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SOCIETA’
DI SCIENZE
FARMACOLOGICHE
APPLICATE
SOCIETY FOR APPLIED
PHARMACOLOGICAL
SCIENCES
SSFAoggi
Notiziario di Medicina Farmaceutica
Giugno 2015
numero
Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate
Fondata nel 1964
49
Sommario:
Cari Lettori e Soci della SSFA,
Editoriale
1 desidero condividere con voi il successo della nostra società, perché il numero di
Etica e prezzo farmaci
2
I dintorni di Varenna
3
GLP/GCP Inspections
4
Studi no profit
6
Studi no profit
7
Intervista a L. Visani
9
Il paziente anziano
10
Seminario Loreto
13
Notizie dai master
14
Il dolore post-operatorio
16
Oggi parliamo di……….
18
Qualità e studi clinici
20
The BMJ
22
The Lancet
23
The BMJ
24
Numero speciale JPBA
26
EMA pubblicazione dati
26
ADR
27
Vaccini ed autismo
30
News on Clinical Trials
31
Nuovi Soci
32
iscritti è aumentato molto nell’ultimo anno ed oggi siamo più di 800: mi auguro di
raggiungere quota mille al termine del mio triennio da Presidente, cioè nel 2017.
L’incremento dei soci della SSFA è sicuramente legato a tutte le attività svolte dai
vari Gruppi di Lavoro (GdL) con i convegni, i seminari, i master universitari. Tuttavia, un ruolo determinante lo svolge proprio la rivista da cui vi sto scrivendo e di
cui è direttore Domenico Criscuolo, che alla SSFA ha dedicato e continua a dedicare moltissime energie: di questo gli siamo grati.
SSFAoggi è nata otto anni fa, ed è aumentata da poche pagine ad un numero
sempre più ragguardevole, con articoli di notevole interesse su svariati argomenti
che provengono da diversi autori appartenenti soprattutto ai nostri GdL, ma non
solo. Tutto bene quindi, direte voi; sì, ma possiamo fare meglio, fare di più.
Per esempio, le persone che scrivono i contributi sono spesso le stesse: a mio
parere sarebbe più interessante leggere le esperienze di altri colleghi che hanno
professionalità e cultura differenti, in modo da arricchire la nostra rivista stimolando altri articoli, riflessioni e discussioni. Vi esorto pertanto a inviare notizie che
possono essere di interesse comune a chi opera nel nostro settore oppure anche
ad inviare dei commenti o delle risposte ad articoli che avete occasione di leggere e che catturano la vostra curiosità.
Un'altra proposta è quella di una mezza pagina dedicata ai lettori, in cui voi possiate inviare lettere al direttore ed al comitato di redazione. Potreste in questo
modo esprimere la vostra opinione sul nostro operato, proporre cambiamenti a
SSFAoggi, fare critiche costruttive: ma accettiamo anche quelle
negative, molto utili per cambiare
rotta se necessario o più semplicemente per migliorare il nostro
strumento di comunicazione con
voi.
Dateci una mano attivamente per
rendere SSFAoggi una rivista
sempre più moderna, aggiornata,
utile soprattutto per chi la legge, e
non tanto per chi la fa.
Grazie per la vostra collaborazione.
Marco Romano
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO
Anno IX numero 49
Pagina 2
ETICA E PREZZO DEI FARMACI
XIV Conferenza Nazionale sulla Farmaceutica – Catania 24 febbraio 2015
Come è ormai tradizione, il primo
appuntamento dell’anno è la conferenza organizzata dal prof Filippo
Drago, nel suggestivo scenario
dell’aula “coro di notte” ex monastero dei benedettini, a Catania. Oltre
150 professionisti del farmaco si
sono incontrati anche quest’anno,
per dar vita ad un interessante dibattito sul tema di etica e prezzo dei
farmaci.
Nel suo indirizzo di benvenuto, il prof
Filippo Drago ha voluto sottolineare
il dilemma del titolo: oggi ci troviamo
di fronte ad una sfida, fra l’innovatività dei farmaci ad alto prezzo e la
sostenibilità del SSN. Ha poi preso
la parola il prof Giacomo Pignataro,
Rettore dell’Università di Catania,
che ha lodato questo convegno, e
tutte le iniziative che contribuiscono
alla cultura attraverso un sereno
dibattito, anche fra posizioni distanti.
Il dr Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria, ha ricordato
quanto la scoperta di nuovi farmaci
abbia contribuito al progresso della
medicina ed al miglioramento della
durata e qualità della vita. Nei paesi
emergenti, solamente dal 1990 ad
oggi, la durata media della vita è
aumentata di ben 9 anni. Ha infine
ricordato che la sanità è l’unico settore pubblico dove sono in atto controlli rigorosi: questo va anche bene,
ma si chiede che le regole siano
chiare, e non oggetto di continui
cambiamenti. A fargli eco, è intervenuto poi il prof Salvatore Cuzzocrea
della SIF, ricordando che ad oggi nel
nostro Paese il prezzo dei farmaci è
l’unica variabile, nella galassia sanità, che sappiamo misurare: per contro, non sappiamo misurare altri settori con spesa in grande crescita,
quali quello dei dispositivi medici,
oppure delle terapie alternative. La
drssa Simona Montilla di AIFA ha
poi ricordato il grande impegno di
AIFA a tutto campo, dal sostegno
alla ricerca fino alle misure di intervento sulla sanità pubblica. A conclusione di questi indirizzi di saluto, il
prof Giovanni Burtone della commissione sanità della Camera dei Deputati ha ricordato quanto sia oggi centrale il ruolo del paziente, cui spetta
una corretta informazione da parte
del medico curante.
Nel dare inizio ai lavori, il prof Filippo
Drago ha ricordato alcuni fatti recenti
molto innovativi in sanità (ad esempio, la creazione di un fondo speciale per l’accesso alle terapie antivirali
contro l’epatite c), ma ha anche sollevato alcuni problemi, quali quello
dei prezzi dei farmaci molto diversi
fra i Paesi EU, oppure la difficoltà di
una esatta correlazione fra prezzo di
alcuni farmaci antitumorali ed il loro
reale beneficio per i pazienti.
La prima relazione è stata svolta
dalla drssa Ketty Vaccaro del CENSIS, la quale ha ricordato che la
spesa sanitaria in Italia è diminuita
del 12% dal 2007 al 2013. Il 18%
degli italiani rinuncia, per problemi di
costo, a prestazioni sanitarie (percentuale maggiore al Sud), ed il 20%
rinuncia a cure dentistiche. La ricerca di risparmi ha generato molte
“soluzioni alternative” quali l’acquisto
su internet di prestazioni sanitarie
(da siti tipo Groupon) ed il pagamento in nero a fronte di uno sconto.
Una recente indagine ha messo in
luce che il 40% degli italiani percepisce un peggioramento della qualità
del SSN, ed il 78% si dice preoccupato nell’eventualità di una spesa
sanitaria imprevista. Infine, ben il 5%
del campione dichiara di non acquistare i farmaci prescritti, anche in
caso di malattia grave.
E’ poi intervenuto il prof Americo
Cicchetti , Università Cattolica Roma, che ha proposto la seguente
definizione: l’etica in economia sanitaria significa “ come allocare le risorse, che sono limitate, nel modo
giusto”. Elaborando questo concetto,
ha detto che sarebbe auspicabile
una sostenibilità e solidarietà fra le
generazioni, perché “ogni generazione dovrebbe dimostrare riconoscenza alla generazione precedente per i
suoi comportamenti virtuosi, dedicando parte della sua ricchezza alle
generazioni che sono al di fuori del
processo produttivo, cioè gli anziani
ed i pensionati”.
Fra le altre numerose ed interessanti
relazioni, vorrei segnalare quella del
prof Salvatore Amato, professore di
filosofia dell’Università di Catania, il
quale, di fronte al clamore suscitato
dal prezzo di alcuni farmaci innovativi, ha fatto la sua proposta: non bisogna più brevettare i farmaci, perché devono essere a disposizione di
tutti. Peccato che il prof Amato non
ci abbia spiegato chi si farebbe carico delle spese di sviluppo di questi
farmaci senza brevetto: ma si tratta
di un piccolo dettaglio di alcuni miliardi di euro, che certamente non
sono di interesse per un filosofo!
Domenico Criscuolo
Anno IX numero 49
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I dintorni di Varenna
Bagattelle per i più giovani
I “corsi di Varenna”, di cui Luciano Fuccella mi attribuisce generosamente la paternità (SSFA oggi n. 42),
erano destinati prevalentemente ai novizi CRA (Assistenti alla Ricerca Clinica), ora Clinical Monitor. Erano concepiti
come strumento didattico che tenesse conto non soltanto dell’aspetto prevalentemente pratico del lavoro del monitor, richiesto dalla normativa e dagli aspetti formali delle GCP, ma anche della necessità di una formazione di base
sulle regole teoriche e metodologiche della sperimentazione clinica.
Appare chiaro che tali conoscenze arricchiscono il lavoro del monitor costretto al rispetto di una serie di
norme rigide, “burocratiche”, intellettualmente aride. Va ricordato che il ruolo responsabile del monitor è cruciale
nel garantire l’integrità dei dati ottenuti nella ricerca clinica. Gli studi clinici infatti sono l’unico strumento decisionale
disponibile sull’efficacia di una terapia. Un errore può provocare disastri.
Veniamo ora alle bagattelle del titolo. Oltre ai corsi classici “lacuali” venne offerto, per qualche anno, anche un programma di approfondimento attraverso corsi detti “avanzati”, che si tennero a Milano secondo una formula semiresidenziale, con cena sociale. Alla chiacchierata dopo cena mi dilettavo nel presentare argomenti di
varia estrazione (citazioni, racconti, bagattelle) che potessero essere di stimolo per successive riflessioni individuali. Ve ne offro un florilegio sperando che vi sia gradito e soprattutto utile.
Nel 2004 raccontai la favola dei tre principi di Serendip che durante le loro cavalcate scoprivano continuamente, per caso e per sagacia, cose notevoli, a volte importanti, che non andavano cercando. ‘Serendipità’ è un
neologismo creato da Horace Walpole, un saggio erudito inglese del XVIII secolo, che ne individuò motivo di interessanti considerazioni.
Molti gli esempi di scoperte “casuali” in medicina. Classico l’esempio di Alexander Fleming, che scoprì la
penicillina osservando una cultura batterica contenuta in una capsula di Petri dimenticata su una mensola. Il sildenafil era studiato come trattamento dell’angina pectoris, il successivo popolarissimo uso non era stato previsto.
Le scoperte da serendipità tuttavia avvengono soltanto in menti preparate ed attente.
Il suggerimento occulto per i commensali era: siate curiosi nella vostra attività, state attenti a quello che vi
sta intorno, potreste fare delle scoperte interessanti per voi e per il vostro lavoro.
L’anno successivo parlai delle “Leggi fondamentali della stupidità umana” di Carlo Maria Cipolla, grande
storico dell’economia. E’ un breve saggio di sottile e illuminante ironia contenuto nel piccolo libro ‘Allegro ma non
troppo’ (ed. Il Mulino). L’autore, che si esprime con ammirevole chiarezza, elenca e commenta cinque leggi fondamentali della stupidità. Per esempio, la prima legge recita ”Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il
numero di individui stupidi in circolazione”. La terza (ed aurea): “Una persona stupida è una persona che causa un
danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita”. L’autore distingue i soggetti interessati in quattro categorie (intelligenti, sprovveduti, banditi, stupidi) e fornisce gli strumenti per orientarsi nella selva dei comportamenti umani attraverso interessanti diagrammi di facile uso.
Il monitor entra in contatto con ogni genere di interlocutori durante la sua attività. La possibilità di classificarli secondo le categorie di Cipolla può essere di grande utilità pratica. Il testo delle “Leggi”, e i diagrammi, dovrebbero essere sulla scrivania di tutti i monitor (e anche di altri colleghi).
Nel 2006 raccontai dello studente di fisica cui venne chiesto all’esame di misurare l’altezza di un grattacielo servendosi di un barometro. Si ribellò al pensiero consolidato la cui soluzione era prevista per la promozione, e,
dopo una serie di risposte bizzarre, tutte rigorosamente corrette, sfornò l’ironica ultima: ‘Andrei dal custode
dell’edificio e gli direi: ‘qui c’è un bel barometro, è suo se mi dice quanto è alto l’edificio.’ (Angels on a pin, reperibile in rete, cerca la voce ‘Calandra’)
Esistono vari modi di raggiungere l’obiettivo oltre a quelli più ovvii, ma è fortemente opportuno conoscere
e soppesare tutte le alternative.
L’anno successivo, citai la famosa battuta del meteorologo E. Lorenz “può un battito d’ali di una farfalla in
Brasile provocare un tornado nel Texas?”, di cui illustrai la genesi e la discussione.
Tradussi, per il monitor, “Può un errore nel registrare un dato in uno studio clinico causare il fallimento di
un intero progetto e sottrarre ai malati una terapia efficace?”
Vi risparmio altri interventi e mi scuso se ho menzionato quelle che furono soltanto chiacchiere adatte a un
dopo cena. Consideratele appendici ai classici “Corsi di Varenna”. Tuttavia ritengo che accanto alla conoscenza
accurata di norme, regole e controlli siano opportuni anche spunti, sia pure sotto forma di bagattelle, da destinare
ad esercizi mentali o a riflessioni personali, o persino utilizzare come strumenti operativi.
Paolo E. Lucchelli
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Challenges and Opportunities Associated with a Joint Good Laboratory
Practice/Good Clinical Practice Inspection Programme
Following the implementation of the
Clinical Trials Directive in 2005 and
the subsequent publication of the
EMA reflection paper entitled
“Reflection paper for laboratories
that perform the analysis or evaluation of clinical trial samples” there is
an increasing number of laboratories
that are performing both Good Laboratory Practice (GLP) and Good
Clinical Practice (GCP) requiring
work. This has presented a number
of challenges for both the laboratories that perform the work and the
regulatory inspectors that assess
compliance with the appropriate
regulations. GLP is a wellestablished quality system that was
specifically designed to underpin the
quality of non-clinical studies which
are required to obtain data on the
safety of a broad range of products
including pharmaceuticals, agrochemicals and industrial chemicals.
The principles of GLP are designed
to ensure that regulatory receiving
authorities have confidence in the
integrity of the data presented to
them as part of their assessment of
new products. The primary aim of
the GLP principles is to ensure that
there is consistency and transparency in the way studies are planned,
conducted and reported. In this respect the aims of GLP and GCP are
broadly the same and consequently
GLP-compliant facilities are in a
strong position to perform laboratory
work which is required as part of a
human clinical trials.
GCP places significant focus on
the safety and wellbeing of trial subjects. European GCP legislation
clearly states that the rights, safety
and wellbeing of the trial subject
should take precedence over the
interests of science or society. This
requirement is not relevant to nonclinical studies and consequently
GLP facilities have often not thought
about how these requirements impact on laboratory work that is performed as part of a clinical trial. Implementing a quality system that
encompasses these fundamental
GCP requirements is essential if
GLP laboratories are to perform
GCP work. Because laboratories are often independent from
the site where the
clinical trial is
conducted, it is
very easy for
laboratory staff to
make an assumption that responsibility for trial subject safety and
rights lies with the
study
sponsor
and that they are
solely responsible
for
generating
data. This perception is not
correct and if a
laboratory is to perform work associated with clinical trials they must
have appropriate systems in place to
ensure that the trial subject’s safety
and rights are protected. What does
this look like from a laboratory perspective? There are a number of
key areas which are not relevant to
GLP studies, but which must be addressed if laboratories are going to
perform the analysis of samples
which have been collected as part of
a human clinical trial. These are
described in detail in the EMA reflection paper and some key points are
highlighted below:
Expedited reporting of results
If data are generated which indicate that the trial subjects health is
at risk the information should be
passed onto the relevant personnel
at the earlier possible opportunity.
Laboratories must understand the
relevance of the results they are
generating and have a process to
rapidly report results which may indicate a problem.
Confidentiality
All those that take part in clinical
trials have a right to privacy. Laboratories that handle clinical samples
should have processes which allow
them to deal with situations where a
trial subjects privacy is compromised. For example, samples arriv-
ing at the laboratory with labels or
documentation that could identify the
person the sample has been collected from.
Consent
People should only be enrolled in
a trial if they have been given sufficient information about the trial to
make an informed judgement as to
whether they want to participate.
This informed consent extends to
work performed in the laboratory.
Every laboratory that performs clinical work should exercise due diligence in ensuring the tests or procedures they are performing have
been consented to. In summary,
there are many aspects of GLP that
are directly relevant to the processing of GCP samples; however, there
are also a number of additional and
very important considerations that
laboratories who perform both GLP
and GCP studies should take into
consideration.
Frauds
Fraudulent activity is very rare in
both a GLP and GCP environment
but from time to time it does occur.
In the main it is perpetrated by individual members of staff for a variety
of reasons and can go undetected
by the company for months or in
(Continua a pagina 5)
Pagina 5
Anno IX numero 49
(Continua da pagina 4)
extreme cases years.
The implementation of
robust quality systems
which are able to detect
fraud is essential for all
facilities that perform
regulatory work. This
may include independent
quality control
checks and a quality
assurance programme
that is sufficiently detailed to determine if
data have been manipulated before they
have been presented in
the final results tables
and graphs. For laboratories, one area where
fraud has been detected on a number of
occasions is linked to
the generation of analytical data. This has
included the falsification of control results to
show that a batch has passed when
in fact it has failed and the manipulation of data to cover up methods
which are not performing as they
should. Maintaining data integrity
must be a key consideration for
laboratories that perform GLP or
GCP work if they are to ensure that
their data are robust and reliable.
