’art. 21 e
della rigidità delle sue garanzie; è nota altresì la faticosità della
stessa
giurisprudenza
costituzionale,
specie
recente,
nella
delineazione dei corrispondenti margini d’intervento del legislatore
SANDRELLI G. G., “Legge sulla Privacy e libertà di informazione”, in Il
Diritto dell’informazione e dell’informatica 2008, p. 459 e ss
296
MODUGNO F, I "nuovi diritti" nella giurisprudenza costituzionale, Torino,
1995, 20; S. Rodotà, Tecnologie e diritti, Bologna, 1995, 102
295
205
e specie avendo riguardo al concetto di ordine pubblico ideale297 A
parte tale ultimo accenno, resta il fatto che il riferimento operato dal
Trattato costituzionale UE ben difficilmente potrebbe ritenersi
afferire all’ambito qui in esame, della libertà di pensiero
comunitaria. Ciò, innanzi tutto per il fatto che esso appare troppo
generico e «trasversale» – in quanto esteso «una volta per tutte» e a
tutti indistintamente i diritti di libertà civile ivi considerati – per
possedere una propria adeguata ed immediata attitudine precettiva,
da valere, invece, in confronto ad ogni singolo diritto; e, poi, per il
fatto che la ratio del riferimento in questione – di cui al cit. art. I-5, I
comma, Trattato cost. UE – pare essenzialmente diversa, limitandosi
in realtà – la formula in parola – ad effettuare un complessivo
inquadramento dei rapporti intercorrenti fra UE e stati membri e,
anche letteralmente, volendo riferire i cennati limiti non già al diritto
dell’Unione bensì a quello degli stati, ovvero al necessario «rispetto»,
da parte della UE, delle funzioni di mantenimento delle necessarie,
minimali e hobbesiane condizioni di convivenza esercitate dagli stati
stessi. Quanto ora detto conferma quella delicata condizione di
«assenza» o di vuoto normativo che consegue, nella Carta dei diritti,
297
CORRIAS LUCENTE G., Internet e libertà di manifestazione del pensiero,
in Dir. Inf, 2000, 4/5, 597
206
alla mancata previsione di un chiaro «sistema» delimitativo da
giustapporre alla mera proclamazione del diritto. Tal situazione fa sì
che si determini una sorta di latitudine applicativa in ordine ai modi
di esercizio del diritto stesso; ed, altresì, rischia di consentire al
legislatore – comunitario ed eventualmente interno, in sede di
attuazione del diritto dell’Unione – margini di discrezionalità ben
maggiori di quelli che l’interprete è abituato a reputare tollerabili
alla stregua dei presidi ormai consolidati dello stato costituzionale di
diritto (e rinvenibili nell’art. 21 Cost.)298. E non è detto che la
situazione in discorso non produca in futuro, in seno alla
giurisprudenza della CGCE, una propensione nel senso ora detto,
ovvero una qual certa eccessiva elasticità e duttilità argomentativa
in ordine ad una eventuale dinamica confinazione del diritto;
potendone, la Corte stessa, derivare i presupposti e la causa
legittimante appunto dalla assenza, nella Carta, di positiva ed
esplicita marginazione in
confronto all’intervento del potere
pubblico e, prima di tutto, del legislatore comunitario (fermo,
peraltro, l’ossequio agli altri presupposti che la Carta individua ai
fini della esplicitazione del regime di garanzia dei singoli diritti,
298
PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
207
primo fra tutti quello delle «tradizioni costituzionali comuni»).
Proprio in riferimento a tale ultima considerazione si potrebbe
ritenere che il rapporto di necessaria riferibilità ai parametri
dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale ex art. I-5, I comma,
Trattato cost. UE, potrebbe forse ritenersi valere, per la fonte
comunitaria, ma solo in senso indiretto. Nel senso, cioè, della
correlabilità dei due limiti (in quanto sussistenti e fatti propri dagli
stati membri nei rispettivi ordinamenti) all’altro parametro
rappresentato dalle «tradizioni costituzionali comuni agli Stati
membri»299 (art. 6, II comma, Trattato UE; art. I-7, III comma e art.
112, IV comma, Trattato cost.; Preambolo Carta dei diritti). Il che,
tuttavia, non dovrebbe rappresentare un appesantimento del regime
comunitario di garanzia della libertà di manifestazione del pensiero,
sia per il fatto che tali limiti sono, come ricordato, già enunciati dalla
CEDU (cui la normazione comunitaria è tenuta a rapportarsi), sia per
il fatto che rimangono comunque salvi (ineludibili) i presidi
essenziali di garanzia apprestati dall’art. 21 e, in generale, dalla
Costituzione; ciò che è ribadito dallo stesso art. 53, Carta dei diritti.
In generale si può affermare come l’analisi normativa e
299
MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se
208
giurisprudenziale abbia messo in evidenza come emerga300.
