Visualizza PDF
Transcript
Visualizza PDF
SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES SSFAoggi Notiziario di Medicina Farmaceutica Giugno 2015 numero Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate Fondata nel 1964 49 Sommario: Cari Lettori e Soci della SSFA, Editoriale 1 desidero condividere con voi il successo della nostra società, perché il numero di Etica e prezzo farmaci 2 I dintorni di Varenna 3 GLP/GCP Inspections 4 Studi no profit 6 Studi no profit 7 Intervista a L. Visani 9 Il paziente anziano 10 Seminario Loreto 13 Notizie dai master 14 Il dolore post-operatorio 16 Oggi parliamo di………. 18 Qualità e studi clinici 20 The BMJ 22 The Lancet 23 The BMJ 24 Numero speciale JPBA 26 EMA pubblicazione dati 26 ADR 27 Vaccini ed autismo 30 News on Clinical Trials 31 Nuovi Soci 32 iscritti è aumentato molto nell’ultimo anno ed oggi siamo più di 800: mi auguro di raggiungere quota mille al termine del mio triennio da Presidente, cioè nel 2017. L’incremento dei soci della SSFA è sicuramente legato a tutte le attività svolte dai vari Gruppi di Lavoro (GdL) con i convegni, i seminari, i master universitari. Tuttavia, un ruolo determinante lo svolge proprio la rivista da cui vi sto scrivendo e di cui è direttore Domenico Criscuolo, che alla SSFA ha dedicato e continua a dedicare moltissime energie: di questo gli siamo grati. SSFAoggi è nata otto anni fa, ed è aumentata da poche pagine ad un numero sempre più ragguardevole, con articoli di notevole interesse su svariati argomenti che provengono da diversi autori appartenenti soprattutto ai nostri GdL, ma non solo. Tutto bene quindi, direte voi; sì, ma possiamo fare meglio, fare di più. Per esempio, le persone che scrivono i contributi sono spesso le stesse: a mio parere sarebbe più interessante leggere le esperienze di altri colleghi che hanno professionalità e cultura differenti, in modo da arricchire la nostra rivista stimolando altri articoli, riflessioni e discussioni. Vi esorto pertanto a inviare notizie che possono essere di interesse comune a chi opera nel nostro settore oppure anche ad inviare dei commenti o delle risposte ad articoli che avete occasione di leggere e che catturano la vostra curiosità. Un'altra proposta è quella di una mezza pagina dedicata ai lettori, in cui voi possiate inviare lettere al direttore ed al comitato di redazione. Potreste in questo modo esprimere la vostra opinione sul nostro operato, proporre cambiamenti a SSFAoggi, fare critiche costruttive: ma accettiamo anche quelle negative, molto utili per cambiare rotta se necessario o più semplicemente per migliorare il nostro strumento di comunicazione con voi. Dateci una mano attivamente per rendere SSFAoggi una rivista sempre più moderna, aggiornata, utile soprattutto per chi la legge, e non tanto per chi la fa. Grazie per la vostra collaborazione. Marco Romano Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO Anno IX numero 49 Pagina 2 ETICA E PREZZO DEI FARMACI XIV Conferenza Nazionale sulla Farmaceutica – Catania 24 febbraio 2015 Come è ormai tradizione, il primo appuntamento dell’anno è la conferenza organizzata dal prof Filippo Drago, nel suggestivo scenario dell’aula “coro di notte” ex monastero dei benedettini, a Catania. Oltre 150 professionisti del farmaco si sono incontrati anche quest’anno, per dar vita ad un interessante dibattito sul tema di etica e prezzo dei farmaci. Nel suo indirizzo di benvenuto, il prof Filippo Drago ha voluto sottolineare il dilemma del titolo: oggi ci troviamo di fronte ad una sfida, fra l’innovatività dei farmaci ad alto prezzo e la sostenibilità del SSN. Ha poi preso la parola il prof Giacomo Pignataro, Rettore dell’Università di Catania, che ha lodato questo convegno, e tutte le iniziative che contribuiscono alla cultura attraverso un sereno dibattito, anche fra posizioni distanti. Il dr Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria, ha ricordato quanto la scoperta di nuovi farmaci abbia contribuito al progresso della medicina ed al miglioramento della durata e qualità della vita. Nei paesi emergenti, solamente dal 1990 ad oggi, la durata media della vita è aumentata di ben 9 anni. Ha infine ricordato che la sanità è l’unico settore pubblico dove sono in atto controlli rigorosi: questo va anche bene, ma si chiede che le regole siano chiare, e non oggetto di continui cambiamenti. A fargli eco, è intervenuto poi il prof Salvatore Cuzzocrea della SIF, ricordando che ad oggi nel nostro Paese il prezzo dei farmaci è l’unica variabile, nella galassia sanità, che sappiamo misurare: per contro, non sappiamo misurare altri settori con spesa in grande crescita, quali quello dei dispositivi medici, oppure delle terapie alternative. La drssa Simona Montilla di AIFA ha poi ricordato il grande impegno di AIFA a tutto campo, dal sostegno alla ricerca fino alle misure di intervento sulla sanità pubblica. A conclusione di questi indirizzi di saluto, il prof Giovanni Burtone della commissione sanità della Camera dei Deputati ha ricordato quanto sia oggi centrale il ruolo del paziente, cui spetta una corretta informazione da parte del medico curante. Nel dare inizio ai lavori, il prof Filippo Drago ha ricordato alcuni fatti recenti molto innovativi in sanità (ad esempio, la creazione di un fondo speciale per l’accesso alle terapie antivirali contro l’epatite c), ma ha anche sollevato alcuni problemi, quali quello dei prezzi dei farmaci molto diversi fra i Paesi EU, oppure la difficoltà di una esatta correlazione fra prezzo di alcuni farmaci antitumorali ed il loro reale beneficio per i pazienti. La prima relazione è stata svolta dalla drssa Ketty Vaccaro del CENSIS, la quale ha ricordato che la spesa sanitaria in Italia è diminuita del 12% dal 2007 al 2013. Il 18% degli italiani rinuncia, per problemi di costo, a prestazioni sanitarie (percentuale maggiore al Sud), ed il 20% rinuncia a cure dentistiche. La ricerca di risparmi ha generato molte “soluzioni alternative” quali l’acquisto su internet di prestazioni sanitarie (da siti tipo Groupon) ed il pagamento in nero a fronte di uno sconto. Una recente indagine ha messo in luce che il 40% degli italiani percepisce un peggioramento della qualità del SSN, ed il 78% si dice preoccupato nell’eventualità di una spesa sanitaria imprevista. Infine, ben il 5% del campione dichiara di non acquistare i farmaci prescritti, anche in caso di malattia grave. E’ poi intervenuto il prof Americo Cicchetti , Università Cattolica Roma, che ha proposto la seguente definizione: l’etica in economia sanitaria significa “ come allocare le risorse, che sono limitate, nel modo giusto”. Elaborando questo concetto, ha detto che sarebbe auspicabile una sostenibilità e solidarietà fra le generazioni, perché “ogni generazione dovrebbe dimostrare riconoscenza alla generazione precedente per i suoi comportamenti virtuosi, dedicando parte della sua ricchezza alle generazioni che sono al di fuori del processo produttivo, cioè gli anziani ed i pensionati”. Fra le altre numerose ed interessanti relazioni, vorrei segnalare quella del prof Salvatore Amato, professore di filosofia dell’Università di Catania, il quale, di fronte al clamore suscitato dal prezzo di alcuni farmaci innovativi, ha fatto la sua proposta: non bisogna più brevettare i farmaci, perché devono essere a disposizione di tutti. Peccato che il prof Amato non ci abbia spiegato chi si farebbe carico delle spese di sviluppo di questi farmaci senza brevetto: ma si tratta di un piccolo dettaglio di alcuni miliardi di euro, che certamente non sono di interesse per un filosofo! Domenico Criscuolo Anno IX numero 49 Pagina 3 I dintorni di Varenna Bagattelle per i più giovani I “corsi di Varenna”, di cui Luciano Fuccella mi attribuisce generosamente la paternità (SSFA oggi n. 42), erano destinati prevalentemente ai novizi CRA (Assistenti alla Ricerca Clinica), ora Clinical Monitor. Erano concepiti come strumento didattico che tenesse conto non soltanto dell’aspetto prevalentemente pratico del lavoro del monitor, richiesto dalla normativa e dagli aspetti formali delle GCP, ma anche della necessità di una formazione di base sulle regole teoriche e metodologiche della sperimentazione clinica. Appare chiaro che tali conoscenze arricchiscono il lavoro del monitor costretto al rispetto di una serie di norme rigide, “burocratiche”, intellettualmente aride. Va ricordato che il ruolo responsabile del monitor è cruciale nel garantire l’integrità dei dati ottenuti nella ricerca clinica. Gli studi clinici infatti sono l’unico strumento decisionale disponibile sull’efficacia di una terapia. Un errore può provocare disastri. Veniamo ora alle bagattelle del titolo. Oltre ai corsi classici “lacuali” venne offerto, per qualche anno, anche un programma di approfondimento attraverso corsi detti “avanzati”, che si tennero a Milano secondo una formula semiresidenziale, con cena sociale. Alla chiacchierata dopo cena mi dilettavo nel presentare argomenti di varia estrazione (citazioni, racconti, bagattelle) che potessero essere di stimolo per successive riflessioni individuali. Ve ne offro un florilegio sperando che vi sia gradito e soprattutto utile. Nel 2004 raccontai la favola dei tre principi di Serendip che durante le loro cavalcate scoprivano continuamente, per caso e per sagacia, cose notevoli, a volte importanti, che non andavano cercando. ‘Serendipità’ è un neologismo creato da Horace Walpole, un saggio erudito inglese del XVIII secolo, che ne individuò motivo di interessanti considerazioni. Molti gli esempi di scoperte “casuali” in medicina. Classico l’esempio di Alexander Fleming, che scoprì la penicillina osservando una cultura batterica contenuta in una capsula di Petri dimenticata su una mensola. Il sildenafil era studiato come trattamento dell’angina pectoris, il successivo popolarissimo uso non era stato previsto. Le scoperte da serendipità tuttavia avvengono soltanto in menti preparate ed attente. Il suggerimento occulto per i commensali era: siate curiosi nella vostra attività, state attenti a quello che vi sta intorno, potreste fare delle scoperte interessanti per voi e per il vostro lavoro. L’anno successivo parlai delle “Leggi fondamentali della stupidità umana” di Carlo Maria Cipolla, grande storico dell’economia. E’ un breve saggio di sottile e illuminante ironia contenuto nel piccolo libro ‘Allegro ma non troppo’ (ed. Il Mulino). L’autore, che si esprime con ammirevole chiarezza, elenca e commenta cinque leggi fondamentali della stupidità. Per esempio, la prima legge recita ”Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione”. La terza (ed aurea): “Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita”. L’autore distingue i soggetti interessati in quattro categorie (intelligenti, sprovveduti, banditi, stupidi) e fornisce gli strumenti per orientarsi nella selva dei comportamenti umani attraverso interessanti diagrammi di facile uso. Il monitor entra in contatto con ogni genere di interlocutori durante la sua attività. La possibilità di classificarli secondo le categorie di Cipolla può essere di grande utilità pratica. Il testo delle “Leggi”, e i diagrammi, dovrebbero essere sulla scrivania di tutti i monitor (e anche di altri colleghi). Nel 2006 raccontai dello studente di fisica cui venne chiesto all’esame di misurare l’altezza di un grattacielo servendosi di un barometro. Si ribellò al pensiero consolidato la cui soluzione era prevista per la promozione, e, dopo una serie di risposte bizzarre, tutte rigorosamente corrette, sfornò l’ironica ultima: ‘Andrei dal custode dell’edificio e gli direi: ‘qui c’è un bel barometro, è suo se mi dice quanto è alto l’edificio.’ (Angels on a pin, reperibile in rete, cerca la voce ‘Calandra’) Esistono vari modi di raggiungere l’obiettivo oltre a quelli più ovvii, ma è fortemente opportuno conoscere e soppesare tutte le alternative. L’anno successivo, citai la famosa battuta del meteorologo E. Lorenz “può un battito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado nel Texas?”, di cui illustrai la genesi e la discussione. Tradussi, per il monitor, “Può un errore nel registrare un dato in uno studio clinico causare il fallimento di un intero progetto e sottrarre ai malati una terapia efficace?” Vi risparmio altri interventi e mi scuso se ho menzionato quelle che furono soltanto chiacchiere adatte a un dopo cena. Consideratele appendici ai classici “Corsi di Varenna”. Tuttavia ritengo che accanto alla conoscenza accurata di norme, regole e controlli siano opportuni anche spunti, sia pure sotto forma di bagattelle, da destinare ad esercizi mentali o a riflessioni personali, o persino utilizzare come strumenti operativi. Paolo E. Lucchelli Anno IX numero 49 Pagina 4 Challenges and Opportunities Associated with a Joint Good Laboratory Practice/Good Clinical Practice Inspection Programme Following the implementation of the Clinical Trials Directive in 2005 and the subsequent publication of the EMA reflection paper entitled “Reflection paper for laboratories that perform the analysis or evaluation of clinical trial samples” there is an increasing number of laboratories that are performing both Good Laboratory Practice (GLP) and Good Clinical Practice (GCP) requiring work. This has presented a number of challenges for both the laboratories that perform the work and the regulatory inspectors that assess compliance with the appropriate regulations. GLP is a wellestablished quality system that was specifically designed to underpin the quality of non-clinical studies which are required to obtain data on the safety of a broad range of products including pharmaceuticals, agrochemicals and industrial chemicals. The principles of GLP are designed to ensure that regulatory receiving authorities have confidence in the integrity of the data presented to them as part of their assessment of new products. The primary aim of the GLP principles is to ensure that there is consistency and transparency in the way studies are planned, conducted and reported. In this respect the aims of GLP and GCP are broadly the same and consequently GLP-compliant facilities are in a strong position to perform laboratory work which is required as part of a human clinical trials. GCP places significant focus on the safety and wellbeing of trial subjects. European GCP legislation clearly states that the rights, safety and wellbeing of the trial subject should take precedence over the interests of science or society. This requirement is not relevant to nonclinical studies and consequently GLP facilities have often not thought about how these requirements impact on laboratory work that is performed as part of a clinical trial. Implementing a quality system that encompasses these fundamental GCP requirements is essential if GLP laboratories are to perform GCP work. Because laboratories are often independent from the site where the clinical trial is conducted, it is very easy for laboratory staff to make an assumption that responsibility for trial subject safety and rights lies with the study sponsor and that they are solely responsible for generating data. This perception is not correct and if a laboratory is to perform work associated with clinical trials they must have appropriate systems in place to ensure that the trial subject’s safety and rights are protected. What does this look like from a laboratory perspective? There are a number of key areas which are not relevant to GLP studies, but which must be addressed if laboratories are going to perform the analysis of samples which have been collected as part of a human clinical trial. These are described in detail in the EMA reflection paper and some key points are highlighted below: Expedited reporting of results If data are generated which indicate that the trial subjects health is at risk the information should be passed onto the relevant personnel at the earlier possible opportunity. Laboratories must understand the relevance of the results they are generating and have a process to rapidly report results which may indicate a problem. Confidentiality All those that take part in clinical trials have a right to privacy. Laboratories that handle clinical samples should have processes which allow them to deal with situations where a trial subjects privacy is compromised. For example, samples arriv- ing at the laboratory with labels or documentation that could identify the person the sample has been collected from. Consent People should only be enrolled in a trial if they have been given sufficient information about the trial to make an informed judgement as to whether they want to participate. This informed consent extends to work performed in the laboratory. Every laboratory that performs clinical work should exercise due diligence in ensuring the tests or procedures they are performing have been consented to. In summary, there are many aspects of GLP that are directly relevant to the processing of GCP samples; however, there are also a number of additional and very important considerations that laboratories who perform both GLP and GCP studies should take into consideration. Frauds Fraudulent activity is very rare in both a GLP and GCP environment but from time to time it does occur. In the main it is perpetrated by individual members of staff for a variety of reasons and can go undetected by the company for months or in (Continua a pagina 5) Pagina 5 Anno IX numero 49 (Continua da pagina 4) extreme cases years. The implementation of robust quality systems which are able to detect fraud is essential for all facilities that perform regulatory work. This may include independent quality control checks and a quality assurance programme that is sufficiently detailed to determine if data have been manipulated before they have been presented in the final results tables and graphs. For laboratories, one area where fraud has been detected on a number of occasions is linked to the generation of analytical data. This has included the falsification of control results to show that a batch has