This is an area of compliance where
our inspectors are increasingly plac-
Andrew Gray has worked for the MHRA for the last 13 years where he is currently Unit Manager for the Inspectorate. He is head of the UK GLP Monitoring Authority and currently holds the chair of the OECD GLP working Group.
Dr. Gray was a co-author of the EMA reflection paper for laboratories that
analyse samples from clinical trials and was responsible for setting up the
GCP laboratory inspection programme in the UK.
ing a focus and is likely to be a key
topic of discussion in the future.
Andrew J. Gray
1
2
Drug Discovery:
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Hypothesis generating software tool
§
International project management
§
Drug repurposing and repositioning
§
Regulatory support & submissions
§
Pre-screening of any selected project
§
Study activation and monitoring
§
Improving of sustainability of
§
Data management & statistics
current R&D system
§
Medical coding & medical review
§
Pharmacovigilance
§
Medical writing
4
3
Early Clinical Services:
Clinical Supply Services:
§
Manufacturing and packaging
§
Logistics and distribution
§
Return and destruction
§
IMPD preparation
§
Multilingual labelling and QR codes
§
Two own Pase I research units
§
Testing compounds and devices
in healthy volunteers, patients,
children and special populations
§
High recruitment potential
§
ICH-GCP trained staff
Anno IX numero 49
Pagina 6
Presentazione del documento per la ricerca clinica
da promotori no-profit in Italia
A cura della Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI) ha avuto luogo lo
scorso 15 aprile presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato,
nella sala dell’Istituto di S. Maria in
Aquiro, un incontro per la presentazione del Documento per la ricerca
clinica da promotori no profit in Italia
– una proposta per la competitività in
10 punti di cui sono firmatari cinquanta diversi gruppi di ricerca, istituzioni pubbliche e società scientifiche, compresa la SSFA. L’evento
aveva lo scopo di illustrare le finalità
del documento e i due capitoli in cui
esso si articola, vale a dire, la revisione della normativa nazionale per
la ricerca clinica e gli aspetti organizzativi e strutturali e le risorse per la
promozione e la competitività della
ricerca da promotori no profit, nonché le dieci raccomandazioni formulate all’interno dei due capitoli suddetti. Queste raccomandazioni, in
particolare, prendono in esame problematiche specifiche, hanno un’impostazione essenzialmente pragmatica e mirano ad affrontare i principali aspetti di carattere normativo, procedurale e strutturale nel contesto
della ricerca clinica no profit formulando al tempo stesso chiare indicazioni di possibili soluzioni alle principali criticità riscontrate.
Gli interventi istituzionali sono stati
tenuti dal Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato
Sen. Emilia Grazia De Biasi, dal Direttore Generale della DG Ricerca e
Innovazione in Sanità del Ministero
della Salute Giovanni Leonardi e dal
Presidente della Federazione delle
Società Medico-scientifiche Italiane
Franco Vimercati, cui hanno fatto
seguito il Presidente della FADOI
Giorgio Vescovo sul tema FADOI e
ricerca ed il Direttore Scientifico della FADOI Gualberto Gussoni sulle
motivazioni che hanno portato alla
stesura del documento in oggetto.
Quest’ultimo relatore ha inoltre ricordato come il documento fosse stato
recentemente consegnato al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin
che aveva espresso il suo apprezzamento per la concretezza che lo
connota. I vari punti del documento
propositivo sono stati esaminati in
dettaglio nella tavola rotonda finale
con interventi di Silvio Garattini, Aldo
Pietro Maggioni, Roberto Labianca,
Pierangelo Geppetti, Dario Manfellotto e Claudio Cricelli. Nel corso
della riunione è stato più volte sottolineato come la ricerca biomedica,
che pure rappresenta un settore
strategico per il nostro Paese, stia
attualmente vivendo un periodo notevolmente difficile caratterizzato da
una preoccupante riduzione degli
studi clinici da promotori no profit, in
pratica più che dimezzatisi negli ultimi anni secondo le stime riportate da
AIFA. Le cause di questo fenomeno, a giudizio dei partecipanti, vanno
ascritte certamente anche ad alcuni
vincoli posti dalle attuali norme euro-
pee, ai pesanti oneri assicurativi, alle
diffuse carenze nella gestione di
fondi comunitari ed alla eccessiva
complessità che spesso caratterizza
il funzionamento dei Comitati Etici.
Nelle conclusioni è stato pertanto
esplicitamente asserito come il rilancio della ricerca clinica da promotori
no profit sia divenuto indilazionabile.
Il documento nella sua interezza è
visionabile
sul
sito
http://
www.pharmastar.it/binary_files/
allegati/
FADOI.CRNP.2014.documento.proposi
tivo.12.02.15_18621.pdf.
Sergio Caroli
Anno IX numero 49
Pagina 7
Documento del gruppo di lavoro multidisciplinare FADOI
per la ricerca clinica da promotori no profit
E’ stato presentato al Senato un documento in dieci punti coordinato da
un gruppo di lavoro multidisciplinare
FADOI (Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti) per il rilancio in Italia della ricerca
clinica da promotori No Profit.
Le statistiche indicano infatti che
negli ultimi anni vi è stata una marcata discesa del numero di sperimentazioni cliniche No Profit.
Il 13° Rapporto Nazionale 2014 sulla
Sperimentazione Clinica dei Medicinali mostra che nel quinquennio
2009-2013, mentre le sperimentazioni cliniche Profit hanno mantenuto
un valore costante, intorno a 440/
anno, le sperimentazioni No Profit
sono scese da 318 nel 2009 a 139
nel 2013, una diminuzione del 56%.
Come causa principale di questo
forte calo viene indicata l’emanazione del decreto 14 luglio del 2009,
riguardante la copertura assicurativa
delle sperimentazioni nell’uomo.
Come è noto, in precedenza un
grande numero di sperimentazioni
No Profit non erano coperte da specifica assicurazione o veniva considerato (verrebbe da dire: sperato)
che per esse si potesse fare valere,
in caso di necessità, la copertura
generale della istituzione la quale
invece, come è ovvio, riguarda gli
eventuali danni derivanti ai pazienti
dalle normali procedure di cura o da
incidenti durante la degenza, ma
non considera la sperimentazione
clinica per la quale occorreva apposita copertura assicurativa. Il decreto
14 luglio 2009, che ha reso obbligatoria l’assicurazione di ogni singolo
studio, fissando anche i livelli dei
premi e la durata delle coperture, ha
provocato un generale aumento dei
premi assicurativi che si è ripercosso
in particolare sulle sperimentazioni
No Profit.
Obiettivo del testo FADOI è riprendere quanto contenuto nel Documento sulla Ricerca Clinica da Promotori No Profit in Italia; una Proposta per la Competitività in 10 Punti,
testo elaborato dopo il 3° Convegno
Nazionale sulla Ricerca Indipendente in Italia nel 2013, documento ap-
provato da un gran numero di associazioni scientifiche tra cui anche la
SSFA. Queste misure, anche in considerazione dell’arrivo del Regolamento Europeo, dovrebbero essere
in grado di contribuire ad un rilancio
delle sperimentazioni da promotore
No Profit.
Vediamo qui il contenuto dei dieci
punti.
Non escludere la possibilità
che il risultato degli studi condotti da
promotori no-profit possa essere
finalizzato e utilizzato a scopi regolatori e per lo sviluppo industriale.
Questa possibilità è già stata introdotta nel caso di studi condotti in
IRCCS. Estenderla a tutti i centri
potrebbe essere una soluzione accettabile specie in vista della attuazione del DDL Lorenzin che si propone di fissare quali debbano essere
le caratteristiche dei centri ove possono eseguirsi studi clinici con farmaci e quale debba essere la formazione del personale.
Introduzione dell’obbligo della
valutazione del rischio effettivo dello
studio, ossia una gerarchizzazione
del rischio effettivo connesso allo
studio che consenta una modulazione dell’entità delle coperture assicurative necessarie, a seconda del
livello di rischio degli studi stessi. Si
tratta di una eventualità presa in
considerazione anche dal Regolamento Europeo, ma che solleva notevoli perplessità. Stabilire una
“gerarchizzazione” del rischio effettivo in una sperimentazione clinica
non appare facile. Certamente, se
allo studio è un medicinale in uso da
tempo, impiegato in una indicazione
ed a dosi approvate nella AIC e per
il quale esistono dati di farmacovigilanza in grado di fornire una indicazione attendibile sul tipo e sulla incidenza delle reazioni avverse gravi
ed inattese, può essere possibile
prevedere che incidenti importanti
attribuibili al farmaco siano improbabili. Si tratta però di una situazione
più da studio osservazionale (per il
quale già l’attuale normativa prevede
la sola presenza della normale assicurazione della istituzione) che da
studio interventistico con farmaco
ancora non titolare di AIC e che presuppone un confronto con altro farmaco standard (o un confronto tra
dosi), il che complica notevolmente
la procedura di “gerarchizzazione”.
Può trattarsi di nuova indicazione di
farmaco già in uso ed allora potrebbe essere rischioso “gerarchizzare”
in una situazione ancora da esplorare. Conoscendo bene la pignoleria
delle società di assicurazione, nel
caso passasse una richiesta del genere (vedremo cosa succederà con
il Regolamento) temo che esse richiederanno una quantità di informazioni cliniche, dati statistici, pareri
tecnici ed altro che non faciliteranno
l’autorizzazione dello studio senza
contare che saranno in primis i Comitati Etici a volersi ben salvaguardare (anche per motivi economici
relativi all’ente ospedaliero) da eventuali accuse di non avere correttamente valutato i rischi dello studio.
Va inoltre considerato che un approccio del genere penalizza la ricerca con farmaci innovativi (peraltro
per definizione non oggetto degli
studi No Profit), in quanto in essa è
ovviamente più difficile prevedere
eventi avversi importanti ma rari o
ancora sconosciuti. Analogo discorso può farsi per gli studi in patologie
gravi (ad esempio in oncologia) dove
non è tanto il rischio in sé ad essere
considerato, quanto il rapporto
beneficio/rischio per cui a fronte di
importanti nuovi benefici si può anche accettare di correre rischi che
sarebbero inaccettabili in patologie
meno gravi.
Adeguamento delle polizze assicurative delle aziende ospedaliere e
delle ASL affinché prevedano le condizioni richieste per la ricerca indipendente. Per il momento le condizioni richieste per la ricerca indipendente sono le stesse di quelle previste per la ricerca Profit. Come detto
all’inizio, è stato proprio questo ade(Continua a pagina 8)
Anno IX numero 49
(Continua da pagina 7)
guamento che ha contribuito a ridurre sensibilmente le sperimentazioni
No Profit. Il documento sopra citato
propone di favorire strategie di presa
in carico, da parte del Sistema Sanitario Nazionale, della copertura assicurativa per gli studi No Profit. Vista
la situazione dei conti della Sanità,
ho molti dubbi che una proposta del
genere venga accolta.
Semplificazione delle procedure
di raccolta dati sui pazienti attraverso l’introduzione del consenso informato ai fini della ricerca all’atto del
ricovero. Successivamente l’informazione e l’approvazione del Comitato
Etico sarà quindi sufficiente evitando
le attuali complesse procedure di
contatto con i singoli pazienti. Sarebbe forse stato opportuno precisare
che questo punto si riferisce alla
raccolta di dati negli studi osservazionali prospettici e retrospettivi, come si evince chiaramente dal sopra
citato documento scaturito dal Convegno sulla Ricerca Clinica Indipendente. Il Garante per la protezione
dei dati personali aveva d’altra parte
già provveduto a venire incontro a
queste esigenze di semplificazione
con la deliberazione 1 marzo 2012:
Autorizzazione generale al trattamento di dati personali effettuato per
scopi di ricerca scientifica. (Deliberazione n. 85), la quale prevede
Pagina 8
che non sia necessario il consenso
del paziente all’utilizzazione dei propri dati qualora ciò sia opportuno per
motivi etici o perché il reperimento
del soggetto è difficoltoso, purché
comunque vi sia la garanzia della
approvazione del Comitato Etico.
Applicazione di un modello di
documentazione standard valido e
riconosciuto da tutti i Comitati Etici ai
quali viene richiesta l’autorizzazione
per la realizzazione di uno studio e
definizione di un modello condiviso
di accordo economico fra promotore
no profit e aziende ospedaliere/ASL
e industrie che forniscono sostegno
incondizionato per la realizzazione
delle ricerche. Il preannunciato Regolamento Europeo con l’introduzione del Portale Unico dovrebbe
venire incontro a questa richiesta,
anche se va fatto presente che la
documentazione può variare notevolmente da studio a studio in rapporto alle caratteristiche del medicinale, della tipologia dei pazienti, del
disegno dello studio.
Affidamento di una quota rilevante delle risorse provenienti dalle
convenzioni relative agli sudi autorizzati ai Comitati Etici per favorirne il
lavoro. La forte riduzione del numero
dei Comitati Etici, conseguenza delle
disposizioni contenute nel DL
158/2012, ha portato ad un notevole
aggravio di lavoro per i CE superstiti
con la conseguente necessità di aumentare il personale. E’ quindi inevitabile che anche i costi aumentino e
che essi ricadano sui promotori delle
sperimentazioni.
I punti da 7 a 10 riguardano proposte di riattivazione dei finanziamenti
AIFA, i bandi di ricerca internazionali, la realizzazione di banche dati
nazionali e l’introduzione di incentivi
fiscali per le strutture no profit che
assumono figure professionali da
impiegare nella ricerca.
Commenti dai lettori di SSFAoggi
saranno benvenuti.
Luciano M. Fuccella
Anno IX numero 49
Pagina 9
SSFAoggi incontra …….
Intervista a Luigi Visani, CEO di Exom Group
Exom Research, la divisione ricerca
di Exom Group, è una nuova CRO
italiana che si propone a livello internazionale come la prima azienda ad
introdurre la rivoluzione digitale e
delle scienze “omiche” nella ricerca
clinica. Fondatore e CEO del gruppo è Luigi Visani, che da molti anni
opera nel settore delle CRO , prima
come Hyperphar e poi come Pierrel
Research.
D: Quando e perché nasce Exom
Research?
R: Dopo oltre un anno di preparazione , siamo nati ufficialmente nel luglio 2014 come start up innovativa
con l’obiettivo di combinare una consolidata competenza tecnica, operativa, regolatoria e scientifica con le
piu’ innovative soluzioni digitali e di
tecnologia “mobile” , al fine di aggiungere valore ai processi organizzativi dello sviluppo clinico in tutte le
sue fasi, attraverso maggiore qualità, trasparenza, efficienza e rapidità.
inserimento vocale dei dati
sviluppata da Exom Group.
Si tratta di un sistema che
permette al medico sperimentatore di compilare la
CRF elettronica oltre che
manualmente anche dettando i dati clinici direttamente da un normale
smartphone. Il dato vocale
viene riconosciuto, trasformato in testo, controllato
per la sua validità ed infine
inviato al database centrale dello studio.
D: Quale vantaggio offre Genius
Lingo?
R: In pratica non vi è l’obbligo per lo
sperimentatore di stare davanti ad
un computer ma i dati vengono inseriti direttamente nella CRF, quando
ad esempio sta visitando il paziente,
consentendo una raccolta immediata dei dati, con risparmio quindi di
tempo e risorse.
D: Con quali strumenti
Exom è in grado di offrire novità ai suoi
sponsor?
R: L’offerta tecnologica
della nostra azienda si
basa su una serie di
soluzioni sviluppate sia
internamente sia tramite qualificati fornitori
esterni per gestire ed
ottimizzare tutti i processi di uno studio clinico, dalla selezione dei
centri sperimentali, al
consenso
informato
elettronico, al reclutamento dei pazienti , al TMF ed al CTMS . Abbiamo riunito in un’unica piattaforma
chiamata “Genius Suite” tutte le novità dei software per far sì che gli
studi clinici siano sempre più digitali,
cloud, mobile e globali. Una di queste innovazioni è stata anche brevettata e si chiama “Genius Lingo”.
D: Può dirci di che cosa si tratta?
R: Genius Lingo è un’applicazione di
dei dati e per la sicurezza dei pazienti. Inoltre, grazie a collaborazioni
con laboratori di genetica e di biologia molecolare italiani ed internazionali, siamo in grado di offrire anche
studi di sequenziamento del DNA ed
altre analisi per stratificare i pazienti
di uno studio clinico e per interpretarne le risposte individuali in termini
di efficacia e tollerabilità. Si tratta di
un approccio personalizzato che sta
avvenendo in tutto il mondo e sta
portando alla cosiddetta medicina
personalizzata.
D: E’ intenzione di Exom di restare
soltanto in Italia?
D: Quali altre novità offre Exom Research?
R: Molte altre tra cui spicca il modulo
Genius RIBAM (Risk based monitoring & management), un algoritmo
digitale fondamentale per l’identificazione precoce e la gestione dei
potenziali rischi nella conduzione
degli studi clinici. Il sistema consente
infatti di “adattare” le attività di monitoraggio sulle aree e sui centri sperimentali più a rischio per la qualità
R: No, non è sufficiente: l’azienda è
già presente in Germania (con il dipartimento tecnologico e IT) oltre
che in Spagna, Portogallo, Polonia,
Romania e Repubblica Ceca con dei
rappresentati locali per ogni Paese.
Stiamo reclutando personale anche
nel Regno Unito e in Francia.
Siamo infine in contatto con possibili
CRO negli Stati Uniti e nell’area Asia
Pacifico al fine di stringere alleanze
strategiche per poter condurre studi
anche in quelle regioni.
A cura di Marco Romano
Anno IX numero 49
Pagina 10
Gestione del paziente anziano politrattato
nella sperimentazione clinica
Il seminario, organizzato il 26 marzo
scorso, ha portato a Roma, nell’Auditorium Servier, importanti relatori,
davanti ad una platea di circa 50
partecipanti, per affrontare un tema
di grande attualità.