CAPITOLO QUINTO
5 OBLIO E ANONIMATO
5.1
Il diritto all’anonimato su Internet
300
PIZZETTI F., I diritti nella "rete" delle reti. Il caso del diritto di autore,
Torino, 2011, 25 e 40
209
Nel momento in cui le nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione hanno cominciato ad affacciarsi alla ribalta sono
diventate fatto diffuso e hanno modificato le modalità della
comunicazione e dell’informazione. Una delle conseguenze è stata
quella della disintermediazione. Da quel momento in poi, si
sosteneva, tutti avrebbero avuto accesso diretto all’informazione e i
mediatori tradizionali sarebbero scomparsi, in primo luogo il
giornalismo tradizionale, sostituito dall’accesso diretto di ogni
utente alle fonti dell’informazione. Basta riferirsi ai portali per
vedere che così non è: oggi l’enorme disponibilità di informazioni in
rete sarebbe poco più che una vana promessa, come a dire,
un’informazione impossibile, se non ci fosse l’intermediazione dei
portali che raccolgono, filtrano, ordinano e rendono in pochi secondi
disponibile l’informazione su una certa materia. E’ chiaro come
quindi una eventuale definizione di diritto all’oblio si confronta con
le enormi potenzialità informative dell'era digitale che, come è stato
acutamente rilevato, hanno capovolto il rapporto di regola-eccezione
tra l'oblio e la memoria, che ha segnato i progressi della storia
dell'uomo. Dimenticare oggi non pare più possibile dinanzi al
210
fenomeno «Internet che rappresenta, in questo momento, il fronte
più avanzato di sviluppo delle tecnologie della comunicazione e
dell'informazione, nonché, in definitiva, l'emblema stesso della
società che, proprio per il medium che sempre più utilizza per
comunicare, si definisce digitale».
Internet, in quanto rete globale che, interconnettendo una numero
infinito di reti settoriali e globali, collega più computer e più network
attraverso l'utilizzazione di protocolli comuni, offre un modello di
memoria completamente diversa dalla memoria umana, non
soltanto dal punto di vista quantitativo, per l'infinita capienza di
informazioni, ma anche dal punto di vista qualitativo. Il valore
dell'informazione è fortemente incrementato dalla facilità di
recupero dell'informazione stessa: certamente la rete non possiede
una quantità di informazioni maggiori di quelle affidate ai supporti
cartacei, ma estrarre una informazione da un libro è un'operazione
non soltanto più complessa, ma anche concettualmente diversa dalla
‘captazione' di una informazione da un supporto digitale, magari
attraverso una associazione casuale. L'effetto più evidente è che la
memoria di rete, oltre ad apparire sconfinata, appare priva di
riferimenti spazio-temporali (che costituiscono i requisiti di umanità
211
e di storicità del dato), sicché le informazioni appaiono appiattite in
una dimensione atemporale, di modo che il loro trattamento
all'interno di un archivio, vincolato al perseguimento di una finalità
specifica, una volta inserito nel collegamento di rete, le accumula,
non più in modo ragionato, bensì in un mero deposito
indifferenziato301 .
La questione che maggiormente evidenzia la tensione che questa
precondizione tecnologica produce in relazione con il diritto
all'oblio, riguarda il trasferimento in rete, da parte di un sempre
maggior numero di testate giornalistiche, degli archivi storici.
Rispetto a tale situazione, qualsiasi passaggio sulla carta stampata
sia esso oggetto di un articolo di stampa, ma anche di un documento
fotografico ritratto in occasione di un evento pubblico o
un'inserzione a fini diversi (pubblicazione di provvedimenti
giudiziari, pubblicità di eventi familiari, come necrologi o
partecipazioni di nascita) diviee perennemente accessibile a
chiunque con la propria intatta valenza identificativa, con il bagaglio
delle
informazioni,
sulle
condizioni
personali,
professionali,
familiari, anche se ormai appartenenti a tempi remoti della vita di
301
FINOCCHIARO G., Voce Identità personale (diritto alla), in Digesto delle
discipline privatistiche, Sez. civ., Agg., Torino, 2010
212
una persona302.
Della complessità del problema esprime chiara consapevolezza,
come detto nel corso dei capitoli precedenti, il Garante della Privacy
in occasione delle diverse relazioni annuali, la quale si interrogano
«se la riproduzione on line di archivi di giornali e di trasmissioni
video si configuri in ogni caso come esercizio attuale di una libertà di
stampa e di informazione diventata senza tempo, o se invece,
specialmente per gli archivi risalenti negli anni, si debba considerare
diffusione di documentazione storica, e dunque debba essere
attratta sotto la disciplina di protezione di dati applicata a questo
tipo di attività». Abbiamo visto nel corso del capitolo precedente
come la stessa Corte di Giustizia delinei un doppio canale di
trattamento dei dati sul web. Da una parte, riconosce indirettamente
la responsabilità del gestore dei siti che contengano informazioni e
dati personali, con obbligo di curarne l'aggiornamento, la
contestualizzazione ed, in determinati casi, la rimozione. Questo
indirizzo è stato accolto, da tempo, dal Garante della privacy
nazionale, che in numerose occasioni ha ordinato l'aggiornamento
delle
302
pagine
contenute
negli
archivi
on-line
delle testate
MORELLI, voce Oblio (diritto all'), in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002
213
giornalistiche303. D'altra parte, tuttavia, i medesimi dati, provenienti
dai c.d. siti sorgente, allorquando sottoposti al processo di raccolta,
catalogazione, indicizzazione e memorizzazione temporanea dal
motore di ricerca, divengono oggetto di un trattamento “diverso”,
poiché avente differenti finalità e modalità di espletamento. Come
visto, su questo preciso aspetto, la pronuncia della Corte di giustizia
segna una netta linea di demarcazione con gli orientamenti
precedenti304. In effetti, se il Garante per la protezione dei dati
personali italiano, già in alcuni provvedimenti, aveva riconosciuto
l'autonomia del trattamento svolto dai motori di ricerca,
sottolineando la diversa efficacia in termini di diffusione dei dati e di
incidenza che la percezione degli stessi produce sugli utenti , la
Suprema Corte, invece, ha sino ad oggi privilegiato un approccio più
cauto sul tema, attribuendo rilevanza esclusiva al profilo di
responsabilità gravante sul sito sorgente, nella prospettiva di una
posizione non “attiva” del motore di ricerca rispetto al controllo e
alla conoscenza dei dati memorizzati anche temporaneamente305. La
AULETTA, Diritto alla riservatezza e “droit à l'oubli”, in Alpa-BessoneBoneschi-Caiazza (a cura di), L'informazione e i diritti della persona, Napoli, 1983,
p. 127
304
MORELLI, voce Oblio (diritto all'), in Enc. dir., Agg., VI, Milano, 2002
305
Cass. n. 5525/2012, cit., ove si legge che “ il titolare di un organo di
informazione è tenuto a garantire la contestualizzazione e l'aggiornamento della
notizia di cronaca, successivamente spostata nell'archivio storico anche se pubblicato
303
214
Cassazione, in un'ottica sostanziale non dissimile da quella propria
della Corte di giustizia, propone una ricostruzione dinamica della
tutela della riservatezza, tesa ad esaltare la dimensione del controllo
da parte degli interessati sull'utilizzo e sul destino dei propri dati,
ponendo al centro del proprio decisum una netta affermazione del
diritto all'oblio. In particolare, la Suprema Corte riconosce che se
l'interesse pubblico sotteso al diritto all'informazione (ex art. 21
Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza
(di cui agli artt. 21 e 2 Cost.), “al soggetto cui i dati pertengono è
correlativamente attribuito il diritto all'oblio, e cioè a che non
vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del
tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei
consociati”306. L'impostazione muta radicalmente allorché la
Cassazione italiana cala siffatto principio nel contesto della Rete,
proponendo una lettura delle informazioni in essa presenti
differente rispetto a quella della Corte di giustizia, fondata sulla
distinzione tra archivio e memoria del web .