passed when in fact it has failed and the manipulation of data to cover up methods which are not performing as they should. Maintaining data integrity must be a key consideration for laboratories that perform GLP or GCP work if they are to ensure that their data are robust and reliable. This is an area of compliance where our inspectors are increasingly plac- Andrew Gray has worked for the MHRA for the last 13 years where he is currently Unit Manager for the Inspectorate. He is head of the UK GLP Monitoring Authority and currently holds the chair of the OECD GLP working Group. Dr. Gray was a co-author of the EMA reflection paper for laboratories that analyse samples from clinical trials and was responsible for setting up the GCP laboratory inspection programme in the UK. ing a focus and is likely to be a key topic of discussion in the future. Andrew J. Gray 1 2 Drug Discovery: Contract Research Organization: THERAMetrics is an international, full-service, technology-driven Contract Research & Development Organization providing services and solutions throughout the entire drug discovery & development cycle – from Preclinical to Market Access. THERAMetrics S.p.A. Via Alberto Falck, 15 20099 Sesto San Giovanni (MI), Italy Tel.: +39 02 2413 491 Fax: +39 02 2486 2961 [email protected] www.therametrics.com § Hypothesis generating software tool § International project management § Drug repurposing and repositioning § Regulatory support & submissions § Pre-screening of any selected project § Study activation and monitoring § Improving of sustainability of § Data management & statistics current R&D system § Medical coding & medical review § Pharmacovigilance § Medical writing 4 3 Early Clinical Services: Clinical Supply Services: § Manufacturing and packaging § Logistics and distribution § Return and destruction § IMPD preparation § Multilingual labelling and QR codes § Two own Pase I research units § Testing compounds and devices in healthy volunteers, patients, children and special populations § High recruitment potential § ICH-GCP trained staff Anno IX numero 49 Pagina 6 Presentazione del documento per la ricerca clinica da promotori no-profit in Italia A cura della Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI) ha avuto luogo lo scorso 15 aprile presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato, nella sala dell’Istituto di S. Maria in Aquiro, un incontro per la presentazione del Documento per la ricerca clinica da promotori no profit in Italia – una proposta per la competitività in 10 punti di cui sono firmatari cinquanta diversi gruppi di ricerca, istituzioni pubbliche e società scientifiche, compresa la SSFA. L’evento aveva lo scopo di illustrare le finalità del documento e i due capitoli in cui esso si articola, vale a dire, la revisione della normativa nazionale per la ricerca clinica e gli aspetti organizzativi e strutturali e le risorse per la promozione e la competitività della ricerca da promotori no profit, nonché le dieci raccomandazioni formulate all’interno dei due capitoli suddetti. Queste raccomandazioni, in particolare, prendono in esame problematiche specifiche, hanno un’impostazione essenzialmente pragmatica e mirano ad affrontare i principali aspetti di carattere normativo, procedurale e strutturale nel contesto della ricerca clinica no profit formulando al tempo stesso chiare indicazioni di possibili soluzioni alle principali criticità riscontrate. Gli interventi istituzionali sono stati tenuti dal Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato Sen. Emilia Grazia De Biasi, dal Direttore Generale della DG Ricerca e Innovazione in Sanità del Ministero della Salute Giovanni Leonardi e dal Presidente della Federazione delle Società Medico-scientifiche Italiane Franco Vimercati, cui hanno fatto seguito il Presidente della FADOI Giorgio Vescovo sul tema FADOI e ricerca ed il Direttore Scientifico della FADOI Gualberto Gussoni sulle motivazioni che hanno portato alla stesura del documento in oggetto. Quest’ultimo relatore ha inoltre ricordato come il documento fosse stato recentemente consegnato al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin che aveva espresso il suo apprezzamento per la concretezza che lo connota. I vari punti del documento propositivo sono stati esaminati in dettaglio nella tavola rotonda finale con interventi di Silvio Garattini, Aldo Pietro Maggioni, Roberto Labianca, Pierangelo Geppetti, Dario Manfellotto e Claudio Cricelli. Nel corso della riunione è stato più volte sottolineato come la ricerca biomedica, che pure rappresenta un settore strategico per il nostro Paese, stia attualmente vivendo un periodo notevolmente difficile caratterizzato da una preoccupante riduzione degli studi clinici da promotori no profit, in pratica più che dimezzatisi negli ultimi anni secondo le stime riportate da AIFA. Le cause di questo fenomeno, a giudizio dei partecipanti, vanno ascritte certamente anche ad alcuni vincoli posti dalle attuali norme euro- pee, ai pesanti oneri assicurativi, alle diffuse carenze nella gestione di fondi comunitari ed alla eccessiva complessità che spesso caratterizza il funzionamento dei Comitati Etici. Nelle conclusioni è stato pertanto esplicitamente asserito come il rilancio della ricerca clinica da promotori no profit sia divenuto indilazionabile. Il documento nella sua interezza è visionabile sul sito http:// www.pharmastar.it/binary_files/ allegati/ FADOI.CRNP.2014.documento.proposi tivo.12.02.15_18621.pdf. Sergio Caroli Anno IX numero 49 Pagina 7 Documento del gruppo di lavoro multidisciplinare FADOI per la ricerca clinica da promotori no profit E’ stato presentato al Senato un documento in dieci punti coordinato da un gruppo di lavoro multidisciplinare FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti) per il rilancio in Italia della ricerca clinica da promotori No Profit. Le statistiche indicano infatti che negli ultimi anni vi è stata una marcata discesa del numero di sperimentazioni cliniche No Profit. Il 13° Rapporto Nazionale 2014 sulla Sperimentazione Clinica dei Medicinali mostra che nel quinquennio 2009-2013, mentre le sperimentazioni cliniche Profit hanno mantenuto un valore costante, intorno a 440/ anno, le sperimentazioni No Profit sono scese da 318 nel 2009 a 139 nel 2013, una diminuzione del 56%. Come causa principale di questo forte calo viene indicata l’emanazione del decreto 14 luglio del 2009, riguardante la copertura assicurativa delle sperimentazioni nell’uomo. Come è noto, in precedenza un grande numero di sperimentazioni No Profit non erano coperte da specifica assicurazione o veniva considerato (verrebbe da dire: sperato) che per esse si potesse fare valere, in caso di necessità, la copertura generale della istituzione la quale invece, come è ovvio, riguarda gli eventuali danni derivanti ai pazienti dalle normali procedure di cura o da incidenti durante la degenza, ma non considera la sperimentazione clinica per la quale occorreva apposita copertura assicurativa. Il decreto 14 luglio 2009, che ha reso obbligatoria l’assicurazione di ogni singolo studio, fissando anche i livelli dei premi e la durata delle coperture, ha provocato un generale aumento dei premi assicurativi che si è ripercosso in particolare sulle sperimentazioni No Profit. Obiettivo del testo FADOI è riprendere quanto contenuto nel Documento sulla Ricerca Clinica da Promotori No Profit in Italia; una Proposta per la Competitività in 10 Punti, testo elaborato dopo il 3° Convegno Nazionale sulla Ricerca Indipendente in Italia nel 2013, documento ap- provato da un gran numero di associazioni scientifiche tra cui anche la SSFA. Queste misure, anche in considerazione dell’arrivo del Regolamento Europeo, dovrebbero essere in grado di contribuire ad un rilancio delle sperimentazioni da promotore No Profit. Vediamo qui il contenuto dei dieci punti. Non escludere la possibilità che il risultato degli studi condotti da promotori no-profit possa essere finalizzato e utilizzato a scopi regolatori e per lo sviluppo industriale. Questa possibilità è già stata introdotta nel caso di studi condotti in IRCCS. Estenderla a tutti i centri potrebbe essere una soluzione accettabile specie in vista della attuazione del DDL Lorenzin che si propone di fissare quali debbano essere le caratteristiche dei centri ove possono eseguirsi studi clinici con farmaci e quale debba essere la formazione del personale. Introduzione dell’obbligo della valutazione del rischio effettivo dello studio, ossia una gerarchizzazione del rischio effettivo connesso allo studio che consenta una modulazione dell’entità delle coperture assicurative necessarie, a seconda del livello di rischio degli studi stessi. Si tratta di una eventualità presa in considerazione anche dal Regolamento Europeo, ma che solleva notevoli perplessità. Stabilire una “gerarchizzazione” del rischio effettivo in una sperimentazione clinica non appare facile. Certamente, se allo studio è un medicinale in uso da tempo, impiegato in una indicazione ed a dosi approvate nella AIC e per il quale esistono dati di farmacovigilanza in grado di fornire una indicazione attendibile sul tipo e sulla incidenza delle reazioni avverse gravi ed inattese, può essere possibile prevedere che incidenti importanti attribuibili al farmaco siano improbabili. Si tratta però di una situazione più da studio osservazionale (per il quale già l’attuale normativa prevede la sola presenza della normale assicurazione della istituzione) che da studio interventistico con farmaco ancora non titolare di AIC e che presuppone un confronto con altro farmaco standard (o un confronto tra dosi), il che complica notevolmente la procedura di “gerarchizzazione”. Può trattarsi di nuova indicazione di farmaco già in uso ed allora potrebbe essere rischioso “gerarchizzare” in una situazione ancora da esplorare. Conoscendo bene la pignoleria delle società di assicurazione, nel caso passasse una richiesta del genere (vedremo cosa succederà con il Regolamento) temo che esse richiederanno una quantità di informazioni cliniche, dati statistici, pareri tecnici ed altro che non faciliteranno l’autorizzazione dello studio senza contare che saranno in primis i Comitati Etici a volersi ben salvaguardare (anche per motivi economici relativi all’ente ospedaliero) da eventuali accuse di non avere correttamente valutato i rischi dello studio. Va inoltre considerato che un approccio del genere penalizza la ricerca con farmaci innovativi (peraltro per definizione non oggetto degli studi No Profit), in quanto in essa è ovviamente più difficile prevedere eventi avversi importanti ma rari o ancora sconosciuti. Analogo discorso può farsi per gli studi in patologie gravi (ad esempio in oncologia) dove non è tanto il rischio in sé ad essere considerato, quanto il rapporto beneficio/rischio per cui a fronte di importanti nuovi benefici si può anche accettare di correre rischi che sarebbero inaccettabili in patologie meno gravi. Adeguamento delle polizze assicurative delle aziende ospedaliere e delle ASL affinché prevedano le condizioni richieste per la ricerca indipendente. Per il momento le condizioni richieste per la ricerca indipendente sono le stesse di quelle previste per la ricerca Profit. Come detto all’inizio, è stato proprio questo ade(Continua a pagina 8) Anno IX numero 49 (Continua da pagina 7) guamento che ha contribuito a ridurre sensibilmente le sperimentazioni No Profit. Il documento sopra citato propone di favorire strategie di presa in carico, da parte del Sistema Sanitario Nazionale, della copertura assicurativa per gli studi No Profit. Vista la situazione dei conti della Sanità, ho molti dubbi che una proposta del genere venga accolta. Semplificazione delle procedure di raccolta dati sui pazienti attraverso l’introduzione del consenso informato ai fini della ricerca all’atto del ricovero. Successivamente l’informazione e l’approvazione del Comitato Etico sarà quindi sufficiente evitando le attuali complesse procedure di contatto con i singoli pazienti. Sarebbe forse stato opportuno precisare che questo punto si riferisce alla raccolta di dati negli studi osservazionali prospettici e retrospettivi, come si evince chiaramente dal sopra citato documento scaturito dal Convegno sulla Ricerca Clinica Indipendente. Il Garante per la protezione dei dati personali aveva d’altra parte già provveduto a venire incontro a queste esigenze di semplificazione con la deliberazione 1 marzo 2012: Autorizzazione generale al trattamento di dati personali effettuato per scopi di ricerca scientifica. (Deliberazione n. 85), la quale prevede Pagina 8 che non sia necessario il consenso del paziente all’utilizzazione dei propri dati qualora ciò sia opportuno per motivi etici o perché il reperimento del soggetto è difficoltoso, purché comunque vi sia la garanzia della approvazione del Comitato Etico. Applicazione di un modello di documentazione standard valido e riconosciuto da tutti i Comitati Etici ai quali viene richiesta l’autorizzazione per la realizzazione di uno studio e definizione di un modello condiviso di accordo economico fra promotore no profit e aziende ospedaliere/ASL e industrie che forniscono sostegno incondizionato per la realizzazione delle ricerche. Il preannunciato Regolamento Europeo con l’introduzione del Portale Unico dovrebbe venire incontro a questa richiesta, anche se va fatto presente che la documentazione può variare notevolmente da studio a studio in rapporto alle caratteristiche del medicinale, della tipologia dei pazienti, del disegno dello studio. Affidamento di una quota rilevante delle risorse provenienti dalle convenzioni relative agli sudi autorizzati ai Comitati Etici per favorirne il lavoro. La forte riduzione del numero dei Comitati Etici, conseguenza delle disposizioni contenute nel DL 158/2012, ha portato ad un notevole aggravio di lavoro per i CE superstiti con la conseguente necessità di aumentare il personale. E’ quindi inevitabile che anche i costi aumentino e che essi ricadano sui promotori delle sperimentazioni. I punti da 7 a 10 riguardano proposte di riattivazione dei finanziamenti AIFA, i bandi di ricerca internazionali, la realizzazione di banche dati nazionali e l’introduzione di incentivi fiscali per le strutture no profit che assumono figure professionali da impiegare nella ricerca. Commenti dai lettori di SSFAoggi saranno benvenuti. Luciano M. Fuccella Anno IX numero 49 Pagina 9 SSFAoggi incontra ……. Intervista a Luigi Visani, CEO di Exom Group Exom Research, la divisione ricerca di Exom Group, è una nuova CRO italiana che si propone a livello internazionale come la prima azienda ad introdurre la rivoluzione digitale e delle scienze “omiche” nella ricerca clinica. Fondatore e CEO del gruppo è Luigi Visani, che da molti anni opera nel settore delle CRO , prima come Hyperphar e poi come Pierrel Research. D: Quando e perché nasce Exom Research? R: Dopo oltre un anno di preparazione , siamo nati ufficialmente nel luglio 2014 come start up innovativa con l’obiettivo di combinare una consolidata competenza tecnica, operativa, regolatoria e scientifica con le piu’ innovative soluzioni digitali e di tecnologia “mobile” , al fine di aggiungere valore ai processi organizzativi dello sviluppo clinico in tutte le sue fasi, attraverso maggiore qualità, trasparenza, efficienza e rapidità. inserimento vocale dei dati sviluppata da Exom Group. Si tratta di un sistema che permette al medico sperimentatore di compilare la CRF elettronica oltre che manualmente anche dettando i dati clinici direttamente da un normale smartphone. Il dato vocale viene riconosciuto, trasformato in testo, controllato per la sua validità ed infine inviato al database centrale dello studio. D: Quale vantaggio offre Genius Lingo? R: In pratica non vi è l’obbligo per lo sperimentatore di stare davanti ad un computer ma i dati vengono inseriti direttamente nella CRF, quando ad esempio sta visitando il paziente, consentendo una raccolta immediata dei dati, con risparmio quindi di tempo e risorse. D: Con quali strumenti Exom è in grado di offrire novità ai suoi sponsor? R: L’offerta tecnologica della nostra azienda si basa su una serie di soluzioni sviluppate sia internamente sia tramite qualificati fornitori esterni per gestire ed ottimizzare tutti i processi di uno studio clinico, dalla selezione dei centri sperimentali, al consenso informato elettronico, al reclutamento dei pazienti , al TMF ed al CTMS . Abbiamo riunito in un’unica piattaforma chiamata “Genius Suite” tutte le novità dei software per far sì che gli studi clinici siano sempre più digitali, cloud, mobile e globali. Una di queste innovazioni è stata anche brevettata e si chiama “Genius Lingo”. D: Può dirci di che cosa si tratta? R: Genius Lingo è un’applicazione di dei dati e per la sicurezza dei pazienti. Inoltre, grazie a collaborazioni con laboratori di genetica e di biologia molecolare italiani ed internazionali, siamo in grado di offrire anche studi di sequenziamento del DNA ed altre analisi per stratificare i pazienti di uno studio clinico e per interpretarne le risposte individuali in termini di efficacia e tollerabilità. Si tratta di un approccio personalizzato che sta avvenendo in tutto il mondo e sta portando alla cosiddetta medicina personalizzata. D: E’ intenzione di Exom di restare soltanto in Italia? D: Quali altre novità offre Exom Research? R: Molte altre tra cui spicca il modulo Genius RIBAM (Risk based monitoring & management), un algoritmo digitale fondamentale per l’identificazione precoce e la gestione dei potenziali rischi nella conduzione degli studi clinici. Il sistema consente infatti di “adattare” le attività di monitoraggio sulle aree e sui centri sperimentali più a rischio per la qualità R: No, non è sufficiente: l’azienda è già presente in Germania (con il dipartimento tecnologico e IT) oltre che in Spagna, Portogallo, Polonia, Romania e Repubblica Ceca con dei rappresentati locali per ogni Paese. Stiamo reclutando personale anche nel Regno Unito e in