Dopo il consueto benvenuto di Marie
-Georges Besse, e dei moderatori
Salvatore Bianco ed il prof. Pierluigi
Navarra, il seminario si è aperto con
la relazione del prof. Massimo Fini,
Direttore Scientifico IRCCS San Raffaele, Roma, il quale ha delineato le
caratteristiche di un “nuovo paziente” che la medicina si trova oggi a
dover gestire. Il lungo processo di
transizione demografica che ha caratterizzato l’ultimo secolo ha modificato profondamente l’assetto della
popolazione: la fascia dei cinquantenni è oggi quella predominante e,
secondo questa tendenza, nel prossimo ventennio sarà sostituita da
quella dei sessantacinquenni.
Inoltre, la fascia che cresce più rapidamente rispetto alle altre è quella
degli ultra-ottantenni che, in una
buona percentuale dei casi, presenta un cosiddetto “invecchiamento di
successo”, con una vita ancora attiva e buone condizioni cliniche.
La prima caratteristica del paziente
anziano è spesso la “fragilità”, una
sindrome multifattoriale, strettamente correlata al processo di invecchiamento, caratterizzata da un’estrema
vulnerabilità clinica, con conseguente diminuzione della capacità di reagire agli stress.
Il relatore ha ricordato come la fragilità sia direttamente correlata con il
rischio di andare incontro ad ospedalizzazioni e sviluppare disabilità
ma, se opportunamente individuata
e gestita, essa è una condizione
prevenibile e soprattutto reversibile.
Altra caratteristica tipica del paziente
anziano, strettamente correlata con
la fragilità, è la multi-morbilità definita come la coesistenza di due o più
patologie, spesso croniche, che interagiscono tra di loro formando dei
“cluster”, favorendo disabilità e necessitando per questo di cure continue. La politerapia è ormai approccio comune per la gestione del paziente anziano; in realtà il relatore ha
sottolineato come questa sia solo la
via più rapida, focalizzata esclusivamente sulla patologia e non sul paziente. Sarebbe invece necessaria
un’analisi integrata, che valuti la
condizione del singolo malato nella
sua globalità, in modo da scegliere
caso per caso il più corretto approccio terapeutico e garantire un’idonea
assistenza sanitaria.
L’anziano è inoltre un paziente
“costoso”: la fascia degli “over 75” è
quella che consuma maggiormente
farmaci e costa più delle altre al
SSN. E’ però anche una delle fasce
più deboli e con maggiori criticità
sociali che, come emerge da una
recente analisi del Censis, sempre
più spesso è costretta a rinunciare a
cure mediche o ridurre le spese per i
farmaci. Il relatore ha infine ricordato
come l’anziano sia un paziente ancora poco conosciuto dalla comunità
medico-scientifica, in quanto troppo
spesso escluso dagli studi clinici per
età, multimorbidità, polifarmacoterapia o disabilità. Pertanto, si assiste
ad una scarsa trasferibilità dei dati
basati sulle evidenze degli studi clinici, a causa di uno scollamento tra
la popolazione di un studio clinico e
quella reale. Infine, ha ricordato come sia fondamentale passare dall’attuale approccio, incentrato sulle singole patologie d’organo, ad una gestione integrata di questo “nuovo paziente”, sia a livello ospedaliero che
in un contesto territoriale ben strutturato. Per questo è importante attuare
un radicale cambiamento culturale e
formativo, creando figure professionali adeguate, dotate di una visione
multidisciplinare e contestualizzata.
Nella seconda relazione il prof. Vincenzo Mollace (Università “Magna
Græcia”, Catanzaro) ha illustrato
l’utilizzo dei farmaci biologici nel paziente anziano. Dopo una panoramica introduttiva sulla storia, le caratteristiche e le proprietà farmacologiche
dei prodotti biotecnologici, il relatore
ha delineato le due aree terapeutiche in cui lo sviluppo di tali farmaci
ha avuto un ruolo significativo: le
malattie infiammatorie immuno-mediate e le malattie oncologiche.
Le prime comprendono un gruppo
eterogeneo di patologie, accomunate dalla disregolazione della normale
risposta immunitaria, tra le quali una
delle più note è l’artrite reumatoide:
circa un terzo dei pazienti affetti da
artrite mostra un esordio dopo i 60
anni e la prevalenza aumenta con
l’età. Inoltre, questa patologia
nell’anziano sembra essere più aggressiva e disabilitante rispetto al
paziente giovane.
Nell’ultimo ventennio sono stati sviluppati farmaci biotecnologici selettivi, in grado di rallentare o arrestare
la progressione del danno strutturale, migliorando i sintomi e preservando la capacità funzionale. Inducendo
immunosoppressione, tali farmaci
favoriscono però la comparsa di infezioni opportunistiche o di malattie
linfoproliferative; inoltre, alcuni possono causare un aggravamento
dell’insufficienza cardiaca congestizia.
Pertanto, il paziente anziano, spesso
portatore di concomitanti malattie
cardiovascolari e maggiormente suscettibile a sviluppare infezioni, non
sembra essere il miglior candidato a
tali terapie.
Gli studi clinici sull’artrite reumatoide
nell’anziano non sono molti ma, come il relatore ha evidenziato, quelli
disponibili hanno mostrato una soddisfacente risposta clinica ai biologici, quali gli anti-TNFD, senza significative differenze in termini di tollerabilità rispetto al gruppo di controllo di
pazienti giovani.
Questi dati mostrano quindi come
l’età non sia un fattore limitante alla
terapia dell’artrite reumatoide con
anti-TNFD.
Il relatore ha poi ricordato come
l’oncologia sia un altro settore in cui
la ricerca di farmaci biologici innovativi ha fatto enormi passi avanti.
A differenza della classica chemioterapia, che può causare un danno
irreversibile sul miocardio, i biologici
inducono un danno reversibile e non
sono associati ad un aumento del
rischio di mortalità cardiovascolare.
Molti di essi però esercitano un’azione diretta sull’endotelio vascolare,
con conseguente ipertensione o
tromboembolismo venoso, possono
indurre bradicardia o prolungamento
dell’intervallo QT.
(Continua a pagina 11)
Pagina 11
Anno IX numero 49
(Continua da pagina 10)
Il relatore ha sottolineato la necessità di studiare l’azione di questi farmaci in selezionate popolazioni di
pazienti anziani, in modo da ottenere
maggiori informazioni da trasferire
poi nella pratica clinica. La scarsa
trasferibilità delle evidenze generate
dagli studi nella reale pratica clinica
è stata uno degli argomenti principali
trattati dal dott. Carlo Tomino
(IRCCS San Raffaele di Roma).
Egli ha sottolineato l’assoluta necessità
di
incentivare
studi
di
“effectiveness”, che diano una fotografia più realistica della popolazione in trattamento e forniscano dati
robusti di sicurezza ed efficacia a
lungo termine. Ha inoltre evidenziato la chiara necessità di disegnare
studi clinici dedicati alla popolazione
anziana, che abbiano un disegno
scientifico rigoroso ma, contemporaneamente, presentino una maggiore
flessibilità in termini pratici e logistici.
Studi che introducano ad esempio
nuove procedure per i prelievi ematici o nuovi metodi di somministrazione del farmaco, sia in ospedale che
a domicilio, in modo da facilitare
l’accesso per il paziente anziano.
Il relatore ha evidenziato come, accanto a criteri d’inclusione che escludono l’anziano dagli studi, un altro
bias importante nelle sperimentazioni cliniche è rappresentato dal consenso informato.
Questo documento, nato per informare il paziente sullo scopo e le procedure dello studio, è ormai diventato sempre più articolato e complesso, spesso di non facile comprensione. Le procedure di ottenimento del
consenso informato dovrebbe invece
essere adattate ai bisogni e alle difficoltà del paziente anziano. Il relatore
ha inoltre ricordato come, entro un
anno, lo scenario delle sperimentazioni cliniche cambierà radicalmente
con l’implementazione del nuovo
Regolamento Europeo, che prevede,
tra le tante modifiche, la possibilità di
utilizzare un “consenso informato
facilitato” per le sperimentazioni definite “a basso impatto d’intervento”.
In quest’ottica, il ruolo del Comitato
Etico diventerà cruciale per garantire
l’eticità di uno studio, proteggere una
fascia di popolazione vulnerabile
come quella anziana ed assicurare
che le informazioni vengano loro
trasferite in modo completo ma semplice.
La necessità di un cambiamento
culturale e regolatorio ha portato
EMA ad istituire un “gruppo di lavoro
geriatrico” con lo scopo di delineare
linee guida appropriate ed individuare strategie mirate ad incentivare la
ricerca sui farmaci nell’anziano. Una
delle proposte più concrete è l’istituzione di “piani di indagine geriatrica”
che possano favorire lo sviluppo di
studi clinici dedicati al paziente an(Continua a pagina 12)
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Pagina 12
Anno IX numero 49
(Continua da pagina 11)
ziano ed aumentare il
numero di farmaci registrati con una specifica indicazione per
questa particolare popolazione, come già
fatto con i “piani di
indagine pediatrica”. Il
dott. Tomino ha infine
ricordato come il ruolo
del medico di medicina
generale sia fondamentale per un approccio integrato tra la
gestione ospedaliera e
quella territoriale, concordando con il prof.
Fini sulla necessità di
attuare un radicale
intervento a livello culturale, organizzativo ma soprattutto
formativo verso figure professionali
dotate di una visione globale del
paziente anziano.
Il quarto ed ultimo intervento è stato
affidato a Giuseppe Recchia (Gsk)
che ha illustrato come è evoluta la
ricerca farmaceutica negli ultimi anni. Sono cambiati gli attori della ricerca: oggi la scoperta di nuovi farmaci non è più appannaggio esclusivo dell’industria farmaceutica ma è
sempre più spesso affidata al mondo
accademico e al lavoro di fondazioni
che, con il sostegno di associazioni
di pazienti, lavorano per lo sviluppo
di nuove molecole. In questa realtà,
l’azienda farmaceutica non ha più
solo il ruolo di sponsor di studi clinici
ma anche quello di sostenitore di
ricerche no-profit, al fine di incentivare le idee più innovative.
Sono cambiati anche gli obiettivi: la
ricerca oggi è focalizzata sui “bisogni
orfani”, legati a patologie rare e sui
“bisogni residuali”, legati cioè a quella nicchia di pazienti che, nonostante
le terapie disponibili, continua a necessitare di una cura.
Il relatore ha quindi sottolineato come, in questo scenario, il paziente
anziano di per sé non rappresenti
una priorità per l’azienda farmaceutica. Questo è in netta contraddizione
con i dati dell’ultimo “Rapporto sui
Farmaci Prioritari” dell’OMS, che ha
evidenziato come sia proprio la popolazione anziana quella più bisognosa di nuove cure. Questo rapporto evidenzia anche un’altra serie di
problematiche che ruotano intorno
alla terapia del paziente anziano e
alle quali l’azienda dovrebbe dedicarsi, quali la necessità di rivedere i
formati ed i contenuti del foglietto
illustrativo e di sviluppare formulazioni farmaceutiche e confezionamenti più adatti a questa popolazione, in modo da migliorare l’aderenza
alla prescrizione.
Inoltre, come più volte ricordato nel
corso di questo seminario, il paziente anziano è ancora troppo poco
rappresentato negli studi clinici, nonostante molto probabilmente sarà
uno dei maggiori consumatori del
farmaco oggetto di una sperimentazione.
Il dott. Recchia, illustrando i risultati
di uno studio svolto da un gruppo
cooperativo europeo, ha analizzato
le principali cause che portano
all’esclusione dei pazienti anziani
dagli studi clinici e suggerito possibili
soluzioni.
Tra queste, ad esempio, il coinvolgimento di associazioni di pazienti (es.
Federanziani) nella valutazione del
protocollo o nella divulgazione delle
informazioni; la possibilità di facilitare la logistica di uno studio per un
paziente anziano, con visite più flessibili, domiciliari oppure attuare sistemi di rimborso delle spese sostenute per partecipare alla sperimentazione clinica.
Il dott. Recchia ha infine ricordato
come diverse condizioni patologiche
nell’anziano non siano ancora riconosciute come vere indicazioni terapeutiche dalle agenzie regolatorie,
primo fra tutte l’invecchiamento stes-
so.
Ad oggi, diverse aziende stanno lavorando per rallentare il processo di
invecchiamento stesso, in modo da
ritardare la comparsa di patologie ad
esso associate. Il seminario si è concluso infine con una breve revisione
di tutte le relazioni da parte del prof.
Garaci (Rettore Università Telematica San Raffaele Roma) che, in modo puntuale e pragmatico, ha sintetizzato i principali punti di discussione, trattati dai singoli relatori nei loro
interventi.
Il prof. Enrico Garaci ha sottolineato
la necessità di promuovere studi
clinici dedicati alla popolazione anziana e di attuare un radicale cambiamento a livello culturale, formativo e regolatorio, delineando linee
guida specifiche. Inoltre ha ricordato
come sia fondamentale adottare un
approccio terapeutico integrato e
multidisciplinare, per imparare a conoscere e soprattutto gestire correttamente questo nuovo paziente.
Daniela Visini
Le presentazioni autorizzate
sono disponibili sul sito
WWW.SSFA.IT
Anno IX numero 49
Pagina 13
FARMACI ORFANI E MALATTIE RARE
Nell’ambito della continua e produttiva collaborazione in atto fra l’Università di Camerino e SSFA, sono stato invitato ad un
seminario sui farmaci orfani, organizzato a
Loreto lo scorso 28 febbraio 2015, in occasione della giornata mondiale delle malattie rare.
La sala convegni era molto affollata, oltre
duecento persone erano intervenute per
ascoltare le due relazioni in programma
(quella della drssa Domenica Taruscio del
centro malattie rare di ISS e la mia sul ruolo delle aziende farmaceutiche in questo
settore). Il programma è stato poi arricchito
da numerose testimonianze di pazienti,
oppure di familiari di pazienti affetti da una
patologia rara, i quali hanno raccontato
con viva commozione non solo le difficoltà
della diagnosi e della terapia, ma anche il
sostegno che molte strutture hanno saputo
offrire loro.
Un convegno di grande umanità, che ha
visto SSFA in primo piano. E l’impegno di SSFA in questo settore continua: al prossimo congresso nazionale SIF
(Napoli, ottobre 2015), SSFA e SIF organizzeranno un simposio sul tema dei farmaci orfani e delle malattie rare.
Domenico Criscuolo
AGGIORNA I TUOI DATI NELLA BANCA DATI SOCI SSFA
Scarica la scheda aggiornamenti dati SOCIO dal sito www.ssfa.it ed inviala in segreteria.
Grazie della collaborazione.
Pagina 14
Anno IX numero 49
NOTIZIE DAI MASTER
Giovedì 9 aprile, con una sessione
speciale, ha avuto luogo l’inaugurazione della settima edizione del
master in Ricerca e Sviluppo Preclinico e Clinico dei Farmaci, presso
l’Università di Milano Bicocca. Nel
dare il benvenuto ai trenta studenti, il
direttore prof. Vittorio Locatelli (nella
foto) ha ricordato il grande impegno
che tutti i docenti dedicano alle lezioni, ed in particolare ha ringraziato la
SSFA per il determinante contributo
che offre, sia nella fase di impostazione del programma, sia nella identificazione dei docenti più preparati,
sia infine nella ricerca di posizioni
per lo stage, che costituisce parte
integrante del programma didattico
del master. La giornata è poi proseguita con una dettagliata presentazione della dr.ssa Elena Bresciani
(riportata qui di seguito), che come
di consueto ha svolto un’accurata
analisi delle caratteristiche degli studenti. E’ poi intervenuto Luciano
Fuccella, con una presentazione su
SSFA, IFAPP e Medicina Farmaceutica. Le lezioni della mattina si sono
concluse con un intervento del sottoscritto, che ha illustrato il progetto
PharmaTrain, ed il programma che
porta al titolo di “Specialist in Medicines Development”, di cui si parlerà a
lungo nel congresso di Roma del 1011 giugno. Dopo la pausa pranzo, il
dr Antonio Torsello ha fornito utili
informazioni sulla logistica delle lezioni, e su come poterle risentire a
casa, rivedendo anche le diapositive
presentate. A conclusione, il dr Giuseppe Cristoferi, un consulente per
la selezione del personale, ha svolto
una interessante lezione sull’approccio vincente al colloquio di assunzione, invitando alcuni studenti a
fare un test, per correggere errori e
fornire utili consigli. La settima edizione del master Bicocca è dunque
iniziata, e SSFA continuerà a dare
un contributo sostanziale a questa
iniziativa.
Domenico Criscuolo
Master Bicocca – settima edizione
E’ partita anche quest’anno la nuova
edizione Master in Ricerca e Sviluppo Preclinico e Clinico dei Farmaci,
organizzato dall’Università di Milano
Bicocca in collaborazione con la
SSFA.
Il master, giunto alla settima edizione, ha ottenuto negli anni una posizione consolidata nel panorama italiano dell’offerta formativa postlaurea, testimoniata anche dalle numerose richieste di potervi partecipare
arrivate nella fase, o addirittura dopo
la conclusione, della selezione.
La selezione si è fondata sugli stessi
criteri adottati lo scorso anno, che si
sono dimostrati buoni rispetto alla
possibilità di scegliere candidati preparati e “appetibili” per le aziende
del settore.