Riassumendo quindi si potrebbe dire che proprio la problematica
su internet, al fine di consentire alla medesima di mantenere i caratteri di verità ed
esattezza e quindi di liceità e correttezza, a tutela del diritto dell'interessato al
trattamento alla propria identità personale o morale nonché a salvaguardia del diritto
del cittadino utente di ricevere un'informazione completa e corretta”.
306
Cass. 9 aprile 1998, n. 3679, in Foro it., 1998, 123 ss
215
relativa al c.d. diritto all'oblio, ossia il diritto a veder delimitata nel
tempo la diffusione di informazioni che non sia più giustificata alla
luce delle finalità e delle circostanze originarie, presenta profili di
particolare complessità laddove le informazioni che si intendano
cancellare siano state diffuse in Internet. Entra infatti in gioco,
accanto all'originario trattamento dei dati (da parte, p.e., del
quotidiano che renda liberamente disponibili online i propri archivi
storici), il successivo trattamento effettuato dai motori di ricerca.
Per chiarire: informazioni inesatte o non aggiornate, o addirittura
trattate in violazione di legge (si pensi alla trascrizione di
intercettazioni
pubblicate
nella
fase
coperta
dal
segreto
investigativo) possono essere contenute in primo luogo nei “siti
sorgente” (p.e. la versione online di un quotidiano). Gli interessati si
rivolgeranno dunque in prima battuta ai gestori dei siti, per ottenere
la rettifica o la cancellazione delle informazioni: e, nel caso in cui il
sito che ha pubblicato il dato sia stabilito in Italia, non ci sono
particolari problemi nell'applicazione della normativa. La questione
sta nel fatto che la rettifica, l'aggiornamento o la cancellazione
effettuati dal gestore del sito non sono sufficienti a tutelare
l'interessato: infatti le copie cache dei siti e le relative sintesi (gli
216
abstract che compaiono nelle pagine dei risultati di ricerca) non
vengono aggiornate o rettificate automaticamente dai motori di
ricerca, anche se sui “siti sorgente” la cancellazione è avvenuta da
tempo. Ecco perché la lesione del diritto all’oblio si configura spesso
come impossibilità di ritornare all’anonimato ed è resa ancor più
grave quando le informazioni riprodotte sulle reti di comunicazione
elettronica a distanza di molto tempo (o comunque disponibili in
maniera permanente anche se non riprodotte), anche se in origine
legittima-mente pubblicate, risultano poi nel tempo incomplete,
come nel caso di una persona menzionata in un articolo giornalistico
in quanto indagata, ma successivamente assolta senza che di questa
positiva evoluzione sia data notizia307.
Nel caso della ripubblicazione online di vecchi articoli giornalistici, e
posto che il criterio fondamentale indicato dal Garante per
pubblicare o meno una notizia è l’esistenza dell’interesse pubblico,
chiunque voglia successivamente riproporre e ripubblicare (o
semplicemente far permanere) su internet articoli giornalistici
contenenti dati personali di terzi deve preventivamente verificare (a
307
PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain:
più
problemi
che
soluzioni,
http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=26322&amp;dpath=docume
nt&amp;dfile=10062014174108.pdf&amp;content=La+decisione+della+Corte+di+gi
ustizia+sul+caso+Google+Spain:+pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+stato++dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014.
217
maggior ragione quando l’intendimento è quello di dare diffusione
planetaria sul web ai dati personali relativi degli interessati) che tale
interesse sussista al momento della ripubblicazione, effettuando una
nuova valutazione (rispetto a quella svolta dal giornalista autore
della originaria pubblicazione) che tenga in primo luogo nel debito
conto – nell’ottica del “diritto all’oblio” - se la persona di cui si vuole
riparlare sia un personaggio pubblico oppure no. Nel caso del
personaggio noto o del fatto noto si pongono diversi problemi. Nel
primo caso si pone il problema del rapporto fra esercizio del diritto
di cronaca e rispetto della vita privata dei personaggi noti alla
massa, mentre nel secondo caso occorre valutare se davvero la
comune conoscenza di un fatto sia di per sé stessa sufficiente a
renderne legittima l'indiscriminata divulgazione308.