Francia. Siamo infine in contatto con possibili CRO negli Stati Uniti e nell’area Asia Pacifico al fine di stringere alleanze strategiche per poter condurre studi anche in quelle regioni. A cura di Marco Romano Anno IX numero 49 Pagina 10 Gestione del paziente anziano politrattato nella sperimentazione clinica Il seminario, organizzato il 26 marzo scorso, ha portato a Roma, nell’Auditorium Servier, importanti relatori, davanti ad una platea di circa 50 partecipanti, per affrontare un tema di grande attualità. Dopo il consueto benvenuto di Marie -Georges Besse, e dei moderatori Salvatore Bianco ed il prof. Pierluigi Navarra, il seminario si è aperto con la relazione del prof. Massimo Fini, Direttore Scientifico IRCCS San Raffaele, Roma, il quale ha delineato le caratteristiche di un “nuovo paziente” che la medicina si trova oggi a dover gestire. Il lungo processo di transizione demografica che ha caratterizzato l’ultimo secolo ha modificato profondamente l’assetto della popolazione: la fascia dei cinquantenni è oggi quella predominante e, secondo questa tendenza, nel prossimo ventennio sarà sostituita da quella dei sessantacinquenni. Inoltre, la fascia che cresce più rapidamente rispetto alle altre è quella degli ultra-ottantenni che, in una buona percentuale dei casi, presenta un cosiddetto “invecchiamento di successo”, con una vita ancora attiva e buone condizioni cliniche. La prima caratteristica del paziente anziano è spesso la “fragilità”, una sindrome multifattoriale, strettamente correlata al processo di invecchiamento, caratterizzata da un’estrema vulnerabilità clinica, con conseguente diminuzione della capacità di reagire agli stress. Il relatore ha ricordato come la fragilità sia direttamente correlata con il rischio di andare incontro ad ospedalizzazioni e sviluppare disabilità ma, se opportunamente individuata e gestita, essa è una condizione prevenibile e soprattutto reversibile. Altra caratteristica tipica del paziente anziano, strettamente correlata con la fragilità, è la multi-morbilità definita come la coesistenza di due o più patologie, spesso croniche, che interagiscono tra di loro formando dei “cluster”, favorendo disabilità e necessitando per questo di cure continue. La politerapia è ormai approccio comune per la gestione del paziente anziano; in realtà il relatore ha sottolineato come questa sia solo la via più rapida, focalizzata esclusivamente sulla patologia e non sul paziente. Sarebbe invece necessaria un’analisi integrata, che valuti la condizione del singolo malato nella sua globalità, in modo da scegliere caso per caso il più corretto approccio terapeutico e garantire un’idonea assistenza sanitaria. L’anziano è inoltre un paziente “costoso”: la fascia degli “over 75” è quella che consuma maggiormente farmaci e costa più delle altre al SSN. E’ però anche una delle fasce più deboli e con maggiori criticità sociali che, come emerge da una recente analisi del Censis, sempre più spesso è costretta a rinunciare a cure mediche o ridurre le spese per i farmaci. Il relatore ha infine ricordato come l’anziano sia un paziente ancora poco conosciuto dalla comunità medico-scientifica, in quanto troppo spesso escluso dagli studi clinici per età, multimorbidità, polifarmacoterapia o disabilità. Pertanto, si assiste ad una scarsa trasferibilità dei dati basati sulle evidenze degli studi clinici, a causa di uno scollamento tra la popolazione di un studio clinico e quella reale. Infine, ha ricordato come sia fondamentale passare dall’attuale approccio, incentrato sulle singole patologie d’organo, ad una gestione integrata di questo “nuovo paziente”, sia a livello ospedaliero che in un contesto territoriale ben strutturato. Per questo è importante attuare un radicale cambiamento culturale e formativo, creando figure professionali adeguate, dotate di una visione multidisciplinare e contestualizzata. Nella seconda relazione il prof. Vincenzo Mollace (Università “Magna Græcia”, Catanzaro) ha illustrato l’utilizzo dei farmaci biologici nel paziente anziano. Dopo una panoramica introduttiva sulla storia, le caratteristiche e le proprietà farmacologiche dei prodotti biotecnologici, il relatore ha delineato le due aree terapeutiche in cui lo sviluppo di tali farmaci ha avuto un ruolo significativo: le malattie infiammatorie immuno-mediate e le malattie oncologiche. Le prime comprendono un gruppo eterogeneo di patologie, accomunate dalla disregolazione della normale risposta immunitaria, tra le quali una delle più note è l’artrite reumatoide: circa un terzo dei pazienti affetti da artrite mostra un esordio dopo i 60 anni e la prevalenza aumenta con l’età. Inoltre, questa patologia nell’anziano sembra essere più aggressiva e disabilitante rispetto al paziente giovane. Nell’ultimo ventennio sono stati sviluppati farmaci biotecnologici selettivi, in grado di rallentare o arrestare la progressione del danno strutturale, migliorando i sintomi e preservando la capacità funzionale. Inducendo immunosoppressione, tali farmaci favoriscono però la comparsa di infezioni opportunistiche o di malattie linfoproliferative; inoltre, alcuni possono causare un aggravamento dell’insufficienza cardiaca congestizia. Pertanto, il paziente anziano, spesso portatore di concomitanti malattie cardiovascolari e maggiormente suscettibile a sviluppare infezioni, non sembra essere il miglior candidato a tali terapie. Gli studi clinici sull’artrite reumatoide nell’anziano non sono molti ma, come il relatore ha evidenziato, quelli disponibili hanno mostrato una soddisfacente risposta clinica ai biologici, quali gli anti-TNFD, senza significative differenze in termini di tollerabilità rispetto al gruppo di controllo di pazienti giovani. Questi dati mostrano quindi come l’età non sia un fattore limitante alla terapia dell’artrite reumatoide con anti-TNFD. Il relatore ha poi ricordato come l’oncologia sia un altro settore in cui la ricerca di farmaci biologici innovativi ha fatto enormi passi avanti. A differenza della classica chemioterapia, che può causare un danno irreversibile sul miocardio, i biologici inducono un danno reversibile e non sono associati ad un aumento del rischio di mortalità cardiovascolare. Molti di essi però esercitano un’azione diretta sull’endotelio vascolare, con conseguente ipertensione o tromboembolismo venoso, possono indurre bradicardia o prolungamento dell’intervallo QT. (Continua a pagina 11) Pagina 11 Anno IX numero 49 (Continua da pagina 10) Il relatore ha sottolineato la necessità di studiare l’azione di questi farmaci in selezionate popolazioni di pazienti anziani, in modo da ottenere maggiori informazioni da trasferire poi nella pratica clinica. La scarsa trasferibilità delle evidenze generate dagli studi nella reale pratica clinica è stata uno degli argomenti principali trattati dal dott. Carlo Tomino (IRCCS San Raffaele di Roma). Egli ha sottolineato l’assoluta necessità di incentivare studi di “effectiveness”, che diano una fotografia più realistica della popolazione in trattamento e forniscano dati robusti di sicurezza ed efficacia a lungo termine. Ha inoltre evidenziato la chiara necessità di disegnare studi clinici dedicati alla popolazione anziana, che abbiano un disegno scientifico rigoroso ma, contemporaneamente, presentino una maggiore flessibilità in termini pratici e logistici. Studi che introducano ad esempio nuove procedure per i prelievi ematici o nuovi metodi di somministrazione del farmaco, sia in ospedale che a domicilio, in modo da facilitare l’accesso per il paziente anziano. Il relatore ha evidenziato come, accanto a criteri d’inclusione che escludono l’anziano dagli studi, un altro bias importante nelle sperimentazioni cliniche è rappresentato dal consenso informato. Questo documento, nato per informare il paziente sullo scopo e le procedure dello studio, è ormai diventato sempre più articolato e complesso, spesso di non facile comprensione. Le procedure di ottenimento del consenso informato dovrebbe invece essere adattate ai bisogni e alle difficoltà del paziente anziano. Il relatore ha inoltre ricordato come, entro un anno, lo scenario delle sperimentazioni cliniche cambierà radicalmente con l’implementazione del nuovo Regolamento Europeo, che prevede, tra le tante modifiche, la possibilità di utilizzare un “consenso informato facilitato” per le sperimentazioni definite “a basso impatto d’intervento”. In quest’ottica, il ruolo del Comitato Etico diventerà cruciale per garantire l’eticità di uno studio, proteggere una fascia di popolazione vulnerabile come quella anziana ed assicurare che le informazioni vengano loro trasferite in modo completo ma semplice. La necessità di un cambiamento culturale e regolatorio ha portato EMA ad istituire un “gruppo di lavoro geriatrico” con lo scopo di delineare linee guida appropriate ed individuare strategie mirate ad incentivare la ricerca sui farmaci nell’anziano. Una delle proposte più concrete è l’istituzione di “piani di indagine geriatrica” che possano favorire lo sviluppo di studi clinici dedicati al paziente an(Continua a pagina 12) FORMIAMO IL FUTURO DELLA RICERCA CLINICA Corsi per Clinical Operations, Regulatory, Management e Comunicazione a Milano e Roma ECCRT Marcel Broodthaers plein 8 - box 5, 1060 Brussels, Belgium Tel: +32 (0)2 892 40 00 www.eccrt.com E-mail: [email protected] Pagina 12 Anno IX numero 49 (Continua da pagina 11) ziano ed aumentare il numero di farmaci registrati con una specifica indicazione per questa particolare popolazione, come già fatto con i “piani di indagine pediatrica”. Il dott. Tomino ha infine ricordato come il ruolo del medico di medicina generale sia fondamentale per un approccio integrato tra la gestione ospedaliera e quella territoriale, concordando con il prof. Fini sulla necessità di attuare un radicale intervento a livello culturale, organizzativo ma soprattutto formativo verso figure professionali dotate di una visione globale del paziente anziano. Il quarto ed ultimo intervento è stato affidato a Giuseppe Recchia (Gsk) che ha illustrato come è evoluta la ricerca farmaceutica negli ultimi anni. Sono cambiati gli attori della ricerca: oggi la scoperta di nuovi farmaci non è più appannaggio esclusivo dell’industria farmaceutica ma è sempre più spesso affidata al mondo accademico e al lavoro di fondazioni che, con il sostegno di associazioni di pazienti, lavorano per lo sviluppo di nuove molecole. In questa realtà, l’azienda farmaceutica non ha più solo il ruolo di sponsor di studi clinici ma anche quello di sostenitore di ricerche no-profit, al fine di incentivare le idee più innovative. Sono cambiati anche gli obiettivi: la ricerca oggi è focalizzata sui “bisogni orfani”, legati a patologie rare e sui “bisogni residuali”, legati cioè a quella nicchia di pazienti che, nonostante le terapie disponibili, continua a necessitare di una cura. Il relatore ha quindi sottolineato come, in questo scenario, il paziente anziano di per sé non rappresenti una priorità per l’azienda farmaceutica. Questo è in netta contraddizione con i dati dell’ultimo “Rapporto sui Farmaci Prioritari” dell’OMS, che ha evidenziato come sia proprio la popolazione anziana quella più bisognosa di nuove cure. Questo rapporto evidenzia anche un’altra serie di problematiche che ruotano intorno alla terapia del paziente anziano e alle quali l’azienda dovrebbe dedicarsi, quali la necessità di rivedere i formati ed i contenuti del foglietto illustrativo e di sviluppare formulazioni farmaceutiche e confezionamenti più adatti a questa popolazione, in modo da migliorare l’aderenza alla prescrizione. Inoltre, come più volte ricordato nel corso di questo seminario, il paziente anziano è ancora troppo poco rappresentato negli studi clinici, nonostante molto probabilmente sarà uno dei maggiori consumatori del farmaco oggetto di una sperimentazione. Il dott. Recchia, illustrando i risultati di uno studio svolto da un gruppo cooperativo europeo, ha analizzato le principali cause che portano all’esclusione dei pazienti anziani dagli studi clinici e suggerito possibili soluzioni. Tra queste, ad esempio, il coinvolgimento di associazioni di pazienti (es. Federanziani) nella valutazione del protocollo o nella divulgazione delle informazioni; la possibilità di facilitare la logistica di uno studio per un paziente anziano, con visite più flessibili, domiciliari oppure attuare sistemi di rimborso delle spese sostenute per partecipare alla sperimentazione clinica. Il dott. Recchia ha infine ricordato come diverse condizioni patologiche nell’anziano non siano ancora riconosciute come vere indicazioni terapeutiche dalle agenzie regolatorie, primo fra tutte l’invecchiamento stes- so. Ad oggi, diverse aziende stanno lavorando per rallentare il processo di invecchiamento stesso, in modo da ritardare la comparsa di patologie ad esso associate. Il seminario si è concluso infine con una breve revisione di tutte le relazioni da parte del prof. Garaci (Rettore Università Telematica San Raffaele Roma) che, in modo puntuale e pragmatico, ha sintetizzato i principali punti di discussione, trattati dai singoli relatori nei loro interventi. Il prof. Enrico Garaci ha sottolineato la necessità di promuovere studi clinici dedicati alla popolazione anziana e di attuare un radicale cambiamento a livello culturale, formativo e regolatorio, delineando linee guida specifiche. Inoltre ha ricordato come sia fondamentale adottare un approccio terapeutico integrato e multidisciplinare, per imparare a conoscere e soprattutto gestire correttamente questo nuovo paziente. Daniela Visini Le presentazioni autorizzate sono disponibili sul sito WWW.SSFA.IT Anno IX numero 49 Pagina 13 FARMACI ORFANI E MALATTIE RARE Nell’ambito della continua e produttiva collaborazione in atto fra l’Università di Camerino e SSFA, sono stato invitato ad un seminario sui farmaci orfani, organizzato a Loreto lo scorso 28 febbraio 2015, in occasione della giornata mondiale delle malattie rare. La sala convegni era molto affollata, oltre duecento persone erano intervenute per ascoltare le due relazioni in programma (quella della drssa Domenica Taruscio del centro malattie rare di ISS e la mia sul ruolo delle aziende farmaceutiche in questo settore). Il programma è stato poi arricchito da numerose testimonianze di pazienti, oppure di familiari di pazienti affetti da una patologia rara, i quali hanno raccontato con viva commozione non solo le difficoltà della diagnosi e della terapia, ma anche il sostegno che molte strutture hanno saputo offrire loro. Un convegno di grande umanità, che ha visto SSFA in primo piano. E l’impegno di SSFA in questo settore continua: al prossimo congresso nazionale SIF (Napoli, ottobre 2015), SSFA e SIF organizzeranno un simposio sul tema dei farmaci orfani e delle malattie rare. Domenico Criscuolo AGGIORNA I TUOI DATI NELLA BANCA DATI SOCI SSFA Scarica la scheda aggiornamenti dati SOCIO dal sito www.ssfa.it ed inviala in segreteria. Grazie della collaborazione. Pagina 14 Anno IX numero 49 NOTIZIE DAI MASTER Giovedì 9 aprile, con una sessione speciale, ha avuto luogo l’inaugurazione della settima edizione del master in Ricerca e Sviluppo Preclinico e Clinico dei Farmaci, presso l’Università di Milano Bicocca. Nel dare il benvenuto ai trenta studenti, il direttore prof. Vittorio Locatelli (nella foto) ha ricordato il grande impegno che tutti i docenti dedicano alle lezioni, ed in particolare ha ringraziato la SSFA per il determinante contributo che offre, sia nella fase di impostazione del programma, sia nella identificazione dei docenti più preparati, sia infine nella ricerca di posizioni per lo stage, che costituisce parte integrante del programma didattico del master. La giornata è poi proseguita con una dettagliata presentazione della dr.ssa Elena Bresciani (riportata qui di seguito), che come di consueto ha svolto un’accurata analisi delle caratteristiche degli studenti. E’ poi intervenuto Luciano Fuccella, con una presentazione su SSFA, IFAPP e Medicina Farmaceutica. Le lezioni della mattina si sono concluse con un intervento del sottoscritto, che ha illustrato il progetto PharmaTrain, ed il programma che porta al titolo di “Specialist in Medicines Development”, di cui si parlerà a lungo nel congresso di Roma del 1011 giugno. Dopo la pausa pranzo, il dr Antonio Torsello ha fornito utili informazioni sulla logistica delle lezioni, e su come poterle risentire a casa, rivedendo anche le diapositive presentate. A conclusione, il dr Giuseppe Cristoferi, un consulente per la selezione del personale, ha svolto una interessante lezione sull’approccio vincente al colloquio di assunzione, invitando alcuni studenti a fare un test, per correggere errori e fornire utili consigli. La settima edizione del master Bicocca è dunque iniziata, e SSFA continuerà a dare un contributo sostanziale a questa iniziativa. Domenico Criscuolo Master Bicocca – settima edizione E’ partita anche quest’anno la nuova edizione Master in Ricerca e Sviluppo Preclinico e Clinico dei Farmaci, organizzato dall’Università di Milano Bicocca in collaborazione con la SSFA. Il master, giunto alla settima edizione, ha ottenuto negli anni una posizione consolidata nel panorama italiano dell’offerta formativa postlaurea, testimoniata anche dalle numerose richieste di potervi partecipare arrivate nella fase, o addirittura dopo la conclusione, della selezione. La selezione si è fondata sugli stessi criteri adottati lo scorso anno, che si sono dimostrati buoni rispetto alla possibilità di scegliere candidati preparati e “appetibili” per le aziende del settore. Le prove a cui sono stati sottoposti gli aspiranti studenti sono state, in ordine temporale: 1) prova scritta di inglese, basata sulla comprensione dell’inglese scientifico e sulla conoscenza di argomenti scientifici di base; 2) colloquio individuale di tipo motivazionale, in cui è stata valutata anche la capacità di esprimersi oralmente in inglese. Il punteggio del curriculum vitae e dei titoli è stato meno rilevante, rispetto alle annate Figura 1 : Le lauree