Le prove a cui sono stati sottoposti
gli aspiranti studenti sono state, in
ordine temporale: 1) prova scritta di
inglese, basata sulla comprensione
dell’inglese scientifico e sulla conoscenza di argomenti scientifici di
base; 2) colloquio individuale di tipo
motivazionale, in cui è stata valutata
anche la capacità di esprimersi oralmente in inglese. Il punteggio del
curriculum vitae e dei titoli è stato
meno rilevante, rispetto alle annate
Figura 1 : Le lauree degli studenti (B=biologia; BT=biotecnologia;
CTF=chimica e tecnologia farmaceutica; F=farmacia; M=medicina)
precedenti. Sono pervenute circa 70
domande, un po’ da tutta Italia per i
classici 30 posti disponibili.
Tra quelli che avevano conseguito
un buon punteggio nella prova di
inglese, la selezione non è stata facile, in quanto molti erano i candidati
dotati di un buon profilo. Tra i primi
30 della graduatoria di selezione,
solo tre hanno rinunciato all’iscrizione, consentendo così ai primi tra
gli idonei di essere ripescati e di poter accedere così al master.
La classe risultante è abbastanza
eterogenea per tipologia di laurea,
provenienza geografica ed età. In
linea con l’anno passato, il dato che
emerge è la forte preponderanza
degli studenti con laurea in farmacia
o CTF: insieme rappresentano circa
un terzo della classe, preceduti soltanto dai biotecnologi, la categoria
come sempre dominante, mentre la
percentuale dei biologi è rimasta
costante.
Nella classe è presente anche un
laureato in medicina, un evento non
isolato, ma comunque raro.
A questo proposito, è opportuno segnalare come sia da parte delle aziende che da parte dell’utenza ci
sia un interesse sempre maggiore
per questi candidati (Figura 1).
Più della metà degli iscritti proviene
da atenei del Nord Italia; la parte
restante è divisa tra il Sud e il Centro
(Figura 2).
(Continua a pagina 15)
Anno IX numero 49
Pagina 15
(Continua da pagina 14)
Figura 2: Area geografica di provenienza degli studenti
Riguardo all’età, la classe è prevalentemente composta da soggetti
con un’età inferiore ai 35 anni, pur
rimanendo una piccola percentuale
di oltre 35 anni (Figura 3).
Attualmente, due terzi degli iscritti
sono senza un’occupazione lavorativa; tra gli occupati, molti hanno situazioni non stabili, spesso nella
ricerca di base, e solo il 10% ha già
un impiego nel settore della ricerca
clinica.
La scelta di iscriversi al master è
stata dettata per molti dalla necessità di avere una formazione necessaria per avere accesso al mondo della
ricerca clinica, spesso precluso a chi
non possiede un’esperienza pregressa nel settore, o dalla volontà di
cambiare tipologia di lavoro.
La preferenza per questo master e
non per altri simili presenti sul territorio italiano, per la maggior parte di
loro trae origine dalle buone parole
spese dagli amici o da conoscenti
che in passato lo avevano frequentato o da ex studenti contattati mediante Linkedin; l’aspetto più apprezzato di tutti è il riconoscimento
della affidabilità del master in termini
di poter offrire una possibilità concreta di stage in aziende del settore,
considerato, a ragione, una buona
occasione per acquisire esperienza
e competenze da spendere in futuro
per una eventuale posizione lavorati-
Figura 3 : Età degli studenti
va.
Gli ottimi dati di placement ottenuti
nelle scorse edizioni (Figura 4), nonostante il periodo di crisi, sono stati
in parte confermati anche nell’edizione che sta per terminare: ad oggi,
infatti il 15% degli studenti ha convertito lo stage in un contratto di lavoro a tempo determinato per un
anno, oppure di apprendistato, ancora prima della fine del master.
Elena Bresciani
Figura 4 : Situazione lavorativa (verde=occupati; rosso=inattesa di occupazione), in base alle edizioni del master.
Anno IX numero 49
Pagina 16
Il trattamento del dolore post-operatorio: un esempio di medicina
personalizzata?
(prima parte)
Il trattamento del dolore postoperatorio (POP) è una problematica di grande rilevanza in ambito
sanitario.
Ogni anno negli Stati Uniti e nei
paesi occidentali vengono eseguiti
più di 73 milioni di interventi chirurgici e fino al 75 % dei pazienti sperimenta un’esperienza di dolore postoperatorio, di entità più o meno intensa, con un costo di circa 100
miliardi di dollari all’anno in cure
mediche, perdita di produttività e
disabilità, ed un costo supplementare annuo totale in termini di assi-
ne inter-individuale nella risposta ai
farmaci. Recenti stime, infatti, indicano che solo un quarto dei pazienti
che si sottopongono ad un intervento chirurgico rispondono adeguatamente al trattamento farmacologico
nei casi di dolore post-operatorio.
È stato ipotizzato che questa differenza inter-individuale nella risposta
al trattamento possa dipendere non
solo da diversi fattori ambientali e
non, come l'età, il sesso, una differente soglia del dolore, la presenza
di malattie concomitanti, ma anche
da fattori genetici.
infiammatori non steroidei (FANS).
Tuttavia, nonostante numerosi studi
indichino un ruolo importante svolto
dal sistema del citocromo P450
(CYP) e in particolare dei polimorfismi funzionali del CYP2D6 nell'influenzare la risposta alla terapia
antidolorifica, è ancora oggetto di
discussione l'utilità di analizzare il
genotipo CYP2D6 nelle unità di Terapia Intensiva Post-operatoria per
identificare i pazienti con differenti
risposte al trattamento del dolore
post-operatorio.
Scopo di un nostro recente studio è
stenza sanitaria a causa di sindromi
dolorose che si aggira intorno ai
500 miliardi di dollari.
Per questo motivo, appare auspicabile un nuovo tipo di impostazione
nella gestione del dolore postoperatorio per poterne ridurre i costi. Tuttavia, nonostante i recenti
progressi della medicina, i risultati
ottenuti non sembrano ancora ottimali, a causa di un'ampia variazio-
In particolare, i polimorfismi degli
enzimi che metabolizzano la maggior parte dei farmaci riguardanti i
geni che codificano il sistema enzimatico del citocromo P450 (CYP)
potrebbero spiegare bene la variabilità inter-individuale osservata nella risposta ai farmaci, compresi
quelli comunemente usati per il trattamento del dolore post-operatorio,
come gli oppiacei e i farmaci anti-
stato quello di indagare il ruolo dei
polimorfismi funzionali del CYP2D6
nella risposta al protocollo farmacologico del dolore post-operatorio
attualmente in uso nell’unità di Terapia
Intensiva
Post-operatoria
dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo,
per identificare i pazienti con risposte potenzialmente diverse. Sono
(Continua a pagina 17)
Anno IX numero 49
(Continua da pagina 16)
stati coinvolti nello studio 90 pazienti, 38 uomini e 52 donne, nella fascia d’età compresa tra 22 e 85 anni, sottoposti ad interventi chirurgici
maggiori presso le unità di Chirurgia
Toracica e Addominale.
I motivi di esclusione dallo studio
includevano: storia di alcol e tossicodipendenza, storia di dolore cronico trattato con farmaci oppiacei,
malattie neurologiche e psichiatriche, gravi complicazioni peri-operatorie o altre condizioni potenzialmente influenzanti la corretta valutazione del dolore, intolleranza agli
oppiacei e infine assunzione di farmaci ampiamente metabolizzati dal
CYP2D6.
Per il trattamento del dolore postoperatorio sono stati impiegati cinque farmaci: ketoprofene, metoclopramide, morfina, ranitidina e tramadolo, a diversi dosaggi, in base a
tre livelli di intensità del dolore prevedibili (lieve/moderata/grave) e
secondo un protocollo standardizzato (Patient Controlled Analgesia,
PCA). L’intensità del dolore postoperatorio è stata valutata mediante
l’utilizzo di una scala numerica, la
NRS (Numeric Rating Scale), utilizzata dai pazienti per descrivere
l’intensità del dolore in una gamma
che andava da 0-3 (lieve dolore), 47 (dolore moderato) e 8-10 (dolore
severo).
Invece, lo stato di sedazione del
paziente (ansioso, irrequieto, orientato, tranquillo, cooperante) è stata
valutato mediante la RSS (Ramsay
Sedation Scale), una scala in 8
punti. Sia la NRS che la RSS sono
state somministrate subito dopo il
risveglio del paziente, e poi a 30
minuti, 2 ore, 6 ore, 12 ore e 24 ore
dopo l'intervento chirurgico.
L'analisi genetica dei 16 polimorfismi del gene CYP2D6 che hanno
rilevanza clinica è stata eseguita
con un analizzatore INFINITI (AutoGenomics, Inc., Carlsbad, California, USA, distribuito in Italia dalla
Medical System).
In questa prima fase, non avendo
dosato i livelli sierici dei metaboliti
dei farmaci utilizzati e per semplificare significativamente l'analisi e
ridurre il numero dei dati di genotipizzazione da elaborare, abbiamo
suddiviso i pazienti in base all’attività enzimatica associata ad ogni
Pagina 17
allele CYP2D6, come riportato dai
data base della letteratura [The Human Cytochrome P450 (CYP) Allele
Nomenclature Database], in quattro
classi metaboliche: il 6,67 % di metabolizzatori ultrarapidi (UM – Ultrarapid Metabolizers), aventi un grado
di attività enzimatica (EA) maggiore
del 100 %; il 61,11 % di metabolizzatori estensivi (EM – Extensive
Metabolizers) con un grado di attività enzimatica compresa tra il 50 %
e il 100 %; il 28,89 % di metabolizzatori intermedi (IM – Intermediate
Metabolizers) in cui l’attività enzimatica complessiva era inferiore al 50
%; il 3,33 % di metabolizzatori lenti
(PM – Poor Metabolizers) in cui
l’attività enzimatica era praticamente nulla.
Questa distribuzione percentuale è
in accordo con la frequenza fenotipica osservata nella popolazione
caucasica.
Il primo dato che emerge dallo studio è che il protocollo standard utilizzato comprendeva farmaci come
ketoprofene, ranitidina, tramadolo,
metoclopramide e morfina che, oltre
ad essere substrati, sono anche
inibitori del CYP2D6.
Queste azioni concomitanti sull’attività dell’enzima possono portare a
due diverse interazioni, cioè interazione substrato/substrato ed interazione inibitore/substrato, suggerendo una particolare attenzione e prudenza nella somministrazione e
nella posologia dei farmaci. Infatti,
osservando le caratteristiche e i
risultati clinici delle quattro classi
metaboliche del CYP2D6, è stato
evidenziato come un grado maggiore di analgesia e sedazione ai vari
tempi è stato ottenuto solamente
nel caso dei metabolizzatori estensivi (EM) e di quelli intermedi (IM), e
che questa risposta era indipendente da sesso, età e peso. Mentre, un
grado minore di analgesia e sedazione era osservato nei metabolizzatori ultrarapidi (UM) e lenti (PM),
sempre ai vari tempi. Questa differenza si evidenziava soprattutto a
24 ore dall’intervento chirurgico e
mostrava significative differenze
anche tra i metabolizzatori estensivi
e quelli intermedi, con un maggior
grado di analgesia e sedazione mostrato dai primi. Anche se preliminari, questi risultati, specialmente se
confermati da ulteriori analisi condotte su un più ampio numero di
pazienti, suggeriscono una potenziale utilità dell’analisi del ruolo dei
polimorfismi funzionali del CYP2D6
nella risposta al trattamento farmacologico del dolore post-operatorio,
specialmente quando sono utilizzati
protocolli terapeutici standardizzati
come quello in uso nell’unità di Terapia Intensiva Post-operatoria del
nostro studio. Questo per poter controllare al meglio e, ove possibile
ottimizzare, la risposta delle varie
classi di pazienti ai farmaci antidolorifici usati, dal momento che sembra
ormai assodato che i pazienti non
rispondono tutti nella stessa maniera agli stimoli dolorosi.
Stefano Angelo Santini
Bibliografia
“Role of CYP2D6 genotypes in the outcome of post-operative pain treatment”. D Seripa, P Latina, A Fontana, C Gravina, M Lattanzi, M Savino, A P
Gallo, G Melchionda, S A Santini, M Margaglione, M Copetti, L di Mauro, F
Panza, A Greco, A Pilotto. Pain Medicine, in press, 2015
Anno IX numero 49
Pagina 18
Oggi parliamo di….
Sperimentazione animale nello spazio con Pleurodeles waltl
Pleurodeles waltl (P. waltl) è un tritone, anfibio urodelo (cioè dotato di
coda) endemico della penisola iberica centro-meridionale e del nord del
Marocco. Quando percepisce un
pericolo, questo tritone mette in atto
un originale comportamento difensivo (di qui l’appellativo sharp-ribbed
newt): allarga, verso l’esterno, le
costole fino a quando queste, puntute e taglienti, formano un angolo
di circa 50° con la spina dorsale e
forano la parete corporea in corrispondenza di piccole chiazze color
giallo-arancione-ruggine, simili a
verruche, allineate lungo la cute dei
fianchi. Le punte delle costole, uscite all’esterno, vengono ricoperte da
un liquido lattiginoso che contiene
sostanze tossiche e irritanti, secrete
da ghiandole granulari cutanee distribuite su tutta la superficie corporea, più fittamente concentrate nella
cute del capo, dietro gli occhi, realizzando un primitivo e rudimentale
sistema di inoculazione multipla di
sostanze velenose. Innocuo per
l’uomo, è un meccanismo molto
efficace, pungente e doloroso, che
inietta tossine attraverso la sottile
mucosa orale del predatore di turno, mentre tenta di mordere il tritone, provocandogli un forte dolore e,
talora, causandone la morte. L’efficiente sistema immunitario del tritone, ed il collagene che ricopre le
costole, facilitano la rapida cicatrizzazione della cute, senza rischio di
infezioni. P. waltl ha capo tozzo e
piatto, con piccoli occhi e palpebre
mobili. La coda, pari a metà della
lunghezza del corpo, ha una stretta
pinna, particolarmente adatta al
nuoto. P. waltl è legato all’habitat
acquatico: sebbene si muova facilmente sul terreno, molto raramente
lascia l’acqua e vive in stagni, cisterne e pozzi di antichi villaggi,
frequenti in Portogallo e Spagna.
Anfibi di varie specie sono stati usati in ricerche di biologia spaziale in
assenza di gravità, o in microgravità. La femmina di P. waltl trattiene
in vita lo sperma, nella cloaca, fino
a 5 mesi dopo l’accoppiamento e
ciò ne fa un modello ideale di vertebrato per studi di fisiologia ed embriologia nello spazio, in condizioni
di microgravità. Infatti, grazie a questa caratteristica, la femmina può
essere inseminata sulla terra e poi
fertilizzata, durante il volo spaziale,
per stimolazione ormonale. Altra
peculiarità di questa specie è lo sviluppo che, essendo molto lento, facilita lo studio dell’ontogenesi,
dall’oocita fino all’embrione che
nuota (girino o larva). Le femmine di
P. waltl hanno partecipato a ben 8
missioni spaziali. Nella prima
(1985), a bordo del satellite Bion 7,
10 tritoni erano in compagnia di 2
macachi rhesus e di 10 ratti. Bion
10 (1992) e Bion 11 (1996) sono i
satelliti che hanno ospitato P. waltl
durante altre due missioni spaziali,
la cui serie è continuata, sulla stazione spaziale Mir, con studi di follow-up nel 1998 e nel 1999. Anche
Foton-M2 (2005) e Foton-M3
(2007), in orbita a circa 300 km dalla terra e della durata di 16 e 12
giorni, hanno visto P. waltl coinvolto
in importanti esperimenti, insieme a
lumache (Helix lucorn e Helix aspera), gechi (Pachidactylus turneri),
gerbilli della Mongolia (Meriones
unguiculatus)
e
microrganismi
(Streptomyces lividans 66, Escherichia coli ed altri). Obiettivo principale di questi esperimenti era lo studio
degli effetti della microgravità sul
comportamento di sistemi viventi,
sulla loro struttura e fisiologia, sulla
rigenerazione posttraumatica di ossa,
tessuti ed organi,
sull’ereditarietà stabile del plasmide pIJ
702, promotore del
gene della tirosina
chinasi e sulla sintesi di melanina da
parte di streptomiceti. Le ricerche che
più ci interessano
vertevano sulla potenzialità di P. waltl
di rigenerare tessuti
danneggiati - rigenerazione risultata
più veloce nello
spazio e due volte
più rapida negli stadi precoci di sviluppo - e le fasi della
riproduzione e dello sviluppo nello
spazio. Sono stati anche eseguiti,
sulla terra, esperimenti in ipergravità (fino a 3 G), sulla fertilizzazione
delle uova di P. waltl e ricerche sulla fertilità dei tritoni nati durante la
spedizione spaziale, risultati fertili e
privi di alterazioni fisiche e comportamentali. Questo tritone è un modello animale unico per studi sulla
rigenerazione dei tessuti danneggiati: è capace di rigenerare zampe
amputate e tessuti lesionati dell’occhio, del cervello, del midollo spinale, dell’intestino e del cuore. Gli studi sui meccanismi genetici alla base
della rigenerazione sono stati a lungo ostacolati dalle difficoltà incontrate nell’allevamento in cattività.