In merito alla notorietà del personaggio si è riscontrata una
sostanziale uniformità di indirizzo giurisprudenziale, fin dal primo
riconoscimento del diritto alla riservatezza da parte della
Cassazione 309: i giudici hanno sempre ritenuto legittima la
divulgazione delle vicende private di chi fosse divenuto famoso, a
308
MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se
Cass., 27 maggio 1975, n. 2129, in Dir. aut., 1975, p. 358 ss. In questa
pronuncia è stato affermato che "non si può ravvisare [...] un diritto di altri soggetti
(in genere, cronisti e giornalisti) di controllare e riferire illimitatamente ogni aspetto
della vita delle persone divenute, loro malgrado, notorie".
309
218
condizione che sussistesse una stretta connessione fra le notizie
riportate e le cause della notorietà, tale da giustificare un interesse
della collettività310. È stato infatti più volte affermato nelle sentenze
che il diritto alla riservatezza di persone note al pubblico viene
necessariamente circoscritto rispetto al diritto alla riservatezza che
compete a ciascuno individuo ignoto al di fuori dell'ambiente nel
quale vive ; tuttavia si è altrettanto frequentemente precisato che i
soggetti "assurti al rango della conoscenza pubblica" non vedono
completamente
sacrificato
il
loro
diritto,
essendo
vietato
ai media divulgare informazioni attinenti la "sfera intima" della loro
vita privata311. In tal modo i giudici hanno delineato una distinzione
fra vita privata intesa in senso ampio e vita privata intesa, più
limitatamente, come coincidente con gli aspetti più personali
dell'esistenza del singolo, non suscettibili di interesse per gli
estranei, non essendo connessi all'immagine sociale del personaggio
noto312. Esemplificativa di questo indirizzo è la nota pronuncia sul
310
In tal senso v. tra le varie pronunce, Pret. Roma, 2 gennaio 1985, loc. cit.
e Pret. Roma, (ord.), 15 luglio 1986, loc. cit.
311
r. Pret. Roma, 6 maggio 1983, cit., p.80.
312
PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain:
più
problemi
che
soluzioni,
http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=26322&amp;dpath=docume
nt&amp;dfile=10062014174108.pdf&amp;content=La+decisione+della+Corte+di+gi
ustizia+sul+caso+Google+Spain:+pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+stato++dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014.
219
c.d. caso Loren , in cui il Pretore di Roma ha affermato che anche a
chi opera una scelta di vita pubblica o di importanza sociale deve
essere riconosciuta "una sfera di riservatezza intoccabile"313,
soprattutto in relazione alla vita intima. Merita altresì particolare
attenzione
una
pronuncia
del
Pretore
di
Chieri314 nella
quale viene dato rilievo ad un aspetto precedentemente trascurato
dalla giurisprudenza, ovvero l'opportunità di distinguere fra
"notorietà volontariamente raggiunta" e "notorietà involontaria e
subìta". Mentre nel primo caso la persona di cui vengono divulgate le
notizie non può lamentare una lesione del proprio riserbo, in quanto
il suo stesso comportamento finalizzato a far parlare di sé implica
una legittimazione alla diffusione di informazioni sulla sua vita
privata, almeno per quegli aspetti connessi con la propria fama; non
si può presupporre la stessa accondiscendenza da parte di chi sia
stato passivamente, e contro la sua volontà, oggetto dell'attenzione
313
Pret. Roma, 2 gennaio 1985, in Dir. informaz. informatica, 1985, p.713.
Pret. Chieri, 3 gennaio 1990, in Dir. informaz. informatica, 1990, p. 523 ss.;
e anche in Dir. famiglia, 1990, p. 582. Il caso ha riguardato Serena Cruz, bambina
diventata nota al pubblico per la vicenda della sua adozione che ha scatenato diverse
polemiche in merito alla l. n. 184/83. La bambina è stata fotografata dai reporter
durante "una ordinaria occasione della sua normale esistenza" e la famiglia è ricorsa
al giudice, a tutela dell'immagine della minore. Seppure il caso sia stato risolto
facendo riferimento al solo diritto all'immagine è tuttavia evidente come fosse anche
implicito l'intento di assicurare una più generale tutela della vita privata della
bambina. Su questa vicenda giudiziaria v. anche la precedente pronuncia Pret. Chieri,
19
dicembre
1989,
in
Dir. famiglia,
1990,
p.
572
ss.
(114) Pret. Chieri, 3 gennaio 1990, in Dir. informaz. informatica, 1990, p.527.
314
220
dei media. In quest'ultima ipotesi non è possibile privare il soggetto
della legittima aspirazione a guadagnare nuovamente "l'alveo di
un'esistenza
normale"315,
tutelando
la
sua
riservatezza
indipendentemente dalla sopraggiunta notorietà. Secondo tale
orientamento
è
quindi
legittimo
divulgare
solamente
i
fatti di interesse pubblico accaduti a sconosciuti, senza indagare
anche sui particolari delle singole esistenze che nulla hanno a che
vedere con gli eventi. Di segno opposto sembrano invece quelle
pronunce in cui si è sostenuto che la notorietà di un personaggio ha
un tale potere "diffusivo" da riverberarsi anche sulle persone a lui
collegate, in specie sui familiari. In tal senso il Tribunale di
Napoli 316, sulla
base
di un
indirizzo
giurisprudenziale
già
consolidato nel tempo , ha ritenuto che la notorietà "per forza di
cose si propaga" anche ai familiari del personaggio famoso, per il
fatto stesso che costoro ne condividano le vicende umane,
presentandosi anche in pubblico accanto a lui.