degli studenti (B=biologia; BT=biotecnologia; CTF=chimica e tecnologia farmaceutica; F=farmacia; M=medicina) precedenti. Sono pervenute circa 70 domande, un po’ da tutta Italia per i classici 30 posti disponibili. Tra quelli che avevano conseguito un buon punteggio nella prova di inglese, la selezione non è stata facile, in quanto molti erano i candidati dotati di un buon profilo. Tra i primi 30 della graduatoria di selezione, solo tre hanno rinunciato all’iscrizione, consentendo così ai primi tra gli idonei di essere ripescati e di poter accedere così al master. La classe risultante è abbastanza eterogenea per tipologia di laurea, provenienza geografica ed età. In linea con l’anno passato, il dato che emerge è la forte preponderanza degli studenti con laurea in farmacia o CTF: insieme rappresentano circa un terzo della classe, preceduti soltanto dai biotecnologi, la categoria come sempre dominante, mentre la percentuale dei biologi è rimasta costante. Nella classe è presente anche un laureato in medicina, un evento non isolato, ma comunque raro. A questo proposito, è opportuno segnalare come sia da parte delle aziende che da parte dell’utenza ci sia un interesse sempre maggiore per questi candidati (Figura 1). Più della metà degli iscritti proviene da atenei del Nord Italia; la parte restante è divisa tra il Sud e il Centro (Figura 2). (Continua a pagina 15) Anno IX numero 49 Pagina 15 (Continua da pagina 14) Figura 2: Area geografica di provenienza degli studenti Riguardo all’età, la classe è prevalentemente composta da soggetti con un’età inferiore ai 35 anni, pur rimanendo una piccola percentuale di oltre 35 anni (Figura 3). Attualmente, due terzi degli iscritti sono senza un’occupazione lavorativa; tra gli occupati, molti hanno situazioni non stabili, spesso nella ricerca di base, e solo il 10% ha già un impiego nel settore della ricerca clinica. La scelta di iscriversi al master è stata dettata per molti dalla necessità di avere una formazione necessaria per avere accesso al mondo della ricerca clinica, spesso precluso a chi non possiede un’esperienza pregressa nel settore, o dalla volontà di cambiare tipologia di lavoro. La preferenza per questo master e non per altri simili presenti sul territorio italiano, per la maggior parte di loro trae origine dalle buone parole spese dagli amici o da conoscenti che in passato lo avevano frequentato o da ex studenti contattati mediante Linkedin; l’aspetto più apprezzato di tutti è il riconoscimento della affidabilità del master in termini di poter offrire una possibilità concreta di stage in aziende del settore, considerato, a ragione, una buona occasione per acquisire esperienza e competenze da spendere in futuro per una eventuale posizione lavorati- Figura 3 : Età degli studenti va. Gli ottimi dati di placement ottenuti nelle scorse edizioni (Figura 4), nonostante il periodo di crisi, sono stati in parte confermati anche nell’edizione che sta per terminare: ad oggi, infatti il 15% degli studenti ha convertito lo stage in un contratto di lavoro a tempo determinato per un anno, oppure di apprendistato, ancora prima della fine del master. Elena Bresciani Figura 4 : Situazione lavorativa (verde=occupati; rosso=inattesa di occupazione), in base alle edizioni del master. Anno IX numero 49 Pagina 16 Il trattamento del dolore post-operatorio: un esempio di medicina personalizzata? (prima parte) Il trattamento del dolore postoperatorio (POP) è una problematica di grande rilevanza in ambito sanitario. Ogni anno negli Stati Uniti e nei paesi occidentali vengono eseguiti più di 73 milioni di interventi chirurgici e fino al 75 % dei pazienti sperimenta un’esperienza di dolore postoperatorio, di entità più o meno intensa, con un costo di circa 100 miliardi di dollari all’anno in cure mediche, perdita di produttività e disabilità, ed un costo supplementare annuo totale in termini di assi- ne inter-individuale nella risposta ai farmaci. Recenti stime, infatti, indicano che solo un quarto dei pazienti che si sottopongono ad un intervento chirurgico rispondono adeguatamente al trattamento farmacologico nei casi di dolore post-operatorio. È stato ipotizzato che questa differenza inter-individuale nella risposta al trattamento possa dipendere non solo da diversi fattori ambientali e non, come l'età, il sesso, una differente soglia del dolore, la presenza di malattie concomitanti, ma anche da fattori genetici. infiammatori non steroidei (FANS). Tuttavia, nonostante numerosi studi indichino un ruolo importante svolto dal sistema del citocromo P450 (CYP) e in particolare dei polimorfismi funzionali del CYP2D6 nell'influenzare la risposta alla terapia antidolorifica, è ancora oggetto di discussione l'utilità di analizzare il genotipo CYP2D6 nelle unità di Terapia Intensiva Post-operatoria per identificare i pazienti con differenti risposte al trattamento del dolore post-operatorio. Scopo di un nostro recente studio è stenza sanitaria a causa di sindromi dolorose che si aggira intorno ai 500 miliardi di dollari. Per questo motivo, appare auspicabile un nuovo tipo di impostazione nella gestione del dolore postoperatorio per poterne ridurre i costi. Tuttavia, nonostante i recenti progressi della medicina, i risultati ottenuti non sembrano ancora ottimali, a causa di un'ampia variazio- In particolare, i polimorfismi degli enzimi che metabolizzano la maggior parte dei farmaci riguardanti i geni che codificano il sistema enzimatico del citocromo P450 (CYP) potrebbero spiegare bene la variabilità inter-individuale osservata nella risposta ai farmaci, compresi quelli comunemente usati per il trattamento del dolore post-operatorio, come gli oppiacei e i farmaci anti- stato quello di indagare il ruolo dei polimorfismi funzionali del CYP2D6 nella risposta al protocollo farmacologico del dolore post-operatorio attualmente in uso nell’unità di Terapia Intensiva Post-operatoria dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, per identificare i pazienti con risposte potenzialmente diverse. Sono (Continua a pagina 17) Anno IX numero 49 (Continua da pagina 16) stati coinvolti nello studio 90 pazienti, 38 uomini e 52 donne, nella fascia d’età compresa tra 22 e 85 anni, sottoposti ad interventi chirurgici maggiori presso le unità di Chirurgia Toracica e Addominale. I motivi di esclusione dallo studio includevano: storia di alcol e tossicodipendenza, storia di dolore cronico trattato con farmaci oppiacei, malattie neurologiche e psichiatriche, gravi complicazioni peri-operatorie o altre condizioni potenzialmente influenzanti la corretta valutazione del dolore, intolleranza agli oppiacei e infine assunzione di farmaci ampiamente metabolizzati dal CYP2D6. Per il trattamento del dolore postoperatorio sono stati impiegati cinque farmaci: ketoprofene, metoclopramide, morfina, ranitidina e tramadolo, a diversi dosaggi, in base a tre livelli di intensità del dolore prevedibili (lieve/moderata/grave) e secondo un protocollo standardizzato (Patient Controlled Analgesia, PCA). L’intensità del dolore postoperatorio è stata valutata mediante l’utilizzo di una scala numerica, la NRS (Numeric Rating Scale), utilizzata dai pazienti per descrivere l’intensità del dolore in una gamma che andava da 0-3 (lieve dolore), 47 (dolore moderato) e 8-10 (dolore severo). Invece, lo stato di sedazione del paziente (ansioso, irrequieto, orientato, tranquillo, cooperante) è stata valutato mediante la RSS (Ramsay Sedation Scale), una scala in 8 punti. Sia la NRS che la RSS sono state somministrate subito dopo il risveglio del paziente, e poi a 30 minuti, 2 ore, 6 ore, 12 ore e 24 ore dopo l'intervento chirurgico. L'analisi genetica dei 16 polimorfismi del gene CYP2D6 che hanno rilevanza clinica è stata eseguita con un analizzatore INFINITI (AutoGenomics, Inc., Carlsbad, California, USA, distribuito in Italia dalla Medical System). In questa prima fase, non avendo dosato i livelli sierici dei metaboliti dei farmaci utilizzati e per semplificare significativamente l'analisi e ridurre il numero dei dati di genotipizzazione da elaborare, abbiamo suddiviso i pazienti in base all’attività enzimatica associata ad ogni Pagina 17 allele CYP2D6, come riportato dai data base della letteratura [The Human Cytochrome P450 (CYP) Allele Nomenclature Database], in quattro classi metaboliche: il 6,67 % di metabolizzatori ultrarapidi (UM – Ultrarapid Metabolizers), aventi un grado di attività enzimatica (EA) maggiore del 100 %; il 61,11 % di metabolizzatori estensivi (EM – Extensive Metabolizers) con un grado di attività enzimatica compresa tra il 50 % e il 100 %; il 28,89 % di metabolizzatori intermedi (IM – Intermediate Metabolizers) in cui l’attività enzimatica complessiva era inferiore al 50 %; il 3,33 % di metabolizzatori lenti (PM – Poor Metabolizers) in cui l’attività enzimatica era praticamente nulla. Questa distribuzione percentuale è in accordo con la frequenza fenotipica osservata nella popolazione caucasica. Il primo dato che emerge dallo studio è che il protocollo standard utilizzato comprendeva farmaci come ketoprofene, ranitidina, tramadolo, metoclopramide e morfina che, oltre ad essere substrati, sono anche inibitori del CYP2D6. Queste azioni concomitanti sull’attività dell’enzima possono portare a due diverse interazioni, cioè interazione substrato/substrato ed interazione inibitore/substrato, suggerendo una particolare attenzione e prudenza nella somministrazione e nella posologia dei farmaci. Infatti, osservando le caratteristiche e i risultati clinici delle quattro classi metaboliche del CYP2D6, è stato evidenziato come un grado maggiore di analgesia e sedazione ai vari tempi è stato ottenuto solamente nel caso dei metabolizzatori estensivi (EM) e di quelli intermedi (IM), e che questa risposta era indipendente da sesso, età e peso. Mentre, un grado minore di analgesia e sedazione era osservato nei metabolizzatori ultrarapidi (UM) e lenti (PM), sempre ai vari tempi. Questa differenza si evidenziava soprattutto a 24 ore dall’intervento chirurgico e mostrava significative differenze anche tra i metabolizzatori estensivi e quelli intermedi, con un maggior grado di analgesia e sedazione mostrato dai primi. Anche se preliminari, questi risultati, specialmente se confermati da ulteriori analisi condotte su un più ampio numero di pazienti, suggeriscono una potenziale utilità dell’analisi del ruolo dei polimorfismi funzionali del CYP2D6 nella risposta al trattamento farmacologico del dolore post-operatorio, specialmente quando sono utilizzati protocolli terapeutici standardizzati come quello in uso nell’unità di Terapia Intensiva Post-operatoria del nostro studio. Questo per poter controllare al meglio e, ove possibile ottimizzare, la risposta delle varie classi di pazienti ai farmaci antidolorifici usati, dal momento che sembra ormai assodato che i pazienti non rispondono tutti nella stessa maniera agli stimoli dolorosi. Stefano Angelo Santini Bibliografia “Role of CYP2D6 genotypes in the outcome of post-operative pain treatment”. D Seripa, P Latina, A Fontana, C Gravina, M Lattanzi, M Savino, A P Gallo, G Melchionda, S A Santini, M Margaglione, M Copetti, L di Mauro, F Panza, A Greco, A Pilotto. Pain Medicine, in press, 2015 Anno IX numero 49 Pagina 18 Oggi parliamo di…. Sperimentazione animale nello spazio con Pleurodeles waltl Pleurodeles waltl (P. waltl) è un tritone, anfibio urodelo (cioè dotato di coda) endemico della penisola iberica centro-meridionale e del nord del Marocco. Quando percepisce un pericolo, questo tritone mette in atto un originale comportamento difensivo (di qui l’appellativo sharp-ribbed newt): allarga, verso l’esterno, le costole fino a quando queste, puntute e taglienti, formano un angolo di circa 50° con la spina dorsale e forano la parete corporea in corrispondenza di piccole chiazze color giallo-arancione-ruggine, simili a verruche, allineate lungo la cute dei fianchi. Le punte delle costole, uscite all’esterno, vengono ricoperte da un liquido lattiginoso che contiene sostanze tossiche e irritanti, secrete da ghiandole granulari cutanee distribuite su tutta la superficie corporea, più fittamente concentrate nella cute del capo, dietro gli occhi, realizzando un primitivo e rudimentale sistema di inoculazione multipla di sostanze velenose. Innocuo per l’uomo, è un meccanismo molto efficace, pungente e doloroso, che inietta tossine attraverso la sottile mucosa orale del predatore di turno, mentre tenta di mordere il tritone, provocandogli un forte dolore e, talora, causandone la morte. L’efficiente sistema immunitario del tritone, ed il collagene che ricopre le costole, facilitano la rapida cicatrizzazione della cute, senza rischio di infezioni. P. waltl ha capo tozzo e piatto, con piccoli occhi e palpebre mobili. La coda, pari a metà della lunghezza del corpo, ha una stretta pinna, particolarmente adatta al nuoto. P. waltl è legato all’habitat acquatico: sebbene si muova facilmente sul terreno, molto raramente lascia l’acqua e vive in stagni, cisterne e pozzi di antichi villaggi, frequenti in Portogallo e Spagna. Anfibi di varie specie sono stati usati in ricerche di biologia spaziale in assenza di gravità, o in microgravità. La femmina di P. waltl trattiene in vita lo sperma, nella cloaca, fino a 5 mesi dopo l’accoppiamento e ciò ne fa un modello ideale di vertebrato per studi di fisiologia ed embriologia nello spazio, in condizioni di microgravità. Infatti, grazie a questa caratteristica, la femmina può essere inseminata sulla terra e poi fertilizzata, durante il volo spaziale, per stimolazione ormonale. Altra peculiarità di questa specie è lo sviluppo che, essendo molto lento, facilita lo studio dell’ontogenesi, dall’oocita fino all’embrione che nuota (girino o larva). Le femmine di P. waltl hanno partecipato a ben 8 missioni spaziali. Nella prima (1985), a bordo del satellite Bion 7, 10 tritoni erano in compagnia di 2 macachi rhesus e di 10 ratti. Bion 10 (1992) e Bion 11 (1996) sono i satelliti che hanno ospitato P. waltl durante altre due missioni spaziali, la cui serie è continuata, sulla stazione spaziale Mir, con studi di follow-up nel 1998 e nel 1999. Anche Foton-M2 (2005) e Foton-M3 (2007), in orbita a circa 300 km dalla terra e della durata di 16 e 12 giorni, hanno visto P. waltl coinvolto in importanti esperimenti, insieme a lumache (Helix lucorn e Helix aspera), gechi (Pachidactylus turneri), gerbilli della Mongolia (Meriones unguiculatus) e microrganismi (Streptomyces lividans 66, Escherichia coli ed altri). Obiettivo principale di questi esperimenti era lo studio degli effetti della microgravità sul comportamento di sistemi viventi, sulla loro struttura e fisiologia, sulla rigenerazione posttraumatica di ossa, tessuti ed organi, sull’ereditarietà stabile del plasmide pIJ 702, promotore del gene della tirosina chinasi e sulla sintesi di melanina da parte di streptomiceti. Le ricerche che più ci interessano vertevano sulla potenzialità di P. waltl di rigenerare tessuti danneggiati - rigenerazione risultata più veloce nello spazio e due volte più rapida negli stadi precoci di sviluppo - e le fasi della riproduzione e dello sviluppo nello spazio. Sono stati anche eseguiti, sulla terra, esperimenti in ipergravità (fino a 3 G), sulla fertilizzazione delle uova di P. waltl e ricerche sulla fertilità dei tritoni nati durante la spedizione spaziale, risultati fertili e privi di alterazioni fisiche e comportamentali. Questo tritone è un modello animale unico per studi sulla rigenerazione dei tessuti danneggiati: è capace di rigenerare zampe amputate e tessuti lesionati dell’occhio, del cervello, del midollo spinale, dell’intestino e del cuore. Gli studi sui meccanismi genetici alla base della rigenerazione sono stati a lungo ostacolati dalle difficoltà incontrate nell’allevamento in cattività. Una volta messe a punto le condizioni ideali di allevamento, P. waltl è risultata la specie più adatta per questo tipo di ricerca, anche perché può deporre, durante tutto l’anno, fino a 150 uova fertilizzate ogni due settimane. Studi recenti hanno messo a punto metodi per l’inseminazione artificiale e la transgenesi, e per migliorare e incrementare l’uso di questa specie in studi di genetica molecolare. I vantaggi offerti in questi esperimenti consistono nel fatto che 1) le femmine, accoppiate sulla terra e fecondate con trattamento ormonale nello spazio, (Continua a pagina 19) Anno IX numero 49 Pagina 19 depositano uova fecondate in assenza del maschio, 2) il loro ritmo di sviluppo è più lento che nell’anuro Xenopus, altro frequent flier di navicelle spaziali e 3) le caratteristiche fisiologiche permettono a questi anfibi di vivere in un contenitore d’acqua chiuso, o in un ambiente umidificato, e di sopportare il digiuno per vari giorni. Il principale obiettivo degli esperimenti spaziali era rispondere ai seguenti interrogativi: 1) la fertilizzazione delle uova si realizza normalmente in condizioni di microgravità? 2) il successivo sviluppo embrionale è normale in microgravità? 3) sviluppo e capacità riproduttiva sono normali dopo il ritorno sulla terra? 4) la microgravità incide su sviluppo e fisiologia degli organi dell’animale adulto? 