Una volta messe a punto le condizioni ideali di allevamento, P. waltl è
risultata la specie più adatta per
questo tipo di ricerca, anche perché
può deporre, durante tutto l’anno,
fino a 150 uova fertilizzate ogni due
settimane. Studi recenti hanno messo a punto metodi per l’inseminazione artificiale e la transgenesi,
e per migliorare e incrementare
l’uso di questa specie in studi di
genetica molecolare. I vantaggi offerti in questi esperimenti consistono nel fatto che 1) le femmine, accoppiate sulla terra e fecondate con
trattamento ormonale nello spazio,
(Continua a pagina 19)
Anno IX numero 49
Pagina 19
depositano uova fecondate in assenza del maschio, 2) il loro ritmo di
sviluppo è più lento che nell’anuro
Xenopus, altro frequent flier di navicelle spaziali e 3) le caratteristiche
fisiologiche permettono a questi anfibi di vivere in un contenitore d’acqua
chiuso, o in un ambiente umidificato,
e di sopportare il digiuno per vari
giorni. Il principale obiettivo degli
esperimenti spaziali era rispondere
ai seguenti interrogativi: 1) la fertilizzazione delle uova si realizza normalmente in condizioni di microgravità? 2) il successivo sviluppo embrionale è normale in microgravità?
3) sviluppo e capacità riproduttiva
sono normali dopo il ritorno sulla
terra? 4) la microgravità incide su
sviluppo e fisiologia degli organi
dell’animale adulto? 5) la microgravità influenza la rigenerazione di tessuti ed organi? La fertilizzazione
avviene regolarmente nello spazio,
lo spazio e quelli nati sulla terra. Inoltre, le progenie degli
Pleurodeli della missione spaziale e dei controlli rimasti sulla
terra non presentavano differenze significative. Va detto
che, soprattutto nelle prime
missioni spaziali, il numero dei
tritoni studiati era basso, tanto
da non permettere di trarre
conclusioni definitive sugli specifici effetti della microgravità.
Inoltre, in alcune missioni spaziali, la termostatazione non era ben
regolata e, durante la permanenza
nello spazio, si sono verificati innalzamenti della temperatura. Perciò, le
condizioni nelle quali si sono svolte
queste missioni spaziali hanno influenzato sicuramente i campioni
biologici e, quindi, anche i risultati e
la loro interpretazione. Il volo e la
permanenza nello spazio hanno indotto evidenti effetti sulla rigenerazione di organi e tessuti ma, più spe-
ma il successivo sviluppo embrionale in microgravità risulta alterato: si
sono osservate anomalie quali movimenti citoplasmatici corticali, diminuita adesione cellulare e perdita di
cellule. Tuttavia, sebbene le fasi precoci dello sviluppo non siano strettamente normali a causa dei fenomeni
di regolazione embrionale, le giovani
larve, alla schiusa delle uova, presentano fenotipi normali e normale
comportamento natatorio. Al termine
della missione, e fino all’età adulta,
non si sono osservate differenze
comportamentali tra i tritoni nati nel-
cificamente, hanno prodotto effetti a
lungo termine, durati varie settimane
dopo il ritorno dei tritoni sulla terra.
Un esempio di questa tipologia di
risultati è stato registrato per gli otoconia parecchi mesi dopo l’atterraggio. Gli otoconia, piccoli cristalli
di CaCO3 (calcite) presenti nel sacculo e nell’utricolo dell’orecchio, sotto l’effetto dell’accelerazione lineare,
stimolano le cellule capellute.
L’esperimento Torcol, ospitato sul
“taxi” Soyuz, durante il volo Perseo
alla stazione spaziale MIR, dimostrò
che, dopo una lunga missione spa-
(Continua da pagina 18)
ziale, gli otoconia di calcite erano
alterati in Pleurodeli adulti. Finora
non sono state formulate ipotesi definitive sull’interpretazione di queste
osservazioni. I risultati fanno pensare che la rigenerazione dei tessuti,
negli urodeli esposti alle sollecitazioni del viaggio spaziale, sia alterata in
modo tessuto-specifico e che possa
risultare in una crescita tissutale rigenerativa e in un differenziamento
anormale. P. waltl è stato modello
animale in altre ricerche spaziali sulla biologia dello sviluppo in condizioni di microgravità e sulla genetica
molecolare durante la rigenerazione
di
tessuti
danneggiati,
sulla
deregulation del sistema immunitario
indotta dal volo spaziale e sugli effetti dell’ipergravità sul tessuto emopoietico e sui meccanismi che guidano induzione e determinazione
neurali. Studi condotti in condizioni
normali sulla terra hanno riguardato
il ricupero della locomozione in P.
waltl dopo resezione totale del midollo spinale, la rigenerazione del
nervo ottico danneggiato, degli arti e
della coda parzialmente amputati.
Ma le ricerche nelle quali P. waltl ha
svolto un ruolo chiave hanno riguardato i meccanismi di rigenerazione
della retina: a differenza di altri vertebrati, questo urodelo mantiene,
durante tutta la vita, la potenzialità di
rigenerare le strutture oculari danneggiate. Ricercatori russi hanno
focalizzato le loro ricerche sulle cellule che contribuiscono alla rigenerazione della retina, sui fattori che controllano il processo rigenerativo e sui
geni espressi nel corso di tale processo.
Domenico Barone
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Le norme del Regolamento UE n. 536/2014 per il rispetto dei requisiti di
qualità nelle sperimentazioni cliniche dei medicinali
(I Parte)
INTRODUZIONE
Il presente articolo prosegue il lavoro di approfondimento di alcuni aspetti del Regolamento UE (R) sulle
sperimentazioni
dei
medicinali
(Clinical Trials - CT), iniziato nei
precedenti numeri di SSFAoggi,
analizzando ora le norme per il rispetto dei requisiti di Qualità (Q) .
Tale analisi è ovviamente complementare e con dei richiami a quanto
compiuto nel precedente articolo
sul R e le GCP (1) essendo la Q
tematica insita nelle GCP .
ENUNCIAZIONI E PRINCIPI GENERALI
Nel R, come già ampiamente analizzato nel precedente articolo (1),
vi sono delle enunciazioni di carattere generale sugli obblighi di osservare le GCP e quindi di ottemperare alle relative procedure e requisiti di Q; tuttavia queste enunciazioni hanno una serie di distinguo, limitazioni, ambiguità che ne indeboliscono la portata rispetto alle Direttive 2001/20 e 2005/28 (d’ora in poi
Direttive) (1). A bilanciare quanto
sopra il R riporta altri elementi di
carattere generale che sanciscono
l’obbligo di seguire rigorose procedure di Q nella esecuzione delle
sperimentazioni. Infatti l’Articolo 3
enuncia il seguente Principio generale : “Una sperimentazione clinica
può essere condotta esclusivamente se (.......) è progettata per generare dati affidabili e robusti”. In
maniera complementare l’ Art. 6
( Relazione di valutazione : Aspetti
compresi nella parte I) , recita :
“1.Lo Stato membro relatore valuta
la domanda di autorizzazione con
riferimento ai seguenti aspetti:
(..................) l'affidabilità e la robustezza dei dati ottenuti dalla sperimentazione clinica.”
E’ opportuno rimarcare che per la
prima volta nella normativa comunitaria cogente si esplicita in maniera
specifica che il CT possa essere
condotto solo se già nella progettazione siano presenti impostazioni
atte a garantire la Q della sua esecuzione e quindi a generare dati
affidabili. Ovviamente tale concetto
nelle direttive attuali è compreso
nell’obbligo di seguire le GCP, ma il
fatto che il R estrapoli questo speci-
fico aspetto dai principi delle GCP,
e lo connoti esplicitamente come un
principio generale del R stesso, richiama l’attenzione rispettivamente
dei promotori e dei valutatori a presentare ed approvare solo sperimentazioni conformi ab initio a
quanto sopra. Inoltre Il R nel differenziare la “affidabilità” dalla
“robustezza” dei dati attribuisce ,
rispetto alle norme vigenti, ove non
è mai utilizzato quest’ultimo termine, maggior enfasi agli aspetti procedurali di qualità nella esecuzione
dei CT, che determinano appunto la
“affidabilità” o credibilità dei dati;
aspetto diverso dalla “robustezza”,
da intendersi invece come termine
che connota i risultati sperimentali
di sicura validità scientifica, metodologica e statistica. Un’ulteriore conferma che il R abbia voluto elevare
l’obbligo di garantire la Q nei CT a
principio di carattere generale del R
stesso, si evidenzia anche nell’
allegato 1 (Predisposizione del Fascicolo di Domanda Iniziale Parte
“A”) , nel paragrafo intitolato appunto “Introduzione e Principi Generali”
ove si prevede che la firma del
promotore sulla domanda confermi
che le informazioni fornite siano
complete; che i documenti rappresentino un resoconto preciso delle
informazioni disponibili e che il CT
verrà condotto conformemente al
protocollo e al R stesso.
SPECIFICHE PRESCRIZIONI
Al contrario delle direttive, numerosissime ed analitiche sono le prescrizioni di carattere specifico contenute nelle diverse parti del R per
ottenere la conformità a requisiti di
qualità. Per motivi redazionali
l’analisi di tali prescrizioni sarà pubblicata in due parti, escludendo
quanto il R ha ripreso dalle direttive
vigenti, e in questo numero saranno
sinteticamente valutati i seguenti
aspetti relativi alla qualità: a) la
documentazione di carattere generale a fini autorizzativi (esclusi i
dettagli GMP); b) il protocollo e il
monitoraggio .
Qualità in tema di documentazione generale, di fascicolo di domanda di autorizzazione e di relative valutazioni Nel richiamato
Articolo 6 (Relazione di valutazione:
Aspetti compresi nella parte I ) si
prevede, oltre a quanto già esposto,
la valutazione a fini autorizzativi di
numerosi aspetti nel campo della
qualità che le attuali direttive hanno
rinviato a successive indicazioni/
linee guida della Commissione UE
e che, in quanto tali, non possono
rivestire obblighi equivalenti a quelli
delle direttive stesse se gli Stati
membri (MS) non li prevedono con
proprio atto normativo. In tale ambito le garanzie richieste dal R tramite
l’obbligo per il MS relatore di valutare gli aspetti di Q delle informazioni
contenute nel fascicolo di domanda
di autorizzazione ( art. 6, comma 1)
non si limitano alle informazioni
relative al nuovo CT da autorizzare,
ma si estende anche ai dati e risultati di precedenti indagini che vengono presentati a supporto della
nuova richiesta (art. 25 , Dati presentati nel fascicolo di domanda ) .
A questo riguardo il richiamato Articolo 25 richiede che le informazioni
non cliniche presentate si basino su
dati ottenuti in conformità ai principi
di GLP ( comma 3) e, se si fa riferimento a dati ottenuti in una sperimentazione clinica, essa deve essere stata condotta in conformità al
R oppure, se prima della sua applicazione, in conformità alla Direttiva
2001/20( comma 4), cioè ai principi
GCP. Inoltre la prescrizione di basare le valutazione su dati di supporto ottenuti secondo principi di Q,
si estende anche ai CT di riferimento condotti al di fuori dell' UE,
che debbono essere in conformità a
principi equivalenti a quelli stabiliti
dal R stesso, tra i quali quelli in
materia di affidabilità dei dati (art.
25, comma 5)
A rafforzamento dell’importanza di
seguire tali aspetti di Q, il R prevede ( art 25, comma 7 ) che i dati
presentati in un fascicolo di domanda non conformi a quanto sopra
esposto, non siano presi in considerazione nella valutazione di una
domanda di autorizzazione per un
CT. Anche tale aspetto non è presente nelle attuali direttive sui CT.
Nell’ allegato relativo al fascicolo di
domanda ( all. 1 , lettera D) troviamo una completezza di misure che
(Continua a pagina 21)
Anno IX numero 49
(Continua da pagina 20)
riprendono praticamente tutto ciò
che in materia di qualità è previsto
per il protocollo dalle GCP e dalle
“Indicazioni Dettagliate” emanate
della Commissione UE ai sensi della Direttiva 2001/20, ma che qui
hanno un valore di cogenza ben
superiore, prevedendo anche, rispetto ai suddetti documenti normativi, ulteriori requisiti e la descrizione delle relative procedure , ad es.
nel campo della tutela dei dati personali [punto 17) s), ak), al)] o sullo
Statuto/Carta del Comitato di monitoraggio dei dati e della sicurezza
( all. 1 punto 23).
Elementi del protocollo e del monitoraggio ai fini della qualità nella conduzione della sperimentazione. Le indicazioni di maggior
dettaglio per il rispetto della qualità
nella conduzione dei CT sono contenute nelle diverse parti del R relative al protocollo. Come ricordato
nella precedente analisi (1 ), l’art.
47 dedicato alla “Conformità al protocollo e alla buona pratica clinica “
prevede che: “Il promotore e lo
sperimentatore garantiscono che il
CT sia condotto in conformità al
protocollo e ai principi GCP e, fatte
salve altre disposizioni UE , debbono tenere conto degli standard di
qualità e delle linee guida ICH di
buona pratica clinica.” Nel rinviare
a quanto precedentemente pubblicato (1) per un approfondimento
sulle limitazioni di tale espressione,
si vuole qui richiamare l’attenzione
sul fatto che“ gli standard di qualità”
sono citati esplicitamente pur essendo parte delle GCP ICH, come
per dare una specifica enfasi agli
aspetti di qualità delle GCP, rispetto
agli altri contenuti delle linee guida
ICH. Un aspetto particolare non
trattato nella Direttiva 2001/20, e
solamente citato nella Direttiva
2005/28 nei principi GCP dell’UE
( art.4 ), è quello relativo al monitoraggio. Al riguardo l’Articolo 48 del
R recita: “Al fine di verificare che i
diritti, la sicurezza e il benessere
dei soggetti siano protetti, che i dati
comunicati siano affidabili e robusti
e che la sperimentazione clinica sia
condotta nel rispetto delle disposizioni del presente regolamento, il
promotore monitora adeguatamente
la conduzione di una sperimentazione clinica. L'entità e la natura del
monitoraggio sono determinate dal
promotore sulla base di una valuta-
Pagina 21
zione che tenga conto di tutte le
caratteristiche della sperimentazione clinica, comprese le seguenti: a)
il fatto che si tratti o no di una sperimentazione clinica a basso livello di
intervento; b) l'obiettivo e la metodologia della sperimentazione clinica; e c) il grado di scostamento
dell'intervento dalla normale pratica
clinica.” Da quanto sopra derivano
tre considerazioni. La prima è che il
monitoraggio diviene un obbligo in
ambito UE per tutte le tipologie di
CT, siano esse a fini commerciali o
non commerciali , mentre la Direttiva 2005/28, pur prevedendolo
all’art.4 , ne consente ai MS la deroga per i CT no profit con il “considerando n.11” (2). La seconda considerazione è che l’art. 48 del R nel
sottolineare l’obbligo del monitoraggio ne mutua dalle GCP ICH quasi
completamente sia le finalità (GCP
par. 5.18.1 ) sia il concetto di adattamento alle caratteristiche del CT
( GCP par. 5.18.3) e di risk based
monitoring. La terza considerazione è che il R , attribuendo implicitamente e quasi in maniera automatica un monitoraggio meno rigoroso
alle sperimentazioni “ a basso livello
di intervento” (3) ( forse perché si
tratta di CT prevalentemente no
profit?) ritenute meno rischiose per
la salute dei pazienti, sembrerebbe
minimizzare la finalità del monitoraggio di garantire l’affidabilità dei
risultati in questa tipologia di CT.
Infatti se questi CT, con IMP dotato
di AIC e fondamentalmente di Fase
IV, possono in alcuni casi presentare rischi contenuti per i pazienti,
(tuttavia non in casi di patologie
gravi e di IMP con AIC che comportino reazioni avverse serie ), è anche vero che possono comunque
rivestire una complessità di progettazione, procedurale, di protocollo,
tale da presentare rischi per la qualità e da richiedere un monitoraggio
di livello non inferiore rispetto alle
altre. Un aspetto innovativo per garantire la qualità dei CT è la disposizione relativa alla comunicazione
di “gravi violazioni (Art. 52, comma
1)” del R o del protocollo da parte
del promotore, che ha l’obbligo di
notificarle ( entro 7 giorni) agli Stati
membri interessati. Il R specifica
( Art. 52,comma 2) che per «grave
violazione» si intende “una violazione suscettibile di ripercuotersi in
misura significativa sulla sicurezza
e sui diritti di un soggetto o sull'affi-
dabilità e sulla robustezza dei dati
ottenuti dalla sperimentazione clinica”. Sicuramente tale previsione
normativa richiede ulteriori chiarimenti da parte UE, sia per le modalità di comunicazione che per una
migliore comprensione delle tipologie di violazioni, ma si tratta di un
elemento che determinerà una
maggiore attenzione e l’adozione di
tempestive misure correttive da
parte di quanti intervengono nei
diversi aspetti dei CT, in particolare
per quanto riguarda la conformità al
protocollo ed alle procedure di qualità previste per la sua esecuzione.
PRIME CONCLUSIONI
Limitatamente a quanto esposto in
questa prima parte dell’analisi sulle
misure del R connesse con la Q, e
fatte salve le problematiche relative
alle GCP esposte nel precedente
articolo (1), si ritiene che siano presenti nel R obblighi procedurali ai
fini della qualità nella conduzione
dei CT superiori rispetto alle direttive vigenti. (Fine Prima Parte)
Umberto Filibeck
Il presente testo è stato predisposto sulla
base degli approfondimenti e del lavoro compiuto in ambito SSFA dal gruppo di lavoro
“GIQAR - GCP Regolamento UE”, composto
dalle dott.sse Carla Bruzzese, Marina Filippone, Carla Turriziani e dall’autore
dell’articolo.
NOTE
1) U.Filibeck e C. Turriziani “Conformità alla
GCP nel Regolamento UE n. 536/2014 sulla
Sperimentazione clinica dei medicinali per
uso umano che abroga la direttiva 2001/20/
CE: maggiori o minori obblighi rispetto alle
norme attuali? “SSFA oggi”: n.48, aprile
2015: pp.10-12.
2) Dal Considerando n.11 della Direttiva
2005/28 “ (....) Le condizioni e i luoghi in cui
la ricerca non commerciale è condotta dai
ricercatori pubblici fanno sì che l’applicazione
di talune norme particolari di buona pratica
clinica sia inutile o garantita da altri mezzi.