In merito agli aspetti ora considerati l'intervento della nuova
315
FINOCCHIARO G, voce Identità personale, in Dig. disc. priv., Sez. civ.,
Torino, 2010, p. 721 e ss
316
Trib. Napoli, 19 maggio 1989, in Dir. aut., 1990, p. 382 ss. Nella specie i
giudici del Tribunale di Napoli, hanno considerato legittima la pubblicazione delle
fotografie inedite della figlia infante del noto calciatore Maradona, in quanto atta a
soddisfare l'"esigenza di informazione dei lettori", essendo Maradona "al centro
dell'immaginario collettivo".
221
disciplina sul trattamento dei dati personali è avvenuto attraverso le
norme del codice di deontologia giornalistica, riprendendo in
maniera integrale gli indirizzi della giurisprudenza maggioritaria; in
tal senso si è statuito che "la sfera privata delle persone note o che
esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i
dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita
pubblica" 317. Sembrano invece nel senso di una minore tutela del
riserbo, le indicazioni che emergono dagli artt. 10 e 11 del codice
deontologico, in cui si afferma che la divulgazione dei dati clinici e
delle informazioni inerenti le abitudini sessuali di una persona
avente una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica è
legittima, se improntata dell'essenzialità dell'informazione ed al
rispetto della dignità dell'individuo . È evidente come tali indicazioni
permettano di diffondere indiscrezioni sulla vita privata attinenti
quella "sfera intima" che invece, nella maggior parte delle pronunce
anteriori all'entrata in vigore della l. n. 675/96, è stata considerata
inaccessibile
all'occhio
indiscreto
dei media.
V'è
dunque
all'orizzonte il rischio che interpretazioni elastiche del concetto di
"essenzialità dell'informazione", unite all'incremento dell'interesse
317
Così art. 6, comma 2°, codice deontologico dei giornalisti.
222
della massa per lo stato di salute o la vita sessuale delle persone che
ricoprono
un
rilevante
ruolo
nella
società318,
portino ad un'involuzione della giurisprudenza riguardo al rapporto
fra esercizio del diritto di cronaca e tutela del riserbo. Involuzione
assai negativa se si considera che proprio sotto questo aspetto
l'indirizzo delle corti si è manifestato costante nel tempo,
attestandosi su una posizione di sostanziale difesa della vita privata,
nei limiti di un equo contemperamento fra scelta di vita pubblica e
rispetto della "sfera intima" della persona. Appare invece più
tutelato, dalla nuova normativa, il riserbo di chi vive a fianco di
persone famose e per questo è anch'esso sovente oggetto
dell'interesse "indiscreto" dei media. In proposito il codice
deontologico stabilisce che i giornalisti, nel riportare le vicende,
devono astenersi dal far riferimento "a congiunti o altri soggetti non
interessati ai fatti"319, ponendo dunque un chiaro limite all'attività
divulgativa e, soprattutto, indicando alle corti l'opportunità di
abbandonare
certi
criticabili
indirizzi
giurisprudenziali
318
Cfr. artt. 10, comma 2°, ed 11, comma 2°, codice deontologico dei
giornalisti.
319
ret. Milano, 27 maggio 1986, in Dir. informaz. informatica, 1986, p. 924
ss.; Pret. Roma, 2 gennaio 1985, in Dir. informaz. informatica, 1985, p. 710 ss.; e
anche in Giur. it., 1989, I, 2, c. 479 ss.
223
propensi adestendere la notorietà del personaggio a tutti coloro che
lo circondano320.
Il riferimento all'"essenzialità dell'informazione", che come si è visto,
compare più volte sia nella l. n. 675/96, sia nel codice deontologico,
dovrebbe inoltre spingere i giudici a rivalutare la distinzione fra
"notorietà volontariamente raggiunta" e "notorietà involontaria e
subìta", considerando che, quando una persona abbia, suo malgrado,
subìto l'attenzione dei media (in connessione dunque a vicende che
avrebbe
preferito
tenere
celate),
lo
spazio
concesso
alle
indiscrezioni deve essere piuttosto esiguo, appena sufficiente a
chiarire la dinamica degli eventi riportati.
Per quanto concerne invece la "notorietà" intesa come generale
conoscenza, o conoscibilità, delle vicende, la dottrina e la
giurisprudenza, anteriormente all'entrata in vigore della l. n.
675/96, reputavano che qualora un aspetto della vita privata di un
soggetto fosse reso noto attraverso il suo comportamento, o con il
suo consenso, per ciò stesso cessasse di appartenere alla sfera
riservata. In virtù di tali ragioni le corti hanno sempre considerato
legittima la divulgazione da parte dei media di notizie o immagini
già precedentemente pubblicate , salvo il caso in cui l'individuo
320
MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se
224
interessato avesse manifestato un consenso circostanziato che
escludesse ogni ulteriore pubblicazione321. Merita tuttavia di essere
richiamata una pronuncia del Pretore di Roma322, che ha ritenuto
illecita la diffusione a mezzo stampa, assieme ad un periodico, di una
cartina
topografica
di
notizie personali riguadanti noti
Roma
corredata
personaggi
del
da
varie
mondo
dello
spettacolo, utili per consentire a chiunque di rintracciarli e di
interferire nella loro vita privata. Secondo il giudice la raccolta in
un'unica pubblicazione di notizie già note (dunque non più
riservate) costituisce "un quid novi" (, caratterizzato dall'aver
riunito e sistematizzato informazioni sparse, avente attitudine
lesiva. Dall'analisi dell'incidenza del fattore "notorietà" sull'esercizio
del diritto di cronaca traggono dunque origine le prime
considerazioni giurisprudenziali sul problema della raccolta dei dati
personali. A dieci anni di distanza, l'indirizzo innovativo della
Pretura di Roma ha avuto piena conferma nel dettato della l. n.