5) la microgravità influenza la rigenerazione di tessuti ed organi? La fertilizzazione avviene regolarmente nello spazio, lo spazio e quelli nati sulla terra. Inoltre, le progenie degli Pleurodeli della missione spaziale e dei controlli rimasti sulla terra non presentavano differenze significative. Va detto che, soprattutto nelle prime missioni spaziali, il numero dei tritoni studiati era basso, tanto da non permettere di trarre conclusioni definitive sugli specifici effetti della microgravità. Inoltre, in alcune missioni spaziali, la termostatazione non era ben regolata e, durante la permanenza nello spazio, si sono verificati innalzamenti della temperatura. Perciò, le condizioni nelle quali si sono svolte queste missioni spaziali hanno influenzato sicuramente i campioni biologici e, quindi, anche i risultati e la loro interpretazione. Il volo e la permanenza nello spazio hanno indotto evidenti effetti sulla rigenerazione di organi e tessuti ma, più spe- ma il successivo sviluppo embrionale in microgravità risulta alterato: si sono osservate anomalie quali movimenti citoplasmatici corticali, diminuita adesione cellulare e perdita di cellule. Tuttavia, sebbene le fasi precoci dello sviluppo non siano strettamente normali a causa dei fenomeni di regolazione embrionale, le giovani larve, alla schiusa delle uova, presentano fenotipi normali e normale comportamento natatorio. Al termine della missione, e fino all’età adulta, non si sono osservate differenze comportamentali tra i tritoni nati nel- cificamente, hanno prodotto effetti a lungo termine, durati varie settimane dopo il ritorno dei tritoni sulla terra. Un esempio di questa tipologia di risultati è stato registrato per gli otoconia parecchi mesi dopo l’atterraggio. Gli otoconia, piccoli cristalli di CaCO3 (calcite) presenti nel sacculo e nell’utricolo dell’orecchio, sotto l’effetto dell’accelerazione lineare, stimolano le cellule capellute. L’esperimento Torcol, ospitato sul “taxi” Soyuz, durante il volo Perseo alla stazione spaziale MIR, dimostrò che, dopo una lunga missione spa- (Continua da pagina 18) ziale, gli otoconia di calcite erano alterati in Pleurodeli adulti. Finora non sono state formulate ipotesi definitive sull’interpretazione di queste osservazioni. I risultati fanno pensare che la rigenerazione dei tessuti, negli urodeli esposti alle sollecitazioni del viaggio spaziale, sia alterata in modo tessuto-specifico e che possa risultare in una crescita tissutale rigenerativa e in un differenziamento anormale. P. waltl è stato modello animale in altre ricerche spaziali sulla biologia dello sviluppo in condizioni di microgravità e sulla genetica molecolare durante la rigenerazione di tessuti danneggiati, sulla deregulation del sistema immunitario indotta dal volo spaziale e sugli effetti dell’ipergravità sul tessuto emopoietico e sui meccanismi che guidano induzione e determinazione neurali. Studi condotti in condizioni normali sulla terra hanno riguardato il ricupero della locomozione in P. waltl dopo resezione totale del midollo spinale, la rigenerazione del nervo ottico danneggiato, degli arti e della coda parzialmente amputati. Ma le ricerche nelle quali P. waltl ha svolto un ruolo chiave hanno riguardato i meccanismi di rigenerazione della retina: a differenza di altri vertebrati, questo urodelo mantiene, durante tutta la vita, la potenzialità di rigenerare le strutture oculari danneggiate. Ricercatori russi hanno focalizzato le loro ricerche sulle cellule che contribuiscono alla rigenerazione della retina, sui fattori che controllano il processo rigenerativo e sui geni espressi nel corso di tale processo. Domenico Barone Anno IX numero 49 Pagina 20 Le norme del Regolamento UE n. 536/2014 per il rispetto dei requisiti di qualità nelle sperimentazioni cliniche dei medicinali (I Parte) INTRODUZIONE Il presente articolo prosegue il lavoro di approfondimento di alcuni aspetti del Regolamento UE (R) sulle sperimentazioni dei medicinali (Clinical Trials - CT), iniziato nei precedenti numeri di SSFAoggi, analizzando ora le norme per il rispetto dei requisiti di Qualità (Q) . Tale analisi è ovviamente complementare e con dei richiami a quanto compiuto nel precedente articolo sul R e le GCP (1) essendo la Q tematica insita nelle GCP . ENUNCIAZIONI E PRINCIPI GENERALI Nel R, come già ampiamente analizzato nel precedente articolo (1), vi sono delle enunciazioni di carattere generale sugli obblighi di osservare le GCP e quindi di ottemperare alle relative procedure e requisiti di Q; tuttavia queste enunciazioni hanno una serie di distinguo, limitazioni, ambiguità che ne indeboliscono la portata rispetto alle Direttive 2001/20 e 2005/28 (d’ora in poi Direttive) (1). A bilanciare quanto sopra il R riporta altri elementi di carattere generale che sanciscono l’obbligo di seguire rigorose procedure di Q nella esecuzione delle sperimentazioni. Infatti l’Articolo 3 enuncia il seguente Principio generale : “Una sperimentazione clinica può essere condotta esclusivamente se (.......) è progettata per generare dati affidabili e robusti”. In maniera complementare l’ Art. 6 ( Relazione di valutazione : Aspetti compresi nella parte I) , recita : “1.Lo Stato membro relatore valuta la domanda di autorizzazione con riferimento ai seguenti aspetti: (..................) l'affidabilità e la robustezza dei dati ottenuti dalla sperimentazione clinica.” E’ opportuno rimarcare che per la prima volta nella normativa comunitaria cogente si esplicita in maniera specifica che il CT possa essere condotto solo se già nella progettazione siano presenti impostazioni atte a garantire la Q della sua esecuzione e quindi a generare dati affidabili. Ovviamente tale concetto nelle direttive attuali è compreso nell’obbligo di seguire le GCP, ma il fatto che il R estrapoli questo speci- fico aspetto dai principi delle GCP, e lo connoti esplicitamente come un principio generale del R stesso, richiama l’attenzione rispettivamente dei promotori e dei valutatori a presentare ed approvare solo sperimentazioni conformi ab initio a quanto sopra. Inoltre Il R nel differenziare la “affidabilità” dalla “robustezza” dei dati attribuisce , rispetto alle norme vigenti, ove non è mai utilizzato quest’ultimo termine, maggior enfasi agli aspetti procedurali di qualità nella esecuzione dei CT, che determinano appunto la “affidabilità” o credibilità dei dati; aspetto diverso dalla “robustezza”, da intendersi invece come termine che connota i risultati sperimentali di sicura validità scientifica, metodologica e statistica. Un’ulteriore conferma che il R abbia voluto elevare l’obbligo di garantire la Q nei CT a principio di carattere generale del R stesso, si evidenzia anche nell’ allegato 1 (Predisposizione del Fascicolo di Domanda Iniziale Parte “A”) , nel paragrafo intitolato appunto “Introduzione e Principi Generali” ove si prevede che la firma del promotore sulla domanda confermi che le informazioni fornite siano complete; che i documenti rappresentino un resoconto preciso delle informazioni disponibili e che il CT verrà condotto conformemente al protocollo e al R stesso. SPECIFICHE PRESCRIZIONI Al contrario delle direttive, numerosissime ed analitiche sono le prescrizioni di carattere specifico contenute nelle diverse parti del R per ottenere la conformità a requisiti di qualità. Per motivi redazionali l’analisi di tali prescrizioni sarà pubblicata in due parti, escludendo quanto il R ha ripreso dalle direttive vigenti, e in questo numero saranno sinteticamente valutati i seguenti aspetti relativi alla qualità: a) la documentazione di carattere generale a fini autorizzativi (esclusi i dettagli GMP); b) il protocollo e il monitoraggio . Qualità in tema di documentazione generale, di fascicolo di domanda di autorizzazione e di relative valutazioni Nel richiamato Articolo 6 (Relazione di valutazione: Aspetti compresi nella parte I ) si prevede, oltre a quanto già esposto, la valutazione a fini autorizzativi di numerosi aspetti nel campo della qualità che le attuali direttive hanno rinviato a successive indicazioni/ linee guida della Commissione UE e che, in quanto tali, non possono rivestire obblighi equivalenti a quelli delle direttive stesse se gli Stati membri (MS) non li prevedono con proprio atto normativo. In tale ambito le garanzie richieste dal R tramite l’obbligo per il MS relatore di valutare gli aspetti di Q delle informazioni contenute nel fascicolo di domanda di autorizzazione ( art. 6, comma 1) non si limitano alle informazioni relative al nuovo CT da autorizzare, ma si estende anche ai dati e risultati di precedenti indagini che vengono presentati a supporto della nuova richiesta (art. 25 , Dati presentati nel fascicolo di domanda ) . A questo riguardo il richiamato Articolo 25 richiede che le informazioni non cliniche presentate si basino su dati ottenuti in conformità ai principi di GLP ( comma 3) e, se si fa riferimento a dati ottenuti in una sperimentazione clinica, essa deve essere stata condotta in conformità al R oppure, se prima della sua applicazione, in conformità alla Direttiva 2001/20( comma 4), cioè ai principi GCP. Inoltre la prescrizione di basare le valutazione su dati di supporto ottenuti secondo principi di Q, si estende anche ai CT di riferimento condotti al di fuori dell' UE, che debbono essere in conformità a principi equivalenti a quelli stabiliti dal R stesso, tra i quali quelli in materia di affidabilità dei dati (art. 25, comma 5) A rafforzamento dell’importanza di seguire tali aspetti di Q, il R prevede ( art 25, comma 7 ) che i dati presentati in un fascicolo di domanda non conformi a quanto sopra esposto, non siano presi in considerazione nella valutazione di una domanda di autorizzazione per un CT. Anche tale aspetto non è presente nelle attuali direttive sui CT. Nell’ allegato relativo al fascicolo di domanda ( all. 1 , lettera D) troviamo una completezza di misure che (Continua a pagina 21) Anno IX numero 49 (Continua da pagina 20) riprendono praticamente tutto ciò che in materia di qualità è previsto per il protocollo dalle GCP e dalle “Indicazioni Dettagliate” emanate della Commissione UE ai sensi della Direttiva 2001/20, ma che qui hanno un valore di cogenza ben superiore, prevedendo anche, rispetto ai suddetti documenti normativi, ulteriori requisiti e la descrizione delle relative procedure , ad es. nel campo della tutela dei dati personali [punto 17) s), ak), al)] o sullo Statuto/Carta del Comitato di monitoraggio dei dati e della sicurezza ( all. 1 punto 23). Elementi del protocollo e del monitoraggio ai fini della qualità nella conduzione della sperimentazione. Le indicazioni di maggior dettaglio per il rispetto della qualità nella conduzione dei CT sono contenute nelle diverse parti del R relative al protocollo. Come ricordato nella precedente analisi (1 ), l’art. 47 dedicato alla “Conformità al protocollo e alla buona pratica clinica “ prevede che: “Il promotore e lo sperimentatore garantiscono che il CT sia condotto in conformità al protocollo e ai principi GCP e, fatte salve altre disposizioni UE , debbono tenere conto degli standard di qualità e delle linee guida ICH di buona pratica clinica.” Nel rinviare a quanto precedentemente pubblicato (1) per un approfondimento sulle limitazioni di tale espressione, si vuole qui richiamare l’attenzione sul fatto che“ gli standard di qualità” sono citati esplicitamente pur essendo parte delle GCP ICH, come per dare una specifica enfasi agli aspetti di qualità delle GCP, rispetto agli altri contenuti delle linee guida ICH. Un aspetto particolare non trattato nella Direttiva 2001/20, e solamente citato nella Direttiva 2005/28 nei principi GCP dell’UE ( art.4 ), è quello relativo al monitoraggio. Al riguardo l’Articolo 48 del R recita: “Al fine di verificare che i diritti, la sicurezza e il benessere dei soggetti siano protetti, che i dati comunicati siano affidabili e robusti e che la sperimentazione clinica sia condotta nel rispetto delle disposizioni del presente regolamento, il promotore monitora adeguatamente la conduzione di una sperimentazione clinica. L'entità e la natura del monitoraggio sono determinate dal promotore sulla base di una valuta- Pagina 21 zione che tenga conto di tutte le caratteristiche della sperimentazione clinica, comprese le seguenti: a) il fatto che si tratti o no di una sperimentazione clinica a basso livello di intervento; b) l'obiettivo e la metodologia della sperimentazione clinica; e c) il grado di scostamento dell'intervento dalla normale pratica clinica.” Da quanto sopra derivano tre considerazioni. La prima è che il monitoraggio diviene un obbligo in ambito UE per tutte le tipologie di CT, siano esse a fini commerciali o non commerciali , mentre la Direttiva 2005/28, pur prevedendolo all’art.4 , ne consente ai MS la deroga per i CT no profit con il “considerando n.11” (2). La seconda considerazione è che l’art. 48 del R nel sottolineare l’obbligo del monitoraggio ne mutua dalle GCP ICH quasi completamente sia le finalità (GCP par. 5.18.1 ) sia il concetto di adattamento alle caratteristiche del CT ( GCP par. 5.18.3) e di risk based monitoring. La terza considerazione è che il R , attribuendo implicitamente e quasi in maniera automatica un monitoraggio meno rigoroso alle sperimentazioni “ a basso livello di intervento” (3) ( forse perché si tratta di CT prevalentemente no profit?) ritenute meno rischiose per la salute dei pazienti, sembrerebbe minimizzare la finalità del monitoraggio di garantire l’affidabilità dei risultati in questa tipologia di CT. Infatti se questi CT, con IMP dotato di AIC e fondamentalmente di Fase IV, possono in alcuni casi presentare rischi contenuti per i pazienti, (tuttavia non in casi di patologie gravi e di IMP con AIC che comportino reazioni avverse serie ), è anche vero che possono comunque rivestire una complessità di progettazione, procedurale, di protocollo, tale da presentare rischi per la qualità e da richiedere un monitoraggio di livello non inferiore rispetto alle altre. Un aspetto innovativo per garantire la qualità dei CT è la disposizione relativa alla comunicazione di “gravi violazioni (Art. 52, comma 1)” del R o del protocollo da parte del promotore, che ha l’obbligo di notificarle ( entro 7 giorni) agli Stati membri interessati. Il R specifica ( Art. 52,comma 2) che per «grave violazione» si intende “una violazione suscettibile di ripercuotersi in misura significativa sulla sicurezza e sui diritti di un soggetto o sull'affi- dabilità e sulla robustezza dei dati ottenuti dalla sperimentazione clinica”. Sicuramente tale previsione normativa richiede ulteriori chiarimenti da parte UE, sia per le modalità di comunicazione che per una migliore comprensione delle tipologie di violazioni, ma si tratta di un elemento che determinerà una maggiore attenzione e l’adozione di tempestive misure correttive da parte di quanti intervengono nei diversi aspetti dei CT, in particolare per quanto riguarda la conformità al protocollo ed alle procedure di qualità previste per la sua esecuzione. PRIME CONCLUSIONI Limitatamente a quanto esposto in questa prima parte dell’analisi sulle misure del R connesse con la Q, e fatte salve le problematiche relative alle GCP esposte nel precedente articolo (1), si ritiene che siano presenti nel R obblighi procedurali ai fini della qualità nella conduzione dei CT superiori rispetto alle direttive vigenti. (Fine Prima Parte) Umberto Filibeck Il presente testo è stato predisposto sulla base degli approfondimenti e del lavoro compiuto in ambito SSFA dal gruppo di lavoro “GIQAR - GCP Regolamento UE”, composto dalle dott.sse Carla Bruzzese, Marina Filippone, Carla Turriziani e dall’autore dell’articolo. NOTE 1) U.Filibeck e C. Turriziani “Conformità alla GCP nel Regolamento UE n. 536/2014 sulla Sperimentazione clinica dei medicinali per uso umano che abroga la direttiva 2001/20/ CE: maggiori o minori obblighi rispetto alle norme attuali? “SSFA oggi”: n.48, aprile 2015: pp.10-12. 2) Dal Considerando n.11 della Direttiva 2005/28 “ (....) Le condizioni e i luoghi in cui la ricerca non commerciale è condotta dai ricercatori pubblici fanno sì che l’applicazione di talune norme particolari di buona pratica clinica sia inutile o garantita da altri mezzi. 