3)
Art. 2, comma 3, del Regolamento
536/2014 Definizioni: «sperimentazione clinica a basso livello di intervento»: una sperimentazione clinica che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) i medicinali sperimentali,
ad esclusione dei placebo, sono autorizzati;
b) in base al protocollo della sperimentazione
clinica, i) i medicinali sperimentali sono utilizzati in conformità alle condizioni dell'autorizzazione all'immissione in commercio; o ii)
l'impiego di medicinali sperimentali è basato
su elementi di evidenza scientifica e supportato da pubblicazioni scientifiche sulla sicurezza e l'efficacia di tali medicinali sperimentali in uno qualsiasi degli Stati membri interessati; e c) le procedure diagnostiche o di
monitoraggio aggiuntive pongono solo rischi
o oneri aggiuntivi minimi per la sicurezza dei
soggetti rispetto alla normale pratica clinica
in qualsiasi Stato membro interessato”.
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I cambiamenti climatici rappresentano una grande preoccupazione per il futuro del genere umano: ecco due incisivi
editoriali che ribadiscono quanto importante sia per tutti avere a cuore questo tema.
Climate change
WHO should now declare a public health emergency
The British Medical Journal
When The BMJ started publishing articles on climate change, some readers told us to stick to our knitting. “What did
this have to do with medicine?” they asked. And wasn’t climate change a myth, a result of natural climatic variation,
nothing to do with human activity? There were surely more immediate challenges that The BMJ and its readers
should be focusing on. We listened politely but carried on, convinced of the threat to human health and survival.
With others we set up the Climate and Health Council (climateandhealth.org). We published editorials and articles
(thebmj.com/content/climate-change), co-hosted conferences and seminars, lobbied funders, talked to policy makers and politicians, and worked with the BMA, the royal colleges, and their equivalents in other countries, all the time
worrying that this was not enough. Our hope was to encourage doctors and other health professionals to take a lead
in tackling climate change. Now we have gone a step further, with the publication of an article that contains no medicine or healthcare at all. “The science of anthropogenic climate change: what every doctor should know” is pure climate science.1 Why? Because if we doctors are to become effective advocates against climate change, a better
understanding of the science will help us. As most readers will know, the news is not good. With a high degree of
certainty the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) has concluded in its fifth report that the world is
getting hotter and that human activity is mainly to blame. Global average temperatures have risen by about 0.5°C in
the past 50 years and by 0.8°C from pre-industrial times. The effect of these higher temperatures on weather systems is already being felt. The IPCC reports that it is highly likely that global warming is causing climate change,
characterised by more frequent and intense temperature extremes, heavier rainfall events, and other extreme
weather events. Sea levels are rising as a result of the thermal expansion of the oceans and the melting of polar
icecaps and glaciers. The headlines should come as no surprise, but the detail may prove instructive. Higher seas
mean more frequent and extreme tidal surges, coastal flooding, and the salination of vital fresh water supplies.
Warmer air carries more moisture, leading to more extreme rainfall events. But warmer air also reduces the amount
of moisture in the soil, contributing to soil erosion and flash flooding. As for the main underlying cause, the IPCC is
clear: it is the accumulation of anthropogenic carbon dioxide in the atmosphere. Other gases and aerosols are also
to blame, especially methane and nitrous oxide, and particulate black carbon. But carbon dioxide is long lived. Once
released into the atmosphere it stays around for centuries. Deforestation makes this worse.
Best and worst cases
What of the future? The IPCC has modelled four scenarios varying with the extent and nature of future emissions.
The best case (the so called RCP (representative concentration pathway) 2.6) sees a radical cut in greenhouse gas
emissions, starting almost immediately. Even then global warming would continue, leading to average temperatures
of almost 2°C above pre-industrial levels. The worst case (RCP 8.5) is “business as usual” with unabated emissions,
which would lead to a further rise by 2100 of 3.7°C above the average at the beginning of this century and more
than 4°C higher than pre-industrial levels. As our Analysis authors explain, regional variations mean that in some
parts of the northern continents temperatures would increase by more than 10°C. Writing last week in
the Lancet,2 Andy Haines and colleagues emphasised that such huge temperature rises, and the consequent severe climate instability, would take us into what is being called the “afterlife” threshold, “where the impact on humanity is so great as to be a discontinuity in the long-term progression of humanity.” In other words, the effects would be
catastrophic.
The diagnosis
If climate change is a symptom of a planet in distress, what is the disease? Speaking last month in Geneva, Christiana Figueres, executive secretary of the United Nations Framework Convention on Climate Change, was uncompromising. The disease is “our unbridled dependency on fossil fuels,” which shows no sign of abating. Despite the
rhetoric from the world’s major polluters at last week’s United Nations meeting on climate change in New
York,3 rates of carbon emission are accelerating. Our Analysis article explains that the amount of carbon we can still
afford to emit if we are to stay below 2°C of warming compared with pre-industrial levels (our “carbon budget”) will
be exceeded in the next 25-30 years. Calls for organisations to disinvest from fossil fuels and reinvest in renewable
energy are gaining momentum. The president of the World Bank, Jim Yong Kim, himself a doctor, propelled this
idea into the mainstream by suggesting in a speech at the World Economic Forum that carbon emissions could be
tackled through divestment and taxation.4 Groups such as the Global Climate and Health Alliance
(www.climateandhealthalliance.org) have been quick to take up the call. Archbishop Desmond Tutu has called divestment a moral imperative.5 The BMA agreed to divest at its annual meeting in June, and major universities and
funding bodies have also signed up, the Rockefeller family and the World Council of Churches being among the
most recent.6 Figueres was speaking at the first WHO conference on health and climate, where health ministers
joined delegates from intergovernmental and non-governmental organisations in an extraordinary show of consensus. All agreed with WHO director general Margaret Chan’s assessment that climate change is the greatest threat to
public health and the defining issue of the 21st century. The conference gave a clear warning: that without adequate
mitigation and adaptation, climate change poses unacceptable risks to public health worldwide.7
Anno IX numero 49
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Health benefits of acting on climate change
In this unequal battle with big business and political inertia we have a crucial card to play: the knowledge that much
of what we need to do to tackle climate change will bring substantial benefits to health. Burning fossil fuels causes
about seven million premature deaths from indoor and outdoor air pollution. Smog in Beijing and other major cities is
alerting the public and waking up our politicians in ways that the more invisible threat from carbon dioxide emissions
has failed to do. Healthcare is itself a major emitter of greenhouse gases and has a responsibility to get its own
house in order, to avoid the paradox of doing harm while seeking to do good.8 Also in our hand is the substantial
health dividend of more active and sustainable low carbon lifestyles: lower rates of obesity, heart disease, diabetes,
and cancer.9 WHO has shown important leadership on climate change but has stopped short of declaring a global
public health emergency. This may be understandable with Ebola raging. But it is what WHO should now do. Deaths
from Ebola infection, tragic and frightening though they are, will pale into insignificance when compared with the
mayhem we can expect for our children and grandchildren if the world does nothing to check its carbon emissions.
And action is needed now.
References
1 - McCoy D, Hoskins B. The science of anthropogenic climate change: what every doctor should know.BMJ2014;349:g5178.
2 - Haines A, Ebi KL, Smith KR, Woodward A. Health risks of climate change: act now or pay later. Lancet2014;384:1073-5.
3 - Roehr B. China tells UN climate change talks it should still be treated as developing nation. BMJ2014;349:g5925.
4 - World Bank. World Bank group president Jim Yong Kim remarks at Davos press conference. 23 Jan 2014.www.worldbank.org/en/news/
speech/2014/01/23/world-bank-group-president-jim-yong-kim-remarks-at-davos-press-conference.
5 - YouTube. Archbishop Tutu calls for end of fossil fuel era. 18 Sep 2014. https://www.youtube.com/watch?v=6w78dtRzeyQ.
6 - Goldenberg S. Heirs to Rockefeller oil fortune divest from fossil fuels over climate change. Guardian 22 Sep 2014.www.theguardian.com/
environment/2014/sep/22/rockefeller-heirs-divest-fossil-fuels-climate-change.
7 - Climate Summit 2014. www.un.org/climatechange/summit/2014/08/quick-action-climate-change-save-millions-lives-world-health-organization.
8 - NHS Sustainable Development Unit. www.sduhealth.org.uk.
9 - Climate change. Lancet. www.thelancet.com/series/health-and-climate-change.
Climate change and health—action please, not words
The Lancet
Last year, the UN Secretary General Ban Ki-moon expressed concern that the world's commitment to mitigate climate
change was insufficient. Indeed, it was a stark reminder of the likely adverse effects on human health should fossil fuel
consumption and high population growth continue at their present levels. The call for the health community is to take a
longer term view, where actions that target climate change and health today will reduce the global burden of ill-health in
the future. So urgent is the need for effective and immediate action that on Sept 23, during the UN General Assembly, Ban
Ki-moon convened a climate summit to revitalise support from government, business, finance, and civil society leaders. In
addition to the hope for new funding and ideas to curb climate change, the summit will focus on health and opportunities
for employment in “green” jobs. In advance of this meeting, there has been both negative and positive activity around the
issues of climate change. On the negative side, the World Meteorological Organisation has reported a surge in CO2 in the
atmosphere, which reached a new record high of 396 ppm in 2013. Furthermore, according to the 2014 Low Carbon
Economy Index, for the sixth year running the global economy has missed the decarbonisation target needed to limit
global warming to 2°C. If this current trajectory continues, the carbon budget for the entire century would be depleted
within the next 20 years, with grave consequences for the environment and human health. On the positive side, the index
reported emerging economies waking up to green growth and decarbonising faster than developed world economies. Indeed, the World Bank Group boasts their climate lending grew to more than US$11 billion during fiscal year 2014, with key
areas being renewable energy, transport, and agriculture.Last month, WHO held its first conference on health and climate
which finally recognised the need to strengthen resilience to climate change and the opportunity to make gains in public
health through well-planned mitigation measures. Last week, the Global Commission on the Economy and Climate published their report, Better Growth, Better Climate, which explores the relation between economic growth and positive climate action. The report showed the cost of mortality from outdoor air pollution in the top 15 greenhouse gas (GHG)emitting countries was on average 4% of GDP. In China, that rises to more than 10% of GDP, making an even stronger
case for countries to pursue low-carbon energy sources that will improve public health.These reports and events are all
welcome and help to maintain the momentum around the issues of climate change, but what is needed now is global collective action. The key event in the climate change calendar is COP15, the UN Framework Convention on Climate
Change's Conference (UNFCCC) of the Parties to be held in Paris, France, in December, 2015. 196 countries will meet to
sign a new climate change treaty that will come into force from 2020. Countries must put forward their national commitments to cut emissions as part of this treaty by March, 2015. Parallel to this important process are the Sustainable Development Goals (SDGs) beginning in 2016. Taking urgent action to combat climate change and its impacts is currently goal
13. It is crucial for the SDG and COP15 processes to work closely together and find a point of agreement to ensure meaningful action. With countries already falling short of their commitments to combat climate change, there are further signs of
concern. First, Australia became the first country to repeal a carbon tax this year. Second, despite the fact that countries
domestically are taking climate change more seriously (such as the largest GHG-emitters, China and the USA), there is no
high-level political leadership on this issue. Third, undeterred by more scientific certainty, climate change sceptics are still
able to sow their messages of dissent very successfully. Finally, there is still no sign of multilateral commitment to act. In
2009, a Commission report published by The Lancet in collaboration with University College London (UCL) stated that
“climate change is the biggest global health threat of the 21st century”. 5 years later, we still believe this conclusion to be
true. In 2015, we will be publishing the second UCL—Lancet Commission on climate change and health and also the first
Commission on Planetary Health, which will examine the health and sustainability of human civilisations in the face of multiple environmental threats. Together, we hope these reports will help to build confidence among decision makers to act—
and act urgently.
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The General Medical Council and doctors’ financial interests
The BMJ 2015;350:h474
Doctors are not supposed to allow personal financial gain to influence or appear to influence their clinical decisions.
And in the UK, the public relies on the General Medical Council to pursue claims that doctors may have behaved
unethically. But an investigation by The BMJ has found that the GMC failed to act when a leading insurance firm
presented it with evidence of widespread payment of “incentives” to doctors in return for referrals to private hospital
groups. These inducements were not disclosed to patients and seem to contravene GMC guidance. Some London
based doctors benefited by tens, sometimes hundreds, of thousands of pounds. The Competition and Markets Authority closed loopholes in the law last year, but the GMC has still not responded formally to the evidence presented
to it in 2012. A senior doctor who works for the insurance firm and brought the evidence to The BMJ said, “It’s a sad
day for the medical profession when a competition regulator has had to issue an order … because our own regulator
[the GMC] has failed to do so.” The GMC says that it didn’t receive a formal complaint against individual doctors and
so could not investigate further. Its Good Medical Practice does set standards on financial arrangements and conflicts of interest. But The BMJ investigation shows an unwillingness to act on possible breaches of these standards.
The GMC could have requested names and information from the Competition Commission, performed its own investigations, and issued guidance to remind doctors of the rules relating to financial inducements. However, the GMC
failed to intervene. Its 2014 publication on the state of medical education and practice in the UK emphasises conflicts of interest for general practitioners and clinical commissioning groups (CCGs) introduced by new commissioning models and incentive schemes such as the quality and outcomes framework. But it provides no guidance on
private sector inducements like those exposed by this investigation.
This lack of clarity may diminish the GMC’s ability to prove impropriety beyond reasonable doubt. It is our impression that most UK doctors aspire to the highest ethical standards, as recently shown by the widespread questioning
and concern over GP dementia diagnosis payments. Yet the second highest number of GMC investigations relate to
doctors acting dishonestly and unfairly, including on conflicts of interest and financial arrangements. This category of
complaint was also in the top four of those that led to a sanction by the GMC. We don’t know how many of these
investigations and sanctions were specifically related to accepting inducements.
If nothing else, the potential threat to patients should force the GMC to take action. In the US, six doctors are being
prosecuted for taking kickbacks at the Sacred Heart Hospital in Chicago, including for referring patients who didn’t
need medical admission. One allegation is that lucrative tracheotomies were performed unnecessarily, often on elderly people, leading to avoidable deaths. The effects of the inducements in the UK are unknown, but there is a clear
risk to patients of inappropriate referrals for tests and treatments. To effectively regulate doctors’ financial interests,
the GMC must first know what these are. Statutory requirements exist for CCGs to provide public registers for doctors to declare conflicts of interest but compliance with this legislation may be poor. The current GMC guidance asks
that doctors declare their financial interests to their patients and in their medical notes when appropriate, but it
leaves the onus on doctors to decide what and where, creating a grey area that is open to exploitation. There is no
specific requirement to declare financial interests to a doctor’s employing organisation, the wider profession, or to
the public. The GMC itself does not currently ask to be informed about financial interests.
Perhaps the only viable way of achieving such transparency is by a public register of payments and other benefits
given to doctors. A new code of practice from the UK’s Association of the British Pharmaceutical Industry obliges
drug companies to publish, by June 2016, details of all payments to individual doctors. Initiatives led by medical professionals are also starting to emerge. The independent website whopaysthisdoctor.org was set up by a group of
UK doctors, and the Association of American Medical Colleges in the US has launched an online system for voluntary disclosure of financial interests. An important limitation of both the ABPI database and these doctor led websites is that none is compulsory. By contrast, compulsory databases for doctors’ financial ties to drug companies
have been introduced by legislation in the United States (the Sunshine Act) and by professional self regulation in the
Netherlands. The US and Dutch databases are moving towards publishing payments by medical device companies
and private healthcare firms, but neither system comprehensively covers non-pharmaceutical industries, and instances of financial involvement may be missed. The pressure on doctors is already high, as shown by recent reports of high suicide rates among doctors who are under GMC investigation. But this should not deter tighter regulation of financial ties. The GMC’s belief that its role is limited to offering guidance on conflicts of interests is unsatisfactory. Its promise to review whether more can be done to help doctors manage potentially conflicting financial ties
is vague and insufficient.
We propose that all UK doctors’ financial interests should be included in a publicly available and searchable central
register, updated as part of annual appraisal. Debate is needed about how this would be set up and who would
maintain and enforce it. For example, should it follow the US model of national legislation, the Dutch model of professional mandate, or fall under the authority of an independent regulator? Whichever system is introduced, the
GMC must uphold its guidance about financial inducements. A register would make it easier to regulate unethical
practice but its absence should not be an excuse for inaction. Unless the GMC is serious about regulating doctors’
financial conflicts of interest, insidious inducement schemes will continue to reward private hospitals groups and
some doctors at the expense of patients, the very people that the GMC is obliged to protect.
Anno IX numero 49
Pagina 25
Medical corruption in the UK
The BMJ 2015;350:h506
Last year The BMJ launched an international campaign against corruption in healthcare. A single article was the
spark: a personal view about the endemic culture of kickbacks to doctors in India (doi:10.1136/bmj.g3169).
The campaign received widespread support from Indian doctors and the media, and it seems to have led to some
positive change, if not yet enough. In an unprecedented move India’s then health minister acknowledged that corruption was a big problem. The government set up a special committee and has banned gifts to doctors and conference sponsorship by drug companies.
The Indian Medical Association is working on a new code of medical ethics for private hospitals. And the Medical
Council of India, which regulates India’s doctors, has committed itself to act against any doctors reported to have
received kickbacks.