675/1996, tutta incentrata sulla nozione di trattamento del dato
personale, dunque proprio sulla possibilità di estrapolarlo e di
321
Trib. Roma, 7 ottobre 1988, cit., p. 1244; Pret. Roma, 12 novembre 1975, in
Dir. aut., 1976, p. 148 ss
322
ret. Roma, (ord.), 15 luglio 1986, in Dir. informaz. informatica, 1986, p. 926
ss.
225
confrontarlo con altri, ponendolo al giusto posto in un insieme
organizzato diinformazioni. Il legislatore ha tuttavia reputato di
derogare alla generale disciplina del trattamento dei dati personali
proprio per i giornalisti, affermando che quest'ultimi possono
liberamente utilizzare le informazioni rese note direttamente
dall'interessato e desumibili dai suoi comportamenti tenuti in
pubblico323. Tale disposizione trova la sua ragione nell'implicito
consenso alla divulgazione dei dati, manifestato dal soggetto
fuoriuscendo dal proprio àmbito di riserbo; è tuttavia indubbio
che non
è
stata
sufficientemente
considerata la
potenzialità
strutturale delle banche dati nei media, capaci di gestire una grande
mole di notizie e di tracciare profili individuali assai dettagliati. In
base all'attuale normativa sembrano dunque non trovare più posto
quei limiti ad un'interpretazione troppo estensiva del concetto di
notorietà dei fatti suggeriti dall'innovativa pronuncia della Pretura
di Roma.
Occorre poi sottolineare come da alcuni anni sono ormai diffusi sul
web nuovi spazi virtuali, che consentono un uso interattivo della
323
fr. art. 25, comma 1°, l. n. 675/96. In merito a tali dati l'art. 5, comma 2°, del
codice deontologico dei giornalisti, fa solamente salvo "il diritto di
addurre successivamente motivi legittimi meritevoli di tutela"
226
rete da parte degli utenti come nel caso di forum, blog e social
network: la loro caratteristica è quella di consentire agli utenti che vi
partecipano di inserire dati o esprimere le proprie opinioni sui vari
argomenti di volta in volta proposti, commentando anche in tempo
reale le idee manifestate dagli altri partecipanti324.
Tali nuovi sistemi di comunicazione e di informazione, fondati sul
contributo informativo fornito dai singoli utenti e sulla circolazione
interpersonale delle notizie e dei commenti, creano nuove forme di
controllo e di denuncia sociale "fai da te" . La rete, oltre a diventare il
luogo privilegiato in cui chiunque può autoesporre accadimenti della
propria vita privata, che spesso coinvolgono anche terzi (parenti,
amici, colleghi) che non hanno a ciò acconsentito, sta diventando la
vetrina della trasparenza globale: la pretesa, e in alcuni casi la
convinzione, dell'esistenza di un generale diritto a conoscere (ad
esempio la condotta di chi ha responsabilità pubbliche) o a
diffondere dati e informazioni si estende verso forme di potenziale e
pernicioso controllo globale di tutti su tutti. Anche in tal caso le
informazioni immesse in rete si cristallizzano nel tempo e diventano
immutabili in un presente senza fine.
324
FINOCCHIARO G, voce Identità personale, in Dig. disc. priv., Sez. civ.,
Torino, 2010, p. 721 e ss
227
La peculiarità dei social network rende estremamente difficile la
relativa governabilità attraverso le regole tradizionali elaborate dal
diritto e dalle norme sulla protezione dati personali: da un lato
occorre garantire la libertà di accesso e intervento sulla rete;
dall'altro vanno elaborate misure idonee a tutelare i soggetti cui si
riferiscono i dati immessi, per lo più da loro stessi, in rete .
I pericoli derivanti da un utilizzo poco accorto dei servizi on-line
sono incalcolabili: si va dal rischio di perdere il controllo dell'utilizzo
dei propri dati una volta pubblicati in rete, alla scarsità di tutela
rispetto alla riproduzione dei dati personali contenuti nei profiliutente, che possono essere reperiti tramite motori di ricerca, copiati
su altri siti e riprodotti infinite volte nel tempo, con loro
conseguente decontestualizzazione o permanenza presso i fornitori
del servizio anche dopo la loro cancellazione. Inoltre, non va
trascurato il fatto che tali strumenti sono utilizzati da minori, che
vengono così esposti ad inusitate forme di adescamento in rete.
Peraltro non sempre i dati immessi nel web vengono utilizzati per il
perseguimento delle finalità originarie (si pensi ai datori di lavoro
che esaminano i profili-utente relativi a candidati all'assunzione o a
singoli dipendenti, all'invio di messaggi mirati di marketing da parte
228
dei fornitori di servizi commerciali), mentre si è incrementato il
rischio di furti di identità favorito dalla diffusa disponibilità dei dati
personali contenuti nei profili-utente325.
A fronte di tali problematiche, non si può non condividere il
convincimento che il diritto all'oblio, per come si configurerà
soprattutto una volta che il regolamento in sostituzione della
direttiva 95/46/CE verrà adottato, sicuramente costituirà uno
strumento importante per tutelare gli utenti anche da dati e notizie
immessi in rete da loro stessi.