3) Art. 2, comma 3, del Regolamento 536/2014 Definizioni: «sperimentazione clinica a basso livello di intervento»: una sperimentazione clinica che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) i medicinali sperimentali, ad esclusione dei placebo, sono autorizzati; b) in base al protocollo della sperimentazione clinica, i) i medicinali sperimentali sono utilizzati in conformità alle condizioni dell'autorizzazione all'immissione in commercio; o ii) l'impiego di medicinali sperimentali è basato su elementi di evidenza scientifica e supportato da pubblicazioni scientifiche sulla sicurezza e l'efficacia di tali medicinali sperimentali in uno qualsiasi degli Stati membri interessati; e c) le procedure diagnostiche o di monitoraggio aggiuntive pongono solo rischi o oneri aggiuntivi minimi per la sicurezza dei soggetti rispetto alla normale pratica clinica in qualsiasi Stato membro interessato”. Anno IX numero 49 Pagina 22 I cambiamenti climatici rappresentano una grande preoccupazione per il futuro del genere umano: ecco due incisivi editoriali che ribadiscono quanto importante sia per tutti avere a cuore questo tema. Climate change WHO should now declare a public health emergency The British Medical Journal When The BMJ started publishing articles on climate change, some readers told us to stick to our knitting. “What did this have to do with medicine?” they asked. And wasn’t climate change a myth, a result of natural climatic variation, nothing to do with human activity? There were surely more immediate challenges that The BMJ and its readers should be focusing on. We listened politely but carried on, convinced of the threat to human health and survival. With others we set up the Climate and Health Council (climateandhealth.org). We published editorials and articles (thebmj.com/content/climate-change), co-hosted conferences and seminars, lobbied funders, talked to policy makers and politicians, and worked with the BMA, the royal colleges, and their equivalents in other countries, all the time worrying that this was not enough. Our hope was to encourage doctors and other health professionals to take a lead in tackling climate change. Now we have gone a step further, with the publication of an article that contains no medicine or healthcare at all. “The science of anthropogenic climate change: what every doctor should know” is pure climate science.1 Why? Because if we doctors are to become effective advocates against climate change, a better understanding of the science will help us. As most readers will know, the news is not good. With a high degree of certainty the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) has concluded in its fifth report that the world is getting hotter and that human activity is mainly to blame. Global average temperatures have risen by about 0.5°C in the past 50 years and by 0.8°C from pre-industrial times. The effect of these higher temperatures on weather systems is already being felt. The IPCC reports that it is highly likely that global warming is causing climate change, characterised by more frequent and intense temperature extremes, heavier rainfall events, and other extreme weather events. Sea levels are rising as a result of the thermal expansion of the oceans and the melting of polar icecaps and glaciers. The headlines should come as no surprise, but the detail may prove instructive. Higher seas mean more frequent and extreme tidal surges, coastal flooding, and the salination of vital fresh water supplies. Warmer air carries more moisture, leading to more extreme rainfall events. But warmer air also reduces the amount of moisture in the soil, contributing to soil erosion and flash flooding. As for the main underlying cause, the IPCC is clear: it is the accumulation of anthropogenic carbon dioxide in the atmosphere. Other gases and aerosols are also to blame, especially methane and nitrous oxide, and particulate black carbon. But carbon dioxide is long lived. Once released into the atmosphere it stays around for centuries. Deforestation makes this worse. Best and worst cases What of the future? The IPCC has modelled four scenarios varying with the extent and nature of future emissions. The best case (the so called RCP (representative concentration pathway) 2.6) sees a radical cut in greenhouse gas emissions, starting almost immediately. Even then global warming would continue, leading to average temperatures of almost 2°C above pre-industrial levels. The worst case (RCP 8.5) is “business as usual” with unabated emissions, which would lead to a further rise by 2100 of 3.7°C above the average at the beginning of this century and more than 4°C higher than pre-industrial levels. As our Analysis authors explain, regional variations mean that in some parts of the northern continents temperatures would increase by more than 10°C. Writing last week in the Lancet,2 Andy Haines and colleagues emphasised that such huge temperature rises, and the consequent severe climate instability, would take us into what is being called the “afterlife” threshold, “where the impact on humanity is so great as to be a discontinuity in the long-term progression of humanity.” In other words, the effects would be catastrophic. The diagnosis If climate change is a symptom of a planet in distress, what is the disease? Speaking last month in Geneva, Christiana Figueres, executive secretary of the United Nations Framework Convention on Climate Change, was uncompromising. The disease is “our unbridled dependency on fossil fuels,” which shows no sign of abating. Despite the rhetoric from the world’s major polluters at last week’s United Nations meeting on climate change in New York,3 rates of carbon emission are accelerating. Our Analysis article explains that the amount of carbon we can still afford to emit if we are to stay below 2°C of warming compared with pre-industrial levels (our “carbon budget”) will be exceeded in the next 25-30 years. Calls for organisations to disinvest from fossil fuels and reinvest in renewable energy are gaining momentum. The president of the World Bank, Jim Yong Kim, himself a doctor, propelled this idea into the mainstream by suggesting in a speech at the World Economic Forum that carbon emissions could be tackled through divestment and taxation.4 Groups such as the Global Climate and Health Alliance (www.climateandhealthalliance.org) have been quick to take up the call. Archbishop Desmond Tutu has called divestment a moral imperative.5 The BMA agreed to divest at its annual meeting in June, and major universities and funding bodies have also signed up, the Rockefeller family and the World Council of Churches being among the most recent.6 Figueres was speaking at the first WHO conference on health and climate, where health ministers joined delegates from intergovernmental and non-governmental organisations in an extraordinary show of consensus. All agreed with WHO director general Margaret Chan’s assessment that climate change is the greatest threat to public health and the defining issue of the 21st century. The conference gave a clear warning: that without adequate mitigation and adaptation, climate change poses unacceptable risks to public health worldwide.7 Anno IX numero 49 Pagina 23 Health benefits of acting on climate change In this unequal battle with big business and political inertia we have a crucial card to play: the knowledge that much of what we need to do to tackle climate change will bring substantial benefits to health. Burning fossil fuels causes about seven million premature deaths from indoor and outdoor air pollution. Smog in Beijing and other major cities is alerting the public and waking up our politicians in ways that the more invisible threat from carbon dioxide emissions has failed to do. Healthcare is itself a major emitter of greenhouse gases and has a responsibility to get its own house in order, to avoid the paradox of doing harm while seeking to do good.8 Also in our hand is the substantial health dividend of more active and sustainable low carbon lifestyles: lower rates of obesity, heart disease, diabetes, and cancer.9 WHO has shown important leadership on climate change but has stopped short of declaring a global public health emergency. This may be understandable with Ebola raging. But it is what WHO should now do. Deaths from Ebola infection, tragic and frightening though they are, will pale into insignificance when compared with the mayhem we can expect for our children and grandchildren if the world does nothing to check its carbon emissions. And action is needed now. References 1 - McCoy D, Hoskins B. The science of anthropogenic climate change: what every doctor should know.BMJ2014;349:g5178. 2 - Haines A, Ebi KL, Smith KR, Woodward A. Health risks of climate change: act now or pay later. Lancet2014;384:1073-5. 3 - Roehr B. China tells UN climate change talks it should still be treated as developing nation. BMJ2014;349:g5925. 4 - World Bank. World Bank group president Jim Yong Kim remarks at Davos press conference. 23 Jan 2014.www.worldbank.org/en/news/ speech/2014/01/23/world-bank-group-president-jim-yong-kim-remarks-at-davos-press-conference. 5 - YouTube. Archbishop Tutu calls for end of fossil fuel era. 18 Sep 2014. https://www.youtube.com/watch?v=6w78dtRzeyQ. 6 - Goldenberg S. Heirs to Rockefeller oil fortune divest from fossil fuels over climate change. Guardian 22 Sep 2014.www.theguardian.com/ environment/2014/sep/22/rockefeller-heirs-divest-fossil-fuels-climate-change. 7 - Climate Summit 2014. www.un.org/climatechange/summit/2014/08/quick-action-climate-change-save-millions-lives-world-health-organization. 8 - NHS Sustainable Development Unit. www.sduhealth.org.uk. 9 - Climate change. Lancet. www.thelancet.com/series/health-and-climate-change. Climate change and health—action please, not words The Lancet Last year, the UN Secretary General Ban Ki-moon expressed concern that the world's commitment to mitigate climate change was insufficient. Indeed, it was a stark reminder of the likely adverse effects on human health should fossil fuel consumption and high population growth continue at their present levels. The call for the health community is to take a longer term view, where actions that target climate change and health today will reduce the global burden of ill-health in the future. So urgent is the need for effective and immediate action that on Sept 23, during the UN General Assembly, Ban Ki-moon convened a climate summit to revitalise support from government, business, finance, and civil society leaders. In addition to the hope for new funding and ideas to curb climate change, the summit will focus on health and opportunities for employment in “green” jobs. In advance of this meeting, there has been both negative and positive activity around the issues of climate change. On the negative side, the World Meteorological Organisation has reported a surge in CO2 in the atmosphere, which reached a new record high of 396 ppm in 2013. Furthermore, according to the 2014 Low Carbon Economy Index, for the sixth year running the global economy has missed the decarbonisation target needed to limit global warming to 2°C. If this current trajectory continues, the carbon budget for the entire century would be depleted within the next 20 years, with grave consequences for the environment and human health. On the positive side, the index reported emerging economies waking up to green growth and decarbonising faster than developed world economies. Indeed, the World Bank Group boasts their climate lending grew to more than US$11 billion during fiscal year 2014, with key areas being renewable energy, transport, and agriculture.Last month, WHO held its first conference on health and climate which finally recognised the need to strengthen resilience to climate change and the opportunity to make gains in public health through well-planned mitigation measures. Last week, the Global Commission on the Economy and Climate published their report, Better Growth, Better Climate, which explores the relation between economic growth and positive climate action. The report showed the cost of mortality from outdoor air pollution in the top 15 greenhouse gas (GHG)emitting countries was on average 4% of GDP. In China, that rises to more than 10% of GDP, making an even stronger case for countries to pursue low-carbon energy sources that will improve public health.These reports and events are all welcome and help to maintain the momentum around the issues of climate change, but what is needed now is global collective action. The key event in the climate change calendar is COP15, the UN Framework Convention on Climate Change's Conference (UNFCCC) of the Parties to be held in Paris, France, in December, 2015. 196 countries will meet to sign a new climate change treaty that will come into force from 2020. Countries must put forward their national commitments to cut emissions as part of this treaty by March, 2015. Parallel to this important process are the Sustainable Development Goals (SDGs) beginning in 2016. Taking urgent action to combat climate change and its impacts is currently goal 13. It is crucial for the SDG and COP15 processes to work closely together and find a point of agreement to ensure meaningful action. With countries already falling short of their commitments to combat climate change, there are further signs of concern. First, Australia became the first country to repeal a carbon tax this year. Second, despite the fact that countries domestically are taking climate change more seriously (such as the largest GHG-emitters, China and the USA), there is no high-level political leadership on this issue. Third, undeterred by more scientific certainty, climate change sceptics are still able to sow their messages of dissent very successfully. Finally, there is still no sign of multilateral commitment to act. In 2009, a Commission report published by The Lancet in collaboration with University College London (UCL) stated that “climate change is the biggest global health threat of the 21st century”. 5 years later, we still believe this conclusion to be true. In 2015, we will be publishing the second UCL—Lancet Commission on climate change and health and also the first Commission on Planetary Health, which will examine the health and sustainability of human civilisations in the face of multiple environmental threats. Together, we hope these reports will help to build confidence among decision makers to act— and act urgently. Anno IX numero 49 Pagina 24 The General Medical Council and doctors’ financial interests The BMJ 2015;350:h474 Doctors are not supposed to allow personal financial gain to influence or appear to influence their clinical decisions. And in the UK, the public relies on the General Medical Council to pursue claims that doctors may have behaved unethically. But an investigation by The BMJ has found that the GMC failed to act when a leading insurance firm presented it with evidence of widespread payment of “incentives” to doctors in return for referrals to private hospital groups. These inducements were not disclosed to patients and seem to contravene GMC guidance. Some London based doctors benefited by tens, sometimes hundreds, of thousands of pounds. The Competition and Markets Authority closed loopholes in the law last year, but the GMC has still not responded formally to the evidence presented to it in 2012. A senior doctor who works for the insurance firm and brought the evidence to The BMJ said, “It’s a sad day for the medical profession when a competition regulator has had to issue an order … because our own regulator [the GMC] has failed to do so.” The GMC says that it didn’t receive a formal complaint against individual doctors and so could not investigate further. Its Good Medical Practice does set standards on financial arrangements and conflicts of interest. But The BMJ investigation shows an unwillingness to act on possible breaches of these standards. The GMC could have requested names and information from the Competition Commission, performed its own investigations, and issued guidance to remind doctors of the rules relating to financial inducements. However, the GMC failed to intervene. Its 2014 publication on the state of medical education and practice in the UK emphasises conflicts of interest for general practitioners and clinical commissioning groups (CCGs) introduced by new commissioning models and incentive schemes such as the quality and outcomes framework. But it provides no guidance on private sector inducements like those exposed by this investigation. This lack of clarity may diminish the GMC’s ability to prove impropriety beyond reasonable doubt. It is our impression that most UK doctors aspire to the highest ethical standards, as recently shown by the widespread questioning and concern over GP dementia diagnosis payments. Yet the second highest number of GMC investigations relate to doctors acting dishonestly and unfairly, including on conflicts of interest and financial arrangements. This category of complaint was also in the top four of those that led to a sanction by the GMC. We don’t know how many of these investigations and sanctions were specifically related to accepting inducements. If nothing else, the potential threat to patients should force the GMC to take action. In the US, six doctors are being prosecuted for taking kickbacks at the Sacred Heart Hospital in Chicago, including for referring patients who didn’t need medical admission. One allegation is that lucrative tracheotomies were performed unnecessarily, often on elderly people, leading to avoidable deaths. The effects of the inducements in the UK are unknown, but there is a clear risk to patients of inappropriate referrals for tests and treatments. To effectively regulate doctors’ financial interests, the GMC must first know what these are. Statutory requirements exist for CCGs to provide public registers for doctors to declare conflicts of interest but compliance with this legislation may be poor. The current GMC guidance asks that doctors declare their financial interests to their patients and in their medical notes when appropriate, but it leaves the onus on doctors to decide what and where, creating a grey area that is open to exploitation. There is no specific requirement to declare financial interests to a doctor’s employing organisation, the wider profession, or to the public. The GMC itself does not currently ask to be informed about financial interests. Perhaps the only viable way of achieving such transparency is by a public register of payments and other benefits given to doctors. A new code of practice from the UK’s Association of the British Pharmaceutical Industry obliges drug companies to publish, by June 2016, details of all payments to individual doctors. Initiatives led by medical professionals are also starting to emerge. The independent website whopaysthisdoctor.org was set up by a group of UK doctors, and the Association of American Medical Colleges in the US has launched an online system for voluntary disclosure of financial interests. An important limitation of both the ABPI database and these doctor led websites is that none is compulsory. By contrast, compulsory databases for doctors’ financial ties to drug companies have been introduced by legislation in the United States (the Sunshine Act) and by professional self regulation in the Netherlands. The US and Dutch databases are moving towards publishing payments by medical device companies and private healthcare firms, but neither system comprehensively covers non-pharmaceutical industries, and instances of financial involvement may be missed. The pressure on doctors is already high, as shown by recent reports of high suicide rates among doctors who are under GMC investigation. But this should not deter tighter regulation of financial ties. The GMC’s belief that its role is limited to offering guidance on conflicts of interests is unsatisfactory. Its promise to review whether more can be done to help doctors manage potentially conflicting financial ties is vague and insufficient. We propose that all UK doctors’ financial interests should be included in a publicly available and searchable central register, updated as part of annual appraisal. Debate is needed about how this would be set up and who would maintain and enforce it. For example, should it follow the US model of national legislation, the Dutch model of professional mandate, or fall under the authority of an independent regulator? Whichever system is introduced, the GMC must uphold