A linked editorial made it clear that India was not alone in having a deeply embedded culture in medicine of tolerance to and even promotion of corruption (doi:10.1136/bmj.g3169). If anyone doubted this, recent news from the
United States suggested that healthcare corruption was equally endemic there. On top of evidence that the US
loses billions of dollars each year to medical embezzlement (http://econ.st/1BuAiFW), high profile cases are now
making clear the mechanisms and the human cost. Six doctors in Chicago are currently being prosecuted for allegedly taking kickbacks. Their alleged crimes includes referring patients to hospital who didn’t need admission and
performing unnecessary but lucrative tracheotomies, leading to avoidable deaths (doi:10.1136/bmj.h22).
Nor, sadly, is the United Kingdom immune. A BMJ investigation published this week reports clear evidence of UK
doctors receiving covert financial inducements to refer patients to private hospital groups.
Some London based doctors have benefited by tens, sometimes hundreds, of thousands of pounds (doi:10.1136/
bmj.h396).
No doubt the beneficiaries will include some of the pillars of Britain’s medical establishment. Also no doubt most of
those involved will believe that they themselves cannot be bought. But even if that were true, it is the perception of
conflicts of interest that matters, as well as the reality. How many doctors enjoying free use of consulting rooms will
have explained to a patient: “I am referring you to this hospital (or moving you to this other hospital) because I have
a contract with them that rewards me for doing so”?
Some of the beneficiaries might argue that the UK’s General Medical Council has no specific guidance on private
sector inducements, and they would be right. The GMC’s failure to provide such guidance, and its apparent reluctance to act on information about kickbacks that was presented to it in 2012, are the focus of a linked editorial
(doi:10.1136/bmj.h474). But even without clear guidance or action from the GMC, it seems obvious that referral for
any reason other than because the patient’s best interests require it contravenes professional ethics. Gornall reports
that some doctors were offered inducements but declined for this reason. And one notable private hospital group
keeps well away from inducements, preferring to compete on the quality of the service it provides.
The profession must take the lead to protect patients and maintain public trust. The GMC should act, and a public
register of UK doctors’ financial interests is long overdue.
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Anno IX numero 49
Pagina 26
Informazioni di maggiore dettaglio su questo
numero speciale sono desumibili dal sito http://
www.sciencedirect.com/science/
journal/07317085/106
VOLUME 106 15 MARCH 2015
È stato recentemente pubblicato, con il patrocinio di SSFA, un numero speciale del Journal of
Pharmaceutical and Biomedical Analysis (Vol.
106, 2015, v + 224 p., Elsevier) intitolato Pharmaceuticals in Environmental Media, Food Commodities and Workplaces: Analytical Approaches.
Questo numero speciale, di cui sono editori Sergio Caroli e Paola Bottoni, raccoglie ventisei
contributi forniti dai maggiori specialisti in questo
settore provenienti da dieci paesi (Argentina,
Austria, Italia, Olanda, Polonia, Portogallo,
Regno Unito, Svizzera, Ungheria e Stati Uniti).
Articolato in sei sezioni, rispettivamente General,
Degradation, Water, Food, Biological Fluids e
Workplaces, l’opera fornisce un quadro d’assieme delle conoscenze attuali circa la presenza
indebita di residui e metaboliti di farmaci in matrici ambientali e alimentari, nonché nei luoghi di
lavoro, unitamente alla descrizione dei metodi di
indagine più innovativi per la loro rilevazione,
identificazione e quantificazione.
ISSN 0731-7085
Numero speciale del Journal of Pharmaceutical and
Biomedical Analysis
Journal of Pharmaceutical
and Biomedical Analysis
Special Issue
SOCIETÀ
DI SCIENZE
FARMACOLOGICHE
APPLICATE
SOCIETY
FOR APPLIED
PHARMACOLOGICAL
SCIENCES
FONDATA NEL 1964
Analytical Approaches
Guest Editors
Sergio Caroli and Paola Bottoni
EDITORS
B. Chankvetadze
S. Görög
J. Haginaka
R. Moaddel
S. Pinzauti
A Sponsored Journal of the American
Association of Pharmaceutical Scientists
Available online at www.sciencedirect.com
ScienceDirect
EMA: obbligatoria la pubblicazione dei risultati degli studi clinici
Dal 21 luglio 2014 chi finanzia uno studio o una sperimentazione clinica sarà obbligato a pubblicare i risultati sulla
banca dati europea degli studi clinici EudraCT, gestita dall'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA). Questa data corrisponde al completamento della programmazione della banca dati, come spiegano le linee guida della Commissione Europea, in applicazione alla Direttiva del 2001/20/EC sulle sperimentazioni cliniche ed al Regolamento Pediatrico. In questo contesto, dal momento che le informazioni relative ai risultati degli studi saranno immesse nel sito European Union Clinical Trials Register (il sito web che contiene le informazioni pubbliche sulle sperimentazioni cliniche interventistiche sui farmaci) pubblicamente accessibile, la sintesi dei risultati degli studi sarà disponibile a tutti
non appena i finanziatori inizieranno ad adempiere ai propri obblighi di legge.
Che cosa comporta per i ”finanziatori” delle sperimentazioni cliniche?
I finanziatori saranno obbligati a pubblicare i risultati degli studi in EudraCT per tutte le sperimentazioni interventistiche registrate in EudraCT che si sono concluse entro un certo periodo di tempo:
• Per tutte le sperimentazioni cliniche interventistiche che si sono concluse entro o dopo il 21 luglio 2014, i finanziatori dovranno pubblicare i risultati entro sei o dodici mesi (a seconda del tipo di trial clinico) successivi alla fine della
sperimentazione;
• Per gli studi che si sono conclusi prima di tale data, i finanziatori dovranno presentare i risultati successivamente,
secondo il calendario specifico previsto dalle linee guida della Commissione europea sull’inserimento e sulla pubblicazione delle informazioni relative ai risultati delle sperimentazioni cliniche.
Che cosa comporta per l'accesso pubblico ai risultati delle sperimentazioni cliniche?
Un sottoinsieme dei dati inclusi in EudraCT è reso disponibile al pubblico nel sito European Union Clinical Trials
Register. Il contenuto e il livello di dettaglio della sintesi dei risultati disponibile sono descritti all’interno delle linee
guida della Commissione Europea. Attraverso questa banca dati sarà possibile ottenere informazioni sugli obiettivi
dello studio, su come è stato progettato, sui suoi principali risultati e sulle conclusioni. Si tratta di un miglioramento
che consentirà un approccio più vasto e più ricco alla ricerca ed un maggiore accesso pubblico alle informazioni
correlate alle sperimentazioni cliniche.
Anno IX numero 49
Pagina 27
SINDROME DA INTOLLERANZA MULTIPLA AI FARMACI: UNO
STUDIO RETROSPETTIVO MULTIPLE DRUG INTOLERANCE SYNDROME: A LARGESCALE RETROSPECTIVE STUDY Hisham MRB.O, Hodson J, Thomas SK
Drug Safety 2014; 37: 1037-1045
Questo è il primo studio inglese su larga scala relativo agli effetti della demografia, della storia medica e dell’uso dei
farmaci sul tasso di sindrome da intolleranza multipla ai farmaci.
RIASSUNTO
CONTESTO Il termine “sindrome da intolleranza multipla al farmaco” (multiple drugintolerance syndrome, MDIS) è
stato introdotto per descrivere quei pazienti che presentano da tre a più reazioni avverse a un farmaco senza un
meccanismo immunologico noto.
OBIETTIVO Identificare i fattori legati al paziente che possono aumentare il rischio di MDIS.
METODI Sono stati selezionati i record di pazienti ricoverati in un periodo di 5 anni all’interno di un sistema elettronico di prescrizioni per identificare i soggetti con almeno una allergia da farmaco documentata. Sono state poi utilizzate analisi uni- e multivariate per confrontare le percentuali di MDIS tra diverse età, sesso, peso, etnia, storia di disordini psicologici o “atopia” e precedenti ricoveri.
RISULTATI 25.695 pazienti hanno avuto una intolleranza da farmaco documentata, il 4,9% dei quali aveva MDIS.
MDIS era significativamente più probabile nelle donne (p<0,001), in pazienti con comorbidità multiple (p <0,001) e in
pazienti con ricoveri ospedalieri precedenti (p <0,001). A eccezione di penicillina (p=0,749), MDIS era più frequente
nei soggetti allergici ad altri farmaci (p <0,001).
CONCLUSIONI L’insorgenza di MDIS è stata associata con sesso femminile, comorbidità multiple, e precedenti
ricoveri ospedalieri. Un'allergia documentata a penicillina non ha aumentato il rischio di MDIS.
A cura di Raimondo Russo
INTERAZIONI ERBE-FARMACI: UN RISCHIO SOTTOSTIMATO
Saullo Francesca (a), De Fina Mariarosanna (b)
(a) Centro Regionale di Documentazione e Informazione sul Farmaco, Azienda Ospedaliera Policlinico
Universitario Mater Domini, Catanzaro
(b) Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera, Università degli Studi Magna Graecia, Catanzaro
Introduzione. L’utilizzo dei prodotti vegetali come medicine alternative e/o complementari si è enormemente diffuso
negli ultimi anni, e con esso la convinzione che tutto ciò che appartiene al mondo della natura possa essere privo di
rischi per la salute. Al contrario, analogamente a quanto succede quando si associano farmaci diversi, anche
l’associazione fitoterapico-farmaco, può dar luogo ad interazioni, sia di tipo farmacocinetico che farmacodinamico, in
grado di modificare l’effetto farmacologico desiderato.
Metodi. A differenza dei farmaci, molte preparazioni fitoterapiche sono composte da numerosi costituenti, con principi attivi a struttura ed effetti poco noti, che aumentano la possibilità di eventuali interazioni e/o reazioni avverse.
Alcune sostanze, presenti ad esempio nei prodotti dimagranti o negli integratori alimentari, possono alterare le funzioni gastriche ed intestinali con conseguente effetto sull’assorbimento dei farmaci (es. aloe vera; senna; guar), o
provocare effetti adrenergici additivi con farmaci a base di efedrina, pseudo-efedrina o derivati ergotaminici (es. efedra; thè verde; guaranà). L’esempio più rappresentativo è sicuramente quello dell’Iperico (hypericum perforatum o
Erba di San Giovanni), molto utilizzato negli ultimi anni per il trattamento della depressione di grado lieve o moderato. È potente induttore dell’isoenzima CYP 3A4, può ridurre le concentrazioni sieriche e l’emivita plasmatica dei farmaci suoi substrati (es. warfarin, fenobarbital, ciclosporina, ecc.), ha effetto inducente anche nei riguardi della glicoproteina-P, con conseguente riduzione dell’assorbimento dei suoi substrati (es. digossina), interagisce con antidepressivi inibitori del re-uptake serotoninergico, modifica il metabolismo di molti chemioterapici oncologici, tra cui imatinib, ed inoltre inibisce la produzione di SN38, metabolita attivo dell’irinotecano. Risultati. Nella pratica clinica, le
interazioni tra erbe e farmaci rivestono una rilevante importanza in quanto numerosi sono i pazienti sottoposti ai rischi dovuti alla contemporanea assunzione. Le interazioni tra fitoterapici e farmaci sono spesso sottostimate, raramente, infatti, il paziente associa un effetto tossico all’uso di questi preparati e risulta sempre più frequente l’utilizzo
“fai da te”, che sfugge al controllo medico. Inoltre, le informazioni disponibili sui potenziali effetti indesiderati delle
erbe medicinali nella pratica clinica sono ancora limitate, pertanto, nonostante esistano in letteratura dati sui rischi
potenziali, la formazione degli operatori sanitari riguardo il loro corretto uso e sicurezza è spesso carente. Conclusioni. Un buon sistema di vigilanza rappresenta l’unico modo per incrementare la sicurezza e la salute dei pazienti.
Interventi formativi/informativi, condivisi da team-sanitario e pazienti, rappresentano la migliore prevenzione creando
le condizioni per migliorare lo stato di salute generale.
A cura di Raimondo Russo
Anno IX numero 49
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INIZIATIVA EMA-FDA PER ASSICURARE EFFICACIA E SICUREZZA
DEI FARMACI EQUIVALENTI Fonte: AIFA. 30 dicembre 2013
European Medicines Agency (EMA) e Food and Drug Administration (FDA) hanno annunciato l’avvio di una iniziativa congiunta per condividere le informazioni relative alle ispezioni sugli studi di bioequivalenza presentati ad EMA,
ad FDA o alle Autorità Nazionali nell’ambito delle richieste di autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci
equivalenti. L’iniziativa prevede anche l’effettuazione di ispezioni congiunte nelle strutture in cui vengono condotti gli
studi di bioequivalenza per verificare l’affidabilità dei dati ottenuti in questi studi, indispensabili per la registrazione
dei farmaci generici. L’Italia farà parte degli Stati membri dell’Unione Europea inizialmente coinvolti in questa iniziativa, insieme a Francia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito. Altri Stati membri si aggiungeranno all’iniziativa in
futuro. Dal momento che nell'Unione Europea molte autorizzazioni all'immissione in commercio dei farmaci equivalenti sono ottenute attraverso procedura nazionale, decentrata e di mutuo riconoscimento, il coinvolgimento degli
Stati membri dell'Unione Europea è considerato essenziale per il successo dell’iniziativa.
Questi gli obiettivi chiave del progetto:
• Semplificare la condivisione delle informazioni sulle ispezioni sugli studi di bioequivalenza condotti per le domande
di autorizzazione dei farmaci generici (ispezioni ai siti clinici o analitici o entrambi)
• Condividere le informazioni sui risultati negativi delle ispezioni, che rivelano problemi sistematici di questi siti che
potrebbero avere un potenziale impatto sulla accettabilità/credibilità dei dati ottenuti da altri studi condotti negli stessi siti
• Condurre ispezioni congiunte in tutto il mondo
• Fornire opportunità di formazione per migliorare le modalità di conduzione delle ispezioni di bioequivalenza
L’iniziativa, che fa seguito a quella EMA-FDA del 2009 per il rispetto della Good Clinical Practice (GCP) pianificata
per assicurare che i dati delle sperimentazioni cliniche presentati per le domande di autorizzazione al commercio di
medicinali negli Stati Uniti ed Europa siano condotti eticamente e che i dati di queste sperimentazioni siano credibili,
sarà attuata mediante accordi di riservatezza stabiliti tra la Commissione europea, l’EMA, gli Stati membri interessati e l’FDA. La fase pilota del progetto durerà 18 mesi e avrà inizio il 2 gennaio 2014. EMA ed FDA monitoreranno l’andamento della fase pilota e faranno una valutazione congiunta per riportare i suoi risultati. A seconda di tali
risultati, il processo e i termini degli accordi potranno essere modificati.
A cura di Raimondo Russo
ADERENZA ALLA TERAPIA, REAZIONI AVVERSE ED EFFETTI SUBTERAPEUTICI
REFILL ADHERENCE AND SELF-REPORTED ADVERSE DRUG REACTIONS AND
SUB-THERAPEUTIC EFFECTS: A POPULATION-BASED STUDY Hedna K, Hägg
S, Andersson Sundell K, et al Pharmacoepidemiol Drug Saf.
A differenza di quanto atteso, reazioni avverse ed effetti sub-terapeutici sono segnalati in percentuali simili in condizioni di adeguata aderenza e di eccessiva o di scarsa prescrizione da pazienti in terapia cronica
con diverse classi farmacologiche.
SCOPO: Valutare l’aderenza a farmaci assunti per via orale a lungo termine tra la popolazione adulta e indagare se
le percentuali auto-riportate di reazioni avverse da farmaci (ADR) e di effetti sub-terapeutici (sub-therapeutic effects,
STE) differivano in base ai livelli di aderenza, di over- o under-prescrizione.
METODI: Le risposte al sondaggio su ADR e STE auto-riportati sono state linkate al Swedish Prescribed Drug Register in uno studio cross-sectional su base di popolazione. L’aderenza ai farmaci antipertensivi, ipolipemizzanti e ipoglicemizzanti per via orale è stata misurata utilizzando la misura continua di acquisizione del farmaco (continuous
measure of medication acquisition, CMA). Le percentuali di ADR e STE auto-riportati sono state confrontate tra farmaci con adeguata aderenza (CMA 0,8-1,2), disponibilità eccessiva (CMA >1,2) e scarsa disponibilità (CMA <0,8).
RISULTATI: Lo studio ha incluso 1.827 persone, e l'aderenza è stata misurata per 3014 farmaci antipertensivi, 839
ipolipemizzanti, e 253 farmaci anti-diabetici orali. Complessivamente, il 65,7% dei farmaci aveva un'adeguata aderenza, il 21,9% una disponibilità eccessiva e il 12,4% una disponibilità scarsa. Le percentuali di ADR e STE autoriportati erano rispettivamente del 2,6%, 2,7% e 2,1% (p >0,5) per le ADR e 1,1%, 1,6% e 1,5% (p >0,5) per gli STE.
CONCLUSIONI: Una aderenza adeguata è stata osservata in due terzi delle terapie. ADR e STE erano riportati in
modo simile, ma inaspettato, in tutte e tre le situazioni. Questi risultati suggeriscono che una migliore comprensione
del comportamento dei pazienti in merito al rinnovo della prescrizione e della loro percezione degli eventi avversi da
farmaco sono fattori necessari per migliorare la gestione della terapia. Studi futuri dovrebbero analizzare l'impatto di
fattori individuali e sanitari che potrebbero influenzare l'associazione tra aderenza e esiti avversi riportati.
A cura di Raimondo Russo
Anno IX numero 49
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HEADACHE AS A PRESENTING FEATURE IN PATIENTS WITH SEROTONIN SYNDROME: A CASE SERIES Prakash S, Belani P,
Trivedi A. Cephalalgia.