5.2
Il diritto all’oblio quale diritto (di ritorno) all’anonimato
Il diritto all'oblio dinanzi alla sfida delle nuove tecnologie e alle
formidabili potenzialità della memoria digitale risulta notevolmente
modificato nella sua struttura e nei suoi elementi costitutivi . La
situazione soggettiva unitaria elaborata dalla giurisprudenza e dalla
dottrina appare frantumata in una pluralità di fattispecie rilevanti,
per le quali si richiedono sistemi di protezione diversificati.
Cionondimeno, i valori fondamentali della persona, riconosciuti
325
MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se
229
dall'ordinamento sovranazionale oltre che nazionale, costituiscono il
polo unitario di riferimento dei possibili rimedi esperibili, per
quanto il «diritto a mantenere il controllo sulle proprie informazioni
e di determinare le modalità di costruzione della propria sfera
privata» secondo l'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, possa apparire una scommessa impossibile al
cospetto della memoria atemporale e decontestualizzata della rete.
Anche se, come è stato osservato, il diritto all'oblio si è arricchito di
nuove sfaccettature e di sostanziali alterazioni, con riguardo ad
alcuni elementi significativi della sua fattispecie originaria, quale,
principalmente, la fonte della lesione del diritto, insita nelle stesse
caratteristiche strutturali della memoria di rete e non più nella
rinnovata divulgazione della notizia, esso dispone tuttora delle
potenzialità di tutela non meramente «virtuali», per reagire alla
eventualità di una permanente esposizione delle vicende pregresse
della propria esperienza personale alla libera accessibilità di
chiunque. La ricerca degli strumenti di reazione più adeguati deve
districarsi tra limiti tecnici di efficacia e limiti giuridici di valore. La
cancellazione del dato non appare una risposta incondizionatamente
valida, né sotto l'uno né sotto l'altro dei profili problematici
230
evidenziati. Sotto il profilo dell'efficacia, la cancellazione dei dati si
confronta con la esistenza di siti che memorizzano i dati scomparsi
da altri siti, prestando un servizio di copia cache o way back machine
che ne vanifica l'effetto. Sotto il profilo della rispondenza ai vincoli di
valore giuridicamente rilevanti di proporzionalità e di necessità del
trattamento informativo, il potere incondizionato di cancellazione
può risultare un rimedio più grave del male, poiché rischia di
opporre ad una memoria ‘appiattita' una eliminazione dei dati
altrettanto appiattita e, dunque, in definitiva discrezionale326.
Allo stato, appare necessario calibrare i rimedi in stretta relazione
con la natura dei dati, rispettando così il principio di proporzionalità
della tutela che appartiene tanto alla configurazione più tradizionale
del diritto all'oblio tanto al sistema di protezione dei dati personali
delineato dal d.lg. n. 196 del 2003, nell'ambito dei principi
comunitari.
La cultura dell'»ecologia dell'informazione» con la proposta del dato
a scadenza è una soluzione fervida di sviluppi pratici anche per i dati
volontariamente inseriti dai soggetti titolari e per i dati comuni. Il
termine di scadenza, infatti, può esprimere sia la valutazione in
326
AA.VV., Il caso del diritto all'oblio, PIZZETTI (a cura di), Torino, 2013, p.
21 e ss
231
forma tipica del vincolo di proporzionalità del trattamento in
relazione alla finalità perseguita — e ciò nel caso della
determinazione della scadenza in via autoritativa e regolamentare
— sia concretizzare il potere dispositivo del titolare attraverso la
riconferma di un principio consensualistico, che, nel caso dei dati
condivisi, può avere una fonte negoziale e formare oggetto di
espressa contrattazione tra gli interessati.
Inoltre, il termine di scadenza non deve necessariamente essere
sanzionato dalla radicale eliminazione del dato, ma, a seconda dei
casi, dall'introduzione di un diverso e più limitato regime di
accessibilità del dato stesso.
D'altro canto, la propensione dinamica dell'archivio, nel rispetto
della dimensione attuale della identità personale e morale dei
titolari dei dati, deve contemperare la finalità di aggiornamento con
l'interesse alla conservazione del dato a fini storici (art. 99). Un
vincolo giuridico di non facile realizzazione, anche alla luce delle
attuali possibilità tecnologiche di realizzazione attraverso la
previsione di link o di sistemi testuali di allarme, i quali,
realisticamente, possono funzionare con sufficiente efficacia,
soltanto in relazione a dati determinati, suscettibili di aggiornamenti
232
prevedibili e soggetti a fasi e scansioni normativamente predefinite,
oltre che oggetto di trattamento da parte di pubblici registri, come
nel caso dei dati giudiziari327.
Nella sua configurazione di diritto soggettivo di creazione
giurisprudenziale, derivato dalla diretta applicazione dell'art. 2 Cost.
(28), il diritto all'oblio ha incondizionatamente goduto delle tecniche
di tutela tanto inibitoria tanto risarcitoria, coessenziali al regime di
inviolabilità di cui partecipa, in ragione della sua natura di diritto
fondamentale.