its guidance about financial inducements. A register would make it easier to regulate unethical practice but its absence should not be an excuse for inaction. Unless the GMC is serious about regulating doctors’ financial conflicts of interest, insidious inducement schemes will continue to reward private hospitals groups and some doctors at the expense of patients, the very people that the GMC is obliged to protect. Anno IX numero 49 Pagina 25 Medical corruption in the UK The BMJ 2015;350:h506 Last year The BMJ launched an international campaign against corruption in healthcare. A single article was the spark: a personal view about the endemic culture of kickbacks to doctors in India (doi:10.1136/bmj.g3169). The campaign received widespread support from Indian doctors and the media, and it seems to have led to some positive change, if not yet enough. In an unprecedented move India’s then health minister acknowledged that corruption was a big problem. The government set up a special committee and has banned gifts to doctors and conference sponsorship by drug companies. The Indian Medical Association is working on a new code of medical ethics for private hospitals. And the Medical Council of India, which regulates India’s doctors, has committed itself to act against any doctors reported to have received kickbacks. A linked editorial made it clear that India was not alone in having a deeply embedded culture in medicine of tolerance to and even promotion of corruption (doi:10.1136/bmj.g3169). If anyone doubted this, recent news from the United States suggested that healthcare corruption was equally endemic there. On top of evidence that the US loses billions of dollars each year to medical embezzlement (http://econ.st/1BuAiFW), high profile cases are now making clear the mechanisms and the human cost. Six doctors in Chicago are currently being prosecuted for allegedly taking kickbacks. Their alleged crimes includes referring patients to hospital who didn’t need admission and performing unnecessary but lucrative tracheotomies, leading to avoidable deaths (doi:10.1136/bmj.h22). Nor, sadly, is the United Kingdom immune. A BMJ investigation published this week reports clear evidence of UK doctors receiving covert financial inducements to refer patients to private hospital groups. Some London based doctors have benefited by tens, sometimes hundreds, of thousands of pounds (doi:10.1136/ bmj.h396). No doubt the beneficiaries will include some of the pillars of Britain’s medical establishment. Also no doubt most of those involved will believe that they themselves cannot be bought. But even if that were true, it is the perception of conflicts of interest that matters, as well as the reality. How many doctors enjoying free use of consulting rooms will have explained to a patient: “I am referring you to this hospital (or moving you to this other hospital) because I have a contract with them that rewards me for doing so”? Some of the beneficiaries might argue that the UK’s General Medical Council has no specific guidance on private sector inducements, and they would be right. The GMC’s failure to provide such guidance, and its apparent reluctance to act on information about kickbacks that was presented to it in 2012, are the focus of a linked editorial (doi:10.1136/bmj.h474). But even without clear guidance or action from the GMC, it seems obvious that referral for any reason other than because the patient’s best interests require it contravenes professional ethics. Gornall reports that some doctors were offered inducements but declined for this reason. And one notable private hospital group keeps well away from inducements, preferring to compete on the quality of the service it provides. The profession must take the lead to protect patients and maintain public trust. The GMC should act, and a public register of UK doctors’ financial interests is long overdue. Vi aiutiamo nella Gestione della Qualità, con attenzione alla vostra «spending review» 9 9 9 9 9 Sistemi di Qualità GxP Attività di Auditing Gestione e controllo del “sistema SOP” aziendale Convalida Sistemi Computerizzati Formazione Al.Terr. consulting S.r.l. Via Galati Mamertino 61 – 00132 Roma Tel.: +39 0620608109 Mobile: +39 3384830388 e-mail: [email protected] Anno IX numero 49 Pagina 26 Informazioni di maggiore dettaglio su questo numero speciale sono desumibili dal sito http:// www.sciencedirect.com/science/ journal/07317085/106 VOLUME 106 15 MARCH 2015 È stato recentemente pubblicato, con il patrocinio di SSFA, un numero speciale del Journal of Pharmaceutical and Biomedical Analysis (Vol. 106, 2015, v + 224 p., Elsevier) intitolato Pharmaceuticals in Environmental Media, Food Commodities and Workplaces: Analytical Approaches. Questo numero speciale, di cui sono editori Sergio Caroli e Paola Bottoni, raccoglie ventisei contributi forniti dai maggiori specialisti in questo settore provenienti da dieci paesi (Argentina, Austria, Italia, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Svizzera, Ungheria e Stati Uniti). Articolato in sei sezioni, rispettivamente General, Degradation, Water, Food, Biological Fluids e Workplaces, l’opera fornisce un quadro d’assieme delle conoscenze attuali circa la presenza indebita di residui e metaboliti di farmaci in matrici ambientali e alimentari, nonché nei luoghi di lavoro, unitamente alla descrizione dei metodi di indagine più innovativi per la loro rilevazione, identificazione e quantificazione. ISSN 0731-7085 Numero speciale del Journal of Pharmaceutical and Biomedical Analysis Journal of Pharmaceutical and Biomedical Analysis Special Issue SOCIETÀ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES FONDATA NEL 1964 Analytical Approaches Guest Editors Sergio Caroli and Paola Bottoni EDITORS B. Chankvetadze S. Görög J. Haginaka R. Moaddel S. Pinzauti A Sponsored Journal of the American Association of Pharmaceutical Scientists Available online at www.sciencedirect.com ScienceDirect EMA: obbligatoria la pubblicazione dei risultati degli studi clinici Dal 21 luglio 2014 chi finanzia uno studio o una sperimentazione clinica sarà obbligato a pubblicare i risultati sulla banca dati europea degli studi clinici EudraCT, gestita dall'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA). Questa data corrisponde al completamento della programmazione della banca dati, come spiegano le linee guida della Commissione Europea, in applicazione alla Direttiva del 2001/20/EC sulle sperimentazioni cliniche ed al Regolamento Pediatrico. In questo contesto, dal momento che le informazioni relative ai risultati degli studi saranno immesse nel sito European Union Clinical Trials Register (il sito web che contiene le informazioni pubbliche sulle sperimentazioni cliniche interventistiche sui farmaci) pubblicamente accessibile, la sintesi dei risultati degli studi sarà disponibile a tutti non appena i finanziatori inizieranno ad adempiere ai propri obblighi di legge. Che cosa comporta per i ”finanziatori” delle sperimentazioni cliniche? I finanziatori saranno obbligati a pubblicare i risultati degli studi in EudraCT per tutte le sperimentazioni interventistiche registrate in EudraCT che si sono concluse entro un certo periodo di tempo: • Per tutte le sperimentazioni cliniche interventistiche che si sono concluse entro o dopo il 21 luglio 2014, i finanziatori dovranno pubblicare i risultati entro sei o dodici mesi (a seconda del tipo di trial clinico) successivi alla fine della sperimentazione; • Per gli studi che si sono conclusi prima di tale data, i finanziatori dovranno presentare i risultati successivamente, secondo il calendario specifico previsto dalle linee guida della Commissione europea sull’inserimento e sulla pubblicazione delle informazioni relative ai risultati delle sperimentazioni cliniche. Che cosa comporta per l'accesso pubblico ai risultati delle sperimentazioni cliniche? Un sottoinsieme dei dati inclusi in EudraCT è reso disponibile al pubblico nel sito European Union Clinical Trials Register. Il contenuto e il livello di dettaglio della sintesi dei risultati disponibile sono descritti all’interno delle linee guida della Commissione Europea. Attraverso questa banca dati sarà possibile ottenere informazioni sugli obiettivi dello studio, su come è stato progettato, sui suoi principali risultati e sulle conclusioni. Si tratta di un miglioramento che consentirà un approccio più vasto e più ricco alla ricerca ed un maggiore accesso pubblico alle informazioni correlate alle sperimentazioni cliniche. Anno IX numero 49 Pagina 27 SINDROME DA INTOLLERANZA MULTIPLA AI FARMACI: UNO STUDIO RETROSPETTIVO MULTIPLE DRUG INTOLERANCE SYNDROME: A LARGESCALE RETROSPECTIVE STUDY Hisham MRB.O, Hodson J, Thomas SK Drug Safety 2014; 37: 1037-1045 Questo è il primo studio inglese su larga scala relativo agli effetti della demografia, della storia medica e dell’uso dei farmaci sul tasso di sindrome da intolleranza multipla ai farmaci. RIASSUNTO CONTESTO Il termine “sindrome da intolleranza multipla al farmaco” (multiple drugintolerance syndrome, MDIS) è stato introdotto per descrivere quei pazienti che presentano da tre a più reazioni avverse a un farmaco senza un meccanismo immunologico noto. OBIETTIVO Identificare i fattori legati al paziente che possono aumentare il rischio di MDIS. METODI Sono stati selezionati i record di pazienti ricoverati in un periodo di 5 anni all’interno di un sistema elettronico di prescrizioni per identificare i soggetti con almeno una allergia da farmaco documentata. Sono state poi utilizzate analisi uni- e multivariate per confrontare le percentuali di MDIS tra diverse età, sesso, peso, etnia, storia di disordini psicologici o “atopia” e precedenti ricoveri. RISULTATI 25.695 pazienti hanno avuto una intolleranza da farmaco documentata, il 4,9% dei quali aveva MDIS. MDIS era significativamente più probabile nelle donne (p<0,001), in pazienti con comorbidità multiple (p <0,001) e in pazienti con ricoveri ospedalieri precedenti (p <0,001). A eccezione di penicillina (p=0,749), MDIS era più frequente nei soggetti allergici ad altri farmaci (p <0,001). CONCLUSIONI L’insorgenza di MDIS è stata associata con sesso femminile, comorbidità multiple, e precedenti ricoveri ospedalieri. Un'allergia documentata a penicillina non ha aumentato il rischio di MDIS. A cura di Raimondo Russo INTERAZIONI ERBE-FARMACI: UN RISCHIO SOTTOSTIMATO Saullo Francesca (a), De Fina Mariarosanna (b) (a) Centro Regionale di Documentazione e Informazione sul Farmaco, Azienda Ospedaliera Policlinico Universitario Mater Domini, Catanzaro (b) Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera, Università degli Studi Magna Graecia, Catanzaro Introduzione. L’utilizzo dei prodotti vegetali come medicine alternative e/o complementari si è enormemente diffuso negli ultimi anni, e con esso la convinzione che tutto ciò che appartiene al mondo della natura possa essere privo di rischi per la salute. Al contrario, analogamente a quanto succede quando si associano farmaci diversi, anche l’associazione fitoterapico-farmaco, può dar luogo ad interazioni, sia di tipo farmacocinetico che farmacodinamico, in grado di modificare l’effetto farmacologico desiderato. Metodi. A differenza dei farmaci, molte preparazioni fitoterapiche sono composte da numerosi costituenti, con principi attivi a struttura ed effetti poco noti, che aumentano la possibilità di eventuali interazioni e/o reazioni avverse. Alcune sostanze, presenti ad esempio nei prodotti dimagranti o negli integratori alimentari, possono alterare le funzioni gastriche ed intestinali con conseguente effetto sull’assorbimento dei farmaci (es. aloe vera; senna; guar), o provocare effetti adrenergici additivi con farmaci a base di efedrina, pseudo-efedrina o derivati ergotaminici (es. efedra; thè verde; guaranà). L’esempio più rappresentativo è sicuramente quello dell’Iperico (hypericum perforatum o Erba di San Giovanni), molto utilizzato negli ultimi anni per il trattamento della depressione di grado lieve o moderato. È potente induttore dell’isoenzima CYP 3A4, può ridurre le concentrazioni sieriche e l’emivita plasmatica dei farmaci suoi substrati (es. warfarin, fenobarbital, ciclosporina, ecc.), ha effetto inducente anche nei riguardi della glicoproteina-P, con conseguente riduzione dell’assorbimento dei suoi substrati (es. digossina), interagisce con antidepressivi inibitori del re-uptake serotoninergico, modifica il metabolismo di molti chemioterapici oncologici, tra cui imatinib, ed inoltre inibisce la produzione di SN38, metabolita attivo dell’irinotecano. Risultati. Nella pratica clinica, le interazioni tra erbe e farmaci rivestono una rilevante importanza in quanto numerosi sono i pazienti sottoposti ai rischi dovuti alla contemporanea assunzione. Le interazioni tra fitoterapici e farmaci sono spesso sottostimate, raramente, infatti, il paziente associa un effetto tossico all’uso di questi preparati e risulta sempre più frequente l’utilizzo “fai da te”, che sfugge al controllo medico. Inoltre, le informazioni disponibili sui potenziali effetti indesiderati delle erbe medicinali nella pratica clinica sono ancora limitate, pertanto, nonostante esistano in letteratura dati sui rischi potenziali, la formazione degli operatori sanitari riguardo il loro corretto uso e sicurezza è spesso carente. Conclusioni. Un buon sistema di vigilanza rappresenta l’unico modo per incrementare la sicurezza e la salute dei pazienti. Interventi formativi/informativi, condivisi da team-sanitario e pazienti, rappresentano la migliore prevenzione creando le condizioni per migliorare lo stato di salute generale. A cura di Raimondo Russo Anno IX numero 49 Pagina 28 INIZIATIVA EMA-FDA PER ASSICURARE EFFICACIA E SICUREZZA DEI FARMACI EQUIVALENTI Fonte: AIFA. 30 dicembre 2013 European Medicines Agency (EMA) e Food and Drug Administration (FDA) hanno annunciato l’avvio di una iniziativa congiunta per condividere le informazioni relative alle ispezioni sugli studi di bioequivalenza presentati ad EMA, ad FDA o alle Autorità Nazionali nell’ambito delle richieste di autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci equivalenti. L’iniziativa prevede anche l’effettuazione di ispezioni congiunte nelle strutture in cui vengono condotti gli studi di bioequivalenza per verificare l’affidabilità dei dati ottenuti in questi studi, indispensabili per la registrazione dei farmaci generici. L’Italia farà parte degli Stati membri dell’Unione Europea inizialmente coinvolti in questa iniziativa, insieme a Francia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito. Altri Stati membri si aggiungeranno all’iniziativa in futuro. Dal momento che nell'Unione Europea molte autorizzazioni all'immissione in commercio dei farmaci equivalenti sono ottenute attraverso procedura nazionale, decentrata e di mutuo riconoscimento, il coinvolgimento degli Stati membri dell'Unione Europea è considerato essenziale per il successo dell’iniziativa. Questi gli obiettivi chiave del progetto: • Semplificare la condivisione delle informazioni sulle ispezioni sugli studi di bioequivalenza condotti per le domande di autorizzazione dei farmaci generici (ispezioni ai siti clinici o analitici o entrambi) • Condividere le informazioni sui risultati negativi delle ispezioni, che rivelano problemi sistematici di questi siti che potrebbero avere un potenziale impatto sulla accettabilità/credibilità dei dati ottenuti da altri studi condotti negli stessi siti • Condurre ispezioni congiunte in tutto il mondo • Fornire opportunità di formazione per migliorare le modalità di conduzione delle ispezioni di bioequivalenza L’iniziativa, che fa seguito a quella EMA-FDA del 2009 per il rispetto della Good Clinical Practice (GCP) pianificata per assicurare che i dati delle sperimentazioni cliniche presentati per le domande di autorizzazione al commercio di medicinali negli Stati Uniti ed Europa siano condotti eticamente e che i dati di queste sperimentazioni siano credibili, sarà attuata mediante accordi di riservatezza stabiliti tra la Commissione europea, l’EMA, gli Stati membri interessati e l’FDA. La fase pilota del progetto durerà 18 mesi e avrà inizio il 2 gennaio 2014. EMA ed FDA monitoreranno l’andamento della fase pilota e faranno una valutazione congiunta per riportare i suoi risultati. A seconda di tali risultati, il processo e i termini degli accordi potranno essere modificati. A cura di Raimondo Russo ADERENZA ALLA TERAPIA, REAZIONI AVVERSE ED EFFETTI SUBTERAPEUTICI REFILL ADHERENCE AND SELF-REPORTED ADVERSE DRUG REACTIONS AND SUB-THERAPEUTIC EFFECTS: A POPULATION-BASED STUDY Hedna K, Hägg S, Andersson Sundell K, et al Pharmacoepidemiol Drug Saf. A differenza di quanto atteso, reazioni avverse ed effetti sub-terapeutici sono segnalati in percentuali simili in condizioni di adeguata aderenza e di eccessiva o di scarsa prescrizione da pazienti in terapia cronica con diverse classi farmacologiche. SCOPO: Valutare l’aderenza a farmaci assunti per via orale a lungo termine tra la popolazione adulta e indagare se le percentuali auto-riportate di reazioni avverse da farmaci (ADR) e di effetti sub-terapeutici (sub-therapeutic effects, STE) differivano in base ai livelli di aderenza, di over- o under-prescrizione. METODI: Le risposte al sondaggio su ADR e STE auto-riportati sono state linkate al Swedish Prescribed Drug Register in uno studio cross-sectional su base di popolazione. L’aderenza ai farmaci antipertensivi, ipolipemizzanti e ipoglicemizzanti per via orale è stata misurata utilizzando la misura continua di acquisizione del farmaco (continuous measure of medication acquisition, CMA). Le percentuali di ADR e STE auto-riportati sono state confrontate tra farmaci con adeguata aderenza (CMA 0,8-1,2), disponibilità eccessiva (CMA >1,2) e scarsa disponibilità (CMA <0,8). RISULTATI: Lo studio ha incluso 1.827 persone, e l'aderenza è stata misurata per 3014 farmaci antipertensivi, 839 ipolipemizzanti, e 253 farmaci anti-diabetici orali. Complessivamente, il 