INTRODUZIONE. La sindrome serotoninergica (SS) è una condizione farmaco-indotta che presenta varie caratteristiche cliniche che derivano da un eccesso di tono serotoninergico centrale. I segni clinici variano da appena percettibili a potenzialmente fatali.
CASI. Si descrivono quattro pazienti con cefalea acuta (da quattro giorni a tre settimane) che stavano ricevendo
farmaci serotoninergici per altre indicazioni. Era evidente una relazione temporale tra la somministrazione dei farmaci serotoninergici e lo sviluppo del mal di testa. Tutti e quattro i pazienti soddisfacevano i criteri diagnostici per la
tossicità da serotonina (Hunter Serotonin Toxicity Criteria). Inoltre, due pazienti soddisfacevano i criteri di Sternbach
per la SS. La sospensione dei farmaci serotoninergici e la somministrazione di ciproeptadina ha portato tutti e quattro i pazienti a un miglioramento in 3-7 giorni.
DISCUSSIONE. Una revisione della letteratura suggerisce che esistono alcune sovrapposizioni nella fisiopatologia
tra SS e cefalee, tra cui il mal di testa da uso eccessivo di farmaci. Vi è sovrapposizione anche nella gestione. I farmaci risultati efficaci nella SS (ciproeptadina, clorpromazina, olanzapina) sono anche noti per avere effetti positivi su
alcune cefalee.
CONCLUSIONE. I medici dovrebbero prendere in considerazione la diagnosi di SS in pazienti con nuova insorgenza o peggioramento di mal di testa dopo l'aggiunta di farmaci serotoninergici, soprattutto in presenza di segni oggettivi suggestivi del disturbo, come tremore, febbre, iperreflessia, diaforesi o tachicardia.
A cura di Raimondo Russo
EFFICACY AND SAFETY OF COGNITIVE ENHANCERS FOR PATIENTS WITH MILD COGNITIVE IMPAIRMENT: A SYSTEMATIC
REVIEW AND META-ANALYSIS Tricco AC, Soobiah C, Berliner S,
et al. CMAJ.
Gli autori hanno osservato effetti statisticamente significativi nell’utilizzo di potenziatori cognitivi rispetto al placebo
dopo un follow-up di 12-84 settimane, tuttavia questa differenza non è stata osservata a lungo termine. Questo dato
suggerisce che dovrebbero essere condotti trial clinici randomizzati a lungo termine.
CONTESTO: I potenziatori cognitivi, inclusi gli inibitori della colinesterasi e memantina, sono stati utilizzati per il trattamento della demenza, ma non è chiara la loro efficacia nel decadimento cognitivo lieve. I ricercatori hanno condotto una valutazione sistematica per comprendere l’efficacia e la sicurezza dei potenziatori cognitivi in presenza di
decadimento cognitivo lieve.
METODI: I criteri di inclusione richiedevano studi che avessero studiato gli effetti di donepezil, rivastigmina, galantamina o memantina sul deterioramento cognitivo lieve e che riportassero dati su cognizione, funzionalità, comportamento, stato generale e mortalità o danni. Gli autori hanno reperito materiale importante cercando in database elettronici (MEDLINE, Embase), referenze degli studi considerati, registri dei trial, verbali delle conferenze e contattando gli esperti. Due revisori hanno analizzato in modo indipendente i risultati della letteratura sulla ricerca, i dati ottenuti e il rischio stimato di errore con il Cochrane risk bias tool.
RISULTATI: Sono stati considerati 15.554 titoli e riassunti e 1.384 articoli full-text. Otto trial clinici randomizzati e 3
report di compagnie rispondevano ai criteri dello studio. Non sono emersi effetti significativi dei potenziatori cognitivi
sulla cognizione (Mini–Mental State Examination: tre trial clinici randomizzati [RCT], differenza media [MD] 0,14, IC
95% da –0.22 a 0.50; scala per la valutazione cognitiva del morbo di Alzheimer – subscala cognitiva: tre RCT, MD
standardizzata –0,07; IC 95% da –0,16 a 0,01) o sulla funzionalità (Alzheimer's Disease Cooperative Study activities of daily living inventory: 2 RCT, MD 0,30; IC 95% da –0,26 a 0,86). I potenziatori cognitivi erano associati a un
aumentato rischio di nausea, diarrea e vomito rispetto a placebo.
CONCLUSIONI: I potenziatori cognitivi non migliorano la cognizione o la funzionalità nei pazienti con decadimento
cognitivo lieve ed erano associati a un rischio più elevato di disturbi gastrointestinali. Questi risultati non supportano
l’utilizzo di potenziatori cognitivi per il trattamento del decadimento cognitivo lieve.
A cura di Raimondo Russo
Anno IX numero 49
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Vaccini ed autismo, nessuna correlazione
Da tempo la ricerca scientifica ha
messo in evidenza che non esiste
una correlazione fra vaccini ed autismo. In particolare, in oltre 15 anni
di studi non è stato trovato un legame tra il vaccino trivalente morbilloparotite-rosolia e i disturbi dello spettro autistico. Ora una nuova ricerca
smentisce ancora una volta il rapporto fra immunizzazione e questa
patologia. L'indagine è stata condotta su ben 95.000 bambini, tutti con
fratelli più grandi, alcuni dei quali
autistici, ed ha accertato che il vaccino contro morbillo-parotite-rosolia
non è associato ad un aumento del
rischio di disturbi dello spettro autistico. Un esito confortante, dunque,
tanto più che del campione facevano
parte bambini a più alto rischio per il
fatto di avere un familiare autistico.
A pubblicare il lavoro, finanziato
dal National Institute of Mental Health, dai National Institutes of Health e dal US Department of Health
and Human Services, è JAMA, a
firma di esperti del Lewin Group. Lo
scopo della ricerca era anche quello
di rassicurare tutti quei genitori che,
malgrado l'assenza di qualsiasi evidenza scientifica, continuano a vedere un nesso causale tra vaccinazione e malattia o a ritenere l'immunizzazione preventiva contro certe
patologie quantomeno una concausa dell'autismo. Questa convinzione,
unita alla consapevolezza che i bimbi con fratelli più grandi affetti da
autismo sono già a maggior rischio,
spesso induce i genitori ad evitare di
vaccinare i bambini più piccoli. Gli
scienziati hanno così voluto approfondire anche una volta questo tema, su un campione molto più ampio
di bambini americani con fratelli
maggiori con e senza autismo. Su
95.727 bambini inclusi nello studio,
1.929 (il 2%) avevano un fratello più
grande con autismo. Nel complesso
994 bambini (l'1% del campione
complessivo di 95.727 bambini) avevano ricevuto una diagnosi di autismo. Fra questi 134 (il 7%) bimbi
con la patologia avevano un fratello
già colpito, rispetto a 860 (0,9%) tra
quelli con fratelli senza autismo. Il
tasso di vaccinazione per morbilloparotite-rosolia (una o più dosi) per i
bambini con fratelli non autistici era
dell'84% (78.564) a 2 anni di età e
del 92% (86.063) a 5 anni. Al contrario, i tassi di vaccinazione per i bambini con i fratelli più grandi autistici
erano inferiori (73% all'età di 2 anni
e 86% all'età di 5 anni). In definitiva,
ricordano i ricercatori, l'analisi dei
dati ha rivelato che il vaccino morbillo-parotite-rosolia non è associato a
un aumentato rischio di autismo a
qualsiasi
età.
"Coerentemente con gli studi su altre popolazioni, non abbiamo osservato alcuna associazione tra la vaccinazione morbillo-parotite-rosolia e
aumento del rischio di autismo. Non
abbiamo trovato alcuna prova, inoltre, che ricevere 1 o 2 dosi di vaccino sia associato a un aumentato
rischio di autismo tra i bambini con
fratelli maggiori già malati", scrivono
gli autori. Viene quindi smentito ancora una volta il pregiudizio della
correlazione tra vaccino trivalente e
autismo, nato nel 1998 a causa di
uno studio che si rivelò in seguito
falso. In quell'anno un medico inglese, Andrew Wakefield, pubblicò su
Lancet uno studio su 12 bambini
autistici in cui affermava che c'era
un legame tra la malattia, alcuni problemi gastrointestinali e l'immunizzazione. Il testo fu poi ufficialmente
ritirato dalla rivista nel 2010. Nonostante sia stato poi provato che Wakefield, poi espulso dall'ordine dei
medici inglese, aveva ricevuto
500mila sterline da un avvocato specializzato in cause contro le case
farmaceutiche, l'articolo è ancora
citato ampiamente da siti e organizzazioni contro i vaccini, oltre che da
diverse sentenze di tribunali italiani a
favore di genitori di bimbi malati. La
ricerca, pubblicizzata con una conferenza stampa che ebbe una grandissima risonanza, fece abbassare subito drasticamente le percentuali di
vaccinati in Gran Bretagna. Nel 2002
arrivò la prima 'bordata' nei confronti
del medico da parte del Sunday Times. Brian Deer, un giornalista
scientifico, scoprì il legame di Wake-
field con l'avvocato, e lo stesso medico in un dibattito fu costretto ad
ammettere la sua malafede.Diversi
studi negli anni hanno smentito la
possibile associazione tra vaccinazioni e autismo. Uno dei più recenti,
pubblicato
nel
marzo
2013
sul Journal of Pediatrics, ha confermato che non esiste una relazione
fra malattia e immunizzazione. Nella
ricerca del Center for Disease
Control (CDC) di Atlanta, sono stati
studiati 256 bambini con disturbi
dello spettro autistico e confrontati
con 752 bambini non autistici.
In Italia ha suscitato clamore una
sentenza del tribunale di Rimini che
aveva collegato l'insorgenza dell'autismo ai vaccini. L'ipotesi, ricomparsa in una contestata sentenza
dell'autunno scorso del tribunale di
Milano, è sempre stata sempre
smentita dalla comunità scientifica.
Nella stessa direzione va anche una
decisione della corte d'appello di
Bologna che ha ribaltato una discussa sentenza del 2102 del giudice
del lavoro di Rimini, che aveva riconosciuto il risarcimento ad una coppia romagnola il cui bambino era
stato vaccinato nel 2002 e successivamente aveva avuto una diagnosi
di autismo. Non esistono infatti evidenze scientifiche per stabilire che il
primo provochi la sindrome, c'è solo
un collegamento temporale. Nel senso che l'iniezione che previene morbillo, parotite e rosolia viene fatta
prima della diagnosi di malattia autistica, che di solito arriva tra i 3 e i 6
anni.
Domenico Criscuolo
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NEWS ON CLINICAL TRIALS
CARCINOID SYNDROME
Lexicon Pharmaceuticals, a biopharmaceutical company focused on developing breakthrough treatments for human disease, today announced that it has completed enrollment in
TELESTAR, its pivotal Phase 3 clinical trial of telotristat etiprate for patients with carcinoid
syndrome. The company expects to announce top-line data from the TELESTAR trial in the
third quarter of 2015. The effects of carcinoid syndrome are severely debilitating for many
people’s lives, causing them to suffer from life-altering diarrhea, flushing and pain. Completing enrollment in this pivotal Phase 3 clinical trial marks an important step in bringing
telotristat etiprate to market to help improve the lives of these individuals whose carcinoid syndrome is no longer
adequately controlled by somatostatin analog treatment. TELESTAR is Lexicon’s pivotal Phase 3 clinical trial of
telotristat etiprate evaluating the safety and tolerability of telotristat etiprate and its effect on symptoms associated
with carcinoid syndrome. In total, the trial enrolled 135 patients with inadequately controlled carcinoid syndrome on
background somatostatin analog therapy, in a randomized, double-blind, placebo-controlled study of 250mg three
times daily and 500mg three times daily doses of telotristat etiprate over a 12-week treatment period, followed by a
36-week, open-label extension where all patients receive 500mg three times daily doses of telotristat etiprate. The
primary efficacy endpoint under evaluation in the trial is the number of daily bowel movements, with secondary efficacy endpoints including changes in urinary 5-HIAA levels, flushing episodes, abdominal pain and quality of life
measures
SCLERODERMA
Corbus Pharmaceuticals Holdings announced today that company's IND application to the FDA is now open and it is
authorized to initiate a Phase 2 clinical study with Resunab for the treatment of diffuse cutaneous systemic sclerosis
(scleroderma). Scleroderma is a chronic, life-threatening inflammatory disease causing fibrosis of skin, joints and
internal organs, affecting predominately women in mid-life. The diffuse form of the disease is associated with severe
morbidity and high mortality. There are currently no approved therapies for scleroderma. About 50,000 adults with
scleroderma are estimated in the U.S. Corbus' Phase 2 clinical trial will be a double-blind, randomized, placebocontrol study with multiple doses that will take place at several centers in the USA and enroll approximately 36
scleroderma patients that will each be treated daily for a period of three months with a follow-up period of one month.
The study is expected to take 18 months to complete. This clinical study is designed to evaluate Resunab's safety
and tolerability, along with its potential impact on clinical outcomes as measured by the combined response index for
systemic sclerosis or CRISS score. In addition, the study will explore multiple secondary endpoints to better determine changes in the patients' inflammatory status. Corbus plans to initiate this Phase 2 study in the second quarter
of 2015. The company also intends to submit a Phase 2 protocol under this open IND for the treatment of cystic fibrosis in the second quarter of 2015.
EBV-ASSOCIATED LYMPHOPROLIFERATIVE DISEASE
Atara Biotherapeutics announced that its collaborative partner, Memorial Sloan Kettering Cancer Center (MSK), has
received breakthrough therapy designation from the FDA for Atara's optioned cytotoxic T lymphocytes activated
against Epstein-Barr Virus (EBV-CTL) in the treatment of patients with rituximab-refractory, EBV-associated lymphoproliferative disease (EBV-LPD), a type of malignancy occurring after allogeneic hematopoietic cell transplantation (HCT). Allogeneic HCT is also commonly called a bone marrow transplant. EBV-CTL may provide an "off-theshelf", allogeneic, cellular therapeutic option for patients with EBV-LPD. EBV-CTL are made from T-cells collected
from the blood of third-party donors. Once collected, the T-cells are exposed to certain antigens. The resulting activated T-cells are expanded, characterized and stored for future therapeutic use in an appropriate partially human
leukocyte antigen matched patient. In the context of EBV-LPD, the EBV-CTL find the cancer cells expressing EBV
and kill them. The FDA's breakthrough therapy designation is designed to expedite the development and review of
new drugs for the treatment of serious or life-threatening conditions. To qualify for this designation, a drug must show
credible evidence of a substantial improvement on a clinically significant endpoint over available therapies, or over
placebo if there is no available therapy, or in a study that compares the new treatment plus standard of care to the
standard of care alone. The designation confers several benefits, including intensive FDA guidance and discussion
and eligibility for submission of a rolling biologic license application.
A cura di Domenico Barone
Anno IX numero 49
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NUOVI SOCI
AMATUCCI PAOLA
SIGMA-TAU
BARBIERO GIORGIA
CENTRO RICERCHE CLINICHE VERONA
BIANCHI MONICA
INNOPHARMA
BOLLANI MARINELLA
PH&T
BUNIATO DANILO
INNOPHARMA
CAIMI MARCO
INNOPHARMA
CAPUTO FRANCESCA
CELGENE
COCEANI NICOLETTA
INNOPHARMA
LISCHIO FRANCESCA
ZAMBON
LOMAZZI GIACOMO
STUDENTE MASTER
MACCIONI ELISABETTA
CLIOSS
MASELLA STEFANIA
INNOPHARMA
MAZZONE MARIA GRAZIA
SIFI
MONACO GRETA
CD PHARMA GROUP
PERGHER MARCO
APTUIT
PETTERLINI ROBERTO
APTUIT
PIERPAOLI SABINA
UNITED BIOSOURCE CORPORATION
RINALDI CLAUDIA
PETRONE GROUP
RAULE MARY
UNIVERSITA’ DI TORINO
SALVADORI MICHELA
CHIESI FARMACEUTICI
SETTIMO LAURA
MEDI SERVICE
TELLAROLI PAOLA
UNIVERSITA’ DI PADOVA
TOLINO GIUSEPPINA
CELGENE
TORRETTI LAURA MARIA
CLIOSS
TRAMONTANA ERICA
THERAMetrics
VOLONTERI CHIARA
CD PHARMA GROUP
ZICHICHI FEDERICA
INVENTIV HEALTH ITALY
ZORZAN SILVIA
STUDENTE MASTER
Hanno collaborato a questo numero:
Domenico Barone - [email protected]
Elena Bresciani - [email protected]
Sergio Caroli - [email protected]
Domenico Criscuolo - [email protected]
Umberto Filibeck - [email protected]
Luciano M. Fuccella - [email protected]
Andrew J. Gray
Paolo E. Lucchelli - [email protected]
Marco Romano - [email protected]
Raimondo Russo - [email protected]
Stefano Angelo Santini - [email protected]
Daniela Visini - [email protected]
CONSIGLIO DIRETTIVO
Presidente: Marco Romano Vice—presidente: Anna Piccolboni Segretario: Salvatore Bianco Tesoriere: Luigi Godi
Consiglieri: Giuseppe Assogna, Rossana Benetti, Marie-Georges Besse, Sergio Caroli, Simona Colazzo, Domenico Criscuolo, Gianni De Crescenzo.
Direttore Responsabile: Domenico Criscuolo Comitato editoriale: Giovanni Abramo, Salvatore Bianco, Sergio Caroli, Domenico Criscuolo, Luciano M. Fuccella, Marco Romano
Segreteria editoriale: Sabrina Lucioni Segreteria Organizzativa: Viale Abruzzi 32—20131 MILANO Tel. 02-29536444 Fax. 02-89058506 E-mail [email protected]
SSFA oggi
Stampa: MEDIA PRINT, Livorno
Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007
“Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO” Numero progressivo 49 Periodicità: bimestrale
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