La
giurisprudenza
di
merito,
principalmente
attraverso lo strumento processuale della tutela cautelare urgente e
atipica di cui all'art. 700 c.p.c., ha fatto applicazione, allo scopo di
paralizzare o prevenire condotte lesive del diritto azionato, tanto
delle inibitorie tipiche, disciplinate negli artt. 7 e 10 c.c. a garanzia
del diritto al nome e all'immagine, tanto di ordini atipici di
interruzione o di prevenzione delle condotte lesive. Altrettanto
ampio e generalizzato, il riconoscimento della tutela risarcitoria,
intesa come reazione sanzionatoria minima, attuabile sulla base
della ricostruzione interpretativa che lega la clausola generale
327
PIZZETTI, in La decisione della Corte di giustizia sul caso Google Spain:
più
problemi
che
soluzioni,
http://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=26322&amp;dpath=docume
nt&amp;dfile=10062014174108.pdf&amp;content=La+decisione+della+Corte+di+gi
ustizia+sul+caso+Google+Spain:+pi%C3%B9+problemi+che+soluzioni+-+stato++dottrina+-, pubblicato il 6 giugno 2014
233
dell'art. 2043 c.c. e dell'art. 2059 c.c., ai diritti fondamentali previsti
dalla Costituzione, secondo una lettura costituzionalmente orientata
che, avendo preso le mosse dalla sent. n. 186 del 1984, ad oggi
ravvivata dagli approfondimenti contenuti nelle sentenze c.d. di San
Martino (29), riceve conferma nell'art. 15 d.lg. n. 196 del 2003,
anche in riferimento all'art. 11328.
Accanto a queste due categorie generali di strumenti di tutela,
peraltro pienamente satisfattive nella tradizionale configurazione
del diritto all'oblio, le applicazione più recenti hanno utilizzato gli
istituti sanzionatori compresi nel sistema di protezione dei dati
personali introdotto dalla l. n. 675 del 1996, successivamente
sostituita dalle disposizioni del D.Lg. 30 giugno 2003, n. 196, nonché
gli strumenti di tutela preventiva, consistenti essenzialmente nel
principio del consenso (art. 23), connaturale alla struttura di tutti i
diritti della personalità e quindi anche al diritto all'oblio, di cui il
codice
sulla
protezione
dei
dati
personali
fornisce
una
configurazione procedimentalizzata e formalizzata, di comune
applicazione nella tutela dei diritti della personalità.
Non è seriamente ipotizzabile, per quanto il codice c.d. della privacy
non rechi espressa menzione del diritto all'oblio — al quale viene
328
MANGANO, Diritto all'oblio, in Giur. merito, 2012, 2621 se
234
omesso ogni riferimento nella norma generale dedicata alle finalità
del testo normativo, consistenti nella garanzia di rispetto dei diritti e
delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell'interessato, con
particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al
diritto alla protezione dei dati personali (art. 2) —, che il sistema di
protezione dei dati personali lo escluda dal suo ambito di garanzia,
con ciò negando una delle situazioni soggettive che concorrono a
definire il complesso dei valori fondamentali della persona. Se non
altro perché nella generale definizione del diritto alla protezione dei
dati personali disciplinato nell'art. 1 T.U. n. 196 del 2003, può
agevolmente sussumersi quella pretesa — che si è detto formare
oggetto
di
un
diritto
vivente
ultraventennale
—
alla
riappropriazione di fatti e vicende della propria vita trascorsa, sui
quali in passato si erano accesi i riflettori per un interesse sociale di
informazione che, una volta esaurito, accorda ai protagonisti il
diritto a riappropriarsi della propria vita privata. A conferma di ciò,
nella Relazione annuale del 1997, ossia all'indomani dell'istituzione
del Garante con la l. n. 675 del 1996, il diritto all'oblio è stato definito
come funzionale alla «libera costruzione della personalità», che
sarebbe ostacolata da un «implacabile permanere di ogni
235
informazione che riguardi fatti della vita passata».
La norma da cui si deduce il più evidente riferimento al diritto
all'oblio è l'art. 11, lett. E) che, nell'elenco delle modalità del
trattamento e dei requisiti dei dati, prescrive che l'identificazione
dell'interessato in relazione ai dati oggetto del trattamento sia
possibile per un periodo di tempo non superiore a quello necessario,
con ciò precisando il principio generale di necessità del sacrificio,
disciplinato dall'art. 3, con il principio di temporaneità, in relazione
alla realizzazione degli scopi in vista dei quali i dati sono stati
raccolti e trattati. Riecheggia, dunque, in questa norma l'elemento
più caratteristico del diritto all'oblio, ossia il tempo, che in questo
caso rappresenta la misura della liceità del trattamento, ponendosi
in diretta relazione sia con la sanzione specifica dell'art. 11 ult.
comma (inutilizzabilità) sia con la tutela risarcitoria dell'art. 15
comma 2 sia con l'esercizio dei diritti di aggiornamento,
rettificazione o integrazione di cui all'art. 7, lett. a) e di cancellazione
di cui all'art. 7, lett. b)329.
Soprattutto queste ultime forme di tutela corrispondono all'esigenza
di adeguare il dato personale rappresentato e conoscibile all'esterno,
329
FINOCCHIARO G., Identità personale su internet: il diritto alla
contestualizzazone dell’informazione, Dir. Inf, 2012, III, 383 e ss
236
oltre il tempo strettamente necessario alla finalità del trattamento,
alla
identità
attuale
dell'interessato,
senza
ingiustificata
sovrapposizione di una fisionomia non più riconosciuta come
propria dal soggetto a cui viene attribuita. Dalla specificità della
tutela, segnatamente con riguardo alla possibilità di cancellazione
del dato, si deduce, peraltro, che il diritto all'oblio dà copertura ad
interessi sostanziali sensibilmente differenti da quelli che ne hanno
determinato la positiva emersione ad opera della giurisprudenza
sopra rievocata, sicché la verifica della funzionalità della
cancellazione dei dati alla tutela del diritto all'oblio, comporta
conseguentemente la verifica degli interessi sostanziali che si
ambisce a tutelare attraverso il modello concettuale del diritto
all'oblio e la fedeltà di tali strumenti di tutela alla originaria
configurazione del diritto stesso.
237
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