65,7% dei farmaci aveva un'adeguata aderenza, il 21,9% una disponibilità eccessiva e il 12,4% una disponibilità scarsa. Le percentuali di ADR e STE autoriportati erano rispettivamente del 2,6%, 2,7% e 2,1% (p >0,5) per le ADR e 1,1%, 1,6% e 1,5% (p >0,5) per gli STE. CONCLUSIONI: Una aderenza adeguata è stata osservata in due terzi delle terapie. ADR e STE erano riportati in modo simile, ma inaspettato, in tutte e tre le situazioni. Questi risultati suggeriscono che una migliore comprensione del comportamento dei pazienti in merito al rinnovo della prescrizione e della loro percezione degli eventi avversi da farmaco sono fattori necessari per migliorare la gestione della terapia. Studi futuri dovrebbero analizzare l'impatto di fattori individuali e sanitari che potrebbero influenzare l'associazione tra aderenza e esiti avversi riportati. A cura di Raimondo Russo Anno IX numero 49 Pagina 29 HEADACHE AS A PRESENTING FEATURE IN PATIENTS WITH SEROTONIN SYNDROME: A CASE SERIES Prakash S, Belani P, Trivedi A. Cephalalgia. INTRODUZIONE. La sindrome serotoninergica (SS) è una condizione farmaco-indotta che presenta varie caratteristiche cliniche che derivano da un eccesso di tono serotoninergico centrale. I segni clinici variano da appena percettibili a potenzialmente fatali. CASI. Si descrivono quattro pazienti con cefalea acuta (da quattro giorni a tre settimane) che stavano ricevendo farmaci serotoninergici per altre indicazioni. Era evidente una relazione temporale tra la somministrazione dei farmaci serotoninergici e lo sviluppo del mal di testa. Tutti e quattro i pazienti soddisfacevano i criteri diagnostici per la tossicità da serotonina (Hunter Serotonin Toxicity Criteria). Inoltre, due pazienti soddisfacevano i criteri di Sternbach per la SS. La sospensione dei farmaci serotoninergici e la somministrazione di ciproeptadina ha portato tutti e quattro i pazienti a un miglioramento in 3-7 giorni. DISCUSSIONE. Una revisione della letteratura suggerisce che esistono alcune sovrapposizioni nella fisiopatologia tra SS e cefalee, tra cui il mal di testa da uso eccessivo di farmaci. Vi è sovrapposizione anche nella gestione. I farmaci risultati efficaci nella SS (ciproeptadina, clorpromazina, olanzapina) sono anche noti per avere effetti positivi su alcune cefalee. CONCLUSIONE. I medici dovrebbero prendere in considerazione la diagnosi di SS in pazienti con nuova insorgenza o peggioramento di mal di testa dopo l'aggiunta di farmaci serotoninergici, soprattutto in presenza di segni oggettivi suggestivi del disturbo, come tremore, febbre, iperreflessia, diaforesi o tachicardia. A cura di Raimondo Russo EFFICACY AND SAFETY OF COGNITIVE ENHANCERS FOR PATIENTS WITH MILD COGNITIVE IMPAIRMENT: A SYSTEMATIC REVIEW AND META-ANALYSIS Tricco AC, Soobiah C, Berliner S, et al. CMAJ. Gli autori hanno osservato effetti statisticamente significativi nell’utilizzo di potenziatori cognitivi rispetto al placebo dopo un follow-up di 12-84 settimane, tuttavia questa differenza non è stata osservata a lungo termine. Questo dato suggerisce che dovrebbero essere condotti trial clinici randomizzati a lungo termine. CONTESTO: I potenziatori cognitivi, inclusi gli inibitori della colinesterasi e memantina, sono stati utilizzati per il trattamento della demenza, ma non è chiara la loro efficacia nel decadimento cognitivo lieve. I ricercatori hanno condotto una valutazione sistematica per comprendere l’efficacia e la sicurezza dei potenziatori cognitivi in presenza di decadimento cognitivo lieve. METODI: I criteri di inclusione richiedevano studi che avessero studiato gli effetti di donepezil, rivastigmina, galantamina o memantina sul deterioramento cognitivo lieve e che riportassero dati su cognizione, funzionalità, comportamento, stato generale e mortalità o danni. Gli autori hanno reperito materiale importante cercando in database elettronici (MEDLINE, Embase), referenze degli studi considerati, registri dei trial, verbali delle conferenze e contattando gli esperti. Due revisori hanno analizzato in modo indipendente i risultati della letteratura sulla ricerca, i dati ottenuti e il rischio stimato di errore con il Cochrane risk bias tool. RISULTATI: Sono stati considerati 15.554 titoli e riassunti e 1.384 articoli full-text. Otto trial clinici randomizzati e 3 report di compagnie rispondevano ai criteri dello studio. Non sono emersi effetti significativi dei potenziatori cognitivi sulla cognizione (Mini–Mental State Examination: tre trial clinici randomizzati [RCT], differenza media [MD] 0,14, IC 95% da –0.22 a 0.50; scala per la valutazione cognitiva del morbo di Alzheimer – subscala cognitiva: tre RCT, MD standardizzata –0,07; IC 95% da –0,16 a 0,01) o sulla funzionalità (Alzheimer's Disease Cooperative Study activities of daily living inventory: 2 RCT, MD 0,30; IC 95% da –0,26 a 0,86). I potenziatori cognitivi erano associati a un aumentato rischio di nausea, diarrea e vomito rispetto a placebo. CONCLUSIONI: I potenziatori cognitivi non migliorano la cognizione o la funzionalità nei pazienti con decadimento cognitivo lieve ed erano associati a un rischio più elevato di disturbi gastrointestinali. Questi risultati non supportano l’utilizzo di potenziatori cognitivi per il trattamento del decadimento cognitivo lieve. A cura di Raimondo Russo Anno IX numero 49 Pagina 30 Vaccini ed autismo, nessuna correlazione Da tempo la ricerca scientifica ha messo in evidenza che non esiste una correlazione fra vaccini ed autismo. In particolare, in oltre 15 anni di studi non è stato trovato un legame tra il vaccino trivalente morbilloparotite-rosolia e i disturbi dello spettro autistico. Ora una nuova ricerca smentisce ancora una volta il rapporto fra immunizzazione e questa patologia. L'indagine è stata condotta su ben 95.000 bambini, tutti con fratelli più grandi, alcuni dei quali autistici, ed ha accertato che il vaccino contro morbillo-parotite-rosolia non è associato ad un aumento del rischio di disturbi dello spettro autistico. Un esito confortante, dunque, tanto più che del campione facevano parte bambini a più alto rischio per il fatto di avere un familiare autistico. A pubblicare il lavoro, finanziato dal National Institute of Mental Health, dai National Institutes of Health e dal US Department of Health and Human Services, è JAMA, a firma di esperti del Lewin Group. Lo scopo della ricerca era anche quello di rassicurare tutti quei genitori che, malgrado l'assenza di qualsiasi evidenza scientifica, continuano a vedere un nesso causale tra vaccinazione e malattia o a ritenere l'immunizzazione preventiva contro certe patologie quantomeno una concausa dell'autismo. Questa convinzione, unita alla consapevolezza che i bimbi con fratelli più grandi affetti da autismo sono già a maggior rischio, spesso induce i genitori ad evitare di vaccinare i bambini più piccoli. Gli scienziati hanno così voluto approfondire anche una volta questo tema, su un campione molto più ampio di bambini americani con fratelli maggiori con e senza autismo. Su 95.727 bambini inclusi nello studio, 1.929 (il 2%) avevano un fratello più grande con autismo. Nel complesso 994 bambini (l'1% del campione complessivo di 95.727 bambini) avevano ricevuto una diagnosi di autismo. Fra questi 134 (il 7%) bimbi con la patologia avevano un fratello già colpito, rispetto a 860 (0,9%) tra quelli con fratelli senza autismo. Il tasso di vaccinazione per morbilloparotite-rosolia (una o più dosi) per i bambini con fratelli non autistici era dell'84% (78.564) a 2 anni di età e del 92% (86.063) a 5 anni. Al contrario, i tassi di vaccinazione per i bambini con i fratelli più grandi autistici erano inferiori (73% all'età di 2 anni e 86% all'età di 5 anni). In definitiva, ricordano i ricercatori, l'analisi dei dati ha rivelato che il vaccino morbillo-parotite-rosolia non è associato a un aumentato rischio di autismo a qualsiasi età. "Coerentemente con gli studi su altre popolazioni, non abbiamo osservato alcuna associazione tra la vaccinazione morbillo-parotite-rosolia e aumento del rischio di autismo. Non abbiamo trovato alcuna prova, inoltre, che ricevere 1 o 2 dosi di vaccino sia associato a un aumentato rischio di autismo tra i bambini con fratelli maggiori già malati", scrivono gli autori. Viene quindi smentito ancora una volta il pregiudizio della correlazione tra vaccino trivalente e autismo, nato nel 1998 a causa di uno studio che si rivelò in seguito falso. In quell'anno un medico inglese, Andrew Wakefield, pubblicò su Lancet uno studio su 12 bambini autistici in cui affermava che c'era un legame tra la malattia, alcuni problemi gastrointestinali e l'immunizzazione. Il testo fu poi ufficialmente ritirato dalla rivista nel 2010. Nonostante sia stato poi provato che Wakefield, poi espulso dall'ordine dei medici inglese, aveva ricevuto 500mila sterline da un avvocato specializzato in cause contro le case farmaceutiche, l'articolo è ancora citato ampiamente da siti e organizzazioni contro i vaccini, oltre che da diverse sentenze di tribunali italiani a favore di genitori di bimbi malati. La ricerca, pubblicizzata con una conferenza stampa che ebbe una grandissima risonanza, fece abbassare subito drasticamente le percentuali di vaccinati in Gran Bretagna. Nel 2002 arrivò la prima 'bordata' nei confronti del medico da parte del Sunday Times. Brian Deer, un giornalista scientifico, scoprì il legame di Wake- field con l'avvocato, e lo stesso medico in un dibattito fu costretto ad ammettere la sua malafede.Diversi studi negli anni hanno smentito la possibile associazione tra vaccinazioni e autismo. Uno dei più recenti, pubblicato nel marzo 2013 sul Journal of Pediatrics, ha confermato che non esiste una relazione fra malattia e immunizzazione. Nella ricerca del Center for Disease Control (CDC) di Atlanta, sono stati studiati 256 bambini con disturbi dello spettro autistico e confrontati con 752 bambini non autistici. In Italia ha suscitato clamore una sentenza del tribunale di Rimini che aveva collegato l'insorgenza dell'autismo ai vaccini. L'ipotesi, ricomparsa in una contestata sentenza dell'autunno scorso del tribunale di Milano, è sempre stata sempre smentita dalla comunità scientifica. Nella stessa direzione va anche una decisione della corte d'appello di Bologna che ha ribaltato una discussa sentenza del 2102 del giudice del lavoro di Rimini, che aveva riconosciuto il risarcimento ad una coppia romagnola il cui bambino era stato vaccinato nel 2002 e successivamente aveva avuto una diagnosi di autismo. Non esistono infatti evidenze scientifiche per stabilire che il primo provochi la sindrome, c'è solo un collegamento temporale. Nel senso che l'iniezione che previene morbillo, parotite e rosolia viene fatta prima della diagnosi di malattia autistica, che di solito arriva tra i 3 e i 6 anni. Domenico Criscuolo Anno IX numero 49 Pagina 31 NEWS ON CLINICAL TRIALS CARCINOID SYNDROME Lexicon Pharmaceuticals, a biopharmaceutical company focused on developing breakthrough treatments for human disease, today announced that it has completed enrollment in TELESTAR, its pivotal Phase 3 clinical trial of telotristat etiprate for patients with carcinoid syndrome. The company expects to announce top-line data from the TELESTAR trial in the third quarter of 2015. The effects of carcinoid syndrome are severely debilitating for many people’s lives, causing them to suffer from life-altering diarrhea, flushing and pain. Completing enrollment in this pivotal Phase 3 clinical trial marks an important step in bringing telotristat etiprate to market to help improve the lives of these individuals whose carcinoid syndrome is no longer adequately controlled by somatostatin analog treatment. TELESTAR is Lexicon’s pivotal Phase 3 clinical trial of telotristat etiprate evaluating the safety and tolerability of telotristat etiprate and its effect on symptoms associated with carcinoid syndrome. In total, the trial enrolled 135 patients with inadequately controlled carcinoid syndrome on background somatostatin analog therapy, in a randomized, double-blind, placebo-controlled study of 250mg three times daily and 500mg three times daily doses of telotristat etiprate over a 12-week treatment period, followed by a 36-week, open-label extension where all patients receive 500mg three times daily doses of telotristat etiprate. The primary efficacy endpoint under evaluation in the trial is the number of daily bowel movements, with secondary efficacy endpoints including changes in urinary 5-HIAA levels, flushing episodes, abdominal pain and quality of life measures SCLERODERMA Corbus Pharmaceuticals Holdings announced today that company's IND application to the FDA is now open and it is authorized to initiate a Phase 2 clinical study with Resunab for the treatment of diffuse cutaneous systemic sclerosis (scleroderma). Scleroderma is a chronic, life-threatening inflammatory disease causing fibrosis of skin, joints and internal organs, affecting predominately women in mid-life. The diffuse form of the disease is associated with severe morbidity and high mortality. There are currently no approved therapies for scleroderma. About 50,000 adults with scleroderma are estimated in the U.S. Corbus' Phase 2 clinical trial will be a double-blind, randomized, placebocontrol study with multiple doses that will take place at several centers in the USA and enroll approximately 36 scleroderma patients that will each be treated daily for a period of three months with a follow-up period of one month. The study is expected to take 18 months to complete. This clinical study is designed to evaluate Resunab's safety and tolerability, along with its potential impact on clinical outcomes as measured by the combined response index for systemic sclerosis or CRISS score. In addition, the study will explore multiple secondary endpoints to better determine changes in the patients' inflammatory status. Corbus plans to initiate this Phase 2 study in the second quarter of 2015. The company also intends to submit a Phase 2 protocol under this open IND for the treatment of cystic fibrosis in the second quarter of 2015. EBV-ASSOCIATED LYMPHOPROLIFERATIVE DISEASE Atara Biotherapeutics announced that its collaborative partner, Memorial Sloan Kettering Cancer Center (MSK), has received breakthrough therapy designation from the FDA for Atara's optioned cytotoxic T lymphocytes activated against Epstein-Barr Virus (EBV-CTL) in the treatment of patients with rituximab-refractory, EBV-associated lymphoproliferative disease (EBV-LPD), a type of malignancy occurring after allogeneic hematopoietic cell transplantation (HCT). Allogeneic HCT is also commonly called a bone marrow transplant. EBV-CTL may provide an "off-theshelf", allogeneic, cellular therapeutic option for patients with EBV-LPD. EBV-CTL are made from T-cells collected from the blood of third-party donors. Once collected, the T-cells are exposed to certain antigens. The resulting activated T-cells are expanded, characterized and stored for future therapeutic use in an appropriate partially human leukocyte antigen matched patient. In the context of EBV-LPD, the EBV-CTL find the cancer cells expressing EBV and kill them. The FDA's breakthrough therapy designation is designed to expedite the development and review of new drugs for the treatment of serious or life-threatening conditions. To qualify for this designation, a drug must show credible evidence of a substantial improvement on a clinically significant endpoint over available therapies, or over placebo if there is no available therapy, or in a study that compares the new treatment plus standard of care to the standard of care alone. The designation confers several benefits, including intensive FDA guidance and discussion and eligibility for submission of a rolling biologic license application. A cura di Domenico Barone Anno IX numero 49 Pagina 32 NUOVI SOCI AMATUCCI PAOLA SIGMA-TAU BARBIERO GIORGIA CENTRO RICERCHE CLINICHE VERONA BIANCHI MONICA INNOPHARMA BOLLANI MARINELLA PH&T BUNIATO DANILO INNOPHARMA CAIMI MARCO INNOPHARMA CAPUTO FRANCESCA CELGENE COCEANI NICOLETTA INNOPHARMA LISCHIO FRANCESCA ZAMBON LOMAZZI GIACOMO STUDENTE MASTER MACCIONI ELISABETTA CLIOSS MASELLA STEFANIA INNOPHARMA MAZZONE MARIA GRAZIA SIFI MONACO GRETA CD PHARMA GROUP PERGHER MARCO APTUIT PETTERLINI ROBERTO APTUIT PIERPAOLI SABINA UNITED BIOSOURCE CORPORATION RINALDI CLAUDIA PETRONE GROUP RAULE MARY UNIVERSITA’ DI TORINO SALVADORI MICHELA CHIESI FARMACEUTICI SETTIMO LAURA MEDI SERVICE TELLAROLI PAOLA UNIVERSITA’ DI PADOVA TOLINO GIUSEPPINA CELGENE TORRETTI LAURA MARIA CLIOSS TRAMONTANA ERICA THERAMetrics VOLONTERI CHIARA CD PHARMA GROUP ZICHICHI FEDERICA INVENTIV HEALTH ITALY ZORZAN SILVIA STUDENTE MASTER Hanno collaborato a questo numero: Domenico Barone - [email protected] Elena Bresciani - [email protected] Sergio Caroli - [email protected] Domenico Criscuolo - [email protected] Umberto Filibeck - [email protected] Luciano M. Fuccella - [email protected] Andrew J. Gray Paolo E. Lucchelli - [email protected] Marco Romano - [email protected] Raimondo Russo - [email protected] Stefano Angelo Santini - [email protected] Daniela Visini - [email protected] CONSIGLIO DIRETTIVO Presidente: Marco Romano Vice—presidente: Anna Piccolboni Segretario: Salvatore Bianco Tesoriere: Luigi Godi Consiglieri: Giuseppe Assogna, Rossana Benetti, Marie-Georges Besse, Sergio Caroli, Simona Colazzo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo. Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo Comitato editoriale: Giovanni Abramo, Salvatore Bianco, Sergio Caroli, Domenico Criscuolo, Luciano M. Fuccella, Marco Romano Segreteria editoriale: Sabrina Lucioni Segreteria Organizzativa: Viale Abruzzi 32—20131 MILANO Tel. 02-29536444 Fax. 02-89058506 E-mail [email protected] SSFA oggi Stampa: MEDIA PRINT, Livorno Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007 “Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO” Numero progressivo 49 Periodicità: bimestrale WWW.SSFA.IT